Top Banner
Dipartimento di studi Umanistici Corso di Laurea in Storia Tesi di Laurea L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Relatore Ch. Prof. Marco Fincardi Laureando Alessandro Catto Matricola 838947 Anno Accademico 2013 / 2014
92

L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

Mar 20, 2023

Download

Documents

Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

Dipartimento di studi Umanistici Corso di Laurea in Storia Tesi di Laurea L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Relatore Ch. Prof. Marco Fincardi Laureando Alessandro Catto Matricola 838947 Anno Accademico 2013 / 2014

Page 2: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

1

Sommario

INTRODUZIONE pag. 2

CAPITOLO 1, Praterie in fiamme: focolai internazionali di lotta armata pag. 4

I) I Tupamaros e l’Uruguay pag. 4

II) Stati Uniti: potere nero, supporto bianco: tra il Black Panthers Party e i Weather Underground pag. 15

CAPITOLO 2, Giangiacomo Feltrinelli: editore guerrigliero, editore antifascista pag. 30

I) La casa editrice Feltrinelli, divulgazione e rivoluzione pag. 31

II) Feltrinelli e il caso sardo: i Vietnam nel mondo e le Cuba del Mediterraneo pag. 33

III) Feltrinelli e l’Italia, fascistizzazione dello stato, golpe, timori pag. 35

IV) La militanza di Feltrinelli: i GAP e la nuova Resistenza pag. 38

CAPITOLO 3, La guerra a casa, contestazione e radicalizzazione dello scontro in Italia pag. 46

I) Rumore di sciabole, tra golpe e Resistenza pag. 49

II) La giustificazione della violenza pag. 54

III)Il ruolo delle riviste e dell’azione nelle fabbriche pag. 56

IV) L’antifascismo non finisce pag. 60

V) la lotta armata su grande schermo: rappresentazione e autorappresentazione della sinistra radicale pag.61

VI) Musiche, inni, ballate: le note rivoluzionarie pag. 64

VII) L’ideologia della Resistenza: il caso della Volante Rossa pag. 67

CAPITOLO 4, la lotta armata in Italia, le Brigate Rosse pag. 71

I) Nascita e sviluppo di un gruppo armato in Italia pag. 71

II) Brigate Rosse, affinità nell’ideologia e nell’azione con gruppi esteri pag. 77

III) Divergenze delle Brigate Rosse con i sistemi di guerriglia internazionali e sudamericani pag. 80

IV) L’analisi di un militante: la storia di Prospero Gallinari pag. 82

CONCLUSIONI pag. 87

APPENDICE FOTOGRAFICA pag. 89

BIBLIOGRAFIA pag. 91

Page 3: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

2

Introduzione

“Una storia a parte”. In questi termini Rossana Rossanda, nella sua prefazione al testo di Mario

Moretti sulla storia delle Brigate Rosse, racchiude la vicenda politico-militare di uno dei gruppi

più attivi e letali della storia della Repubblica Italiana. Un gruppo che alla fine del suo ciclo

conterà quasi 90 vittime tra agenti di polizia, carabinieri, magistrati, operai, docenti universitari e

uomini politici1.

“Le Brigate Rosse nascono dentro una speranza, si sentono immerse in un movimento di operai, alto e più grande di loro

[…]Non sono simili alle guerriglie latino-americane, che pure evocano senza troppo conoscerle. Quando le prime Brigate Rosse si

formano, con Ernesto Guevara è morta la guerriglia in Bolivia, e Cuba ha cambiato strategia nel subcontinente. Resta un'aura, la

Sierra, i Mir, i favolosi Tupamaros. Ma, come Cuba, tutte quelle guerriglie si formano contro una dittatura di destra e su un

programma nazionale-democratico. Le Brigate Rosse si sentono classiste, operaie, comuniste. Non sono simili alle partigiane

Brigate Garibaldi che pure vagheggiano come loro antecessori, e assai parzialmente soltanto a quel breve frammento che è la

cosiddetta Resistenza rossa. Il Partito comunista che rinasce, e al Nord si batte con le armi contro tedeschi e fascisti, fa una guerra

di liberazione, non ha un'ipotesi insurrezionale”.2

Considerazioni condivisibili, dati i modi in cui si esplica l’azione brigatista è senz’altro corretto

parlare di modalità singolari, specifiche e caratterizzate su quella che è l’esperienza in città come

Milano, Genova e Torino, in un paese come l’Italia.

Tuttavia, come la fondatrice de “Il Manifesto” fa notare, le BR nascono dentro una speranza. Ed è

proprio da questa speranza che l’analisi di questo testo prende le mosse. La speranza di un

mondo, quello a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, che è trasversale rispetto a

numerosi gruppi, armati e non, insurrezionali, politici, giornalistici, di opinione, che credono in

un’altra idea di società e di gestione politica. Si va dai “leggendari” (ma non troppo) Tupamaros,

passando per la Rivoluzione cubana, l’Indipendenza Algerina e le guerre di liberazione in Guinea

e Angola, il Vietnam, il fermento negli USA, tutti eventi strettamente collegati e in grado di

contaminarsi, di fare da esempio, da sponda, da ideale. E’ anche questa la speranza da cui

nascono numerosi movimenti di contestazione, pure in Italia, che seppur come paese è

certamente in grado di produrre una propria protesta, una “via italiana alla contestazione”, è

altrettanto sicuramente un porto di arrivo e partenza per numerosissimi stimoli politici. Le BR di

questi stimoli, specialmente sul piano delle ideologie, sono coscienti e ne fanno ampio utilizzo, sia

dal punto di vista della legittimazione storica, sia dal punto di vista della propaganda armata. Una

“lettura comparativa”3 è da anni utilizzata per analizzare i movimenti del ’68 in Europa, ed è

auspicabile anche nell’analisi delle derive (o delle prosecuzioni) armate che da quell’anno

prendono le mosse. Così come il Sessantotto, partendo dagli USA, ha fatto giungere fin

nell’Europa la sua onda lunga, così i suoi esiti sono stati largamente importanti nella presa di

coscienza che intere generazioni hanno potuto avviare in quegli anni, e nella risposta che a molti

avvenimenti si è cercato di dare, su piani anche molto diversi, dall’attivismo politico legale alla

lotta armata. Il Sessantotto come evento fondante della protesta studentesca anche in Italia, con

l’occupazione delle università di Trento e Pisa, il Sessantanove come prosecuzione sul piano

operaio e industriale della contestazione degli studenti, poi il drammatico culmine della bomba di

Piazza Fontana, l’acme dello scontro, il punto di non ritorno in una radicalizzazione fatta di

1 S. Zavoli, La notte della Repubblica, Roma, Arnoldo Mondadori Editore, 1992 pp.476-477 2 M. Moretti, Brigate Rosse, una storia italiana, Milano, Anabasi, 1994 p.14 3 S. Neri Serneri, Verso la lotta armata, Bologna, Il Mulino, 2012 p.96

Page 4: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

3

violenza, attacchi e reazioni, paranoie e ansie, domande di cambiamento.4 Certo, nel caso italiano

vi è un grande unicum che in altri stati, specialmente europei, non è presente. Questo caso è

proprio Piazza Fontana. Ma i modi di interpretarlo, di reagirvi e finanche di giungervi, a questo

caso, sono riscontrabili e rileggibili in molte altre esperienze di cui daremo conto nel testo.

E’ quindi bene iniziare questo viaggio studiando la situazione internazionale a partire dagli anni

Cinquanta e Sessanta, proseguendo poi attraverso ciò che in Italia arriva di queste esperienze, e

come il tutto è stato interpretato e riutilizzato, analizzando vicende storiche e biografiche di

personaggi chiave, personaggi che di quegli anni hanno introiettato speranze, ansie e timori,

leggendoli attraverso vicende del tutto particolari e personali. Personaggi come Gian Giacomo

Feltrinelli, “l’editore-guerrigliero”, o Prospero Gallinari, il ragazzo dell’appartamento che dalla

campagna reggiana intraprende il viaggio verso la grande metropoli del nord, Milano, saggiandone

in prima persona la carica di alienazione e rabbia. Utile è anche il confrontarsi con quelli che, più

di molti altri fattori, diventano dei “megafoni di massa”, ovvero i linguaggi del cinema, degli inni

e delle canzoni popolari, degli slogan che nei cortei di quegli anni si cantano con stati d’animo

molto diversi tra loro. Analizzeremo, valorizzando pure l’idea di “unicità italiana”, quelli che

possono essere stati i bacini tutti nazionali dai quali le Brigate Rosse e altri gruppi armati hanno

attinto per rafforzare la propria immagine pedagogico - rivendicativa, un percorso non facile, ma

lungo il quale si intravedono dei collegamenti, che gli uomini che per primi hanno costituito l’asse

portante della lotta armata in Italia possono aver ricercato. Per evitare, tuttavia, di dilatare questa

indagine in uno spazio temporale troppo ampio, si è deciso di analizzare, per quanto riguarda le

Brigate Rosse, le fasi iniziali della loro azione di lotta armata, quelle che principalmente vanno

dalla fine degli anni Sessanta alla prima metà degli anni Settanta, con l’eccezione di un accenno al

caso di Aldo Moro, azione fondamentale nella storia del gruppo armato che meritava di essere

trattata e comparata con altre.

4 G. Galli, Storia del partito armato 1968-1982, Milano, Rizzoli, 1986 p.6

Page 5: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

4

Capitolo 1, Praterie in fiamme: focolai internazionali di lotta armata

Sul finire degli anni Cinquanta del Novecento, la politica di ingerenza nel continente americano

perseguita dagli Stati Uniti fin dai tempi della Dottrina Monroe subisce un brusco contrattempo.

Nel 1959 infatti il regime filo-statunitense di Fulgencio Batista viene rovesciato dalla Rivoluzione

guidata da Fidel Castro ed Ernesto Guevara. Un episodio molto importante per gli equilibri del

continente americano, che porterà negli anni immediatamente successivi alla costruzione e alla

difesa di un bastione rivoluzionario a pochi chilometri dalla costa statunitense. Il valore simbolico

di questa vittoria per i fronti di liberazione nazionale è confermata dal ruolo di “faro” che la

rivoluzione stessa ricoprirà per moltissimi movimenti guerriglieri e per gruppi interessati

all’”importazione della Rivoluzione” a casa propria. A Cuba, negli anni immediatamente

successivi alla presa di potere di Fidel Castro, vi è un andirivieni di rivoluzionari e guerriglieri ma

anche solo di politici affini o simpatizzanti, che oltre a portare omaggio al nuovo corso dell’isola,

provano a saldare contatti, ottenere appoggi, imparare. E’ il caso, ad esempio, di Giangiacomo

Feltrinelli, che a Cuba avrà l’occasione di studiare da vicino Fidel Castro, cercando anche di

pubblicare le sue Memorie 5 e di ripensare alla possibilità di importare la rivoluzione cubana e le

sue tattiche, o parti di esse, in Italia, come vedremo più avanti.

Cuba sarà esempio, nel continente americano, da Nord a Sud, per personaggi di primo piano

come Raul Sendic, leader storico del movimento tupamaro, che nel 1960 troviamo nell’isola

caraibica; per gruppi come i Black Panthers, anch’essi a Cuba nel 1968.6 Sarà un vero e proprio

faro per il terzomondismo anti imperialista dei Weather Underground, che nel loro manifesto,

“Praterie in fiamme”, rivendicano con grande importanza il ruolo della Rivoluzione Cubana come

esempio di ribellione all’imperialismo degli States.7

I) I Tupamaros e l’Uruguay

Parlando dell’America Latina e del rapporto che da decenni, se non da secoli, la lega a doppio filo

alle vicende e agli interessi economici degli Stati Uniti, si può partire analizzando il caso della

guerriglia tupamara, con la nascita e la crescita di un gruppo guerrigliero la cui eco e la cui

immagine avranno larga importanza anche nella messa a punto delle ideologie e delle tattiche di

guerriglia urbana in Europa e nel resto del mondo.

In Uruguay, infatti, dopo una fase di grande prosperità economica che culmina con la guerra di

Corea, dal 1954 l’aumento delle esportazioni di lana e bestiame con una conseguente diminuzione

dei prezzi sul mercato, la grande febbre speculativa che investe il paese sudamericano dal 1961 al

1967, il forte indebitamento, la penetrazione di capitale straniero sotto forma di istituti bancari

privati, la differenza tra un ceto di possidenti che continua a fare affari grazie ad un continuo

avvicinamento alle leve dell’economia statale, e un proletariato costretto a fare sacrifici per

supportare politiche sempre più inflazionistiche, rendono la situazione economica del paese da

florida a sempre più difficile, su un crinale di crisi economica senza precedenti.

In questo clima già economicamente difficile, l’infiltrazione di capitale americano diventa sempre

più forte, e sempre più forte diventa anche il controllo e il tentativo di direzione finanziaria che i

grandi gruppi economici statunitensi effettuano nel paese sudamericano; capita così che un

grande gruppo finanziario americano come la Chase Manhattan si ritrovi a controllare sia il Banco

5 A. Grandi, Giangiacomo Feltrinelli, la dinastia, il rivoluzionario, Milano, Baldini&Castoldi, 2000 p.295 6 G. Marine, Storia delle Pantere Nere, Milano, Rizzoli, 1971 p.49 7 Weathermen Prateria in fiamme, Milano, Collettivo editoriale Librirossi, 1977, p.155

Page 6: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

5

Popular che il Banco Comercial uruguagi. Sotto stretto controllo americano sono anche la

stampa, con l’azione dello statunitense USIS (United States Information Service) che rifornisce i

giornali locali di informazione vagliata secondo l’interesse dei trusts americani che controllano la

finanza del paese. Capillare è pure la presenza militare statunitense, con CIA, USAID (Agency for

Internazional Development) ed FBI stabilmente presenti nel coordinamento delle forze

dell’ordine nazionali.8

In questa situazione, il partito Blanco, espressione dei ceti possidenti, e quello Colorado, espressione

dei lavoratori salariati, si contendono il governo in una situazione di crisi anche politica ed

istituzionale, che coinvolge l’assetto costituzionale dello stato.9 La proletarizzazione della classe

media riduce sempre più quella parte di popolazione che, grazie al benessere economico dei

decenni precedenti, era riuscita a guadagnarsi delle condizioni di vita molto buone, ora non più

possibili per colpa della cattiva situazione economica del paese. Particolare peso in questo settore

di “nuovi proletari” hanno gli impiegati bancari, che giocano un ruolo non secondario nelle

vicende dell’Uruguay e del Fronte della Sinistra.10

Il nome del nascente movimento Tupamaro offre già la possibilità di analizzare l’opera di

rievocazione storica che numerosi gruppi di guerriglia effettueranno in funzione legittimante;

Tupamaros è infatti un nome derivante dai partigiani di Tupac Amaru, che assieme al generale

Artigas nel 1811 presero le armi per liberare l’Uruguay dal giogo del colonialismo spagnolo.11

Giustizia sociale, libertà, coesistenza delle razze; un programma che aveva permesso ad Artigas e

ai suoi seguaci di raccogliere attorno a sé un vasto movimento di appoggio, che dopo svariate

battaglie ed alterne fortune, tra cui l’esilio dello stesso Artigas in Paraguay, otterrà l’Indipendenza

nazionale nel 1828.

L’esempio di Artigas e della guerra di liberazione ottocentesca gioca un ruolo fondamentale in

quella che è la vicenda dei più recenti Tupamaros, quelli nati dall’esperienza di Raul Sendic, in un

Uruguay diverso, passato attraverso le esperienze del Battlismo e del benessere economico che

caratterizzerà il paese fino agli anni ’30 del ‘900, facendone la “Svizzera dell’America Latina”.

Un parallelo tra Imperialismo spagnolo ieri e americano oggi, tra la volontà di assoggettamento da

parte di vicini potenti e il desiderio di indipendenza, offrono un appiglio affascinante tra la storia

remota del paese e gli avvenimenti che toccano l’Uruguay negli anni della comparsa del Fronte di

Liberazione della Sinistra, chiamato, non a caso, FIDEL.

Un richiamo che può rimandare, per certi versi, al peso che per un cittadino italiano assume la

vicenda storica della Resistenza, esplicato anche con numerose scritte e motti popolari sui muri

delle abitazioni dell’Uruguay (Ad esempio “con FIDEL Artigas tornerà”). Vi è quindi un chiaro

esempio di come la storia passata di un paese, e in particolar modo l’episodio della sua

liberazione, possa divenire materia di legittimazione storica per un gruppo, come quello

Tupamaro, che della liberazione vuole fare un suo cavallo di battaglia, esplicando chiaramente la

propria volontà di condurre una seconda guerra di indipendenza, questa volta contro il dominio

imperialista e finanziario americano.12

Da una famiglia di medi proprietari terrieri nasce Raul Sendic, fondatore e dirigente del

Movimento di Liberazione Nazionale. Agisce come organizzatore del proletariato rurale per

8 A. Labrousse, I Tupamaros, la guerriglia urbana in Uruguay, Milano, Giangiacomo Feltrinelli editore, 1971 pp. 133-141 9 Ibidem, p.27 10 Ibidem, p.170 11 Ibidem, p.9 12 Ibidem, p.13

Page 7: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

6

coordinare i braccianti agricoli (in particolar modo i tagliatori di canna da zucchero) nella parte

settentrionale del paese. Le condizioni di vita di questi lavoratori sono spesso deteriori,

condizionate anche dal controllo di una polizia spesso al soldo dei proprietari. Il percorso di

mobilitazione di Sendic comincia con un suo pieno adeguamento alle condizioni di vita dei

caneros, diventa anch’esso un peludo, un nullatenente, e si mescola agli uomini che intende

difendere. L’organizzazione di marce e dimostrazioni sindacali, tuttavia, dimostreranno a Sendic e

ai tagliatori che ottenere il riconoscimento di rivendicazioni salariali e lavorative attraverso metodi

pacifici è cosa assai dura, in un paese, come l’Uruguay, che vive una situazione di profonda crisi

della classe operaia. Violenti scontri, anzi, si hanno con rappresentanti della Confederazione

Sindacale dell’Uruguay, con colpi d’arma da fuoco e l’uccisione di un passante, durante una

manifestazione. Anche la sinistra politica e l’Unione Popolare sconfessano le manifestazioni di

Sendic e, sul piano elettorale, collezionano fiaschi e sconfitte. Tutto ciò contribuisce a sviluppare

una idea che farà da filo rosso per l’azione e l’ideologia non solo dei Tupamaros, ma anche di altri

gruppi guerriglieri e movimenti che analizzeremo in questo testo: la convinzione cioè che con

metodi pacifici, di contrattazione politica, di manifestazione non violenta è sostanzialmente

impossibile ottenere dei risultati pratici per migliorare la vita del proletariato; il percorso

istituzionale cioè è viziato da interessi che mai permetteranno alle masse proletarie di ottenere ciò

che rivendicano.13

Sendic avvia così il percorso di nascita di una cellula clandestina di guerriglia, in vista di una

rivoluzione armata. Cellula che nasce rivolgendosi in due direzioni; quella di un metodo di

rivendicazione efficace, e quello di una autodifesa, dalle immancabili reazioni del capitale e dei

suoi centri terminali, collocati ben al di dentro dell’organizzazione statale. Del 1963 è la prima

azione contro una armeria, mentre inizia già dall’anno prima l’opera di convincimento nei

confronti della popolazione, con il caso simbolo di un camion di trasporto di pollame e tacchini

attaccato nella notte del 24 dicembre 1962, con la distribuzione ad abitanti di una bidonville del

carico, distribuzione accompagnata da volantini di rivendicazione, con l’invito a formare dei

comitati di lotta contro la disoccupazione e il rincaro dei prezzi. Un modus operandi che si

risconterà spesso nell’azione tupamara, un modo di accattivarsi la simpatia della popolazione

grazie ad una redistribuzione violenta dei beni destinati al mercato, tramite l’assalto di grandi

magazzini e mezzi di trasporto degli stessi. L’azione di volantinaggio accompagna l’azione di

sabotaggio, metodo operativo riscontrabile anche nel comportamento delle prime Brigate Rosse e

delle loro cellule nelle fabbriche italiane.

Similitudini con quello che sarà il modo di agire brigatista si riscontrano anche

nell’organizzazione tattica del nucleo tupamaro degli esordi; alla base vi sono le reclute, al di

sopra di esse delle cellule composte da un numero ristretto di persone, di cui solo i capi sono in

comunicazione tra loro, il tutto terminante con un comando politico-militare. Una stretta

irreggimentazione, con l’adozione di soprannomi.14 Anche nella scelta tattica del tipo di guerriglia

da intraprendere, il MLN (Movimento di Liberazione Nazionale) guarda nella storia a quelli che

sono veri e propri esempi di lotta armata di liberazione, vale a dire la Resistenza francese contro i

nazisti, la guerra di liberazione algerina, la lotta degli ebrei contro gli inglesi, favorendo la

guerriglia metropolitana a scapito della guerriglia rurale. In un paese in cui la maggior parte degli

abitanti si trovano in città come Montevideo e Salto, il focolaio di guerriglia va fatto scoppiare e

13 A. Labrousse, Op. Cit. p.35 14 Ibidem, p.45

Page 8: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

7

mantenuto nelle città, città che il guerrigliero deve conoscere “intimamente”, muovendosi in essa

come le migliaia di persone che la popolano.

Le direttive dei dirigenti tupamaros aiutano a raccogliere quelli che sono i fondamenti ideologici e

strategici del MLN. Emerge l’importanza della sistematica violazione, da parte dei guerriglieri,

della legalità borghese, che crea i presupposti, nella popolazione, per far intraprendere la via della

presa di potere rivoluzionaria. L’azione rivoluzionaria serve quindi a generare una coscienza

rivoluzionaria nella popolazione, è anch’essa un fenomeno di avanguardia. Viene confermata

quella che per il popolo è l’unica via utile ad ottenere miglioramenti per la propria condizione a

scapito del “regime”, ovvero la via rivoluzionaria, una via diretta, pratica, vicina, a differenza della

via parlamentare, fatta di promesse non mantenute. La lotta armata è il primo passo per la

creazione di un movimento di massa. Si riprendono i casi di Cuba e il caso cinese, e si da una

propria interpretazione rispetto al ruolo del militante. Anche se un militante non opera

direttamente per la lotta armata, deve sapere che il suo lavoro tra le masse culminerà con lo

scoppio della lotta armata, e in quel giorno il vero militante non dovrà rimanere a casa a “vedere

come si mettono le cose”, ma dovrà prendere parte alla rivoluzione, preparandovisi fin d’ora.

Anche il sindacato va portato ad una fase più avanzata della lotta di classe, e bisogna curare i

rapporti con tutti i movimenti popolari che appoggiano la lotta. Si parla anche dei rapporti che

l’organizzazione militare deve avere con i partiti della sinistra, e in questo caso i tupamaros

rivendicano la possibilità del movimento armato di non aderire ad alcun movimento.

“Bisogna combattere l’idea del partito ristretto che è attualmente di moda, e per cui esso consisterebbe in una sede, delle riunioni,

in un giornale e delle prese di posizione nei confronti di ciò che lo circonda. Il conformismo, per il partito, consiste nell’aspettare

che gli altri partiti di sinistra si lascino convincere dai suoi discorsi, e decidano di dissolversi, e che le loro basi, e il popolo in

generale, vengano da lui.”15

“Con partito o senza partito, la rivoluzione non può aspettare”. Questa frase di Fidel Castro,

assieme al brano sopra riportato, racchiude bene l’idea di lotta armata dei Tupamaros, il tentativo

cioè di raccogliere le istanze veramente rivoluzionarie della sinistra, e di metterle a disposizione di

un movimento di lotta armata capace di far intraprendere al paese una via rivoluzionaria. Vi è

anche la convinzione, nell’azione del MLN, che le forze armate del paese siano scarse, mal armate

e mal equipaggiate, un esercito di appena 12.000 persone, che ne fanno “uno degli apparati

repressivi più deboli del continente”.

Anche l’Uruguay, e i suoi guerriglieri, riprendono l’insegnamento di Guevara e si adoperano per

la creazione di “molti Vietnam”. Non spaventa la possibile occupazione straniera dei vicini, e

nemmeno quella degli Stati Uniti. Se essa infatti può, nell’immediato, contribuire ad una sconfitta

militare, può instillare nell’animo della popolazione l’avversità per l’occupazione straniera del

proprio paese, può ferire il proprio orgoglio nazionale. Ecco che i Tupamaros sono capaci,

riprendendo efficacemente la tradizione di movimento di liberazione, di far propri sentimenti

nazional-popolari in calcoli di lungo termine; non è mai lasciata in secondo piano la dimensione

di liberazione nazionale, a scapito di interessi esteri. Un movimento armato capace di portare la

guerra a casa propria, ma adattandola alle condizioni del proprio paese, condizioni geografiche,

economiche e politiche, nell’interesse di tutto il popolo Uruguayano. Una volontà che poi si

esplica anche nell’unificazione della lotta con altri movimenti nel continente;16 nell’anniversario

della rivoluzione cubana infatti, si nota come Fidel Castro citi il movimento Tupamaro, assieme al

15 A. Labrousse, Op. Cit. p.55 16 Ibidem, p.60

Page 9: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

8

movimento rivoluzionario brasiliano e all’esercito di liberazione brasiliano. I Tupamaros fanno

quindi parte di un largo fronte, continentale ed extracontinentale, che aderendo ai principi della

rivoluzione cubana, si adopera affinché essa possa essere seguita anche in altri paesi, affrancando

le nazioni sudamericane dal giogo di potentati stranieri, e dai loro interessi.17 Un legame, quello

con Cuba, che si rafforza se si pensa che Che Guevara stesso sarebbe stato in Uruguay poco

prima della sua morte, sotto il falso nome di Adolfo Mena. Guevara in Uruguay avrebbe potuto

trovare diversi esuli di altri paesi sudamericani, ma soprattutto tastare di persona come procedeva,

in quel piccolo paese sudamericano, la costruzione dei “tanti Vietnam”, per la quale il condottiero

avrebbe poi sacrificato la sua stessa vita.

Un elemento utile a valutare l’azione dei Tupamaros viene dall’azione effettuata dal movimento

guerrigliero contro le malversazioni e le truffe della società “Monty”. I Tupamaros, dopo aver

comunicato di aver rubato sei milioni di pesos alla società in questione, comunicano di stare

studiando i suoi libri contabili, le cui fotocopie verranno anche consegnate alla stampa. I

Tupamaros avviano così una propria “indagine” che fa emergere casi di malversazione, di

speculazione finanziaria, di prestiti a tassi esorbitanti. Molti membri del governo, o persone vicine

al presidente uruguagio Pacheco, finiscono coinvolti in uno scandalo senza precedenti, in cui le

accuse dei Tupamaros vengono confermate anche dalla Commissione d’Inchiesta parlamentare.

Si parla di frodi di decine di milioni di dollari, che i guerriglieri sono riusciti a far emergere. E’

facile pensare al risultato in termini di appoggio popolare che i Tupamaros riescono ad ottenere

svelando le trame oscure del potere, “denudando il Re”, in un paese in cui i sacrifici per sanare la

difficile situazione economica sono tutti sulle spalle dei lavoratori. Si nota qui la capacità

tupamara di rendersi uno stato nello stato, capace di giudicare il potere attraverso una propria

capacità giurisdizionale, con un processo al potere fatto da lontano ma che colpisce terribilmente

da vicino le sorti di un governo avverso. Processi al potere di questo tipo i Tupamaros ne faranno

altri, e altri ancora saranno emulati al di fuori dell’Uruguay, da altri gruppi di guerriglia.

L’aspetto pedagogico del caso Monty è riscontrabile anche nel rapimento che i Tupamaros

effettuano ai danni di Pereyra Reverbel, presidente dell’Usinas y Teléfonos del Estados,

equivalente dell’italiana ENEL. Poche ore dopo il rapimento, un comunicato viene

immediatamente consegnato alla stampa;

“Data la cinica aggressione che sei o sette banchieri, speculatori, grandi proprietari terrieri e commercianti, che si fanno chiamare

ministri, hanno perpetrato contro le libertà e i diritti del nostro popolo;

dati gli attacchi fascisti di cui sono vittime le organizzazioni sindacali rappresentative e i movimenti studenteschi popolari, attacchi

che hanno condotto alla limitazione delle libertà sindacali, alle bastonature, alla militarizzazione e alla detenzione arbitraria;

data l’immoralità manifesta del blocco dei prezzi e della riduzione dei redditi dei settori più svantaggiati, mentre rimangono illesi

gli interessi di quelli che sono i veri responsabili della crisi che il paese sta attraversando e che si sono riempiti le tasche grazie ad

una svalutazione fraudolenta;

dato il fatto che il capitale americano ha assunto il controllo del nostro paese e data l’ingerenza crescente delle dittature vicine;

[…]

dato che questo regime è al servizio di un pugno di privilegiati, che la legalità è una finzione che essi calpestano ogni volta che gli

fa comodo, e che viviamo sotto una dittatura che si preoccupa sempre meno di dissimulare il proprio carattere;

dato tutto quanto precede, occorre organizzare la difesa degli interessi del popolo, e continuare a combattere preparandosi

attivamente a rispondere con la lotta rivoluzionaria alla violenza reazionaria.

Per questo motivo, e per significare che nulla rimarrà impunito, e che la giustizia popolare saprà esercitarsi attraverso le vie e coi

mezzi che le sono propri, abbiamo posto in stato di arresto Pereyra Reverbel, degno rappresentante di questo regime.

Comunichiamo alle forze di repressione:

1. Che la persona del dottor Pereyra Reverbel, essendo in nostro potere, risponde dell’integrità fisica dei nostri compagni e di tutte

17 A. Labrousse, Op. Cit. p.123

Page 10: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

9

le persone che sono ricercate.

2. Che la sicurezza e l’integrità fisica di Pereyra Reverbel dipenderà dalla condotta delle forze di repressione e dei gruppi fascisti al

loro servizio, e che faremo particolare attenzione al loro modo di agire.

3. Che di conseguenza, esse non debbono cercare di ritrovarlo, poiché metterebbero in pericolo la sicurezza e l’integrità fisica del

detenuto.

4. Pereyra Reverbel sarà rimesso in libertà, sano e salvo, quando le autorità del nostro movimento lo riterranno opportuno, e nella

misura in cui saranno seguiti gli avvertimenti che abbiamo dato.18

Difficile non notare il tono di forte rivendicazione dello stesso. Le accuse mosse sono precise,

perentorie; si parla di attacchi fascisti contro organizzazioni sindacali, delle ingerenze delle

dittature vicine e del capitale americano, vi è anche una singolare citazione della legalità, recepita

come finzione, e calpestata da coloro che dovrebbero difenderla. La sequenza di “Dato” che

introduce e scandisce ogni paragrafo è un metodo comunicativo chiaro, quasi una somma di capi

d’accusa che il tribunale tupamaro emette ai danni di malversatori, di personaggi che tramano

contro l’interesse nazionale. La volontà di educazione si esplica principalmente in questo, e può

essere riscontrata anche in questo tipo di azioni. Azioni dimostrative violente, di carattere

esemplare, che trovano l’appoggio di larghe fette del movimento operaio e studentesco.

I Tupamaros si preoccupano di comunicare alle forze di repressione che il loro ostaggio è sotto

loro potere, una sorta di anticipazione di quel dominio pieno e incontrollato che rivedremo, qualche

anno più tardi, in Italia.

Elementi di approccio pedagogico e in un certo senso populista si ritrovano in molte azioni che

costellano la vita del movimento tupamaro; capita così che dopo la rapina del 18 febbraio 1969 al

Casinò San Rafael che l’organizzazione arrivi ad impossessarsi di 55 milioni di pesos; il colpo è

rivendicato dal comando “Maria Robaina Méndez”, comando che si offre, tuttavia, di restituire

l’importo delle mance destinate al personale contenuto nella somma rubata.

Interessante anche l’episodio del radiocronista di Radio Sarandì interrotto il 15 maggio dello

stesso anno, per dare voce ad un messaggio Tupamaro, da trasmettersi via radio. Dopo alcuni

giorni dalla lettura del proclama, il radiocronista riceverà addirittura un messaggio di scuse da

parte dei Tupamaros.19 Possono sembrare eventi di secondo piano, ma tutta questa attenzione da

parte del movimento a farsi recepire come una sorta di giustiziere cavalleresco, aiuterà

l’avvicinamento, fondamentale, tra la popolazione e il gruppo guerrigliero, che verrà recepito con

sempre maggior simpatia e vicinanza, e le cui rivendicazioni e letture della società saranno più

facilmente accettate e condivise da fette sempre più larghe della popolazione.

“Come ad esempio quei lavoratori che sono entrati in un grande magazzino e hanno preso del cibo per sé e per i loro bambini,

agendo così in modo molto più onesto di quelli che se ne stanno a casa loro e sopportano senza reagire. […] Quelli che agiscono

così sono dei Tupamaros, poiché sono dei Tupamaros tutti quelli che non si limitano a formulare rivendicazioni, ma non

rispettano le leggi, i decreti e gli ordini creati da una oligarchia per difendere i propri interessi. Erano dei Tupamaros quelli che gli

spagnoli chiamavano banditi e che formarono l’esercito di Artigas per mettere fine al dominio straniero”20

Questo è il testo letto alla stazione di Radio Sarandì, e in esso si possono riscontrare molti, se non

tutti, dei caratteri principali dell’azione e della metodologia tupamara. Supporto ed

incoraggiamento dell’azione popolare, a scapito della legalità e dell’ordine costituito.

Legittimazione del proprio modus operandi, nonché della Rivoluzione, attraverso il richiamo al

grande evento della liberazione di Artigas, da equiparare a quella che oggi i lavoratori compiono,

18 A. Labrousse, Op. Cit. pp.89-90 19 Ibidem, p.94 20 Ibidem, p.101

Page 11: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

10

a scapito del governo Pacheco. Una cura nella metodologia d’azione che riguarda sia la precisione

dei comunicati, sia l’uso della violenza, sempre specifica e centellinata, che è rintracciabile anche

quando si parla di omicidi.

Cura che si nota, ad esempio, nell’emblematico caso dell’ispettore Moran Charquero, colpevole,

secondo i Tupamaros, di aver avviato e avallato pratiche di tortura nei confronti di numerosi

guerriglieri ma anche di operai. Charquero fu attaccato nonostante avesse cambiato l’itinerario col

quale raggiungeva la questura, e fu finito a colpi di mitragliatore. Charquero viene attaccato dopo

le torture inflitte ai militanti Cabrera, a Marenales Saénz, a Martinez Platero e l’operaio Carlos

Astorga. L’azione è esemplare e totale, ma avviene dopo un periodo di attesa, i Tupamaros non

uccidono subito; le denunce di tortura di Saénz e Platero datano 13 ottobre; l’omicidio di

Charquero è attuato in Aprile. Vi è la volontà di vagliare bene un atto di estrema gravità come è

quello dell’omicidio, specialmente quando esso viene eseguito esemplarmente. Questo aver cura

di evitare spargimenti di sangue e al contrario di promuovere azioni ben ponderate ha anch’esso il

suo risultato; sebbene casi particolari di tortura continueranno a compiersi21, la polizia abbandona

l’uso della violenza sistematica ai danni dei prigionieri e degli arrestati.

Altro aspetto tipico dell’azione dei Tupamaros ed esemplare per comprendere la loro capacità di

convincimento e di penetrazione nei gangli dello Stato è il rapporto che lega il gruppo guerrigliero

a quelle forze dell’ordine (soldati, polizia, marinai, etc…) che dovrebbero combatterli, per tutelare

l’ordine costituito. In una lettera arrivata per posta nel luglio del 1970 a numerosi componenti

delle forze armate uruguayane, si possono intravedere tutte le caratteristiche della retorica

tupamara:

“Ai membri delle forze armate del nostro paese:

La specifica funzione delle forze armate è quella di difendere la sovranità della patria. Che cos’è e in cosa consiste la sovranità?

“La sovranità non consiste soltanto nell’assicurare integrità territoriale, ma nel salvaguardare i beni più preziosi dei cittadini, come

la libertà…” (Artigas). Così ad attentare alla nostra sovranità non è solo chi ci invade dall’esterno, ma anche chi contribuisce,

come esecutore o come responsabile, al pubblico danno. […] La truffa comincia dall’alto, da Acosta y Lara (ex ministro del lavoro

accusato di estorsione) fino a Peirano, passando per Frick Davie. I ministri, trafficanti quando non sono ladri, hanno diretto

questa folle orgia di speculazione. […] La Costituzione vige in tutti i suoi termini solo per i profittatori alla ricerca dei loro

vantaggi, o per i vigliacchi che credono ingenuamente di salvarsi la pelle e di non essere toccati. […] Il governo non risponde

affrontando i problemi per risolverli, ma impiegando sistematicamente la violenza per far tacere la protesta e assicurare la

continuità dello sfruttamento. Questa alternativa di ferro, il governo dei grandi interessi costituiti, lo sfruttamento del popolo, e la

politica della garrotta, è quella che il Movimento di liberazione nazionale intende spezzare. Noi siamo il popolo che è stufo

dell’inganno e che decide di prendere il destino nelle proprie mani. Proveniamo da tutti i settori politici e filosofici. Esercitiamo le

attività e le professioni più disparate. Siamo operai, impiegati, professionisti, studenti, piccoli commercianti, casalinghe, insomma

tutti quelli che non hanno complicità vergognose e che desiderano il bene del paese. Nelle nostre file ci sono “bianchi”,

“colorados”, cattolici, protestanti, ci sono sacerdoti, medici, ingegneri, militari, ci sono credenti e ci sono atei.

Ma c’è qualcosa che li unisce tutti e li trasforma in una forza, ancor più che potente e vigorosa, indistruttibile: l’amore della patria,

la ferrea volontà di giustizia. […]

Non risulta che alle forze armate sia dato l’incarico di punire i ladri, i grandi ladri di questo paese; […] Le forze armate hanno un

destino completamente diverso da quello che si pretende di assegnar loro di boia del popolo. E si tratta di un destino

essenzialmente glorioso e politico, dove la politica non deve essere intesa nel senso elettorale o partigiano dei voti e dei distintivi,

ma in un senso ben diverso. La politica del riscatto del patrimonio nazionale […]

Siamo impegnati in questa lotta e non ci scoraggeremo mai. E in questa lotta può esserci un posto per le forze armate del nostro

paese, che sono anch’esse popolo, e che soffrono anch’esse dell’onta di una patria umiliata da uomini senza onore, per cui la

repubblica appartiene solo a loro e ai loro misfatti.”22

Ci sono elementi nuovi, oltre a quelli già intravisti (La citazione di Artigas, ad esempio). Si parla di

Patria e di giustizia, di riscatto del patrimonio nazionale verso il quale le forze armate devono

21 A. Labrousse, Op. Cit. p.111 22 Ibidem, pp. 119-121

Page 12: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

11

tendere, arrestando e perseguendo i criminali e i profittatori che danno loro gli ordini. Le forze

armate fondamentalmente “soffrono per lo stesso Uruguay” per il quale soffrono i Tupamaros.

Vi è una sorta di invito all’abbandono delle postazioni, per unirsi alla lotta non di un partito, non

di un movimento comunista o di una frazione di paese, ma del paese tutto, che delle forze armate

ha bisogno per scacciare una classe politica che vive a scapito della nazione. Nelle file dei

Tupamaros vi sono “blancos”, “colorados”, atei e cattolici, tutti uniti da una stessa volontà: quella

di far trionfare nel paese la giustizia e la dignità. E’ un parlare da pari con le forze dell’ordine, tra

elementi spesso in lotta, ma che seguendo una visione di interesse nazionale, portata dai

Tupamaros, possono marciare assieme per il benessere della nazione tutta. Una linea di

costruzione del consenso che otterrà i suoi frutti, se si pensa che pure durante l’azione forse più

eclatante della vita del MLN, il rapimento e l’esecuzione di Dan Mitrione, gli addetti alle forze

dell’ordine noteranno numerose connivenze durante i numerosi assalti per il rifornimento di armi

effettuati dall’organizzazione; al centro di addestramento della marina in particolare, dove le

guardie permisero la fuga dei Tupamaros, e in cui si ebbe l’occasione di notare anche

l’infiltrazione che i guerriglieri avevano effettuato tra le maglie delle forze armate.23

Nelle azioni dei Tupamaros e nei loro comunicati, oltre a questi canoni, è chiara la volontà di

rapportarsi col governo direttamente, dettando condizioni ai poteri imperialisti e fascisti che lo

reggono, e a quella che viene definita una dittatura. Dittatura, quella del governo uruguayano, che

è sempre più evidente, secondo uno schema piuttosto frequente nella mentalità dei gruppi di lotta

armata: l’idea, cioè, che la fascistizzazione dello stato sia l’ultimo stadio di un governo fondato sul

potere del capitale finanziario.

La situazione di crisi innestatasi su un sempre maggior successo, all’interno del paese, del

movimento tupamaro e delle volontà rivendicatrici del popolo uruguayano, costringono il

presidente Pacheco, infatti, ad una militarizzazione del paese, utile, nei disegni governativi, a

limitare la conflittualità interna e il pericolo di una sollevazione armata. E’ una situazione

riscontrabile in ogni paese in cui forze di contestazione, armata e non, cominciano a mettere in

subbuglio la capacità del governo centrale di amministrare il territorio e le funzioni statali.24 Si

parla di “fascistizzazione dello stato” , in Uruguay riferendosi in particolare all’articolo 27 della

legge 9943, che prevede “che nel quadro dell’adozione delle misure eccezionali, i cittadini

potranno essere sottoposti all’autorità e alla giurisdizione militare”. Capita così ad esempio che il

28 giugno 1969 truppe della marina penetrino a sedare uno sciopero di fabbrica, arrestando e

allineando gli operai lungo il Rio de la Plata. Gli operai vengono anche rinchiusi, poi, in celle dalle

condizioni igieniche spaventose, dove uno di loro contrae addirittura la tubercolosi.25

La repressione poliziesca viene fatta notare dai Tupamaros anche nei confronti del movimento

studentesco.

“Il movimento studentesco è una punta offensiva di enorme importanza ma […] la radicalizzazione dei mezzi di lotta, di fronte

alla brutalità della repressione poliziesca, non è sempre chiaramente compresa dalla popolazione. […] Molti sono demoralizzati

dal fatto che la repressione si intensifica e che il movimento popolare indietreggia. […] Tutto questo ci fa capire ancora una volta

che a un certo stadio di sviluppo della repressione il movimento sindacale come strumento di lotta è superato e deve lasciare il

posto ad altre forme di combattimento”26

Si nota quindi un evidente salto di qualità della reazione che, se da un lato attaccherà le 23 A. Labrousse, Op. Cit. p.150 24 S. Neri Serneri, Op. Cit. p.97 25 A. Labrousse, Op. Cit. p.77 26 Ibidem, p.86

Page 13: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

12

manifestazioni di massa, dall’altro potrà spingere numerosi studenti e operai alla comprensione

che per ottenere le rivendicazioni è necessario intraprendere un percorso di consapevolezza, che

sfocerà nel supporto diretto all’opera tupamara.

Il problema della violenza fascista nel paese esiste da molto tempo, ed è precedente rispetto alle

azioni dei Tupamaros. Sono emblematici i casi, ad esempio, dell’incendio di un locale del Partito

Comunista, con la morte del piccolo Olivio Piriz, e l’aggressione, nel 1962, di un gruppo di

neofascisti ai danni di manifestanti di sinistra. Vi è poi l’impressione, tra la popolazione e i

manifestanti, che la polizia non si mobiliti contro le forze neofasciste con lo stesso zelo con cui si

mobilita per contrastare i movimenti di sinistra; questo è un leitmotiv che si incontrerà anche

nelle manifestazioni italiane, e che rafforzerà ancor più la concezione di uno stato, o di stati, che

si servono di gruppetti di violenti di estrema destra per attaccare, anche in modo assai violento e

mortale, i manifestanti delle sinistre.

Il 31 luglio del 1970, tuttavia, un commando tupamaro rapiva Dan Mitrione; cittadino americano

di origine italiana, egli operava, da agente dell’FBI, come consulente presso la questura di

Montevideo.

I Tupamaros lo qualificano come “spia americana collocata all’interno dei servizi di sicurezza

dello stato uruguayano”; era inoltre un consulente militare della polizia di Belo Horizonte e di Rio

de Janeiro, assieme alla quale aveva perpetrato torture e violenze ai danni dell’opposizione

brasiliana, in un quadro di supporto alle operazioni di controguerriglia, tramite l’USAID. L’azione

dei Tupamaros contro Mitrione parte nel momento in cui lo stesso agente comincia ad impiegare

i metodi utilizzati in Brasile anche in Uruguay27.

Vi è la proposta di uno scambio con dei prigionieri in mano al governo, capi Tupamaros come

Manera Lluveras e Rodriguez Recalde. Si apre, tra i deputati del parlamento uruguayano, un

fronte di trattativa e un fronte di fermezza, con alcuni deputati favorevoli alle trattative per

riportare a casa Mitrione. La possibilità di liberare l’italoamericano in cambio dei prigionieri

Tupamaros viene esplicata in un comunicato del 4 agosto da parte del movimento guerrigliero,

che propone di rilasciare i prigionieri in paesi come Messico o Algeria. Durante il sequestro

Mitrione, i Tupamaros faranno giungere alla stampa tutti i documenti che provano la sua

collaborazione con l’USAID, con l’FBI e con la polizia di Montevideo; il movimento comunica

anche al governo che se non sarà effettuato lo scambio, l’agente statunitense verrà ucciso. Il

rapimento Mitrione è importante perché durante le spasmodiche ricerche la polizia uruguayana

arresterà Raul Sendic e altri Tupamaros, il 7 agosto. Sendic stesso si dichiara prigioniero di guerra,

e si rifiuta di collaborare con le forze dell’ordine, e da parte tupamara si dichiara che la vita di

Mitrione dipende dall’incolumità in cui devono essere preservati Raul Sendic e gli altri guerriglieri.

Il governo si ostina nel suo rifiuto ad intavolare trattative, e il 10 agosto viene rinvenuto il

cadavere dell’agente americano. L’assemblea nazionale delibererà una giornata di lutto, ma le

bandiere dell’arcivescovado e dell’università di Montevideo non espongono, simbolicamente, la

bandiera a mezz’asta.

Interessante, risalendo all’intervista di Urbano, capo Tupamaro, analizzare le reazioni e le

giustificazioni che il MLN offre riguardo l’avvenuta esecuzione:

“Abbiamo dato loro una scadenza, abbiamo pronunciato il verdetto e li abbiamo avvertiti che se entro questo termine i nostri

compagni non fossero stati liberati o se non si fosse stata data una risposta alle trattative, Mitrione sarebbe stato giustiziato.

Quando si giunge a questo estremo, una decisione presa da un movimento di rivoluzionario deve essere attuata, soprattutto dati

27 A. Labrousse, Op. Cit. p.151

Page 14: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

13

gli antecedenti che esistevano in questo caso. […]. L’esecuzione del verdetto su Mitrione non implicava solo una responsabilità del

movimento di fronte al suo popolo, ma anche una responsabilità di fronte agli altri movimenti rivoluzionari dell’America Latina.

Quando noi prendiamo un provvedimento di questa natura, non consideriamo soltanto la nostra situazione particolare, ma anche

quella di altri movimenti rivoluzionari […]. E’ questa una carta che conosce anche l’imperialismo e che sa giocare anch’esso

quando rifiuta lo scambio con Mitrione.”28

Importante qui la volontà di mettere in luce le responsabilità del governo nella gestione del caso; i

Tupamaros pongono delle condizioni per il rilascio, condizioni che sono le uniche necessarie per

far tornare sano e salvo l’ostaggio. Il MLN ha delle responsabilità nei confronti del suo popolo e di

altri movimenti di guerriglia continentali; è una sorta di gioco in atto con il potere centrale,

conscio dei collegamenti tra l’attività rivoluzionaria Tupamara, l’atto simbolico del rapimento e le

conseguenze che una trattativa potrebbe avere per l’immagine e l’autorevolezza dello stato. Lo

stato non intende concedere nulla, ma nulla possono concedere i Tupamaros, e l’epilogo resta

solamente uno, quello dell’esecuzione.

Questo caso, simile nei modi e nella conduzione a quello che riguarderà l’Onorevole Aldo Moro

in Italia otto anni dopo, è emblematico per capire quali sono le reazioni sia degli stessi

Tupamaros, che del governo uruguayano e della società del paese sudamericano.

Molto importante è il comportamento delle istituzioni clericali del paese; il rifiuto di esporre la

bandiera a mezz’asta dopo l’uccisione di Mitrione era stata preceduta da una lettera di

rimostranze del movimento evangelico al nunzio apostolico, che veniva invitato ad occuparsi

delle gravi ingiustizie della società uruguayana che erano il motivo principale della violenza

tupamara. Vi è quindi una identificazione profonda di settori molto importanti della società,

come quello delle comunità cristiane, se non nella guerriglia, almeno nelle motivazioni che la

portano ad esplicarsi, e a compiere atti anche molto gravi. Anche l’università pone l’accento sulle

violenze del regime che sono all’origine della violenza tupamara e dei suoi risultati.29

La prima conseguenza di queste azioni sarà la creazione, in Sudamerica, di un fronte che lega

l’Uruguay del presidente Pacheco alle dittature dei paesi vicini, in funzione controrivoluzionaria,

anche in vista del successo elettorale che porterà in presidenza Salvador Allende in Cile, nel

settembre 1970. Un motivo in più per vedersi confermare, da parte dei Tupamaros, l’idea che la

fascistizzazione dello stato sia la diretta conseguenza degli attacchi diretti verso il potere

capitalista ed imperialista.

Un altro aspetto molto importante della vita politica del movimento Tupamaro è la capacità di

rapportarsi con efficacia ed autorevolezza rispetto a quelle che sono le manifestazioni legali del

potere politico nazionale, in particolar modo, ovviamente, a quei fronti popolari e di sinistra che il

paese esprime nel corso degli anni di attività del gruppo e nei confronti dei quali il movimento

esercita fascino e attrazione; è esemplare notare come il movimento sia fortemente interclassista,

e riesca a creare consenso tra numerose categorie sociali; nei ceti medi, nelle professioni liberali,

persino tra i medici degli ospedali che si occupano di curare i guerriglieri feriti.30 Pure la chiesa

uruguayana, come abbiamo avuto modo di notare, in alcuni settori permette ai propri fedeli di

conciliare fede e rivoluzione armata, e propende per una profonda revisione della politica

nazionale, dimostrando di saper ascoltare le istanze popolari espresse, anche in maniera violenta,

dai rivoluzionari: un modello che da certi punti di vista può essere ricondotto alla teologia della

28 A. Labrousse, Op. Cit. p.207 29 Ibidem, p.157 30 Ibidem, p.170

Page 15: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

14

liberazione31.

Discorso ancora più interessante è quel che riguarda il rapporto tra Tupamaros e classe operaia.

Grande è il supporto tra gli operai feriti e colpiti in prima persona dalla repressione del regime di

Pacheco, ma assolutamente importante ai fini dell’appoggio che i Tupamaros godono tra le masse

proletarie è il rapporto che intercorre tra il Partito Comunista e il Movimento di Liberazione

Nazionale; il partito non si oppone ufficialmente ai Tupamaros, e anche a livello sindacale vi è

una forte simpatia per il movimento di guerriglia, simpatia che si esplica anche nei contenuti del

giornale “El Oriental”. La conformazione del sindacato ricopre un ruolo importante

nell’appoggio che in essa i Tupamaros vi trovano; L’Uruguay è un paese senza una storia

sindacale forte o radicata in grandi industrie; al contrario è un paese di piccole e medie imprese, in

cui è assente una pesante struttura burocratica sindacale che può, nel caso di una assunzione di

posizioni rivoluzionarie, bloccare tutto. Gli operai sono più liberi di agire, e hanno meno

intermediari tra loro e le forze che dall’esterno offrono forti stimoli rivendicativi, come in questo

caso i Tupamaros. Da qui, anche, il successo che il movimento di guerriglia ha potuto incontrare

nei luoghi di produzione.

Altra occasione per valutare il rapporto che intercorre tra Tupamaros e partiti politici arriva dalle

relazioni con il Fronte Allargato (Frente Amplio); questi è un blocco politico che, all’indomani

della vittoria di Allende in Cile, si è costituito in Uruguay per provare a offrire uno sbocco

governativo a numerosi partiti e movimenti di ispirazione progressista; tuttavia non è un fronte

fatto solamente di partiti di ispirazione comunista; esso raccoglie anche personaggi politici (come

Rodriguez Camusso) che provengono dal partito Blanco; movimenti di ispirazione democristiana

e liberale. Nonostante questa composizione non certo settaria, i Tupamaros hanno deciso di

appoggiare questo percorso elettorale,32 seppur con diverse riserve:

“Nell’Uruguay attuale le elezioni non costituiscono il mezzo per fare la rivoluzione. E’ un errore imitare le esperienze che sono

state realizzate in altri paesi. [...] non ci si può certo aspettare che i governanti che non hanno esitato a far bastonare e uccidere dei

cittadini, che hanno violato centinaia di volte la Costituzione, che hanno imprigionato in un solo anno più di cinquemila lavoratori

[...] rassegnino passivamente il loro potere nelle mani dei lavoratori”

si ribadisce, in sostanza, tutto lo scetticismo che sta alla base della nascita del movimento,

scetticismo che prende le mosse dalla profonda convinzione che cambiamenti radicali nel paese

non si potranno ottenere seguendo metodi legali ed elettorali. Tuttavia:

“Il Movimento di liberazione nazionale (Tupamaros) ritiene positiva la formazione di una unione popolare che raggruppa settori

così vasti […] è da molto tempo che tutte le lotte represse e tutti i combattimenti che hanno lottato per uno stesso ideale di

giustizia sociale, avrebbero dovuto unirsi contro un nemico comune.

Noi continuiamo a preconizzare metodi di lotta diversi da quelli delle organizzazioni che costituiscono il Fronte […]

ciononostante riteniamo di dover dare il nostro appoggio al Fronte.

Il fronte appare in grado di suscitare una corrente popolare che determinerà la mobilitazione di una massa importante di lavoratori

prima e dopo le elezioni. Ciò può rappresentare uno strumento potente di lotta a favore di un programma nazionalista e popolare.

I Tupamaros proseguono la lotta armata nella clandestinità”33

Vi è quindi il supporto, da parte Tupamara, di un movimento politico che viene visto come

mezzo di coesione e mobilitazione di massa, un partito in cui sono presenti programmi popolari e

nazionalisti, un movimento vasto; e da qui emerge la visione della guerriglia e della lotta del

31 M. Cuminetti, La teologia della liberazione in America latina, Bologna, Borla, 1975 32 A. Labrousse, Op.Cit pp. 180-199 33 Ibidem, p. 201

Page 16: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

15

MLN; è Tupamaro non tanto chi si allinea ad una visione dottrinale e prettamente comunista,

marxista o maoista, ma chi si ribella al regime di Pacheco e agli interessi delle oligarchie da lui

difese. Non vi è una chiusura settaria nell’opera tupamara, vi è invece il tentativo e la chiara

volontà, esplicata poi in atti di appoggio pratico, di attrarre a sé il più grande numero possibile di

militanti, per ottenere la vittoria finale.

II) Stati Uniti: Potere nero, supporto bianco: tra il Black Panthers party e i Weather Underground.

“Io non sono americano, sono uno dei ventidue milioni di uomini dalla pelle nera che sono vittime dell’americanismo […] non

vedo nessun sogno americano. Quello che vedo è l’incubo americano” (Malcolm X, 1964)

“Nessun Vietcong mi ha mai chiamato sporco negro” (Cassius Clay, 1967)

Queste due frasi, pronunciate da personaggi, nella loro diversità di origine e condizione, di

grandissima importanza per la storia statunitense del secondo Novecento, permettono di

inquadrare una situazione in cui fenomeni di forte contestazione e di grande disagio di larghe

fette della popolazione faranno nascere percorsi di lotta armata anche negli Stati Uniti, patria del

capitalismo imperiale.

Negli anni dei governi Kennedy, in cui la capacità di attrazione del modello del “sogno

americano” pare quasi rafforzarsi ed estendersi in tutto il mondo, emergono in maniera evidente

anche forti incrinature in seno alla società americana. Incrinature che provengono essenzialmente

dalla difficile condizione alla quale sono sottoposti i neri d’America, che lungo tutta la prima

parte degli anni Sessanta sono oggetto di violenze, specialmente nel sud degli States, e il cui

percorso rivendicativo appare minato da vecchie concezioni e da vecchi interessi della

popolazione bianca, che occupa saldamente tutti i posti di comando della società; condizione

lampante se si pensa che nel 1964 “Il Giorno” in Italia riportava che 60 cittadini neri su 100 nel

profondo sud degli Stati Uniti non avevano ancora il diritto di voto. Anche per i bianchi che si

oppongono a queste discriminazioni i pericoli sono reali e forti, come dimostra il caso del pastore

bianco antirazzista ucciso a Cleveland, sempre nel 1964. Una rivendicazione difficile, in una

società profondamente restia al cambiamento, in cui il gospel e canzoni come “We shall overcome” o

“blowing in the wind” accompagnano la grande marcia su Washington e l’impegno sociale di Martin

Luther King.

Nel 1965 la morte di Malcolm X, ucciso ad Harlem, rischia di porre la situazione americana in un

pericoloso crinale, in cui le rivendicazioni spesso non trovano ascolto, e gli attivisti civili sono

vittime di violenze sempre più gravi. Una eco che arriva anche in Italia, se nel 1967 si può leggere

Nazareno Fabretti descrivere in “Settegiorni” la situazione dei neri d’America: “La pazienza dei

negri è finita.”

Quasi che l’omicidio di Malcolm X serva a scuotere le coscienze e a creare un nuovo grado di

consapevolezza, nel 1966 Stokely Charmichael, leader dello Student Non-Violent Coordinating

Committee (SNCC) inizia a parlare di “Black Power”, e nello stesso anno nascono le Black

Panthers, ad Oakland, in California. L’organizzazione latinoamericana di solidarietà, promossa

anche in questo caso da Cuba, fornisce l’occasione a Charmichael di dire che “ai negri non resta

che la violenza”;34

la situazione statunitense è resa esplosiva, inoltre, dalla piega che la guerra in Vietnam pare aver

preso. Il sacrificio in termini di costi materiali e vite umane è via via sempre maggiore, e non

34 G. Crainz, Il paese mancato, Roma, Donzelli, 2003 pp. 124-126

Page 17: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

16

mancano grandi critiche ai governi che si succedono alla guida degli Stati Uniti e che continuano

a finanziare il conflitto, per la sproporzione delle forze in campo e per la sistematica violenza

utilizzata nel combattere i Vietcong e la resistenza vietnamita; a livello internazionale molte figure

di spicco del mondo della cultura come Jean-Paul Sartre si mobilitano addirittura per la creazione

di un tribunale di guerra contro i crimini americani.35 Gli Stati Uniti sono scossi da percorsi di

mobilitazione e di contestazione, prende corpo una controcultura fatta di rifiuto del servizio

armato, di movimenti hippies e supportata pure dalla musica alternativa e dalle canzoni di figure

come Bob Dylan e Joan Baez. E’ la grande agitazione che scuote la seconda parte degli anni

Sessanta in America, e che arriverà in Europa sotto la forma del ’68, con la trascinante comparsa

di leader come Rudi Dutschke e dei movimenti studenteschi. La guerra in Vietnam e la situazione

indocinese fanno intraprendere non solo una via di forte critica al presente imperialismo

statunitense, ma più in generale un cammino di ripensamento nei confronti dell’intera storia

statunitense e delle prepotenze, ai danni di altre popolazioni, che i movimenti di contestazione e i

loro ideologi riscontrano nella storia del paese; capita così che il regista Ralph Nelson, nel suo

“Blue Soldier” parli del massacro di Sand Creek, compiuto durante la guerra civile americana. 36

E’ un segnale degli effetti della contestazione e della controcultura, il colpire alle basi i pilastri su

cui si fonda la società americana, filo rosso che sarà alla base dei due gruppi che qui prenderemo

in considerazione: le Black Panthers e soprattutto i Weather Underground.

Questa azione di forte messa in discussione delle fondamenta della società statunitense porterà in

particolare i due gruppi a elaborare un concetto molto forte e dal grande peso per l’ideologia dei

due movimenti; riprendendo le tesi di Elijah Muhammad37 e Frantz Fanon sui rapporti tra

madrepatria e colonia, in una osmosi tra movimenti di liberazione nazionale, questione

musulmana e movimenti neomarxisti come i Weather Underground, si teorizza l’assoluta

necessità di concepire il dominio degli Stati Uniti bianchi sui neri come parallelo e pedissequo

rispetto al dominio che uno stato imperialista, o coloniale, esercita su una propria colonia,

proprio come la Francia fece con l’Algeria. Questo modo di intendere la struttura della società

statunitense è teorizzato sia dai Black Panthers38 che dai Weather Undeground, 39 che fanno

propria e rafforzano la tesi della Colonia interna nera.

Le Black Panthers, una Resistenza dal ghetto

Abbiamo visto come le Black Panthers nascano nel 1966, solamente un anno dopo dell’omicidio

di Malcolm X. Il ruolo del nazionalista nero nella genesi del pensiero delle Black Panthers è

evidente non solo dal punto di vista degli enunciati teorici (molti altri personaggi saranno alla

base dell’ideologia dei BPP, dal già citato Elijah Mujammad a Frazier, passando per Fanon e Mao

Tse Tung40) ma perché fornisce una grossa conferma alle Pantere Nere e ai loro aderenti; per un

nero non è possibile ottenere rivendicazioni sociali negli Stati Uniti senza fare ricorso alla forza e

se necessario alla violenza. Un percorso che il co-fondatore delle Black Panthers Huey P.Newton

intuì già nel 1962, come si può notare da un discorso che lo stesso attivista ebbe modo di fare

nella giovinezza, al Merritt College di Oakland:

35 G. Crainz, Op. Cit. p.129 36 Ibidem, p. 133 37 G. Marine, Op. Cit. p.19 38 Ibidem, p. 46 39 Weathermen, Op. Cit. p.12 40 G. Marine, Op. Cit. pp. 29, 42

Page 18: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

17

“mi avvicinai a Huey e gli chiesi che cosa ne pensasse di tutte quelle leggi sui diritti civili che la NAACP (National Association for

the Advancement of Coloured People) cercava di fare approvare. Non credeva che ci sarebbe stato un effettivo miglioramento?

Ma lui mi tappò la bocca in quattro e quattr’otto. Disse, all’incirca, che era un puro spreco di denaro, che i negri nel nostro paese

non hanno nulla che appartenga a loro davvero. Continuò facendomi notare come le leggi proposte non sarebbero state di nessun

aiuto per i negri, che disposizioni del genere già esistevano nei codici, e dunque, cosa serviva farne di nuove, dal momento che ciò

che occorreva era, invece, pretendere l’applicazione delle esistenti? Ragion per cui, tutti i quattrini che la gente dava a Martin

Luther King e a tutti coloro il cui incarico sarebbe stato quello di far accogliere nei codici le nuove leggi a favore dei negri, bene,

non erano che uno sperpero, denaro che i neri buttavano dalla finestra.”41

Si nota in questo breve trafiletto come la “critica ai riformismi” ricalchi la presa di coscienza che,

ad esempio, Raul Sendic compie in Uruguay, rendendosi conto che il percorso rivendicativo non

trova compimento attraverso associazioni di stampo pacifico, compromissorio e prettamente

politichese. E’ necessario un percorso più radicale per ottenere cambiamenti altrettanto radicali.

Questo aspetto di forte scetticismo nei confronti dell’azione riformista e dei suoi interpreti,

seguendo l’esempio uruguagio, continua sulla stessa scia anche per quanto riguarda l’atto di

nascita del gruppo armato, ovvero una autodifesa. Autodifesa che non è l’unico movente a far sì

che Huey Newton e compagni prendano le armi, così come non lo è per Raul Sendic; è tuttavia

parte fondamentale in una presa di coscienza che fa rendere conto ai militanti di vivere in una

società regolata dalla forza, in cui se non ci si impara a difendere offrendo una resistenza armata

alle proprie rivendicazioni, le aspirazioni politiche proprie e del proprio gruppo sono destinate a

perire. Le BP nascono, infatti, come Black Panther Party for Self-Defense, partito di legittima

difesa delle pantere nere42.

In questa autodifesa promossa attraverso atti prettamente simbolici, come quelli di costituire

azioni di scorta per manifestazioni, di sorveglianza di ghetti e quartieri neri, di ronde stradali,

ritorna sempre quell’aspetto pedagogico che può essere riscontrato in tutti i gruppi armati che

prenderemo in esame; nelle Black Panthers non è un comportamento che si limita al rispetto di

una sorta di canone atavico di giustizia popolare, ripromossa e applicata in tempi correnti, bensì si

riscontra in un preciso rapporto tutelato e definito dalla legge vigente negli Stati Uniti di quegli anni

sul possesso delle armi, sul loro trattamento e sul loro eventuale utilizzo. Il rapporto delle Pantere

Nere con le armi è assolutamente particolare, armi che sono strumento di lotta e autodifesa e che

ogni attivista nero ha il diritto, per legge, di portare. E’ singolare quindi notare che il rispetto della

legge per quanto riguarda il possesso delle armi da parte di un cittadino rientri in un movimento,

come quello delle Black Panthers, che contesta alla radice l’applicabilità stessa della giurisdizione

bianca sulla comunità nera. E questo rispetto non può che rientrare in un contenitore ideologico

che prevede un forte carattere di esemplarità nei confronti della comunità nera, in

contrapposizione anche a quelle che sono le violazioni della legge che le forze armate stesse

spesso compiono ai danni della popolazione dei ghetti; un contraltare interessante che vede,

paradossalmente, un gruppo armato radicale sfidare le forze dell’ordine sul terreno stesso della

liceità dell’uso della violenza; si nota così come, in una visita al campidoglio californiano

presieduto dal presidente Reagan, le Black Panthers prestino particolare attenzione al “puntare le

armi contro chicchessia”, e avendo buona cura di effettuare una azione simbolica nel rispetto dei

canoni legali, in primis per evitare di incorrere in una repressione che sarebbe dannosa, ma

dall’altro anche per promuovere una emancipazione esemplare presentandosi come “forza lecita”,

forza di un gruppo cioè che possiede e all’occorrenza usa strumenti di offesa senza dar

41 G. Marine, Op. Cit. p.16 42 Ibidem, p. 35

Page 19: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

18

l’occasione di venire attaccato per un uso improprio della violenza, comportamento simile,

nell’uso centellinato della forza a scopo propagandistico, a quello dei Tupamaros.43

Un’altra somiglianza con la vicenda del MLN e con gli altri gruppi armati che sorgono in questi

anni in tutto il mondo è rintracciabile nella ricerca di radici storiche che possano creare un “mito

fondante”, un avvenimento molto importante per la storia della nazione o di un gruppo sociale

da ripescare e riadattare. Fu così per i Tupamaros con la liberazione di Artigas, è così con le

Pantere Nere per quanto riguarda l’opera di emancipazione nera che personaggi come Elijah

Muhammad e Malcolm X avevano cominciato in America, attività incompleta e fermatasi anche a

causa della violenza e il rigetto di cui le istanze della comunità nera americana sono state oggetto.

Sarà in particolare la vicenda di uno dei personaggi più significativi delle Black Panthers, Eldrige

Cleaver, ad inserirsi e ad approfondire questo corso. Dal carcere di Soledad dove venne rinchiuso

per il reato di violenza carnale, egli entrò in contatto con il movimento dei musulmani neri di

Muhammad, e divenne anche “Eldridge X”, ovvero ministro riconosciuto del culto della

comunità nera.44 Tuttavia la preferenza ideologica di Cleaver in questo periodo è già chiaramente

orientata verso Malcolm X; in carcere ha l’occasione di scrivere articoli per la rivista “Ramparts”,

grazie all’aiuto dell’avvocatessa Beverly Axelrod, e una volta uscito esplica la chiara volontà di

continuare l’opera di Malcolm X, attraverso anche la rinascita dell’Organizzazione di Unità Afro-

Americana con l’aiuto di Betty Shabazz, vedova di Malcolm.

Ad una riunione del comitato esecutivo dell’associazione, in presenza della signora Shabazz,

Eldridge Cleaver farà la conoscenza delle Pantere Nere, venute a scortare la vedova dell’ideologo

nero. Una scorta armata, che ebbe l’occasione di confrontarsi, durante alcuni momenti di

tensione, con la polizia californiana, e di puntare le armi contro gli agenti presenti. Questa

movimentata presentazione delle Pantere Nere suscitò una forte impressione in Cleaver, che tra i

ragazzi di scorta presenti ebbe modo di notare Huey Newton. Di lui dirà:

“lo avevo definito pazzo come sovente accade di fare quando ci si provi a chiarire atteggiamenti di cui non comprendiamo i

moventi. E per coraggio, non intendo quello di non tirarsi mai indietro, e neppure quello necessario ad affrontare una morte certa,

bensì il coraggio rivoluzionario, indispensabile per impugnare un fucile con cui opporsi a chi opprime il proprio popolo”

Non solo; Cleaver arriverà direttamente a sostenere, e a credere profondamente, che Huey

Newton sia l’erede di Malcolm X:

“ Malcolm scorgeva intera la strada che conduceva alla liberazione nazionale, e non mancava di mostrarci l’arcobaleno e la pentola

del tesoro che ci attendevano alla sua fine. Dentro quella pentola, ci diceva Malcolm, stava lo strumento della liberazione. Huey

P.Newton, uno dei milioni di negri che prestavano orecchio alle parole di Malcolm, sollevò il coperchio della pentola, e animato

da una cieca fiducia in Malcolm, vi affondò la mano ed impugnò lo strumento. Quando la ritrasse, e guardò ciò che aveva trovato,

ecco che vide un’arma”45

E’ emblematico notare quanto si mescolino, nella frase di Cleaver, il passato di Malcolm X e il

presente di Newton. Una pentola contenente lo strumento necessario alla liberazione nera,

l’arma, lo strumento della violenza e della rivendicazione efficace, che già Malcolm X nella sua

vicenda storica aveva indicato. Ecco che le Pantere Nere, col suo fondatore, si inseriscono in una

vicenda storica da continuare e portare a compimento. Una vicenda storica più recente rispetto alla

liberazione uruguayana di Artigas, una vicenda che ha visto morire Malcolm X solo pochi anni

prima della nascita delle Black Panthers, tuttavia è facile notare quanto le suggestioni delle opere

43 G. Marine, Op. Cit. p.68 44 Ibidem, p. 54 45 Ibidem, p.60

Page 20: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

19

passate esercitino il fascino della continuità storica anche in Eldridge Cleaver. Le Pantere Nere

non sono un movimento avulso da contesti passati, al contrario nascono dall’esigenza di

continuare un percorso interrotto, riportandone in auge i fini e anche le dialettiche. Pure il tema

della nazione, nel senso muhammadiano del termine, ritrova piena collocazione al fine di una

rivendicazione che, oltre che culturale e storica, deve essere anche amministrativa.

Come si manifesta nelle Black Panthers questa idea di nazione nera? Si manifesta in una rilettura

in chiave colonialista della storia degli Stati Uniti, alla luce soprattutto, negli anni delle rivolte

anticoloniali, dell’opera di Frantz Fanon I dannati della terra, vera pietra miliare

dell’anticolonialismo internazionalista. Così capita di notare come nell’elaborazione ideologica

delle Pantere un ghetto come Harlem diventi la manifestazione prima dello status coloniale in cui

sono costretti i neri d’America. Status coloniale che può essere capovolto prendendo ad esempio

proprio le rivolte contro la madrepatria imperialista che in quegli anni e grazie ad autori come

Fanon emergono nello scenario internazionale. Sempre parlando del ghetto di Harlem e della sua

carica alienante e segregante, si dice esplicitamente che una abile guida rivoluzionaria, capeggiando il

popolo sottomesso, può tranquillamente avviare un percorso di emancipazione e libertà per i

colonizzati.46

Le forze di polizia adibite così al controllo del ghetto, rispondono a leggi provenienti dalla

madrepatria, leggi che la colonia nera si trova costretta a subire, in quanto oggetto della

prepotenza di una forza di occupazione; Se un Huey Newton viene arrestato, egli deve definirsi

prigioniero politico, perché nella sua azione di sabotaggio e contestazione armata della forza di

occupazione coloniale, egli ha solamente difeso la lotta per l’indipendenza contro una nazione le

cui leggi e architetture giudiziarie non sono rispecchiate nella cultura che essa pretende di

soggiogare, quella nera.

Fanon, Mao e Malcolm X ritornano e si fondono nel creare la coscienza di oppressione che è

elemento fondante della nascita delle BPP, nonché principale nemico della prosperità del popolo

nero, che volendosi inserire in un contesto di liberazione coloniale, dichiara apertamente di non

riconoscere più l’autorità della madrepatria in quella che diventa una colonia interna, che necessita

di emancipazione. Questa tesi sulla colonia interna diverrà molteplice e si espanderà anche ad altri

gruppi e minoranze statunitensi: grazie anche alla parallela azione di propaganda dei Weather

Underground, il percorso di esplicazione del concetto di colonia interna si espanderà in molte

altre organizzazioni; nel percorso politico che Cleaver e le Black Panthers poi effettueranno, vi

sarà una concreta alleanza strategica, ad esempio, con i Chicanos messicani.47 Una azione di

alleanza comune in un sistema ricco di situazioni coloniali, con moltissimi gruppi etnici

sottomessi alla madrepatria e inseriti in un sistema di parcellizzazione su scala nazionale, e

costretti ad aderire a leggi fatte da “yankees” e imposte alle comunità con la forza. Con la stessa

forza le Black Panthers vogliono ribellarsi, rifiutando tuttavia lo spontaneismo, per evitare di

disperdere preziose energie in lotte singolari che avrebbero come risultato quello di favorire il

gioco dell’imperialismo.48

Resta da chiedersi se l’ottica di liberazione nazionale delle Black Panthers sia solo un “prestito”

ideologico da movimenti di liberazione nazionale di ispirazione marxista, dal maoismo e dal

Vietnam di Ho Chi Minh o se se sia pienamente inserita in una logica di contestazione di

quell’imperialismo che del capitale viene inteso come parte fondante. Nella complessa questione

46 G. Marine, Op. Cit. p.47 47 Ibidem, p.122 48 Ibidem, p.198

Page 21: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

20

rientra anche il non secondario ruolo giocato dal razzismo, e i rapporti che esso determina nel

ciclo di produzione e sfruttamento della popolazione nera negli States e laddove è presente un

controllo di tipo coloniale in tutte le parti del mondo.

Alla domanda ha provato a rispondere il giornalista e scrittore Gene Marine, nel suo libro sulle

Pantere Nere. Marine contesta l’idea che una lotta al razzismo sia esplicabile solamente attraverso

lo spostamento verso una forma prettamente socialista di potere. Citando Mao e Che Guevara,

Marine si sposta al caso della Tanzania, un caso secondo lui emblematico per mostrare che la

lotta anticoloniale non deve essere per forza un qualcosa che debba terminare con “dei cittadini

desiderosi di sottomettersi alla guida politica di un commissario del popolo”;49 si cita il caso di

Julius Nyerere, leader politico della Tanzania che si prefigge l’obiettivo di mutare non solo gli

equilibri di stampo economico che gli anni di predominio bianco hanno portato al paese africano,

bensì tutta una serie di sistemi che regolamentano la vita del popolo in base a retaggi lasciati in

eredità dalla madrepatria colonialista.

Si parla di un mutamento qualitativo certamente più profondo di quello che secondo Marine è la

mera adesione ad un socialismo dottrinario, percorso che pure a Cuba si cerca, negli anni

Settanta, di intraprendere, slegandosi dalle ortodossie del mondo sovietico; lo stesso autore crede

che le Black Panthers conoscano Nyerere e la sua attività politica. Certo che Marine

evidentemente può essere influenzato dall’idea di socialismo, piuttosto manichea, che negli USA

trapela in quegli anni; è tuttavia riscontrabile come il caso della Tanzania possa essere

emblematico per risalire al mutamento di rapporti e retaggi che il colonialismo porta con sé e

soprattutto della risposta, più o meno variegata, che i movimenti di liberazione nazionale possono

via via dare al percorso di indipendenza del proprio paese.

Come tutto ciò si riflette realmente nell’opera delle Black Panthers? C’è da dire prima di tutto che

le forti critiche al riformismo portate dal partito nero, quel concetto di “vecchia minestra” nel

descrivere le alleanze che regolamentano la vita politica statunitense, con la dannosa (per la

condizione dei neri e le loro rivendicazioni) alleanza tra Democratici e Repubblicani negli anni del

Vietnam, si esplica, oltre che nell’azione di rivendicazione e difesa armata, anche in un percorso

che porterà le Black Panthers ad intraprendere un cammino politico, attraverso l’azione del Peace

and Freedom Party, il cosiddetto “quarto partito”, che guadagnerà l’appoggio politico delle

Pantere Nere.50.

Un partito che raccoglie le istanze di numerosi americani radicali, bianchi e neri, che sono delusi

dalle politiche compromissorie del più grande Partito Democratico. L’alleanza politica non manca

di scatenare grossi interrogativi da parte della base dei simpatizzanti delle Black Panthers; si parla

del rischio di strumentalizzazione, l’ennesima, da parte di politicanti bianchi ai danni di attivisti

neri, che verrebbero usati come carne da cannone elettorale per promuovere istanze di

cambiamento provenienti dai bianchi a scapito di quelle che invece provengono dai neri e che le

Black Panthers dovrebbero cercare di promuovere da sé, senza compromissioni con quell’agone

politico giudicato corrotto e funzionale al potere costituito.

Una critica di cui Cleaver si rende conto, e che egli analizza in maniera molto simile al

comportamento col quale i Tupamaros uruguayani parlarono rispetto al loro appoggio al Frente

Amplio:

“V’è chi, ponendo l’accento sulle necessità organizzative della comunità, considera l’organizzazione elettorale come qualcosa di

49 G. Marine, Op. Cit. p.247 50 Ibidem, p.124

Page 22: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

21

labile, che mira soltanto ad ottenere voti è che è destinata ad avere termine con le elezioni. Cleaver e i suoi non si nascondono il

peso di questi argomenti, e nel corso della campagna dichiarano chiaramente che un mutamento radicale non potrà mai avvenire

tramite la lotta elettorale, ma solo grazie ad un movimento popolare. Tuttavia essi ritengono che, in quel momento, una decisa

campagna elettorale può fungere da catalizzatore per più vaste lotte future.”51

Si può notare che la collocazione delle Black Panthers nei confronti dell’appoggio al potere

politico costituito qui è sostanzialmente uguale a quella che i Tupamaros ebbero con il Fronte in

Uruguay; premettendo che la via elettorale non è portatrice di risultati sostanziali per il

miglioramento della condizione dei neri e l’ottenimento delle rivendicazioni fatte, è tuttavia utile

per incrementare il consenso delle Pantere Nere, un consenso che sarà spendibile in azioni che

verranno promosse nella vita futura dell’organizzazione, che continuerà ad esistere e a

promuovere, parallelamente, la propria tipologia di lotta, beneficiando tuttavia della forza

catalizzatrice che le elezioni e le liste politiche possono offrire al movimento.

Un percorso che come abbiamo visto è comune a più gruppi, e che è lampante nel caso delle

Black Panthers.

Weather underground: portare la guerra a casa

Possiamo ora analizzare quello che è l’altro, importante gruppo armato che compare negli Stati

Uniti negli anni della grande contestazione, ovvero i Weather Underground. Un gruppo che,

come si noterà, vede nella sua genesi e nel suo percorso di crescita un parallelismo con le grandi

questioni e le tematiche sollevate dalle Black Panthers e dagli attivisti neri, ma pure con le grandi

questioni internazionali di cui spesso, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, gli

States diventano epicentro o, addirittura, causa scatenante.

Si deve proprio al controverso rapporto con le Black Panthers, infatti, il riot urbano che

nell’autunno del 1969 devastò Chicago, tumulto suscitato dai Weathermen e più in generale frutto

del tentativo di mettere in pratica, anche da parte bianca e da parte della middle class americana,

molti di quegli enunciati teorici che nella nuova sinistra che stava crescendo nel paese spesso

rimanevano parole su fogli di carta, e mai azioni di concreta protesta e rivendicazione, anche

violenta.52 Una critica alle posizioni della New Left che si innesta nella presa d’atto della situazione

internazionale, in cui i teoricismi della nuova sinistra ufficiale ma anche di molti gruppi radicali

non soddisfano le aspettative dei Weather Underground, che invece hanno intenzione di portare

ad un nuovo livello la lotta politica, di innalzare il livello dello scontro, portando il Vietnam a casa.

La necessità di un nuovo step nella procedura di contestazione deriva, anche in questo caso, dalla

repressione che i Weathermen hanno modo di notare nei confronti degli attivisti di altre

organizzazioni, a partire dalle ostilità che le Black Panthers incontrano nelle loro rivendicazioni e

alla brutalità della repressione statale, con omicidi spesso premeditati ai danni di attivisti. Anche la

successiva e fondamentale scelta della clandestinità deriva da questi fattori; emerge nei

Weathermen la coscienza che bisogna contrapporre, ad una repressione e ad un attacco statale

che non si fanno scrupoli ad utilizzare anche metodi illegali, una azione altrettanto violenta ed

illegale, clandestina, utile a colpire con velocità e sicurezza i gangli della reazione statunitense. 53

Per i Weather Undergound la rivoluzione socialista deve compiersi nello stesso processo che

porterà all’abbattimento dell’imperialismo americano, di cui non solo i Vietcong, i cubani e molti

altri popoli del terzo mondo sono vittime, ma che colpisce anche all’interno del proprio paese

51 G. Marine, Op. Cit. p.128 52 Weathermen, Op. Cit., p.5 53 Ibidem, p.15

Page 23: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

22

quelle fasce di popolazione che non sono rappresentate, ma che anzi vengono sfruttate e

perseguite, dal colonialismo yankee, in un colonialismo interno che si ricollega e approfondisce,

tracciando un solco lungo svariate direttrici, la coscienza di “colonia interna” che già abbiamo

visto nascere nelle Pantere Nere. Il lavoro di analisi storica dei Weathermen tuttavia ha il merito

di non fermarsi solamente alla condizione dei neri, ma analizza lungo tutto l’arco della storia

Statunitense, e più in generale occidentale, i percorsi di sfruttamento di cui tutte le minoranze

sono state vittime in suolo nordamericano. Così, il lavoro di filologia storica effettuato dai

Weather, si innesta e si arricchisce di tutti quegli elementi che la situazione internazionale degli

anni della loro attività offre, ponendo la questione dell’”attacco nel ventre del mostro” al centro

di un più ampio disegno di emancipazione dei popoli assoggettati all’interesse capitalista

americano.54

Vedremo ora come si esplica questa azione di collocamento internazionale ed analisi storica

all’interno del percorso politico dei Weathermen:

“i ragazzi sanno che oggi il gioco è fatto: la rivoluzione investe la vita di tutti noi. Decine di migliaia hanno imparato che proteste

e marce sono lettera morta. L’unica strada da seguire è quella della violenza armata” 55

Questa parte del primo comunicato dei Weathermen continua, poi, con citazioni sulla guerriglia

vietcong e tupamara, e con elogi per i primi rivoluzionari neri, come Eldridge Cleaver. E’ chiaro

anche in questo caso l’intento di proseguire una tradizione di rivoluzione e lotta armata che sta

investendo tutto il mondo, e che si innesta, negli Stati Uniti, in un percorso di prosecuzione e

rafforzamento di quelle che erano le istanze rivoluzionarie nere e delle Black Panthers; il rimando

alla guerriglia internazionale è usato nei Weather Underground anche in funzione legittimante nei

confronti della violenza armata e della guerriglia urbana; si cita in questo caso Marighella, dicendo

che “La ribellione della guerriglia urbana è il miglior modo per assicurare un sostegno pubblico

della causa che noi difendiamo”, una azione di guerriglia che viene promossa, alla quale possono

affiancarsi manifestazioni e raduni, ma in cui le azioni di questi ultimi debbono essere finalizzate

alla promozione della rivolta armata e della guerriglia, per evitare di rimanere sullo sterile piano

della lotta teorica, lasciando ai soli neri il peso dell’azione armata.56 La lotta armata, anche qui, è

vista come il momento iniziale dal quale può prendere le mosse un movimento molto più grande,

di massa, che contribuirà a distruggere il capitale e ad avviare la rivoluzione. L’esempio, o meglio

gli esempi ai quali si rifanno i Weathermen sono anche in questo caso molto chiari:

“Abbiamo fatto la scelta di diventare una organizzazione di guerriglia nel periodo in cui i vietnamiti stavano combattendo una

eroica guerra di popolo, stavano sconfiggendo mezzo milione di truppe americane e il potere militare tecnologicamente più

avanzato. Nel nostro stesso emisfero, Che Guevara incitava a creare uno, due, tre, molti Vietnam, per distruggere l’imperialismo

americano tagliando uno per uno i suoi tentacoli nel terzo mondo, e aprendo un altro fronte all’interno degli stessi Stati Uniti.

All’interno, la lotta e la ribellione del movimento nero di liberazione intensificavano il nostro impegno a combattere fianco a

fianco con i nemici più risoluti dell’impero. […] Siamo parte di una ondata rivoluzionaria provocata dalle lotte per la liberazione

dei neri, dalla morte del Che in Bolivia nel 1967, e dalla guerra di popolo nel Vietnam. Questo periodo storico ci ha convinti della

necessità rivoluzionaria di una organizzazione clandestina e della lotta armata”57

Una ondata rivoluzionaria che viene collegata anche ad Amilcare Cabral e alla lotta della Guinea

Bissau, in un appoggio da parte dei Weather Undeground alla riscoperta delle culture tipiche dei

54 Weathermen, Op. Cit. p.28 55 Ibidem, p.16 56 Ibidem, pp.17-23 57 Ibidem, p.43

Page 24: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

23

paesi sotto dominio coloniale; come nel caso delle Black Panthers, liberarsi dal giogo del

colonialismo significa soprattutto riappropriarsi di quelle che sono le caratteristiche tipiche della

tradizione del proprio popolo. L’esaltazione delle lotte nel terzo mondo è vista anche in

riferimento alla specificità statunitense, una lotta che non deve fermarsi però alla mera cacciata

dei colonialisti storici, ma deve pure proseguire in una presa d’atto della virulenza neocolonialista,

quella dell’imperialismo statunitense e del suo impero finanziario e militare. Il diritto

all’autodeterminazione è spinto ed incentivato anche all’interno del proprio paese. Vi è così un

elogio e una netta preferenza, da parte dei Weathermen, a favore di quegli stati che instaurano un

regime socialista, in grado di inserirsi in una interconnessa lotta contro le prepotenze e le mire

statunitensi. Di questa interconnessione nel socialismo mondiale si parla chiaramente nel caso

degli aiuti, ad esempio, che la Cina maoista offre al Vietnam e alla Tanzania. I Weathermen anche

in questo caso si pongono come una forza in grado di colpire da dentro il nemico statunitense,

comune a tutti i popoli rivoluzionari. L’intervento degli Stati Uniti nei paesi del terzo mondo è

esplicitamente definito un tentativo di fascistizzazione del terzo mondo, di cui la dottrina Nixon-

Kissinger è una chiara manifestazione. Una lotta quindi che si innesta, ancora una volta, tra la

fascistizzazione di un sistema capitalista ed imperialista, e il mondo socialista e rivoluzionario,

unito e libero contro il grande nemico a stelle e strisce.58

Sempre citando il caso del colonialismo portoghese in Angola e Mozambico, i Weathermen

accennano anche alle azioni della Brigata Rivoluzionaria portoghese, che pare agire con lo stesso

modus operandi dell’organizzazione clandestina statunitense; si parla ad esempio del caso di una

nave militare in partenza da Lisbona fatta esplodere proprio dalla Brigata Rivoluzionaria, una

organizzazione clandestina che opera anch’essa nel ventre del mostro, in questo caso quello del paese

europeo, per aiutare le lotte di liberazione che avvengono nelle colonie della madrepatria; una

madrepatria, quella portoghese, retta su di un regime fascista che fa della militarizzazione delle

proprie colonie il punto primo per lo sviluppo della sua logica imperiale. E’ incentivato in questa

maniera quel fronte di opposizione che si esplica non solo nella guerra diretta e in loco che le varie

organizzazioni come il Frelimo del Mozambico o l’MPLA angolano combattono contro il

colonizzatore, ma anche negli atti di guerriglia e sabotaggio che si possono effettuare nel fronte

interno, nel cuore della madrepatria. Una situazione molto simile a quella in cui si ritrovano ad

agire proprio i Weathermen, che con la loro azione di guerriglia vogliono emancipare una colonia

interna, quella nera, e promuovere il socialismo all’interno di una nazione che più di tutte, ora, fa

del capitalismo il suo modus vivendi, ovvero gli Stati Uniti.59

La situazione internazionale in cui i Weather Underground si innestano è corroborata da una

singolarmente ampia opera di rivalutazione storica del percorso degli States lungo tutta la loro

vita, dall’Indipendenza alla condizione attuale. Analizzeremo ora in cosa si esplica questo

revisionismo Weathermen, e quale contributo ideologico ha fornito alla causa underground.

Si è vista l’importanza, infatti, che per l’organizzazione assume la questione della colonia interna

nera, una questione letta attraverso gli scritti di Fanon e la fiorente letteratura anticoloniale che

negli anni dell’azione Weather investe il mondo, anche occidentale. Una azione coordinata negli

Stati Uniti permetterebbe ai neri di ottenere l’indipendenza dalla madrepatria statunitense,

perorando la causa della rivoluzione internazionale ai danni dell’imperialismo yankee;

imperialismo che tuttavia non viene presentato come caratterizzazione estemporanea e limitata di

58 Weathermen Op. Cit. p.160 59 Ibidem, p.166

Page 25: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

24

un paese che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha assunto il ruolo di nazione guida del

capitalismo globale; è un imperialismo che nasce e cresce fin dai primi atti di nascita degli States,

dalla tratta degli schiavi del Seicento passando dall’emancipazione delle tredici colonie

dall’Inghilterra alla situazione degli anni Settanta, contemporanea agli scritti Underground. Si

pone l’accento in particolare sul ruolo che il razzismo ha giocato nella nascita del sistema

economico statunitense, nella divisione che esso ha contribuito a creare tra lavoratori bianchi e

neri, con questi ultimi considerati inferiori all’essere umano e trattati come beni materiali di

proprietà dello schiavista; il razzismo è visto come uno dei motori principali dell’economia

capitalista statunitense, e la supremazia bianca nei confronti dei neri è arrivata pari passo alle

istituzioni americane odierne. I neri, nell’analisi storico-economica (per altro pregna di approcci di

tipo marxista) fatta dai Weathermen sono stati la forza lavoro sulla quale si è creato l’impero

economico yankee.

La stessa rilettura in chiave economico-capitalista si fa nel caso dei nativi americani e della loro

Resistenza verso l’invasore occidentale bianco; un tentativo di appropriazione delle terre indiane e

di schiavizzazione della popolazione pellerossa che sta alla base proprio del percorso di

indipendenza che gli Stati Uniti intraprendono nei confronti dell’Impero Britannico. Un percorso

di indipendenza necessario, secondo i Weather Underground, a permettere a colonialisti come

George Washington e Benjamin Franklin di proseguire l’espansione territoriale al di là dei monti

Appalachi, espansione che l’Inghilterra da canto suo aveva espressamente vietato. La trattazione

continua mettendo in luce la visione razzista che i Weathermen notano nell’approccio

statunitense verso i nativi, con le numerose guerre ai danni della popolazione indiana che

scuotono il continente americano lungo tutta la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Da

quando la Louisana fu acquisita dalla Francia, le razzie ai danni dei nativi si moltiplicarono, in un

esplicito tentativo di pulizia etnica o di riduzione in schiavitù di tutte le tribù che non si fossero

adeguate al dominio statunitense.60

Vi è poi una grande analisi della Guerra Civile Americana e dello schiavismo; in particolare nelle

trame che uniscono tentativi di profitto, di conquista territoriale unita alla riduzione in schiavitù

(con l’esempio della conquista del Texas). Vi è un elenco di tutte quelle azioni di sabotaggio e di

lotta che vanno a costituire la grande Resistenza antischiavista, una lotta fatta “di donne e di

uomini neri” che i Weathermen citano come esempio per la lotta dei neri di oggi; in particolare è

lampante la citazione di Frederick Douglas:

“quelli che ostentano di essere a favore della libertà e tuttavia deprecano i tumulti sono uomini che vogliono il raccolto senza

arare la terra. Essi vogliono l’oceano senza gli spaventosi ruggiti delle sue onde”61

Nell’opera di revisione storica la questione nera investe in particolar modo il periodo della guerra

civile americana, in cui si spiega come e quanto generali come Harriett Tubman e più in generale i

200.000 neri che hanno prestato servizio nell’esercito dell’Unione abbiano contribuito alla vittoria

delle forze nordiste, sia in termini di milizia armata che in termini di contributo produttivo dietro

le linee del fronte; un contributo essenziale, che ha permesso dopo la guerra di avviare quel

grande periodo di emancipazione e risveglio del popolo nero nel sud; è il periodo della

Ricostruzione, un periodo che i Weather Underground rivalutano fortemente, al contrario di

quello che secondo loro è un approccio interessato, quello delle scuole statunitensi e della “storia

60 Weathermen, Op. Cit. pp.102-105 61 Ibidem, p.112

Page 26: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

25

bianca” tesa a svalutare un periodo, quello della Ricostruzione, in cui nobili risultati sono stati

ottenuti grazie ad una diversa e più forte partecipazione della popolazione nera nella gestione

amministrativa; l’inserimento, ad esempio, di 250.000 bambini neri nelle scuole del sud dopo la

fine della guerra, con un 45% di insegnanti donne, sia bianche che nere, l’inserimento di una tassa

progressiva sul reddito, l’abolizione del carcere per debiti e la possibilità per i neri di essere eletti a

cariche politiche; il motivo per cui, secondo i Weathermen, la Ricostruzione è rimasta “fuori dai

libri di storia” va ricercata proprio nel suo carattere unificante, una Ricostruzione che ha

permesso a neri e bianchi di mettere da parte le antiche contrapposizioni incentivate dal capitale

bianco per provare a costruire una società realmente integrata. La reazione statale tuttavia non

tarda a farsi sentire; i piantatori del sud, penalizzati da questa situazione post schiavista, ottennero

la rimozione delle truppe federali del nord nei loro territori, e i lavoratori bianchi e neri che della

Ricostruzione erano diventati i grandi protagonisti videro ritornare, in tutto il sud, il flagello dei

proprietari, che, senza più una forte sorveglianza da parte dello stato centrale ritornarono così, col

benestare del capitale del nord, a dettare legge negli ex territori confederati. Anche il Ku Klux

Klan in questa rilettura diventa il braccio armato del razzismo funzionale al capitale, i cui attacchi

terroristici mirano a ricreare quella sostanziale frattura tra l’unità dei lavoratori e delle masse, in

base a discriminazioni razziali; le truppe del nord, richiamate negli stati unionisti, andranno a

rafforzare quella che sarà la campagna di annientamento degli Stati Uniti nei confronti delle

popolazioni indigene lungo tutto l’arco della fine dell’Ottocento. Una sorta di tradimento quindi,

una Ricostruzione tradita che dopo le grandi promesse e le premesse dell’immediato post-conflitto

bellico, lascia lo spazio ai grandi interessi latifondisti e capitalisti delle elites dominanti, che

continueranno ad incentivare la segregazione razziale e lo sfruttamento. 62

Una sorta di colonialismo interno, a danno dei lavoratori, che poi lungo tutto l’arco della storia

statunitense si espande, diventando, negli anni Sessanta e Settanta, quel neocolonialismo

proiettato verso l’esterno che i movimenti rivoluzionari cercano di abbattere; l’analisi della

situazione odierna parte anche dall’Uruguay, in cui il latifondo e i grandi proprietari terrieri

vengono manipolati e incentivati, a tutto vantaggio dei gruppi dominanti degli Stati Uniti e a

svantaggio della massa operaia. Un appoggio che si esplica anche attraverso il rafforzamento in

loco di forze militari e reazionarie, o apertamente fasciste, come il caso di Banzer in Bolivia e

Pinochet in Cile. E’ l’eterno ritorno del fascismo come arma del capitale, che anche nell’analisi

degli Underground ha un ruolo primario nella decodificazione del neoimperialismo statunitense,

che si preoccupa di finanziare e incentivare derive autoritarie nei paesi del Sudamerica e del Terzo

Mondo per permettere l’arricchimento delle gerarchie capitaliste. Un fascismo che è stato

applicato sia alle colonie interne dei neri, dei chicanos e degli indiani e sia alle colonie esterne,

quelle del terzo mondo, un fascismo che, seguendo Fanon, viene visto come depauperante,

infantilizzante, un fascismo coloniale che impedisce e anzi combatte ogni tentativo di

emancipazione delle popolazioni soggette, e che si serve del razzismo per impedire una presa di

coscienza, da parte dei popoli delle colonie, della loro umanità e del loro diritto

all’autodeterminazione.63

L’analisi del neocolonialismo continua con la trattazione del caso palestinese, e la definizione di

Israele come “colonia colonizzatrice”. Uno stato che riceve ingenti aiuti da parte statunitense e

che si occupa di difenderne gli assets e gli interessi, rendendo i palestinesi un “popolo senza terra”,

62 Weathermen, Op. Cit. pp.115-116 63 Ibidem, p.227

Page 27: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

26

in una somiglianza con i nativi americani che viene fatta subito notare. Un paese, Israele, che

similmente agli Stati Uniti trova nella sua stessa genesi un momento di usurpazione, con la messa

in pratica dell’ideologia sionista e la progressiva, sistematica conquista di terre ai danni dei paesi

arabi confinanti. E’ lo stesso Theodore Herzl, fondatore del sionismo moderno, a definire il

sionismo una forma di imperialismo, che ora trova piena realizzazione, seguendo gli schemi dei

Weathermen, nello stato di Israele, che non solo si occupa di colonizzare le terre mediorientali,

ma foraggia le dittature fasciste alle quali si accennava prima, inserendosi pienamente nel disegno

di dominio globale imperiale degli States. Ecco che anche da questo punto di vista i Weather

Underground non mancano di fornire il loro appoggio all’Organizzazione per la Liberazione della

Palestina e al suo disegno di indipendenza, contro il sionismo di quello che, seguendo la logica del

gruppo armato statunitense, si può chiamare “il figlio del mostro”, ovvero lo stato di Israele.64

La rilettura della storia statunitense dei Weathermen è quindi funzionale a ricercare le radici del

contemporaneo disegno imperialista che gli Stati Uniti esercitano nel mondo, e anche per

ricercare quelle che sono state le lotte che via via vi si sono contrapposte, dalla Resistenza nera

allo schiavismo, alla fase della Ricostruzione, fino ad arrivare ad oggi, con i casi dei Vietnam

africani di Guinea Bissau, Angola e Tanzania, al caso palestinese, ma anche ai numerosi casi interni

che scuotono la vita degli Stati Uniti, gli attacchi dinamitardi agli uffici dell’Agency for

International Development e al Pentagono da parte degli stessi Wheatermen, ma anche quelli dei

chicanos nei barrios, per rispondere alla violenza poliziesca, con ordigni collocati presso le

principali sedi di polizia o contro filiali di corporations statunitensi65, sulla scia, come abbiamo

visto, di ciò che è avvenuto anche nel Portogallo fascista. Una guerra interna che serve a fiaccare

la capacità operativa dell’imperialismo, una guerra dal carattere esemplare che si mostra anche

nell’azione armata stessa, ritrovando lo stesso carattere pedagogico che fin qui abbiamo visto

animare tutti i gruppi armati presi in questione; azioni armate che devono essere facilmente

comprensibili al popolo, scuotendone la coscienza ed elevandone l’impegno.66 Così come la

guerra interna e la guerra esterna devono viaggiare di pari passo per colpire il nemico comune, le

caratteristiche di alienazione della società capitalista sono riscontrabili anche nella madrepatria, e

sono queste caratteristiche che l’azione dei Weathermen devono far emergere nitidamente,

mostrare al popolo per quello che esse sono. Ci si può chiedere se vi fosse spazio, in questa

critica radicale dei Weather Underground, per una azione riformista, oppure se per loro quella

fosse una società da distruggere totalmente.

La critica radicale dei Weathermen al sistema politico statunitense si struttura anche in una

contestazione nei confronti degli approcci che si possono avere nell’analisi della situazione

statunitense; in particolare l’appoggio radicale alle lotte anti imperialiste che stanno sbocciando

nel mondo si esplica in una critica a quell’economicismo che può potenzialmente far distogliere

l’attenzione dalle condizioni di sfruttamento che svariati popoli vivono, all’interno e all’esterno

degli Stati Uniti; un economicismo che, in nome di migliorie nel trattamento economico delle

masse lavoratrici, di una situazione di buon potere d’acquisto e di benestare patrimoniale dei

lavoratori americani può far ottenere al sistema l’obiettivo principale dell’imperialismo, ovvero

quello di frazionare il livello della lotta, servendosi di un riformismo che altro non è che un mero

specchietto per le allodole, capace di attirare consensi verso una distratta idea di sinistra, quando

la solita vecchia minestra delle alleanze americane tesa a garantire la supremazia globale degli States

64 Weathermen, Op. Cit. pp.174-176 65 Ibidem, p.201 66 Ibidem, p.45

Page 28: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

27

non fa altro che venire riscaldata per essere riproposta sotto forme apparentemente diverse. E’

questa critica al riformismo che fa dei Weathermen un movimento prettamente radicale ed

esterno a logiche politiche di tipo riformista. Dei riformismi in particolare si criticano gli aspetti

più mainstream, da uno sterile richiamo al pacifismo, alla sempre ostentata volontà di rimanere

“all’ombra della bandiera”, effettuando cioè superficiali cambiamenti alla facciata di un palazzo

che rimane sempre lo stesso nelle fondamenta, e i cui già insufficienti tentativi di modifica

vengono presentati in una maniera ritenuta ipocrita, per non turbare troppo quel popolo

americano che nel sistema statunitense vede un modello positivo.

Riformismo che si innesta in particolar modo nelle società economiche multinazionali che, pur

continuando a perpetrare una forte azione di sfruttamento coloniale, cercano di darsi una facciata

progressista, quasi tesa alla tutela del benessere dei popoli assoggettati e sfruttati; capita questo ad

esempio con la Polaroid, che dietro a salari più alti rispetto a quelli delle aziende locali, per i

lavoratori africani coinvolti nel suo processo produttivo, maschera guadagni per l’azienda molto

più alti, fruttati attraverso la delocalizzazione e lo sfruttamento in loco di manodopera. Un

meccanismo che coinvolge appieno questo Stato Imperialista delle Multinazionali che, nato alla fine

della seconda guerra mondiale, si preoccupa di esportare nel Terzo Mondo le sue filiali,

aumentando da un lato lo sfruttamento della manodopera indigena, dall’altro i guadagni per le

ricche corporations, che venderanno poi i loro prodotti negli USA e in tutto il mondo

occidentale. Uno sfruttamento travestito di progressismo, che in questo caso diventa un mero

inganno.67

La critica Weather del sistema statunitense non salva assolutamente niente, e i riformismi atti a

salvarlo o a tentare di giustificarlo, altro non sono che un qualcosa che svilisce i veri moti

rivoluzionari utili a modificare profondamente le dinamiche capitaliste; un riformismo che è

nemico della lotta rivoluzionaria.68 Un riformismo che sta alla base del fallimento del progetto del

Partito Comunista Americano, che svilendo quella che doveva essere la vocazione rivoluzionaria

di un partito comunista, si è fondamentalmente stretto nella morsa dell’economicismo funzionale

al sistema da una parte, e la mancanza di un appoggio alla vera rivoluzione socialista, che stava

imperversando negli altri paesi nel periodo della sua genesi, dall’altra. Un partito comunista

beninteso che seguirà la deriva del Congress of Industrial Organizations (CIO, la confederazione

sindacale americana) in funzione prettamente padronale anche durante gli anni della seconda

guerra mondiale, quando il CIO arriverà a non incentivare scioperi, a lavorare prettamente in una

ottica di interesse nazionale, un sindacato quindi che nascondendosi anch’esso dietro la bandiera,

arriverà, dopo anni di gloria e ottime rivendicazioni, a fondersi in posizioni, secondo la lettura

Weather, totalmente concilianti con la finanza e i grandi proprietari industriali. Un CIO che

arriverà addirittura a partecipare a quella grande caccia alle streghe anticomunista che sarà il

leitmotiv della politica americana negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo

conflitto bellico mondiale, e che contribuirà definitivamente a far spegnere qualsiasi istanza

rivoluzionaria e antisistemica del sindacalismo del CIO da una parte e del Partito Comunista

Americano dall’altra.

Ecco che anche in questo caso il profondo dissenso verso l’alleanza a fronti riformisti viene fatta

coincidere con una analisi particolareggiata della storia dei movimenti sindacali e comunisti

americani, i cui errori sono esposti molto precisamente, come cartine al tornasole di una

67 Weathermen, Op. Cit. p.144 68 Ibidem, p.60

Page 29: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

28

impossibilità tattica, da parte loro, di essere strumenti a favore della rivoluzione, rivoluzione che i

Weathermen invece abbracciano e incoraggiano. 69

Se come abbiamo visto finora il “nascondersi dietro alla bandiera”, con cui forze apparentemente

schierate a favore di un profondo mutamento del sistema americano rivelano invece la loro

sostanziale collusione con le logiche che reggono la finanza statunitense, ecco che da parte dei

Weathermen, al contrario, vi è pure una rinuncia esplicita al concetto di nazione americana intesa

come nazione unitaria; una critica che collegandosi alla questione nera, fa della rivoluzione interna

un mezzo che contesta anche i confini stessi e l’identità nazionale americana, riprendendo ed

approfondendo le tematiche delle Black Panters.

La differenza sostanziale coi Tupamaros sta in questo: mentre i guerriglieri uruguayani lottano

celebrando il concetto di nazione, di patria, di storia nazionale e liberazione passata, i

Weathermen del concetto di nazione non sanno che farsene; per loro non vi è una nazione

americana ma vi sono molti popoli senza bandiera costretti in un contenitore amministrativo

coercitivo, che trattiene o ha trattenuto, nella sua storia, un sacco di popolazioni assoggettate

dentro il suo ventre, che ora vanno aiutate nel loro percorso di emancipazione, e se necessario, di

secessione; un percorso di indipendenza nera di cui a suo tempo si rese conto anche il

Communist Party, in quello che viene definito un suo “sprazzo di luce”. Un percorso che parlava

apertamente di secessione, un percorso fermatosi tuttavia davanti alla mancata capacità di

analizzare a 360° tutte le forme di cultura che si stavano creando all’interno dell’impero e che

chiedevano voce negli anni del CPUSA; un percorso di valorizzazione del concetto di autonomia

e secessione che i Weathermen riprendono e radicalizzano nel momento in cui il Communist

Party smette non solo di farsi portavoce di queste istanze, ma smette di essere una forza politica

rivoluzionaria. Anche qui quindi è riscontrabile una continuità, che cerca di innestarsi nel solco di

una questione molto importante, quella della distruzione dei legacci dell’impero da dentro,

minando alla base il concetto stesso di bandiera e di nazione unitaria, per favorire la nascita di

molti nuclei rivoluzionari attraverso un percorso di autodeterminazione di tutte quelle etnie

costrette nel contesto USA. Secessione e percorso rivoluzionario che non devono avere la pretesa

di essere univoche e di camminare pari passo, ma che devono favorire quelle che possono essere

le avanguardie che via via emergeranno:

“autodeterminazione significa il diritto di un popolo oppresso di impadronirsi ed organizzare il suo futuro e il futuro dei suoi

figli. Noi sosteniamo il diritto all’autodeterminazione del popolo nero e del popolo del Terzo Mondo, compreso il diritto alla

separazione. Non c’è niente di inviolabile e certamente niente di storicamente giusto nell’attuale governo dei cinquanta stati o

negli attuali confini degli Stati Uniti. Ritenere, come alcuni fanno, che la liberazione debba essere subordinata al proletariato

industriale o alla rivoluzione socialista degli interi Stati Uniti, è falso e razzista. In pratica, questa posizione pretende che il popolo

nero aspetti, che rispetti i temi della nazione degli oppressori per la liberazione. Ignora che l’impero può essere annientato in vari

modi da guerre e occupazioni, da ribellioni di colonie esterne e interne, dalla disintegrazione e dal marciume interno”70

Una avanguardia nera che peraltro si inserisce anche nel disegno repressivo che lo stato centrale

infligge agli attivisti attraverso le carceri, spingendo, di conseguenza, numerosi detenuti alla

creazione di “centri di Resistenza”, gruppi di lavoro culturale e di educazione politica che

permettono, anche in carcere, di proseguire il lavoro di emancipazione rivoluzionaria promossa al

di fuori.71

E’ in questo che sostanzialmente differisce, seppur nelle analogie presentate, il percorso della

69 Weathermen, Op. Cit. p.135 70 Ibidem, p.197 71 Ibidem, p.194

Page 30: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

29

rivoluzione e dei gruppi armati negli Stati Uniti rispetto a quello che avviene coi Movimenti di

Liberazione sudamericani, a partire dai Tupamaros; mentre questi ultimi esaltano lo spirito

nazionale in una ottica di liberazione da un invasore esterno, non mancando di recuperare quelli

che nella storia sono stati gli episodi cardine di emancipazione e liberazione (come il caso di

Artigas) ecco che negli States, la lotta rivoluzionaria si esplica al contrario negando il valore

nazionale dello stato centrale, che a sua volta è sfruttatore e colonizzatore di popoli innestati

all’interno dei cinquanta stati, e che storicamente, pur avendo culture ed origini diverse, si

ritrovano a fare una lotta intestina nel ventre del mostro. Una ottica nazionale che in un certo

senso viene pure ripresa ma non certo dando valore alla bandiera americana, una bandiera di

sfruttamento imperialista, bensì coltivando lo spirito nazionale insito nei vari gruppi soggetti al

governo di Washington. Così non sono gli USA a doversi liberare, in un unico momento, tramite

una unica azione, con una stessa tempistica, dei gangli dell’impero, bensì vi deve essere una

azione di distruzione dell’identità nazionale intesa come identità statunitense, un conflitto contro

il fascismo perpetrato all’interno, nei ghetti-nazione, con forze di occupazione che vanno

ricacciate fuori e che non vanno riconosciute. Ecco quindi una frammentarietà molto più forte

rispetto alla liberazione nazionale uruguagia, derivata anche dal fatto di non lottare contro un

nemico esterno, bensì contro un sistema interno, un sistema che va delegittimato fin dalla sua base e

dalla sua origine, e il metodo migliore è essenzialmente quello di negarne l’autorità politica fin dal

percorso della sua nascita come stato-nazione, mettendone in luce tutti gli aspetti defraudatori e

imperialisti.

Abbiamo visto fin d’ora quali sono i principali gruppi di azione rivoluzionaria che agitano il

panorama internazionale e quali sono gli eventi che in maniera più forte fanno sentire la loro voce

anche nel mondo occidentale ed europeo lungo tutti gli anni sessanta e settanta. Un percorso che

parte da lontano e che ha nella Rivoluzione Cubana la sua genesi, per quanto riguarda lo sviluppo

dei movimenti di liberazione, e che continua con l’analisi della situazione interna negli States, con

la contestazione universitaria e la guerra del Vietnam, esplicando una serie di interrogativi su tutto

il percorso storico e politico che l’imperialismo USA ha generato e continua ad incentivare. Un

momento di grossa riflessione e contestazione, contestazione che investe tutti gli aspetti della vita

civile e sociale dei paesi coinvolti, in una riscoperta del concetto di nazione, di rivoluzione e di

rapporti economici. Deriverà da questa contestazione il tentativo di cambiare profondamente la

situazione interna ed internazionale, anche attraverso l’uso delle armi e la creazione di movimenti

di guerriglia. Vedremo ora come questa onda lunga di contestazione e le forme di resistenza da

essa concepite si esplicheranno in Europa, in particolar modo in Italia, attraverso personaggi o

gruppi armati che sono ben a conoscenza, come tutti quelli che abbiamo analizzato finora, della

situazione internazionale e del divenire storico in cui la loro azione si innesta. Analisi che non può

prescindere dalla trattazione di uno dei personaggi più emblematici della storia della lotta armata

italiana ma anche europea, Giangiacomo Feltrinelli, l’editore guerrigliero che più di tutti, attraverso

l’opera di divulgazione della sua casa editrice, si è preoccupato di far arrivare nel vecchio

continente, e di dare voce internazionale, a tutte le lotte, gli sconquassamenti e le rivolte che

agitavano il mondo coloniale e non nei decenni immediatamente successivi al secondo conflitto

mondiale. Un percorso che lo porterà in prima persona, come vedremo, a farsi carico di questa

necessità di rivolta e di forte cambiamento, e alla creazione di un suo movimento guerrigliero, per

cercare di portare un po’ di Vietnam anche nell’Italia degli anni Settanta, l’Italia della DC e delle

bombe.

Page 31: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

30

Capitolo 2, Giangiacomo Feltrinelli: editore guerrigliero, editore antifascista.

In questo capitolo tratteremo più a fondo la vicenda biografica di un personaggio che costituisce

un validissimo esempio di come gli echi e le retoriche rivoluzionarie del mondo degli anni

Cinquanta, Sessanta e Settanta del Novecento arrivino anche in Italia. Importante sarà

specialmente il ruolo di divulgazione dell’anti imperialismo che la sua casa editrice ricoprirà,

andando a dar voce a tutti quei movimenti e a quegli uomini che nel panorama internazionale si

sono impegnati per cercare di promuovere da un lato la liberazione dal giogo statunitense, e

dall’altro il trionfo della rivoluzione socialista. Un ruolo singolare quello della casa editrice

Feltrinelli, che grazie anche a scelte fortunate e molto azzeccate dal punto di vista del mercato,

riuscirà ad ispirare una gran quantità di giovani, aderenti e non a movimenti organizzati, rispetto

ad un mondo, quello delle guerriglie nel Terzo Mondo, fino ad allora visto come lontano e capace

di essere letto nelle metropoli italiane solamente attraverso gli occhi sonnolenti di una stampa di

sistema.

Una vicenda, quella di Feltrinelli, che comincia in giovane età, che si forgia nel ricco ambiente

familiare e nella opulenta tradizione industriale di una delle famiglie di spicco della finanza

europea, un ruolo, quello dell’editore, che spesso ricorderà quello di una pecora nera, di una

persona perennemente a disagio con il proprio ambiente di estrazione, un disagio evidente nel

difficile rapporto con la madre, che condizionerà gran parte della sua vita. Un rapporto che se da

un lato gli offrirà evidenti vantaggi e benessere, dall’altro sarà continua fonte di discriminazione in

quegli ambienti di sinistra radicale e rivoluzionaria in cui Feltrinelli tenterà di inserirsi, con alterne

fortune e con contributi alla causa, in termini economici, spesso sostanziosi.

Quel che è certo è, che nella vicenda storica di Feltrinelli, vi è un aspetto rintracciabile fin dagli

esordi della sua attività politica e che lo accompagnerà fino alla morte, e stiamo parlando del

rapporto con il fascismo e l’antifascismo. Un antifascismo, quello feltrinelliano, quasi viscerale,

con punte di paranoia ed esagerazione anche piuttosto notevoli. Un antifascismo assorbito fin da

bambino, fin quando nelle residenze estive in cui con la famiglia andava in vacanza, si divertiva ad

ascoltare le storie degli anziani socialisti e comunisti di paese, che non mancavano di istruirlo su

ciò che lo squadrismo in Italia aveva saputo fare. Per stessa ammissione del Feltrinelli è da queste

storie che ha inizio il suo socialismo, storie che più avanti lo porteranno ad intraprendere pure la

strada della Resistenza, ad intraprendere quella via delle montagne che forse nel suo caso, più che

una perfetta adesione ad una guerra partigiana,72 è stata un moto di ribellione più di quanto lo fu

per altri, una ribellione verso il proprio status, le proprie origini e il proprio marchio di

ricchissimo figlio della crema della società. Un mito tuttavia, quello della Resistenza, che in

Feltrinelli rimarrà per tutta la vita, contrapposto all’altro mito, negativo, quello del fascismo, in

una sorta di eterno dualismo mitico e antimitico tra il buio del pericolo dittatoriale e la speranza

che un dato periodo storico aveva saputo instillare; speranza che non mancò, per molti, di essere

tradita, sospesa, rinviata, già a pochi mesi dalla fine della guerra di Liberazione. Ecco la nascita di

gruppi armati che tenteranno, lungo un crinale spesso sanguinoso, di continuare una Resistenza

intesa come rovesciamento del sistema capitalista, per portarne a compimento ideali che

l’avevano, nel cuore di chi l’aveva combattuta, animata e rinfocolata, contro “i soprusi di tutta la

reazione” di cui parla uno di questi gruppi, la Volante Rossa, nelle numerose canzoni che

72 A. Grandi, Op. Cit. pp. 109-112

Page 32: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

31

nell’immediato dopoguerra si odono ancora per l’Italia.73 Ecco che fiorisce il mito degli arsenali

nascosti, in attesa di chissà che cosa, forse della ripresa di un conflitto che aperto non sarà mai,

ma che sarà sotterraneo e in seno alla società.

Analizziamo ora in maniera più particolare i tratti salienti di questa biografia, cercando di far

notare quelli che sono i contributi maggiori che Giangiacomo Feltrinelli ha fornito allo sviluppo

di una ideologia (nonché di una pratica) guerrigliera e rivoluzionaria ai vari gruppi di lotta armata

italiana.

I) La casa editrice Feltrinelli, divulgazione e rivoluzione

La Feltrinelli Editore nasce a Milano, in via Andegari 6, nel 1954; un periodo, quello degli anni

Cinquanta, molto effervescente per l’Italia tutta ma in particolare per il capoluogo lombardo,

centro di produzione e distribuzione artistica, con Brera e le numerose gallerie, suggello culturale

di una effervescenza anche economica, quella del boom italiano, e della rinascita in grande stile di

un paese ora proiettato su un mercato di dimensioni globali. Un periodo in cui anche l’editoria,

dopo i travagliati anni del fascismo e della guerra, riprende il suo slancio culturale, con la rimessa

in commercio di edizioni popolari e tascabili come quelle della Colip. L’avvio di un lavoro

editoriale da parte di Feltrinelli era cominciato già prima del 1954, con la creazione della

biblioteca e dell’istituto Feltrinelli, due creazioni che si preoccupavano di raccogliere, in giro per

l’Europa, il grande patrimonio di storia operaia, marxista e proletaria che con i fascismi e la guerra

era stato accantonato, o peggio smarrito; biblioteca e istituto che, con un patrimonio archivistico

e documentario messo assieme da Giangiacomo Feltrinelli e da suoi collaboratori come Giuseppe

Del Bo e Franco Ferri, che permise a intere generazioni di giovani socialisti e comunisti di

formarsi sulle letture del primo Manifesto di Karl Marx e su un grande fondo storico letterario che

abbracciava tutta l’opera di divulgazione e catalogazione che dal Settecento aveva interessato

l’Europa e il mondo occidentale.74

Volontà di divulgazione che è alla base anche della più recente casa editrice di Via Andegari, una

divulgazione però spostatasi su scala mondiale, e non è un caso se l’esordio avviene, tra gli altri,

con un volume autobiografico di Pandit Nehru e con Il flagello della svastica di Lord Russell; due

testi simbolo, di quelle che saranno le direttrici della vita della casa editrice e della vita del suo

proprietario, l’internazionalismo e l’antifascismo. Il successo via via crescente di una casa editrice

capace di portare in Italia innovazioni d’oltreoceano, come le biblioteche dotate di juke-box e

concepite non più come mero deposito di libri, ma come fenomeno di intrattenimento,

permisero, anche grazie ad azzeccate scelte editoriali, di far ottenere all’editore un rapido

successo, nonché una grande visibilità di pubblico. Continuano così pubblicazioni su Imre Nagy,

Majakovskij, Lenin ed Osamu Dazai. Ma si esplica qui soprattutto la grande simpatia di

Giangiacomo Feltrinelli verso i movimenti di liberazione come quello algerino. Algeria Fuorilegge

dei Jeanson, La Rivoluzione Algerina di Franza, Gli algerini in guerra di Darbois e Vigneau sono solo

alcuni esempi della vicinanza, anche editoriale, che il Feltrinelli provava con la lotta del popolo

nordafricano. Vicinanza, tra l’altro, espressa pure in un appello a numerosi intellettuali su diverse

testate nazionali:

“Da sette anni le forze conservatrici francesi conducono una guerra spietata contro il popolo algerino. […] le forze colonialiste,

per difendere i loro interessi economici contro ogni interesse del popolo francese, tendono ad aprire le porte al fascismo e alla

73 A. Grandi, Op. Cit., p.145 74 Ibidem, pp.150-153

Page 33: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

32

dittatura militare. Calpestate le tradizioni illuministe e democratiche, le forze conservatrici e alcuni circoli militari francesi

rappresentano una minaccia alla democrazia, un focolaio di intrighi contro le forze democratiche e progressiste in Europa.”75

Ecco che in Feltrinelli, già nella sua azione editrice, si manifestano quelle che saranno le sue

principali preoccupazioni nel divenire politico della storia europea ed italiana in particolare; la

connivenza tra interesse capitalista ed azione militare, e la persistenza di quel “focolaio di

intrighi” alle spalle dei governi, che altro non è se non la proiezione di un golpe futuribile, un

golpe che possa attentare alla saldezza di istituzioni democraticamente elette. Una denuncia

questa estesa a tutto il gollismo francese, che come vedremo ritornerà negli echi ideologici di

numerosi movimenti, anche armati.

Oltre alla questione algerina vengono trattati con particolare importanza ed attenzione anche ad

opere che al primo sguardo non sarebbero parse adatte ad una pubblicazione di stampo

antifascista, come quelle di Yukio Mishima, ma che rientrano sostanzialmente in una forma di

recupero del patrimonio della tradizione nazionale, a discapito della coercizione imperialista, che

viene fatta propria da numerosi movimenti di liberazione nazionale, e ai quali Feltrinelli da’ voce

attraverso l’opera della sua casa. Una attenzione per i movimenti di liberazione del Terzo Mondo

che sarà forte nell’opera di divulgazione libraria dell’azienda milanese, meno nel Partito

Comunista Italiano, al quale il Feltrinelli è iscritto ma sempre rimproverandogli una mancanza di

ascolto per delle lotte che, invece, andrebbero supportate, con il PCI che spesso ricambia

l’editore con aperta ostilità, come nel caso della pubblicazione de Il dottor Zivago di Boris

Pasternak, un libro che incrinerà in maniera sostanziale i già tesi rapporti tra nomenclatura

comunista e casa editrice.76

Va da sé che i contenuti dei testi pubblicati spesso erano qualcosa di assolutamente nuovo per il

mercato italiano, ed alcuni di essi non mancarono di scatenare critiche e censure; è il caso ad

esempio di Ultima fermata a Brooklyn, un racconto nudo e crudo della drammatica condizione

umana nella metropoli, quella metropoli imperialista figlia del capitalismo in cui ogni granello di

umanità pare perdersi. Ed è anche attraverso questa critica e questi racconti che traspare la

profonda volontà di mutamento che Feltrinelli auspica, e per il quale si spenderà in prima

persona, basti pensare all’avventura cubana del Feltrinelli, con la pubblicazione nel ’67 di

Liberazione o morte di Camillo Torres e soprattutto dei Diari del Che, tradotti a Cuba nel 1967 e

pubblicati in Italia con in copertina la famosissima fotografia di Guevara fatta da Alberto Korda.

A dire il vero a Cuba Feltrinelli ci andò, editorialmente parlando, per cercare di creare delle

Memorie di Fidel Castro, ma complici i numerosi impegni del leader cubano, il progetto non

verrà mai portato a termine. In compenso, i soldi derivati dalle vendite dei Diari verranno

devoluti a favore dei movimenti di guerriglia sudamericani.77

Un caso, quello dell’editoria militante, non limitato solo all’Italia, dato che presto l’esempio di

Feltrinelli verrà ripreso anche altrove, specialmente in Francia, con il caso della libreria Maspero;

il ruolo di queste case editrici talvolta era anche quello di divulgare materiale di guerriglia pratica,

istruzioni sul confezionamento di ordigni, bombe molotov, ecco che ad esempio per questo

motivo la libreria Maspero fu fatta chiudere.78

75 A. Grandi, Op. Cit. p.242 76 Ibidem, p.198 77 Ibidem, p.340 78 Ibidem, p.394

Page 34: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

33

II) Feltrinelli e il caso sardo: i Vietnam del mondo e le Cuba del Mediterraneo

Nella sua azione editoriale prettamente votata alla divulgazione e al supporto delle lotte di

liberazione internazionale, Gian Giacomo Feltrinelli avrà modo di imbattersi e percorrere,

assieme ad altri personaggi dell’ambiente comunista e rivoluzionario italiano, una pista piuttosto

singolare di applicazione di certune ideologie di liberazione, frammiste a istanze di tipo

indipendentista e autonomista che anche in Italia serpeggiavano. Nel “considerare il mondo come

una unica città” concetto fatto proprio dall’editore, si può notare come stimoli di questo tipo,

ovvero il mescolare lotte per l’indipendenza nazionale o la secessione con ideologie di tipo

marxista o rivoluzionario, stessero già imperversando nel mondo ma in particolare in Europa,

lungo tutto l’arco degli anni Sessanta e Settanta, con i casi ad esempio dell’ETA basca e dell’IRA

nordirlandese che più in generale fanno della rivendicazione territoriale dal punto di vista

geografico e politico un modo per promuovere anche visioni di tipo socialista ed egualitario della

società, in direzione anti imperiale e anti coloniale.

Lo stesso approccio si può notare nell’opera che Feltrinelli cercherà di promuovere in Sardegna.

Sulla scorta del suo soggiorno cubano egli incentiverà una serie di analisi atte a valutare se il

fenomeno del banditismo sardo fosse collegabile a tentavi di separatismo nell’isola. Una analoga

inchiesta verrà commissionata da Feltrinelli a Saverio Tutino per quanto riguarda la situazione

siciliana. Dice Tutino:

“Feltrinelli mi diceva che bisognava fare come a Cuba, come aveva fatto Fidel Castro, avere un gesto di volontarismo

rivoluzionario nel senso di muovere qualcosa che poi portasse alla fondazione di un grande movimento che doveva andare dalle

campagne siciliane alla classe operaia milanese passando per la Sardegna. Mi mandò in Sicilia per vedere quanto ci fosse, nelle lotte

dei braccianti, di potenzialmente eversivo […] della Sicilia mi disse che era il terreno da cui poteva scaturire un movimento tipo

Tupamaros. Questi agivano in città, a Montevideo, in Uruguay, però erano nati nella zona bracciantile dei tagliatori di canna da

zucchero.” 79

Oltre a questo, Feltrinelli sembra abbia avuto un ruolo nel rifornimento di armi a Graziano

Mesina e alla sua banda, in una frequentazione nell’isola mediterranea che l’editore continuerà

lungo tutta la fine degli anni Sessanta e che avrà in Francesco Masala ed Eliseo Spiga, comunista

dissidente, i suoi agganci per provare a sviluppare un progetto rivoluzionario sardo. Va detto che

in Sardegna l’esempio cubano era forte indipendentemente dall’aiuto che poi Feltrinelli può aver

fornito a questi personaggi nell’approfondire una certa idea rivoluzionaria e secessionista, in uno

scenario in cui comunque istanze separatiste si registravano fin dall’inizio del secolo. Il Partito

Sardo d’Azione ad esempio è sempre stato permeabilissimo alla retorica della “Cuba del

Mediterraneo” poi perseguita anche da Feltrinelli; Antonio Simon Mossa ad esempio, segretario

provinciale del partito, era solito firmare i suoi articoli con lo pseudonimo di “Fidel”.80

Giuliano Cabitza invece, si è reso autore di un manoscritto, edito Feltrinelli, intitolato “Sardegna:

rivolta contro la colonizzazione”, e sarà tuttavia il primo a smentire la presunta connessione che

vi sarebbe tra l’istanza rivoluzionaria e il banditismo sardo, quest’ultimo letto non tanto come un

tentativo di rovesciare un mondo esistente per crearne uno nuovo, bensì come tentativo di far

sopravvivere un sistema, quello arcaico e pastorale della Sardegna, che poco ha a che fare con

movimenti di stampo marxista o castrista di tipo novecentesco. Resta tuttavia l’idea di una

frammentazione dello stato italiano tesa a spezzare il potere territoriale della borghesia e i suoi

centri di potere, e a spezzare un centralismo amministrativo che è diretta conseguenza del potere

79 A. Grandi, Op. Cit. p. 351 80 Ibidem, p. 352

Page 35: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

34

borghese sull’Italia; questa distruzione del potere borghese andrà fatta attraverso una rivoluzione

socialista in grado di inserirsi in quelle che sono le spaccature culturali e storiche che ancora

dividono l’Italia. Questo è il pensiero che Cabitza mutuerà nelle sue opere, e che dimostra ampi

collegamenti con ciò che si è visto emergere nelle ideologie di altri movimenti armati. Più in

generale quella idea di Sardegna come colonia, che deve perseguire una lotta di liberazione dal

colonizzatore italiano tramite una rivoluzione socialista atta a distruggere tutti i collegamenti che

la borghesia continentale, attraverso la sua forza di occupazione, ha sviluppato nell’isola; una

forza di occupazione che fa del centralismo amministrativo il suo carattere peculiare, e contro cui

deve destinarsi la lotta rivoluzionaria. Lotta rivoluzionaria che Feltrinelli incoraggia

economicamente e culturalmente, attraverso la promozione di riunioni, colloqui e congressi con i

separatisti, e anche con sostanziali aiuti economici, se non con l’invio di armi e la creazione di

depositi per le frange più estreme e in collegamento col ramo banditista.81 Una lotta, quella contro

il centralismo governativo, che anche nei toni ricalca spesso una lotta contro l’usurpatore

romano, un tentativo di “buttare le aquile romane in mare” in cui i tentativi di coinvolgimento di

Graziano Mesina e del banditismo sardo saranno ricercati spesso, offrendo al bandito sardo ruoli

di spicco nella continuazione e nel perfezionamento del percorso indipendentista.

Un rapporto, quello tra separatismo e rivoluzione, che può sembrare singolare, ma che invece

viene ripreso e promosso proprio alla luce di quei rapporti tra colonie e madrepatria che abbiamo

potuto leggere nei casi dei Black Panthers e dei Weather Underground. Ecco che qui la Sardegna,

agli occhi di Feltrinelli, può senz’altro apparire come una avanguardia per la rivoluzione socialista

in Italia, da attuarsi attraverso un movimento di liberazione che ponga le basi intanto per una

concreta liberazione dell’isola, rendendola una Cuba del Mediterraneo, e che poi fornisca un

esempio su cui future lotte rivoluzionarie di liberazione potranno innestarsi, in Sicilia e nel resto

d’Italia. Ecco il valore rivoluzionario della secessione della colonia, quello di interrompere e

strappare i gangli dello stato centrale borghese ed imperialista, per creare delle zone libere dal

controllo imperiale. Una secessione che può essere vista come avanguardia di un disegno più

ampio, avanguardia che tuttavia viene incoraggiata, così come ad esempio i Weathermen

incoraggiano, nella loro idea anti imperiale, la secessione della colonia nera dal resto degli Stati

Uniti. E’ proprio con gli Stati Uniti che in questo caso la similitudine è più forte a livello

ideologico. A livello di guerriglia pratica, con il caso siciliano, si riprende l’esempio dei

Tupamaros, ma senz’altro il discorso secessionista in chiave rivoluzionaria va ad approfondire

quel solco già tracciato dai due movimenti statunitensi presi in esame.

Una eco, quella della Sardegna come Cuba del Mediterraneo, che farà sentire la sua onda lunga fin

anche al 1981, al tentativo di Antonio Savasta di creare una colonna delle Brigate Rosse, e al

rapimento di Suzanne e Sabine Kronzucker; l’azione viene eseguita proprio da un gruppo di

banditi sardi politicizzati, che dopo il rapimento emetteranno un comunicato:

“Dalla base mobile operativa toscana intitolata al grande compagno Antonio Gramsci, Chaka II, capo dell’anonima sequestri

operante in tutta l’Italia centrale elenca i mandanti della strage nazifascista messa in atto alla stazione di Bologna del 2 agosto

[seguono una serie di nomi di personaggi politici] Chaka creerà una nazione sarda, una seconda cuba nel Mediterraneo, basteranno

un migliaio di uomini, di veri sardi, a sconfiggere i colonizzatori italiani”82

Ecco che la retorica della Cuba del Mediterraneo ritorna, in un progetto che coinvolge anche

gruppi di banditi e operanti nel settore dei sequestri di persona, in un rapporto spesso stretto tra

81 A. Grandi, Op. Cit. p. 364 82 G. Galli, Op. Cit. p.423

Page 36: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

35

questione separatista, antifascismo e rivoluzione, banditismo sardo. E alla fine degli anni Settanta

Feltrinelli si occuperà di far divampare un fuoco guerrigliero partendo proprio dall’intreccio tra

banditismo e indipendentismo sardo. Se come abbiamo visto, anche sulla scorta degli

avvenimenti storici, il banditismo ha poco a che vedere con questioni rivoluzionarie, diverso è il

rapporto che lega la lotta armata anti imperialista e comunista al separatismo, con legami

ideologici forti e trasversali a gruppi armati di tutto il panorama mondiale, in un anticolonialismo

che, oltre a fornire una base teorica per i movimenti di liberazione prettamente nazionali come

quello dei Tupamaros, offre l’occasione di ridisegnare e ripensare ai confini stessi di alcuni stati, e

al rapporto con le varie etnie e culture presenti al loro interno.

III) Feltrinelli e l’Italia, fascistizzazione dello stato, golpe, timori

Abbiamo visto come il ruolo della casa editrice Feltrinelli e del suo proprietario nella divulgazione

di opere inerenti il mondo della rivoluzione socialista e anti imperiale mondiale sia assolutamente

di primo piano. Una opera di divulgazione che si inserisce in un paese, l’Italia, attraversato da

spinte politiche e sociali controverse. La crescita dei movimenti di contestazione sull’onda lunga

del ’68, l’autunno caldo del ’69 e le tensioni nei cortei di piazza fanno spesso precipitare il paese

in situazioni difficili da gestire sia dal punto di vista dell’ordine pubblico sia da quello delle derive

politiche che si innestano nei vari movimenti, dei quali vi è un gran fiorire in questi anni, spesso al

di fuori della tutela dei partiti che potrebbero essere visti come riferimento, ovvero il PCI da una

parte, che si ritrova a gestire la nascita di gruppi alla sua sinistra e varie scissioni come quella

dell’area del Manifesto, e l’MSI dall’altra con il suo ambiguo rapporto con Ordine Nuovo e la

galassia di gruppi eversivi di destra che nascono e nasceranno in Italia. Sullo sfondo vi è una

classe politica dirigenziale che rimane sostanzialmente la stessa, se non nelle figure, certamente

nell’indirizzo amministrativo. Il fallimento dei progetti riformisti del centrosinistra moroteo fanno

rimanere il paese bloccato sempre sugli stessi punti programmatici, e si avverte chiaramente un

malcontento di piazza. La situazione precipita con la strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre

1969.

L’obiettivo di questo paragrafo non è tanto quello di analizzare ciò che questa strage comportò

nel panorama politico nazionale, cosa che verrà affrontata più avanti, ma è quello di vedere come

un evento così importante sia stato recepito da un personaggio come Feltrinelli, e come esso,

assieme ad altre avvisaglie, contribuirà a mutare la sua esperienza di editore, convincendolo del

fatto che in Italia il rischio della fascistizzazione o di un golpe delle destre sia un qualcosa di

imminente, e che sulla scorta dell’esperienza di altri paesi, dopo le contestazioni di piazza, dopo i

tentativi di svolta messi in campo dalle forze popolari, lo stato imperiale sia interessato a ristabilire

l’ordine, utilizzando tutti i metodi a sua disposizione, legali e illegali.

L’antifascismo di Feltrinelli va fatto ovviamente risalire ben prima degli avvenimenti di Piazza

Fontana, e reca profonde tracce nei progetti editoriali che l’editore milanese approverà per la casa

di via Andegari fin dall’inizio degli anni Sessanta. Va fatto risalire al grande marasma seguito agli

avvenimenti del luglio 1960 e del governo Tambroni, ad esempio, l’inizio di una collaborazione

con Ruggiero Zangrandi, che porterà alla pubblicazione di opere come Il lungo viaggio attraverso il

fascismo e L’Italia tradita, opere che non solo hanno lo scopo di valutare la virulenza delle ideologie

del ventennio fascista nelle coscienze degli italiani, ma che vogliono più in generale ripercorrere e

mettere a nudo quelle connivenze che vi furono tra gruppi imprenditoriali, finanziari e circoli

Page 37: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

36

monarchici nell’ascesa di Benito Mussolini e del Partito Nazionale Fascista al governo italiano.83

Assume in particolar modo importanza in Feltrinelli e nel taglio editoriale della sua casa il ruolo

giocato dalla Resistenza, vista come un evento rivoluzionario da riscoprire; ed è proprio questo

uno dei punti fondamentali dell’ideologia feltrinelliana, il rapporto che sempre lo legherà al mito

della Resistenza partigiana antifascista e anche ad alcuni di quelli che furono suoi esponenti, come

Giambattista “Gibì” Lazagna. Un mito, quello della Resistenza, che Feltrinelli cercherà di

riadattare, proponendo una Nuova Resistenza, in opposizione ai fascismi a lui contemporanei e ai

pericoli gollisti che l’Italia attraversava. E questo mito prende anche le mosse da un

convincimento più profondo e radicato in diversi dei protagonisti di quella che sarà l’ondata

eversiva rossa italiana, ovvero che la Resistenza del ’43-’45 fosse sostanzialmente una Resistenza

tradita, svilita negli obbiettivi che erano propri di quella componente rivoluzionaria e di

orientamento comunista che la componevano, una Resistenza che, come vedremo, in certi

frangenti innesta pure l’effimero mito di una sua possibile continuazione, ma che agli occhi di

molti esponenti dell’ambiente rivoluzionario italiano negli anni Sessanta e Settanta appare ormai

come un qualcosa di incompiuto; grazie anche ad una sinistra ufficiale, quella del PCI e del PSI,

che aveva tralasciato una spinta rivoluzionaria per abbracciare quello che veniva già avvertito

come un cauto e sterile tentativo riformista, inadatto a inserirsi e a mutare quegli equilibri in cui

l’Italia pareva essersi definitivamente arenata. E’ il caso ad esempio di riviste come “Il

Politecnico” di Elio Vittorini, dei “Quaderni Rossi” di Panzieri, di “Classe e Stato” di Stame e

Meldolesi. E’ anche il caso delle avanguardie letterarie come quelle del Gruppo ’63, tutti

fenomeni di critica alla sinistra ufficiale, pure ad un certo stalinismo di tipo sovietico, tese a

rivalutare quelli che erano i fermenti che il mondo viveva, dalla meno recente Lunga Marcia di

Mao-Tse-Tung alla Rivoluzione Cubana, eventi che come abbiamo visto il PCI trattava spesso

con distrazione. Ed è in questo scenario che nel panorama culturale della nuova sinistra italiana, in

cui Feltrinelli è presente anche nella sua attività di scouting rivoluzionario, che inizia ad essere

rivalutato tutto il filone della storia del movimento operaio italiano e soprattutto di tutti quei miti

su cui il PCI aveva finora costruito la sua egemonia; in questo ambito la Resistenza, con il suo

lascito ideologico e programmatico viene rivalutata come una espressione rivoluzionaria su scala

italiana.84

Ecco che anche in Italia, alcuni settori della sinistra radicale iniziano a innestarsi, basandosi sui

fermenti che stanno attraversando il mondo, su un filone storico che ha riguardato il loro paese in

anni tutto sommato recenti, e che può essere reinterpretato alla luce delle esigenze attuali. Eventi

da riscoprire, la cui forza va ripresa e la cui capacità di attrazione va rinnovata, per essere

impiegata con nuova energia nelle lotte dell’oggi.

Paragoni che beninteso lo stesso Feltrinelli farà spesso e avrà modo di trovare, così capita ad

esempio che al ritorno in Italia dopo il suo viaggio cubano, nel ’69, abbia modo di paragonare il

regime militare di La Paz a quello degli ultimi mesi del fascismo in Italia; governo boliviano che

se necessario lo indurrà ancora di più a credere, dopo Piazza Fontana, non solo che vi sia in atto

un tentativo cosmopolita di repressione delle forze rivoluzionarie, ma che addirittura, dopo il suo

arresto nel paese sudamericano, che contro di lui vi sia in atto una persecuzione, atta a

identificarlo come un pericoloso rivoluzionario che può avere agito, in Italia e a Piazza Fontana,

animato dal tentativo di destabilizzare il paese per farvi scoppiare tumulti rivoluzionari. Feltrinelli

83 A. Grandi, Op. Cit. pp.268-269 84 Ibidem, p.305

Page 38: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

37

in Bolivia ci era andato per supportare la causa di Regis Debray, l’autore francese de Rivoluzione

nella Rivoluzione? Arrestato dalla giunta boliviana al potere. Nel paese sudamericano Feltrinelli può

aver intessuto rapporti di diverso tipo, si parla anche di abboccamenti con Che Guevara e i suoi

guerriglieri, ma non vi sono certezze; è certo invece che l’evento boliviano servirà a Feltrinelli per

rendersi conto della forza della repressione internazionale e della capacità statunitense di inserirsi,

con suoi uomini, nell’ordine pubblico dei paesi sotto loro influenza, così in Bolivia e così in

Italia.85 Una presa di coscienza che lo animerà anche nel suo lavoro di editore, come avrà modo

di confidare a Lucio Colletti, redattore de “La Sinistra”:

“[Feltrinelli] paragonava la situazione italiana a quella dei paesi dell’America Latina; sosteneva che si stava andando incontro ad

una progressiva fascistizzazione dello stato e che la democrazia era in pericolo. Proponeva, come antidoto, una lotta armata da

avviare in Sardegna, in Calabria” 86

Ecco che quindi in Feltrinelli si mescolano una visione di respiro internazionale e specialmente

incentrata sulle sue esperienze cubane e boliviane, viste come anticipatrici della situazione italiana,

che presto seguirà la degenerazione violenta già in atto in quei paesi. E’ una questione molto

importante se pensiamo agli ambienti con cui il Feltrinelli era in collegamento e alla capacità della

sua casa editrice di fare da cassa di risonanza per la Resistenza mondiale, Resistenza che andava

riallestita anche in Europa, avvalendosi anche di quegli strumenti che abbiamo analizzato

precedentemente, ovvero le secessioni rivoluzionarie e le guerriglie di liberazione locale, per

disarticolare i centri nevralgici dello stato.

Un riadattamento della Resistenza, frammisto alla consapevolezza della situazione internazionale

in cui si inserirà anche, seguendo i progetti di Feltrinelli, il già citato Lazagna; Iscritto al PCI dal

1942, se ne staccherà verso la metà degli anni Cinquanta, deluso dai nuovi approcci del partito di

Botteghe Oscure verso le istanze che il mondo rivoluzionario stava mettendo in mostra:

“si continuava a far politica ma nel segno del dubbio. Era giusto ritornare a discutere della libertà, ma era deludente ritornare a

scoprire l’acqua calda della socialdemocrazia, la diplomazia di partito, l’ossessione elettorale. La distensione era la caricatura della

pace per la quale avevamo combattuto. E il partito appariva più preoccupato di salvaguardare il patrimonio di consensi che si era

costruito, che di investirlo in una battaglia di rinnovamento. In Italia l’allarme ricorrente per i colpi di stato progettati o tentati,

rendeva questa ripresa [rivoluzionaria] necessaria e indilazionabile. Non credo di essere stato il solo, in questa situazione, a

ritrovare nell’esperienza del partigianato un modello di mobilitazione.”

Amicizie del Feltrinelli in ambiente partigiano arricchite anche dai rapporti con Cino Moscatelli e

Giovanni Pesce. Ma è con Lazagna che l’editore si confida, e continua a riproporre il tema della

Resistenza da opporre ad un golpe in Italia:

“Lui riteneva pressoché inevitabile il colpo di stato ed era convinto che contro un colpo militare non ci fosse niente da fare. Il

problema, allora, era di organizzare la resistenza dopo. Si trattava di rifugiarsi in montagna, in piccoli gruppi, capaci di durare nelle

proprie basi guerrigliere e di riorganizzare di lì la lotta popolare. Era in sostanza il modello guevarista.”87

Un modello di ispirazione piuttosto militarista contro cui lo stesso Lazagna si schiererà a più

riprese, portando invece l’attenzione su quelle che dovevano essere altre, e più importanti, azioni

di sabotaggio: gli scioperi, le insubordinazioni, le occupazioni. Una concezione che non è fatta

propria da Feltrinelli, che sulla scorta delle azioni in Sudamerica è portato a pensare che fosse la

guerriglia a produrre il coinvolgimento delle masse.

85 A. Grandi, Op. Cit. pp.320-322 86 Ibidem, frase di Lucio Colletti, p.334 87 Ibidem, pp.370-372

Page 39: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

38

Un altro fatto che dimostra come l’antifascismo in Feltrinelli e la sua propensione

internazionalista fossero presenti anche prima della bomba di Piazza Fontana è la pubblicazione,

nel 1968, di un suo opuscolo intitolato Persiste la minaccia di un colpo di stato in Italia! Un opuscolo

simbolico, in cui traspare l’assoluta volontà di abbattimento del sistema imperialista statunitense,

e in cui emerge una analisi della situazione internazionale piuttosto semplice: l’esempio

guevariano ha trovato accoliti in tutto il mondo, dal Vietnam all’Angola passando per il

Sudamerica; all’appello mancava però l’Europa. Ecco come Feltrinelli dipinge la necessità di un

allargamento del conflitto:

“Questa lotta, con la decisione di passare a una attiva Resistenza, entra quindi in una nuova, più acuta fase, perché con essa noi ci

proponiamo di gettare le basi di un futuro ma prossimo contrattacco rivoluzionario all’offensiva capitalista e imperialista nel

nostro stesso paese; controffensiva il cui obiettivo sarà l’abbattimento del sistema capitalista in Italia, la distruzione del potere dei

monopoli, la distruzione delle istituzioni politiche dello stato capitalista. Controffensiva che avrà come obiettivo quello di liberare

il nostro paese dalla sottomissione all’imperialismo americano. Resistenza attiva oggi, controffensiva domani: sarà una lotta lunga

e dura. Sarà una lotta del Davide contro il Golia. Ed è a questa lotta che dobbiamo prepararci” 88

Ecco che in questo trafiletto traspaiono molte delle linee guida dell’ideologia feltrinelliana: lotta

globale in cui anche l’Italia deve inserirsi, secondo modelli che sono stati utilizzati in altri paesi

contro l’imperialismo degli USA, ma ripescando, anche nel campo della semantica, quella che è

l’esperienza della Resistenza e quelli che sono stati (e che possono essere oggi) i suoi aspetti più

rivoluzionari, che vanno collegati alla inderogabile esigenza di abbattere il capitalismo in

Italia.Una fissazione, quella per la resistenza e l’antifascismo, che forse vuole collegarsi, nei suoi

estremi tentativi di adattamento all’attuale, a quel tentativo di collegamento ideologico che tutti i

gruppi guerriglieri che abbiamo esaminato hanno fatto, chi risalendo alla liberazione uruguayana

di inizio ottocento, chi ricollegandosi alle lotte di Malcolm X e al Black Power, chi rileggendo in

maniera completa la storia americana e le dinamiche di sfruttamento in lei insite. In Italia questa

rilettura e questo aggancio al passato spesso sarà tentato con una vicenda, quella della Resistenza,

che per molti verrà interpretato come un qualcosa di tradito e di incompleto, e sulle riletture di

queste vicende si formeranno culture e substrati ideologici che molto influenzeranno i guerriglieri

italiani, così come molto hanno influenzato Giangiacomo Feltrinelli nella sua parabola di editore

rivoluzionario.

IV) La militanza di Feltrinelli: i GAP e la Nuova Resistenza

La collaborazione tra Lazagna e Feltrinelli continuerà anche in ambienti non più totalmente legali,

in cui l’editore ebbe modo di conoscere, nel 1969 a Genova, appartenenti al gruppo XXII

ottobre; entrò in contatto anche con Franco Piperno, leader di Potere Operaio e personalità di

spicco in quell’universo che stava alla sinistra del PCI. Una amicizia, quella tra Piperno e

Feltrinelli, dai toni contraddittori, sempre alimentata tuttavia da una stima che il leader del

movimento nutriva nei confronti dell’editore, per la sua attività di divulgazione e per l’aver

“influito nella sua formazione” con la pubblicazione dei classici del pensiero marxista ma anche

con Kropotkin e Pasternak. Il timore per un colpo di stato delle destre intanto andava facendosi

via via sempre più forte in Feltrinelli, timore che proprio nel corso del 1969 lo porterà ad

allontanarsi dall’attività editoriale e ad entrare in clandestinità, compiendo numerosi viaggi anche

all’estero, tra Svizzera, Francia e Germania. Questa decisione si dovette al timore non solo che un

colpo di stato fascista fosse ormai alle porte, ma anche alla sensazione, da parte di Feltrinelli, di

88 A. Grandi, Op. Cit. p.379

Page 40: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

39

essere braccato dopo gli attentati del 12 dicembre 1969; le perquisizioni e i sospetti all’indomani

della strage infatti si spinsero molto vicino all’ambiente anche familiare di Feltrinelli e della moglie

Sabina Melega, nonché in direzione di tutti quei gruppi di estrema sinistra o anarchici che pure

l’editore aveva frequentato. Tutti questi indizi contribuirono a far crescere la paranoia in un

uomo, il Feltrinelli, che già era scosso da profondi convincimenti sulla possibilità di una deriva

violenta in Italia, e che ne accrebbero la volontà di organizzare una resistenza in stile guerrigliero.

Inizia da qui l’avventura armata di Giacomo, il suo continuo riallacciarsi a quella Resistenza che

aveva solamente intravisto in gioventù, ma al cui mito rimarrà sempre legato; ecco che inizia a

farsi conoscere come Osvaldo, Fabrizio, tutti nomi di battaglia, per una battaglia considerata

inderogabile, e da combattersi sotto forma di guerriglia partigiana, contro il nemico fascista,

ancora una volta. Emilio Oppes, Giuseppe Saba, Antonio Cabras, operai sardi emigrati in

Germania con i quali Feltrinelli avvierà una collaborazione, lo aiutano nelle sue prime fasi della

sua organizzazione della guerriglia. Una organizzazione in cui Feltrinelli si avvarrà anche dei suoi

contatti in America Latina, nell’ambito dell’estrema sinistra, in un viaggio a Cuba proprio

nell’estate del 1969 Feltrinelli si prodigherà per cercare di esporre le similitudini che legano il

pericolo di una deriva fascista in Italia alla situazione Sud Americana.89

Ma erano proprio così imminenti e probabili, questa deriva fascista e questo golpe alle istituzioni

italiane? O era pura paranoia cresciuta in una mente impressionabile? probabilmente l’editore ha

esagerato nell’interpretare pericoli autoritari che poi si riveleranno quantomeno ipertrofizzati,

tuttavia nella società italiana che aveva visto esplodere l’ordigno di Piazza Fontana, certi umori e

sensazioni erano fortemente presenti, ed era latente la sensazione di un ritorno del fascismo della

penisola che albergavano anche nei principali uomini dello scenario politico, specialmente quello

di sinistra. In tutto il luglio del 1969 si rincorrono voci, messaggi e dispacci di possibili colpi di

stato, molti dirigenti del PCI preferiranno dormire fuori casa, e si presterà particolare attenzione alla

possibilità che alcuni reparti delle forze armate venissero repentinamente spostati da un luogo

all’altro. Una paranoia che insomma era ben presente nell’Italia di allora, e che certo in personaggi

come Feltrinelli, attenti ai risvolti internazionali che certe situazioni avevano innescato, e consci

soprattutto della stasi politica da un lato, e dal grande fermento della contestazione dall’altro,

potevano far pensare ad una imminente reazione da parte degli organismi statali e di quegli

apparati dello stato che, su pressione statunitense, avrebbero certamente avuto interesse a

fermare la fibrillazione popolare, anche con metodi di coercizione violenta. 90

E’ da qui che sostanzialmente parte la seppur breve parentesi guerrigliera di Giangiacomo

Feltrinelli, e la sua possibile compromissione con organismi quali la sinistra rivoluzionaria

europea come la RAF, la banda Baader Meinhof e l’OLP palestinese. I due anni che intercorrono

dal 1970 e 1972 sono anni fatti di persuasione verso personaggi della galassia rivoluzionaria, di

viaggi, di elaborazioni, di nascondigli che Feltrinelli cerca per sé e per quella resistenza che voleva

mettere in campo. Nascondigli che Feltrinelli cerca per mettersi al riparo da possibili ritorsioni,

che personaggi interessati alla sua neutralizzazione sul piano politico possono ricercare; l’editore

pubblicherà tuttavia, nel gennaio del 1970, un articolo di suo pugno su “L’Espresso”, in cui si

esplicano tutti i timori sulla situazione italiana. Eccone alcune parti, tra le più interessanti:

“non posso condividere l’ottimismo circa le sorti della Repubblica Italiana. Credo infatti che gli avvenimenti di queste ultime

settimane rappresentino la fine delle illusioni democratiche. […] la fine di queste illusioni comporta anche il crollo definitivo dei

89 A. Grandi, Op, Cit, p.403 90 Ibidem, p.402

Page 41: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

40

cosiddetti valori assoluti della democrazia, la quale rivela tutta la sua fragilità per non dire inconsistenza di fronte ad un preciso

disegno repressivo delle destre. E poco importa, agli effetti del giudizio sulla situazione di oggi e delle prospettive future, se le

destre, per compiere il loro disegno repressivo utilizzano mezzi eversivi, quale il colpo di stato, le provocazioni fasciste. […] era

prevedibile questa situazione, questa svolta? A mio avviso sì. Infatti se consideriamo le esigenze del capitalismo italiano ed

internazionale, se consideriamo le caratteristiche dello sviluppo dell’industria capitalistica italiana, sia privata che statale, tutto teso

nella ricerca del profitto, alla conquista di mercati stranieri, non meraviglia affatto che queste esigenze spinte all’estremo si siano

infine scontrate con le esigenze delle classi lavoratrici […] esigenze che sono sfociate tanto nelle grandiose lotte sindacali di

quest’autunno quanto nella formazione (come già avvenne nel ’21 con la scissione del partito socialista) di nuove organizzazioni

politiche. Lo scontro fra le esigenze del capitalismo e le esigenze delle classi lavoratrici era dunque prevedibile. Ed era anche

prevedibile che la Confindustria, che le forze più reazionarie italiane e straniere non attendessero, disarmate, questo scontro. […]

Non c’è alcuna speranza che la democrazia parlamentare, le istituzioni democratiche, la libertà, la democrazia assoluta a cui si

riferiscono alcuni, pochi idealisti (nella bocca dei più questi concetti sono distorti e strumentalizzati per nascondere il contenuto

sostanzialmente reazionario della nostra società alla stessa stregua in cui i colonnelli greci definiscono “rivoluzione” il loro colpo

di stato), non c’è speranza, dicevo, che le istituzioni di uno Stato democratico possano mantenersi al di sopra delle classi. […] non

mi dica, caro direttore, che ciò dipende dalle condizioni in cui oggi mi trovo: sottoposto ad una forma di linciaggio politico e

morale da parte della stampa che ad ogni costo ha cercato di associare il mio nome con le indagini sui provocatori attentati di

Milano e Roma.[…] in verità questi non sono che pretesti. Pretesti per colpire la mia attività editoriale, per colpire la casa editrice

Feltrinelli che per quindici anni ha seguito e svolto, mi sembra con dignità e onore, i grandi temi del socialismo, della libertà, della

lotta e della liberazione delle classi lavoratrici, in Italia e nel mondo. Senza drammatizzare e senza sopravvalutare il ruolo che in

questi anni ho svolto in Italia, credo che si possa dire che le persecuzioni che già colpiscono, oggi, insieme a me, migliaia di

giovani e di compagni altro non sono che il segno tangibile di quella svolta che le destre reazionarie vogliono imporre, con ogni

mezzo al paese. Abbiamo già avuto il nostro piccolo Reichstag! Poco importa per il gioco della reazione, che non sia stato tu,

compagno comunista o socialista, studente intellettuale o democratico, a deporre la bomba! Il 1969 segna, che si voglia o no, una

svolta nella storia del nostro Paese, della nostra società, dei rapporti fra le classi sociali.” 91

Ecco che Feltrinelli ci offre la possibilità di esaminare concretamente quella che è la visione della

società che lo porterà a praticare la lotta armata. A suo parere va tenuto conto della presenza di

un conflitto di classe, dovuto al capitalismo nazionale ed internazionale, che si ritrova in antitesi

rispetto alle esigenze della classe operaia, coinvolta in una situazione di forte rivendicazione, nel

1969. Ecco che a questo scontro la classe imprenditoriale non arriva impreparata, ma si avvale di

quei mezzi violenti atti a fermare il percorso di rivendicazione delle sinistre. E’ il fenomeno della

fascistizzazione dello stato che abbiamo notato anche nelle vicende guerrigliere dei gruppi

internazionali che abbiamo preso in esame nei capitoli precedenti. Laddove il capitale si sente

minacciato, provvede ad avvalersi di mezzi repressivi e richiamanti il fenomeno fascista. Un

richiamo che è ancora più forte in Europa, e i rimandi alla scissione del partito socialista prima e

all’incendio del Reichstag poi, vogliono ricordare quelli che sono dei fenomeni storici che

possono aiutare a comprendere meglio il cammino che l’Italia sta intraprendendo, con la bomba

del 1969 che diventa quindi, chiaramente, un mezzo simile a quello che i nazisti usarono nel

febbraio del 1933. Un altro aspetto importante è la mancata fiducia rispetto alle istituzioni

democratiche, che non sono più adatte a fronteggiare un pericolo, quello della reazione, che

incombe su tutti i cittadini e sulla stessa forma di governo della società. Ecco che di qui il passo è

breve, la democrazia (come per altro si era notato nei precedenti percorsi di avvicinamento

ideologico alla lotta armata) e i suoi mezzi non sono più adatti ad offrire una valida forma di

Resistenza all’incombente pericolo fascista. Di qui il crinale che avvicinerà Feltrinelli allo scontro

armato sarà sempre più inclinato verso una soluzione violenta al problema della reazione.

I contatti tra Feltrinelli e la banda XXII ottobre intanto, tramite Lazagna, diverranno sempre più

frequenti e compromettenti, compromettenti anche per il PCI, che si ritroverà a gestire la

pericolosa strada di rivendicazione armata che un suo ex importante sostenitore in ambito

culturale, Giangiacomo Feltrinelli, sta perseguendo; il PCI come abbiamo visto già da molto

tempo aveva abbandonato qualsiasi remota ipotesi di rivendicazione violenta o di presa del potere 91 A. Grandi, Op. Cit. articolo di Giangiacomo Feltrinelli, pp.429-431

Page 42: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

41

con metodi rivoluzionari, e la continua presenza di gruppi e intellettuali, alla sua sinistra, che

invece parevano indicare e percorrere questa strada, lo ponevano in una situazione di crisi

rispetto all’immagine che lui stesso voleva darsi: quella di una sinistra completamente ripulita

dall’uso della forza, e più in generale quella di un partito di governo, scevro da logiche di

rivendicazione armata. La banda XXII ottobre si inseriva in un contesto di osmosi tra estrema

sinistra e delinquenza comunque, il cui leader, Mario Rossi, era anch’esso un fuoriuscito dal PCI.

Durante una successiva perquisizione della sua casa saranno trovati opuscoli come “Il manuale

della guerriglia urbana” di Carlos Marighella, I “principi generali della guerra rivoluzionaria”, e “L’intervista

con un partigiano della brigata GAP Valentino Canossi”. 92

Proprio GAP, proprio il nome di quel gruppo partigiano noto per le gesta, tra gli altri, di

Giovanni Pesce, del quale Feltrinelli pubblicò anche un libro. Gap sarà il nome che Feltrinelli

sceglierà per il suo personale gruppo di fuoco, che vide la sua nascita nei primi mesi del 1970, e

che vedrà il coinvolgimento, diretto ed indiretto, di alcuni dei personaggi cardine dello sviluppo

della lotta armata in Italia, come Renato Curcio, Giorgio Semeria e Pierluigi Zuffada. Durante il

processo GAP-BR del 1979, vi è la lettura, da parte di alcuni imputati, di un proclama molto

importante, che aiuta a inquadrare il percorso di nascita e sviluppo di quei nuovi Gruppi di

Azione Partigiana:

“Le brigate GAP si formano nella primavera del 1970 e muovono i loro primi passi sul terreno della propaganda armata. La loro

iniziativa rompe con trent’anni di sistematico disarmo politico, ideologico e militare della classe operaia da parte del revisionismo.

La questione della possibilità e necessità storica della lotta armata nel nostro paese viene affrontata nella prassi, con ciò

dimostrando, che, anche in Italia, un paese a capitalismo avanzato, è possibile mutuare i rapporti di forza tra le classi avviando a

soluzione la contraddizione che oppone il proletariato alla borghesia.”

si nota anche come all’interno dei GAP esistano due principali direttrici:

[la prima riteneva] “come centrale la questione dell’antigolpismo. Per i compagni che la rappresentano, il nemico principale da

battere è quel blocco d’ordine che, in vario modo in quegli anni, manifestava intenti golpisti.” [una seconda, poi che affermava

che] “la contraddizione principale era con l’imperialismo amerikano e si proponeva una partecipazione sempre più ampia e intensa

alla guerra anti imperialista internazionale”

Curcio, Semeria e gli altri spiegheranno poi il ruolo avuto da Giangiacomo Feltrinelli:

“Il compagno Giangiacomo Feltrinelli, Osvaldo […] era certamente influenzato dalla sopravvivenza dei miti della Resistenza che

alcuni tra i suoi più stretti compagni riproponevano acriticamente: questo lo portava a cercare una sorta di continuità, a

considerare la guerriglia nascente come prosecuzione, la “seconda fase”, dopo trent’anni di interruzione, della guerra di liberazione

[…] la continuità con la resistenza va vista nella continuità che lega tutte le lotte del proletariato nel lungo processo storico della

sua liberazione” 93

Erano forti poi, come si può notare, In Feltrinelli e nei suoi GAP l’azione di analisi rispetto alla

guerra di liberazione cubana e agli insegnamenti di Che Guevara, e una loro applicazione in terra

italiana. Va fatto notare come, tra il 1970 e il 1971, Feltrinelli si adoperò in prima persona nella

costituzione di una rete metropolitana di appartamenti usati come covo. Anche nell’editore è

presente una azione di riesame storico, precisamente di quelli che sarebbero stati gli errori che il

PCI a guida togliattiana avrebbe commesso, nello svilire e nel depauperare la componente più

radicale del suo partito e favorendo, d’altra parte, lo sviluppo di logiche prettamente sistemiche e

inclinate verso la socialdemocrazia. Il suo era un cercare di riallacciare, come si può notare anche

92 A. Grandi, Op. Cit., p.434 93 Ibidem, discorso di Giorgio Semeria, pp.440-441

Page 43: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

42

dalle dichiarazioni nel processo del ’79, i ponti tra una tradizione resistenziale passata e una sua

possibile riproposizione oggi, cercando di screditare tutte le scelte riformiste e antirivoluzionarie

compiute nei decenni di mezzo. Il tutto tenendo ben presente la forza e l’utilità strategica di quel

fronte di liberazione che si stava costituendo nel mondo, dal Vietnam all’Africa passando per

l’America Latina.

Questo tentativo di riallacciamento alla tradizione antifascista e partigiana si dimostra anche nella

lettera che Feltrinelli spedirà a Pietro Nenni. Eccone alcune parti salienti:

“Caro Nenni, quando sei o sette anni fa ci incontrammo l’ultima volta a Palazzo Chigi tu mi esponesti le tue gravi preoccupazioni

su una progressiva fascistizzazione, di una progressiva svolta a destra ad opera della destra della DC, del padronato italiano e delle

forze politiche che questi esprime. E mi dicesti che nel tentativo di fermare questa svolta a destra che per molti versi già allora

rassomigliava al ’21 e agli anni che lo seguirono, il PSI aveva deciso di uscire dalla sua opposizione per assumersi la responsabilità

di una partecipazione al governo con partiti che in sostanza non ti piacevano, unicamente nel tentativo, nella speranza di impedire

che a quarant’anni di distanza, ci si avviasse verso forme nuove ma sempre simili di fascismo. […] Ora, nel 1970, credo che sia

però doveroso fare un bilancio di questi anni. E se facciamo un bilancio dobbiamo constatare che il tentativo del PSI di fermare lo

slittamento a destra, di fermare la fascistizzazione del paese è fallito. Avevamo fino ad alcuni giorni fa un Governo, abbiamo

tuttora una polizia, vasti settori della magistratura che sono stati incapaci di individuare e colpire i veri responsabili della strage del

12 dicembre e del tentativo di colpo di stato attuato quel giorno. […] le forze e l’apparato dello stato sono apertamente complici

delle organizzazioni paramilitari fasciste e di destra che si addestrano e si organizzano e si armano militarmente con assoluta

impudenza. […] gli ambienti militari italiani , la polizia, i carabinieri dipendono ormai non più dal governo ma da centrali politico

militari di estrema destra spesso nemmeno italiane. […] la verità è che ogni tentativo di smascherare e rinviare la battaglia è

illusorio. La battaglia è già in corso, il nemico è già alle porte, anzi, con un piede nell’uscio. Dobbiamo lasciare che si mascheri da

centrosinistra, anche se a comandare sono le forze più reazionarie del padronato italiano, le forze più reazionarie dell’imperialismo

americano?[…] se è vero che i banditi fascisti, le forze più reazionarie del capitalismo italiano e americano hanno già un piede

dentro l’uscio allora bisogna allarmare tutti, anche se una effettiva resistenza all’inizio sarà difficile e una vittoria immediata

impossibile. 94

In questa lettera, destinata ad un personaggio dal carisma e dall’aura certamente forti all’interno

del panorama della sinistra italiana continua l’accorato appello di Feltrinelli per una sostanziale

presa d’atto della situazione politica italiana. Gli sforzi del riformismo sono ormai finiti, così

come la sua spinta propulsiva atta a frenare le rivendicazioni delle destre. Destre che al contrario

ora sono salite alla ribalta, e i cui progetti quasi squadristi si innestano in un panorama politico

che le vede piene protagoniste. Il ruolo di questo centrosinistra è ormai solamente quello di un

paradossale aiuto verso queste destre, contribuendo ad ammantare di una immagine di

progressismo un governo che invece, nel suo cuore, è totalmente reazionario e in mano a potenze

e interessi anche stranieri, e certamente a totale danno della classe operaia. L’unica strada è una

effettiva resistenza, una resistenza difficile e di lunga durata.

In questa azione politica e resistenziale di Feltrinelli si innestano personaggi appartenenti

all’ambiente di Potere Operaio, da Franco Piperno ad Oreste Scalzone, passando per un Toni

Negri che con l’editore avrà spesso un rapporto di mutuo soccorso, soccorso che Negri cercherà

spesso (e solamente) dal punto di vista economico, in vista di un futuribile supporto alle

infrastrutture illegali che agivano anche dietro Potere Operaio. Le azioni dei GAP hanno così

inizio, con la partecipazione di giovani provenienti dall’ambiente dell’autonomia operaia ma

anche dello stesso Feltrinelli, tramite attacchi dinamitardi contro personaggi e aziende che per

prime avevano avuto rapporti con l’estremismo di destra e con la reazione, oppure presso

imprese in cui si erano verificati incidenti sul lavoro; è il caso ad esempio degli attacchi contro i

cantieri edili nel milanese che i GAP metteranno a segno tra l’autunno del 1970 e la primavera del

94 A. Grandi, Op. Cit. pp.446-448

Page 44: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

43

1971.95

In questi ambienti prosegue la stretta collaborazione con esponenti di Potere Operaio e anche

con le successive Brigate Rosse, con cui i legami iniziano non nel 1970 ma già dal 1968, con il

rapporto in particolar modo che legò Renato Curcio a Giangiacomo Feltrinelli; si ebbe modo, tra

i due, di discutere di attentati anti imperialisti, come quello che Curcio, assieme al compagno

Marco Pisetta, progettarono nel 1968 per far saltare in area un presidio militare americano sulla

Paganella, in risposta al conflitto americano in Vietnam. Attentato dal chiaro sapore anti

imperialista, che Feltrinelli volle approfondire assieme a quello che poi sarà il futuro leader delle

BR.

L’influenza di Feltrinelli sulle nascenti Brigate Rosse certamente ci fu; fu lui a regalare a Curcio,

ad esempio, un libro edito Feltrinelli proprio sui Tupamaros uruguaiani, nonché l’onnipresente

Manuale della guerriglia urbana di Carlos Marighella. Fu nelle cantine affittate dalle Brigate Rosse in

via Delfico 20 ad essere rinvenuto il passaporto originale dell’editore, e gli incontri tra Feltrinelli e

le BR si infittiscono ancor più a partire dal 1971, come avrà modo di rivelare Renato Curcio:

“Lo vedevo in genere insieme a Franceschini, ma talvolta da solo. Gli appuntamenti erano fissati nei giardinetti di Piazza Castello,

da dove ci spostavamo in uno dei suoi tanti appartamenti più o meno segreti.. Di ritorno da un viaggio da Cuba mi annunciò che

aveva incontrato vari rivoluzionari boliviani, uruguayani e brasiliani i quali lo avevano informato delle loro esperienze di guerriglia

urbana. Esperienze che lui era pronto a trasmetterci. E così ci tenne una serie di lezioni… Ci spiegò quali erano le tecniche per

falsificare i documenti, per affittare degli appartamenti senza destare sospetti, quali dovevano essere le caratteristiche di un buon

rifugio clandestino. Una volta ci regalò un paio di radio-trasmittenti che si era procurato in Germania e ci propose di fare delle

trasmissioni pirata sul tipo di quelle che stava organizzando con Radio Gap, a Genova, Trento e Milano.. Un’altra volta ci portò i

disegni e le specifiche tecniche per la costruzione di un bazooka che gli erano stati dati dai Tupamaros.” 96

Collegamenti tra GAP e BR che vi furono lungo tutto il percorso iniziale del gruppo armato

facente capo a Renato Curcio e Alberto Franceschini: anche nel caso della pubblicazione, nella

primavera del 1971, di “Nuova Resistenza” da parte delle BR, le sue pagine ospitarono i

comunicati proprio dei GAP. Vi fu anche una collaborazione operativa, sempre nel 1971, in un

atto di rappresaglia verso un esponente di destra, che a Quarto Oggiaro si vide incendiare la

propria auto. Feltrinelli sovvenzionò anche le due strutture operative occulte di potere operaio,

FARO (Forze Armate Rivoluzionarie Operaie) e Lavoro Illegale, nel tentativo di costituire una

chiara rete di lotta fattiva e militante alla degenerazione della situazione politica italiana. Strutture

illegali che beninteso Feltrinelli aiuterà anche a dotarsi di armi, contribuendo a far fare loro un

salto di qualità ( da servizio d’ordine a struttura adibita alla lotta armata ) che presto, più che

dall’effimera vita di queste due organizzazioni, sarà intrapreso solamente da alcuni suoi militanti,

come Valerio Morucci e Jaroslav Novack. Anche Piperno avrà, per Feltrinelli, un nome di

partigiano, “Saetta”, dal nome che alcuni partigiani avevano adottato durante la guerra di

liberazione del ’43-’45. Incontri tra Feltrinelli ed esponenti di Potere Operaio che continuano e si

allargano ad esponenti di Lotta Continua e anche delle Brigate Rosse, introdotti e garantiti da

Morucci, incontri in cui si parla del futuro della rivoluzione italiana e di militarizzazione dei

gruppi, e qui l’editore fa esplicito riferimento anche al ruolo che la guerriglia sudamericana e in

particolar modo i Tupamaros potevano avere come esempio per la suddetta militarizzazione,

nonché per la radicalizzazione della guerriglia metropolitana; Feltrinelli stesso fece chiaramente

capire di aver avuto rapporti con esponenti Tupamaros a Cuba.97

95 A. Grandi, Op. Cit. p.459 96 Ibidem, p.470 97 Ibidem, pp.471-492

Page 45: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

44

Un rapporto, quello con la guerriglia sudamericana, che accompagnerà l’editore di via Andegari

nel suo coinvolgimento nell’omicidio di Roberto Pereira Quintanilla, ex colonnello boliviano

coinvolto sia nell’arresto di Feltrinelli il Bolivia, sia nella morte di Che Guevara. Quintanilla verrà

ucciso ad Amburgo il 1° aprile 1971 da Monica Ertl, tedesca e figlia di genitori emigrati in Bolivia.

Il Movimento di Liberazione Nazionale boliviano si assumerà la responsabilità dell’omicidio,

tuttavia i legami con Feltrinelli appaiono, nelle indagini, subito abbastanza chiari; la Ertl è stata

più volte vista in compagnia dell’editore, così come una grossa somma di denaro era stata

consegnata proprio su incarico di Feltrinelli a uomini dell’ELN, il fronte di liberazione, somma

che sarebbe stata locata al sostenimento delle spese del viaggio della Ertl. Oltretutto le due armi

trovate in possesso della guerrigliera sarebbero state acquistate proprio da Feltrinelli, nel

Liechtenstein.Una conoscenza con esponenti del movimento boliviano che era stata fatta a Cuba,

e di cui certamente i dirigenti cubani erano pure a conoscenza, a corredo di un atto, quello

dell’omicidio Quintanilla, che fu la prima azione armata di un movimento rivoluzionario

Sudamericano in Europa.98

Ecco che Feltrinelli, da editore certamente impegnato nella divulgazione di opere dal chiaro tono

anti imperialista, antifascista e rivoluzionario, decide di impegnarsi in prima persona in quella

lotta, in quella Nuova Resistenza alla quale tenterà di richiamare numerosi esponenti dell’ambiente

operaio, comunista e socialista italiano. Un percorso soprattutto ideologico che lo porterà ad una

progressiva radicalizzazione del concetto di conflitto di classe e di rivendicazione, basandosi sui

testi di Mao Tse Tung, di Fidel Castro ma anche di Napoleone e persino di Von Clausewitz, in

uno scontro tra rivendicazione e reazione che appare oramai sostanzialmente una guerra, che per

essere vinta ha bisogno dell’allestimento di un esercito rivoluzionario.

Sarà proprio un ex partigiano, nome di battaglia Gunter, a rendicontare il finale di quella parabola

guerrigliera, ovvero la morte di Giangiacomo Feltrinelli sul traliccio 71 di Segrate.99 Un attentato

in cui le caratteristiche principali dell’ideologia feltrinelliana possono essere rintracciate fino alla

fine, il rapporto con un antifascismo e con gli echi della Resistenza che lo accompagneranno fino

alla morte, assieme alle tattiche di guerriglia, a quel blackout che voleva generare a Milano con

l’abbattimento di 4 tralicci. Un Feltrinelli che come abbiamo visto aveva partecipato anche ad

altre azioni dinamitarde, ma che questa volta voleva impegnarsi in prima persona nella

disposizione dei candelotti e dei timers, spinto anche dalla volontà di smarcarsi da quell’aura di

figlio della borghesia, di salottiero, di riccone dal quale ottenere soldi e di guerrigliero impotente che

mai l’aveva abbandonato. Ecco che allora si conclude, con l’esplosione su quel traliccio il 14

marzo del 1972, l’epopea di un personaggio simbolo, la figura che forse più di tutte ha saputo

portare in Italia l’esperienza dell’anti imperialismo e le lotte del Terzo Mondo tramite la sua

azione editoriale. Una azione, quella della casa di Via Andegari, che ad un certo punto a Feltrinelli

non bastò più a contrastare i pericoli di una società recepita come sull’orlo del baratro, in cui il

ritorno del fascismo si avvertiva minaccioso, ogni giorno di più. Una storia fatta di antifascismo,

di rivoluzione in primis anche verso la propria estrazione sociale, una storia di violenza come

nell’Italia di quel tempo ve ne sono molte, ma che più di altre è servita per parlare di quel

contesto internazionale di cui la lotta armata si è nutrita, avvalendosi anche di una tradizione,

quella resistenziale e partigiana, che proprio in Italia poteva offrire dei validi spunti di

riproposizione, e che Feltrinelli in prima persona ha cercato di adattare a nuove contingenze,

98 A. Grandi, Op. Cit. pp.476-477 99 Ibidem p.511

Page 46: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

45

quelle dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta.

Page 47: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

46

Capitolo 3: La guerra a casa, contestazione e radicalizzazione dello scontro in Italia

Abbiamo visto finora come, nel mondo che va delineandosi tra gli anni Sessanta e Settanta, molti

scenari stiano cambiando e come un deciso ricorso alla violenza, alla guerriglia e alla lotta sia

talvolta percepito come l’unico metodo per delegittimare l’imperialismo capitalista. Lotta per la

liberazione nazionale, contestazione della politica estera (specialmente quella a guida

statunitense), analisi del pensiero marxista e promozione della rivoluzione internazionale si

intersecano in vari gruppi ed ideologie, destinate ad arricchirsi l’una con l’altra e a pescare

richiami ideologici dalla storia dei paesi di nascita o dall’attività di gruppi contemporanei.

Abbiamo anche visto come, per quanto riguarda l’Italia, la casa editrice Feltrinelli e soprattutto il

suo fondatore rivestano un ruolo piuttosto importante nell’introiezione prima, e anche della

messa in pratica poi, di azioni e pratiche rivoluzionarie, coagulando attorno alla ricca attività

editoriale una serie di istanze provenienti da un mondo in rivolta, che Giangiacomo Feltrinelli (e

non solo lui, come vedremo) prenderà ad esempio per cercare di portare la guerra a casa, anche

nell’Italia degli anni Sessanta, della DC e della NATO. Analizzeremo ora come ciò avviene, quali

sono i percorsi ideologici che portano ad un discorso di giustificazione e, talvolta, di

perpetrazione della violenza politica nel nostro paese, qual è lo scenario entro cui si manifesta una

volontà rivoluzionaria, e cosa essa innesca nella galassia del movimento operaio e delle sue frange

più radicali, fino ai gruppi di fuoco violenti come le Brigate Rosse.

Sarà un percorso che coinvolgerà la situazione sociale, politica ed economica italiana

specificatamente degli anni Sessanta e Settanta, ma che ci permetterà di ampliare l’analisi a

fenomeni nati ben prima, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dal periodo

Resistenziale, che come abbiamo precedentemente visto, ricoprono un ruolo spesso

fondamentale nei tentativi di giustificazione della lotta armata italiana nel sesto e nel settimo

decennio del Novecento. Un richiamo che è presente in particolar modo nella vicenda di

Feltrinelli, a titolo esemplare, ma che ricorre spessissimo nelle discussioni e nell’ideologia di molti

protagonisti della lotta armata italiana, sia per quanto riguarda gli echi mitici e fondanti della

Resistenza contro il fascismo, sia per quanto riguarda la Nuova Resistenza, quella da attuare negli

anni Sessanta e Settanta, contro il pericolo neofascista, contro uno stato percepito come nemico

da abbattere. Tenteremo inoltre di analizzare aspetti più ampi della cultura del tempo, partendo

anche dagli inni dei movimenti e dai richiami da essi evocati, dal cinema e dalla fiorente industria

cinematografica, da come cioè, nella società dei consumi, questi mezzi possano, da semplici

fenomeni di identificazione o intrattenimento, divenire megafoni, o cartine al tornasole, per

l’analisi di un discorso di lotta politica radicale.

Nel 1962 viene pubblicato in Italia I dannati della terra di Frantz Fanon, che giungerà alla quinta

edizione in dieci anni. Come abbiamo potuto notare, il testo ha affascinato numerosi gruppi

guerriglieri nel mondo, che dall’epopea della liberazione algerina hanno poi potuto mutuare lo

stesso linguaggio di lotta contro il colonizzatore. Un linguaggio che parla di una violenza inversa,

da usare contro quella perpetrata dal colonizzatore; un percorso di riappropriazione e

ricomposizione della propria umanità. In Italia nel 1967 esce anche l’autobiografia di Malcolm X

e iniziano i discorsi sul Black Power, escono le prime analisi sulle nascenti Black Panthers, sono

gli anni in cui il percorso rivendicativo di Martin Luther King si mescola alla grande questione del

Vietnam. L’eclatante gesto di Cassius Clay col suo rifiuto di prestare il servizio militare desta

scalpore in tutto il mondo occidentale, la questione nera viene percepita come una questione

interna, la questione interna di una colonia interna, stanca di subire essa stessa le prepotenze

Page 48: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

47

dell’imperialismo statunitense. Il Vietnam diventa terreno di scontro e contestazione, sul quale si

formerà una intera generazione; la difficoltà militare dell’operazione non fa che aumentare il

malcontento e innescare proteste nei campus universitari, proteste che presto, con il ’68, si

sposteranno anche in Italia. E’ proprio un percorso internazionale che fa da base al 1968 italiano,

un percorso anch’esso d’importazione, sull’onda delle contestazioni americane e soprattutto

parigine, ma che va ad innestarsi su una situazione già tesa e precaria, prendendone le tipicità

nazionali e inserendole in una lotta di più ampio respiro.

Se gli anni del boom, infatti, avevano consegnato una Italia nuova, proiettata in un mercato di

tipo capitalista e consumista, negli anni Sessanta persistevano ancora grossi squilibri tra la

ricchezza nascente e la situazione sociale e di lavoro nelle fabbriche. Come analizzato anche da

Paolo Farneti, si assisteva, più in generale, ad un prepotente sviluppo economico ma anche ad un

progresso civile molto più lento, fatto di burocrazia, di ceti politici percepiti come artificiali, tesi

solo alla promulgazione ed al mantenimento di un modus vivendi fatto di autoritarismo e

reazione. La sproporzione tra arricchimento delle imprese e livello dei salari, le condizioni di

lavoro, gli orari, le discriminazioni e le assenze di diritti pesano, in una nascente società

metropolitana e industriale, come macigni in quello che viene considerato un momento storico

nel quale i guadagni spettano alle classi più abbienti, e i sacrifici al proletariato. Anche la

progressione gerarchica sul posto di lavoro, come ad esempio accade in FIAT, viene percepita

come un qualcosa riservato esclusivamente ad operai e impiegati fedeli ed obbedienti. Le catene

di montaggio sono spesso ingranaggi infernali, portatori di nevrosi, alienazione, problemi fisici e

malcontento. Si sviluppano patologie nuove, nevrosi e crisi isteriche. Anche la crisi occupazionale

che investe il Paese tra il 1964 e il 1965 mette a nudo il grande squilibrio tra i sacrifici imposti alla

classe lavoratrice dipendente e le sperequazioni del padronato, sempre più teso all’esportazione di

capitali e alla grande evasione fiscale. Lungo tutto il ’64 e il ’65 poi si sviluppano pratiche di

austerità aziendale, con licenziamenti, riduzioni di orario e mancati pagamenti. I sacrifici, quindi,

vengono imposti solamente ai lavoratori, in una situazione sempre più difficile, in cui la classe

politica al governo spesso si occupa solamente di difendere gli interessi della classe padronale, a

scapito di quella lavoratrice. E’ l’Italia in cui si lavora come americani e si mangia come cinesi, figlia del

boom e delle sue contraddizioni. L’incipiente disoccupazione nel meridione e la conseguente

emigrazione verso il nord, altro non fanno che aumentare le difficoltà (anche igenico-sanitarie ed

abitative) delle metropoli settentrionali, con il caso particolare di Torino.100

In questo scenario di crisi innestatosi nel difficile 1965 spesso le politiche di austerità e di

ricollocazione sono utilizzate in maniera strumentale per reprimere dalla radice il malcontento

operaio che può sfociare verso una radicalizzazione dello scontro. Le reazioni alla crisi infatti

sono analizzabili secondo due tipologie; da un parte una frazione anche consistente di operai e

forza lavoro che si adegua alla repressione padronale, cercando di evitare una radicalizzazione

che, secondo loro, andrebbe in primis a proprio scapito e a scapito del proprio posto di lavoro,

dall’altra la resistenza di chi a queste misure repressive e tese allo smantellamento della protesta

sociale, radicalizza lo scontro e chiede misure di supporto sindacale più forti, con una progressiva

presa di potere della classe operaia all’interno del sistema fabbrica e del sistema lavoro.

E’ in questa fase, e in contrasto a quest’ultima categoria di reazione, che inizia una aggressiva

politica padronale di attacco alle forme di solidarietà orizzontale e di lotta sindacale, spesso anche

cercando l’aiuto delle forze dell’ordine nella repressione delle manifestazioni: è il caso ad esempio

100 G. Crainz, Op. Cit. pp.20-36

Page 49: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

48

dell’Alfa di Pomigliano, ove uno sciopero di solidarietà innescato dagli studenti vede il deciso

intervento delle forze dell’ordine, con ripetuti scontri.101

Una alleanza, possiamo chiamarla, quella tra il movimento studentesco e il movimento operaio,

che si farà sempre più forte e verrà sempre più ricercata specialmente sul finire degli anni

Sessanta, specificatamente tra il ’68, etichettabile come l’anno principe della contestazione

studentesca, e il ’69, l’anno dell’autunno caldo e della contestazione operaia. La radicalizzazione

dei conflitti sociali e dello scontro in queste due categorie, quella studentesca e quella operaia, si

esplicava in una aperta contestazione delle gerarchie e dell’autoritarismo esistente all’interno

dell’università e all’interno della fabbrica. Uno scontro sistemico radicale che porterà, in entrambi

i movimenti, alla messa in discussione non solo delle gerarchie e dei potentati che erano piena

espressione del ceto padronale, borghese e governativo, ma anche di quelle politiche

compromissorie e giudicate non sufficientemente radicali del sindacalismo ufficiale.

Si fanno sempre più strada, proprio nella seconda metà degli anni sessanta, ricerche di una

collaborazione dal basso, sia nelle scuole che nelle fabbriche, una critica all’autoritarismo tutto,

alle forme di potere, alla scuola come fucina di quadri e ruoli per una società considerata ingiusta.

Si comincia, proprio in questi anni, a levare il velo su quei settori della società italiana che più di

altri covavano dei mostri al loro interno. Comincia una nuova presa di coscienza anche, ad

esempio, della medicina del lavoro, delle condizioni di salute ed igiene nelle fabbriche, della

spesso spaventevole condizione dei brefotrofi e degli istituti di sanità mentale. Nasce un diverso

modo di approcciarsi alla malattia e alle sue cause sociali, nasce una critica alla parcellizzazione e

alla monetizzazione dell’infortunio sul lavoro, aumenta in generale il peso delle questioni sanitarie

all’interno delle rivendicazioni operaie. Questo anche grazie ad un ripensamento che arriva dalla

scuola, al suo approccio nei confronti del lavoro e delle sue dinamiche, approccio nuovo ed

innescato nelle dinamiche del 1968. Nell’Italia della fine degli anni Sessanta insomma vi è un

generale percorso di occupazione, intesa non solo come occupazione delle aule e degli istituti

universitari o delle fabbriche, ma occupazione di spazi anche metaforici, spazi sociali, spazi

d’azione che prima erano preclusi ad una fetta importante di popolazione italiana. Si inizia ad

entrare negli istituti psichiatrici, a entrare nelle fabbriche e ad analizzarne tutta la carica alienante,

a entrare nelle carceri per denunciarne le condizioni, ad entrare anche nelle dinamiche sindacali,

laddove queste non esprimevano una adeguata carica rivendicativa.

Una situazione, quella italiana, che si innesta in una temperie internazionale fatta di profonda

contestazione di tutti quegli assetti che, fino ad allora, avevano irreggimentato il mondo

consegnatoci dalla fine della seconda guerra mondiale. Una critica alla società capitalista avanzata,

il cui autoritarismo era da considerarsi parte integrante di un sistema di repressione; una lunga

marcia attraverso le istituzioni che in Italia verrà influenzata grandemente dalla situazione europea

ed extraeuropea, nei linguaggi, nell’azione e nelle rivendicazioni. Sono, tanto per limitarsi al caso

europeo, gli anni di Dutschke e dell’SDS tedesco.102

Certo che questa ondata di innovazione e contestazione non poteva svolgersi senza alterare e

senza intaccare equilibri politici preesistenti, che di tutto avrebbero fatto pur di mantenere lo

status quo. Proprio nel nodale 1965 ad esempio, le attenzioni dell’esercito vengono spostate da

una mera difesa dei confini orientali alla professionalizzazione degli aspetti di antiguerriglia. Vi è

un generale interesse alla repressione di quello che può divenire un nemico interno, nato dalla

101 G. Crainz, Op Cit. p.55 102 Ibidem, pp. 242-245

Page 50: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

49

contestazione e dalla radicalizzazione dello scontro sociale. E’ in questi anni che inizia a essere

messa a punto una strategia di infiltrazione anche all’interno dei gruppi violenti. Nell’esercito e

nelle forze armate viene fatta serpeggiare sempre più la sensazione che non solo il paese, ma

anche le istituzioni e i reparti armati stessi stiano vivendo una invasione da parte di elementi

interessati alla destabilizzazione; va in questo senso ad esempio la pubblicazione, da parte di Pino

Rauti e Guido Giannettini, dell’opuscolo Le mani rosse sulle Forze Armate. La situazione di reazione

alle manifestazioni di piazza può essere letta, più in generale, analizzando la frammentazione che

colpisce il Movimento Sociale Italiano a destra, con la nascita di gruppi più radicali come Ordine

Nuovo e Avanguardia Nazionale; è importante parlare di questa frammentazione poiché il

leitmotiv degli anni della contestazione italiana sarà la collaborazione, indicata da più parti e

percepita come criminale, tra elementi deviati dello stato e militanti dell’estrema destra politica,

spesso provenienti da questi gruppi. E’ la cosiddetta strategia della tensione, che avrà il suo

culmine con la bomba di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Una collaborazione, quella tra elementi dello stato e personaggi o gruppi dell’estrema destra, che

da semplice sospetto si fa via via un elemento di profonda certezza negli animi di chi la

contestazione la vive da sinistra. Abbiamo visto come in Giangiacomo Feltrinelli fosse sentito il

pericolo di un golpe alle istituzioni, e questa paura inizia ad infittirsi man mano che lo scontro

sociale diventa più forte. Una contrapposizione che in Italia, in particolar modo, si innesta in un

paese che da poco ha vissuto l’esperienza resistenziale, e che vive, da paese di frontiera, le

tensioni verso i paesi socialisti.

E’ altrettanto forte infatti, nella società italiana, anche la paura del comunismo e del sovietismo,

paura rinfocolata da importanti settori della società, dalla chiesa fino a quello dei mass media,

settori che impediscono spesso anche il dialogo tra le forze politiche; è utile in tal senso rileggere

un articolo, del “Corriere della Sera”, a commento della Resistenza antifascista:

“Ancora oggi la libertà e la democrazia sono gravemente minacciate dal comunismo […]. Assistiamo, e questa è l’attualità più

scottante, a un nuovo e più violento attacco del PCI allo stato e alla società […]. L’attacco si manifesta anche mediante l’insidia del

dialogo, allo scopo di irretire certi cattolici ingenui o in malafede […] il governo si rende conto della gravità e della pericolosità

dell’attacco comunista?”103

Contrapposizioni di questo tipo costituivano l’asse portante della politica italiana, un

anticomunismo viscerale che proprio il Sessantotto e il Sessantanove contesteranno, assieme ai

timidi tentativi riformistici del centrosinistra moroteo, il cui fallimento è anch’esso una concausa

dell’aggravarsi della situazione sociale.

I) Rumore di sciabole, tra golpe e Nuova Resistenza

Sono proprio le voci di golpe, il pericolo di una deriva politica autoritaria e la nascente strategia

della tensione ad innalzare, in Italia, il livello dello scontro. Timore di un golpe che nasce dagli

sviluppi internazionali. Oltre ai fatiscenti regimi di Salazar in Portogallo e Franco in Spagna, vi

sono nuovi timori, innescatisi dal golpe dei colonnelli in Grecia del 1967 e, successivamente, dalla

grande eco del golpe di Augusto Pinochet in Cile, ai danni del governo di Salvador Allende. E’

una situazione che pone l’Italia quasi in una situazione di accerchiamento, e le crescenti voci su

manovre militari di apparati delle forze armate, l’oscuro legame tra eversione nera e apparati

deviati dello stato, i durissimi scontri di piazza del ’68 e del ’69 e la bomba di Piazza Fontana

fanno precipitare il paese e la sinistra in uno stato di forte agitazione. Per quanto riguarda la

103 G. Crainz, Op. Cit. pp.102- 103

Page 51: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

50

strage del 12 dicembre, non sarà solo il mero attentato a preoccupare, bensì le pieghe che le

indagini sulla vicenda da subito prenderanno. Abbiamo notato come Giangiacomo Feltrinelli si

sentisse perseguitato dalla giustizia all’indomani dell’attentato, convinto che un disegno fosse

stato ordito per incastrarlo; ebbene la situazione si può trasporre su più larga scala, nel senso che

la piega delle indagini, con l’immediata scelta di puntare il dito sulla pista anarchica o dell’estrema

sinistra, i casi Valpreda e Pinelli, fanno fin da subito pensare che un disegno per colpire le sinistre

sia in atto, una sorta di segnale d’allerta per le piazze in subbuglio; un disegno pienamente

rientrante nella strategia della tensione.

E’ interessante notare, mutuando dalle esperienze del ’68, come questi avvenimenti e questa

tensione favoriscano reazioni tra loro differenti; il grave pericolo di una svolta autoritaria favorirà,

nei gruppi più radicali della galassia del movimento operaio, una riscoperta della tradizione

resistenziale come periodo di lotta contro il fascismo e il gollismo; una lotta da compiersi nei

confronti di un autoritarismo che è figlio legittimo di uno stato capitalista, che vuole difendersi e

mantenere l’ordine dopo le insubordinazioni del Sessantotto e del Sessantanove. La lotta contro il

gollismo in particolare è intesa come la lotta nei confronti di una possibile svolta reazionaria della

Repubblica Italiana, una svolta conservatrice capace di nuocere in profondità gli interessi e il

percorso rivendicativo della classe operaia italiana. Leggiamo in tal senso una testimonianza

ripresa dalla rivista “Nuova Società”:

“Gli uomini dell'apparato comunista dormivano fuori casa in attesa dell'evento che un segnale venuto da lontano dava per

imminente. I padri hanno smesso di dormire fuori per il colpo di Stato, pressappoco dopo i fatti del Cile, all'epoca del rifiuto della

logica del 51% e della comparsa del compromesso si sono sentiti il golpe ancora più addosso, hanno continuato il rito […] sino a

quando qualcuno ha cominciato a pensare che se il colpo di Stato - imminente secondo l'analisi politica - in effetti non arrivava,

forse si poteva favorirlo: il peggio avrebbe riacceso nel cuore degli uomini della Resistenza la fiamma che la nuova politica non

faceva più ardere.” 104

Testimonianza interessante e singolare, questa, che può dare un’idea non solo della situazione

vissuta anche in Italia nel 1973, ma anche delle diverse interpretazioni e dei diversi auspici dei

militanti comunisti; la Resistenza diventa il bagaglio culturale primo nel recupero di una

dimensione antifascista, in cui lo scontro talvolta, come in questo caso, può diventare addirittura

augurabile.

Vedremo più avanti come la nascita anche delle Brigate Rosse, ma più in generale la crescita dei

movimenti di sinistra radicale avvenga in una temperie fatta di antifascismo militante e lotta

all’autoritarismo, al pericolo cioè di una svolta neofascista nello scacchiere istituzionale italiano.

E’ pure rintracciabile, in questa fase storica, l’ambiguità di un partito, quello comunista, che da

grande padre delle istanze di equità sociale e da megafono della classe proletaria, si troverà spesso in

imbarazzo nel gestire da un lato gli sviluppi internazionali, e dall’altro le continue voci di dissenso

al suo interno e nella galassia movimentista che gli ruota attorno. Il distacco dall’ortodossia delle

Botteghe Oscure del gruppo de “Il Manifesto”, della Rossanda e di Pintor tra gli altri, è solo la

spia di un malessere diffuso, di una trasposizione politica di quell’autogoverno dal basso, di

quell’autonomia decisionale e di distacco dalla sclerosi burocratica mutuata dagli anni della

contestazione. Resterà un album di famiglia, fatto però di scelte e percorsi molto diversi, in un

cammino, quello del PCI, sempre più teso alla legittimazione come forza di governo pronta a

farsi carico della gestione delle istituzioni italiane, in un percorso di progressivo distaccamento da

alcune istanze che potevano risultare più radicali. Può essere in tal senso letto, ad esempio, il

104 G. Galli, Op. Cit. pp.98-99

Page 52: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

51

contraddittorio atteggiamento del Partito Comunista nell’analizzare i fatti cileni.

La lotta tra autoritarismo statale e violenza di piazza dei manifestanti, tuttavia, si forgia

soprattutto negli anni Sessanta. E’ in questo periodo che si fa forte la contrapposizione tra una

democrazia parlamentare vista solamente come maschera di uno stato parafascista, e una violenza

radicale proletaria e studentesca giustificata come mera difesa della propria libertà individuale,

seguendo il modello che abbiamo visto anche nelle altre esperienze estere. E’ anche il modello

scelto dallo Stato, una risposta prettamente militare e delegittimante, tesa non al dialogo bensì alla

repressione, a portare alla luce paragoni ideologici che metteranno sullo stesso piano la situazione

italica rispetto a quella vissuta, ad esempio, negli ultimi anni della Spagna franchista.105

Nei primi anni Settanta, con l’inasprirsi dello scontro sociale e della strategia della tensione, anche

l’atteggiamento del PCI si fa più attento ai possibili risvolti antidemocratici nazionali e

internazionali; dalla recrudescenza delle stragi tra ’73 e ’74 (attentati all’Italicus e la bomba di

Brescia)al golpe di Pinochet in Cile,fino alla scoperta del tentativo di colpo di stato da parte di

Junio Valerio Borghese, o delle trame del golpe bianco di Edgardo Sogno, emerge la

preoccupazione del segretario Berlinguer. Documentazioni e voci fondate arrivano sempre più

numerose ai vertici del partito, e anche all’interno dei quadri dirigenziali dello stesso inizia a porsi

con forza la questione di una possibile reazione ad una deriva autoritaria.

Il golpe cileno del 1973 in particolare pone moltissimi interrogativi alla direzione di Botteghe

Oscure, e il segretario, proprio in questa occasione, confermerà la scelta del partito di porsi come

interlocutore tra le tre grandi anime del paese, quella cattolica, quella laica e quella comunista. Sua

è anche una esplicita critica al comportamento del Partito Comunista Cileno, che a suo dire non

ha coinvolto a sufficienza i ceti medi e non ha fatta sua una forma di collaborazione con la “DC

cilena”.106 Nonostante ciò, anche tra i comunisti italiani, specie nella fazione di sinistra del partito,

emergono linee critiche e più dure, come quella di Ingrao. Si teme soprattutto che la via democratica

verso il socialismo, intrapresa dal PCI fin dalla fine della Resistenza, possa essere scambiata per

una rinunzia alla difesa; la prospettiva di uno scontro con le forze armate e con la reazione

violenta dello stato va insomma affrontata con decisione, non evitata, fingendo che il problema

non ci sia.

Il salto di qualità tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta sta sostanzialmente in questo;

la violenza neofascista e la violenza della repressione statale, le voci di golpe, la repressione nelle

piazze si fanno sempre più forti, e la reazione dei gruppi armati di sinistra inizia a farsi più forte.

Nel 1972 ricordiamo la morte di Giangiacomo Feltrinelli, e del 1972 è anche la morte del

Commissario Calabresi, al quale non viene perdonato il presunto coinvolgimento nella morte di

Pietro Pinelli, nel corso delle indagini su Piazza Fontana. La tensione sale alle stelle, e con essa

nascono percorsi di giustificazione della violenza che inizia a nascere a sinistra. Una violenza

difensiva, interpretata come risposta ad un attacco, una Nuova Resistenza che nei richiami

ideologici, nei nomi e talvolta nelle pratiche ama ricorrere ai miti fondanti della Resistenza

partigiana, alla Vecchia Resistenza. E’ utile in tal senso ricordare anche il clima in cui si svolsero più

tardi, nel 1975 a Torino, i funerali di Tonino Miccichè, militante di Lotta Continua ucciso con un

colpo di pistola in fronte dopo l’occupazione delle case popolari a Falchera; l’intervento fu di

Guido Quazza, presidente del comitato unitario antifascista, che davanti a una folla numerosa e

alle bandiere partigiane esposte a lutto, si espresse con queste parole:

105 G. Crainz, Op. Cit. p.264 106 Ibidem, p.451

Page 53: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

52

“Quando, venendo dalla tua terra siciliana, ti rendesti conto che la lotta di liberazione non era finita il 25 aprile 1945, anzi, era

appena cominciata.. la realtà torinese ti mostrò subito che la vecchia Resistenza chiedeva una nuova Resistenza, e che non era

questione di vecchi o di giovani, di italiani del Sud o del Nord, ma di una lotta sola, la lotta dei proletari contro il capitalismo, la

lotta dei proletari contro la sua arma estrema, il fascismo”107

La stessa nascita del Collettivo Politico Metropolitano, embrione nella nascita delle Brigate Rosse,

si rifà e si innesta nella grande situazione di tensione causata dall’attentato di Piazza Fontana:

“siamo di fronte ad una guerra civile latente”, vi si legge; e la sensazione che inizia a serpeggiare è

questa, ovvero quella di una chiusura degli spazi democratici che tra la fine degli anni Sessanta e

l’inizio dei Settanta si fa sempre più forte, e una risposta, da parte della sinistra radicale, che si

esplica in una grande ripresa della tradizione antifascista, anche con una lotta sempre più accesa

nei confronti del Movimento Sociale Italiano. Le aggressioni fasciste sono argomento di dibattito

anche tra numerosi e importanti esponenti del Partito Comunista Italiano; sarà Terracini nel 1971

ad evocare un significativo parallelismo con il 1920-1921, con il suo “mettere a posto i fascisti

luogo per luogo”, e pure Longo si esprimerà in maniera piuttosto netta:

“Nei confronti delle aggressioni fasciste […] dobbiamo creare le condizioni per reagire con iniziative adeguate del tipo di quelle

della Resistenza in forme nuove che servono talora più del solito sciopero”108

Importante anche il discorso di Amendola, in occasione della IV conferenza operaia nazionale del

partito comunista:

“Quando è venuto il momento della lotta armata, della guerriglia, del terrorismo, ebbene noi abbiamo saputo fare il nostro dovere

e questo resta nella storia del nostro paese. […] Noi abbiamo la fortuna di avere come segretario generale del nostro partito il

compagno Luigi Longo, Comandante delle brigate internazionali di Spagna e Comandante delle forze partigiane in Italia. […]

Quello che avviene nel mondo ci dimostra che quell’arte può tornare sempre utile.”

E ancora:

“Ecco la linea che noi seguiamo, una linea di avanzata democratica al socialismo, sulla base delle conquiste realizzate dalla

Resistenza. Non è una via che sia stata scelta da degli imbelli, non è una via necessariamente pacifica. E’ una via che utilizza la

Costituzione come arma conquistata dal popolo, ma nella quale si avanza tenendo gli occhi bene aperti, perché sappiamo che

davanti a noi c’è un nemico che se potesse ricorrerebbe ad altre armi, e se non ci ricorre è perché non osa, e fa bene a non osare di

fronte alla nostra capacità”109

La cultura politica della Resistenza viene rinfocolata anche per colpa dei fallimenti del

centrosinistra governativo e dell’impianto generale dei codici in vigore; la critica allo sterile

riformismo dei governi di coalizione, tuttavia, diventa propria anche di quei partiti che l’avevano

vissuta, e dei personaggi che l’avevano promossa; possiamo leggere in tal senso la testimonianza

di Gaetano Arfe’:

“Crediamo che la contestazione sia stata essenzialmente protesta contro un riformismo povero di tensione ideale e di capacità

realizzatrici; contro la degradazione a strumento propagandistico del grande mito della Rivoluzione d'ottobre”110

Si può quindi introdurre anche l’analisi un tradimento percepito, da parte di alcune frange

dell’elettorato, verso uno dei miti fondanti dell’ideologia socialista e comunista, ovvero quello

della rivoluzione d’ottobre, ridotta e accantonata oggi in un sistema politico che vede un

107 G. De Luna, Le ragioni di un decennio, Milano, Feltrinelli, 2009 p.16 108 G. Crainz, Op. Cit. p.392 109 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.118-119 110 G. Galli, Op. Cit. p.96

Page 54: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

53

centrosinistra di compromesso, schiacciato su posizioni attendiste e non confacenti l’interesse di

parte di quella classe operaia che, fiduciosa, aveva riposto le proprie speranze nei partiti della

sinistra parlamentare.

Specialmente in materia di ordine pubblico e di legislazione del lavoro, anzi, in Italia si perpetua

una pesante eredità della legislazione fascista; ambiti, questi, in cui più pressante era l’azione delle

sinistre, e contro cui si scontrava la lotta delle forze progressiste.

La sinistra parlamentare perfeziona tuttavia, in questo frangente, un percorso di distacco dalle

forze più estremistiche e violente, un distacco che causerà profonde lacerazioni in seno al

movimento operaio e ai suoi obiettivi. In questo senso si inizia a parlare di “fanfascismo”, si fa

emergere una teoria di “continuità dello stato”, cioè tra le istituzioni fasciste e quelle

democratiche, alla quale risponde un’altra continuità: quella tra la lotta di liberazione del ’43 – ’45

e la lotta politica degli anni Sessanta e Settanta.111 Sarà proprio lo storico Guido Quazza a farsi

interprete di questo nesso tra la Resistenza partigiana e le nuove ondate di contestazione del ’68 e

del ’69. Tuttavia il ’68, anno degli studenti e delle loro proteste, vedrà nascere anche forme di

interpretazione in senso opposto; forme di respingimento di una eredità, quella della Liberazione,

considerata spesso come un orpello del passato e non più attuale; la Resistenza avrà maggior

fascino, invece, nel movimento operaio del 1969; in particolare anche qui l’evento di Piazza

Fontana ricoprirà un ruolo essenziale nel rinfocolare un antifascismo che, soprattutto tra le

giovani generazioni, era spesso recepito come ambito riduttivo. Un ambito funzionale, secondo

molti attivisti, a incanalare la protesta verso meri obiettivi di difesa dell’ordine costituito.

L’attentato del 12 dicembre invece farà venire alla luce la pericolosità di trame e legami

considerati di stampo reazionario;112 ecco che la Resistenza diventa un momento di iniziativa e

lotta popolare da riscoprire, in antitesi al fascismo e alla percezione di esso che si vive nello

scontro con le istituzioni. Non solo la Resistenza del ’43-’45, ma anche quella di eventi più

recenti, ad esempio l’eredità degli avvenimenti del Luglio 1960. Nella Reggio Emilia e nella

Genova in cui gli scontri di quel luglio furono più intensi, la memoria delle violenze rimarrà forte,

e verrà rimarcata da alcuni ex brigatisti fuoriusciti dal PCI. La storia di Pierino Morlacchi, ad

esempio, è utile per ricostruire quel filo che, in un quartiere come il Giambellino di Milano, parte

dalla Resistenza e si snoda nel difficile rapporto con le istituzioni e l’istituzione PCI.113

Se il 1968 è stato l’anno dell’introiezione della guerriglia internazionale, dei messaggi di Marthin

Luther King e Cassius Clay, della contestazione al Vietnam, ecco che con l’inizio degli anni

Settanta si subirà una sempre maggior introiezione dell’antifascismo militante e di quelli che sono

i suoi miti fondanti, inevitabilmente ripescati dall’epopea della Liberazione italiana; Nuto Revelli,

Guido Quazza, Primo Levi, altri vecchi combattenti partigiani si uniscono alla lotta dei giovani

del ’68, dimostrando che il loro peso è tutt’altro che inattuale, e la loro capacità di lotta ancora

utile; proprio dal Comitato Antifascista di Torino ci viene il documento costitutivo che più di

tutti aiuta ad interpretare questa commistione tra protesta giovanile ed eredità partigiana:

“I vecchi partigiani chiamano i giovani che militano nella lotta contro il privilegio di classe a costruire una vasta e capillare rete di

contatti che sia pronta a rintuzzare con gli attacchi del fascismo di Almirante, anche i soprusi del fascismo di Stato. Nella città di

Parma, che nel 1922 insorse contro le squadre fasciste e le cacciò, e che nel 1972 è scesa in piazza unanime dopo l’assassinio di

Mario Lupo, i dimostranti assalirono la sede del MSI in via Maestri: bandiere nere, ritratti del Duce, gagliardetti, tutto

l’armamentario fascista asportato durante l’assalto fu portato davanti all’ex dimora di Guido Picelli, nell’Oltretorrente, in un ideale

111 G. De Luna, Op. Cit. p.16 112 Ibidem, p.81-82 113 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.73-75

Page 55: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

54

di continuità con la Resistenza, sottolineata dall’oratore del comizio, il comandante partigiano delle “Formazioni Garibaldi” Gino

Vermicelli”114

Il terreno di lotta democratica resta tuttavia l’ambito largamente preferito dai militanti della

sinistra; ma dato che le conquiste democratiche innescano la reazione dello Stato, che può servirsi

e, secondo i protagonisti della contestazione, si serve di manovalanza fascista per impedire le

conquiste sociali, ecco che bisogna essere pronti a saper difendere ciò che faticosamente è stato

ottenuto.

Rivoluzioni mancate, e Resistenza tradita; questa cultura viene mescolata ai grandi stimoli

provenienti dalla Rivoluzione maoista o da quella cubana, dalle lotte di liberazione e dall’anti

imperialismo, fino alla situazione nel Vietnam, si capisce come lo scontro con uno stato

considerato come autoritario, da metaforico possa divenire sempre più reale, e anche il concetto

di violenza politica possa prendere corpo in un contesto giustificativo. 115 E’ proprio nello scontro

con l’apparato repressivo dello stato da un lato e la presenza neofascista nello scenario politico

dall’altro a lanciare il percorso di maturazione di una radicalizzazione dello scontro; i morti negli

scontri di piazza non di rado vengono assimilati ai martiri della Resistenza, e tra i cortei in

qualche caso inizia già a serpeggiare una dimestichezza con lo scontro e anche con le armi. E’

proprio il carattere di guerra civile al quale si rifà il Collettivo Politico Metropolitano nel suo

comunicato, una guerra latente in cui, come abbiamo notato nelle altre esperienze, mito e

tradizione storica nazionale si innestano sul presente della situazione internazionale.

Dall’altro lato, un apparato repressivo dello stato che anche seguendo gli scritti di Isabelle

Sommier diventa la causa prima dell’eccezionale forza con la quale lo scontro sociale si presenta,

e si presenterà, in Italia; la bomba di Piazza Fontana stessa, come già detto, viene percepita come

un attacco diretto alla possibilità di rivendicazione sociale, una chiusura di spazi assolutamente

forte, che sarà alla base dei percorsi di lotta armata che da qui si perfezioneranno:

On peut dire qu’en se plaçant sur le strict terrain de l’ordre public (répression et utilisation de la violence d’extreme droite) les

réponses gouvernementales au movement de conte station ont précipité la formation d’une génerération politique qui, exposée à

l’événement générateur symbolisé par l’attentat de Piazza Fontana, développe un ensemble d’attitudes et de comportements en

rupture radicale avec l’ordre politique.116

Parlando francese, c’è da dire che nel 1972 anche nel paese transalpino l’omicidio di Pierre

Overney, militante della Gauche Proletarienne, viene visto con estrema preoccupazione; l’evento

porterà allo scioglimento di GP e alla fondazione di Nouvelle Resistance Populaire; tuttavia il

discrimine che impedisce ad altre situazioni europee, come questa, di sviluppare il percorso di

forte violenza armata che si esplicherà in Italia, è proprio la presenza, in Italia, di attentati e

bombe che verranno percepiti come la risposta dello stato al pericolo di uno slittamento a sinistra

del paese.

II) La giustificazione della violenza

Il percorso di radicalizzazione dello scontro lungo la prima metà degli anni Settanta si fa evidente

in una logica di risposta, da sinistra, anche alle violenze perpetrate dalla fazione di destra, o

neofascista, a lei avversa. E’ in questi anni che avvengono, in uno scenario quasi di botta e

risposta violenta quotidiano, gli omicidi dei fratelli Mattei a Primavalle, o l’uccisione di Sergio

114 G. De Luna, Op. Cit. pp.88-89 115 S. Neri Serneri, Op. Cit pp.27-29 116 Ibidem, pp.115-116

Page 56: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

55

Ramelli, seguita nel 1975 da quelle di Mantakas e Zicchieri. D’altro canto anche il primo omicidio

delle BR può essere ricondotto nell’alveo dell’antifascismo militante e di un attacco ai danni dei

partiti e delle forze politiche di estrema destra: nel giugno del 1974 a Padova le Brigate Rosse

uccidono due militanti dell’MSI, come avremo modo di analizzare anche più avanti.117

La violenza nei cortei già si stava accompagnando, nel crescendo di tensioni dell’inizio degli anni

Settanta, alla nascita di “doppi livelli” nei gruppi rivoluzionari, come Potere Operaio; all’attività

politica legale se ne affiancava una illegale, volta ad una violenza armata più precisa ed efficace,

come abbiamo visto nel caso dei FARO, che presero contatti con col circuito dei GAP di

Feltrinelli. E se proprio questi ultimi avevano una decisa direzione antifascista e antigolpista,

mutuata anche dalla terminologia strettamente richiamante il mondo della Resistenza partigiana,

le Brigate Rosse si espressero nell’intento di iniziare una guerriglia di lunga durata, da radicarsi

attraverso la propaganda armata nelle fabbriche. Da un intento difensivo, quindi, il salto

successivo è quello di una dinamica di contrattacco. Il problema dell’organizzazione della

violenza del resto è intrinseco a tutta l’area della sinistra radicale, se pensiamo che “Potere

Operaio” nel 1971 pubblicò due documenti sul tema, uno a firma dei GAP e uno a firma Brigate

Rosse. Una organizzazione della violenza che parte da una reazione nei confronti del fascismo, e

che permetterà alla violenza della sinistra radicale di esprimere tutto il suo peso nella seconda

metà degli anni Settanta, con le azioni più eclatanti e mortali. Nel discorso della giustificazione e

dell’organizzazione della violenza tuttavia, le eredità degli avvenimenti internazionali e delle

esperienze di guerriglia mutuate da altri paesi sono ben presenti.118

Una differenza nell’azione violenta e nella sua accettazione e accezione è evidente anche per

quello che avviene in gruppi come Potere Operaio, nei confronti delle nascenti Brigate Rosse; il

concetto di avanguardia, ad esempio, di PotOp e Lotta Continua, non va nella dimensione di una

integrale accettazione della lotta armata in clandestinità, che sarà fatta invece dalle Brigate Rosse,

sulla scia dei movimenti dell’America Latina come i Tupamaros. L’opportunità stessa della scelta

della lotta armata in Italia è fonte di dibattito e di visioni molto diverse tra loro. Tuttavia

possiamo dire che l’insorgenza stessa di un dibattito sull’uso della violenza in una situazione di

forte tensione sociale, può aver contribuito all’insorgere di forme di disponibilità all’azione in

alcuni casi, e di mancata dissociazione aprioristica in altri. La reazione di Lotta Continua nei

confronti dell’uccisione di Oberdan Sallustro in Argentina, ad esempio, non dimostra solo la

sensibilità degli organi di informazione dell’estrema sinistra su quel che accadeva nel mondo della

sinistra internazionale, bensì anche una certa disposizione a non rifiutare il discorso sulla violenza

come un qualcosa da accantonare senza dubbi.

Lotta Continua e Potere Operaio tuttavia conserveranno al loro interno elementi che

impediranno, ai due gruppi, di formarsi nell’alveo di una piena e pratica adesione a percorsi di

lotta armata. Lotta Continua cresce come movimento di massa, raccogliendo posizioni

ideologiche molto diverse tra loro, alcune largamente contrarie all’uso della violenza; Potere

Operaio, organizzazione più piccola e ideologicamente più omogenea, non ebbe maggior fortuna

nell’avvicinamento ad un percorso di violenza politica; realtà molto importanti, come quella di

Marghera ad esempio, si tennero sempre molto lontane da una linea di militarizzazione dello

scontro, e il FARO, struttura segreta clandestina del gruppo, non ebbe mai l’attenzione generale,

e le sue azioni di lotta armata erano certamente di secondo piano. E’ grande la difficoltà, in questi

117 S. Neri Serneri, Op. Cit. p.48 118 Ibidem, p.127 e nota 17

Page 57: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

56

gruppi, di conciliare la dimensione politica ufficiale e di massa con un discorso di militarizzazione

e clandestinità che alla fine verrà abortito.

III) Il ruolo delle riviste e dell’azione nelle fabbriche

Il fallimento elettorale di Lotta Continua e le lacerazioni in Potere Operaio, unite alla grande

dispersione ideologica interna ai movimenti, favorirono tuttavia un frazionamento che permisero

la nascita o lo sviluppo di nuovi gruppi e organi di propaganda, come ad esempio i “Quaderni

Piacentini”, “Rosso”, “Linea di Condotta”, “Controinformazione”, “Ombre Rosse” e “Senza

Tregua”; giornali dell’autonomia operaia, agenti a Milano, Varese, nel Veneto, in realtà di fabbrica

dell’Italia del nord. “Senza Tregua” in particolare, innestandosi nell’alveo della coesistenza tra

azione politica di massa e esercizio della forza da parte di avanguardie di fabbrica, realizzò alcune

azioni armate tra il 1975 e il 1976; il ferimento di Paolo Fossat allo stabilimento FIAT di Rivalta,

o quello di Heinrich Dietrich Herker, allo stabilimento Philco-Bosch di Brembate. Queste azioni

sono campagne di attacco massiccio verso quadri di dirigenza aziendale, svolti in situazioni ove

già esisteva una significativa presenza di avanguardie operaie e in fabbriche dove la situazione era

esacerbata da dure lotte sindacali. In queste azioni si nota l’intento di forzare la mano,

boicottando gli scioperi e le manifestazioni del sindacato ufficiale. Portare il fuoco in fabbrica è uno

degli slogan di Senza Tregua, assieme a Guerra di classe per il comunismo, o Costruire il potere armato

della classe operaia. A Rivalta in particolare, durante gli scioperi, si crea un embrione di tribunale

operaio di corteo, davanti ai cancelli si sceglie chi può entrare in fabbrica e chi no, si istituisce un

comitato operaio. Uno scontro frontale con le dinamiche aziendali in totale autonomia rispetto

all’ortodossia sindacale ufficiale.119

Nelle divulgazioni di queste riviste la critica è forte, infatti, anche nei confronti degli organismi

rappresentativi della sinistra ufficiale. Capita così che in “Rosso” si possa leggere un duro attacco

al sindacato italiano, giudicato come pieno di compromessi, immobile e cedevole; il PCI viene

accusato di ammiccare al capitalismo e di attaccare qualsiasi nucleo di Resistenza ancora presente

in Italia. Una Autonomia operaia che quindi si esplica con dure critiche alla sinistra ufficiale e

parlamentare e giustificazione della lotta armata, e anche attraverso l’uso della violenza.

L’onda lunga del Sessantotto infatti porta ad una ridiscussione delle gerarchie anche all’interno

della sinistra, del sindacato e del movimento operaio. E coesiste anche in questi gruppi, nella

tradizione antifascista che abbiamo analizzato prima, un discorso sulla violenza inteso come

pratica di autodifesa, di prevenzione di derive autoritarie e neogolliste, come si può leggere da

“Controinformazione”:

“Fino a due mesi fa, tentare un’analisi della situazione politica italiana significava trovarsi di fronte a uno sviluppo di tendenze […]

passibili di aprirsi a due soluzioni di massima: da un lato quella dei fautori ad oltranza del compromesso storico, come ultima

spiaggia del capitalismo, dall’altro quella dei sostenitori della svolta autoritaria […]

Agli antipodi le stragi - senz’altro conosciute e forse dirette dall’esecutivo – commiste al rigurgito nero centralizzato a un progetto

strategico eversivo, stavano a dimostrare l’esistenza di dentro la macchina statuale e dentro i centri nevralgici del potere, di un

programma politico terroristico che non esitava a usare della violenza più vile e sanguinosa per rimettere sul trono la dittatura

borghese.

E ancora:

“Questi congiurati vestiti di nostalgia anacronistica […] erano e sono, le rotelle – chissà fino a che punto inconsapevoli – di un

congegno complesso il cui motore si identifica coi centri intoccabili del potere nazionale, ma la cui energia arriva da lontano, in

119 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.190-191

Page 58: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

57

gran parte dal colosso USA.”120

Questa condanna alla repressione nazionale e alle trame oscure che legavano interessi USA alle

gerarchie nazionali verrà fatta propria anche dalle Brigate Rosse, che non tarderanno a definire

“fascisti in camicia bianca” i politici della Democrazia Cristiana e anche della minoranza di sinistra al

governo.

L’atteggiamento di vicinanza che lega alcune di queste riviste (e di suoi collaboratori) alle BR si

sposterà anche dal punto di vista della pratica; nel nodale 1974 infatti (sequestro di Sossi,

attentato di Piazza della Loggia e strage di Benedetto Val di Sambro), “Rosso” commenterà così il

rapimento del magistrato genovese:

“Noi non piangiamo per Sossi, perché lacrime e rabbia non bastano neppure a vendicare le morti che i borghesi hanno provocato

tra noi.”121

Gli attentati esplosivi e le stragi del 1974, infatti, aiuteranno a far divenire ancora più

incandescente la situazione; “Rosso” e le altre riviste consegneranno l’idea che la lotta sia tra uno

stato etichettabile come fascista e chi cerca spazi di apertura democratica; spazi che, se ostruiti ad

hoc e non concessi, possono essere aperti e rivendicati con la forza; è sbagliato sostenere una

diretta consequenzialità e dire in maniera deterministica che il terrorismo di sinistra è stato

causato solo dalla strategia della tensione. E’ più corretto, tuttavia, dire che i linguaggi e le

ideologie, specialmente quelle di giustificazione della lotta armata e della violenza difensiva si

perfezionano in questo contesto.

Altro colpo di maglio alla reputazione del PCI all’interno dell’Autonomia operaia venne dalla

questione dell’approvazione della Legge Reale del 21 maggio 1975; una legge considerata

repressiva ed autoritaria non solo dal movimento operaio e dagli attivisti della sinistra, ma anche

da larghe frange di sostenitori del Partito Comunista; quest’ultimo tuttavia concesse un appoggio

al rinnovo della legge, e questo appoggio scatenò ondate di critica. Si ebbe una conferma della già

citata intenzione del PCI di legittimarsi come partito di governo, partito d’ordine. Riviste quali

“Rosso” e molte altre voci della sinistra extraparlamentare nostrana si scagliarono contro questa

decisione, aumentando la sensazione di progressivo attacco che l’apparato statale stava

perpetrando verso tutti coloro che desiderassero un ampio cambiamento degli equilibri politici

italiani. “La violenza contro la violenza” diverrà uno slogan usato molto spesso, uno slogan che

racchiude l’aggravarsi della tensione e della radicalizzazione, in un contesto che, alla metà degli

anni Settanta, ormai già vedeva l’insorgere di gruppi di fuoco e dell’azione brigatista.122

Grazie all’elaborazione teorica di giornali e di movimenti dell’autonomia operaia, possiamo notare

anche come all’interno delle logiche di giustificazione della resistenza armata, si sviluppi una eticità

della contestazione, annidata nell’idea che i movimenti di fine anni Sessanta fossero movimenti

essenzialmente pacifici, tesi ad un mutamento in senso progressista e positivo della società.

Questi movimenti, tuttavia, si imbatteranno presto in una reazione statale di stampo repressivo e

considerata colpevole, omicida, fascista. Vediamo in tal senso l’analisi di Adriano Sofri:

“La strage di Piazza Fontana aveva comunicato a noi, e soprattutto alla maggioranza dei militanti fervidi e puri poche terribili

notizie: che si era disposti a distruggere la vita di persone inermi e senza bandiera; che se davvero la strage era la subdola reazione

alle lotte di operai e studenti […] era vero per conseguenza che la cura di quei morti innocenti, la giustizia per loro […] ricadevano

120 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.216-217 121 Ibidem, p.218 122 Ibidem, pp.211-220

Page 59: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

58

direttamente su di noi […] finito il gioco, la gioia, la lealtà: era iniziata l’età adulta, nell’orrore e nella determinazione”123

Vi è qui il rimando ad una causa ideale e quasi pedagogica che ritorna in chiave autogiustificante;

le manifestazioni leali, senza bandiera, i morti innocenti, in contrapposizione all’orrore della

reazione statale. La determinazione come reazione, la giustificazione della violenza e di una

giustizia che ormai travalica il comune senso di legalità. Una giustizia la cui responsabilità ricade

su chi reagisce e resiste, e da ottenersi in un mondo in cui l’illegalità e la criminalità sono

perpetrati, nell’immaginario del resistente, da chi invece dovrebbe combatterli. Ecco che la reazione

non può che essere forte, e determinata. Opporre la violenza alla violenza, in un mondo in cui

ormai la lotta politica è fatta senza esclusione di colpi. Lo stato diventa un apparato di forza

contro il quale lottare, un apparato nemico e facente interessi lontani rispetto a quelli del popolo;

inizierà ad assumere, in ultima istanza, i connotati di quello Stato Imperialista delle Multinazionali

costantemente citato nella memorialistica e nei comunicati delle Brigate Rosse.

L’inasprimento della lotta politica e della situazione sociale viene seguita da tutte le riviste e da

tutta l’area della sinistra autonoma; “Potere Operaio” nel marzo del 1971 si esprimerà, in un

articolo, paragonando la situazione italiana a quella del 1922; gli attivisti fascisti, gli esponenti

dell’estrema destra, sono elementi al soldo del capitale in funzione antioperaia. In questo periodo

PotOp si occupa di rilanciare e rafforzare la tesi di un ampliamento delle capacità organizzative

della violenza operaia. Si mette in discussione il mantenimento stesso della democrazia, che alla

classe operaia non ha mai fruttato alcunché, diventando invece brodo di cottura per quei poteri

forti che oggi guidano la repressione antioperaia.

Già dal 1969 la radicalizzazione della contestazione proletaria portò, negli ambienti di fabbrica, ad

episodi di gogna popolare, di tribunali proletari improvvisati, che richiamavano ad una forma

prettamente arcaica e immediata di giustizia, un controtribunale in loco contro i padroni, contro i

capireparto più zelanti, ma anche gogne nei confronti dei crumiri. Leggiamo in tal senso un testo

apparso su “Lotta Continua”, dalla violenza persuasiva all’unità politica:

“Le botte contro gli impiegati, gli sputi, le pietre contro gli uffici […] non sono stati semplici atti di vendetta o di odio contro i

lavoratori o rabbia generica contro chi non scioperava. La violenza operaia aveva lo scopo di portare gli impiegati alla

consapevolezza della propria condizione di sfruttati, alla considerazione della propria viltà e miseria, alla maturazione di una

coscienza politica […] tutto ciò non poteva avvenire tranquillamente.”124

La violenza, qui, assume il carattere di levatrice della storia, un carattere pedagogico ed esemplare. E’

d’uopo notare che l’esercizio della forza è usato come fattore di persuasione nei confronti dei

colleghi recalcitranti, o di altri individui coinvolti nel sistema fabbrica, nel sistema produzione. 125

Vengono usate, nel perpetrare questo tipo di azioni punitive nei confronti di piccoli capi o quadri

dirigenziali, metodologie già sperimentate in altri contesti storici: colla nei capelli, pittura,

esposizione con un cartello al collo (riutilizzata poi dalle Brigate Rosse).126

Questa situazione di contro giustizia, se così possiamo chiamarla, questo frequente ricorso alla

gogna proletaria o a strumenti di giudizio immediato nei confronti del nemico, va ad inserirsi, in

Italia, in un altro interessante contesto, quello del Casellario Politico Centrale, e della sua risposta

movimentista: il Controcasellario. Il CPC è uno strumento inventato nell’Italia di Crispi, atto al

controllo di quei cittadini etichettabili come eversivi o in odore di eversione; questa formula di

123 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.237-238 124 Ibidem, p.249 125 Ibidem, pp.238-249 126 Ibidem, p.266

Page 60: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

59

controllo sociale verrà ripresa e ampliata durante il periodo fascista, quando si conteranno

114.000 fascicoli aperti; dopo la fine del ventennio mussoliniano tuttavia questo sistema di

controllo non cesserà di esistere, e verrà anzi ripreso nell’Italia repubblicana post-elezioni del

1948, in chiave prettamente anticomunista. La sua attività finirà nel 1968, ma ciò non toglie che,

ad esempio, nel 1961 in Italia vi siano 13.716 vigilati, in gran parte comunisti; vi si contano

soprattutto ex partigiani.127 Questa azione di schedatura del nemico tuttavia trova un suo utilizzo

anche da parte della sinistra radicale, con la redazione di un Controcasellario, con elenchi di

fascisti e individui considerati pericolosi, da tenere sotto controllo; la stessa Lotta Continua in

alcuni numeri del 1970 pubblicherà dei nomi di individui considerati pericolosi e appartenenti

all’area dell’estrema destra. E’ una mappatura, quella della sinistra radicale, che riguarda persone,

ma anche organizzazioni e quartieri chiave da controllare oppure da tenere sott’occhio in

funzione auto difensiva. Accanto a queste pubblicazioni, più o meno segrete, compaiono anche

manuali di guerriglia urbana, testi inerenti e richiamanti il mondo della Resistenza e della

liberazione guevariana.128 Bisogna specificare anche che l’attività del Controcasellario subisce una

importante spinta dall’attentato di Piazza Fontana, in cui dopo le iniziali pieghe delle indagini,

intese come un attacco all’area della sinistra radicale, ci si organizza per condurre una autodifesa,

quasi una indagine parallela per accertare quelle che invece, a sinistra, erano percepite come le

vere responsabilità: quelle dello stato e del fascismo ad esso colluso. E’ una indagine, questa, dalle

molteplici direttrici, che viene fatta anche con appostamenti di gruppi della sinistra

extraparlamentare, pedinamenti, furti di atti d’ufficio.129 E’ in questo contesto di esplicita antitesi

all’estrema destra, alla copertura verso la bomba del 12 dicembre, in difesa all’accerchiamento e

agli attacchi percepiti che la sinistra si pone sempre più sul terreno dell’antifascismo militante; un

antifascismo violento, in risposta agli attacchi provenienti dalla destra, un antifascismo

sponsorizzato in particolar modo, già nel 1970, da Lotta Continua, e forte di richiami alla

mitologia resistenziale, alle guerriglie internazionali e a gruppi italiani come la Volante Rossa, che

a breve prenderemo in analisi.

Questa attività di schedatura, pratica e ideologica, è utile per valutare il percorso di inasprimento

dello scontro, ma soprattutto nell’analizzare la personificazione del nemico all’interno

dell’ideologia della sinistra radicale. In tal senso infatti, può essere analizzato il caso dell’omicidio

del commissario Calabresi:

“Sappiamo che l’eliminazione di un poliziotto non libererà gli sfruttati, ma è questo, sicuramente, un momento e una tappa

fondamentale dell’assalto del proletariato contro lo stato assassino” 130

Così scriveva “Lotta Continua” in merito; la violenza diverrà capillare, così come era ritenuta

capillare l’infiltrazione dell’estrema destra e dei suoi uomini all’interno delle istituzioni del paese, e

della sua vita politica. L’attività di sempre più numerose forze di sinistra estrema si spiega quindi

in una raccolta di informazioni, indirizzi, numeri, fotografie e particolari su esponenti della

fazione avversa. La redazione di Lotta Continua avrà un ruolo fondamentale in questo percorso,

in un cammino riguardante le periferie delle metropoli italiane. Il concetto di “base rossa”,

mutuato dalla guerriglia maoista, viene inteso in un senso di liberazione dal fascismo prima, e di

127 G. Crainz, Op. Cit. pp.107-109 128 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.256-257 129 Ibidem, p.312 130 Ibidem, P.315

Page 61: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

60

attacco verso il padronato. 131 Non solo “Lotta Continua”: anche “Potere Operaio”, nel 1972,

esplicita chiaramente la sua posizione nei confronti della violenza, della sua giustificazione e del

suo intendersi come reazione ad un altro tipo di violenza, quella del capitale:

“Economia è violenza. Diritto è violenza. Lavorare uccide. Distinzioni come diritto e violenza, ordine e ribellione, legale o illegale

sono categorie borghesi che respingono sullo sfondo – mascherandola – la comune base di violenza antioperaia di tutte le

istituzioni di questa società di classe”132

Un elemento di riconduzione alla violenza del capitale, e dello stato suo garante, che sarà presente

anche negli slogan, negli inni, nelle canzoni e nel cinema di quegli anni, e che aiuterà a diffondere

l’ideale di una reazione, quella antifascista e proletaria, che non può più basarsi sul rispetto di una

legge borghese, ma che è autorizzata e deve spingersi a combattere il nemico con mezzi anche

illegali. Il Vietnam vince perché spara è, assieme a tanti altri, uno degli slogan più usati nei cortei e

nelle agitazioni del tempo. Non sarà l’unico, come vedremo, ma fornisce già una precisa

interpretazione di una violenza proletaria che, in Italia, può ricondursi a tutti i dannati della terra, a

tutti i popoli e a tutte le persone che lottano contro l’imperialismo capitalista e la reazione.133

La parabola di Lotta Continua finirà con il congresso di Rimini del 1976; nel contesto di un

progressivo avvicinamento del PCI alla Democrazia Cristiana, della prosecuzione del

compromesso storico, sulla scia dei governi di solidarietà nazionale e della percepita impossibilità

di cambiare il sistema italiano attraverso un movimento di massa come poteva essere il Partito

Comunista, molti militanti di Lotta Continua si avvicineranno ad una linea di intransigenza

rivoluzionaria, che farà migrare alcuni di essi verso l’esaltazione della lotta d’avanguardia, della

clandestinità; per alcuni militanti si avvierà cioè un progressivo avvicinamento a gruppi come le

Brigate Rosse e Prima Linea, e di conseguenza al terrorismo.134

IV) L’antifascismo non finisce

Non solo, come abbiamo visto in queste righe, l’antifascismo è un carattere decisamente

importante nel bagaglio ideologico di gruppi di lotta radicale nel panorama italiano; l’antifascismo

rimane parte fondamentale dell’ideologia di base dei gruppi armati della sinistra anche in fase

piuttosto avanzata.

Il partito armato e le Brigate Rosse in particolare, infatti, oltre a pescare le schegge impazzite dalla

galassia in dissoluzione di movimenti come Lotta Continua e Potere Operaio, riusciranno anche

nel 1975 inoltrato a reclutare elementi dalla sinistra radicale facendo leva su sentimenti antigolpisti

e di paura per una deriva autoritaria nel paese; proprio da sentimenti antifascisti e antigolpisti è

analizzabile la reazione all’uccisione di Walter Alasia nel 1976; dal funerale, con al collo del

militante delle BR morto (nome di battaglia Luca) il fazzoletto da partigiano. Sempre nel 1976, il

giorno dopo il decesso di Alasia, un’altra bomba scoppierà a Brescia, due anni dopo quella di

Piazza della Loggia. Il corteo di protesta e mobilitazione che seguirà a questo misterioso

attentato, scandirà lo slogan “Walter, Martino, non siete morti invano – noi prenderemo presto il vostro

mitra in mano”. Martino è un membro dei Nuclei Armati Proletari ucciso a Roma, Walter è

ovviamente Alasia. Lo slogan è mutuato dall’esperienza cilena, in particolar modo dalla frase “Il

popolo del Cile prenderà il mitra in mano -e tu compagno Allende non sarai morto invano”. L’antifascismo,

131 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.317-318 132 Ibidem, p.269 133 Ibidem, p.270 134 G. Galli, Op. Cit. p.208

Page 62: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

61

insomma, rimarrà un importante fattore di identificazione e coagulazione ideologica per i gruppi

della sinistra radicale, anche dopo la fase di nascita delle Brigate Rosse e degli altri gruppi armati.

Anche nel 1977, ad esempio, un attentato rivendicato da BR e Nuovi Partigiani vede esplodere

una bomba al palazzo dei congressi di Roma, ove ha sede un congresso dell’MSI. L’antifascismo,

anche dopo il 1969 e i primi anni Settanta, rimane uno dei caratteri ideologici principali della lotta

armata, un antifascismo mutuato anche alla luce di esperienze internazionali e di derive autoritarie

in altre nazioni, e in altri continenti.135

V) La lotta armata sul grande schermo: rappresentazione e autorappresentazione della sinistra radicale

Nel percorso di progressiva entrata dell’Italia in un sistema capitalista avanzato e nella

collocazione di quest’ultima nel blocco occidentale durante la guerra fredda, negli anni del boom si

può notare, come abbiamo già visto, una progressiva modifica non solo della società italiana,

incanalata sempre più in una ottica e in una etica dei consumi, ma anche dei settori economici in

cui la vita del paese si snoda; l’industria elettrodomestica, l’IRI, la politica energetica di Mattei, ma

non solo; anche l’industria cinematografica, le cui potenzialità erano già note e utilizzate in epoca

fascista, subisce una crescita vertiginosa nell’importanza non solo dell’economia statale, ma anche

nel mondo della cultura.

Sempre parlando del rapporto che lega l’America all’Europa, e in particolare all’Italia,

cinematograficamente e culturalmente è innegabile l’importanza dell’introiezione di logiche

culturali statunitensi nella crescente industria cinematografica peninsulare; la colonizzazione

culturale è forte, e scatenerà anche in questo caso fenomeni di resistenza, specialmente nel

mondo della sinistra; in uno dei generi più significativi di questo melting pot cinematografico e

culturale, ovvero il genere Spaghetti Western, si può notare una forte osmosi; l’America fornisce

all’Italia nuovi modelli di socialità e di modus vivendi, e l’Italia stessa, in particolare la sua

cinematografia, pescherà moltissimo dall’universo culturale americano, creando una singolare, e

molto interessante, commistione tra simboli e culture prettamente statunitensi e altre, invece,

italiane.136

Abbiamo parlato di Resistenza verso nuovi modelli anche cinematografici d’importazione; questa

repulsione in particolare è forte negli ambienti della sinistra italiana, ancora legata a modelli

neorealisti; il neorealismo si sviluppa spesso lungo tematiche antifasciste, autori come Luchino

Visconti imprimono modelli che segneranno la vita culturale del paese lungo gli anni

immediatamente seguenti la fine della Seconda Guerra Mondiale; un modo di guardare all’Italia

meno luccicante, spesso più cruda, l’Italia popolare e proletaria. Questo tipo di film, nato nel

filone di un impegno civile teso ad una più radicata coscienza antifascista, rimarrà il genere

preferito della sinistra, che invece si troverà in difficoltà nell’analizzare l’introiezione di generi

d’importazione. Lo stesso Pietro Secchia, in ottica anti imperialista, criticherà profondamente il

rischio che l’introiezione di generi cinematografici americani possa non solo intorpidire la

coscienza di classe del popolo italiano, ma possa altresì corromperne l’identità, contaminarne le

forme di organizzazione ed espressione culturale.137

Come abbiamo già fatto notare, tuttavia, anche i modelli cinematografici d’importazione

finiranno con l’esprimersi non tanto in una traslazione completa di modelli americani in suolo

135 G. Galli, Op. Cit. pp.211-214 136 A. Fisher, Radical Frontiers in the Spaghetti western, Londra, IB Taurus 2011 p.19 137 Ibidem, p.14

Page 63: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

62

italico, bensì in una mescolanza di linguaggi; da una forma di neorealismo rosa, si passerà presto

ad una forma di western all’italiana in cui i protagonisti diverranno eroi solitari, personaggi

alienati, esterni al sistema di legislazione vigente; si porranno le basi per una cinematografia di

profonda critica nei confronti del governo centrale. Questa forma di critica nei confronti del sistema

sarà radicata, anche scenograficamente parlando, negli aspri panorami, geografici e politici, di un

sud Italia in preda a profondi cambiamenti. Nella nostra trattazione abbiamo parlato di come

anche Giangiacomo Feltrinelli vedesse, in regioni di frontiera come la Sicilia e la Sardegna, delle

potenziali polveriere rivoluzionarie, in chiave anti imperialista. Ebbene questa visione viene

pienamente rispecchiata nella cinematografia spaghetti western italiana. Il sud Italia viene

paragonato costantemente al West, al territorio selvaggio, inesplorato, spesso avulso dalle

dinamiche di architettura sociale vigenti altrove. Una lontananza amministrativa ma anche

culturale che viene citata e criticata, una sensazione di abbandono e di trionfo del selvaggio che

trasuda costantemente nella cinematografia degli anni Sessanta del Novecento. 138

In un film come I Crudeli di Sergio Corbucci, ad esempio, si può notare un interessantissimo caso

di metafora storica; chi continua a lottare, tra le fila dei confederati, dopo la sconfitta sudista, è

paragonato a chi, dopo l’unificazione italica, continua a lottare per l’indipendenza e la cacciata

dell’invasore. Il banditismo in Italia diventa forma di Resistenza, diventa una continuazione della

Resistenza nei confronti del modello dello stato centrale. Vi è il continuo ripescaggio ideologico

da un passato mitico e fondante, un perfetto paragone tra metafore internazionali, metafore

storiche e adattamento al presente.139

Il western all’italiana diventa veicolo di contestazione, nonché veicolo di giustificazione della

violenza. Diventa altresì veicolo per una nuova forma di antifascismo militante. Negli anni della

contestazione italiana il genere Spaghetti Western vive la sua fase di maggior successo, e la forte

carica resistenziale dei film può suggerire forme di giustificazione della violenza in ambito

politico; il richiamo alla violenza necessaria e giustificata, si inserisce in un contesto di lotta

contro quello che Austin Fisher definisce RSA, Repressive State Apparatus; La legge diventa mezzo

di oppressione in mano allo stato, e il filone di film western che pongono l’attenzione sull’RSA

diventano esempi lampanti della resistenza, anche violenta, che viene offerta nei confronti

dell’autoritarismo statale, crescente proprio negli anni Sessanta. Chi resiste diventa fuorilegge, ma

lo diventa non perché ha infranto il codice di una società giusta, ma perché ha offerto una

resistenza contro una società che ha sovvertito il rapporto tra giustizia e ingiustizia; vi è il

sovvertimento dell’equazione che paragona la legalità alla giustizia; la legalità diventa corrotta,

diventa mezzo di soppressione in una società ingiusta, alla quale ribellarsi è corretto e pienamente

giustificabile. Film come Il grande silenzio, autori come Petroni, Corbucci, Sollima, Questi e Solinas

sono i primi e maggiori interpreti del filone trattante l’RSA, i primi introduttori del concetto di

Resistenza nei film Spaghetti Western. Nei film di Sollima, in particolare, la carica anti legalitaria

traspare con maggiore forza: chiunque si fa portatore di istanze di legalità, di giustizia statale, è un

individuo sedotto da un sistema fondamentalmente coercitivo140

Questi sono gli anni di Marcuse, dell’europeizzazione dell’antifascismo e della riproposizione del

fascismo nella società capitalista. Il veicolo dei film spaghetti western, per quanto riguarda l’Italia,

diventa mezzo primo non per introiettare una mera visione di stampo statunitense della società,

ma al contrario diventa il mezzo di una critica radicale nei confronti dell’intelaiatura costituente la

138 A. Fisher, Op. Cit. p.58 139 Ibidem, p.70 140 Ibidem, pp.82-94

Page 64: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

63

società in un sistema capitalista avanzato.

Vamos a matar, companeros, di Sergio Corbucci, è un’altra pellicola simbolo della tematica della

violenza e del suo rapporto con la legge; vi è il caso del professor Xantos e della sua presa d’atto,

del suo convincimento di vivere in una società sostanzialmente violenta; la società è violenta, si

esprime con violenza, e l’unico modo per opporvisi è quello di rispondere con altrettanta

violenza, di rispondere con la lotta armata.141 Un film, quest’ultimo, di tematica fortemente

zapatista, in un interesse per le questioni internazionali e sudamericane continuamente ribadito

nella cultura cinematografica del tempo: La battaglia di Algeri, del 1966 ad opera di Gillo

Pontecorvo, parla come facilmente intuibile dal titolo della Liberazione algerina; Stato d’assedio di

Solinas, del 1973, tratta dei Tupamaros e del MLN; Quien Sabe, di Damiani, in piena tematica

fanonista, parla dell’utilizzo della violenza per il perseguimento di un bene considerato maggiore,

ma irraggiungibile senza l’uso della forza.142

Un filone, quello della Resistenza e della lotta armata nel filone spaghetti western, che viene

trasposto anche negli Stati Uniti; è il caso del già citato Blue Soldier, in cui la democrazia viene

assimilata ad una sorta di simulacro dietro al quale si nasconde un sistema fortemente brutale. Il

film paragona il massacro di My Lai, nel Vietnam, a quello di Sand Creek durante le guerre

indiane; viene ribadita la tendenza, da parte della cultura non solo della New Left americana, ma

anche della sua produzione culturale, a ricercare nella storia degli Stati Uniti episodi di violenza

assimilabili all’oggi, in una critica basata su un percorso storico, quello statunitense, considerato

come intriso di violenza e brutalità. L’abbiamo visto per quanto riguarda l’analisi storica dei

Weather Underground, lo vediamo in un film come questo: se il modello americano è quello

egemone nel mondo, e causa di massacri, brutalità e prepotenze, ecco che nella storia degli Stati

Uniti si ricerca un filone di brutalità per dimostrare al mondo l’autoritarismo e la violenza di cui,

questo sistema egemone, si è sempre nutrito. Nel 1970, sempre rimanendo in tema statunitense,

esce il film di Antonello Branca, Seize the time; il titolo richiama una frase pronunciata dal ministro

dell’informazione e dell’organizzazione dei rivoluzionari neri, e la pellicola tutta è una sorta di

documentario sul Black Panthers Party nella California di Reagan; il film racconta la drammatica

morte, oltretutto, del militante Bobby Hutton, ucciso dalla polizia nel 1968. Un road movie,

questo, che fu rifiutato dalla mostra del cinema di Venezia, ma la cui importanza nei movimenti

di sinistra rimarrà piuttosto notevole.143

Anche sulla bomba di Piazza Fontana, la cui importanza negli equilibri della sinistra radicale,

come abbiamo visto, è certamente di primo piano, non mancano produzioni ed interpretazioni

cinematografiche. Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri del 1970, mette in

scena la capacità, da parte dell’autorità pubblica (personificata dal commissario di polizia) di

utilizzare strumenti come le catalogazioni e i fascicoli personali per garantire il rispetto dei ruoli

sociali gerarchicamente prestabiliti. Sempre dello stesso film è emblematico il rapporto tra il

commissario e la donna da lui assassinata, colpevole di preferirgli uno studente: è il ritratto della

violenza e dello scavalcamento della legge che, fatte proprie anche dalle forze dell’ordine, sono

utili a garantire il rispetto delle gerarchie sociali e dello status quo.

Vogliamo i colonnelli di Monicelli, I nuovi mostri, Caro papà, La Polizia accusa, il Servizio Segreto uccide,

Poliziotti violenti: tutte pellicole post-Piazza Fontana, dal carattere cupo, violento, scioccante, ma

anche, come nel caso de I nuovi mostri e Caro papà, piuttosto esuberanti e tipicamente ascrivibili al

141 A. Fisher, Op. Cit. pp.118-119 142 Ibidem, p.134 143 Cfr. G. De Luna, Op. Cit. p.76

Page 65: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

64

genere della commedia, tese a dipingere anche con brutalità il cammino dell’Italia, i rischi di una

deriva autoritaria, la violenza statuale.144

Del 1970 è un altro film, dedicato all’epopea di Silvio Corbari, partigiano romagnolo, ucciso dai

nazifascisti durante la Resistenza; nella pellicola, che poi diventa una interpretazione

cinematografica della guerra civile, si nota la tipica e assoluta assenza dei tedeschi: la Resistenza

diventa un affare tra italiani, una guerra civile e di classe, operai contro padroni, italiani contro

italiani, in una sorta di resa dei conti con Giuliano Gemma nel ruolo di protagonista. Nel film, la

figura del padrone antifascista finisce al cappio, ed è sintomatica della saldatura tra antifascismo

resistenziale e lotta di classe, in un tempo in cui il pericolo di una fascistizzazione dello stato si

avverte pienamente anche in Italia.145

VI) Musiche, inni, ballate: le note rivoluzionarie

Non solo il cinema riflette il linguaggio e l’ideologia delle varie forme di critica verso la società

italiana degli anni Sessanta e Settanta; anche gli inni dei vari movimenti politici, le canzoni, gli

slogan scanditi durante i cortei riflettono richiami politici molto variegati, solidarietà

internazionale nella lotta, radicalità del livello di scontro politico in atto. Non ci sono solo i più

famosi Nomadi, Francesco de Gregori o Francesco Guccini a produrre testi richiamanti il mondo

della sinistra, criticanti l’ingiustizia e l’ineguaglianza sociale, ma vi è un rigoglio e un rifiorire di

testi che aiutano ad inquadrare la situazione all’interno della cultura della sinistra radicale.

E’ da qui possibile infatti notare uno dei fenomeni più interessanti nel panorama della

contestazione italiana, ovvero la conoscenza e il richiamo che nel paese si fa continuamente verso

le lotte di altri paesi, a partire da quelli sudamericani; ecco ad esempio il testo de “l’ora del fucile”,

di Pino Masi:

“Tutto il mondo sta esplodendo dall’Angola alla Palestina,

l’America Latina sta combattendo,

la lotta armata vince in Indocina;

in tutto il mondo i popoli acquistano coscienza

e nelle piazze scendono con la giusta violenza.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire

che è suonata l’ora del fucile?

L’America dei Nixon, degli Agnew e McNamara dalle Pantere Nere una lezione impara:

la civiltà del napalm ai popoli non piace, finché ci son padroni non ci sarà mai pace;

la pace dei padroni fa comodo ai padroni, la coesistenza è truffa per farci stare buoni.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire

che è suonata l’ora del fucile?

In Spagna ed in Polonia gli operai insegnan che la lotta non si è fermata mai contro i padroni uniti,

contro il capitalismo, anche se mascherato da un falso socialismo.

Gli operai polacchi che hanno scioperato gridavano in corteo "Polizia Gestapo"

Gridavano: "Gomulka, per te finisce male".

Marciavano cantando l’Internazionale.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire

che è suonata l’ora del fucile?

Le masse, anche in Europa, non stanno più a guardare,

la lotta esplode ovunque e non si può fermare:

ovunque barricate: da Burgos a Stettino, ed anche qui fra noi,

144 G. De Luna, Op. Cit. p.34 145 Ibidem, p.81

Page 66: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

65

da Avola a Torino, da Orgosolo a Marghera, da Battipaglia a Reggio,

la lotta dura avanza, i padroni avran la peggio.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire

che è suonata l’ora del fucile?

La canzone di Masi è del 1971, e arriva dopo altri testi del cantautore, testi come “15 ottobre alla

Saint Gobain” o “La ballata del Pinelli”; La ballata del fucile è uno dei testi più interessanti, perché

riassume molti dei connotati ideologici che abbiamo finora analizzato; è chiaro che l’ora del fucile

è arrivata anche in Italia, poiché le lotte armate nel resto del mondo, da quelle delle Black

Panthers a quelle per la liberazione dell’Africa passando per il Vietnam, hanno mostrato che la

violenza contro l’imperialismo sta avendo successo, e che per “portare il Vietnam a casa” è venuta

l’ora di imbracciare l’arma, di sparare. Vi è anche un rimando a quello spirito di autonomia e

libertà rispetto ai vincoli dell’ortodossia comunista nel citare Gomulka e Stettino, l’imperialismo

travestito da socialismo, contro cui l’autonomia operaia si batte come si batte contro il

capitalismo americano. I padroni avranno la peggio se il popolo imbraccerà il fucile, seguendo gli

esempi che la scena internazionale offre.

Interessante anche il caso dell’inno di Lotta Continua:

Siamo operai, compagni, braccianti e gente dei quartieri

Siamo studenti, pastori sardi, divisi fino a ieri!

Coro: Lotta! Lotta di lunga durata, lotta di popolo armata:

Coro: lotta continua sarà!

L'unica cosa che ci rimane è questa nostra vita,

allora compagni usiamola insieme prima che sia finita!

Lotta! Lotta di lunga durata, lotta di popolo armata:

lotta continua sarà!

Una lotta dura senza paura per la rivoluzione

non può esistere la vera pace finché vivrà un padrone!

Lotta! Lotta di lunga durata, lotta di popolo armata:

lotta continua sarà!

Lotta! Lotta di lunga durata, lotta di popolo armata:

lotta continua sarà!

Il richiamo alla lotta di lunga durata fa pensare ad un richiamo di tipo maoista, ed è esemplare in

questo testo, ed è forse la cosa più interessante, la frase “non può esistere la vera pace finché vivrà un

padrone”, che ricalca l’idea di sostanziale violenza, che qui diventa una guerra, che sussiste nel

sistema capitalista, una guerra latente nascosta da una pace finta, di apparenza, che per divenire

reale ha bisogno di vedere l’eliminazione di chi la guerra sotterranea, la guerra capitalista, continua

a foraggiarla.

Interessante è altresì analizzare l’inno di Potere Operaio:

“La classe operaia, compagni all’attacco,

Stato e padroni non la possono fermar,

niente operai curvi più a lavorare

ma tutti uniti siamo pronti a lottare.

No al lavoro salariato,

unità di tutti gli operai

Il comunismo è il nostro programma,

con il Partito conquistiamo il potere.

Stato e padroni, fate attenzione,

nasce il Partito dell’insurrezione,

Potere Operaio e rivoluzione,

Page 67: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

66

bandiere rosse e comunismo sarà.

Nessuno o tutti, o tutto o niente,

e solo insieme che dobbiamo lottare,

o i fucili o le catene,

questa è la scelta che ci resta da fare.

Compagni, avanti, per il Partito,

contro lo Stato lotta armata sarà;

con la conquista di tutto il potere

la dittatura operaia verrà.

Stato e padroni, fate attenzione,

nasce il Partito dell’insurrezione,

Potere Operaio e rivoluzione,

bandiere rosse e comunismo sarà.

I proletari son pronti alla lotta,

fame o lavoro non vogliono più,

non c’è da perdere che le catene

e c’è un intero mondo da guadagnare.

Via dalle linee, prendiamo il fucile,

forza compagni, alla guerra civile!

Agnelli, Pirelli, Restivo, Colombo,

non più parole, ma piogge di piombo!

Stato e padroni, fate attenzione,

nasce il Partito dell’insurrezione,

Potere Operaio e rivoluzione,

bandiere rosse e comunismo sarà.

Stato e padroni, fate attenzione,

nasce il Partito dell’insurrezione,

viva il Partito, rivoluzione,

bandiere rosse e comunismo sarà!”

In questo caso si può notare l’interessante similitudine, nell’impostazione, due inni con “A Las Barricadas”, inno antifascista durante la guerra civile spagnola: “Nere tormente agitano l’aria nubi oscure ci impediscono di vedere anche se ci aspettassero il dolore e la morte contro il nemico ci chiama il dovere. Il bene più prezioso è la libertà bisogna difenderla con fede e con valore. Alza la bandiera rivoluzionaria che porterà il popolo all’emancipazione. In piedi popolo operaio, alla battaglia bisogna abbattere la reazione. Alle barricate! Alle Barricate! Alle barricate! Alle Barricate! Per il trionfo della Confederazione”

Similitudine interessante in cui un contesto di lotta come quella spagnola, sicuramente fondamentale nella nascita e crescita di una prima, forte coscienza antifascista in Europa. Il solco seguito è lo stesso, la tradizione antifascista europea che viene ripresa e mutuata nell’inno di una organizzazione antifascista e di sinistra italiana. Anche lungo la storia italiana dal dopoguerra in poi tuttavia abbiamo eventi che recano una profonda impressione in tutta la cultura popolare e nella cultura della sinistra radicale, ed questo può essere il caso degli incidenti di Reggio Emilia del luglio 1960, contro il governo Tambroni e contro quello che veniva percepito come un esecutivo di tendenze fasciste, con un ventilato appoggio dell’MSI giudicato come inaccettabile. Per i morti di Reggio Emilia del giovane socialista Fausto Amodei vuole ripercorrere la tragedia della repressione statale nella città emiliana: “Compagno cittadino fratello partigiano teniamoci per mano in questi giorni tristi

Page 68: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

67

di nuovo a Reggio Emilia, di nuovo là in Sicilia son morti dei compagni per colpa dei fascisti di nuovo come un tempo sopra l’Italia intera urla il vento e soffia la bufera […] son morti sui vent’anni per il nostro domani son morti come vecchi partigiani”

in questa ballata si nota senz’altro il forte richiamo alla guerra partigiana; i giovani caduti a Reggio, per mano fascista, sono paragonati a chi ha combattuto la guerra di Liberazione; una guerra che può nuovamente tornare, urla il vento e soffia la bufera, come torna la violenza fascista, torna la solidarietà popolare,torna la resistenza dei compagni e dei fratelli. La canzone infatti verrà ripresa anche in occasione dei funerali seguenti alla morte di Giannino Zibecchi nel 1975, insegnante e leader dei Comitati Antifascisti. Alle strofe della canzone di Amodei, il corteo di 50.000 persone che intona i versi lungo la strada, si aggiungono le frasi “Compagno Giannino – sei morto partigiano – contro il fascismo democristiano”146; è quantomeno percepita insomma non solo la forte retorica di richiamo alla guerra partigiana, ma anche l’identificazione della Democrazia Cristiana e dello Stato come apparati repressivi da paragonare al fascismo e all’epoca mussoliniana; paragoni che spesso aleggiano sulle note di canzoni popolari, come in questo caso, che i cortei sanno riprendere e utilizzare.

VII) L’ideologia della Resistenza, il caso della Volante Rossa Analizziamo ora, seguendo il filone del rapporto che lega il mito della Resistenza al linguaggio e all’ideologia della sinistra radicale italiana negli anni Sessanta e Settanta, il caso della Volante Rossa. Essa fu un di gruppo di fuoco attivo nella zona di Milano nella seconda metà degli anni quaranta, cioè negli anni immediatamente successivi alla fine della Guerra Mondiale; nel narrare parte della sua storia non si cercherà di creare un forzoso e azzardato legame con quello che abbiamo visto finora e che analizzeremo nel prossimo capitolo, ovvero la genesi delle Brigate Rosse, bensì si cercherà di capire come questo gruppo si inserisca nelle dinamiche della sinistra italiana del tempo, e quali fossero i rapporti con il Partito Comunista non solo della Volante, ma di un vasto gruppo di reduci; quanto queste istanze poi, spesso radicali e nient’affatto disposte alla riconciliazione, possono aver pesato nella persistenza, nell’area rossa del paese, di una questione irrisolta nel rapporto con lo stato che andava formandosi e con l’eredità fascista presente nello stesso; e come, soprattutto, a questa eredità fascista si risponderà, sul piano politico e anche militare. La vicenda della Volante Rossa è interessante anche perché ci permette di analizzare quelle che sono le disponibilità e le possibilità dello sviluppo di una lotta armata in Italia, possibilità che mutano a seconda di quelli che sono gli appuntamenti fondamentali della storia del paese; diversa è la situazione nel 1919-1920 (dall’eredità del biennio rosso all’inizio del ventennio fascista), così come quella del 1943-1945, da quella che si avrà negli anni Sessanta e Settanta; secondo Bermani, autore del testo su cui qui si fa riferimento rispetto alla Volante, la situazione durante gli anni della Resistenza era favorevole allo sviluppo di una lotta armata per l’abbattimento del capitalismo: ingovernabilità del sistema di potere esistente, disfacimento dell’esercito e delle forze repressive, armamento di ampi settori proletari, quadro avanzato di lotta a livello internazionale.147 Tuttavia è diverso, rispetto al 1919-1920, l’atteggiamento del PCI: matura negli anni della Liberazione, infatti, una concezione gradualistica e democratica del socialismo, di cui la Svolta di Salerno sarà una conferma; proprio negli anni di maggior forza del partito delle Botteghe Oscure anche in campo militare, si fa strada quella che sarà la linea principale della sua azione politica nei decenni seguenti, ovvero l’accettazione di un regime democratico e soprattutto la rottura con qualsiasi velleità rivoluzionaria. Se da un lato abbiamo quindi un partito che si rende già sempre

146 G. Galli, Op Cit. p.154 147 C. Bermani, La Volante Rossa, Vicenza, Associazione Culturale 1° maggio, p.6

Page 69: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

68

più sistemico e inserito negli equilibri diplomatici usciti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, possiamo dire che d’altro canto vi è una base, e vi sono alcuni militanti, piuttosto refrattari nei confronti dell’accettazione di un regime di orientamento atlantista. E’ sul finire della Resistenza infatti che inizia a nascere la questione della riconsegna degli armamenti, che in taluni casi non verranno riconsegnati alle autorità e finiranno in magazzini, grotte o nascondigli di montagna, pronti per essere reimpiegati all’occorrenza di una nuova, ipotetica lotta futura. Una Resistenza che finisce con la Liberazione, e con un partito, quello comunista, che ne accetta sostanzialmente gli esiti. E’ in questi anni tuttavia che si innestano delle peculiarità tipiche delle azioni militari che possono essere ritenute interessanti per lo sviluppo della nostra analisi, e in particolare parliamo, innanzitutto, dell’azione dei GAP, gruppi ai quali si ispirerà, come abbiamo potuto notare, l’azione tra gli altri di Giangiacomo Feltrinelli; l’azione dei Gruppi d’Azione Partigiana infatti prevedeva già un rapporto tra vita clandestina del militante da una parte e una condotta legale di facciata dall’altra; i GAP operavano nelle città che poi venivano liberate dalle brigate partigiane o dagli eserciti alleati, e si occupavano non solo di supportare le azioni di insubordinazione nei confronti dell’occupante fascista, ma anche di azioni di punizione verso le milizie nemiche e di difesa verso la popolazione, una forma di giustizia popolare nei confronti dei soprusi subiti quotidianamente dai proletari nelle città del nord, in tempo di guerra.148 Anche la Volante Rossa, attiva dall’ottobre del 1944, prevede una sorta di facciata legale per la propria costituzione. Luigi Comini “Luisot”, Ferdinando Clerici “Balilla”, Natale Burato “Lino” e altri membri creano la Volante Rossa ufficialmente a scopo ricreativo: escursioni alpine, gite domenicali, balli alla casa del popolo, accompagnate a commemorazioni di martiri e partigiani. Ma è solamente la facciata di qualcosa di più profondo, ed importante. Il problema delle false organizzazioni sportive, al tempo, è sentito fortemente in tutta l’area comunista, se L’Unità nel 1946 se ne esce con un articolo che tenta di mettere in guardia proprio da queste associazioni di facciata, che poi in realtà sono usate per reclutare uomini da impiegare in azioni clandestine; l’attività della Volante Rossa ad esempio si esplica nella punizione nei confronti di ex fascisti, amnistiati o in mano agli anglo-americani. La Volante li segue, li preleva e li giustizia. I nomi di battaglia utilizzati dai membri del gruppo non sono quelli utilizzati durante la Resistenza, nomi che appaiono solo nella terminologia delle attività legali di facciata; si usano altri nomi nuovi, creati all’occorrenza. Nella grande confusione regnante anche all’interno delle forze dell’ordine e delle forze armate nell’immediato indomani della Liberazione, la Volante Rossa riesce ad infiltrare propri uomini, spalleggiatori che aiuteranno l’organizzazione nella caccia ai militanti fascisti che poi saranno uccisi; organizzazione che prevedeva un nucleo centrale, ristretto e clandestino, al quale tuttavia era affiancata una più grossa rete di collaboratori, militanti di partito, funzionari di sezione che all’occorrenza venivano usati o offrivano supporto al gruppo; un modus operandi che non vogliamo pretendere di assimilare all’organizzazione brigatista sviluppatasi un quarto di secolo dopo, ma che tuttavia può porre una interessante ottica di analisi sul rapporto tra azione clandestina ed appoggio esterno. Spesso nell’azione di sorveglianza e pedinamento la Volante Rossa si affida a persone reclutate in loco, nel posto cioè ove risiede il bersaglio; pedinamenti, fotografie, raccolta di informazioni alle quali poi segue l’azione del nucleo vero e proprio, ovvero il prelievo del bersaglio, e un suo interrogatorio; qui, se la persona prelevata non è ritenuta colpevole oppure non è percepita come una minaccia fondamentale o una pedina importante nello scacchiere del crescente neofascismo, viene fatta tornare al paese di origine. Se invece viene ritenuta colpevole, o viene percepita come una reale minaccia politica, viene uccisa.149 Così si sviluppa l’attività della Volante, in un misto di giustizia nei confronti di crimini commessi in precedenza da fascisti o da persone vicine al regime, e in un già militante antifascismo nei confronti delle organizzazioni che stanno per nascere, o rinascere. Un antifascismo che si esplica anche verso la piega che le organizzazioni monarchiche stanno dando alla propria azione, ovvero

148 C. Bermani, Op. Cit. p.13 149 Ibidem, pp-27-28

Page 70: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

69

in un avvicinamento alla galassia neofascista da usare come braccio armato; gruppi come il RAAM (Reparti Antitotalitari Antimarxisti Monarchici), l’AIL, organizzazioni che sono spesso coinvolte in trame piuttosto oscure con esponenti dell’ambiente regio, in cui già si parla di tentativi di golpe filo-sabaudi, per il ripristino della monarchia in Italia. L’azione del rinascente neofascismo, sia di stampo monarchico che di stampo repubblichino, si esplica negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale in una attività di intenso attacco alle organizzazioni della sinistra italiana, in risposta ad altri attacchi o come iniziativa propria; auto fantasma che sparano a sedi di partito, furti, rapine, devastazioni di locali e case del popolo; in questo scenario la Volante Rossa replica perseguendo attacchi mirati e diretti al singolo uomo appartenente ad organizzazioni di estrema destra, come nel caso del ferimento di Giulio Vaiani o l’uccisione di Orlando Assirelli ed Enrico Meneghini; tutti atti compiuti tra il gennaio e il febbraio del 1946.150 E’ un momento, quello della fine degli anni quaranta, di forte tensione tra un neofascismo che viene considerato come assolutamente pericoloso e la resistenza delle organizzazioni di sinistra, che vorrebbero una sua totale messa al bando; un contesto di lotta tra neofascismo e antifascismo che abbiamo visto esserci anche all’inizio degli anni Settanta, con la recrudescenza dovuta anche all’attentato di Piazza Fontana. Sono simili infatti gli scenari che si creano, violenza di piazza, comizi dell’MSI caratterizzati da conflitto tra le due fazioni politiche, provocazioni dall’una e dall’altra parte in cui si inseriscono gruppi violenti. La Volante Rossa in questo periodo svolge anche il compito di servizio d’ordine, con ruoli di vigilanza e di scorta; nel 1947 in particolare vi è un intensificarsi delle azioni dell’organizzazione, che è presente nelle manifestazioni di piazza, nelle occupazioni di fabbrica e anche negli scontri con le forze dell’ordine; una azione che da silenziosa si fa sempre più conclamata, la cui eco si espande in tutta la Lombardia. Le occupazioni, la difesa del proletariato dagli assalti fascisti, lo stemma con la falce e il martello avvicinano una organizzazione che operava praticamente in clandestinità alla massa operaia; l’intervento della Volante all’interno delle fabbriche in lotta e occupate muta i rapporti di forza, attraverso l’uso della violenza; è sempre del 1947 ad esempio l’episodio simbolo della distruzione della sede dell’MSI di via Santa Radegonda, a Milano, o la distruzione della sede del “Meridiano d’Italia”. In questo clima di violenza l’Italia precipita in una spirale di tensione sociale, tensione che porterà, nel 1948, all’attentato a Palmiro Togliatti. E’ un momento in cui le speranze di molti comunisti e proletari lombardi, milanesi, ma più in generale italiani, vanno nel senso di un rovesciamento del sistema sociale vigente fino ad allora. L’occupazione delle fabbriche, i presidi, sono tutti elementi che portano a far pensare ad uno sconvolgimento davvero forte nella società italiana. Anche qui la Volante Rossa si inserirà, recuperando armamenti pesanti, facendo da collante attraverso tutte le fabbriche occupate nel milanese, prendendo contatti e abboccamenti con forze dell’ordine, valutando, più in generale, le possibilità dello scoppio di una lotta armata su vasta scala. Interessante qui notare come il gruppo si inserisce nelle fabbriche, e come agisce al loro interno: ci viene in soccorso un articolo del “Corriere della Sera”.

“poco dopo il mezzogiorno del 13 ottobre in occasione dello sciopero di due ore indetto dalla Camera del Lavoro di Sesto per solidarietà con le maestranze della Falck, una squadra di facinorosi entrò, quando già il comizio in piazza era finito, negli uffici del terzo reparto della Breda, destinato ai lavori di fonderia. Gli intrusi affrontarono alcuni impiegati che non avevano partecipato alla manifestazione e pretesero che abbandonassero gli uffici. Nacque una discussione al termine della quale la squadra si allontanò. Ma dopo pochi minuti sopraggiunse una seconda squadra, nella quale si trovavano solo alcuni elementi del primo gruppo, incaricati evidentemente di far da guida. I componenti del nuovo nucleo non si persero in chiacchiere: si gettarono senz’altro addosso a tutti coloro che si trovavano nell’ufficio indiziato, malmenando anche alcune persone che vi erano entrate dopo la prima incursione, per informarsi dell’accaduto. Si è trattato dunque di un vero e proprio saggio della tecnica del pestaggio[…]. In seguito al grave fatto, i dirigenti e i laureati della Breda, che sono circa duecento, decisero di non presentarsi al lavoro, pur tenendosi a disposizione della direzione dell’azienda, finché non fosse loro garantita l’incolumità personale”151

Si ritrova anche qui una concezione pedagogica e fortemente simbolica dello sciopero, e dell’adesione di massa; i bersagli, i crumiri, sono sempre formati da quel personale impiegatizio, o

150 C. Bermani, Op. Cit. pp.31-32 151 Ibidem, pp.68-72

Page 71: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

70

formante quadri, che è meno sensibile rispetto alla manovalanza operaia a rivendicazioni radicali; ecco che vi è l’intervento del gruppo, un intervento simbolico, a voler invece creare uno sciopero totale, coinvolgente tutto l’ambiente di fabbrica. E’ proprio però la situazione di maggior tensione dalla fine della guerra, ovvero l’attentato a Togliatti, a far crollare, dopo poco tempo, ogni velleità di lotta armata nei militanti comunisti e nella Volante Rossa. Il partito blocca qualsiasi tentativo di sollevazione, vengono fermati tutti coloro i quali continuano in opere e comportamenti violenti, l’indignazione nei confronti della direzione è palpabile ma non porta a nessun tipo di rivoluzione generale; l’attività della Volante si spegne quindi assieme alla sollevazione più poderosa, chiudendosi con delle ultime azioni a danni di ex fascisti. Diversa da quella del gruppo sarà la sorte dei suoi componenti; un militante, Alvaro, lavorerà a Radio Praga, in Repubblica Ceca; altri trentatré finiranno agli arresti, due rimarranno in latitanza. Si vocifererà anche di una partecipazione, in quel di Cuba, alle azioni di Fidel Castro; un collegamento interessante, tuttavia privo di effettivi riscontri.152 Abbiamo qui notato come, all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, in Italia vi siano già dei nuclei dediti all’antifascismo militante nel senso più radicale del termine, e alla persecuzione armata di ex fascisti, e come questi gruppi non siano totalmente insensibili alla prospettiva di una presa del potere con la forza da parte del proletariato. Abbiamo notato come queste prospettive, inoltre, siano già completamente abbandonate da parte del Partito Comunista Italiano; gli scenari per la lotta armata di popolo, rimarranno così confinati, nei decenni a seguire, nell’alveo della clandestinità e del rigetto di qualsiasi tentativo di presa violenta del potere. Sarà un leitmotiv molto importante anche nel valutare l’azione e gli esiti del terrorismo rosso degli anni Settanta, e del suo rapporto con la sinistra ufficiale e parlamentare.

152 C. Bermani, Op. Cit. p.79

Page 72: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

71

Capitolo 4: La lotta armata in Italia, le Brigate Rosse Siamo giunti alla fase centrale della nostra trattazione, ovvero all’analisi del caso delle Brigate Rosse (BR). Nell’excursus che seguirà ci focalizzeremo su ciò che le BR hanno ripescato, nel loro bagaglio ideologico e anche pratico, tra tutti i temi e le questioni analizzate in precedenza. In primis analizzeremo il rapporto tra la nascita delle Brigate e l’antifascismo militante nel panorama italiano; da cosa cioè scaturisce la genesi del movimento, qual è e in cosa si sostanzia il carattere antifascista del gruppo armato, qual è il rapporto che lo lega al panorama della sinistra parlamentare ed extraparlamentare, quali sono le affinità e quali le divergenze con essa. In secondo luogo analizzeremo il rapporto che lega la nascita delle Brigate all’ideologia extraitaliana ed extraeuropea, quali possono essere i punti di contatto e di diversità con i movimenti che abbiamo analizzato in precedenza e con la temperie geopolitica della seconda metà del Novecento. Come terza parte, invece, analizzeremo la vicenda storica di un personaggio simbolo delle Brigate Rosse, Prospero Gallinari; attraverso la sua biografia potremo avere un resoconto valido sull’introiezione di temi simbolici come quelli della Resistenza, del Comunismo, del proletariato. Vedremo insieme la genesi del Gruppo dell’Appartamento, ovvero del gruppo reggiano delle Brigate Rosse, del suo particolare rapporto con l’Emilia Romagna e la proiezione verso il mondo metropolitano milanese, in bilico tra eredità rurale e prospettive industriali. I) Nascita e sviluppo di un gruppo armato in Italia Ufficialmente, le Brigate Rosse nascono con la decisione di intraprendere la lotta armata, a seguito del convegno di Pecorile del 1970. Tuttavia, come è facilmente presumibile, prima di questa data vi è una gestazione piuttosto importante, in cui si intrecciano stimoli politici italiani ed esteri, volontà rivoluzionarie e timori reazionari, voci di golpe, crisi di identità della sinistra e nella sinistra. Le BR insomma si innestano in quel grande calderone che abbiamo potuto analizzare nel capitolo precedente, in seno cioè ad una società piena di contraddizioni e interrogativi, sia riguardo al proprio passato che al proprio futuro. La strategia della tensione, le bombe, i morti di piazza giocano un ruolo fondamentale nella nascita del gruppo armato, così come l’antifascismo di stampo italiano, col suo portato di simboli, icone e figure storiche; si è parlato di Pecorile, il convegno del 1970. E’ proprio dal convegno di Pecorile che possiamo rintracciare un legame, anche qui presente, con la strage del 12 dicembre 1969: si parla di “guerra civile latente”, nel primo documento del Collettivo Politico Metropolitano, il gruppo cioè che si presenta al convegno.153 Stiamo parlando dell’esordio di un gruppo ancora semisconosciuto, ma che va formandosi proprio sulla scorta dei mutamenti di scenario del paese, mutamenti che preoccupano, e che come abbiamo potuto notare, non mettono in allarme solo frange estreme dello scacchiere della sinistra, ma anche movimenti più grandi, o addirittura partiti dalla consolidata tradizione democratica, come il PSI, o il PCI. E’ forse proprio in riferimento a questo che Rossana Rossanda parlerà di album di famiglia,154 ovvero anche alla paura di un golpe che si fa trasversale, che anima tutta la sinistra italiana, e contro le cui avvisaglie si ripescano modi, azioni ed ideologie atte a garantire una nuova forma di Resistenza. Lo stesso Mario Moretti, che partecipa alle attività del Collettivo Politico Metropolitano, parlerà chiaramente del ruolo essenziale della strage di Piazza Fontana; essa suggerisce forme di giustificazione della violenza, derivate dalla sensazione che, con la strategia della tensione, lo stato stia attaccando ciò che il Movimento operaio stava diventando, e stia attaccando specialmente la deriva a sinistra che l’opinione pubblica, e con essa l’elettorato, rischiavano di intraprendere.155 La formazione di percorsi di adesione alla lotta armata nel solco della paura di un golpe, e dal ’73 pure per il timore che gli avvenimenti cileni possano ripetersi in Italia, si può intravedere anche da questa

153 G. Crainz, Op. Cit. p.391 154 Da “Il Manifesto” del 02/04/1978 155 M. Moretti, Op. Cit. p.29

Page 73: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

72

testimonianza: “La strage di Piazza Fontana […] segna per me una svolta decisiva perché chiude il circuito tra le istituzioni, lo stato e la destra che avevo già imparato a conoscere. […] Il golpe in Cile non farà che avallare e accelerare drasticamente le discussioni su di un tema che nel Veneto investiva già da tempo tutta la sinistra intorno al golpismo e allo stragismo, al rapporto tra destra, centrali estere e apparati dello stato. La vita quotidiana stessa è intessuta di questo clima: ricordo periodi con lo zaino pronto sul letto, falsi allarmi per un giornale radio non trasmesso, catene di telefonate più o meno rassicuranti.”156

C’è da dire che nello stesso Veneto di cui si parla in questa citazione, è attiva, tra il 1972 e il 1974, la Brigata Proletaria Erminio Ferretto (BPEF), dal nome di un partigiano della Resistenza; brigata Erminio Ferretto che sarà la base dalla quale verrà organizzata proprio la futura colonna veneta delle Brigate Rosse.157 Non solo la Brigata Erminio Ferretto, ma anche il gruppo XXII ottobre già incontrato nel paragrafo su Feltrinelli, di cui le Brigate Rosse richiederanno, nel caso del sequestro Sossi, il rilascio di alcuni membri, richiamano all’ideale resistenziale; il gruppo, genovese, è composto da un multiforme strato di operai portuali, proletari ed ex partigiani che ben conoscono, e interiorizzano, il mito della Resistenza tradita. Proprio a Genova si inserisce, come a Reggio Emilia, un altro fenomeno dal forte impatto ideologico, ovvero quello delle giornate del luglio 1960. In una città nodale per le sorti della Resistenza, con la presenza di un consistente ceto operaio e una storia di tumulti piuttosto poderosa alle spalle, si possono notare percorsi esemplari; inizia dall’azione di questi gruppi una traslazione, su un piano di lotta armata, di delusioni più o meno forti, di spaccature più o meno conclamate tra l’apparato della sinistra italiana e i militanti più accesi e radicali, che in un contesto di tensione sociale possono essere spinti all’azione di guerriglia.158 La stessa tensione sociale di cui si parla in moltissimi dei documenti e dei testi prodotti nell’ambito della sinistra radicale italiana, dipinge, come abbiamo notato, la democrazia come un mero simulacro di una nazione comandata da poteri forti, inaccessibili; lo stesso concetto di Stato Imperialista delle Multinazionali è il perfezionamento, in scala brigatista e internazionale, di questo concetto. Proprio riguardo lo Stato Imperialista delle Multinazionali e il concetto di Metropoli, due fondatori delle Brigate Rosse come Renato Curcio e Alberto Franceschini hanno fornito le definizioni più interessanti: “metropoli come forma sociale complessiva e storicamente determinata del capitale nello stadio del suo dominio reale totale, molecola della formazione sociale imperialista, ad essa isomorfa ed in continua, accelerata espansione-trasformazione.”159

Ecco che la definizione brigatista di metropoli non è altro che lo stadio ultimo, definitivo della violenza del capitale. Luogo in cui esso si esplica e si manifesta nella forma più alienante e distruttiva, e in cui va praticata una resistenza guerrigliera per contrapporvisi. Così come lo stato mostra il suo reale volto con la militarizzazione e la fascistizzazione, nella metropoli il vero volto lo mostra il capitale; non c’è infatti, nella metropoli, luogo che non sia violento, dicono i due brigatisti. La metropoli è l’organizzazione della violenza capitalista, è il luogo ove tutte le contraddizioni del sistema economico vigente vengono a galla. Si nota, anche nell’accezione e nella scelta ponderata che le Brigate Rosse fanno della metropoli come luogo essenziale della manifestazione del capitale, l’influenza che il ruolo della grande città industriale ha, ad esempio, nella guerriglia sudamericana, come abbiamo notato con i casi di Montevideo e Salto. E’ nella grande città che il sistema imperiale vive e si nutre, è nella grande città che lo sfruttamento si compie e il proletariato viene sfruttato: è nella metropoli che il guerrigliero deve agire, per spezzare, nascondendosi tra le sue pieghe, i gangli dello stato imperialista delle multinazionali. E’ su questi due binari che, più in generale, si svolge l’ideologia brigatista: l’inserimento lungo un solco di tradizione resistenziale e antifascista italiano e la ripresa, su scala nazionale, di un

156 Testimonianza di un militante brigatista, Ict. in S. Neri Serneri, Op. Cit. p.335 157 G. Galli, Op Cit. p.75 158 S. Neri Serneri, Op. Cit. p.371,374 159 R. Curcio, A. Franceschini Gocce di sole nella città degli spettri, Roma, Corrispondenza Internazionale, 1982, p.236

Page 74: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

73

contesto anti imperiale che va sviluppandosi in altre parti del mondo.160 Una resistenza e una lotta, quella metropolitana, da effettuarsi nei luoghi più importanti per l’organizzazione e l’effettiva presenza del proletariato, come le fabbriche. E’ esemplare notare, sempre sul solco del concetto di Nuova Resistenza, le uscite di fogli di riferimento delle Brigate Rosse. In occasione dell’anniversario della Liberazione del 1971, le BR pubblicano un foglio chiamato proprio “Nuova Resistenza”, in collaborazione con Giangiacomo Feltrinelli. Sostituisce il foglio “Sinistra Proletaria”, dopo che esso aveva pubblicato un annuncio, in cui recitava: “organizzare la nuova resistenza per radicare nelle masse proletarie in lotta il principio: non si ha potere politico se non si ha potere militare; educare attraverso l'azione partigiana la sinistra proletaria e rivoluzionaria alla resistenza, alla lotta armata”

Una Resistenza definita nuova non solo perché riproposta dopo quella del ’43-’45, ma perché arricchita da eventi che, nel frattempo, vengono anch’essi utilizzati a fini ideologici, come scrive lo stesso periodico: “Ha invece per noi il senso tutto giovane ed offensivo che questa parola d'ordine assume nel quadro della guerra mondiale imperialista che oppone la controrivoluzione armata alla lotta rivoluzionaria dei proletari, dei popoli e delle nazioni oppresse. È la resistenza orientata dalla Cina rivoluzionaria del presidente Mao, capeggiata dal Vietnam e dai popoli rivoluzionari dell'Indocina. È la resistenza dei popoli palestinesi e dell'America latina, nelle metropoli imperialiste, nei ghetti neri e nelle città bianche.”161

Questo annuncio fa comprendere ancor di più la base ideologica brigatista. Una resistenza che si richiama a storia passata nazionale e avvenimenti su scala internazionale. Tutte assimilate a Resistenze, a dei Vietnam; sta alle Brigate Rosse la creazione di un Vietnam italiano, riallacciandosi alla tradizione antifascista italiana, una lotta da condursi raccogliendo consenso nelle fabbriche e nelle metropoli industriali italiane. E’ da qui che possiamo notare un interessante rimando al concetto di ghetto; il ghetto nero, riprendendo l’analisi sulle Black Panther, diventa il luogo primo in cui si manifesta la violenza coloniale dello stato; la metropoli è anch’essa ghetto, dove si manifesta la violenza del capitale e del padronato, e in cui il gruppo guerrigliero deve agire per disarticolare il sistema economico e lo stato, che si nutrono dello sfruttamento operaio. Un impianto industriale fondamentale per la storia delle Brigate Rosse sarà la Sit Siemens, non solo per l’esperienza di Mario Moretti nello stabilimento milanese, ma anche perché esso è il luogo cardine in cui si sviluppa l’azione di primo volantinaggio e attacco al padronato del gruppo armato. Nel 1970, infatti, siamo ancora agli esordi della storia delle Brigate, ma la temperie sociale è densa di nubi, in tutta Italia. I timori dopo Piazza Fontana, la radicalizzazione operaia e sindacale fanno scoppiare tumulti nei più grandi stabilimenti della penisola, da Bologna passando per Porto Marghera, fino a Milano. La presenza in fabbrica delle BR si differenzia sostanzialmente dall’atteggiamento tenuto, ad esempio, dai GAP di matrice feltrinelliana; se questi ultimi nascono in funzione prevalentemente antigolpista, le BR si rendono permeabili all’antifascismo militante, usandolo come arma propagandistica, ma iniziano una lotta di lunga durata partendo dalle industrie, dagli operai, negli anni dell’autunno caldo; repressione padronale e ripresa dello slancio sindacale, con scioperi piuttosto duri fanno sì che la tensione nelle fabbriche salga, e che gruppi come quelli di Sinistra Proletaria, e poi delle BR, vi si inseriscano; queste ultime iniziano a lasciare volantini proprio alla SIT Siemens: “la repressione passa per capi, capetti e ruffiani; sono loro a segnalare, spiare, denunciare, provocare, inventare, sono gli strumenti della direzione”, vi si legge. La paranoia, dall’ambito politico generale, passa alla dimensione di fabbrica; i nemici vanno ricercati all’interno, tra i quadri, i capi e i collaboratori. Si iniziano a colpire le automobili dei dirigenti, e a diffondere i loro nomi e i loro indirizzi. E’ l’iniziale violenza contro le cose, in uno scenario di tensione sociale piuttosto forte e palpabile. In un’altra fabbrica, la Pirelli, si percepisce il forte clima di tensione sociale: “C’è un governo nuovo che non è imparziale, e c’è già in atto da tempo il tentativo di restaurare l’autoritarismo nelle fabbriche. Il

160 S. Neri Serneri, Op Cit. pp.258-259 161 G. Galli, Op Cit. pp.37-38

Page 75: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

74

terrorismo si manifesta così: messa in cassa integrazione, denunce per cortei interni, voci sempre più insistenti di licenziamenti”162

E’ importante dire che questa frase arriva dopo alcune azioni delle Brigate Rosse, che sono presenti anche in questo stabilimento. Non sono azioni mortali, o foriere di vittime e omicidi; sono azioni dal carattere fortemente simbolico, rivolte alla sovversione di un ordine percepito spesso come dittatoriale e imposto con la forza. Sarà la strada, questa, che porterà al sequestro di Ettore Amerio alla FIAT, capo del personale tenuto in ostaggio otto giorni. Le prime Brigate Rosse, insomma, agiscono nel contesto di lotta che si crea nelle fabbriche, e operano dapprima come Collettivo Politico Metropolitano, e poi come Sinistra Proletaria. Azioni di volantinaggio, azioni dimostrative e dal carattere fortemente simbolico, che inizialmente incontrano anche il favore di una porzione non indifferente di lavoratori, specialmente in un contesto in cui la repressione padronale e statale è percepita come un qualcosa di fortemente coercitivo.163 Un documento delle Brigate datato gennaio 1973, comparso in “Potere Operaio” parla di resistenza alla militarizzazione del regime e nelle fabbriche; i fascisti sono considerati, anche dal gruppo armato, un esercito armato utilizzato dal capitale, contro i quali, nel terreno di scontro cioè nelle fabbriche, si ripescano strumenti tipici, e che abbiamo notato in esperienze precedenti come quelle immediatamente successive la Seconda Guerra Mondiale, come la gogna, la giustizia immediata ed esemplare sul posto di lavoro.164 C’è da dire che nell’ambiente milanese, e in particolare alla Sit Siemens, si incontrano, formano e agiscono personaggi come Mario Moretti, Corrado Alunni e Pierluigi Zuffada; loro compito è quello di studiare l’ambiente di fabbrica, valutare la possibilità di una radicalizzazione dello scontro, effettuare una propaganda armata. Questo gruppo milanese si fonderà dapprima con il gruppo di studenti trentini come Renato Curcio, Margherita Cagol e Giorgio Semeria, e anche con il convergente gruppo reggiano dell’”Appartamento”, i cui componenti erano, tra gli altri, Alberto Franceschini, Prospero Gallinari e Roberto Ognibene. Va detto che non tutte le persone formanti il Gruppo dell’Appartamento reggiano confluiranno nelle BR; un esempio è quello dei fratelli Rinaldini, allora dirigenti della FGCI reggiana e in seguito della FIOM nazionale. Il Gruppo dell’Appartamento reggiano è in particolar modo interessante, perché è formato da fuoriusciti dal PCI; lo stesso Franceschini è fortemente critico nei confronti del Partito Comunista, criticandone il riformismo e il percorso di avvicinamento al centro, sulla scia delle contestazioni che gli venivano mosse da numerosi gruppi e appartenenti all’area della sinistra radicale. Il Gruppo dell’Appartamento quindi si fonda su una radice comunista, perseguendo una tradizione fortemente antifascista e critica nei confronti delle derive del partito che dovrebbe essere quello di riferimento. 165 Una critica che, almeno per Franceschini e per i suoi compagni, non impedisce un rapporto anche piuttosto forte con l’eredità politica del partito di provenienza. Nodo centrale di questo atteggiamento può essere riscontrato nell’antifascismo, che è collante comune per militanti pure radicalizzati, ma anche per personaggi che ancora gravitano attorno alle sfere più moderate della galassia movimentista, o comunista. Le stesse Brigate Rosse mutuano non solo da larghe frange del movimento comunista, ma anche da Feltrinelli in persona, parte dell’accezione antiautoritaria, antigollista e antigolpista che permeerà molti gruppi anche esterni alla logica brigatista. In particolare il rapporto del movimento armato con la restante porzione di militanti dell’area rossa sarà certamente di distanza dialettica, ma prevederà anche il tentativo di un convincimento e di un utilizzo di militanti da lì provenienti in chiave rivoluzionaria.166 Rapporto dialettico ma di sostanziale rifiuto del riformismo, che le BR ribadiranno anche durante il maxiprocesso di Torino nel 1976, con la lettura di un comunicato: “I riformisti operano per modificare la struttura della coscienza di classe del proletariato. La manipolazione consiste nel dirottare il

162 G. Crainz, Op. Cit. p.460 163 Ibidem, pp.458-460 164 S. Neri Serneri, Op. Cit. pp.277-278 165 G. Galli, Op. Cit. pp.19-20 166 Ibidem, p.162

Page 76: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

75

potenziale di violenza accumulato in ogni proletario verso falsi obiettivi non pericolosi per la sopravvivenza del sistema. Il compromesso storico, al di là delle sue velleità e dei fronzoli ideologici di cui si ammanta, non può che rappresentare una soluzione tutta interna alla controrivoluzione imperialista. Nel migliore dei casi sarà un proiettile di gomma nel fucile degli sbirri. Mai come in questo momento diventa chiaro che partecipare alla farsa elettorale significa eleggere i propri carnefici... L'interesse proletario è quello di acutizzare la guerra civile in atto e trasformarla in lotta armata per il comunismo.” 167

Come abbiamo notato in casi precedenti, anche le Brigate Rosse criticano aspramente il riformismo e in particolare il Partito Comunista, e la sinistra di governo. L’unico spazio che resta al proletariato è quello della lotta armata, in funzione anti compromissoria; non c’è nessuno spazio per accordi politici, tutti rientranti pienamente nella logica di governo imperialista. Abbiamo parlato dell’antigollismo e dell’antiautoritarismo come carattere molto importante nello sviluppo ideologico brigatista; ebbene l’antifascismo delle Brigate Rosse della prima metà degli anni Settanta è riscontrabile anche nelle azioni della cellula romana, poi presto scomparsa. Dal 1970 e lungo tutto il 1971 la sezione capitolina è dedita a contrastare attività fascista o neofascista; il 13 dicembre 1970 viene, a titolo simbolico, incendiato lo studio di Valerio Borghese. Del 1970 è invece una azione simbolica alla Pirelli Bicocca di Milano; si diffondono volantini con elenchi di capi e quadri da punire; viene in seguito incendiata l’auto di Ermanno Pellegrini, capo dei servizi di vigilanza alla Pirelli, e di questo atto viene incolpato un operaio, Della Torre, vecchio militante della CGIL ma estraneo all’azione brigatista; esso viene licenziato, e per vendetta le Brigate incendiano anche l’auto del capo del personale, Enrico Loriga. Nel comunicato di rivendicazione, Della Torre viene presentato come “quadro di punta” e addirittura come “comandante partigiano”.168 Un esempio di come la retorica resistenziale venga traslata nella lotta di fabbrica, con attacchi, contrattacchi e lessico di guerriglia. Del 1972 è un’altra azione delle Brigate Rosse, alla Sit Siemens: Idalgo Macchiarini verrà sequestrato e fotografato, con un cartello al collo e una pistola puntata alla tempia; nel cartello si legge “Mordi e fuggi! Niente resterà impunito! Colpirne 1 per educarne 100! Tutto il potere al popolo armato!” Il volantino di accompagnamento al sequestro invece viene redatto definendo Macchiarini “un tipico neofascista: un fascista in camicia bianca e cioè una camicia nera dei nostri giorni”; il dirigente viene dichiarato soggetto a “libertà vigilata”. Mordi e fuggi, come dichiarato dalle Brigate Rosse, è una frase che viene insegnata a Che Guevara e a Castro da Bayo, maestro di guerriglia già nella guerra di Spagna;169 per il resto, tralasciando questa interessante nota, si può vedere l’impianto tipico, anche in questa azione, di quasi tutte le ideologie guerrigliere che abbiamo notato fin d’ora: Macchiarini, dirigente di fabbrica, viene rivelato per quel che è: una “camicia bianca” che in realtà diventa camicia nera; una democrazia e un sistema capitalista, rappresentati dal dirigente di fabbrica, che si mascherano dietro un volto democratico nascondendo la loro vera natura, fascista e reazionaria. Sta alle Brigate Rosse, con questo atto simbolico, con il rapimento, smascherare la reale natura del rapito, e del sistema da lui alimentato. La “libertà vigilata” è qui intesta come quella che un gruppo armato, forte di una propria giustizia, concede ad un prigioniero, reo di aver compiuto dei delitti. A Milano, negli anni del sequestro Macchiarini e di quello ai danni di Ettore Amerio, le BR sperimenteranno, seppur con modesta fortuna, l’esperienza dei NORA (Nuclei Operai di Resistenza Armata), nuclei di fabbrica e di quartieri con, alle spalle, una solida tradizione antifascista da riutilizzarsi in una fase di riacutizzazione tra proletariato da un lato, e capitale e fascismo dall’altro.170 Sempre riconducibile al 1972, è l’infiltrazione delle Brigate nella Fiat; il venticinque novembre, in seguito ad un corteo cittadino “contro il governo Andreotti e contro il fascismo”, il gruppo armato compie degli incendi a danni di auto di iscritti al sindacato Cisnal, rivendicando il fatto con il motto “schiacciamo i fascisti a Mirafiori e Rivalta, cacciamoli dalle nostre fabbriche e dai nostri quartieri”. In dicembre continua l’antifascismo militante in fabbrica, sempre a Torino, con altri incendi ai danni di iscritti Cisnal e Sida: “Capi, fascisti, Sida sono un fucile puntato contro la classe operaia.

167 G. Galli, Op. Cit. pp.199-200 168 Ibidem, pp-30-31 169 Ibidem, p.62 170 M. Moretti, Op Cit. p.62

Page 77: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

76

Spazziamoli da Mirafiori e Rivalta! Inseguiamoli nei loro quartieri. Facciamogli sentire tutto il gusto del nostro potere!” questa è la rivendicazione che accompagna le azioni. In febbraio viene sequestrato, sempre a Torino e ad opera delle BR, Bruno Labate. Il suo sequestro è accompagnato da un interrogatorio, dalla rapatura e dal successivo abbandono in loco, con al collo del segretario provinciale della Cisnal un cartello recante la scritta “pseudo-sindacato fascista che i padroni mantengono nelle nostre fabbriche per dividere la classe operaia, per organizzare il crumiraggio, per infiltrare ogni genere di spie nei reparti”.171 Nel caso del sequestro Labate, durato solo poche ore, si nota ancora di più la carica esemplare e quasi esibizionista dell’azione brigatista; il cartello si accompagna alla rapatura, in un manuale, quello del taglio dei capelli a scopo di dileggio, che viene mutuato da esperienze risalenti alla guerra di Liberazione, una gogna evidente che viene effettuata ai danni di chi viene reputato fascista, e che quindi va riconosciuto e marchiato in quanto tale. Il timore del golpe, al quale si accennava, resta forte anche fino al 1974, e oltre; è anche il clima di timore e resistenza verso ipotesi di svolte autoritarie che permette alle Brigate Rosse di continuare a rimanere in vita anche dopo gli arresti seguiti all’importante caso del rapimento Sossi. Gli attacchi alle sedi del Movimento Sociale, gli scontri nelle fabbriche e a San Basilio, in quel di Roma, mettono in luce un tessuto sociale spesso fatto di disperazione e di accettazione verso una organizzazione della violenza che possa definirsi resistente, nei confronti di un pericolo autoritario. Di quest’anno è il primo omicidio targato BR, in un contesto simbolico: quello di un assalto alla sede dell’MSI di Padova. Anche in questo caso può essere utile leggere la giustificazione che il gruppo compie riguardo al gesto: “Un nucleo armato ha occupato la sede del Msi a Padova. Due fascisti presenti, avendo violentemente reagito, sono stati giustiziati. [È] il Msi di Padova da cui sono usciti gruppi e personaggi del terrorismo antiproletario [che] hanno diretto le trame nere dalla strage di Piazza Fontana in poi. Il loro più recente delitto è la strage di Brescia... voluta dalla Dc per ricomporre le laceranti contraddizioni aperte al suo interno dalla secca sconfitta del referendum e dal caso Sossi... Le forze rivoluzionarie sono da Brescia in poi legittimate a rispondere alla barbarie fascista con la giustizia armata del proletariato”172

Primi omicidi che, come le prime azioni di stampo simbolico e non letale, vengono effettuati nell’ambito di un antifascismo militante che ricorre a mezzi come l’omicidio; si legittimano le forze rivoluzionarie ad armarsi e a colpire il fascismo, che da parte sua ha preso parte ad attentati, e a trame, che vanno a ledere la rivendicazione proletaria nel paese.173 L’azione porta con sé diversi interrogativi. Non si tratta più di sequestri, ma di omicidi, che mettono in subbuglio, e pongono diversi interrogativi, lungo tutta l’area di sinistra. L’antifascismo presente come caratteristica fondamentale anche nelle Brigate Rosse ci viene dimostrato pure cogliendo l’occasione fornitaci dall’uccisione, da parte delle Forze dell’ordine, di Walter Alasia nel 1976; data in cui le Brigate Rosse già sono attive come gruppo ricorrente anche ad azioni omicide. Abbiamo già citato l’episodio del suo funerale, ma Patrizio Peci, brigatista, ci aiuta a cogliere meglio la situazione milanese di quei giorni: “Non ho fatto niente, in quei mesi. Mi misero in casa di un tal Mario Bondesan, un ex partigiano sulla sessantina che abitava vicino all'ospedale di Niguarda. Anche la moglie faceva parte della rete d'appoggio... La conclusione di tutti i discorsi era sempre la stessa: sconfiggeremo lo Stato come abbiamo sconfitto i fascisti, ma questa volta non ci faremo fregare: i nemici al muro, mentre noi costruiremo lo Stato comunista.”174

Piena capacità, in questo caso, di identificare lo stato italiano uscito dal secondo conflitto bellico come un nemico paritario rispetto allo stato fascista. Quel “questa volta non ci faremo fregare”175 diventa emblematico: raccoglie le istanze di chi, credendo nella teoria di una rivoluzione che appare tradita, intravede la possibilità di una lotta da attuarsi ora per creare, anche in Italia, uno

171 G. Galli, Op. Cit. pp.81-82 172 Ibidem, p.133 173 Ibidem, p.134 174 Ibidem, p.197 175 Frase inserita nel discorso sopra citato

Page 78: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

77

stato di matrice comunista. Le Brigate Rosse non sono insensibili a queste tematiche, anzi: come nel caso di Giangiacomo Feltrinelli, la “rete d’appoggio” è composta anche da ex partigiani non rassegnatisi all’attuale stato di cose nel paese. II) Brigate Rosse, affinità nell’ideologia e nell’azione con gruppi esteri Le Brigate Rosse riescono a sopperire agli arresti anche grazie a questo, reclutando cioè nell’area dell’Autonomia operaia militanti disposti ad alzare il livello dello scontro.176 Ed è proprio dal caso Sossi che possiamo notare come le Brigate Rosse vogliano ergersi a potere antistatale; il sequestro del giudice viene effettuato, chiedendo in cambio della sua scarcerazione il rilascio dei militanti della brigata XXII ottobre. Il modus operandi rappresenta una cesura forte con altri movimenti come Potere Operaio, Lotta Continua o con le intemperanze di qualche servizio d’ordine. Viene invece mutuato un rapporto paritetico con lo stato che può essere messo in relazione all’esperienza, su tutte, dei Tupamaros in Uruguay. Nel caso Sossi, e ancor di più nel caso Moro, Le BR diventano anch’esse stato, si fanno portatrici di istanze e richieste, e trattano alla pari con il nemico. Il caso Sossi in particolare, che non si conclude con un omicidio, permetterà alle Brigate Rosse di raggiungere probabilmente il punto più alto di adesione all’interno della galassia movimentista; un gruppo che viene percepito come fortemente organizzato, clandestino, e che riuscirà a sopperire alle mancanze derivate dall’ondata di arresti che il gruppo seguirà nel 1974. 177 Il caso del sequestro del magistrato, e quello di Aldo Moro, sono simili all’azione tupamara non solo perché sono l’emblema di un gruppo armato che ha compiuto il salto di qualità, ponendosi come un interlocutore che, rispetto allo Stato, vuole farsi percepire come paritetico; ma sono il simbolo di una azione volta a svelare intrighi e commistioni tra sistema democratico e reazione nel panorama nazionale di appartenenza. Abbiamo visto in precedenza il comportamento che il MLN tenne nei casi del rapimento Mitrione e nel caso Monty; anche le Brigate Rosse, nel caso Sossi e in quello Moro, agiscono con interrogatori, verbali, tentano di infiltrarsi nelle trame di uno stato che combattono, svelandone gli intrighi, le relazioni di potere, più in generale agiscono come un tribunale che interroga chi è ritenuto responsabile di un danno arrecato al popolo. Sempre in questo tentativo di ricerca di intrighi e macchinazioni perpetrati dallo stato, possiamo leggere le “imputazioni” che vengono mosse a Sossi durante il suo sequestro, e il conseguente interrogatorio: “Sossi ha ammesso che il processo al gruppo XXII Ottobre è stato il frutto velenoso di una serie di macchinazioni controrivoluzionarie tendenti a liquidare sul nascere la lotta armata, messe in atto dalla polizia dal nucleo investigativo dei carabinieri, dai responsabili del Sid e coperte da parte della magistratura”178

Questa è la motivazione che ha indotto le Brigate al sequestro, esplicate anche dal timore di una svolta neogollista paventata da Mario Moretti; il timore, in particolare, della creazione di una repubblica presidenziale ruotante attorno a personaggi del rango di Edgardo Sogno o Randolfo Pacciardi;179 azione quasi preventiva contro un magistrato considerato di destra, per il cui rilascio si richiede la paritetica liberazione di appartenenti al gruppo XXII ottobre da rilasciare puntualmente a Cuba, Algeria o Corea del Nord. Paesi, questi ultimi, ritenuti affini,180 con una Algeria che, come abbiamo notato, viene indicata come luogo di rilascio anche nel caso coinvolgente Mitrione e i Tupamaros. La questione del rilascio fa intravedere numerosi scenari che mettono luce sul rapporto che lega le Brigate Rosse antecedenti all’ondata di arresti del 1974 e il resto della liberazione internazionale; rientra in tal caso il ruolo che Feltrinelli ricoprì nell’isola caraibica, probabilmente accennando allo stesso Castro del ruolo che formazioni come quella del

176 G. Crainz, Op. Cit. pp.486-487 177 S. Neri Serneri, Op. Cit. 172-173 178 G. Galli, Op. Cit. p.120 179 M. Moretti, Op. Cit. p.70 180 G. Galli, Op. Cit. p.120

Page 79: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

78

XXII ottobre o come le Brigate Rosse stavano giocando, o potevano giocare, sullo scenario internazionale. Il mancato rilascio dei detenuti, secondo Franceschini, è da imputare ancora una volta al ruolo giocato dal PCI e dal segretario Berlinguer, che su indicazione del ministro Taviani bloccò la possibilità che i membri della banda fossero rilasciati presso il regime cubano.181 Certamente non sono azioni paritetiche; le BR agiscono da un punto di vista strettamente operaista, il Movimento di Liberazione Nazionale Uruguayano, invece, già dal nome fa intuire un suo riferirsi ad una liberazione di tipo nazionale; sono due logiche che si assomigliano soprattutto nei modi di compiere la guerriglia e l’azione, tuttavia a nostro avviso divergono nelle finalità e anche nell’interpretazione della propaganda e dei suoi destinatari, come avremo modo di approfondire nelle conclusioni. La rassomiglianza delle azioni delle Br, di questa ma non solo, con le attività dei principali gruppi guerriglieri e di liberazione operanti in tutto il mondo, è davvero notevole, tuttavia, se confrontiamo il modus operandi brigatista con i teoremi espressi anche da Carlos Marighella, nel suo “Piccolo manuale del guerrigliero urbano”, del 1969, in cui non solo viene ribaltata la condizione del terrorista, che da condizione di discredito diventa condizione nobilitante, ma in cui vi sono consigli pratici per la perpetrazione della guerriglia urbana, secondo i metodi puntualmente sperimentati anche in Uruguay e nello scenario italiano: espropri di armi, azioni in clandestinità, assalti, rapimenti, sequestri. E’ chiara la sensibilità e il contesto in cui si inserisce l’azione brigatista.182 La stessa scelta dell’agire in completa clandestinità avviene sulla scorta degli insegnamenti guerriglieri provenienti dal Sudamerica: “La clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di una organizzazione politico-militare offensiva che operi all'interno delle metropoli imperialiste. La condizione di clandestinità non impedisce che la organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell'area dell'Autonomia operaia. Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante, pur appartenendo all'organizzazione, «opera» nel «movimento» ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità.”183

Si nota non solo la necessità dell’azione clandestina nelle metropoli, sulla scorta delle guerriglie internazionali, ma anche la forma di doppio livello, mutuato certamente da esperienze estere, ma che abbiamo visto essere presente anche nell’attività clandestina di gruppi reduci dalla Resistenza; nella metropoli è necessario agire in maniera clandestina; installarvisi attraverso una facciata legale, operando una guerriglia fantasma. Il caso del rapimento Sossi innescherà, proprio sulla scorta del mancato rilascio dei militanti della banda XXII ottobre, un altro omicidio, quello di Francesco Coco, ucciso nel 1976, a Genova, assieme a due agenti che componevano la sua scorta. Proprio nella rivendicazione dell’omicidio Coco, possiamo leggere delle dichiarazioni interessanti: “Nel tentativo di arginare la sua crisi, la borghesia ha accelerato la linea della crescente militarizzazione dello Stato. Incapace di controllare il movimento proletario e la sua avanguardia comunista con strumenti esclusivamente politici ha accelerato l'uso delle strutture dello Stato in chiave militare... Il tentativo di distruggere la resistenza proletaria viene completato dagli aguzzini che nelle carceri nulla tralasciano per arrivare alla distruzione fisica dei proletari detenuti.”184

Si può notare in questo caso il ritorno del concetto di militarizzazione dello stato, in contrapposizione alla capacità di resistenza di movimenti proletari; è il leitmotiv che abbiamo notato non solo in Sudamerica, ma anche nelle esperienze dei Weather Undeground e delle Black Panthers, in una repressione che si esplica anche nelle carceri, più in generale nei sistemi di coercizione fisica, ghettizzanti, come notato in maniera più sensibile nel caso riguardante Huey Newton e compagni. La sensibilità del gruppo armato italiano si può notare anche da un caso singolare ma decisivo per la storia delle Brigate Rosse, ovvero l’infiltrazione di Silvano Girotto, Alias Padre Leone o, più

181 G. Galli, Op. Cit. p.126 182 S. Neri Serneri, Op. Cit. p.351 183 Documento di rivendicazione BR, Ict. in: G Galli, Op. Cit. p.75 184 Ibidem, p.193

Page 80: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

79

comunemente, Frate Mitra, all’interno dell’organizzazione. La sua infiltrazione avviene sulla scorta di informazioni che lo vogliono come guerrigliero reduce dall’America Latina. Il vero curriculum del personaggio non viene mai controllato; non si manca però, di far notare quanto il fascino e l’attrattiva di un guerrigliero proveniente dal Sud del mondo fosse un biglietto da visita sufficiente per molte delle organizzazioni di estrema sinistra italiana, a dimostrazione di una sensibilità piuttosto forte, in tutto lo scenario della sinistra radicale italiana, verso le azioni estere;185 se non altro non si scopre che la sua infiltrazione è creata ad hoc per favorire la grande ondata di arresti del decisivo 1974, in una operazione guidata dall’antiguerriglia del Generale Dalla Chiesa; sarà proprio la fama di rivoluzionario proveniente dall’America Latina a creare una falla nell’organizzazione, permettendo l’ingresso di un uomo infiltrato; l’ingresso di Girotto, favorito, tra gli altri, anche da quel Lazagna che incontrammo trattando Feltrinelli, è esemplare della capacità di attrazione che, anche per le Brigate Rosse, potevano avere gli echi e i collegamenti con il mondo della guerriglia sudamericana.186 Proprio con un’altra azione dei Tupamaros possiamo notare un parallelismo piuttosto efficace, ovvero con il rapimento di Pereyra Reverbel. Il suo sequestro è simile a quelli operati dalle Brigate Rosse nelle fabbriche, anche nella conclusione; l’ostaggio viene rilasciato, e il suo sequestro ha una valenza fortemente pedagogica; Pereyra si occupa della caccia ai militanti sindacali, reprime le istanze proletarie nelle fabbriche: ecco che il gruppo armato interviene, lo sequestra, e detta precise condizioni allo stato per il suo rilascio. Azione esemplare, fortemente rivendicativa, collocata su un piano di giustizia parallela rispetto a quella statale, che non viene riconosciuta. Anche il rapimento di Dan Mitrione, come accennato, presenta forti analogie con azioni brigatiste; anche in questo caso la valenza è fortemente pedagogica e simbolica. Si sceglie un personaggio simbolo dell’azione estera nel paese sudamericano, lo si rapisce, si dettano precise condizioni allo stato. Così come Mitrione in Uruguay, anche Aldo Moro in Italia è un personaggio simbolico, in questo caso del compromesso storico, del matrimonio tra la sinistra e un sistema che invece essa dovrebbe ripudiare, e combattere. La giustificazione stessa dell’esecuzione ricalca pienamente l’impianto utilizzato in casa brigatista nel caso del rapimento del leader democristiano; rileggiamo l’intervista al comandante Urbano, che motiva l’esecuzione di Mitrione: “Abbiamo dato loro una scadenza, abbiamo pronunciato il verdetto e li abbiamo avvertiti che se entro questo termine i nostri compagni non fossero stati liberati o se non si fosse data una risposta alle trattative, Mitrione sarebbe stato giustiziato. Quando si giunge a questo estremo, una decisione presa da un movimento rivoluzionario deve essere attuata, soprattutto dati gli antecedenti che esistevano in questo caso. Sono queste le ragioni che hanno portato all’esecuzione di Mitrione.”187

La somiglianza con il movimento Tupamaro continua anche nell’esplicazione di una ideologia che si plasma con il riutilizzo della storia nazionale. Artigas per i guerriglieri sudamericani, simbolo della liberazione del paese; l’epopea resistenziale per il gruppo italiano. Se come abbiamo visto, specialmente nei primi comunicati brigatisti, è fortissimo il rimando all’antifascismo militante e allo spirito resistenziale, così è essenziale nel bagaglio tupamaro il rimando alla liberazione coloniale. E come in Uruguay si combatte per una seconda liberazione, in Italia lo spirito della Resistenza viene rinfocolato ancora, per continuare lungo il solco di uno spirito antifascista da esplicarsi nella lotta, nelle fabbriche e nelle metropoli; una lotta di difesa e di attacco, una lunga marcia per stanare la repressione del capitale e la violenza fascista dalla società. Rassomiglianza coi movimenti sudamericani, beninteso, che si nota anche nell’azione di altri gruppi, come quella delle Unità Comuniste Combattenti che, in quel di Roma, rapiranno un grossista di carni, chiedendo che la sua merce venga distribuita ai proletari cittadini. Il grossista verrà rilasciato, ma notiamo la similitudine nell’azione di guerriglia e di proselitismo con le azioni tupamare in

185 M. Moretti, Op. Cit. p.77 186 G. Galli, Op. Cit. p.135 187 Cfr. A. Labrousse, Op. Cit. p.207

Page 81: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

80

Uruguay.188 E’ lo stesso concetto di rivendicazione, che con le azioni delle Brigate Rosse, fin da quelle iniziali, accompagna una similitudine sempre più forte con movimenti di guerriglia extranazionali. Le BR agiscono e rivendicano ciò che compiono, le azioni sono studiate e presentate come facenti parte di un disegno più ampio; la violenza diventa organizzata, non sono azioni di corteo, attacchi generalizzati in piazza; sono azioni mirate, riconducibili ad un gruppo e alla sua ideologia politica, che si fa azione, nella metropoli o altrove. Lo strumento della rivendicazione tramite dispacci, bollettini o ciclostilati è tipica delle azioni guerrigliere nelle metropoli, e saranno le Brigate a introdurre questo strumento, su larga scala, anche in Italia.189 Pure il rapporto con la fabbrica, luogo di nascita della propaganda e dell’azione brigatista, permette di constatare che la lotta, seppure compiuta con finalità e situazioni diverse, si esplica contro un nemico che si organizza alla stessa maniera. Anche nella mera azione di procacciamento delle armi, le BR dimostrano di saper guardare all’estero; nonostante qualche interessante richiamo alla presa in consegna di armi appartenute a vecchi partigiani, o una sempre presente attenzione alle logiche delle formazioni combattenti sarde,190è più immediato e certamente comprovato il far notare come, specialmente con la successiva gestione Moretti, le Brigate sappiano trattare anche con organismi quali l’OLP palestinese, l’IRA irlandese, l’ETA basca e la RAF tedesca; quelli europei tuttavia non sono rapporti continuativi e tendenti alla creazione di una vera e propria piattaforma di lotta europea o mediterranea, spesso sono solamente abbocchi per una cooperazione di tipo logistico, con il rifornimento di armi. III) Divergenze delle Brigate Rosse con i sistemi di guerriglia internazionali e sudamericani Tra tutti gli organismi citati nelle ultime righe del paragrafo precedente, possiamo dire che i rapporti con l’OLP palestinese in particolare saranno quelli più forti, ma anche dalle memorie di questi contatti, possiamo notare una tendenza, di tipo tutto europeo, della lotta politica; ci affidiamo in particolare ad una frase di Mario Moretti: “Il capitale è uno e plurimo, ma domina popoli e movimenti con storia, cultura, condizioni del tutto differenti.”191

E’ partendo da ciò, infatti, che possiamo analizzare quelle che sono le principali differenze tra un sistema di lotta di tipo Sudamericano da quello Europeo in cui anche le Brigate Rosse si inseriscono. Se nelle lotte di liberazione come quella del MLN o quella cubana abbiamo una forte dinamica continentale, mentre in Europa non possiamo notare altrettanto. Possiamo citare il ruolo di Cuba, che come abbiamo notato è spesso fatto di coordinamento e di incentivazione alla lotta di altri paesi sudamericani; il ruolo fortemente simbolico, ma non per questo meno importante, di un combattente della fama e della caratura di Ernesto Guevara. La lotta nel vecchio continente invece si esplica in nazioni dalla storia spesso molto divergente, senza una comune base storica e rivendicativa come può essere quella della lotta al colonialismo europeo in Sudamerica; certo, le Brigate Rosse e non solo, come abbiamo notato, tenderanno a far coincidere il colonialismo con lo sfruttamento che, nei loro anni, gli Stati Uniti d’America e il sistema capitalista da loro promosso continuano ad operare anche in suolo europeo. Ma appare chiara la differenza tra le lotte, ad esempio, dell’IRA in suolo irlandese con quella delle Brigate Rosse in suolo italiano. Le Brigate Rosse, al contrario dell’ETA, dell’IRA ma anche dell’OLP (che pure maggiormente possono avvicinarsi, ad esempio, a tematiche nazionali assimilabili a quelle dei Tupamaros) non operano in un contesto di rivendicazione territoriale e nazionale, ma in un contesto di lotta politica per il comunismo, per la trasformazione delle dinamiche economiche e

188 G. Galli, Op. Cit. p.192 189 M. Moretti, Op. Cit. p.33 190 Ibidem, p.177 191 Ibidem, p.176

Page 82: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

81

sociali di un paese, la cui esistenza non viene messa in discussione. Se la storia dei movimenti sudamericani è permeata di un forte senso di liberazione derivato dalle precedenti lotte contro il colonialismo condotte nell’Ottocento, in Italia questa forma di identificazione ideologica manca totalmente; identificare, come avviene in Uruguay, il neocolonialismo capitalista con un colonialismo già sperimentato sulla pelle del paese, diventa una arma retorica ed ideologica fortemente utile e fortemente efficace; ecco il perché del tentativo tupamaro di far coincidere la lotta del MLN con quella di Artigas. In Italia ciò non può avvenire, se non attraverso un richiamo mitico e spesso distorto alla Resistenza; la lotta non è concentrata su di un concetto di patria o di dimensione nazionale e, in un certo senso, nazionalista. Le BR si inseriscono in un contesto di lotta che in certi contesti e in certe sue diramazioni può certamente essere ricondotto ad esperienze di tipo internazionale, ma viene applicato su suolo italiano seguendo delle tradizioni interamente appartenenti al bagaglio storico dell’esperienza recente: l’antifascismo militante, il conflitto contro uno stato ritenuto criminale, ritenuto diretta emanazione di potenze straniere che permettono l’insediamento, nel suo seno, di politici miranti a logiche autoritarie o di sfruttamento del proletariato. Vi è nelle Brigate Rosse un appiglio storico, quello della Resistenza e della lotta antifascista; ma è un appiglio molto più recente e, aggiungiamo, molto meno efficace, nei modi in cui è stato utilizzato, rispetto alla retorica e all’utilizzo storico dei Tupamaros. Le divergenze, e con loro delle unicità dell’esperienza brigatista rispetto a quella di liberazione nazionale sudamericana e tupamara in particolare, vi sono; vi sono soprattutto, come si accennava, nelle finalità della lotta. I Tupamaros nei loro messaggi, nei comunicati parlano di nazione. Ammettono di essere una forza composita, formata da diversissime anime; vi sono blancos, colorados, impiegati, casalinghe: una forza plurale, interessata alla riappropriazione del paese, che si trova in mani straniere. Quella del MLN è una commistione che possiamo definire nazionalpopolare; le Brigate Rosse non sono ciò, e non lo sono mai state; se la similitudine con il MLN è forte nella scelta dell’azione in clandestinità (non effettuata per esigenze di fuga, ma in senso fortemente offensivo, ricercando una collocazione ideale per esplicare la lotta), diverge il rapporto con la politica nazionale. Le Brigate Rosse non solo non saranno mai un partito, ma non ne appoggeranno alcuno; lavorano piuttosto per aumentare il livello di scontro tra proletariato e borghesia.192 E’ un soggetto che si occupa di creare le basi per un profondo rivolgimento sociale. Non c’è lo spazio nemmeno per una adesione esterna a qualche partito, o forza, come nei casi americani. E’ in questo che diverge l’esperienza brigatista, sia da quella tupamara, che soprattutto da quella delle Pantere Nere. Sempre analizzando le divergenze tra Brigate Rosse e movimenti guerriglieri internazionali, possiamo analizzare meglio proprio il caso del rapimento Moro, che assume, nella storia brigatista, le dimensioni che per il MLN ha assunto il caso Mitrione. Il caso Moro, per quanto riguarda la storia brigatista, permette di prendere atto anche della totale estraneità (a differenza di come si comporteranno poi i Tupamaros, che arriveranno a indicare addirittura una lista popolare elettorale degna di essere supportata) delle Brigate stesse nei confronti della politica. Quel che ci giunge dalle memorie del gruppo armato italiano, infatti, è il tentativo, durante i giorni del suo rapimento, dello statista della DC di identificare un possibile interlocutore da far intervenire per sbloccare lo stallo del suo rapimento. “non c’è un Longo che possa parlare con lei?”193 si sentirà dire Mario Moretti; e in effetti quel Longo non c’è, perché la storia brigatista è composta di un rifiuto totale degli spazi elettorali a disposizione, di un rifiuto sempre più forte del PCI e dei suoi esponenti parlamentari, che se nella prima fase, e in quelle BR guidate da Curcio e Franceschini non era ancora così totale e totalizzante, con il rapimento Moro e con la gestione Moretti giunge a livelli estremi, rafforzato anche dalla logica del partito delle Botteghe Oscure, forte di una piena intransigenza nei confronti del fenomeno terrorista. Le brigate si astraggono, diventano un corpo a sé, parlano con lo stato e cercano di trattare con lui da una posizione totalmente settaria, che

192 M. Moretti, Op. Cit. p.44 193 Ibidem, p.137

Page 83: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

82

denota e lascia già intravedere una sconfitta pressoché totale. Se nei Tupamaros c’è sempre la sensazione e la forte presa di coscienza di lottare per un rinnovamento profondo della politica, suffragati da un appoggio popolare piuttosto forte, e che si esplica anche in un riconoscimento, da parte dei guerriglieri uruguagi, di una piattaforma elettorale utile al cambiamento, nelle Brigate Rosse la chiusura e il settarismo saranno da un lato una forma di creazione di senso identitario, dall’altro una forma di debolezza, in una chiusura totale che finirà con il chiudere alle Brigate Rosse anche il campo d’azione all’interno di una forte (e soprattutto) efficace rivendicazione politica, che mai vi sarà. Non ci sarà nessun arcivescovado dalla parte delle Brigate Rosse, nessuna istituzione o frazione del paese realmente maggioritaria in grado non solo di difenderne le gesta, o almeno di interpretarne la lotta come un qualcosa di comprensibile o, al più, condivisibile. Il tentativo brigatista è quello di aprire una forte contraddizione nell’ambito dell’elettorato comunista; è quello di mettere “con le spalle al muro” uno dei rappresentanti politici più famosi e importanti della Democrazia Cristiana, e del governo italiano; ma anche uno dei principali artefici della strategia del compromesso storico. Anche qui, con una azione di tipo esemplare, si vuole aprire una spaccatura nel seno della società ad orientamento comunista, ma l’unica risposta che le Brigate otterranno sarà quella di rafforzare ancora di più la tendenza ormai governativa, democratica e fortemente sistemica del Partito Comunista, e anche dei suoi militanti. L’omicidio di Moro, in particolare, verrà fortemente strumentalizzato e utilizzato in chiave anti terrorista e anti brigatista. La logica del “processo al potere” nel rapimento Moro da parte brigatista è rintracciabile in ogni frammento della sua condotta.194 Un processo al potere utile a smascherare le malversazioni di un sistema di potere con il quale il PCI si sta sostanzialmente avvicinando, dimentico delle sue origini ma dimentico soprattutto, secondo l’interpretazione delle Brigate Rosse, delle origini dei suoi militanti e dell’indirizzo di questi; si ricerca in particolare un dualismo, tra una base comunista ritenuta ancora reclutabile e trasportabile su di un piano di forte radicalità, in aperto scontro con il potere da un lato e la nomenclatura delle Botteghe Oscure dall’altro. Questa scissione, questa tentativo di spaccatura in seno al partito o al paese non porterà a nessuno degli esiti che abbiamo potuto notare nel caso del rapimento di Dan Mitrione. Le BR saranno ben lungi dall’ottenere il supporto alla propria causa che il MLN, tra gli altri, seppe accattivarsi. IV) L’analisi di un militante: la storia di Prospero Gallinari. Come ultima analisi del percorso ideologico brigatista, valuteremo ora l’esperienza di un militante reggiano delle Brigate Rosse, ovvero Prospero Gallinari. Tra le molte opzioni biografiche a disposizione si è scelta questa perché riassume, in una unica vicenda biografica, un po’ tutte le caratteristiche di formazione ideologica che abbiamo fin qui incontrato: forte dimensione locale in un contesto di antifascismo storico e militante, presenza di stimoli alla lotta internazionale, formazione di una ideologia radicale e di un dissenso nei confronti del PCI inteso come partito di possibile riferimento in una ottica antisistemica, formazione di una coscienza alternativa rispetto al progressivo avvicinamento del partito delle Botteghe Oscure a logiche di governo, scelta di un percorso di lotta armata. La crescita personale di Gallinari avviene in una zona d’Italia fortemente segnata da un lato dalla forte lotta al fascismo, connotata in una profonda repulsione degli esiti che questo aveva scatenato sul piano sociale, e dall’altro da forme di rivendicazione che ancora si esplicano nel contesto di fabbrica, in cui è forte il ricordo e il patrimonio di lotte portato avanti durante il ventennio mussoliniano e, soprattutto, durante la Resistenza. Si noti la dimensione economica, quella delle Reggiane, enorme industria metalmeccanica emiliana; è nel contesto di conflittualità operaia e sindacale ruotante attorno all’esperienza in questa fabbrica che si sviluppano i primi anni di vita di Gallinari; la lotta delle reggiane verrà interiorizzata a tal punto da ritenerla una storia personale, in cui si innesta anche una coscienza di

194 M. Moretti, Op. Cit. p.160

Page 84: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

83

continuazione della Resistenza; una continuazione che anche qui, in scala ridotta e diversa, si esplica nelle industrie e nella rivendicazione; una lotta che si fa forte già a partire dalla Resistenza, con repressioni sanguinose da parte delle milizie fasciste, che spesso combattono a colpi di arma da fuoco la conflittualità presente negli stabilimenti; una storia, questa della conflittualità alle Reggiane, che affonda le sue radici ben prima della guerra di Liberazione, precisamente già dal 1919-20, con una fiera contrapposizione al nascente fenomeno fascista e, al contrario, una preferenza orientata ad Oriente, all’esperienza leninista. Durante la Resistenza, alle Reggiane si assemblano armi da fornire ai partigiani, si aiuta la guerriglia partigiana, a costo anche di numerose perdite e punizioni; dopo la fine della guerra, la forte carica di mobilitazione resta, con gli scontri datati 1950, e con la perpetrazione di una solida coscienza di classe forgiata nella fabbrica e nella sua stessa storia. Soprattutto l’efficacia della lotta e della solidarietà operaia esprime una valenza forte: l’autotassazione per supportare gli scioperi, la solidarietà orizzontale, il rapporto tra Resistenza in fabbrica e Resistenza al di fuori di essa,195 una certa mitizzazione del contesto di scontro certamente ampliano la coscienza di potere all’interno della classe operaia, fornendo, a chi si ritrova ad udire il racconto della lotta o a viverla in prima persona, la reale possibilità dell’esercizio di un contropotere operaio, rispetto alla violenza fascista o statuale. La forte esperienza ed eredità della guerra partigiana, e la presenza di suoi protagonisti in loco, permetteranno al militante emiliano di sviluppare una concezione politica arricchita da un senso di forte appartenenza politica; fin dai dieci anni Gallinari inizia a frequentare Case del Popolo, cresce a contatto con vecchi partigiani, interiorizza insomma il portato esperienziale di una storia fatta spesso di conflitto con il padronato e con le derive fasciste.196 E’ proprio dai racconti sull’esperienza del fascismo, racconti uditi da nonni, genitori, parenti di amici e amici che inizia a prendere piede una forte coscienza antifascista nel militante emiliano; un rifiuto del fascismo interpretato come rifiuto dell’autoritarismo, del sopruso, di imposizione di stili di vita, che in territorio reggiano viene rivendicato con orgoglio, e sulla scorta di battaglie efficaci; il rapporto con il nonno materno in particolare permette di rendicontare di una forte coscienza di contrapposizione tra proletariato e squadracce fasciste, una dimensione di lotta importante ed esemplare. Un rapporto di forte contrapposizione al fascismo, latente o presente che fosse percepito, che viene certamente rinfocolato dalle decisioni dei governi italiani, come nel caso degli scontri del luglio 1960, che anche a Reggio fanno sentire tutta la loro carica repressiva; il dolore per i cinque morti, la rabbia e la tensione sono palpabili; l’eredità resistenziale, la canzone di Reggio, la contemporanea comparsa di lotte popolari a livello internazionale si dimostrano essenziali in questa esperienza: “Una rabbia e un dolore che, invece, finiranno per essere un mio bagaglio, insieme alla Resistenza, ai suoi simboli epici, come la vita e la morte dei sette fratelli Cervi. Il tempo vi avrebbe aggiunto le lotte dei popoli, il Vietnam, e così via: tutti patrimoni e beni dell'uomo che ho voluto ereditare nel percorso della mia crescita umana e politica.”197

Nella stessa Reggio Emilia compaiono sempre più presenti, assieme alle rivendicazioni scolastiche e alle lotte negli istituti superiori, scritte inneggianti a Lumumba, frasi anti colonialiste e di lode verso la resistenza socialista; Gallinari non è certo insensibile a tutto ciò, e la fusione tra eredità resistenziale antifascista con la proiezione internazionalista delle lotte che infiammano gli anni Sessanta permette una evoluzione, su scala non solo personale, del concetto di Resistenza e di antifascismo. Il 1960 lascia in eredità non solo una profonda rabbia nei volti e negli animi dei proletari reggiani; permette altresì di valutare l’opera di un partito, quello Comunista, che si sta dimostrando sempre meno rivoluzionario e sempre più vicino al compiere una grande svolta, di tipo sistemico. Le

195 P. Gallinari, Un contadino nella metropoli, Milano, Bompiani Overlook, 2008, pp.14-15 196 Ibidem, pp.6-7 197 Ibidem, p.17

Page 85: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

84

giornate del 1960 aprono già delle spaccature all’interno del fronte popolare, e più ancora tra militanti comunisti di formazione recente e vecchi combattenti che si sentono traditi, come traditi secondo loro sono stati gli ideali della Resistenza e gli esiti delle lotte operaie; la conflittualità si avverte tramite la repulsione per le dirigenze di impostazione secchiana, si punta il dito contro quadri di partito rei di “aver fatto carriera”; si nota come diversi comandanti partigiani o capipopolo vengano sistematicamente rimossi da ruoli di importanza non secondaria nel tessuto industriale e amministrativo, a tutto vantaggio di ex fascisti o di personale vicino al padronato. E’ da questo che si esplica una sensazione di tradimento di ideali per i quali numerosi combattenti avevano perso la vita. Da una parte la delusione dei vecchi militanti, ma dall’altra vi è la carica dei giovani di cui Gallinari fa parte; giovani che militano nelle federazioni comuniste giovanili, che sono sensibili agli echi delle rivoluzioni del Terzo Mondo delle guerriglie di liberazione, di Malcolm X, delle Pantere Nere, del marxismo di stampo americano, dell’esempio della Cina maoista e della Cuba castrista, e soprattutto della Resistenza vietnamita; una sensibilità forte che tuttavia si scontra con la linea ufficiale del Partito Comunista Italiano, che si trova spesso in posizione rinunciataria rispetto agli stimoli emergenti sullo scenario internazionale. Più forte è, su scala nazionale, il timore di golpe.198 Proprio la distanza con il PCI si acuisce grazie alle svolte internazionali. E’ sempre più forte infatti l’insofferenza, da parte di molti giovani comunisti, nei confronti della linea del partito, rinunciataria e già difficilmente ascrivibile ad un contesto di tipo comunista; esemplare è la manifestazione del ’68 a Firenze alla quale vengono chiamati a partecipare i giovani della FGCI reggiana; una fiaccolata in compagnia di militanti delle ACLI per manifestare contro la guerra in Indocina. Una manifestazione ritenuta deleteria se non altro per la vicinanza che si vorrebbe promuovere tra militanti giovanili di due forze completamente diverse, mentre in Vietnam si esplica una guerriglia di popolo. La scelta di non parteciparvi da parte della direzione giovanile reggiana porterà alla dissidenza del cosiddetto Gruppo dell’Appartamento, di cui Gallinari stesso fa parte. Il Gruppo dell’Appartamento nasce così in contrasto rispetto alle logiche riformiste della dirigenza del PCI, anche sul piano sovranazionale. Va letta in questa maniera la manifestazione, ad esempio, che i militanti dell’Appartamento assieme ad altri giovani promuovono contro la base di Miramare, nel 1969, cogliendo l’occasione della visita in Italia del presidente americano Nixon. Contro gli Yankee gendarmi del mondo199 si scatena una contestazione che, da esterna al partito e diretta contro la NATO e la sua presenza in Italia, diventa interna. La dirigenza del PCI si discosta dagli incidenti emersi nel corso della manifestazione tra forze dell’ordine e militanti, imputandoli a disturbatori esterni; ma è proprio in questo caso che i giovani estraggono le loro tessere del Partito Comunista, dimostrando che la contestazione, diretta anche alla svolta riformista del Partito, è un qualcosa di interno. Un qualcosa che nasce dalla base comunista, non da altrove. Ecco che assieme alla lotta contro l’imperialismo americano, emerge un dualismo sempre più forte tra una concezione del PCI inteso come partito sistemico, che persegue una labile via italiana al Socialismo, e una base spesso intemperante o delusa da queste svolte, interpretate come rinnegazioni. L’attività dei giovani inizia a distanziarsi da quella dei grandi del partito proprio sulla gestione dello scenario internazionale, e della collocazione in questo da parte del partito. Gli anni del ’68 e del ’69 e gli avvenimenti da essi scatenati sono figli di evoluzioni internazionali; così del 1969 è anche la scelta, da parte di Gallinari e degli altri attivisti, di affittare una mansarda, in via Emilia San Pietro di Reggio Emilia; è questo l’Appartamento, una soffitta in cui spesso si discute e ci si confronta sui temi più scottanti offerti dal presente, formandosi su Mao, Che Guevara, Fanon, sui Quaderni di Panzieri. E’ dalla sensibilità rispetto non solo alla realtà internazionale, ma anche verso le dinamiche nazionali, che il Gruppo dell’Appartamento inizia una presa di coscienza della realtà conflittuale che va sviluppandosi nella Penisola; in particolare, l’appoggio e la sensibilità dimostrati sul campo

198 P. Gallinari, Op. Cit. p.17-23 199 Ibidem, p.31

Page 86: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

85

della lotta anti imperiale internazionale, vengono riacutizzati e reimpiegati nell’analisi del contesto italiano, in cui alla forza del Movimento operaio viene opposta una reazione statale e padronale che va via via facendosi sempre più forte e spietata. E’ il 1969, iniziano le stragi, la violenza di piazza, e il discorso della lotta armata si pone, anche per il gruppo reggiano, come un argomento non più solo estero, ma anche prettamente italiano: “anche a Reggio, allevati nel mito della Resistenza tradita, pieni di ammirazione per le guerriglie del Terzo Mondo e per il coraggio vietnamita, abbiamo poche difficoltà a sintonizzarci sull'orizzonte di un progetto generale che pone all'ordine del giorno il problema dei problemi: la violenza rivoluzionaria non è un fatto soggettivo, non è un'istanza morale: essa è imposta da una situazione che è ormai strutturalmente e sovrastrutturalmente violenta. Per questo la sua pratica organizzata è ormai un parametro di discriminazione."200

Ecco che anche l’esperienza di Gallinari e dell’Appartamento coincide con una presa d’atto della situazione internazionale, fino a confluire nell’esperienza del CPM milanese. Il convegno di Costaferrata del 1970 (conosciuto come Convegno di Pecorile)nasce dopo l’incontro di Chiavari dell’anno precedente, e mette a punto l’evoluzione della lotta proletaria su scala metropolitana; un convegno organizzato da Loris Tonino Paroli e che vede l’evoluzione del CPM in Sinistra Proletaria. “lotta sociale e organizzazione nella metropoli” è il titolo dell’opuscolo che uscirà da questo confronto, in cui si affronta il tema dell’illegalità. La borghesia dopo Piazza Fontana, e assieme a lei lo Stato, pare averla accettata. La soluzione, se non si vuole cadere nel pantano riformistico, secondo i convenuti deve essere quella di una “lunga marcia rivoluzionaria nelle metropoli”. Non si può andare disarmati allo scontro con il padronato, bensì serve una organizzazione in grado di saper utilizzare la violenza a fini fortemente rivendicativi. Il rapporto tra clandestinità e legalità diventa una scelta essenziale, che sta anche alla base della separazione in seno al Gruppo dell’Appartamento. Gallinari seguirà la via più radicale, quella di una clandestinità come mezzo per esplicare la resistenza nelle metropoli, e la lunga marcia verso il potere del proletariato. L’attività di Sinistra Proletaria, che cambierà poi il suo nome in Brigate Rosse, si esplica così nelle metropoli del nord, e vede la partecipazione di Franceschini e Gallinari come membri di primo piano nelle azioni in fabbrica. L’azione brigatista viene condotta in un momento in cui lo scontro tra iniziativa operaia e reazione padronale si fa, come detto, sempre più forte. Ecco che il gruppo brigatista non resta affatto insensibile a ciò, ed è del 1971 una analisi sulla situazione e sulle prospettive della lotta metropolitana: “Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un blocco d'ordine reazionario quale alternativa al centro-sinistra. Esso prospera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a riassicurarsi il controllo della situazione economica e sociale e cioè alla repressione di ogni forma di lotta rivoluzionaria ed anticapitalista. [...] È un dato di fatto incontestabile che questo disegno repressivo per ora si estende e mira non tanto alla liquidazione istituzionale dello Stato 'democratico' come ha fatto il fascismo, quanto alla repressione più feroce del movimento rivoluzionario. In Francia il 'colpo di stato' di De Gaulle e l'attuale 'fascismo gollista' vivono sotto le apparenze della democrazia. Nei tempi brevi questo è certamente il modello meno scomodo. Sarebbe però ingenuo sperare in una stabilizzazione moderata della situazione economica e sociale in presenza di un movimento rivoluzionario combattivo.”201

Lotta nelle metropoli e lotta al gollismo, e al fascismo. Su questa strada proseguiranno le Brigate Rosse, come abbiamo potuto notare in precedenza, in un mix di tradizione antifascista italiana e stimoli extranazionali. L’azione del rapimento Sossi, come abbiamo fatto notare in precedenza, è forse quella che più si avvicina, nella sua esecuzione e nei suoi esiti, alle azioni delle guerriglie sudamericane, tuttavia il suo portato in termini di arresti e repressione infligge all’organizzazione un colpo non secondario, con gli arresti di Franceschini e Curcio. E proprio dalle memorie di Gallinari ci giunge anche la reazione interna, sia nel senso di gruppo che nel senso prettamente carcerario, che i militanti catturati danno del rapporto tra giustizia dello Stato e rivoluzione brigatista. Si nota come all’interno della dimensione carceraria stessa cresca l’aspettativa nei confronti di gruppi rivoluzionari, ma si nota soprattutto, anche qui, un atteggiamento rivolto alla

200 P. Gallinari, Op. Cit. p.42 201 Ibidem, pp.57-58

Page 87: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

86

negazione stessa del concetto di giustizia come legalità statuale. Al maxiprocesso, scatenatosi contro le Brigate Rosse a Torino in seguito agli arresti post-rapimento Sossi, le BR attingeranno da “La strategia del processo politico” di Jacques Vergès e sul processo di rottura. L’analisi del testo pone in evidenza il comportamento tenuto, tra gli altri, da attivisti del MLN algerino nei confronti della giustizia coloniale francese. Un atteggiamento di completo disconoscimento dell’autorità statale, un atteggiamento che vede l’imputato presentarsi come un soggetto appartenente ad un altro ordine politico, scollegato da quello statuale. Nasce così un concetto di guerriglia anche interna alle istituzioni, volta a disconoscere il sistema legale con il quale le Brigate Rosse vengono giudicate.202 Le azioni brigatiste, e con esse la militanza di Gallinari, non si fermano al caso Sossi, proseguono con l’altro grande sequestro su scala nazionale, quello di Aldo Moro. Anche in questo caso si nota, e lo possiamo fare seguendo la biografia di Gallinari, l’identificazione della Democrazia Cristiana come un qualcosa che, similmente ad una piovra, si impossessa dei gangli dello stato, dirigendoli a suo piacimento. Una forza conservatrice, antiproletaria e collusa con l’imperialismo statunitense, una forza che va punita esemplarmente, come possiamo notare dalla risoluzione strategia del 1975: “La DC non è solo un partito ma l'anima nera di un regime che da 30 anni opprime le masse operaie popolari del paese. Non ha senso comune dichiarare la necessità di battere il regime e proporre nei fatti un 'compromesso storico' con la DC. Ne ha ancora meno chiacchierare su come 'riformarla'. La Democrazia Cristiana va liquidata, battuta e dispersa. La disfatta del regime deve trascinare con sé anche questo immondo partito e l'insieme dei suoi dirigenti. Come è avvenuto nel '45 per il regime fascista e per il partito di Mussolini. Liquidare la DC e il suo regime è la premessa indispensabile per giungere ad una effettiva 'svolta storica' nel nostro paese. Questo è il compito principale del momento!”203

Le BR che escono dal sequestro Sossi continuano a puntare il dito contro la reazione e contro il gollismo; continuano, in senso lato, a identificare l’attuale stato con un regime dittatoriale e autoritario, arrivando ad equiparare sostanzialmente la Democrazia Cristiana al fascismo e al regime mussoliniano. Si notano insomma, nella vicenda storica delle Brigate Rosse vissuta in primo piano da Prospero Gallinari, tutte le caratteristiche di nascita e sviluppo ideologico che si è voluto sottolineare in questa trattazione. Stimoli conferiti dal contesto di nascita del militante, forniti da miti storici appartenuti e appartenenti alla propria nazione e alla sua storia recente, perfezionati dalla congerie geopolitica internazionale che non manca di scatenare, in seno alla militanza comunista, grossi interrogativi non solo sulla direzione e la giustizia delle lotte che si esplicano nel contesto mondiale, ma anche sull’atteggiamento che il Partito Comunista ha nei loro confronti. Notiamo come il carattere fortemente singolare ed esemplare delle stragi giochi un ruolo di primo piano nel convincimento di uno Stato che si sta sempre più inclinando su di un piano di reazione, o di deriva autoritaria, e di come questo giochi un ruolo fondamentale nell’accezione sempre più antisistemica che i militanti radicali vanno sviluppando. Cercheremo ora di trarre delle conclusioni riguardo tutte le analisi fin qui svolte, e più in generale sul tema della trattazione nel suo insieme.

202 P. Gallinari, Op. Cit. pp.78-79 203 Ibidem, p.98, nota 81

Page 88: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

87

Conclusioni In questo viaggio lungo i percorsi di nascita di una ideologia della lotta armata in Italia, basatosi molto su di un percorso di ricerca ed elaborazione personale dell’autore, si è potuto notare quali sono stati gli stimoli esteri che hanno contribuito a formare il tessuto ideologico delle Brigate Rosse e di altri numerosi gruppi appartenenti alla galassia movimentista e/o armata fiorita in Italia negli anni Sessanta e Settanta. Come abbiamo notato è stato possibile far emergere delle similitudini non solo dal punto di vista delle tecniche di organizzazione e di azione, ma soprattutto dal punto di vista della crescita ideologica, che non avviene su di un piano internazionale fatto di compartimenti stagni, ma che paradossalmente proprio grazie alla grande possibilità comunicativa offerta da un mondo avviato verso lo sviluppo di una rete di comunicazione globale, avviene in uno scenario spesso osmotico e di compenetrazione tra contesti locali, nazionali, continentali e internazionali. Sarebbe stato errato il proporre un parallelismo pieno con gruppi armati sorti in altri contesti statali, anche perché è un tema di questa trattazione, al contrario, il valutare in maniera forte quelli che sono gli stimoli offerti dalla storia del singolo paese di riferimento; e di stimoli, nell’Italia del periodo da noi analizzato, ve ne sono davvero molti da far emergere, come si è tentato di fare con alcune delle tematiche più interessanti e più inseribili in questo lavoro. Una discreta attenzione si è voluta dare anche alle forme di espressione popolare più prossime all’esperienza quotidiana di quegli anni; dagli slogan agli inni di lotta, ai motti dei movimenti, passando per il ruolo che una industria in pieno sviluppo e certamente importante nella vita culturale del paese, come quella cinematografica; interessante vedere come, anche in questo caso, si prosegua su di un piano di commistione tra stimoli internazionali e nazionali, con la produzione di pellicole ispirate ai contesti di lotta, e alle ideologie, che animavano e potevano animare la penisola. E’ interessante fornire una chiave di lettura, anche in questo caso, piuttosto trasversale; un West, un Nord America che viene riscoperto in casa, precisamente nel Sud Italia, percepito come lontano dai centri di governo, refrattario all’autorità e depauperato, nel quale possono innestarsi riflessioni sulla differenza tra legalità e giustizia, tra giusto e sbagliato, tra azione e inazione, accettazione e resistenza; e una riflessione, d’altro canto, sulla guerriglia metropolitana che non manca di offrire valide occasioni di spunto tra le esperienze, questa volta, del Sud America che lotta per la liberazione dal pressante giogo statunitense, e dei grandi centri industriali del Nord Italia, coinvolti in un processo di trasformazione sociale e politica piuttosto forte. L’analisi qui svolta ha cercato di mettere in relazione il mondo della guerriglia americana con i fenomeni di guerriglia italiani, da un punto di vista ideologico e anche operativo. Le divergenze che abbiamo potuto notare e far emergere, divergono soprattutto nella direzione che le varie lotte poi hanno intrapreso. La divergenza dall’ottica di stampo spesso nazionalpopolare tupamara, dall’appoggio politico che essa, e le Black Panthers, hanno saputo ottenere e ricevere; dalla divergenza dello scenario di lotta italiano rispetto a quello americano, dalla mancanza, da parte delle Brigate Rosse, anche di un lavoro di analisi storica basata sulle vicende dell’Italia come stato nazionale; dalla sostanziale scarsità dell’ottica separatista o secessionista, al contrario di quello che accade con i gruppi made in USA, nelle principali vicende dei gruppi di fuoco della sinistra radicale italiana. Una via, quella del separatismo in salsa anti imperiale e socialista, che non manca di accattivarsi attenzioni e simpatie anche da un personaggio come Giangiacomo Feltrinelli; ma che una sua estraneità rispetto alle logiche di lotta metropolitana perseguita da gruppi come le Brigate Rosse faranno spesso accantonare. I destini stessi divergono: le BR sostanzialmente non usciranno mai da una ottica di resistenza settaria, finendo, per stessa ammissione dei loro protagonisti, per arginarsi su di un piano di completo scollegamento non solo rispetto alla vita istituzionale del paese, ma rispetto soprattutto alla classe operaia e ai movimenti popolari.204 Abbiamo visto come gli altri movimenti europei, principalmente l’ETA e l’IRA, agiscano da un

204 M. Moretti, Op. Cit. p.168

Page 89: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

88

punto di vista di rivendicazione territoriale, potremmo dire nazionale, in maniera più vicina ad esperienze come quella tupamara, e più assimilabili ad una ottica di liberazione. Questi partiti saranno anche in grado di avvicinarsi a partiti politici, di traslare anche su scala elettorale, come abbiamo notato per l’Uruguay e anche per le Black Panthers, un appoggio che se non sarà totale e pienamente scevro di continuazioni rispetto al piano di lotta armata, certamente aiuterà questi movimenti ad evitare una astrazione senza sponde, alla quale al contrario andranno incontro le Brigate Rosse. Le BR non avranno nessun Sinn Féin, nessun Herri Bata-Suna, nessun Frente Amplio. Rimarranno una cometa nella galassia armata italiana, che più che aprire una contraddizione costruttiva in seno allo scenario della sinistra italiana, si avvieranno a crearne una distruttiva, arrivando a colpire, come in quello che sarà l’emblematico caso dell’omicidio di Guido Rossa, quegli stessi militanti dei quali cercava di accattivarsi l’appoggio.205

205 M. Moretti, Op. Cit. p.183, P. Gallinari, Op. Cit. pp.201-202

Page 90: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

89

Appendice fotografica

Fig.1, Raul Sendic, in occasione del rapimento Mitrione.

Fig.2, Bobby Seale e Huey Newton, armati.

Fig.3, Giangiacomo Feltrinelli.

Fig.4, Il Corriere della Sera riporta la notizia della strage di

Page 91: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

90

Piazza Fontana.

Fig.5, Mario Sossi, durante il suo rapimento ad opera delle Brigate Rosse.

Fig.7, Prospero Gallinari.

Page 92: L'ideologia della lotta armata nella sinistra radicale tra Italia, America e Terzo Mondo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento

91

Bibliografia: - Bermani, C. La Volante Rossa, Vicenza, Associazione Culturale 1° maggio, 1998 - Crainz, G. Il paese mancato, Roma, Donzelli, 2003 - Cuminetti, M. La teologia della liberazione in America Latina, Bologna, Borla, 1975 - De Luna, G. Le ragioni di un decennio, Milano, Feltrinelli, 2009 - Fisher, A. Radical Frontiers in the Spaghetti Western, Londra, IB Taurus 2011 - Galli, G. Storia del partito armato 1968-1982, Milano, Rizzoli, 1986 - Gallinari, P. Un contadino nella metropoli, Milano, Bompiani Overlook, 2008 - Labrousse, A. I Tupamaros, la guerriglia urbana in Uruguay, Milano, Giangiacomo Feltrinelli editore, 1971 - Marine, G. Black Panthers: storia delle Pantere Nere, Milano, Rizzoli, 1971 - Moretti, M. Brigate Rosse, una storia italiana, Milano, Anabasi, 1994 - Neri Serneri, S. Verso la lotta armata, Bologna, Il Mulino, 2012 - Weathermen Prateria in fiamme, Milano, Collettivo editoriale Librirossi, 1977 - Zavoli, S. La notte della Repubblica, Roma, Arnoldo Mondadori Editore, 1992