L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea A.A. 2011-2012 Avv. Roberto Antonio Capostagno L’IMPOSIZIONE DEI REDDITI SOCIETARI NEL QUADRO DELL’UNIONE EUROPEA
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
Avv. Roberto Antonio Capostagno
L’IMPOSIZIONE DEI REDDITI
SOCIETARI NEL QUADRO
DELL’UNIONE EUROPEA
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
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SOMMARIO
1. La struttura istituzionale dell’Unione Europea
2. Le fonti e i principi a rilevanza tributaria nel diritto
dell’Unione europea
2.1. Le fonti
2.2. I principi a rilievo tributario
3. Il quadro normativo europeo e la tassazione delle società
4. Il ruolo della giurisprudenza comunitaria in materia di
fiscalità diretta
5. Gli approcci c.d. “comprehensive” alla tassazione delle
società in Europa
6. Le condotte fiscali dannose in ambito OCSE
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1. La struttura istituzionale dell’Unione Europea
La progressiva trasformazione della Comunità Europea1, oggi
Unione europea, da semplice organismo per la cooperazione
economica ad unione monetaria, economica e politica realizzata
dapprima con l’Atto Unico Europeo, poi con gli accordi di Maastricht
e da ultimo con il Trattato di Lisbona, costituisce un efficace
paradigma di valutazione della strada percorsa finora verso
l’integrazione degli Stati europei2.
1 La Comunità Europea era formalmente costituita dalla Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio (CECA), nata i 18 aprile 1952 a Parigi, dalla Comunità
Economica Europea (CEE) e dalla Comunità Europea per l’Energia Atomica
(EURATOM), create dal Trattato di Roma del 25 marzo 1957. A rigor di termini
giuridici le tre comunità andavano tenute distinte, non essendo mai avvenuto un loro
formale accorpamento; comunque ci si riferiva ad un’unica entità afferendo le stesse
a medesimi scopi ed essendo esse dotate di istituzioni comuni. Tale assunto è stato
esplicitamente riconosciuto dal Parlamento Europeo in una Risoluzione risalente al
16 febbraio 1978, nella quale si è proposto di utilizzare il termine “Comunità
Europea” (CE) in una accezione che designasse comprensivamente le istituzioni
create in nome dei trattati istitutivi delle tre Comunità europee e l’insieme dei loro
Stati membri.
L’entrata in vigore del Trattato sull’Unione Europea il 1° novembre 1993 ha
alimentato ulteriormente la confusione terminologica che comunemente ne
accompagna l’utilizzo, in primo luogo perché introduce una nuova entità giuridica,
l’Unione europea, che giuridicamente comprende e modifica i tre trattati istitutivi
delle comunità europee (titoli II, III e IV), prevedendo inoltre l’introduzione di una
politica estera e di sicurezza comune (titolo V) insieme a disposizioni sulla
cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (titolo VI); in secondo
luogo perché stabilisce, all’art. G(A), che in seno al Trattato CEE, il termine
“Comunità Economica Europea” va sostituito con il termine “Comunità Europea”.
(Cfr., amplius TESAURO G., “Diritto Comunitario”, Cedam, Padova, 2001). 2 Il Trattato di Roma del 25 marzo 1957 (ratificato in Italia con legge n.1203/1957)
recante l’Istituzione della Comunità Economica Europea, è stato successivamente
modificato dall’Atto Unico Europeo con il Trattato sottoscritto a Lussemburgo il
17/02/1986 e all’Aja il 28/02/1986 (ratificato in Italia con legge n. 909/1986) e dal
Trattato del 07 febbraio 1992, istitutivo dell’Unione europea, sottoscritto a
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Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea3 (TFUE)
attualmente in vigore, come il previgente Trattato della Comunità
Europea (TCE), che ha sostituito, non postula alcuna competenza
generale sovrastatale in materia tributaria, né prevede che l’Unione
abbia un proprio sistema impositivo.
Tuttavia, nel Trattato non mancano norme a contenuto o a
rilevanza tributari, solo che queste, difformemente da quelle proprie
dei singoli Stati membri, non sono finalizzate a regolamentare i flussi
impositivi (i.e. a procurare entrate fiscali), bensì ad assicurare che le
regole interne del mercato comune costituito dai Paesi aderenti siano
rispettate, sia in termini formali che in concreto.
In sostanza, pur banalizzando, tutte le norme a rilevanza tributaria
si potrebbero ricondurre alle norme volte a scongiurare distorsioni
della libertà di concorrenza tra i competitori economici appartenenti ai
singoli membri dell’Unione4.
Maastricht (ratificato in Italia con legge n. 454/1992 e ulteriormente modificato dal
Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 (ratificato in Italia con legge n. 209/1998),
dal Trattato di Nizza del 2001 e in ultimo dal Trattato di Lisbona del 13.12.2007
(ratificato in Italia con legge n.. 130/2008) in vigore dal 1° dicembre 2009.
Dalla sua fondazione l’UE ha accolto un numero sempre crescente di Stati: nel 1957
i sei stati fondatori, Italia, Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi;
nel 1973 si sono aggiunti Danimarca, Irlanda e Regno Unito; nel 1981 si è aggiunta
la Grecia; nel 1986 si sono aggiunti Spagna e Portogallo; nel 1995 si sono aggiunti
Austria, Finlandia e Svezia, per un totale di “vecchi” membri pari a 15; dal 1.5.2004
si sono aggiunti dieci nuovi Stati dell’Europa dell’Est, per un totale di 25 membri;
nel 2007 si sono aggiunti Romania e Bulgaria per un totale attuale di 27 membri. 3 Il Trattato di Lisbona del 2007, dal 1° dicembre 2009, ha modificato il Trattato che
istituisce la Comunità Europea del 1957 (TCE), ora sostituito dal Trattato sul Fun-
zionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché il Trattato sull’Unione Europea
del 1992 (TUE). 4 Un criterio di classificazione delle norme del TFUE a rilevanza tributaria potrebbe
essere quello che distingue le norme volte a garantire l’integrazione negativa, come
quelle sul principio di non discriminazione, sulle libertà fondamentali e sul divieto
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Il quadro istituzionale attuale non ha subito particolari innovazioni,
ad esclusione dell’inserimento formale tra le istituizioni dell’Unione
anche del Consiglio europeo, in precedenza organo di impulso politico
di carattere ultraeuropeo.
In particolare, per espressa statuizione dell’art. 13, comma 1, del
TUE, le istituizioni attuali dell’Unione sono: 1) Il Parlamento
europeo; 2) il Consiglio europeo; 3) il Consiglio; 4) la Commissione
europea (anche solo “Commissione”); 4) la Corte di Giustizia
dell’Unione europea; 5) la Banca centrale europea; 6) la Corte dei
conti.
Il Parlamento europeo, composto di rappresentanti dei cittadini
dell’Unione, esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legi-
slativa e la funzione di bilancio (art. 14 del TUE).
Il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di governo degli
Stati membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione,
fornisce all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce
gli orientamenti e le priorità politiche generali; per espressa statuizio-
ne normativa non esercita funzioni legislative (art. 15, comma 1, del
TUE).
Il Consiglio, composto da un rappresentante di ciascuno Stato
membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il governo dello
Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto, eserci-
ta, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la
funzione di bilancio. Esercita anche funzioni di definizione delle poli-
di aiuti di Stato, dalle norme volte a garantire l’integrazione positiva, come quelle
sull’armonizzazione e il ravvicinamento delle legislazioni.
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tiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati (art. 16
del TUE).
La Commissione europea è composta cittadini degli Stati membri
scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo
e tra personalità che offrano tutte le garanzie d’indipendenza.
La Commissione promuove l’interesse generale dell’Unione e adot-
ta le iniziative appropriate a tal fine ed esercita svariate funzioni di vi-
gilanza coordinamento esecuzione e gestione.
Salvo i casi per i quali i trattati non dispongano diversamente, la
proposta della Commissione è necessaria per l’adozione di ogni atto
legislativo dell’Unione (art. 17, comma 2, dell TUE).
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, che comprende la Corte
di Giustizia in senso stretto, il Tribunale e i tribunali specializzati, as-
sicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei
trattati (art. 19, comma 1, TUE).
La Banca centrale europea e la Corte dei conti sono istituzioni rela-
tive al sistema monetario europeo.
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2. Le fonti e i principi a rilevanza tributaria nel diritto
dell’Unione europea
2.1. Le fonti
L’ordinamento giuridico dell’Unione europea è costituito
dall’insieme di norme che ne regolano l’organizzazione e l’assetto
istituzionale, nonché i suoi rapporti con gli Stati membri.
Il Trattato di Lisbona, come già il Trattato di Maastricht e tutti i
precedenti trattati isitutivi delle Comunità non hanno ritenuto di
stabilire una formale gerarchia delle fonti del diritto dell’Unione.
Tradizionalmente, sulla base di un criterio fattuale rispondente ad
una esigenza di sistematicità, si suole operare la distinzione tra diritto
europeo originario (o primario), costituito dall’insieme delle norme
internazionali rinvenibili nei Trattati istituitivi originari e nei
successivi atti di completamento e assimilati5 e diritto europeo
derivato (o secondario), costituito dall’insieme delle norme giuridiche
emanate dalle istituizioni europee per la realizzazione degli obiettivi
stabiliti dai trattati.
Le fonti derivate possono articolarsi in atti tipici, perché
formalmente previsti dalle norme originarie e in atti c.d. atipici (es.
accordi interistituzionali, dichiarazioni comuni).
Il TFUE, in apposita Sezione dedicata agli Atti giuridici
dell’Unione, all’art. 288, comma 1, stabilisce che: “Per esercitare le
5 Cfr. nota n. 2.
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competenze dell’Unione, le istituizioni adottano regolamenti,
direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri”.
La stessa norma, nei commi successivi, specifica che a) il
regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi
e direttamente applicabile a ciascuno degli Stati membri, b) la
direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto rigurada il
risultato da raggiungere, facendo salva la competenza degli organi
nazionali circa la forma e i mezzi necessari, c) la decisione, che è
obbligatoria in tutti i suoi elementi, se designa i destinatari, è
obbligatoria soltanto nei confronti di questi, mentre d) la
raccomandazione e i pareri non sono vincolanti.
Il sistema di finanziamento dell’Unione europea si colloca in una
sorta di area intermedia tra la contribuzione a carico degli Stati
membri e la raccolta di risorse proprie.
In effetti, il TFUE, nel capo espressamente dedicato alle “Risorse
proprie dell’Unione”, all’art. 311, comma 1, stabilisce che: “L’Unione
si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare
a compimento le sue politiche”.
In concreto, l’Unione può disporre delle risorse finanziarie
riconducibili i) ai diritti doganali riscossi alle frontiere dell’Unione; ii)
ai prelavamenti dalle attività agricole; iii) alla compartecipazione del
gettito IVA riscossa dai Paesi membri e iv) al contributo annuale a
carico degli Stati membri.
Sebbene tali risorse siano state definite in relazione ad un processo
decisionale autonomo dell’Unione e pertanto ben possano dirsi risorse
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proprie della stessa, appare evidente come tali entrate6 non siano il
frutto dell’applicazione di criteri impositivi omogenei alla generalità
dei contribenti europei.
Pertanto, è in tal senso che le risorse finanziarie dell’Unione, non
essendo il frutto dell’esercizio diretto di potestà impositiva, pur
potendo ascriversi alla categoria delle risorse proprie, sono tuttavia il
frutto di una fiscalità derivata.
In definitiva, ci appare corretto affermare che il meccanismo di
finanziamento dell’Unione si caratterizza per la mancanza di una
fiscalità propria7, dalla quale consegue la mancanza in capo alla stessa
Unione europea di competenze esclusive in ambito tributario, potendo
ad essa attribuirsi un ruolo di coordinamento e di regolazione delle
politiche fiscali adotate dagli Stati membri.
La politica fiscale dell’Unione appare, pertanto, essenzialmente
incentrata sull’obiettivo di scongiurare che le norme dei sistemi fiscali
dei singoli ordinamenti statali si risolvano in ostacoli alla libertà di
concorrenza.
La fiscalità europea è dunque priva di un contenuto positivo
autonomo, avendo pittosto per oggetto la regolazione del potere
impositivo proprio delle singole autorità statuali.
6 Con la sola eccezione dei diritti di dogana applicabili alle merci extreuropee. In tut-
ti i casi, comunque, si tratta sempre di entrate definite dal sintagma “risorse proprie”
e mai tributi propri, dove il dibattito apertosi sul tema in sede di Costituzione euro-
pea non ha tuttavia portato, anche a causa della posizione britannica a ciò ostile, ad
alcuna innovazione nemmeno nell’assetto del Trattato di Lisbona. 7 Tale conclusione ci appare ancor più corretta ove si consideri che anche in relazio-
ne all’esazione delle entrate tributarie proprie, ivi incluse quelle relative ai ricordati
dazi doganali, non esiste un potere amministrativo autonomo dell’UE, che a tal fine
utilizza comunque le amministrazioni finanziarie degli Stati membri.
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Poiché il potere impositivo si situa al livello degli ordinamenti
giuridici degli Stati membri, si può affermare che la fiscalità europea è
fortemente caratterizzata dal principio di sussidiarietà8.
2.2. I principi a rilievo tributario
La difficile situazione congiunturale che dalla fine del primo
decennio del nuovo secolo ha colpito in maniera persistente i sistemi
economico-sociali occidentali, con le sue pesanti e profonde ricadute
nel contesto dei Paesi europei, non pare tuttavia ancora in grado di
modificare i principi ispiratori e i modelli teorici sui quali si fonda la
costruzione europea e da ultimo la c.d. “Strategia di Lisbona”9,
intimamente correlata con il modello e i principi del libero mercato,
pur concepito in ottica “sociale”.
In tale contesto, il ruolo della fiscalità si connota in modo del tutto
peculiare, in quanto l’obiettivo primario, (addirittura ”istituzionale”
rispetto alla costruzione europea) della liberalizzazione dei mercati e
della concorrenza, garantito nel TFUE dall’art. 26, comma 2, il quale
8 In virtù del principio di sussidiarietà il potere normativo intorno ad una specifica
materia risulta allocarsi al livello di governo che appare maggiormente in grado di
assicurare la valutazione e il soddisfacimento degli interessi della comunità alla qua-
le il potere stesso si rapporta. In base a tale principio generale, che come visto trova
una propria specifica declinazione in ambito tributario, la competenza fiscale
dell’UE può dirsi concorrente rispetto a quella degli Stati membri. 9 In virtù della quale l’obiettivo strategico dell’Unione sarebbe stato quello, peraltro
entro l’ambizioso breve termine dell’anno 2010, di “diventare l’economia basata
sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una
crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore
coesione sociale”, Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, Conclusioni
della Presidenza.
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statuisce che “il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere
interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati”,
(l’enfasi è nostra), ben potrebbe essere ostacolato dalla variabile
fiscale, potenzialmente foriera di distorsioni e impedimenti.
Il principio attorno al quale si incardinano le indicate c.d. “quattro
libertà fondamentali” di circolazione, costituendone a ben vedere
un’estrinsecazione, è il divieto di ogni forma di discriminazione sulla
base della nazionalità.
La precisa nozione di tale principio è ora contenuta nell’art. 18,
comma 1, del TFUE, il quale stabilisce che: “Nel campo di
applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni
particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione
effettuata in base alla nazionalità”.
Nell’ambito delle imposte dirette, che si caratterizza per la
deliberata assenza di uno specifico trasferimento di sovranità statuale
all’Unione europea, si è venuta comunque a creare una limitazione dei
diritti di sovranità degli Stati membri, attraverso la predisposizione di
regole di carattere generale, stabilite a livello primario, proprio in
relazione al generale principio di non discriminazione e alle libertà
fondamentali.
Dunque, sebbene la materia delle imposte dirette rientra nella
competenza esclusiva degli Stati membri, gli stessi sono obbligati ad
esercitare tale prerogativa nel rispetto del diritto dell’Unione10
.
10
La corte di Giustizia a riaffermato costantemente tale principio; cfr., ex multis,
Schumacker, C-277/93 del 14 febbraio 1995, paragrafo 21 e 26.
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Accanto alle regole di principio enunciate in maniera esplicita
nell’ambito del diritto originario, trovano diritto di cittadinanza anche
una serie di principi impliciti che assumono rilevanza ed assurgono al
rango di veri e propri principi generali dell’ordinamento europeo.
Detti principi sono generalmente il precipitato di stratificazioni
giurisprudenziali della Corte di Giustizia europea, le cui logiche di
individuazione sono costituite dalla lettura sistematica in chiave
teleologica dell’ordinamento giuridico complessivo dell’Unione
europea (norme originarie quanto derivate), dall’insieme dei principi
comuni agli ordinamenti interni degli Stati membri, dall’estensione
all’ambito delle relazioni europee di principi elaborati in documenti
normativi di carattere internazionale11
.
L’insieme dei principi generali svolgono la duplice funzione di
limite al potere normativo (derivato) dell’Unione e di regola
d’orientamento interpretativo (in particolare a beneficio dell’attività
giurisprudenziale della Corte di Giustizia.
Tra i principi generali dell’ordinamento dell’Unione europea di
particolare interesse per la materia fiscale appare opportuno indicare:
a) il principio della certezza del diritto;
b) il principio del legittimo affidamento;
c) il principio di effettività;
d) il principio di proporzionalità;
e) l’abuso del diritto
11
Paradigmatico, in tal senso, è il caso dei principi desumibili dalla Carta Europea
dei Diritti dell’Uomo (CEDU), proclamata a Nizza.
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Il principio della certezza del diritto, e quello che si può
considerare ad esso complementare del legittimo affidamento, pur non
trovando una menzione esplicita nelle fonti primarie e secondarie con
riferimento all’ambito fiscale, sono da ritenersi sicuramente
applicabili in tutti i casi di produzione normativa incidente sulla sfera
patrimoniale (e quindi anche e soprattutto all’ambito tributario) di un
cittadino dell’Unione.
Il principio di effettività consiste nel dovere dei singoli Stati
membri di applicare le norme dell’ordinamento europeo e di porre in
essere tutti i comportementi idonei a renderne effettiva l’applicazione
dei principi.
Tale principio trova un suo esplicito fondamento normativo, che
nell’assetto attuale dei Trattati deve rinvenirsi nel TUE, all’art. 4,
comma 312
.
Al principio di effettività, inteso nel generico dovere degli Stati
membri di collaborare all’applicazione effettiva delle norme europe,
deve correlarsi il principio di effettività inteso in senso stretto, quale
necessità che le disposizioni degli ordinamenti interni degli Stati
membri siano tali da non rendere eccessivamente onerosa la tutela,
12
Il quale testualmente statuisce: “In virtù del principio di leale cooperazione,
l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assitono reciprocamente
nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.
Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad
assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti
delle istituizioni dell’Unione.
Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si asten-
gono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli o-
biettivi dell’Unione”.
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anche giurisdizionale, delle situazioni giuridiche soggettive di fonte
europea.
Al principio di effettività deve anche correlarsi il principio di
equivalenza, inteso come necessità che ai cittadini dell’Unione siano
riconosciuti a livello europeo gli stessi strumenti fruibili negli
ordinamenti interni, sia sul piano nominalistico, sia, soprattutto, sul
piano dell’effettiva possibilità di fruizione di tali strumenti.
In materia tributaria il principio di effettività ha trovato
applicazione in particolare nelle fattispecie di indebito tributario
nell’ambito delle tutele volte a garantire l’effettività delle azioni di
ripetizione dei crediti fiscali da parte dei contribuenti, anche attraverso
il superamento delle preclusioni procedimentali sovente presenti negli
ordinamenti nazionali.
Il principio di proporzionalità consiste nella necessità che gli
strumenti giuridici adottati dagli Stati membri per finalità nazionali
siano proporzionali rispetto alle finalità dell’ordinamento europeo.
Pertanto, tale principio si risolve nella valutazione, di norma
operata nell’ambito di un giudizio da parte della Corte di Giustizia,
circa l’idoneità delle norme interne a raggiungere le finalità perseguite
dai Paesi aderenti, senza conculcare in maniera eccessiva, cioè oltre il
necessario, l’interesse dei singoli e le situazioni giuridiche soggettive
garantite dal diritto dell’Unione europea.
Il principio di proporzionalità in ambito tributario costituisce il
presidio di garanzia a che gli obiettivi degli ordinamenti giuridici
nazionali pregiudichino nella msura minore possibile le garanzie e le
finalità proprie dell’Unione europea.
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Una delle pronunce della Corte di Giustizia più significative in
applicazione del principio in argomento che appare opportuno citare
anche per la valenza paradigmatica che riveste, è la sentenza del
11.07.2002, causa C-62/00, Marks & Spencer, che ha ritenuto
incompatibile con l’ordinamento comunitario la normativa domestica
che inibiva al contribuente, società residente in uno Stato membro, la
possibilità di utilizzare le perdite subite da una società controllata
residente in un altro Stato membro13
.
Il concetto di abuso del diritto in ambito europeo trova la sua
genesi in una serie di decisioni della Corte di Giustizia europea nelle
quali si è affermato che la tutela rispetto all’applicazione formale del
diritto dell’Unione europea non può estendersi alle condotte che si
concretizzano in risultati palesemente contrari alle finalità perseguiti
dalle norme, con conseguenti intenti elusivi.
In materia fiscale, la nozione di abuso del diritto ha trovato una
sempre più completa sistemazione nella giurisprudenza europea della
prima decade del nuovo secolo, in particolare con la sentenza che è
considerata il leading case sul tema: la Sentenza del 21.02.2006 causa
C-255/02, Halifax. Con tale sentenza la Corte ha ritenuto legittimo
negare al contribuente il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a
monte, nel caso in cui “Le operazioni che fondano tale diritto
integrano un comportamento abusivo”.
13
In particolare, nel caso in questione, la Corte ha ritenuto che quando le perdite
dell’impresa controllata non dovessero essere più compensabili con esercizi prece-
denti o riportabili a nuovo in esercizi successivi in base alla normativa fiscale dome-
stica, sarebbe sproporzionato impedire la compensazione con gli utili prodotti
dall’impresa controllante residente in altro Paese membro, rispetto alla norma euro-
pea che sancisce il diritto alla libertà di stabilimento.
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In materia di imposte dirette occorre citare la coeva sentenza del
12.09.2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes, con la quale i
giudici europei hanno riconosciuto tutela al principio del divieto di
effetto fiscale restrittivo della libertà di stabilimento a meno che tale
effetto “non riguardi costruzioni di puro artificio destinate ad eludere
l’imposta nazionale normalmente dovuta”.
Volendo enucleare i caratteri qualificanti dell’abuso del diritto
elaborati dalla giurisprudenza dell’Unione europea, potremo indicare:
- la presenza di elementi oggettivi che indicano la mancanza di
una giustificazione economica della fattispecie posta in essere;
- lo scopo elusivo, consistente in un risultato fiscale di vantaggio
altrimenti non previsto sulla base della normativa europea.
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3. Il quadro normativo europeo e la tassazione delle società
In seguito al Trattato di Maastricht il processo di sviluppo
dell’Unione europea quale soggetto rilevante anche dal punto di vista
politico ha avuto un deciso impulso.
Tuttavia, deve evidenziarsi che proprio il livello di integrazione
delle politiche tributarie è quello più limitato.
Infatti, la tassazione rimane uno dei pochi settori della politica
comune europea in cui l'adozione di disposizioni normative è
sottoposta all'unanimità di voto del Consiglio: regola indubbiamente
giustificabile sotto molteplici punti di vista, che, tuttavia, nella pratica
ha reso difficile l'adozione di misure in tale settore.
Sono precisamente gli articoli 11314
e 11415
del TFUE inseriti,
rispettivamente, nel capo II, recante “Disposizioni fiscali”, e nel capo
III, recante “Ravvicinamento delle legislazioni”, a costituire, ad un
tempo, sia elemento procedurale di rallentamento del processo di
14
L’art. 113 del TFUE (ex art. 93 del TCE), inserito nel Titolo VII, recante “Norme
comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni”,
Capo 2, “Disposizioni fiscali”, statuisce: “Il Consiglio, deliberando all’unanimità
secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento
europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano
l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle
imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta
armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento
del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza”. 15
L’art. 115 del TFUE (ex art. 94 del TCE), inserito nel Titolo VII, recante “Norme
comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni”,
Capo 3, “Ravvicinamento delle legislazioni”, statuisce: “Fatto salvo l’articolo 114,
il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa spseciale
e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale,
stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza
diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno”.
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armonizzazione, stante il principio dell’unanimità da essi
espressamente statuito per l’adozione di direttive in campo fiscale, sia
compiuta espressione del concetto stesso di armonizzazione, inteso
quale modalità di superamento dei conflitti intersoggettivi
nell’esercizio polifunzionale dei poteri.
Peraltro, appare anche opportuno evidenziare, per completezza
ricostruttiva ed espositiva, che quello dell’armonizzazione fiscale
appare un concetto tutt’altro che univoco 16
.
La multiforme terminologia adoperata dal Trattato, nel quale
rinveniamo termini come coordinamento, armonizzazione,
16
I tentativi ricostruttivi per addivenire ad una soddisfacente sistematica di termini
quali: "armonizzazione", "ravvicinamento", "coordinamento", "unificazione" – tutti
comunque apparentati, pur in diversa misura, dalla necessità di superare le
contrapposizioni ed i conflitti di competenza fra soggetti e apparati normativi - sono
effettivamente iniziati in tempi relativamente recenti in relazione al nuovo diritto
positivo introdotto con il Trattato istitutivo della CEE.
Le svariate e multiformi opinioni dottrinarie in materia sono essenzialmente
riconducibili a due filoni principali. Da un lato troviamo quella parte della dottrina
che diversifica il concetto di “armonizzazione” da quello di “ravvicinamento”,
attribuendo ad ognuno un distinto significato giuridico (ma anche economico) al di
là della differenza lessicale rilevabile direttamente sul piano normativo (Cfr., per
tutti, UCKMAR, “Progetti e possibili soluzioni dell’armonizzazione fiscale
nell’UE”, Relazione tenuta al Convegno di studi organizzato a Roma il 19 ottobre
1994 dall’ISCONA su: Contributo al progetto di costruzione dell’Unione
Economica e Monetaria. Realtà e prospettive: la posizione dell’Italia, in Diritto e
pratica tributaria, I, 1995.)
Sul versante opposto si posiziona l’orientamento che ritiene, pur con diverse
sfumature, ampiamente sovrapponibili e quindi sostanziailmente equipollenti, i
termini in parola, maxime i termini “armonizzazione”, “ravvicinamento”,
“coordinamento”, nonché tutti gli alri vocaboli analoghi contenuti nel Trattato
istitutivo; (paradigmatica, in proposito, appare l’opinione di PUGLISI,
“Ravvicinamento delle legislazioni”, in PENNACCHINI, MONACO, FERRARI
BRAVO, PUGLISI, Manuale di diritto comunitario, Torino, 1984, I, secondo il
quale i vocaboli contenuti nel Trattato CEE comportano “L’unità sostanziale
dell’istituto nel contesto comunitario nonostante la varietà del lessico adoperat”;
ma cfr. anche RUSSO, CORDEIRO GUERRA, “L’armonizzazione fiscale nella
Comunità europea”, in Rassegna tributaria, I, 1990).
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
19
ravvicinamento, se da un lato non impedisce una sostanziale
assimilabilità teleologica dei concetti ad essi termini sottesi, dall’altro
consente, indubbiamente, l’individuazione di ambiti applicativi
diversi17
.
Al di là delle diverse concezioni dottrinali di armonizzazione
fiscale, non manca neanche chi ritiene addirittura superfluo definire in
maniera univoca un concetto essenzialmente dinamico, la cui
ampiezza ed il cui ritmo dipendono proprio dalle modalità con le quali
si svolge il processo di integrazione economica al quale esso stesso
attiene18
.
Occorre comunque rilevare che il dato normativo è esplicito nel
relegare la portata dell’articolo 113 del TFUE alle sole imposte
indirette (“…imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed
altre imposte indirette,…), dove il ravvicinamento delle imposte
17
Significativa, in tal senso, l’opinione di DRAETTA, in “Commentario CEE”, diretto
da QUADRI, MONACO, TRABUCCHI, Vol. II, Milano, 1965, il quale, pur
considerando l’armonizzazione ed il ravvicinamento contemplati dal Trattato CEE
termini “più o meno analoghi”, entrambi afferenti all’attività normativa dei singoli
Stati, ritiene, tuttavia, che essi si differenzierebbero per il diverso ambito di
applicazione, nonché per la diversa incidenza, in quanto: “la prima opera solo sulle
linee generali della legislazione e tende a smussare le divergenze di maggior
rilievo; il secondo invece si estende anche ai regolamenti e agli atti amministrativi
da una parte, e dall’altra agisce anche sulle singole norme eliminando tutte quelle
difformità capaci di avere un riflesso in campo comunitario e lasciando sussistere
quelle, di minore importanza, che si esauriscono nel campo nazionale, senza che il
Mercato comune abbia a risentirne effetti nocivi”; per questo Autore, quindi,
l’armonizzazione prescritta dall’art. 99 del Trattato CEE sarebbe “un quid minus
rispetto al ravvicinamento cui il Trattato dedica gli artt. 100-102…”. 18
Così QUADRI S., “Armonizzazione fiscale europea”, Giappichelli, Torino, 2003.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
20
dirette sarebbe implicito, per dottrina pressochè unanime, nel disposto
dell’art. 115 del TFUE19
.
Pertanto, appare sufficientemente comprensibile come il quadro
normativo europeo in materia di tassazione dei redditi d’impresa, di
fiscalità relativa alle vicende dei gruppi societari, di trattamento
tributario dei redditi transfrontalieri, si sia sviluppato per gradi, con
l’obiettivo di favorire la cooperazione tra gli Stati membri al fine di
contrastare tutti quei fenomeni, pur diversi, ma comunque
riconducibili ad unità per la capacità di alterare la libera concorrenza
nell’ambito del mercato interno; fenomeni come l’evasione (ed
elusione) fiscale internazionale, la doppia imposizione internazionale,
la concorrenza fiscale dannosa.
Fino agli inizi degli anni Settanta la politica di armonizzazione
fiscale della Comunità europea aveva comunque privilegiato il settore
delle imposte indirette, al fine di accelerare la costruzione
dell’Europa.
L’armonizzazione delle imposte indirette, infatti, è stata perseguita
fattivamente dalle istituzioni comunitarie sul presupposto che le
imposte indirette, in quanto incorporate nel prezzo dei beni e dei
servizi, potessero incidere sugli scambi commerciali degli Stati
membri alterando in modo diretto ed immediato la concorrenza fra le
imprese.
19
L’unico riferimento specifico all'imposizione diretta risultava in passato rinvenibi-
le nell’articolo 293 del TUE (ex art. 220 del Trattato CEE), in base al quale "Gli Sta-
ti membri avvieranno tra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a
favore dei loro cittadini (…) l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'in-
terno della CEE", non è stato riproposto nel TFUE ed è quindi da ritenersi abrogato.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
21
Non a caso, dunque, il nucleo del diritto tributario comunitario
risulta costituito dalle direttive che disciplinano l’imposta sul valore
aggiunto.
In effetti, già dagli anni Sessanta numerosi gruppi di studio della
Commissione hanno cercato di suggerire diverse modalità di
armonizzazione anche in materia di imposte dirette, di tassazione delle
imprese e dei redditi societari in particolare20
.
Sul piano normativo, tuttavia, per molto tempo l’unica direttiva
adottata nel campo dell’imposizione diretta è rimasta la Direttiva n.
77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità
competenti degli Stati membri nel settore delle imposte sul reddito e
sul capitale.
In seguito al mutamento di prospettiva, avvenuto a cavallo degli
anni Novanta, anche in conseguenza della svolta istituzionale
impressa dall’Atto Unico Europeo al processo di integrazione, nonché
al confronto sviluppatosi in relazione alla necessità di realizzare il
mercato unico dei capitali, si è pervenuti all’emanazione di due
direttive ed una convenzione aventi come obiettivo l’introduzione,
relativamente ai gruppi di società di Stati membri diversi, di
disposizioni fiscali neutrali sotto il profilo della concorrenza.
La direttiva n. 90/434/CEE, concerne il regime fiscale comune
applicabile a fusioni, scissioni e conferimenti d’attivo tra le società
stabilite in Stati membri diversi, avente il primario obiettivo di
20
Si può ricordare il “Rapporto Neumark” del 1962, il quale ha il merito di aver
affrontato fra i primi la tematica del regime di tassazione delle imprese europee.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
22
istituire un regime fiscale comune per le operazioni di ristrutturazione
transfrontaliere.
La direttiva n. 90/435/CEE, concerne il regime fiscale comune
applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, volta ad
esentare dalla ritenuta alla fonte gli utili distribuiti da una società
figlia alla sua società madre, al verificarsi di determinate circostanze;
questa direttiva nasce soprattutto con l’intento di stabilire un sistema
idoneo a prevenire la doppia imposizione, sia economica che
giuridica21
.
La Convenzione 90/436/CEE stipulata tra gli Stati membri
(ratificata dall’Italia nel 1993) diretta ad introdurre uno strumento
vincolante, l’arbitrato, a cui ricorrere nel caso in cui le Autorità fiscali
degli Stati membri non siano in grado, entro due anni, di trovare un
accordo per l’eliminazione di una doppia tassazione afferente il prezzo
pagato per transazioni occorse all’interno dello stesso gruppo.
Successivamente, è stato presentato il Rapporto Ruding, del 199222
.
21
La doppia imposizione economica internazionale si ha quando lo stesso reddito
viene tassato due volte in capo a due contribuenti diversi (es. tassazione della società
“figlia” + tassazione del socio società “madre” percettore dei dividendi”) – si evita
esentando dall’imposizione gli utili percepiti oppure tassandoli ma consentendo di
fruire di un credito d’imposta;
La doppia imposizione giuridica internazionale si ha quando due Stati tassano lo
stesso contribuente sullo stesso reddito (es. ritenuta alla fonte sui dividendi da parte
dello Stato della “figlia” + tassazione sul reddito da parte dello Stato della “madre) –
si evita eliminando la ritenuta sia alla fonte sia all’ingresso nello Stato percettore.
In Italia questa direttiva è stata recepita con D.lgs n. 196/1993 che prevede, in sintesi
pratica, che i dividendi distribuiti da società “figlie” residenti in Europa a società
“madri” residenti in Italia non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai
fini Irpeg (oggi IRES) per il 95% del loro ammontare. (Cioè i dividendi in entrata
vengono tassati nella misura del 5%). 22
Il Rapporto Ruding prende il nome del presidente del Comitato di esperti
indipendenti nominato dalla Commissione, il già Ministro delle finanze olandese
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
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23
Tuttavia, gli sviluppi più interessanti si sono avuti a partire dal
1996, quando la Commissione ha impresso, concretamente, una nuova
impostazione alle tematiche relative ai regimi fiscali dei redditi
d’impresa, prendendo in esame gli effetti negativi della mancanza di
coordinamento fiscale e spostando quindi il focus sulla necessità di
ridurre le distorsioni fiscali, sottolineando, in particolare, come
debbano essere evitate tutte le forme di concorrenza fiscale dannosa.
Al riguardo, va menzionato il “Documento sulla fiscalità
nell’Unione europea”, COM(96)487 del 20/03/1996, anche conosciuto
come approvazione della c.d. “Relazione Monti”, contenente una serie
di proposte concrete sull’impostazione di fondo della politica
tributaria, ed indirizzata, in modo particolare, a porre nell’agenda
politica degli Stati membri una serie di misure finalizzate ad eliminare
gli effetti distorsivi della competizione fiscale tra gli Stati della
Comunità.
Sulla base delle innovative indicazioni elaborate dalla
Commissione, il Consiglio dei Ministri delle finanze (ECOFIN), nel
Onno Ruding, incaricato di uno studio specifico sull’armonizzazione fiscale
(ravvicinamento), principalmente indirizzato all’analisi delle problematiche che le
imposte dirette causavano come fattore di distorsione nella concorrenza. Esso appare
significativo perché, pur rinvenendo l’esigenza di un sistema comune di imposta
sulle società soltanto a lungo termine, consentendo così alla Commissione di
rimettere la questione a studi futuri, costituisce tuttavia una tappa fondamentale nel
processo di armonizzazione fiscale dell’Unione, in quanto, sebbene non abbia
comportato applicazioni pratiche immediate, ad esso si deve il merito di aver
contribuito a modificare la concezione del ruolo che assume la competizione fiscale
tra ordinamenti in materia di politica fiscale. Negli anni, infatti, si è sempre più
sviluppata e consolidata la convinzione che detta competizione fiscale non
determina necessariamente, nel lungo periodo, una distribuzione ottimale nei livelli
di tassazione tra i Paesi membri dell’Unione, con conseguenti gravi effetti distorsivi
della libera concorrenza e dell’allocazione degli investimenti.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
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24
corso della riunione tenutasi a Verona nell’aprile dello stesso 1996, ha
istituito un Gruppo ad alto livello, in seguito sostituito dal Gruppo per
le Politiche di Imposizione Fiscale, formato da rappresentanti
personali di alto livello dei Ministri delle finanze, sotto la presidenza
della Commissione, avente lo scopo di discutere le proposte della
Commissione stessa.
Si tratta del c.d. “Gruppo Monti”, perché inizialmente presieduto
appunto da Mario Monti, all’epoca Commissario per gli affari fiscali;
le conclusioni iniziali della Commissione a seguito delle riunioni di
tale gruppo (che comprendeva anche rappresentanti del Parlamento
europeo) sono apparse nell’ottobre 1996 nel documento: “La politica
tributaria nell’Unione europea: relazione sullo sviluppo dei sistemi
tributari”contenute in COM (96) 546.
A seguito di tali discussioni, i Ministri delle Finanze dell’UE hanno
convenuto all’unanimità, il 1° dicembre 1997, di elaborare un
pacchetto di misure che affrontasse la concorrenza fiscale dannosa, ivi
compreso un codice di condotta in materia di tassazione delle imprese,
elementi chiave dell’imposizione fiscale sui risparmi ed un accordo
programmatico sulla necessità di eliminare le ritenute sui pagamenti
transnazionali di interessi e royalties fra società23
.
La concreta attuazione del Codice di condotta è frutto del lavoro
del c.d. “Gruppo Primarolo”, il quale ha individuato in modo specifico
23
Si tratta delle “Conclusioni del Consiglio ECOFIN in materia di politica fiscale”,
conseguente alla citata comunicazione della Commissione intitolata “Un pacchetto
di misure volte a contrastare la concorrenza fiscale dannosa nell’Unione europea”,
[COM (97) 564], (all’insieme di questi progetti di coordinamento si fa spesso
riferimento come al c.d. “pacchetto Monti”).
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
25
quali siano le misure fiscali ritenute dannose per la concorrenza
secondo i criteri stabiliti dal documento del 199724
.
Il codice di condotta, non avendo natura vincolante, ha un ruolo più
politico che normativo (basti pensare che gli Stati membri che
disattendono agli accordi non sarebbero gravati da sanzioni).
In sintesi, perciò, il c.d “Pacchetto Monti” si basava su tre pilastri,
tutti tradottisi in attuazioni concrete: Il Codice di condotta, la Direttiva
2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio (no
ritenuta) e la Direttiva 2003/49/CE, in materia di tassazione di
interessi e canoni (royalties) fra società consociate di Stati membri
diversi (esenti e no ritenuta).
Al fine di completare i lavori in corso sul “pacchetto fiscale” deciso
dai Ministri delle Finanze dell’UE nel 1997, tra il 1999 ed il 2000 il
Consiglio ha chiesto alla Commissione di effettuare uno studio
globale sulla tassazione delle società nell’Unione Europea.
La Commissione ha aderito a tale incarico presentando nel 2001, la
Comunicazione n. 582, del 23 ottobre 2001 (COM(2001)582): “Verso
un mercato interno senza ostacoli fiscali – Strategia per
l’introduzione di una base imponibile consolidata per le attività di
24
Il 9 marzo 1998 il Consiglio ECOFIN, nelle “Conclusioni del Consiglio
riguardanti l’istituzione del gruppo “Codice di condotta” (tassazione delle imprese),
nominava ufficialmente un gruppo di esperti, presieduto dalla signora Dawn
Primarolo, Paymaster General britannica, con il compito di fissare le disposizioni
fiscali alle quali il Codice si poteva applicare; Il Gruppo ha infine preparato un
Rapporto, esaminato dal Consiglio Ecofin del 28 febbraio 2000, nel quale sono
elencate le misure fiscali, vigenti in ciascuno Stato membro, considerate dannose
nella prospettiva della concorrenza fiscale internazionale. Per l'Italia l'unica misura
ritenuta dannosa è stata quella relativa alle agevolazioni concesse alle imprese che
svolgono servizi finanziari e assicurativi nella zona off-shore di Trieste.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
26
dimensione UE delle società”, nella quale, dopo anni di dibattito, essa
ha esternato in modo chiaro la sua posizione, sia su ciò che dovrebbe
essere fatto, sia su ciò che realisticamente può essere fatto, a livello
comunitario, in tema di tassazione dei redditi d’impresa. Tale
Comunicazione, insieme al relativo Working Paper, è stato uno dei
più completi studi comparatistici dei livelli effettivi di tassazione delle
imprese dell’Unione.
Con tale Comunicazione la Commissione ha proposto, in relazione
agli ostacoli fiscali del mercato interno, una strategia su due livelli,
che prevede, da un lato, una serie di provvedimenti mirati di breve
periodo e, dall’altro lato, una strategia globale di medio – lungo
termine, che darebbe la possibilità alle imprese multinazionali di
usufruire di un regime fiscale europeo (opzionale rispetto a quello
nazionale) di determinazione della base imponibile in forma
consolidata per le attività di dimensioni comunitarie.
Nel 2003, la Commissione ha presentato la Comunicazione n. 726
del 24 novembre 2003 (COM (2003) 726) dal titolo “Un mercato
interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle società – risultati,
iniziative in corso e problemi ancora da risolvere”, nella cui
introduzione la Commissione ha ribadito la necessità di una strategia
da attuarsi in due tempi con misure di breve periodo (targeted
measures) e con misure di lungo periodo (comprehensive approach)),
presentando gli sviluppi del programma proposto nel 2001 e fornendo
ulteriori basi di analisi relativi alla realizzazione del programma volto
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
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27
ad introdurre una base imponibile consolidata comune per l’insieme
delle attività svolte dalle società nell’Unione Europea25
.
Tra le misure di breve periodo, in tema di tassazione societaria,
previste in questa comunicazione 726 ed effettivamente realizzate , si
devono ricordare:
- la direttiva 2003/123/CE, che ha modificato la direttiva “madre-
figlia” del 1990;
- la direttiva 2005/19/CE, che ha modificato la direttiva in materia
di fusioni tra società transfrontaliere;
- la comunicazione della Commissione di proposta di un Codice di
condotta in materia di transfer price, per l’attuazione della
Convenzione d’arbitrato del 1990.
Tra le misure ipotizzate di lungo periodo in tema di tassazione
societaria, previste in questa comunicazione 726, si possono ricordare:
- il modello fiscale c.d della Home State taxation, per le PMI, cioè
un metodo di tassazione secondo il regime fiscale del Paese di
residenza.
Si tratta in sostanza, per i gruppi di società europei, di poter
determinare la base imponibile di tutte le società del gruppo in base
alle regole dello Stato di residenza della capogruppo, con applicazione
delle singole aliquote vigenti in ciascun Stato relativamente alla
società ivi residente. La Commissione prevede un progetto pilota solo
per PMI; i vantaggi sarebbero una riduzione dei costi di compliance
(adeguamento).
25
Il testo è rinvenibile in
http:www.europa.eu.int/eurlex/it/com/_cnc_month_2003_11_html.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
28
La creazione di una base imponibile comune a livello UE
(consolidated corporate tax base) sulla base dell’adozione dei principi
contabili degli International Financial Reporting Standard (IFRS),
largamente utilizzati, ed obbligatoriamente da utilizzarsi in ambito UE
dal 2005, a seguito del regolamento (CE) n. 1606/2002 del 19 luglio
2002.
Sistema della c.d. Common consolidated base taxation, volto alla
determinazione di una base imponibile comune per le società che
operano nell’UE, con il meccanismo di ripartizione della stessa tra gli
Stati membri.
Regime fiscale europeo per la Societas Europea, rilevandosi al
riguardo che, senza una normativa fiscale di livello comunitario, lo
stesso status di società europea avrebbe scarsa utilità pratica. Anche
qui si tratterebbe di un progetto pilota per dotare la SE, regolata da un
Regolamento CE del 2001, di una sistema di tassazione speciale
europeo.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
29
4. Il ruolo della giurisprudenza della Corte di Giustizia in
materia di fiscalità diretta.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (spesso definita per
brevità CGE), in tema di ravvicinamento delle legislazioni fiscali,
soprattutto in materia societaria e di imposte dirette, ha assunto un
ruolo progressivamente crescente.
In un contesto europeo caratterizzato da regimi fiscali differenziati
(ancor più con l’Europa “allargata” dei 27 Stati membri!), e con il
potere di interdizione di ciascuno Stato in seno al Consiglio dei
Ministri europeo a causa della regola dell’unanimità in materia fiscale,
l’opera di armonizzazione e ravvicinamento si è realizzata anche
attraverso la c.d integrazione fiscale negativa.
Per integrazione fiscale negativa si intende la disapplicazione di
norme nazionali da parte della Corte di giustizia CE perché ritenute in
contrasto con i Trattati CE; in tal modo si favorisce indirettamente la
convergenza dei sistemi fiscali nazionali verso principi comuni.
L’approccio negativo, naturalmente, appare insufficiente, perché
legato a casi singoli e quindi, necessariamente, tendenzialmente
disorganico e asistematico; tuttavia rimane di grande importanza
perché la giurisprudenza prodotta ha comunque indotto i legislatori
nazionali ad adeguare le norme interne ai principi previsti dal Trattato
CE e richiamati dalla Corte.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
30
In termini generali e descrittivi, la CGE svolge una funzione
propriamente nomofilattica, in quanto il suo ruolo fondamentale è
quello di assicurare l’uniformità interpretativa, da parte degli Stati
membri, del diritto europeo, sia primario che derivato.
Anche con riferimento all’ambito specifico della fiscalità la CGE
ha assunto un ruolo di primaria rilevanza in sede interpretativa delle
fonti.
In termini quantitativi, la maggior parte delle sentenze emesse dalla
CGE negli ultimi decenni ha riguardato le materie dell’IVA, le
imposte indirette, i dazi doganali e i principi generali, mentre
numericamente limitate e percentualmente minoritarie sono state le
decisioni in materia di imposte dirette.
In materia di imposta sul valore aggiunto, tributo a carattere
tipicamente europeo, la CGE ha mostrato una tendenza di tipo
ricognitivo delle norme esistenti, senza particolari ricostruzioni
generali e trasversali di principi generali, applicabili anche ad altri
tributi.
In materia di accise, dazi e diritti doganali la giurisprudenza della
CGE sembra essere stata guidata da un approccio casistico (c.d. case
by case approach), non rinvenendosi particolari filoni teorici in tale
ambito, dovendosi sistematizzare mere fattispecie di dettaglio.
Proprio in materia di imposter dirette, dove come si è detto il
numero di decisioni è stato decisamente minore, il ruolo della
giurisprudenza della CGE è stato, invece, dedisamente “creativo”.
In particolare, la CGE si è soffermata sull’individuazione e
delimitazione dei caratteri definitori nonché sull’ambito di
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
31
applicazione e sulla portata del principio di non discriminazione
fiscale26
.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, si pronuncia
conformemente ai trattati:
a) sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o
da una persona fisica o giuridica (art. 19, comma 3, lett. a, del
TUE);
b) in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali,
sull’interpretazione del diritto dell’Unione o sulla validità de-
gli atti adottati dalle istituzioni (art. 19, comma 3, lett. b, del
TUE);
c) negli altri casi previsti dai trattati (art. 19, comma 3, lett. c,
del TUE);
Con particolare riferimento alle questioni pregiudiziali, gli aspetti
tecnico-processuali sono dettagliati dall’art. 267 del TFUE, il quale al
comma 1, ribadisce che la Corte è competente a pronunciarsi, in via
pregiudiziale:
a) sull’interpretazione dei trattati e
b) sulla validità e sull’interpretazione degli atti compiuti dalle
istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione;
26
La prima sentenza in ordine cronologico della CGE in tema di imposte dirette ha
riconosciuto il divieto di discriminazione a danno dei cittadini stranieri di uno Stato
membro ad opera di una norma nazionale (causa C-270/83, Avoir Fiscal, Sentenza
del 28.01.1986)
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
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32
L’art. 267, comma 2, del TFUE, specifica che quando una
questione pregiudiziale viene sollevata dinanzi ad un organo
giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale
può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una
decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi su
tale questione.
L’art. 267, comma 3, del TFUE, specifica che quando una
questione pregiudiziale viene sollevata in un giudizio pendente
davanti ad un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui
decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto
interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.
La sentenza della CGE ha effetto solo in relazione alle parti in
causa, non potendo incidere direttamente sulla normativa nazionale, la
quale dovrà essere adeguata a cura degli Stati membri.
Negli ultimi quindici anni vi sono state alcune cause e relative
sentenze particolarmente significative nel processo di creazione di un
diritto fiscale europeo27
.
27
A titolo puramente esemplificativo, nell’economia del presente lavoro, possiamo
indicare, ex multis:
- il caso IMPERIAL CHEMICAL INDUSTRY (1998), che ha negato la compatibilità
con il Trattato del regime all’epoca vigente nel Regno Unito del c.d. Consortium
relief , cioè dello sgravio fiscale di gruppo che nella legislazione fiscale inglese ri-
sultava di fatto circoscritto alle sole consociate residenti nel Regno Unito, violan-
do il principio della libera circolazione e libertà di stabilimento negli Stati membri
dell’Unione;
- il caso COMPAGNIE DE SAINT GOBAIN, succursale tedesca di società francese,
che ha inciso sulla riforma del diritto tributario tedesco del 2000, con particolare
riguardo al regime di participation exemption; in sostanza la Corte ha stabilito che
il diritto tributario tedesco (ante riforma) violava il Trattato (artt. 52 e 58, ora 43 e
48) stabilendo che una stabile organizzazione in Germania di una società francese
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
33
5. Gli approcci c.d. “comprehensive” alla tassazione delle società
in Europa.
L’attuale coesistenza di ventisette sistemi diversi di tassazione delle
imprese all’interno dell’UE comporta per gli operatori economici, tra i
principali inconvenienti, costi supplementari di conformità alle norme
e offre scarse possibilità di compensazione transfrontaliera delle
perdite28
.
Al riguardo, nell’ambito delle azioni coordinate volte al
raggiungimento di un’effettiva armonizzazione dei differenti sistemi
fiscali europei attraverso il superamento dei disallineamenti
non poteva godere delle stesse agevolazioni fiscali sulla tassazione dei dividendi
in entrata delle società residenti in Germania.
- Il caso LANKHORST – HOHORST (2002), in materia di norme interne antielusive
sulla sottocapitalizzazione vigenti in Germania nel periodo 1996-1998, per viola-
zione della libertà di stabilimento; la normativa antielusiva riqualificava gli inte-
ressi passivi pagati dalla partecipata tedesca alla capogruppo olandese come divi-
dendi, applicando ad essi una ritenuta ma non riconosceva il diritto al credito
d’imposta come invece faceva per le società tedesche.
- Il caso BOSAL HOLDING BV (2003), in materia di participation exemption nel
regime fiscale olandese, simile al caso “Compagnie de Saint Gobain”.
28
Secondo la Commissione “Una simile situazione non dovrebbe sussistere in un
autentico mercato unico. Mentre nelle loro attività commerciali (ricerca,
produzione, scorte, vendite, ecc.), le aziende tendono sempre più a trattare l’UE
come un unico mercato, esse sono obbligate, unicamente a fini fiscali, a dividerlo in
mercati nazionali.
Le norme sulla tassazione delle imprese trattano le attività transfrontaliere
all’interno dell’UE in modo differente e spesso meno favorevole rispetto alle attività
prettamente nazionali. Ciò induce le aziende ad investire a livello nazionale e
scoraggia la partecipazione in aziende straniere o l’apertura di filiali all’estero.
Allo stesso tempo, le incoerenze tra i sistemi nazionali offrono possibilità di elusione
fiscale”, COM(2005) 532, Attuazione del programma comunitario di Lisbona, pag.
4.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
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34
ordinamentali, accanto ad interventi di breve termine29
, la politica
della Commissione ha preso in considerazione alcuni approcci di
lungo periodo, c.d. “comprehensive”, alla tassazione delle imprese
comunitarie fin dal 200130
, confermati nel 200331
e che si risolvono,
pur nella estrema variabilità dei meccanismi applicativi, in altrettanti
metodi di consolidamento degli imponibili delle imprese con attività
transfrontaliere nell’area europea.
I modelli ipotizzati sono:
- l’European Corporate Incom Tax (EUCIT);
- l’Home State Taxation (HST);
- il Common (Consolidated) Base Taxation (CCBT) e
- il Single Compulsory “Harmonised Tax Base”.
Il primo dei modelli proposti, in acronimo EUCIT, è forse quello
più ambizioso e foriero, ove si volesse effettivamente adottarlo, di
modifiche profonde nelle dinamiche fiscali dei Paesi dell’Unione, con
ripercussioni significative sulla stessa sovranità nazionale dei singoli
Stati membri.
Tecnicamente, l’European Corporate Incom Tax postula
l’adozione nell’area dell’Europa comunitaria di un’unica imposta sui
redditi consolidati delle società multinazionali, da realizzarsi mediante
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Tra le misure e le iniziative legislative adottate a livello comunitario dirette a
rimuovere, nel breve periodo, specifici ostacoli fiscali allo svolgimento delle attività
delle imprese transfrontaliere, si possono annoverare la tassazione dei dividendi,
degli interessi, delle royalties, dei redditi da risparmio, la tassazione delle
riorganizzazioni cross-border, le misure in materia di compensazione
transfrontaliera delle perdite, gli interventi in materia di tranfer price. 30
Commissione, COM(2001) 582 e SEC(2001) 1681. 31
Commissione, COM(2003) 726.
L’imposizione dei redditi societari nel quadro dell’Unione Europea
A.A. 2011-2012
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la definizione di una sola base imponibile, di aliquote comuni e di
regole contabili uniformi.
Tutti gli approcci comprehensive, comunque, non sembrano, al
momento, destinati ad una probabile attuazione, a causa delle molte
difficoltà, di ordine sia tecnico che politico, che si frappongono ad una
loro adozione condivisa da parte tutti gli Stati membri.
6. Le condotte fiscali dannose in ambito OCSE.
Il fenomeno della concorrenza fiscale c.d. “dannosa” è stato avver-
tito – quasi parallelamente - sia in sede europea che in sede OCSE32
,
come elemento di ostacolo allo sviluppo economico europeo e mon-
diale, anche se in ambito europeo il problema dei possibili effetti di-
storsivi della tassazione si interseca con quello più generale della ne-
cessità di armonizzazione delle imposte dirette.
L’OCSE, nel 1998, ha pubblicato un Rapporto, intitolato “Har-
mful Tax Competition: an emerging global issue” che illustra un pia-
no di misure atto a scongiurare gli effetti distorsivi della concorrenza
fiscale dannosa sugli investimenti, sulla pianificazione fiscale e sulle
basi imponibili dei vari sistemi fiscali33
.
32
L’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, fu creata
a Parigi nel 1960 e comprende attualmente 30 Paesi. 33
Appare significativo che tale rapporto non è stato approvato da Lussemburgo e
Svizzera che lo hanno ritenuto “parziale ed esagerato”.
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I regimi fiscali potenzialmente dannosi individuati dall’OCSE sono
riconducibili alle categorie dei c.d. Paradisi fiscali (tax havens) e dei
Regimi fiscali privilegiati.
Per contrastarli, il Rapporto ha dettato una serie di misure, ricondu-
cibili a due categorie:
1) Modifiche alle legislazioni nazionali, quali:
- introduzione di norme antielusive, come quelle sulle c.d. Con-
trolled foreign companies;
- introduzione di regimi di Participation excemption sui divi-
dendi;
- introduzione di procedure di Tax Ruling (interpello)
2) Coperazione internazionale:
- Pubblicazione delle linee guida dell’OCSE in materia di
Transfer pricing, già elaborate nel Rapporto del 1995 dal titolo
“Transfer pricing for multinational enterprises and Tax Admi-
nistrations”.