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85

Libretto v3 cropped rotaz

Apr 06, 2016

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Page 1: Libretto v3 cropped rotaz

Francesco Botta zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Con molte Parabole

annunziava loro

la Parola

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I l'ill/liinr zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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2

1 " zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA INDICE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Presentazione

Prefazione

Premesse metodologiche ' 1.

PRIMO SETTORE: Scegliere Dio e le cose di Dio

I unità: I incontrozyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Tutto è dono di Dio -

Le cose come fonte di responsabilità

La Parabola dei Talenti ' Mt 25,14-30; Le 19,12-27

II unità: II incontro La sfida della nostra scel­

ta di Dio

La Parabola del Tesoro e della Perla Mt 13,44-46 ' . • •

8

IO

15

18

21

III unità: HI incontro Libertà, pericolo del

cuore

La Parabola del Ricco stolto Le 12,16-21

La Parabola del Ricco epulone Le 16,19-31 24

IV unità: FV incontro La saggezza di fronte al­

la vita e alle cose

La Parabola delle dieci Ragazze Mt 25,1-13

La Parabola del Fattore infedele Le 16,1-8 28

3

Page 3: Libretto v3 cropped rotaz

37

41

45 50

SECONDO SETTORE: Il mondo e io stesso sotto il segno del male 33 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

I unità: //zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA male fuori di me ^

V incontro // bene e il male vivono

insieme

La Parabola della Zizzania Mt 13,24-30

VI incontro // male: chiudersi alla

parola che viene dall'alto

La Parabola del Seminatore Me 4,3-8; Mt 13,1-23

VII incontro Saremo giudicati per

quello che abbiamo saputo essere

La Parabola della Rete e della Pesca Mt 13,47-50 Traccia per la valutazione giornaliera

Vili incontro Quando Dio muore nel

cuore dell'uomo

La Parabola dei Vignaioli omicidi Mt 21, 23-43; Me 12, 1-12; Le 20,9-19 52

II unità: IX incontro Le radici del male den­

tro di me

La Parabola del Fariseo e del Pubbli-cano Le 18,9-14 57

X incontro Quando il fratello sosti­

tuisce Dio

La Parabola del Servo senza pietà Mt 18, 21-35 62

III unità: La salvezza offerta e accettata

XI incontro // mio Dio è un Dio che

mi cerca

La Parabola delle Cose smarrite zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA''i Le 15,1-10; Mt 18,12-14 67

4

XII incontro Bisogna proprio vedere

chi è giusto

La Parabola del Figlio 'fedele' e del Figlio prodigo - Le 15,11-32

XIII incontro Come un programma

di vita

La Parabola del Fico sterile ' ' Le 13,6-9

TERZO SETTORE: Una chiamata nella mia vita

I unità: XIV incontro Dio chiama tutti e a .

tutte le ore

La Parabola degli Operai della vigna Mt 20,1-16

II unità: Le condizioni della chiamata

; , XV incontro Gli invitati non ne furo­

no degni

, La Parabola della grande Cena :j Le 14,15-24; Mt 22,1-15

XVI incontro Calcolare il rischio

La Parabola della Torre e della Guerra Le 14,28-32

III unità: Modellare la vita su Cristo

XVII incontro Accettare i tempi di

Dio

La Parabola dell'Agricoltore paziente Me 4,26-29

XVIII incontro Dal piccolo al

grande

La Parabola del Chicco di senapa Me 4,30-32

Page 4: Libretto v3 cropped rotaz

' , XIXzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA incontrozyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Una manciata di lievito

La Parabola del Lievito - Mt 13,33 107

IV unità: Condividere le scelte e la missione di

Cristo

XX incontro Un uomo ferito sulla

strada

La Parabola del buon Samaritano Le 10,25-37 110

QUARTO SETTORE: La vita sotto il segno della Pasqua 115

I unità XXI incontro // senso della sofferen­

za del Cristo e della nostra sofferenza

La Parabola del Chicco di grano Gv 12,24 La Parabola della Vite e dei Tralci - Gv 15, 1-11 118

II unità XXII incontro // prezzo della gioia e

del premio

La Parabola delle Pecore e dei Capri ' " Mt 25,31-46 123

Preghiera per ottenere l'amore 127

Appendice: La vigilanza spirituale 131 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

6

PRESENTAZIONE

Forse perchè aumenta sempre di più il numero e il volume delle voci che fanno ressa alle nostre orecchie e disorien-tano il nostro cuore, è ogni giorno piìi avvertito - in questo nostro tempo - il bisogno di lasciar risuonare nelle nostre Comunità, in modo distinto e immediato, l'unica Parola essenziale.

Presentiamo dunque, come sussidio dell'anno, questo la-voro sulle Parabole del Vangelo realizzato con amoroso puntiglio dal P. Botta negli ultimi anni del suo impegno di Assistente Nazionale.

Le Parabole con il loro linguaggio - evocativo e imme-diato, rispettoso delle persone e capace di adeguarsi alla diversa maturità degli ascoltatori - ci porteranno verso una più autentica semplicità nel vivere e nel comunicare.

Mentre il susseguirsi concatenato delle riflessioni, secon-do i ritmi che ricalcano quelli degli Esercizi Spirituali, ci consentirà inaspettati passi in avanti in un'esistenza da con-templativi nell'azione.

Vorrei, da ultimo, esprimere la mia più viva riconoscenza al P.Botta che continua a gratificarci della sua amicizia e che, nonostante gli altri incarichi di cui porta il peso, è riu-scito a trovare il tempo per riordinare il suo lavoro in vista di questa pubblicazione.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA i v

. P. Enrico Deidda sj Assistente Nazionale delle

CVX d'Italia

7

Page 5: Libretto v3 cropped rotaz

PREFAZIONE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Questo tracciato di riflessione e di preghiera sulle Pa­

rabole nasce originariamente come proposta di cammino

per una singola comunità. Poi altre comunità l'hanno avuto

tra mano e l'hanno sperimentato. Forse per questo è nata

l'idea di passare dal semplice ciclostilato alla stampa. Io

ho solo aderito a questa richiesta.

Devo dire, cui onor del vero, che non ho potuto tener

conto della sperimentazione che le comunità ne hanno fat­

to: sarebbe stato interessante e anche molto utile, per ren­

dere questo piccolo lavoro più adatto alle reali esigenze

dei gruppi, raccogliere osservazioni, suggerimenti ed ope­

rare le necessarie modifiche. Modifiche sono state appor­

tate ma solo quelle dettate dalla mia personale esperienza

e riflessione.

In questo lavoro non deve essere cercata l'originalità.

Il criterio ispiratore è stato quello che da anni ormai gui­

da la mia vita: fare delle cose semplici che aiutino la gen­

te. Chi fa riflessione teologica ' 'in proprio ' ' sa che non

sempre i libri di teologia possono andare in mano a tutti:

io ho preso qualcosa dalle ricchezze di questa riflessione

per fame parte a chi si muove nel faticoso cammino di ogni

giorno alla ricerca di una sempre maggiore autenticità e

concretezza della fede.

Poiché questo sussidio andrà in mano ai laici, dei quali

mi sono interessato fino a poco tempo fa, ad essi lo voglio

offrire: in definitiva, anche occuparuiomi ora della cresci-

8

PREFAZIONE

ta spirituale dei giovani che si preparano al sacerdozio,

continuo a lavorare per i laici a cui questi futuri sacerdoti

guardano e verso cui é orientato il loro cuore. E con loro

continua ad esserlo anche il mio.

Le Parabole di Gesù sono una delle parti più stupende

del Vangelo. Bisogna leggerle, rileggerle, meditarle e ri­

meditarle con amore per raccoglierne tutta la ricchezza spi­

rituale. Le Parabole ci rivelano aspetti bellissimi dell 'ani­

mo di Gesù, dei suoi sentimenti. Solo chi osserva con amore

le cose è capace di coglierne i particolari e Gesù lo ha fat­

to perché non era estraneo alla sua gente, alla loro fatica

di vivere, al peso delle loro giornate. Le Parabole ci inse­

gnano come dovremmo parlare di Dio alla gente di oggi,

in modo semplice e chiaro, servendoci delle mediazioni che

siano veramente tali perché legate alla vita. Ecco perché

vale la pena di dedicarsi ad esse.

Scriveva Madeleine Delbrel: ' 'Noi assimiliamo le paro­

le dei libri. Le parole del Vangelo invece ci plasmano, ci

trasformano, ci assimilano a sé". Ecco, questo è un buon

augurio per chi usa queste pagine come aiuto per capire

e amare di più la "Buona Notizia" di Gesù.

Francesco Botta sj

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PREMESSE

METODOLOGICHE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Proponiamo alcune note introduttive destinate agli Ani-matori dei gruppi che vorranno servirsi di questo strumento di lavoro.

Il concetto a cui questo tracciato si ispira è estremamen-te semplice: si tratta di proporre una rilettura delle Para-bole evangeliche in un contesto comunitario, servendosi come "chiave di lettura" delle tappe proposte da sant'I-gnazio negli Esercizi Spirituali.

Non credo che questa operazione sia una forzatura delle pagine del Vangelo, perché le tappe degli Esercizi igna-ziani non sono altro che l'espressione di un itinerario evan-gelico che va dalla conversione e purificazione del cuore verso una condivisione piena dei valori proposti da Gesti nella sua predicazione, per poi giungere alla condivisione della sua vita e della sua missione, accettando di riprodur-re nella nostra esistenza il mistero pasquale della sua mor-te e risurrezione.

Riflettere sulle Parabole evangeliche seguendo questa li-nea già contenuta nel racconto stesso del Vangelo, signifi-ca liberare tutta la loro ricchezza facendole parlare al cuo-re delle singole persone e al cuore di ogni realtà comunitaria.

Del resto questo modesto lavoro viene dato alle stampe dopo che molti gruppi lo hanno utilizzato riportandone una reale utilità.

Per il buon utilizzo degli schemi di riunione bisogna te-ner presente che questa riflessione non ha alcuna pretesa zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

10

PREMESSE METODOLOGICHE

di presentazione scientifica, ma che si tratta di una sem-plice lettura spirituale delle Parabole. Anzi neppure si è cercata una completezza esegetica o interpretativa: e que-sto per stimolare la ricerca degli Animatori, la loro capa-cità di far "vivere" le Parabole, integrandole con altri ele-menti evangelici e trovando anche la via più idonea per farle parlare alla vita. ,. , -

È quindi evidente chezyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA bisogna servirsi di questo lavoro con duttilità, adattandolo, completandolo, modificandolo per renderlo più a misura della comunità che lo usa.

Occorrerà quindi essere particolarmente attenti all'età me-dia, alla preparazione, al livello di vita spirituale del grup-po, per non proporre riflessioni e obiettivi che esulino dal-l'orizzonte vitale delle persone che seguono il cammino.

Non meno importante sarà il trovare un linguaggio ade-guato ai singoli gruppi, e l'individuare le problematiche che toccano la realtà comunitaria nel suo insieme.

Tutto questo è compito àtWAnimatore, che dovrà pre-parare molto attentamente la riunione in un clima di pre-ghiera confrontandosi con l'obiettivo che vuole ottenere in qualunque momento del cammino.

Se non si farà questo si andrà metodologicamente sulla linea opposta delle Parabole, che sono state pronunciate da Gesù per rendere più vicino, più comprensibile e con-creto il suo insegnamento.

Il lavoro è suddiviso in Settori e Unità. Non occorre pe-rò formalizzarsi su questa terminologia. Essa è puramente strumentale e può cedere il posto ad un'altra che si rive-lasse migliore.

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PREMESSE METODOLOGICHE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

/ SettorizyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA in concreto sono e corrispondono alle temati-che proprie del cammino proposto dagli Esercizi Spirituali. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

I SETTORE

li SETTORE

III SETTORE

IV SETTORE:

DIO AL PRIMO POSTO

IL MALE DENTRO E FUORI DI ME

LA CHIAMATA E LA PERSONA DEL CRISTO

IO NEL MISTERO PASQUALE

Chi conosce gli Esercizi Spirituali non stenterà a rico-noscere in ciascuno di questi settori una tappa degli Esercizi.

Le Unità scandiscono e specificano i grandi temi conte-nuti nei settori, e possono variare di numero da un settore all'altro.

Bisogna fare attenzione a non voler necessariamente esau-rire ogni unità in una riunione: questa forzatura non con-sentirebbe una sufficiente assimilazione dei contenuti e fa-rebbe correre il rischio di rimanere alla superficie delle cose. Ma bisogna anche evitare che ci si attardi troppo sui sin-goli punti perdendo così la dinamicità del tracciato.

Possiamo dire orientativamente che ogni settore può im-pegnare da uno a due mesi: in termini di riunioni questo significa da quattro ad otto riunioni.

Ritengo comunque non utile, soprattutto se si tratta di gruppi giovani, far slittare l'uso di questo sussidio oltre il termine dell'anno di lavoro.

Ecco come concretamente potrebbe essere impostato il cammino: ' ^

a) Presentazione del Settore: si tratta di proporre la tema-tica generale di ciascun punto. Potrà essere fatto serven-dosi di sussidi vari, di metodologie induttive. Può essere zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

12

PREMESSE METODOLOGICHE

utile, per esempio, iniziare una volta con un questionario, un'altra volta con la proiezione di una serie di diapositive etc. L'importante è arrivare a focalizzare bene il tema ge-nerale in modo che i singoli approfondimenti trovino un terreno preparato, una sensibilità attiva. , ,

b) Presentazione di ciascuna Unità: si tratta di specifica-re, cogliendone un aspetto particolare, la tematica genera-le del settore. È la materia su cui le persone devono riflet-tere, pregare, condividere. Mentre nella presentazione del settore ci si è preoccupati di sbozzare il problema, mante-nendolo nelle sue linee generali, qui si tratta di definire degli aspetti precisi e pertanto occorrerà essere molto dettagliati per evitare che si esca dalla tematica proposta. Questa pre-sentazione viene fatta all'inizio di ogni unità e se si dedi-cano più riunioni allo stesso tema sarà bene che l'Anima-tore riprenda ogni volta il problema integrandolo con le acquisizioni della precedente riunione.

e) Attualizzazione: si tratta di una serie di domande che aiu-tano lo svolgimento concreto della riunione. Queste doman-de vanno attentamente verificate dall'Animatore. Si darà il caso che qualcuna di esse possa essere omessa, qualche altra modificata, e che se ne debba aggiungere qualcuna nuova.

d) Integrazione: per ogni tema espresso dal settore e spe-cificato dalle diverse unità bisognerebbe cercare di inte-grare aspetti della vita cristiana particolarmente importan-ti: per esempio integrazione della vita sacramentale, dei tempi liturgici ecc. Più concretamente, durante la rifles-sione sul secondo settore che riguarda la tematica del ma-

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PREMESSE METODOLOGICHE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

le, si potrebbe introdurre la preziosa pratica dell'esame di coscienza. •

e)zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Celebrazione: con questo nome indico un momento co-munitario di preghiera da vivere alla fine del settore, qua-si come una "sintesi pregata" di tutta la riflessione. È questo il momento in cui si concretizza un impegno personale se-rio sulle cose che il Signore ha fatto comprendere al sin-golo e alla comunità lungo il periodo di riflessione.

1(1 M zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

14 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

^'^...u..:'- PRIMO SETTORE

. SCEGLIERE DIO E LE COSE DI DIO

Lo scopo di questa prima parte del nostro lavoro comu-nitario è la comprensione, a livello profondo, di alcuni punti fondamentali del vivere cristiano. Questi punti fondamen-tali hanno nomi che forse ritornano nei nostri discorsi ab-bastanza frequentemente. Ma quanto ne abbiamo compre-so le reali implicazioni per la nostra vita? Quando noi par-liamo di Gratuità - Coraggio - Libertà - Saggezza - quale risvolto concreto queste idee assumono nella nostra esisten-za? E quando parliamo di Dio, e diciamo che Dio è prima di tutto, è poi vero che non siamo disposti a sacrificarlo per nulla al mondo?

Noi siamo una realtà complessa in cui si mescolano molti ingredienti: ma tutti possono essere ridotti a due grandi real-tà: noi siamo formati di terra e di cielo, di corpo e spirito, e perciò sentiamo una fortissima attrazione verso il basso e anche delle aspirazioni profonde verso l'alto.

Vogliamo capire meglio tutte queste cose, renderci con-to delle dinamiche che si sviluppano dentro di noi, di co-me si orienta il nostro vivere, da quali forze esso è domi-nato.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA : — • y : Ì:-' 'zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ì

Tutto questo ha un'importanza senza limiti per la nostra crescita e il nostro futuro, perché è una questione d'amo­

re. Ciascuno di noi diviene ciò che ama, ciò che desidera.

15

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SCEGLIERE DIO E LE COSE DI DIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Il desiderio è la misura del nostro essere, il segnalatore della

nostra libertà.

* * *

Si comprende così che il problema riguarda tutto ciò che

è fuori di noi: persone, relazioni, realtà materiali, deside­

rio e ricerca concreta di esse.

E bene ricordare che quello che il Signore ci chiede non

è necessariamentezyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA la rinuncia a tutte queste realtà, ma un retto uso di esse. Avendoci creati liberi Egli desidera che

noi dominiamo le cose, non che siamo dominati da esse

(cfr Genesi 1,26-31). ••ì-'^'i <>• 'v;; i^'W^ '•Ì-ÌVH:. V.

Lo svincolarsi dalla schiavitìi delle cose (e quindi la ve­

ra libertà) lo raggiungiamo solo quando siamo divenuti si­

curi dell'insufficiente rapporto tra il nostro cuore e le co­

se. Se non siamo convinti di questo, anche se facciamo dei

gesti quasi eroici di distacco, che restano però isolati, noi

restiamo fondamentalmente schiavi. Perché la vera libertà

non consiste nel gettare via la propria vita, e la vera fede

cristiana non consiste nel disprezzo delle cose, ma nella

certezza evangelica che anche se guadagnassi tutto il mon­

do non sarei nulla. Ciò significa concretamente che anche

se moltiplichiamo il nostro possesso noi non risolviamo il

problema della nostra sicurezza e della nostra libertà. Sce­

gliamo solo un diverso padrone.

Qualcuno ha scritto che quello che Gesù ha voluto non

è far diventare i poveri ricchi e i ricchi poveri: l'una e l'al­

tra cosa sarebbero una moltiplicazione di infelici. Gesù ha

svalutato la ricchezza togliendole il valore falso che noi.

16

PRIMO SETTORE

nella nostra brama e nella nostra illusione, le diamo conti­

nuamente.

Si tratta quindi di comprendere che il compito fondamen­

tale della nostra vita è quello di renderci interiormente li-beri. Solo quando siamo interiormente liberi diventa im­

possibile accettare per noi stessi e per gli altri la servitù,

che ci strappa via la possibilità di elevarci e di corrispon­

dere al progetto che Dio ha fatto su di noi.

Noi diventiamo quello che amiamo

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Page 10: Libretto v3 cropped rotaz

Tutto è dono di Dio:

Le cose come fonte di responsabilità zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testi evangelici di riferimento: Mt 25,14-30; Le 19,12-27 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA is iv »,'!>:!;;•;}••.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ii 't'-ti

Il testo di Matteo differisce in qualche particolare da quel­

lo di Luca, ma sostanzialmente ambedue sono portatori di

uno stesso messaggio.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA i ^

Talvolta noi pensiamo al "Regno dei cieli" come qual­

cosa di molto lontano, che dovrà venire, che si dovrà rea­

lizzare nel futuro. Questo è in parte vero, perchè il Regno

di Dio si realizzerà pienamente quando "Cristo sarà tutto

in tutti". Ma Gesù non vuole che l'attesa della pienezza

del Regno ci porti a vivere l'utopia di un futuro, quasi de­

responsabilizzandoci rispetto al dovere di ogni giorno. Dob­

biamo aderire al presente.

Volendo la nostra avventura umana il Signore ci ha affi­

dato contemporaneamente tutte le sue ricchezze. Siamo tutti

in questa situazione. A noi è dato il tesoro della vita, del­

l'amore, dei beni terreni, del tempo. Chi non usa bene que­

ste realtà può forse diventare ricco agli occhi della gente

ma non a quelli di Dio.

Siamo chiamati a "trafficare" rettamente, gioiosamen­

te, instancabilmente queste ricchezze che ci sono state af­

fidate: noi non ne siamo veramente padroni: noi siamo cu­

stodi delle cose.

18

LA PARABOLA DEI TALENTI — IL

I "talenti" che Dio ci affida, sono sì i beni di fortuna,

le nostre doti, etc. Tutto è un dono che noi dobbiamo far

crescere alacremente.

Ma è facile capire che tutto quello che ci è dato può es­

sere riassunto nel dono della vita. Per questo il premio è

dato per aver sviluppato la vita. Fallisce colui che non svi­

luppa la vita, che si chiude, che pensa solo a se stesso, ri­

fiutando l'amore e restando così immerso nella sua solitu­

dine. Una solitudine senza Dio e senza gli uomini: qualco­

sa che è molto lontano da quello che noi chiamiamo para­

diso. Forse un inferno. Ecco perché chi ha trafficato bene

i suoi "talenti" viene invitato ad aver "parte della gioia

del suo padrone".

II servo che ha lasciato improduttivo il capitale che gli

è stato dato, deresponsabilizzandosi, e che ragiona in mo­

do insolente nel tentativo di discolparsi, non è stato altro

che un indolente. Per questo il suo "talento" è rimasto im­

produttivo, volendo conservare stretto il dono finisce per

perderlo.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Leggere le due versioni della Parabola, preferibilmente

quella di Luca per prima. ,

2. Mettere in rilievo tutti i particolari. Nelle Parabole spesso

i particolari sono molto importanti e tali da specificare o

modificare sensibilmente il significato.

1) Valga una volta per tutte l'avvertenza che si danno qui alcune indi-cazioni che non intendono essere una norma. Ciascun animatore e cia-scun gruppo possono affrontare la riflessione come meglio ritengono.

19

Page 11: Libretto v3 cropped rotaz

% — TUTTO È DONO DI DIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

3. Chiedersi il significato spirituale dei particolari. Es.: In

questa Parabola che cosa significa il fatto che ad alcuni ven­

gono affidati più talenti e ad altri meno?

4. L'insegnamento globale della Parabola. Cercare di de­

finirlo insieme, formulandone anche, se possibile, una breve

enunciazione scritta. " ' ; . , < ... .

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Dopo aver compreso che cosa significano i talenti, chie­

dersi quali, nella situazione concreta in cui siamo (che com­

porta anche una valutazione dell'età), sono per noi più pro­

blematici.

2. Esaminare questi doni ricevuti,zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA singolarmente, maturando

dei criteri per "trafficarli" in modo giusto, cioè per vi­

verli secondo il progetto di Dio. Nel fare questo ci si potrà

riferire anche ad altri testi evangelici o in genere della pa­

rola di Dio.

3. Sarà bene esaminare anche i "talenti" ricevuti come Co-munità: come sono usati per la crescita di tutti?

4. Suggerisco che ogni gruppo prepari un momento di pre­

ghiera su uno degli aspetti più importanti o problematici

della riflessione.

20

La sfida della nostra scelta di Dio

Testo evangelico di riferimento: Mt 13,44-46

: AMBIENTAZIONE DELLE PARABOLE

Il testo ci riferisce due Parabole: quella del Tesoro e quella

della Perla. Ma hanno lo stesso significato.

Protagonista della prima è un contadino della Palestina.

Egli ha scoperto un tesoro in un campo e conosce la legge

secondo cui il padrone del campo diviene anche padrone

di ciò che vi è nel sottosuolo. Vuole avere il tesoro, ma

agendo rettamente. Lo vuole avere a tutti i costi.

Nessuna cosa nel suo animo vale più di quel tesoro: è

disposto a disfarsi di tutto pur di averlo.

L'attore principale della seconda Parabola è invece un com­

merciante di perle. Bisogna dire che Gesù non sceglie il

paragone a caso: presso gli orientali le perle hanno un va­

lore simbolico che supera anche il loro valore materiale.

Anche lui ha la fortuna di trovare il possessore di una per­

la meravigliosa: e da quel momento tutto perde valore: si

disfa di tutto pur di poterla acquistare.

Due sono gli elementi importanti di queste Parabole:

* // primo: il fatto che ambedue vendono tutto quello che

hanno per acquistare rispettivamente il tesoro e la perla.

Possiamo richiamare quanto dicevamo nel primo incontro

e nella introduzione: quando qualcosa acquista valore ai

nostri occhi, questo qualcosa entra, per così dire, nel no-

21

Page 12: Libretto v3 cropped rotaz

— LA SFIDA DELLA NOSTRA SCELTA DIzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA DiO

stro cuore. Lo occupa. Ecco perché è tanto importante ciò

che amiamo: c'è la possibilità che dentro il nostro cuore

non ci sia piìi nulla. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

* // secondo elemento è posto nelle parole ' 'pieno di gioia' ' : è la gioia di ogni uomo di fronte ad una scoperta straordi­

naria, gioia che proietta verso il possesso di un bene che

diventa "valore" di tutta la vita.

Non è possibile disgiungere la valutazione delle cose ter­

rene (vita, amore, ricchezze, fama, etc.) dalla considera­

zione che ci propongono queste due Parabole. Noi siamo

capaci di grandi rinunce, di una grande libertà dalle cose

quando si è scoperto che c'è un valore più grande. Lo pos­

siamo dedurre dalla dinamica dell'amore.

Se noi abbiamo scoperto Dio, Gesù, la bellezza del Van­

gelo, allora tutto deve divenire meno importante, relativo

per noi.

Nessuno dei due delle Parabole compra per commercia­

re, per rivendere, per speculare. Hanno scoperto quello che

riempie la loro vita e le dà un senso: cosa chiedere di più?

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Le indicazioni preliminari per la comprensione delle Pa­

rabole possono essere le stesse dell'incontro precedente.

2. Quale valore spirituale dare al tesoro e alla perla.

3. Cosa significa nel concreto della vita del cristiano la scelta

preferenziale del tesoro e della perla?

4. Nel concreto della vita come si manifesta questa scelta

preferenziale del regno?

22

LA PARABOLA DEL TESORO E DELLA PERLA — 1

(Dire nel concreto della vita significa adattare anche que­

sta scelta in rapporto alla situazione che ciascuno di noi

vive). zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

' 1, ' APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Tutto è rischio ciò che è vita. Chi si chiude al rischio

si chiude alla vita. Non si può rinunciare a vivere per pau­

ra di perdere qualcosa. Gesù ci chiede di mettere mano al­

l'aratro e di non voltarci indietro: voltarsi indietro signifi­

ca diventare indegni di vivere il Vangelo.

2. ''La felicità non ha il passo delle cose". Se moltiplico

il mio avere non moltiplico necessariamente il mio star bene.

Possono arrivare le cose, ma la felicità non arriva con lo­

ro. La felicità va lontano, viene dal senso che io so dare

alla mia vita.

3. Se ho compreso queste cose (se le ritengo vere) che co­

sa devo fare per tradurle in verità vissuta?

4. Il modo migliore di iniziare è quello di mettere in atto

qualche passo che mi avvicini alla generosità del Vangelo.

(Es. : la conoscenza di Gesù e della sua Parola, l'esame della

mia vita per vedere se scelgo sempre la via più facile, la

verifica della giornata per vedere se vi è in essa qualche

traccia di generosità ecc.) . . , .

23

Page 13: Libretto v3 cropped rotaz

Libertà , , ,

pericolo del cuore zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testi evangelici di riferimento: Le 12,16-21; 16,19-31 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

AMBIENTAZIONE DELLE PARABOLE

Dio ci ha voluto liberi. Dio vuole essere amato da uomi­

ni liberi.

La libertà che Dio ci dà è così vasta che può arrivare

anche al rifiuto di Lui e del suo amore. Nessuno ci dà una

così vasta libertà e nessuno quindi crede come Dio nella

nostra responsabilità.

La libertà è responsabilità. Ecco perchè abbiamo posto

come titolo di questo nostro incontro "la libertà pericolo

del cuore". Esso significa esattamente questo: la nostra li­

bertà è una potenzialità di scelta: ma ogni scelta è una sfi­

da. La nostra vita dipende dalle nostre scelte.

Prima di tutto cerchiamo di sbarrare il campo da una dif­

ficoltà che spesso si incontra tra la gente. Molti credono

che essere liberi significhi non scegliere nulla. Ma questa

è una pura illusione. Andando a fondo nell'esame della no­

stra vita noi vediamo che quando non scegliamo nulla è

proprio allora che siamo meno liberi: perchè scegliamo noi

stessi, il nostro comodo, la nostra pigrizia: e non è detto

che questa sia la scelta migliore. La libertà, come ogni fa­

coltà, si esercita bene usandola bene, come la vista la si

usa bene quando i miei occhi si aprono a ciò che può e de­

ve essere visto.

24

LE PARABOLE DEL Ricco STOLTO E DEL Ricco EPULONE —

La libertà è "pericolo del cuore" perchè noi scegliamo

ciò che amiamo. Ma non tutte le cose sono facili da amare

"sensibilmente". Per esempio: la fatica non è sempre pia­

cevole, quindi non è facilmente amabile. Ma chi oserebbe

dire che sia una scelta ben fatta non scegliere la fatica. Ec­

co dunque che il nostro "cuore" è in pericolo per la pos­

sibilità che ci viene offerta di essere liberi, di orientarci

quindi verso una cosa o l'altra.

Che cosa vale la pena di scegliere? La risposta è sin troppo

evidente se per poco riflettiamo a quella che è la nostra

logica nelle cose concrete.

Vale la pena di essere scelto Quello che vale. Essere li­

beri quindi significa ''Investire'" attraverso le nostre scel­

te in ciò che veramente vale.

Vale ciò che dura, ciò che nessuno può strappare di ma­

no, ciò che non perde valore nel tempo. Ciò che può darci

vera felicità. Si possono fare molti esempi a questo propo­

sito, ma ciascuno può trovare i suoi esempi anche nella espe­

rienza sia pure breve della propria vita.

Gesù nel Vangelo ci presenta se stesso (o il regno di Dio,

che è la stessa cosa) come una realtà per la quale vale la

pena investire la propria vita. Davanti al regno di Dio, a

Gesù, tutte le cose perdono valore: il mondo materiale preso

in se stesso può rappresentare una alternativa: ma divente­

rebbe una scelta sbagliata, una menzogna.

La prima Parabola ci presenta la storia di un uomo che

orienta il suo cuore verso le cose, le sceglie come suo be­

ne. Ha ottenuto ottimi frutti nella sua raccolta e si ritiene

così padrone del suo futuro. Crede che questa sia la strada

buona (pericolo del cuore) e quindi tutte le sue preoccupa-

25

Page 14: Libretto v3 cropped rotaz

— LIBERTÀ, PERICOLO DEL CUORE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

zioni si orientano ad ampliare questa possibilità: costruire

nuovi granai, silos sempre piìi capienti. L'esito del suo "in­

vestimento" è tragico. Ricco ai suoi occhi, questo uomo

si ritrova vuoto davanti a Dio. Riempire i granai non si­

gnifica riempire la vita.

La libertà mal usata verso le cose fa sì che esse si chiu­

dano sull'uomo segnandone la sua fine. La libertà può es­

sere usata per scegliere qualcosa che apra la vita al miste­

ro, alla vita piena al di là delle frontiere della morte. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBALa seconda Parabola è ancora piìi significativa rispetto

alla capacità delle nostre scelte, all'uso della nostra liber­

tà. Si tratta di un ricco che si gode la sua fortuna (poco

conta che essa sia materiale o intellettuale o anche religio­

sa) e lascia che muoia alla sua porta un povero affamato,

malato, abbandonato da tutti.

La sua vita finisce nell'inferno dell'insuccesso.

Nel dialogo tra Abramo e il ricco, questi suppone che

la sua sorte sia dovuta all'ignoranza. Per questo chiede ad

Abramo che siano avvertiti i suoi fratelli perchè almeno

essi evitino un tale errore. Ma non è l'ignoranza che ha

causato la sua sorte infelice. Il ricco non è condannato per

la sua ricchezza ma perchè non ha saputo usare bene della

sua libertà, non è stato capace di prendere la vita come un

dono e non ha avuto occhi per vedere il povero che stava

morendo alla sua porta. La ricchezza in se non è peccato,

ma è peccato quella ricchezza che ostruisce talmente lo

sguardo interiore che non permette più di vedere le cose

più importanti e più gravi, come la morte di un uomo ac­

canto a te, alla porta della tua casa.

La condanna del ricco non è prima di tutto un castigo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Ì6

LE PARABOLE DEL RICCO STOLTO E DEL Ricco EPULONE —

di Dio per non aver aiutato Lazzaro, il povero; la condan­

na consiste in questo destino dell'uomo che ha scelto una

forma di esistenza contraria al mistero dell'amore e della

vita.

Nessuno è meno libero di chi sa solo raccogliere cose.

, SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Come è stato fatto precedentemente sarà importante

leggere con attenzione insieme le due Parabole e mettere

in rilievo tutti i particolari.

2. Poiché le due Parabole sono qui viste nell'ottica della

libertà e della scelta, considerare in che cosa consiste pre­

cisamente l'errore nella scelta dei due personaggi.

3. Vedere qual è l'insegnamento globale della prima e

della seconda Parabola.

Quali differenze mettono in risalto? Che cosa aggiunge la

seconda alla prima? 'V •

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Come vedo il problema della mia libertà? Che cosa mi

impedisce di essere libero? Quali sono i condizionamenti

più comuni nel mio stadio di vita?

2. A quali criteri mi rifaccio nelle mie scelte? Concreta­

mente bisogna qui vedere come mi regolo nel disporre del

mio tempo, del mio denaro, delle mie energie, etc.

3. È possibile maturare insieme alcuni criteri che ci aiuti­

no a scegliere bene nella nostra vita?

4. Quali criteri sembra suggerire Gesù per le nostre scel­

te? (Ricavarti dalle Parabole).

27

Page 15: Libretto v3 cropped rotaz

La saggezza

di fronte alla vita e alle cose zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testi evangelici di riferimento: Mt 25,1-13; Le 16,1-8 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

AMBIENTAZIONE DELLE PARABOLE

Saggezza di fronte alla vita è comprenderne l'importan-za. E l'essere coscienti che in ogni momento essa deve es-sere vissuta con grande senso di responsabilità. Non vi è nessuna età trascurabile, non è possibile alcun rimando al-l'impegno. "Quando sarò adulto...". La costruzione di una vita ben impostata è come la costruzione di una casa: ogni pietra deve essere collocata al suo posto e nel momento giu-sto. Una delle tentazioni alla quale siamo piìi facilmente sottoposti è quella di non pensare al presente: ma è nel pre-sente che si costruisce il nostro futuro.

La Parabola delle "dieci ragazze" sembra orientarci al-l'apprezzamento del nostro presente e alla virtù della vigi-lanza. Vigilanza è l'essere pronti, svegli, all'erta davanti ad ogni situazione della vita.

Si tratta nella Parabola della celebrazione di un matri-monio. Ancora oggi in Palestina vige l'uso di accompa-gnare lo sposo in corteo a casa della sposa. Gli fanno "scor-ta" un gruppo di damigelle. Qui sono dieci. Lo sposo ri-tarda, la sera è già scesa e le damigelle attendono con le loro lampade accese. L'attesa è talmente lunga che addi-rittura si assopiscono. Poi arriva lo sposo, e il suo arrivo discrimina chi ha saputo essere vigilante e chi no, chi ha

28

LE PARABOLE DELLE DIECI RAGAZZE E DEL FATTORE INFEDELE —

saputo prendere seriamente e con previsione l'impegno del-l'accompagnamento e chi invece l'ha vissuto, potremmo dire oggi, con dilettantismo.

L'epilogo è a suo modo tragico. Le ragazze che hanno saputo essere vigilanti entrano nella casa della festa, le al-tre ne vengono escluse. iicr..ri:>ao ,.,•..,]

Nella festa di nozze è rappresentato qualcosa di molto importante: essere fuori o essere dentro non è la stessa cosa.

Gesù sembra volerci dire che il momento presente è ca-rico di speranza o di tristezza a seconda del nostro com-portamento.

La seconda Parabola, dell'amministratore infedele pare invece insegnarci il modo di essere di fronte alle cose. Tutto ciò che ci è dato è dono di Dio: il modo di usare le cose è misura e manifestazione dell'amore verso Dio nella no-stra vita, la concretizzazione di esso.

Gesù, con rapide pennellate, delinea davanti ai nostri oc-chi l'immagine di un amministratore capace ma ingiusto. Ha saputo che il padrone intende licenziarlo e decide di falsificare il libro dei conti, riducendo sfacciatamente quello che i debitori dovrebbero al suo padrone. In questo modo essi saranno disposti ad aiutarlo quando sarà licenziato.

Come DUO essere nostro modello questo uomo disone-sto? Gesù ci dice che il padrone, venuta a sapere la cosa lo lodò: non perché fosse stato disonesto, ma perché ave-va saputo orientare i doni che il suo padrone gli aveva af-fidato per farsi degli amici, per il momento della prova.

Il danaro, che qui simboleggia tutti i beni, è talvolta causa di inaiusiizia: ma esso può divenire un mezzo per creare

29

Page 16: Libretto v3 cropped rotaz

4 — LA SAGGEZZA DI FRONTE ALLA VITA E ALLE COSE

armonia e gioia per aiutare i bisognosi, per aprire la pro-pria vita agli altri. ;:!):?:

Questo è il modo migliore di usare i doni di Dio. La conclusione della Parabola è importante, ed ha due

accentuazioni: * La prima: è necessario essere fedeli nel poco per riceve-re il molto di Dio. (Dio stesso). * La seconda: è che nessuno può servire due padroni. Ri-torna qui il tema che abbiamo già precedentemente affron-tato. Tutti i beni di questo mondo valgono nella misura in cui conducono all'amore: hanno senso come possibilità per uno sviluppo pieno della nostra vita che ci consenta di non perdere il fine per cui siamo venuti nel mondo

Questa è la vera saggezza di fronte alla vita e alle cose. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Nota: Coloro che appartengono ad una Comunità di Vita Cristiana hanno qui ulteriore motivo di riflessione e di im-pegno. Le Cvx fanno degli Esercizi Spirituali di S. Igna-zio un loro riferimento essenziale. E bello così osservare come la prima parte degli Esercizi, che Sant'Ignazio chia-ma Principio e Fondammo combacia perfettamente con quanto ci ha insegnato Gesìi nel riflettere su queste Para-bole: ecco il testo, in traduzione libera, di una parte del Principio e Fondamento.

"Dio ci ha creati liberamentezyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA • izyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA i % in modo tale che noi possiamo conoscerlo • . possiamo amarlo e servirlo in questa vita ed essere poi felici con Lui per sempre.

LE PARABOLE DELLE DIECI RAGAZZE E DEL FATTORE INFEDELE —

Il progetto di Dio nel crearci • -> è quello di far scaturire da noi una risposta di amore e di servizio qui in terra in modo da ottenere il fine di una etema felicità con Lui in cielo.

In tutte le cose di questo mondo , , devo vedere un dono di Dio, perché tutte le cose sono state create e date a noi per essere strumenti attraverso i quali noi possiamo giungere a conoscere meglio il Signore, ad amarlo più fortemente, a servirlo con maggiore fedeltà. Di conseguenza io dovrei apprezzare e usare questi doni di Dio nella misura e nel modo in cui essi mi aiutano a raggiungere questo fine di un servizio pieno di amore e di una unione sempre più profonda con Dio. ' '

Ma nella misura in cui una qualunque cosa mi impedisce di progredire verso questo fine io dovrei lasciarla perdere con decisione.

Ecco perché nella vita di ogni giorno noi dobbiamo sforzarci di essere attivamente liberi rispetto a tutte le cose che Dio ci ha dato, quando noi dobbiamo fare una scelta e non vediamo ancora chiaramente quale sarebbe la scelta migliore.

Siamo così arrivati al termine della prima tappa del nostro cammino.

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Page 17: Libretto v3 cropped rotaz

<€• — LA SAGGEZZA DI FRONTE ALLA VITA E ALLE COSE

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE *

1. Come sempre leggere e commentare le Parabole insie-me. Tenere conto degli orientamenti dati nella ambienta-zione iniziale per evitare ogni dispersione.

2. Quali elementi nelle due Parabole mi sembrano più si-gnificativi per la mia vita? C'è qualche aspetto che mi causa difficoltà nella comprensione?

3. Se la conclusione della nostra riflessione ci porterà a con-fermare che l'insegnamento delle due Parabole è la sag-gezza di fronte alla vita e alle cose, che si esprime nella vigilanza e nel saper usare dei beni di questo mondo, sarà importante chiedersi come questi due atteggiamenti pos-sono divenire agire quotidiano nella nostra vita.

APPLICAZIONE ALLA VITAzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA -A".:,.'.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA .'ssi, ,ÌÌ>zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA I-'.V,'. ÌIU-*«

1. Come si può esprimere nella vita di ogni giorno l'atteg-giamento della vigilanza?

2. Come entra il prossimo nell'uso dei miei beni (intelli-genza, sensibilità, doti umane etc.)?

3. C'è nella mia vita qualche atto "Gratuito"" (cioè di do-no) per gli altri?

32

SECONDO

SETTORE

IL MONDO E io STESSO SOTTO IL SEGNO DEL MALE

Lo scopo di questa seconda tappa del nostro cammino è il prendere coscienza del male che vi è nel mondo e del male che è in me, che pure faccio parte del mondo. Io non sono diverso da tutti gli altri uomini e donne che vivono la loro avventura umana. Talvolta mi credo diverso, mi cre-do migliore. Questo credermi diverso e migliore degli al-tri può radicarsi su motivazioni molto disparate: c'è chi si crede diverso e migliore perché più intelligente degli altri, chi per la disponibilità di mezzi materiali, chi per le sue capacità operative, chi ancora in forza della propria fede e di una presunta bontà... La convinzione della propria su-periorità è una radice che non porta buoni frutti. Quando Gesù afferma: "voi siete nel mondo ma non siete del mon-do" vuole appunto farci convinti di una nostra diversità che esiste solo per grazia, perché egli ci ha liberati dalle logiche vane e ingiuste del mondo. Se così non fosse stato noi saremmo come tutti gli altri, perché siamo "nel mon-do". E infatti aggiunge nella sua preghiera: "Non chiedo. Padre, che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno" (Cfr Gv 17,15).

Prendere coscienza del male che vi è nel mondo è cosa relativamente facile. Basta l'esperienza. È sufficiente che io mi guardi intorno, che legga il giornale, che osservi i

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Page 18: Libretto v3 cropped rotaz

IL MONDO E IO STESSO SOTTO IL SEGNO DEL MALE

miei simili e mi appare chiaro che "tutto il mondo è posto sotto il peccato".

Quando però si tratta di riconoscere che anche io sono solidale col male che vi è nel mondo, allora scattano delle difese quasi istintive... i mille "ma" e i mille "se" sui quali pensiamo di costruire la nostra personale giustizia. "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" (I Gv 1,8). Gioverà conoscere meglio la prima lettera di San Giovanni all'inizio di questa fase: essa ci dà indicazioni precise sul modo giusto di sen-tire a proposito di noi stessi.

Nessuno di noi può tuttavia entrare nella riflessione sul mistero del malezyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA da solo, perché rischierebbe di perdersi. La riflessione sul mistero del male, fuori e dentro di noi, deve essere fatta con uno sguardo costante all'esperienza di Gesù, e di Gesù colto nel momento del suo dono totale: il Crocifisso. Bisogna amare questa immagine di Gesù più di tutte le altre, perché essa è come il punto focale attra-verso cui si colgono tutte le diverse tappe della storia della nostra salvezza nella loro vera identità e natura. Non si ca-pisce il male senza guardare al Crocifisso, ma non si capi-sce neppure Dio senza questa attenzione al suo Figlio sa-crificato per noi.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA : -h • . I . V . •

Ecco il secondo scopo di questa tappa: comprendere quanto Dio è buono, quanto Dio è misericordioso. La og-gettiva visione che noi riusciremo ad avere del male che ci circonda e ci domina, ci darà anche la misura della bon-tà di Dio, che ci salva, mettendo a fuoco uno degli aspetti più belli e consolanti del suo Essere misterioso.

Nella nostra ricerca spirituale procediamo per tappe:

34

SECONDO SETTORE

* partiamo dalla considerazione del male che vi è nel mondo; v'-;;zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ':> •JVÌOK.ÌOÌIJ; ÌI^G t:<^:'i nni.vj, 'nnJv.'i • sia?

* passiamo poi a riflettere sulle radici e la realtà del male dentro di noi,

* per concludere con la vivificante scoperta che noi non siamo più una "massa dannata", ma che la salvezza dal male ci viene quotidianamente offerta e che è importante c decisivo che la sappiamo accogliere nella nostra vita.

Questo modo di procedere che possiamo chiamare in-duttivo (o dall'esterno all'interno) non è senza una ragio-ne: è sempre più facile considerare le realtà nel loro con-tenuto oggettivo prima di guardare alle implicazioni che esse hanno nella nostra vita: riusciamo così a giudicare me-glio la valenza delle nostre azioni. Così in questo caso dal-ia considerazione del mistero del male, di cui cercheremo di conoscere la natura, passiamo alla nostra inserzione nella storia, ancora in corso, della debolezza umana, di cui noi stessi siamo "un capitolo incompiuto".

Da questa considerazione sulla vita personale muovere-mo il passo alla ricerca di una salvezza attraverso il cam-biamento della nostra vita: il passaggio è, di per sé, molto logico... se vogliano essere cristiani.

In questa fase del nostro cammino è importante rinnovare profondamente la propria fede. Essa deve essere:

* umile e paziente

* risoluta e coraggiosa

* attenta e vigilante

Cosa significano concretamente questi aggettivi?

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Page 19: Libretto v3 cropped rotaz

IL MONDO E IO STESSO SOTTO IL SEGNO DEL MALE

La proposta di alcuni modi concreti di preghiera ci aiu-terà a portare avanti con piìi attenzione e coerenza questa revisione della nostra vita e ad assumere atteggiamenti sem-pre più vigilanti nel nostro agire. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

È così che Dio varca la porta della nostra vita.

36 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Il bene e il male vivono insieme

I Testo evangelico di riferimento: Mt 13,24-30

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

La Parabola detta "della zizzania" è una di quelle che hanno nel Vangelo anche una loro spiegazione. Per questo oltre alla lettura del testo della Parabola bisogna riferirsi anche ad un altro passo sempre del capitolo 13 di Matteo dal versetto 36 al versetto 43.

Una prima affermazione, che è anche assoluta verità, vie-ne fatta in apertura, quella di un seminatore che ha semi-nato del ''buon seme"' nel suo campo. L'immagine della seminagione è comune per indicare l'azione di Dio nel mon-do. Nella Parabola ci viene quindi detto che Dio semina, e semina del buon seme. Nel mondo vi è il bene perché Dio è tutto buono e non può fare che il bene, e vuole che il grande campo del mondo produca frutti buoni. È una vi-sione ottimistica della realtà quella che ci viene trasmessa: tutto il male che vi può essere nel mondo non ci può far dimenticare che il mondo è stato voluto da Dio ed è stato voluto come "buono". "Ed egli vide che ogni cosa era buona" (cfr Genesi cap. 1).

Un secondo elemento importante e caratteristico della Pa-rabola è che, insieme col seminatore divino, si prospetta l'esistenza del seminatore del male.

Le caratteristiche di questo seminatore del male non so-

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Page 20: Libretto v3 cropped rotaz

— IL BENE E IL MALE VIVONO INSIEME

no trascurabili: egli seminazyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA di notte e mentre i servi dor-mono. Egli non può non agire nell'oscurità ed eludendo la vigilanza delle persone addette alla coltivazione del cam-po. San Giovanni ci direbbe in questo caso che chi opera così non è nella verità, perché chi è nella verità ama la lu-ce, perché le sue opere sono buone; chi non è nella verità sceglie le tenebre perché non si vedano le sue opere catti-ve. Così come nel tempo vi sono il giorno e la notte così nel mondo vi sono il bene e il male, gli operatori del bene e quelli del male. Non a caso il male si nasconde: esso non si giustifica come il bene: deve quindi trovare spazi nascosti, tenebrosi.

Il padrone della Parabola risponde alla interrogazione dei servi circa la presenza della zizzania nel suo campo con una affermazione sorprendente ma molto importante: "Un nemico ha fatto questo". Se il padrone del campo è Dio, abbiamo qui il riconoscimento da parte di Dio che vi è nel mondo chi si oppone a Lui, che tenta di intralciare i suoi piani di salvezza del mondo. Occorre prenderne coscien-za. La Parabola intende prevenirci contro ogni facile otti-mismo. Il male e il bene coesistono nel mondo.

E poiché, dicevamo all'inizio della nostra riflessione, an-che noi siamo nel mondo, occorre rendersi conto che male e bene coesistono anche dentro di noi. È una esperienza questa che facciamo ogni giorno, ma è necessario guardarla in faccia con maggiore coraggio.

La separazione tra il bene e il male avverrà solo al mo-mento della mietitura: la mietitura è una immagine classi-ca del giudizio finale (cfr Mt 9,37; Me 4,29; Gv 4,35).

Quel giorno arriverà puntualmente: ma l'uomo non può

LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA —

anticipare a suo piacimento quel momento. Ecco che la Pa-labola risponde dunque alla nostra domanda, che spesso ci siamo posti: "Perché esiste il male nel mondo? Perché Dio sopporta che vi siano dei cattivi che hanno mano libe-zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBAI a di agire e di distruggere ciò che Dio ha voluto fare buo-no e bello?". ' ' 'V • :'ri!:-'KM • ' zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

IM risposta ci viene da Dio stesso. '

SUGGERIMENTI PER LA'RIUNIONE

1. Comprendere bene la Parabola, dopo averla letta insie-me. Si lasci che il gruppo metta in risalto tutti i vari aspetti di essa, e ne ricavi da sé il significato globale.

2. L'ambiente nel quale viviamo ci trasmette dei messaggi più o meno espliciti che sono un giudizio sul mondo. Nel-la mia esperienza educativa vi è un giudizio positivo o ne-gativo della realtà del mondo?

3. Come sono abituato a considerarmi? Mi ritengo fuori della portata del male? Vi è in me un sufficiente senso di vigilanza? Come si esprime nella mia vita? ; i * : -

4. Quali insegnamenti a livello strettamente personale posso portare via da questa riflessione?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. È importante che ogni cristiano abbia dei precisi riferi-menti morali. C'è una morale naturale (etica) che vale per tutti, e i cui principi sono dedotti dalla natura stessa del-l'uomo. Il cristiano deve integrare questa morale naturale

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Page 21: Libretto v3 cropped rotaz

— IL BENE E IL MALE VIVONO INSIEME zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

con delle norme che derivano la loro validità dal Vangelo, Parola di Gesti per l'uomo. y , >

Che cosa faccio per formarmi questa coscienza morale? Posso rendere ragione dei miei comportamenti a chi non condivide la mia fede?zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA -'AJzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ^^ y.^^

2. È importante saper giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Noi spesso diamo dei giudizi. Sono normalmente giudizi sulle persone, giudizi severi che definiscono la no-stra posizione riguardo agli altri. Ma è decisivo che impa-riamo a giudicare i fatti, salvando il piti possibile le perso-ne, come ha fatto Gesù. Come mi trovo di fronte a questa affermazione?

3. Quale atteggiamento assumere circa le deficienze dei no-stri fratelli nella fede, e in genere di coloro che ci sono vicini?

Dobbiamo imparare a rispettare i tempi di Dio, il ritmo di crescita degli altri. La Parabola che abbiamo esaminato sembra dirci molto chiaramente che vi è un ' 'tempo di at-tesa" da rispettare: anche ai cattivi è dato un tempo di con-versione e a maggior ragione dobbiamo essere capaci di attendere quando si tratta di persone che come noi si sfor-zano di progredire nel bene.

Il cristiano, in questo senso, deve molto imparare dalla pazienza di Dio.

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Il male:

chiudersi alla Parola che viene dall'alto Testi evangelici di riferimento: Me 4,3-8; Mt 13,1-23

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

La Parabola del seminatore parla degli ostacoli che il Re-gno di Dio incontra in noi e fuori di noi nella sua realizza-zione.

Scendiamo qui ad una maggiore profondità dopo aver ri-llettuto sul fatto che nel mondo è presente il male insieme col bene. Che cosa è questo male? Quali forze si oppongo-no alla realizzazione del piano di Dio sulla mia vita e sulla storia degli uomini?

Secondo la consuetudine della Palestina del tempo di Gesù il seminatore passa seminando a ventaglio senza poter ca-librare troppo lo spargimento della semente rispetto al luogo dove essa va a finire. .

Una parte cade sui sentieri tracciati dai passanti nel campo dopo l'ultima mietitura. Un'altra parte cade tra le spine. Ma il seminatore non sembra preoccuparsi molto perché subito dopo passerà nuovamente l'aratro e smuoverà la terra calpestata dai passanti e sradicherà le spine che vi sono nel terreno mettendone le radici al sole. Il terreno roccioso è coperto di un sottile strato di terra che rende difficile valu-tare la sua vera qualità.

Egli deve affidarsi alla fortuna: con la semina si compie una grande azione di speranza: anche gli uccelli del cielo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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Page 22: Libretto v3 cropped rotaz

— IL MALE: CHIUDERSI ALLA PAROLA CHE VIENE DALL'ALTO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

devono poter mangiare e sono inclusi nel rischio. La riu-scita della semina nel terreno buono giustifica questo rischio.

Nella semente è raffigurata la Parola di Dio che salva, che vuole cambiare il mondo. Essa deve superare molte difficoltà e ci sono delle obiettive situazioni dizyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA rifiuto di essa che compromettono la volontà salvifica di Dio.

Nella spiegazione della Parabola che Gesù fa ai suoami-ci, figura in primo piano non tanto il grande raccolto otte-nuto nel terreno buono ma tutto il seme che è stato perdu-to. Il male dunque è presente nel mondo e si definisce co-me superficialità indififerente, come avversione esplicita alla Parola salvatrice di Dio, come incostanza di fronte alle esi-genze del bene e quindi del Regno.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA OJ ;/! >l

Ecco una indicazione non tanto di singoli atti cattivi quan-to di atteggiamenti che sembrano radicare nel mondo la pos-sibilità del male.

Il male, si badi bene, non è in questa Parabola qualcosa di positivo: è solamente negazione di un bene, di un rac-colto che avrebbe potuto essere e che non vi sarà mai.

// male è quindi la scelta del nulla.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE i Ì

1. Dopo aver letto attentamente la Parabola ed aver fatto lo sforzo di comprenderla, confrontare i risultati della in-terpretazione che noi ne diamo con la spiegazione che of-fre Gesù stesso. (Cfr Me 4,13-20).

2. Come giudico la spiegazione fornitaci da Gesù? È ve-ra? Corrisponde alla mia esperienza e a quanto vedo attor-no a me?

42

LA PARABOLA DEL SEMINATORE —

3. Come si manifestano nella mia vita questi ostacoli al be-ne, alla proposta che Gesù mi fa nel Vangelo? : ^ud.'i;

4. Quale possibile decisione il mio gruppo potrebbe pren-dere per aiutarci vicendevolmente nel dare una risposta al Signore accogliendo la Sua Parola?

. w. . . APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Tutta la Parabola riduce il bene e il male all'accoglien-za o al rifiuto della Parola. Questa riduzione non è arbitra-ria. Gesù stesso nei suoi discorsi dice che il peccato è il RIFIUTO della sua persona, PAROLA definitiva detta da Dio all'umanità. Si legga a questo proposito il prologo di San Giovanni: il VERBO, la Parola venne nel mondo, nella sua casa, ma i suoi non lo seppero riconoscere. Ma a quanti hanno accolto questa Parola è stato dato di diventare figli di Dio.

Possiamo interrogarci dunque in che considerazione ab-biamo la Parola di Dio, proclamata in mezzo a noi, quale uso ne facciamo, come cerchiamo di comprenderla.

Cosa possiamo fare per rendere più serio e fruttuoso l'a-scolto della Parola nel contesto liturgico?

2. Ciascuno potrebbe riflettere ed esaminarsi sulla via, i modi, attraverso cui il male prende possesso della sua vi-ta, un aiuto ci viene fornito dalla spiegazione che si fa del-la Parabola. Quale di queste situazioni è più pericolosa per la mia vita?

3. Posso ancora esaminarmi sulla idea che io ho del male, diciamo pure del peccato. Secondo la Parabola il male non è qualcosa di poco positivo, un qualcosa che non essendo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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— IL MALE: CHIUDERSI ALLA PAROLA CHE VIENE DALL'ALTO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

bene, ha tuttavia una sua qualche consistenza ed utilità. Il male è la scelta del nulla, il rifiuto senza alternative di un bene voluto da Dio, il rifiuto di Dio.

Che idea ho io del peccato? Non è forse possibile che nella mia vita, nel mio modo di pensare, giustifichi in qual-che modo il peccato? .

4. Mi devo rendere conto che senza attribuire un giusto peso al peccato nella mia vita e nella vita del mondo, non è comprensibile il disegno di salvezza di Dio. A che prò il sacrificio di Gesù se il male non è poi qualco-sa di serio?

Molti affermano oggi giustamente, e il Papa l'ha ricor-dato più volte, che svalutando il peccato si svaluta anche Dio. Là dove decade il senso del peccato decade anche ir-reparabilmente il senso di Dio.

5. E possibile anche aggiungere un'altra riflessione: spes-so dove esiste sofferenza c'è di mezzo il peccato dell'uo-mo. E facile attribuire alla natura tutto il cumulo di soffe-renza dell'umanità, o dare le colpe alle logiche che logi-che nonsono. Si pensi al guerre, alle ingiustizie sociali, al-l'inquinamento dell'ambiente, alle economie basate esclu-sivamente sul profitto, agli egoismi individuali e collettivi. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

// male non è una fatalità:

esso dipende in larga parte da noi

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' Saremo giudicati

per quello che abbiamo saputo essere

Testo evangelico di riferimento: Mt 13,47-50

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Una scena che chiunque (e dunque anche Gesù) poteva vedere ogni giorno lungo le rive del lago di Galilea costi-tuisce il contenuto di questa Parabola.

La rete gettata durante la notte viene tirata al mattino e si è riempita di pesci di ogni genere. Giunti alla riva inizia la selezione dei pesci: alcuni sono ottimi, altri buoni, altri ancora utilizzabili in qualche modo, altri cattivi.

Il centro di gravità della Parabola è posto proprio su que-sta selezione, e questo avvicina e insieme la distingue dal-la Parabola della zizzania.

Proprio per questo la Parabola che ci sta davanti è di ca-rattere escatologico, guarda cioè la fine dei tempi, il giu-dizio finale sul bene e sul male che ciascuno ha compiuto nella sua vita.

Solo allora si manifesterà con assoluta chiarezza e og-gettività la vera comunità dei figli di Dio. Allora si cono-scerà chi ha confessato Cristo solo con le labbra, ma non con la vita, avendo il cuore lontano da lui, chi ha vissuto il proprio rapporto con Dio come legalità vuota e formali-sta, chi invece di servire il Cristo nello spirito ha approfit-tato di lui per costruire un piedistallo a se stesso.

Gesù richiama più volte a questa verità di un giudizio zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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? — SAREMO GIUDICATI PER QUELLO CHE ABBIAMO SAPUTO ESSERE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

sulla nostra esistenza. Dio non è uno spettatore inerte da-vanti all'agire degli uomini, anche se spesso essi confon-dono la sua pazienza con una sorta di qualunquismo, im-maginabile quando riferito agli uomini, ma non certamen-te se riferito a Dio.

Anzi proprio per farci meglio capire la realtà severa di questa "resa dei conti" (la parola è brutta, ma in una Pa-rabola Gesti parla proprio della "resa dei conti" di un fat-tore infedele!) Gesù afferma che "anche di ogni parola ozio-sa" uscita dalla nostra bocca ci verrà chiesto conto.

Il racconto di Matteo sul giudizio finale (Cfr Mt 25,31 e ss.) porta l'accento sul contenuto del giudizio, ma indi-rettamente ci dà una nuova solenne affermazione del fatto che questo giudizio ci sarà. Saremo giudicati dalla carità, cioè dalla capacità di vedere Cristo e di accoglierlo non solo nella sua persona fisica ma in ogni persona in cui la sua immagine appaia non perfettamente chiara, ma detur-pata: l'ammalato, l'ignudo, il carcerato, etc.

Forse possiamo terminare l'introduzione a questa Para-bola ricordando un'altra espressione della Bibbia, che fa al caso nostro: "Memento novissima tua, et nunquam pec-cabis": "Ricorda quello che ti accadrà alla fine e non pec-cherai mai".

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Il tema di questa riunione è il giudizio di Dio sulla no-stra vita. Non è una riunione facile, ma è necessaria. Si tratta di un tema che non viene certamente affrontato con piacere, ma che ci fa bene. La riunione può iniziare con la lettura della Parabola, una presentazione della guida, i

LA PARABOLA DELLA RETE E DELLA PESCA — ?

ini elementi possono essere raccolti dalla introduzione. Dopo la necessaria comprensione del punto focale della

l'arabola si potrebbe leggere in gruppo il passo indicato del giudizio finale, mettendone in risalto le connessioni con la nostra vita di ogni giorno. È fondamentale in questa riu-nione far comprendere, sulla scorta di questi testi, che il peccato richiama un giudizio e che il peccato è grave per-ché rifiuto dell'amore.

Questo discorso è forse più facilmente comprensibile. E

del resto bisogna fidarsi della parola e annunciarla anche

ijuando essa è difficile e ostica per noi.

2. Un secondo passo può essere quello di far comprendere attraverso una domanda che adesso proponiamo, che SEM-PRE nella nostra vita la responsabilità esige che noi siamo in grado di rendere conto del nostro operato, di tutti i no-stri comportamenti, piccoli e grandi. Ecco dunque questa domanda:

Normalmente Dio ci viene presentato come un Signore buono e comprensivo: l'idea che egli ci debba giudicare, con una certa severità, come ti fa reagire? Senti che que-sta idea di Dio giudice ti lascia indifferente, ti muove a re-sponsabilità, o ti spaventa?

3. Quali forme particolari nella vita cristiana ti pare ci pos-sano aiutare a far sì che il giudizio di Dio non debba esse-re temuto? (il riferimento è a tutte quelle forme di "verifi-ca" della nostra vita che in qualche modo anticipano, sot-to il segno della misericordia, il giudizio di Dio sul nostro operare). zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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1zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA SAREMO GIUDICATI PER QUELLO CHE ABBIAMO SAPUTO ESSERE

APPLICAZIONE ALLA VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

1. Sant'Ignazio negli Esercizi Spirituali e precisamente nel quinto esercizio della prima settimana, presentando la me-ditazione del castigo eterno, ci fa chiedere un intimo senti­

mento della pena di coloro che sono stati giudicati e con­

dannati "perché, se a motivo delle mie colpe, io dimenti-cassi l'amore dell'eterno Signore, almeno il timore delle pene mi aiuti ad evitare il peccato" (EE.SS. n. 65). Ri-cordiamo qui che proprio la Parabola che stiamo esami-nando termina con queste parole: "Verranno gli angeli, e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella forna-ce ardente, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt. 13,49).

Non ogni tipo di "timore" è da gettare via come inuti-le. È vero che dove c'è l'amore non esiste il timore, come afferma San Giovanni: ma è anche vero che il timore, e un certo tipo di timore, è utile nella nostra vita.

Mi posso allora interrogare che posto ha nella mia vita il giusto "timore di Dio" di cui la spiritualità cristiana ha tanto spesso parlato.

2. Imparare a giudicarsi, a porsi di fronte alle proprie re-sponsabilità non è esercizio inutile e repressivo.

Questo spiega perché Sant'Ignazio, nel libro degli Eser-cizi, subito dopo il Principio e Fondamento, prima ancora di presentare le meditazioni della prima settimana pone le indicazioni per l'Esame particolare quotidiano e l'Esame

generale di coscienza per purificarsi e meglio confessarsi. Ecco perché ritengo, a questo punto, utile proporre a tutti e a ciascuno la praUca dell'Esame di coscienza, che si tro-va negli EE.SS. al n. 43. Ne daremo qui una forma piìi

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LA PARABOLA DELLA RETE E DELLA PESCA — 1

ililTusamente spiegata. È bene proporlo come modo di pre-^•iliera quotidiano a tutti. Normalmente produce dei frutti notevolissimi.

Così pure inseriamo qui ad utilità delle guide, ma il te-sto può essere anche distribuito a persone che siano in grado di comprenderlo, una ripresentazione in termini moderni (icll'esame di coscienza. È un contributo di una notevole validità.

3. È evidente che con questo discorso è anche collegato il momento strettamente sacramentale del sacramento del-la riconciliazione. Ma questo sarà ripreso più avanti quan-ilo si tratterà del tema della salvezza che Dio ci offre nella nostra debolezza. '

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Traccia per la valutazione giornaliera zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

(basata sull'esame di coscienza di S. Ignazio) zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Io sono alla presenza di Dio, mio Creatore e Signore, che vuole continuare con me oggi la mia storia di salvez-za. Sono alla presenza di Cristo che vive in me e che vuo-le crescere in me.

1. Per che cosa devo ringraziare questa sera?

Fatti, esperienze, incontri, la realtà intorno a me... que-sta o quella concreta situazione in cui ho ricevuto molto e in cui ho capito meglio quanto ricevo da Dio...

2. Chiedo a Dio luce sulla mia vita

Gli chiedo, percorrendo la mia giornata, di vedere chia-ramente quali sono stati i sentimenti della mia anima, * nel rapporto con Dio * nel rapporto con gli altri * nel rapporto con le cose.

Gli chiedo, anche di comprendere da dove provengono questi miei movimenti interiori e atteggiamenti.

3. Verifico ciò che è stato male in me nella giornata

Rendermi conto che ciò che ho fatto di male non produ-ce nulla di positivo per me, dispiace a Dio, crea divisione con i miei fratelli e con il creato.

Posso anche domandarmi quali sono le radici di queste mie mancanze.

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TRACCIA PER LA VALUTAZIONE GIORNALIERA

4. Una richiesta di salvezza e di perdono

lo, con tutto quello che ho fatto oggi, sono alla presenza + ili Dio, mio Padre, con la sua pietà e tenerezza, + ili Cristo, che vuole trasformarmi per dare vita agli altri

attraverso di me. + tlello Spirito che oggi ha continuato a spingermi verso

il bene, c chiederò perdono.

5. Come ho intenzione di rispondere domani al mio Dio

È il momento delle decisioni concrete, da offrire a Dio perché le sostenga con la sua grazia (cfr Appendice).

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Quando Dio muore nel cuore dell'uomo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Riferimenti evangelici: Mt 21,23-43; Me 12,1-12; Le 20,9-19

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Questa Parabola viene chiamata dei "vignaiuoli omici-di". Il racconto giustifica questa dizione, anche se essa è molto di pili per quanto riguarda la responsabilità di chi uccide.

È importante ogni piccolo elemento della Parabola, che ci dà come uno spaccato della vita agricola della Palesti-na, con elementi verificabili ancora oggi.

Prima di tutto la VIGNA. Non è una immagine nuova: si pensi al capitolo V del libro del profeta Isaia, che para-gona Israele ad una vigna piantata e coltivata con cura dal Signore.

Il padrone della vigna ha costruito un muro di cinta, un muro a secco, fatto con pietre giustapposte con cura e con una tecnica collaudata dal tempo. Vi è anche una torre, co-struzione tronco conica, costruita con la stessa tecnica, e molto opportuna nel tempo della maturazione dell'uva e della vendemmia. Ricoperta di rami sulla cima essa offre ombra al custode e consente di seguire momento per mo-mento il maturare dei frutti, difendendoli dagli animali, dai male intenzionati e da ogni altro pericolo. Vi è anche un frantoio per l'uva, scavato nella stessa vigna: vi è insom-ma tutto. La vigna è come una entità completa in se stes-

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LA PARABOLA DEI VIGNAIOLI OMICIDI — ©

SII, un piccolo mondo dove tutto è ordinato alla produzio-ne di un vino buono e abbondante. ''

Vi è anche da sottolineare che la vigna è stata piantata iliil padrone stesso, uno strano personaggio, sembrerebbe di poter dire, che per le sue ricchezze può consentirsi an-che di andare via per lungo tempo, di pagare dei vignaiuo-li, e che però ha una "passione particolare" per questa vi-glia: tanto è vero che l'ha voluta lavorare e piantare lui stes-so, con le sue mani. Essa è dunque qualcosa che ha un va-lore anche affettivo al di là del puro valore materiale, che pure era grande in una società agro-pastorale come quella (lei tempi di Gesìi e in una terra che esige molto sudore per produrre frutti che ricompensino l'impegno e la fatica.

Guardiamo dunque questo signore nel momento della sua partenza: ha disposto tutto alla perfezione, ha affidato la vigna a dei lavoratori che ha ritenuto degni di fiducia. Parte ma il suo pensiero è là, nell'oggetto delle sue ore dure di fatica: e al tempo opportuno egli invia altre persone di sua fiducia a raccogliere i frutti.

La sorte di queste persone è tragica: non hanno altra colpa che quella di essere persone che ricordano a questi vignaiuo-11 che la vigna non è loro e che hanno dei doveri verso co-lui che gliela ha affidata. Alcuni vengono bastonati, altri lapidati, altri uccisi in vario modo.

Che cosa è scattato in loro che li ha resi così insanamen-te ciechi e sanguinari? L'ultimo passo della Parabola ce lo fa capire: viene mandato il figlio del padrone a racco-gliere i frutti. Già le azioni precedentemente compiute erano sufficienti a invocare una soluzione drastica nei loro riguar-di. Ma questo padrone sembra, da lontano, non rendersi zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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© — QUANDO DIO MUORE NEL CUORE DEGLI UOMINI zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

ancora conto in modo chiaro dei fatti. I vignaiuoli, veden-do arrivare il figlio, manifestano la verità del loro cuore, un cuore cattivo e ingordo, pieno di ingiustizia e di vio-lenza: "Costui è l'erede: venite, uccidiamolo, ed avremo noi l'eredità". E lo uccisero. Il padrone aveva avuto un cuore buono fino alla fine tanto che aveva detto a se stes-so, quasi incapace di ùnmaginare tanta cattiveria: "Avranno rispetto di mio figlio".

Il finale della Parabola è altrettanto tragico come tutto lo snodarsi di essa. Non dimentichiamo che la Parabola vie-ne raccontata per i membri del Sinedrio, per i "privilegia-ti" amministratori della casa di Dio. E la Parabola infatti, come ci racconta Matteo, coglie nel segno: cercavano di catturare Gesù, ma avevano paura della folla. La loro in-tenzione è dunque simile a quella dei vignaiuoli. Non ave-re il cuore libero porta ad eliminare, diciamo pure, ad uc-cidere chi in qualche modo costituisce un rimprovero vi-vente per un agire non retto.

La Parabola così ci aiuta a leggere più profondamente nel mistero del male. Accade così anche nella vita di ogni uomo, nella vita di ciascuno di noi, perché in questa Para-bola ci siamo tutti.

Dio si è preso cura di noi. Non è il caso di ricordare qui la "fatica" di Dio per la nostra vita, quella che egli ha of-ferto per noi tutti e quella che egli ha affrontato per cia-scuno di noi. Non ci è mancata la sua fiducia, non i suoi doni, non la sua ricompensa ogni volta che ci siamo com-portati secondo giustizia, non la sua comprensione per le nostre debolezze. Man mano che questo suo modo di agi-re nei nostri riguardi si affermava e si confermava, dentro

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LA PARABOLA DEI VIGNAIOLI OMICIDI —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA B

il nostro cuore avrebbe dovuto crescere la sua persona: è i sattamente quello che si dice quando affermiamo di una |K-rsona: "Ti porto nel mio cuore".

Ma nel nostro cuore sono presenti, e lo abbiamo ricor-liiilo, anche sentimenti egoistici, che si oppongono a Dio. Quando essi prevalgono, Dio muore in noi. L' egoismo ilcll'uomo è la morte di Dio.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE',

I. Questa riunione è molto importante dal punto di vista della responsabilizzazione. Essa ha un contenuto eminen-icmente religioso e di fede. Occorre condurla bene e fare in modo che essa quasi naturalmente volga ad essere un momento penitenziale. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

1. Forse potrebbe essere richiamata la verità che nel Bat-tesimo la vita di Dio comincia in noi. Noi diventiamo, se-condo la fede, templi di Dio. Il male, quando lo accettia-mo ad occhi aperti, quando prende piede in noi non con-sente più a Dio di vivere nella nostra vita.

3. Con i più giovani si può partire da risvolti più stretta-mente psicologici, ma assicurandosi che si possa giungere ad una visione di fede. Si potrebbe prendere le mosse dal l'atto che quando un qualcosa diviene grande ai nostri oc-chi e lo desideriamo ardentemente, questo qualcosa divie-ne quasi una forza irresistibile che tende a travolgere quanto si oppone a questo desiderio. Il male agisce in noi così. Ecco perché è necessaria la vigilanza. Dare allo scambio anche dei risvolti molto concreti.

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— IL BENE E IL MALE VIVONO INSIEME zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

con delle norme che derivano la loro validità dal Vangelo, Parola di Gesti per l'uomo. y , >

Che cosa faccio per formarmi questa coscienza morale? Posso rendere ragione dei miei comportamenti a chi non condivide la mia fede?zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA -'AJzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ^^ y.^^

2. È importante saper giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Noi spesso diamo dei giudizi. Sono normalmente giudizi sulle persone, giudizi severi che definiscono la no-stra posizione riguardo agli altri. Ma è decisivo che impa-riamo a giudicare i fatti, salvando il piti possibile le perso-ne, come ha fatto Gesù. Come mi trovo di fronte a questa affermazione?

3. Quale atteggiamento assumere circa le deficienze dei no-stri fratelli nella fede, e in genere di coloro che ci sono vicini?

Dobbiamo imparare a rispettare i tempi di Dio, il ritmo di crescita degli altri. La Parabola che abbiamo esaminato sembra dirci molto chiaramente che vi è un ' 'tempo di at-tesa" da rispettare: anche ai cattivi è dato un tempo di con-versione e a maggior ragione dobbiamo essere capaci di attendere quando si tratta di persone che come noi si sfor-zano di progredire nel bene.

Il cristiano, in questo senso, deve molto imparare dalla pazienza di Dio.

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Il male:

chiudersi alla Parola che viene dall'alto Testi evangelici di riferimento: Me 4,3-8; Mt 13,1-23

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

La Parabola del seminatore parla degli ostacoli che il Re-gno di Dio incontra in noi e fuori di noi nella sua realizza-zione.

Scendiamo qui ad una maggiore profondità dopo aver ri-llettuto sul fatto che nel mondo è presente il male insieme col bene. Che cosa è questo male? Quali forze si oppongo-no alla realizzazione del piano di Dio sulla mia vita e sulla storia degli uomini?

Secondo la consuetudine della Palestina del tempo di Gesù il seminatore passa seminando a ventaglio senza poter ca-librare troppo lo spargimento della semente rispetto al luogo dove essa va a finire. .

Una parte cade sui sentieri tracciati dai passanti nel campo dopo l'ultima mietitura. Un'altra parte cade tra le spine. Ma il seminatore non sembra preoccuparsi molto perché subito dopo passerà nuovamente l'aratro e smuoverà la terra calpestata dai passanti e sradicherà le spine che vi sono nel terreno mettendone le radici al sole. Il terreno roccioso è coperto di un sottile strato di terra che rende difficile valu-tare la sua vera qualità.

Egli deve affidarsi alla fortuna: con la semina si compie una grande azione di speranza: anche gli uccelli del cielo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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— IL MALE: CHIUDERSI ALLA PAROLA CHE VIENE DALL'ALTO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

devono poter mangiare e sono inclusi nel rischio. La riu-scita della semina nel terreno buono giustifica questo rischio.

Nella semente è raffigurata la Parola di Dio che salva, che vuole cambiare il mondo. Essa deve superare molte difficoltà e ci sono delle obiettive situazioni dizyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA rifiuto di essa che compromettono la volontà salvifica di Dio.

Nella spiegazione della Parabola che Gesù fa ai suoami-ci, figura in primo piano non tanto il grande raccolto otte-nuto nel terreno buono ma tutto il seme che è stato perdu-to. Il male dunque è presente nel mondo e si definisce co-me superficialità indififerente, come avversione esplicita alla Parola salvatrice di Dio, come incostanza di fronte alle esi-genze del bene e quindi del Regno.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA OJ ;/! >l

Ecco una indicazione non tanto di singoli atti cattivi quan-to di atteggiamenti che sembrano radicare nel mondo la pos-sibilità del male.

Il male, si badi bene, non è in questa Parabola qualcosa di positivo: è solamente negazione di un bene, di un rac-colto che avrebbe potuto essere e che non vi sarà mai.

// male è quindi la scelta del nulla.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE i Ì

1. Dopo aver letto attentamente la Parabola ed aver fatto lo sforzo di comprenderla, confrontare i risultati della in-terpretazione che noi ne diamo con la spiegazione che of-fre Gesù stesso. (Cfr Me 4,13-20).

2. Come giudico la spiegazione fornitaci da Gesù? È ve-ra? Corrisponde alla mia esperienza e a quanto vedo attor-no a me?

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LA PARABOLA DEL SEMINATORE —

3. Come si manifestano nella mia vita questi ostacoli al be-ne, alla proposta che Gesù mi fa nel Vangelo? : ^ud.'i;

4. Quale possibile decisione il mio gruppo potrebbe pren-dere per aiutarci vicendevolmente nel dare una risposta al Signore accogliendo la Sua Parola?

. w. . . APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Tutta la Parabola riduce il bene e il male all'accoglien-za o al rifiuto della Parola. Questa riduzione non è arbitra-ria. Gesù stesso nei suoi discorsi dice che il peccato è il RIFIUTO della sua persona, PAROLA definitiva detta da Dio all'umanità. Si legga a questo proposito il prologo di San Giovanni: il VERBO, la Parola venne nel mondo, nella sua casa, ma i suoi non lo seppero riconoscere. Ma a quanti hanno accolto questa Parola è stato dato di diventare figli di Dio.

Possiamo interrogarci dunque in che considerazione ab-biamo la Parola di Dio, proclamata in mezzo a noi, quale uso ne facciamo, come cerchiamo di comprenderla.

Cosa possiamo fare per rendere più serio e fruttuoso l'a-scolto della Parola nel contesto liturgico?

2. Ciascuno potrebbe riflettere ed esaminarsi sulla via, i modi, attraverso cui il male prende possesso della sua vi-ta, un aiuto ci viene fornito dalla spiegazione che si fa del-la Parabola. Quale di queste situazioni è più pericolosa per la mia vita?

3. Posso ancora esaminarmi sulla idea che io ho del male, diciamo pure del peccato. Secondo la Parabola il male non è qualcosa di poco positivo, un qualcosa che non essendo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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— IL MALE: CHIUDERSI ALLA PAROLA CHE VIENE DALL'ALTO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

bene, ha tuttavia una sua qualche consistenza ed utilità. Il male è la scelta del nulla, il rifiuto senza alternative di un bene voluto da Dio, il rifiuto di Dio.

Che idea ho io del peccato? Non è forse possibile che nella mia vita, nel mio modo di pensare, giustifichi in qual-che modo il peccato? .

4. Mi devo rendere conto che senza attribuire un giusto peso al peccato nella mia vita e nella vita del mondo, non è comprensibile il disegno di salvezza di Dio. A che prò il sacrificio di Gesù se il male non è poi qualco-sa di serio?

Molti affermano oggi giustamente, e il Papa l'ha ricor-dato più volte, che svalutando il peccato si svaluta anche Dio. Là dove decade il senso del peccato decade anche ir-reparabilmente il senso di Dio.

5. E possibile anche aggiungere un'altra riflessione: spes-so dove esiste sofferenza c'è di mezzo il peccato dell'uo-mo. E facile attribuire alla natura tutto il cumulo di soffe-renza dell'umanità, o dare le colpe alle logiche che logi-che nonsono. Si pensi al guerre, alle ingiustizie sociali, al-l'inquinamento dell'ambiente, alle economie basate esclu-sivamente sul profitto, agli egoismi individuali e collettivi. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

// male non è una fatalità:

esso dipende in larga parte da noi

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' Saremo giudicati

per quello che abbiamo saputo essere

Testo evangelico di riferimento: Mt 13,47-50

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Una scena che chiunque (e dunque anche Gesù) poteva vedere ogni giorno lungo le rive del lago di Galilea costi-tuisce il contenuto di questa Parabola.

La rete gettata durante la notte viene tirata al mattino e si è riempita di pesci di ogni genere. Giunti alla riva inizia la selezione dei pesci: alcuni sono ottimi, altri buoni, altri ancora utilizzabili in qualche modo, altri cattivi.

Il centro di gravità della Parabola è posto proprio su que-sta selezione, e questo avvicina e insieme la distingue dal-la Parabola della zizzania.

Proprio per questo la Parabola che ci sta davanti è di ca-rattere escatologico, guarda cioè la fine dei tempi, il giu-dizio finale sul bene e sul male che ciascuno ha compiuto nella sua vita.

Solo allora si manifesterà con assoluta chiarezza e og-gettività la vera comunità dei figli di Dio. Allora si cono-scerà chi ha confessato Cristo solo con le labbra, ma non con la vita, avendo il cuore lontano da lui, chi ha vissuto il proprio rapporto con Dio come legalità vuota e formali-sta, chi invece di servire il Cristo nello spirito ha approfit-tato di lui per costruire un piedistallo a se stesso.

Gesù richiama più volte a questa verità di un giudizio zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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? — SAREMO GIUDICATI PER QUELLO CHE ABBIAMO SAPUTO ESSERE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

sulla nostra esistenza. Dio non è uno spettatore inerte da-vanti all'agire degli uomini, anche se spesso essi confon-dono la sua pazienza con una sorta di qualunquismo, im-maginabile quando riferito agli uomini, ma non certamen-te se riferito a Dio.

Anzi proprio per farci meglio capire la realtà severa di questa "resa dei conti" (la parola è brutta, ma in una Pa-rabola Gesti parla proprio della "resa dei conti" di un fat-tore infedele!) Gesù afferma che "anche di ogni parola ozio-sa" uscita dalla nostra bocca ci verrà chiesto conto.

Il racconto di Matteo sul giudizio finale (Cfr Mt 25,31 e ss.) porta l'accento sul contenuto del giudizio, ma indi-rettamente ci dà una nuova solenne affermazione del fatto che questo giudizio ci sarà. Saremo giudicati dalla carità, cioè dalla capacità di vedere Cristo e di accoglierlo non solo nella sua persona fisica ma in ogni persona in cui la sua immagine appaia non perfettamente chiara, ma detur-pata: l'ammalato, l'ignudo, il carcerato, etc.

Forse possiamo terminare l'introduzione a questa Para-bola ricordando un'altra espressione della Bibbia, che fa al caso nostro: "Memento novissima tua, et nunquam pec-cabis": "Ricorda quello che ti accadrà alla fine e non pec-cherai mai".

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Il tema di questa riunione è il giudizio di Dio sulla no-stra vita. Non è una riunione facile, ma è necessaria. Si tratta di un tema che non viene certamente affrontato con piacere, ma che ci fa bene. La riunione può iniziare con la lettura della Parabola, una presentazione della guida, i

LA PARABOLA DELLA RETE E DELLA PESCA — ?

ini elementi possono essere raccolti dalla introduzione. Dopo la necessaria comprensione del punto focale della

l'arabola si potrebbe leggere in gruppo il passo indicato del giudizio finale, mettendone in risalto le connessioni con la nostra vita di ogni giorno. È fondamentale in questa riu-nione far comprendere, sulla scorta di questi testi, che il peccato richiama un giudizio e che il peccato è grave per-ché rifiuto dell'amore.

Questo discorso è forse più facilmente comprensibile. E

del resto bisogna fidarsi della parola e annunciarla anche

ijuando essa è difficile e ostica per noi.

2. Un secondo passo può essere quello di far comprendere attraverso una domanda che adesso proponiamo, che SEM-PRE nella nostra vita la responsabilità esige che noi siamo in grado di rendere conto del nostro operato, di tutti i no-stri comportamenti, piccoli e grandi. Ecco dunque questa domanda:

Normalmente Dio ci viene presentato come un Signore buono e comprensivo: l'idea che egli ci debba giudicare, con una certa severità, come ti fa reagire? Senti che que-sta idea di Dio giudice ti lascia indifferente, ti muove a re-sponsabilità, o ti spaventa?

3. Quali forme particolari nella vita cristiana ti pare ci pos-sano aiutare a far sì che il giudizio di Dio non debba esse-re temuto? (il riferimento è a tutte quelle forme di "verifi-ca" della nostra vita che in qualche modo anticipano, sot-to il segno della misericordia, il giudizio di Dio sul nostro operare). zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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1zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA SAREMO GIUDICATI PER QUELLO CHE ABBIAMO SAPUTO ESSERE

APPLICAZIONE ALLA VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

1. Sant'Ignazio negli Esercizi Spirituali e precisamente nel quinto esercizio della prima settimana, presentando la me-ditazione del castigo eterno, ci fa chiedere un intimo senti­

mento della pena di coloro che sono stati giudicati e con­

dannati "perché, se a motivo delle mie colpe, io dimenti-cassi l'amore dell'eterno Signore, almeno il timore delle pene mi aiuti ad evitare il peccato" (EE.SS. n. 65). Ri-cordiamo qui che proprio la Parabola che stiamo esami-nando termina con queste parole: "Verranno gli angeli, e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella forna-ce ardente, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt. 13,49).

Non ogni tipo di "timore" è da gettare via come inuti-le. È vero che dove c'è l'amore non esiste il timore, come afferma San Giovanni: ma è anche vero che il timore, e un certo tipo di timore, è utile nella nostra vita.

Mi posso allora interrogare che posto ha nella mia vita il giusto "timore di Dio" di cui la spiritualità cristiana ha tanto spesso parlato.

2. Imparare a giudicarsi, a porsi di fronte alle proprie re-sponsabilità non è esercizio inutile e repressivo.

Questo spiega perché Sant'Ignazio, nel libro degli Eser-cizi, subito dopo il Principio e Fondamento, prima ancora di presentare le meditazioni della prima settimana pone le indicazioni per l'Esame particolare quotidiano e l'Esame

generale di coscienza per purificarsi e meglio confessarsi. Ecco perché ritengo, a questo punto, utile proporre a tutti e a ciascuno la praUca dell'Esame di coscienza, che si tro-va negli EE.SS. al n. 43. Ne daremo qui una forma piìi

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LA PARABOLA DELLA RETE E DELLA PESCA — 1

ililTusamente spiegata. È bene proporlo come modo di pre-^•iliera quotidiano a tutti. Normalmente produce dei frutti notevolissimi.

Così pure inseriamo qui ad utilità delle guide, ma il te-sto può essere anche distribuito a persone che siano in grado di comprenderlo, una ripresentazione in termini moderni (icll'esame di coscienza. È un contributo di una notevole validità.

3. È evidente che con questo discorso è anche collegato il momento strettamente sacramentale del sacramento del-la riconciliazione. Ma questo sarà ripreso più avanti quan-ilo si tratterà del tema della salvezza che Dio ci offre nella nostra debolezza. '

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Traccia per la valutazione giornaliera zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

(basata sull'esame di coscienza di S. Ignazio) zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Io sono alla presenza di Dio, mio Creatore e Signore, che vuole continuare con me oggi la mia storia di salvez-za. Sono alla presenza di Cristo che vive in me e che vuo-le crescere in me.

1. Per che cosa devo ringraziare questa sera?

Fatti, esperienze, incontri, la realtà intorno a me... que-sta o quella concreta situazione in cui ho ricevuto molto e in cui ho capito meglio quanto ricevo da Dio...

2. Chiedo a Dio luce sulla mia vita

Gli chiedo, percorrendo la mia giornata, di vedere chia-ramente quali sono stati i sentimenti della mia anima, * nel rapporto con Dio * nel rapporto con gli altri * nel rapporto con le cose.

Gli chiedo, anche di comprendere da dove provengono questi miei movimenti interiori e atteggiamenti.

3. Verifico ciò che è stato male in me nella giornata

Rendermi conto che ciò che ho fatto di male non produ-ce nulla di positivo per me, dispiace a Dio, crea divisione con i miei fratelli e con il creato.

Posso anche domandarmi quali sono le radici di queste mie mancanze.

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TRACCIA PER LA VALUTAZIONE GIORNALIERA

4. Una richiesta di salvezza e di perdono

lo, con tutto quello che ho fatto oggi, sono alla presenza + ili Dio, mio Padre, con la sua pietà e tenerezza, + ili Cristo, che vuole trasformarmi per dare vita agli altri

attraverso di me. + tlello Spirito che oggi ha continuato a spingermi verso

il bene, c chiederò perdono.

5. Come ho intenzione di rispondere domani al mio Dio

È il momento delle decisioni concrete, da offrire a Dio perché le sostenga con la sua grazia (cfr Appendice).

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Quando Dio muore nel cuore dell'uomo zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Riferimenti evangelici: Mt 21,23-43; Me 12,1-12; Le 20,9-19

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Questa Parabola viene chiamata dei "vignaiuoli omici-di". Il racconto giustifica questa dizione, anche se essa è molto di pili per quanto riguarda la responsabilità di chi uccide.

È importante ogni piccolo elemento della Parabola, che ci dà come uno spaccato della vita agricola della Palesti-na, con elementi verificabili ancora oggi.

Prima di tutto la VIGNA. Non è una immagine nuova: si pensi al capitolo V del libro del profeta Isaia, che para-gona Israele ad una vigna piantata e coltivata con cura dal Signore.

Il padrone della vigna ha costruito un muro di cinta, un muro a secco, fatto con pietre giustapposte con cura e con una tecnica collaudata dal tempo. Vi è anche una torre, co-struzione tronco conica, costruita con la stessa tecnica, e molto opportuna nel tempo della maturazione dell'uva e della vendemmia. Ricoperta di rami sulla cima essa offre ombra al custode e consente di seguire momento per mo-mento il maturare dei frutti, difendendoli dagli animali, dai male intenzionati e da ogni altro pericolo. Vi è anche un frantoio per l'uva, scavato nella stessa vigna: vi è insom-ma tutto. La vigna è come una entità completa in se stes-

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LA PARABOLA DEI VIGNAIOLI OMICIDI — ©

SII, un piccolo mondo dove tutto è ordinato alla produzio-ne di un vino buono e abbondante. ''

Vi è anche da sottolineare che la vigna è stata piantata iliil padrone stesso, uno strano personaggio, sembrerebbe di poter dire, che per le sue ricchezze può consentirsi an-che di andare via per lungo tempo, di pagare dei vignaiuo-li, e che però ha una "passione particolare" per questa vi-glia: tanto è vero che l'ha voluta lavorare e piantare lui stes-so, con le sue mani. Essa è dunque qualcosa che ha un va-lore anche affettivo al di là del puro valore materiale, che pure era grande in una società agro-pastorale come quella (lei tempi di Gesìi e in una terra che esige molto sudore per produrre frutti che ricompensino l'impegno e la fatica.

Guardiamo dunque questo signore nel momento della sua partenza: ha disposto tutto alla perfezione, ha affidato la vigna a dei lavoratori che ha ritenuto degni di fiducia. Parte ma il suo pensiero è là, nell'oggetto delle sue ore dure di fatica: e al tempo opportuno egli invia altre persone di sua fiducia a raccogliere i frutti.

La sorte di queste persone è tragica: non hanno altra colpa che quella di essere persone che ricordano a questi vignaiuo-11 che la vigna non è loro e che hanno dei doveri verso co-lui che gliela ha affidata. Alcuni vengono bastonati, altri lapidati, altri uccisi in vario modo.

Che cosa è scattato in loro che li ha resi così insanamen-te ciechi e sanguinari? L'ultimo passo della Parabola ce lo fa capire: viene mandato il figlio del padrone a racco-gliere i frutti. Già le azioni precedentemente compiute erano sufficienti a invocare una soluzione drastica nei loro riguar-di. Ma questo padrone sembra, da lontano, non rendersi zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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© — QUANDO DIO MUORE NEL CUORE DEGLI UOMINI zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

ancora conto in modo chiaro dei fatti. I vignaiuoli, veden-do arrivare il figlio, manifestano la verità del loro cuore, un cuore cattivo e ingordo, pieno di ingiustizia e di vio-lenza: "Costui è l'erede: venite, uccidiamolo, ed avremo noi l'eredità". E lo uccisero. Il padrone aveva avuto un cuore buono fino alla fine tanto che aveva detto a se stes-so, quasi incapace di ùnmaginare tanta cattiveria: "Avranno rispetto di mio figlio".

Il finale della Parabola è altrettanto tragico come tutto lo snodarsi di essa. Non dimentichiamo che la Parabola vie-ne raccontata per i membri del Sinedrio, per i "privilegia-ti" amministratori della casa di Dio. E la Parabola infatti, come ci racconta Matteo, coglie nel segno: cercavano di catturare Gesù, ma avevano paura della folla. La loro in-tenzione è dunque simile a quella dei vignaiuoli. Non ave-re il cuore libero porta ad eliminare, diciamo pure, ad uc-cidere chi in qualche modo costituisce un rimprovero vi-vente per un agire non retto.

La Parabola così ci aiuta a leggere più profondamente nel mistero del male. Accade così anche nella vita di ogni uomo, nella vita di ciascuno di noi, perché in questa Para-bola ci siamo tutti.

Dio si è preso cura di noi. Non è il caso di ricordare qui la "fatica" di Dio per la nostra vita, quella che egli ha of-ferto per noi tutti e quella che egli ha affrontato per cia-scuno di noi. Non ci è mancata la sua fiducia, non i suoi doni, non la sua ricompensa ogni volta che ci siamo com-portati secondo giustizia, non la sua comprensione per le nostre debolezze. Man mano che questo suo modo di agi-re nei nostri riguardi si affermava e si confermava, dentro

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LA PARABOLA DEI VIGNAIOLI OMICIDI —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA B

il nostro cuore avrebbe dovuto crescere la sua persona: è i sattamente quello che si dice quando affermiamo di una |K-rsona: "Ti porto nel mio cuore".

Ma nel nostro cuore sono presenti, e lo abbiamo ricor-liiilo, anche sentimenti egoistici, che si oppongono a Dio. Quando essi prevalgono, Dio muore in noi. L' egoismo ilcll'uomo è la morte di Dio.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE',

I. Questa riunione è molto importante dal punto di vista della responsabilizzazione. Essa ha un contenuto eminen-icmente religioso e di fede. Occorre condurla bene e fare in modo che essa quasi naturalmente volga ad essere un momento penitenziale. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

1. Forse potrebbe essere richiamata la verità che nel Bat-tesimo la vita di Dio comincia in noi. Noi diventiamo, se-condo la fede, templi di Dio. Il male, quando lo accettia-mo ad occhi aperti, quando prende piede in noi non con-sente più a Dio di vivere nella nostra vita.

3. Con i più giovani si può partire da risvolti più stretta-mente psicologici, ma assicurandosi che si possa giungere ad una visione di fede. Si potrebbe prendere le mosse dal l'atto che quando un qualcosa diviene grande ai nostri oc-chi e lo desideriamo ardentemente, questo qualcosa divie-ne quasi una forza irresistibile che tende a travolgere quanto si oppone a questo desiderio. Il male agisce in noi così. Ecco perché è necessaria la vigilanza. Dare allo scambio anche dei risvolti molto concreti.

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— QUANDO DIO MUORE NEL CUORE DEGLI UOMINI

Per esempio: Come si manifesta il pericolo della morte di Dio in me?

4. I vignaiuoli omicidi sono colpevoli di aver voluto una autonomia assoluta, anche nel possesso di ciò che era loro affidato in gestione, in custodia.

Non è attuale questo nella vita degli uomini applicato a Dio? Come si manifesta nella mia vita questo desiderio er-rato di autonomia che pretende di costruire la mia felicità, il mio bene senza tener conto di Dio?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. "Creandomi, Dio si è creato un giudice. Il primo giu-dizio avvenne in principio, nel paradiso terrestre. Il pec-cato è Dio giudicato dagli uomini. E il giudizio nasce da questo: l'uomo non vuol riconoscere che non basta a se stes-so e che deve dipendere dall'Altro" (Don Mazzolari).

2. Dio mi chiede dipendenza, ma mi chiede anche autono-mia e responsabilità. Questa Parabola ci dà la possibilità di andare a fondo di questo difficile rapporto e di stabilire dei riferimenti chiari, dei limiti precisi sul "dove" termi-na la mia autonomia e comincia la mia dipendenza.

3. Guardarsi intorno e vedere che ci sono altri che pur non professando forse così esplicitamente la fede come la pro-fesso io, sono tuttavia più fedeli di me. La vigna viene tol-ta a coloro a cui era stata affidata e data ad altri che la fa-ranno fruttificare a suo tempo.

La pretesa di essere "privilegiati" possessori del Regno dovrebbe avere riscontri piti evidenti e sicuri.

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Le radici del male dentro di me zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Le 18,9-14

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Come bisogna essere dentro perché Dio ci possa salva-re? Quali sentimenti, quali atteggiamenti attirano l'atten-zione e la misericordia del Signore sulla nostra vita?

È questa una domanda importante per delle persone che avendo compreso la gravità del male nei riguardi di Dio, vogliono cambiare la loro vita, far sì che Dio si renda vi-cino, o, se si vuole, fare in modo di avvicinarsi di più a Lui.

Non è una questione di poco conto: si dice che conosce-re il proprio male è già avere una buona possibilità di cu-rarlo. È ad una sorta di diagnosi che siamo ora chiamati. H fondamentale avere il coraggio di guardarci dentro, di scoprire la nostra verità. Saremo capaci di essere limpidi fino in fondo nell'esaminare il nostro RAPPORTO con Dio?

È una grazia da chiedere questa: Sant'Agostino ci sug-gerisce una bella invocazione: ' 'Che io conosca Te, Signore, che io conosca me!"

La Parabola del Fariseo e del Pubblicano ci aiuterà a compiere questa azione di verifica. Chi era un fariseo, e chi era un pubblicano? I Farisei era-no un gruppo religioso che poneva la propria perfezione nella severa osservanza della legge. Il loro nome significa "separato", nel senso che facevano della loro vita un con-

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— LE RADICI DEL MALE DENTRO DI ME

tinuo sforzo per stare lontani da ciò che consideravano im-puro. Per la loro conoscenza della legge avevano una for-te autorità sul popolo e sostenevano l'osservanza letterale della legge e delle norme createsi nella tradizione religio-sa di Israele. Gesìi nel Vangelo non è affatto tenero con loro, proprio per questo motivo: il loro sentirsi "a posto" con Dio, il considerarsi giusti li porta alla superbia. Poi-ché la legge è tutto per loro non si curano delle cose so-stanziali: Gesù rimprovera loro l'avidità, l'ambizione, l'i-pocrisia. Questo loro atteggiamento li rende incapaci di ac-cettare la novità di Dio, espressa dalla predicazione di Ge-sù: per questo divengono suoi nemici.

IzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA pubblicani erano dei privati che avevano ricevuto dai Romani l'appalto per la riscossione delle tasse, a cui ag-giungevano una percentuale di loro guadagno. A causa del loro ufficio (erano considerati dei collaborazionisti) e an-che del loro comportamento spesso disonesto erano molto malvisti ed equiparati ai peccatori. L'amicizia con loro era motivo di scandalo. Gesù non solo tratta con loro, ma si reca a trovarli a casa: quando gli Scribi e i Farisei accusa-no Gesù arrivano a chiamarlo in modo sprezzante "pub-blicano".

La Parabola ci presenta una scena inquadrata nel luogo sacro del tempio. E dunque in questione il rapporto con Dio. Un fariseo ed un pubblicano salgono al tempio per pregare. Ambedue vogliono entrare in contatto con Dio: ma il loro modo di atteggiarsi davanti a Lui è ben diverso. Il Fariseo è pieno di sé; il pubblicano invece quasi oppres-so dalla sua indegnità. - <

La preghiera del fariseo e il suo atteggiamento sono vuoti: in realtà egli non cerca Dio ma la propria grandezza e fa

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LA PARABOLA DEL FARISEO E DEL PUBBLICANO —

un elenco dettagliato delle sue benemerenze. Crede di po-li-1 accampare una giustizia davanti a Dio. Il pubblicano e come sprofondato nella sua miseria: ha bisogno di uscire dal suo peccato e sapendo di essere solo con la sua debo-le/za chiede l'aiuto di Dio.

In un momento la situazione delle due persone cambia ra-ilicalmente; il passato di peccatore del pubblicano cessa di aver importanza, come pure non importa il coraggio e la coerenza che dovranno riguardare il suo futuro. Egli è salvo perché ha saputo riconoscere il suo male e il nulla che il male ha prodotto in lui: nel vuoto della sua miseria c'è po-sto per Dio. Il Fariseo resta pieno di sè, si appoggia alla propria giustizia, e nella sua vita non vi è in realtà alcun posto per il Signore. ,^zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ..^,,,,,,, ^rn.uirt i , <

Comprendiamo così che Dio solo salva. Comprendiamo ijual è la via che consente a Dio di riscattarci dalla nostra miseria.

''ifiùijfv izyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Viti i SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Dagli atteggiamenti dei due protagonisti, verificati at-tentamente in gruppo, dedurre il significato più profondo, l'atteggiamento dello spirito dei due personaggi. Questo tipo di ricerca aiuterà ad entrare meglio nello spirito della i'arabola.

2. Isolati i due atteggiamenti dei protagonisti e dopo averli definiti, nella loro identità, chiedersi, in uno scambio fra-terno, come si manifestano nella nostra vita ecclesiale e soprattutto nel rapporto con Dio le due realtà spirituali che essi rappresentano.

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— LE RADICI DEL MALE DENTRO DI ME

3. Superbia ed umiltà a volte sono mescolate, nel quoti-diano con realtà che nulla hanno a che fare con esse. A volte, per esempio, facciamo passare per virtù certi atteg-giamenti discutibili, portando come giustificazione che in fondo dobbiamo difenderci, che dobbiamo fare in modo che gli altri non ci mettano i piedi sul collo... Altre volte confondiamo umiltà con atteggiamenti rinunciatari, di co-modità, di paura...

E possibile che ci chiariamo insieme quali debbano es-sere le caratteristiche dell'umiltà cristiana e quando real-mente la superbia è tale nella nostra vita?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Chiudersi nel cerchio di una propria presunta giustizia è chiudersi alla salvezza. C'è spesso molta presunzione in noi e crediamo di poterci salvare da soli. Per allontare da noi il male il primo passo è riconoscere che il male sta di casa dentro di noi.

2. "Non sono venuto per i sani ma per i malati".

3. Chi si crede giusto è un bugiardo. Anche se veramente lo fosse. La giustizia è un bene che c'è a condizione che chi lo porta non presuma di possederlo. Chiunque si stima giusto cessa di correre verso il traguardo della perfezione e diventa un "pensionato" della bontà.

4. La nostra convinzione di essere della povera gente si manifesta nella nostra vita in molti modi e tutti estrema-mente concreti: la compassione per gli errori degli altri, la benevolenza nel giudicare, la capacità di vedere il bene dove c'è (anche quando è piccolo come un granello di se-

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LA PARABOLA DEL FARISEO E DEL PUBBLICANO —

nape), lo stare volentieri con i più umili, il non attribuire eccessivo peso alle forme e alle convenzioni, il lasciarsi correggere, l'accettazione dell'aiuto, etc.

Il povero non ha pretese perché sa di mancare di tutto e che tutto è dono. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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Quando il fratello sostituisce Dio zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Mt 18,21-35 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA ' >

La Parabola è introdotta dalla presentazione di un pro-blema reale, da parte di Pietro ma anche a nome degli altri apostoli: "Signore, quante volte dovrò perdonare al fra-tello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette ma fino a settanta volte sette".

Questa affermazione di Gesù esprime una esigenza evan-gelica: trascurare la quale costituisce un peccato, uno dei più frequenti nella vita degli uomini. Ed è collegandosi a questo problema che Gesù racconta la Parabola che si è soliti definire la Parabola del "servo spietato". Nel titolo che le si dà vi è già un giudizio. La pietà è il sentimento che ci avvicina a Dio, perché il nostro Dio è un Dio di pie-tà e di misericordia. Chi non pratica la pietà verso i propri fratelli si allontana dall'agire di Dio, si rende dissimile da Lui. Si pone contro di Lui.

I numeri usati nella domanda di Pietro e più ancora nel-la risposta di Gesù hanno come riferimento il famoso can-to di Lamech che troviamo in Genesi 4,24 a proposito del-la vendetta: "Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settanta sette". Solo che questi numeri sono qui applicati non alla vendetta senza limiti ma al perdono illimitato. La

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LA PARABOLA DEL SERVO SENZA PIETÀzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — S®

contropartita del principio pagano della vendetta senza li-miti dà l'ispirazione al principio cristiano del perdono senza misura e senza condizioni.

Bisogna che teniamo presente un dato storico: la ven-iletta era una legge d'onore nell'oriente, mentre il perdo-no era considerato una pratica umiliante. Questo ci dice tutta la novità del messaggio di Gesù e anche l'esigenza ili un nostro radicale cambiamento di prospettiva: perché sono passati secoli, ma certe regole sembrano non essere cambiate. Questo non ci deve stupire: il male sta nel cuore tiell'uomo.

Un uomo dunque era debitore di diecimila talenti. Oggi noi la definiremo una somma da "capogiro". Vogliamo fare l'equivalente in dollari odierni? Sarebbe come dire sette milioni di dollari. Era facile per un ascoltatore di Gesù con-cludere che questa era una somma che non si poteva dare. Soprattutto perché si trattava di un dipendente.

Anche oggi nel nostro ordinamento giuridico,come pu-re in tutte le legislazioni del passato, chi non è in grado di estinguere un debito deve pagare "di persona". Ecco perché il creditore ordina che sia venduto tutto quello che il debitore ha, compresi la moglie e i figli, ridotti ad esse-re oggetto a causa del suo debito. La paga risulterà comun-que insignificante. Perciò la disposizione mette in risalto l'indignazione del padrone. Ma alla fine gli viene condo-nato tutto il debito perché il servitore usa l'unico sistema che gli è possibile: supplica e promette. E il padrone gli condona tutto.

La magnanimità del padrone non ha limiti.

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Page 41: Libretto v3 cropped rotaz

m zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA— QUANDO IL FRATELLO SOSTITUISCE DIO

Ma ecco che il debitore si trasforma a sua volta in credi-tore. Un suo collega gli deve una somma stavolta assolu-tamente irrisoria rispetto a quella che gli era stata condonata.

Il suo compagno non può pagare. Proprio come lui. Ma egli minaccia di strangolarlo pur di ottenere quanto gli de-ve. Anche questo uomo supplica e promette, proprio co-me ha fatto lui. Ma questo uomo non ha pietà. Getta il pro-prio collega in carcere, senza che si affacci al suo animo alcun sentimento di compassione. ;zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA o-r i;;;,v;ss ,ifH

Gli altri servi sono al corrente di tutto, hanno visto tut-to. Viene riferito al padrone quello che è accaduto e la cle-menza del re si trasforma in giustizia. Anche lui non usci-rà dalla prigione fino a quando non avrà soddisfatto a tutto il suo debito. La sua è una condanna che comporta non so-lo il carcere, ma la perdita della vita: egli viene affidato agli aguzzini, che in genere sanno come far pagare i conti.

La Parabola si snoda in quattro grandi scene: ;,. * la precisazione del debito * il condono e il perdono del padrone , * la crudeltà del servo * la giustizia definitiva del padrone.

Il debito è comune all'uno e all'altro, anche se diversa è l'entità. La giustizia ultimo atto di questa scena dram-matica, è collegata alla misericordia e alla crudeltà. Cru-deltà chiama giustizia, non perdono. Solo la misericordia chiama misericordia.

"Così farà anche il Padre vostro se non perdonerete di cuore al vostro fratello". zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Il fratello sostituisce Dio.

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LA PARABOLA DEL SERVO SENZA PIETÀ — a®

; \ i SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Abbiamo ricordato che saremo giudicati dall'amore che iilibiamo saputo dare al prossimo. Tra le forme più impe-

native ma anche più fondamentali dell'amore vi è il per-dono. Cosa penso di esso? (Occorre frugare negli angoli più reconditi del nostro cuore e della nostra mente per ren-derci conto di che cosa pensiamo del perdono. E bisogna avere il coraggio di dire che cosa pensiamo!).

2. Il perdono non è un fiore spontaneo che cresce nel no-stro cuore. Anzi... Esso è frutto di un impegno di imita-zione del Signore che spesso può costarci. Il fatto che ci I-osti non toglie valore ad esso. Anzi lo rende ancora più prezioso. Sono d'accordo con queste affermazioni?

.V Sembra che il Signore, attraverso questa Parabola, e non solo attraverso di essa, voglia identificarsi col fratello. Il perdono dunque è possibile solo se si considera che noi sia-mo debitori insolventi verso il Signore e che egli ci chiede di pagare quanto dobbiamo a lui attraverso il perdono, la misericordia verso i nostri fratelli.

È bene che riflettiamo su quale consuetudine si è radica-ta nella nostra comunità circa le questioni che possiamo avere gli uni con gli altri. Quale capacità di dimenticanza c di perdono cristiano vi è tra noi?

4. Quale mentalità trovo attorno a me circa questo atteg-giamento cristiano e come mi verifico di fronte a questa mentalità?

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31®zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA QUANDO IL FRATELLO SOSTITUISCE DIO

APPLICAZIONE ALLA VITA

1 Si è nel vero amore quando ragionandovi scade ogni ra-gione d'amore (Don Mazzolari).

2. "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai-nostri debitori". Cioè: perdona a noi come noi perdonia-mo agli altri. Se non siamo capaci di perdonare, meglio non recitare mai questa preghiera. Reciteremmo la nostra condanna.

3. Gustare la gioia indicibile dell' essere in pace con tutti. Aveva ragione San Paolo nel raccomandare: "Non tramonti mai il sole sopra la vostra ira". Come mi sento davanti a questo impegno?

4. Devo propormi di essere un uomo o una donna di pace. Ci sono persone che esasperano i contrasti. Le chiacchie-re a volte sono dei veri e propri incitamenti alla vendetta e all' odio. È inutile fare i cortei per la pace del mondo se non siamo capaci di porre pace tra di noi. Cominciamo dai peccati nostri, prima di protestare contro i peccati de-gli altri.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA A

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Il mio Dio è un Dio che mi cerca zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testi evangelici di riferimento: Le 15,1-10; Mt 18,12-14

AMBIENTAZIONE DELLE PARABOLE

Le tre Parabole che formeranno l'argomento di questi nostri incontri hanno uno stesso tema, ma sottolineano, met-loiio in luce aspetti differenti di esso. Sono le Parabole della pecora e della dracma smarrita, e quella stupenda del "fi-•jio prodigo". Esse sono chiamate Parabole della "mise-

licordia" e meritano questo nome perché sono altrettanti scjuarci sulla vita di Dio, come dei Fasci di luce che illu-minano il suo volto misterioso.

H vero che Gesù con queste Parabole mira a giustificare il suo comportamento benevolo nei riguardi dei peccatori e ilclle prostitute. Ma sarebbe incompleto ritenerle solo delle argomentazioni di una difesa che del resto Gesù sa di non ilovere a nessuno. Gesù vuole soprattutto dirci qualcosa del nostro Dio, del Padre che Egli va facendo conoscere agli nomini. Avviciniamoci dunque ai personaggi delle Para-bole della pecora smarrita e della dracma perduta. In un altro incontro prenderemo in considerazione il "figlio pro-digo".

Ora la sera è scesa sulla campagna. Le pecore rientrano dal pascolo all'ovile. Mentre esse pascolavano fra i cespu-gli il pastore non ha potuto far altro che vigilare contro le volpi, un'insidia mortale per il gregge, e contro i ladri. Ora le pecore, abituate al rito della conta, sfilano davanti al pa-

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azyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA S.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — IL MIO DIO È UN DIO CHE MI CERCA

store, ed entrano nell'ovile. Il conto non torna, ne manca una. Chi conosce la vita dei pastori sa che non lasciano mai solo il gregge. Ma questo pastore a malincuore deve farlo. Nonostante le tenebre della notte rendano difficol-tosa la sua ricerca egli ripercorre tutti i pascoli con ansia. Che sarà stato di questa pecora? Finalmente la trova. Non vi è rabbia o violenza in lui, nonostante la fatica straordi-naria che ha dovuto accollarsi. La percora è sulle sue spal-le e ritorna con lui verso l'ovile. Poi una corsa sino al pae-se, per rivedere i familiari, prendere le provviste e riparti-re per dormire accanto al gregge. Per le strade del paese incontra qualche amico. Nasce spontaneo un invito: è na-turale bere un bicchiere di vino insieme e rallegrarsi per una perdita scongiurata.

In una misera casa di un altrettanto misero villaggio una donna, povera, ha perduto una dracma. Sono cento delle nostre lire, forse meno. Ma quando si è poveri i soldi, an-che se pochi, sono tutto: il pane, il necessario per vivere. Questa dracma caduta per terra deve essersi ficcata fra qual-che fessura del pavimento, fatto con le pietre. La luce fil-tra misurata dalle piccole finestre. La povera donna accende la lampada, prende la scopa e cerca...

Finalmente la monetina salta fuori. È festa. Le amiche e le vicine, che erano state messe al corrente del fatto, ora vengono chiamate in casa e nasce una piccola festa, una di quelle semplici feste che vengono dettate dalla parteci-pazione della gente umile alla vita degli altri.

La conclusione è la stessa per le due Parabole. ' 'C'è più gioia in cielo... Si fa più festa in cielo..." Gli ascoltatori di Gesù che cosa comprendevano ascoltando queste Para-bole?

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LA PARABOLA DELLE COSE SMARRITE —

Comprendevano dalla Parabola del buon pastore che il Signore si preoccupa di tutti ma in particolare da chi è lon-liino da Lui. Egli è così fortemente preso dal "problema" di coloro che sono lontani, che quasi è portato a dimenti-i are coloro che sono vicini un paradosso che ha il compito (Il far comprendere l'ansia, il desiderio che Dio ha della nostra salvezza.

La fatica non conta più. Quello che conta per Dio è che l'uomo torni a Lui. ,

Dalla Parabola della monetina perduta comprendevano che Dio considera prezioso anche il più piccolo e misera-bile tra di noi. Non vi è giudizio di valore per Dio: non ci sono persone per cui valga la pena e altre che non meri-tano considerazione, poiché il valore assoluto per Dio è che siamo con lui, che siamo suoi. Tutto il resto è nulla. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Tanto basta per comprendere il senso della afférmazio­

ne di Pietro: Siete stati pagati a caro prezzo (Cfr 1 Pt 1,18).

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Quale immagine di Dio mi sono fatto? Come mi è stato presentato? C'è qualcosa da correggere nella mia visione ili Dio?

2. Come si mettono insieme la visione di Dio giudice e di Dio misericordioso? Trovo che vi sia contraddizione tra queste due visioni? Se sì, perché? Se no, perché?

?<. Quali sono i mezzi, i modi attraverso cui Dio mi cerca? (Nel concreto della vita cristiana Dio continua questa af-fannosa ricerca di chi è lontano: rendersi conto che Dio non è cambiato nei suoi sentimenti).

4. La ricerca e la tenerezza di Dio si esprime anche attra-

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11 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — IL MIO DIO È UN DIO CHE MI CERCA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

verso di noi: quale preoccupazione ci facciamo dei "lon-tani", dei piccoli, degli emarginati, di coloro che non hanno speranza, di coloro che pensano di non contare nulla? Vi è qualcosa di pratico nella mia vita che esprima questa attenzione di Dio che vuole tutti sotto il suo tetto?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Non bisogna dimenticare che Dio cerca anche me. Ge-sti che viene in questo mondo è per Sant'Agostino e per la tradizione cristiana l'espressione massima del buon pa-store. Gesù continua questa sua opera. Lasciarsi trovare.

2. Il Vangelo non può essere compreso se non partendo da questa rivelazione d'amore.

3. «L'amore non si aspetta nessun guadagno, nessuna ri-compensa. Chi ama non cerca mai l'affare, non fa com-mercio del suo amore. Cristo è così. Ma deve essere infi-nitamente sconsolante per un cuore generoso come il suo vedere che proprio coloro per i quali ha dato tutto, perfino la vita, non ne sappiano cavare niente, e lascino perdere il suo amore senza attingere perdono, aiuto, speranza».

4. Spesso andiamo verso coloro che sono lontani procla-mando leggi, proibizioni, giudizi. Le leggi non hanno mai salvato nessuno, le proibizioni tanto meno, e chi si sente giudicato diventa sempre più perduto. Forse dovremmo im-parare a parlare di Dio come amore: l'amore avvicina, di-strugge le distanze, fa breccia anche sulle persone più dure. Facciamo un brutto servizio a Dio quando lo presentiamo come un severo censore, come un'implacabile castigamatti.

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Bisogna proprio vedere chi è giusto

Testo evangelico di riferimento: Le 15,11-32 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Viene definita la "perla" delle Parabole. La vicenda uma-na che viene raccontata potrebbe essere una storia dei no-stri giorni. ;rizyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA <!;fit T ."rfn:>*,i!.';.ii'»j 3Ì..ÌS> i

Non vi è particolare in essa che non abbia un significato preciso voluto da Gesù. Per questo il racconto deve essere esaminato in tutfi i suoi particolari. Non ci tragga in in-ganno il fatto che conosciamo questa Parabola sin dalla no-stra prima fanciullezza: ci sono delle cose che non si com-prendono mai abbastanza e i livelli di comprensione cam-biano col mutare delle situazioni della nostra vita.

Chi guida la riunione deve far sì che sia percepita in modo esatto la situazione, che si colgano in profondità i diversi atteggiamenti delle persone, del padre e dei due figli, che si considerino soprattutto i sentimenti dei due fratelli. In essi è da ricercare l'insegnamento vero della Parabola.

Noi diremo qui solamente questo: la Parabola un po' in-giustamente viene chiamata Parabola del figliuol prodigo". Meglio sarebbe chiamarla la Parabola del figlio "a posto". Il figlio più giovane non fa problema. Gesù sa benissimo che la nostra storia è storia di allontanamenti, di sbagli, di ribellioni, di rifiuti. Quello che fa problema è invece il fratello maggiore, che si crede giusto e, nella sua presunta

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— BISOGNA PROPRIO VEDERE CHE È GIUSTO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

giustizia, si rende incapace di comprendere e di amare. La Parabola termina col rifiuto di questo fratello di entrare in casa e di unirsi alla festa: non ci dice se le parole del padre sono riuscite a farlo convinto. Resta dunque questo inter-rogativo pieno di infinita tristezza.

Non basta proprio sfiancarsi per gli altri quando il cuo-re resta di pietra e non affiora in esso la capacità di amare.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. La Parabola deve essere affrontata, come si diceva, con una particolare attenzione. È importante che nel gruppo ogni particolare sia messo in luce attivando coloro che sono pre-senti e raccogliendo tutte le sfumature che certamente essi saranno capaci di mettere in rilievo.

2. Si potrà poi procedere a raccogliere l'insegnamento della Parabola partendo da due punfi di vista: • ' ?

* quella del figlio giovane - Quali insegnamenti per la nostra vita spirituale e di fede raccogliamo dalla sua espe-rienza e dal suo rapporto col padre?

* quella del figlio "fedele": È evidente che Gesù adombra in esso le categorie dominanti in Israele, Scribi, Farisei, dottori della legge... Ma vi è in questa polemica di Gesù un atteggiamento di fondo che egli condanna. Quale? Co-me si manifesta nella nostra vita?

APPLICAZIONE ALLA VTFA

1. Parlare di ritorno al Padre, significa per noi oggi parla-re di un modo concreto di conversione, quello che si rea-lizza attraverso ilzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Sacramento della riconciliazione. È be-

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I ,A PARABOLA DEL FIGLIO 'FEDELE' E DEL FIGLIOL PRODIGOzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA S,

ne che non si lasci passare questo incontro senza doman-darci come ci poniamo davanti a questa offerta di perdo-no, a questo gesto sacramentalmente significativo offerto-ci da Cristo.

Difficoltà di principio e difficoltà pratiche devono esse-re portate alla luce e risolte.

2. Qualcuno ha detto: il più grande peccato è dubitare del-l'amore di Dio per noi. Come è vero questo!

«Anche il "no" dell'uomo può divenire un "sì" quan-do si sa che dietro la porta rimasta aperta vi è un cuore che non ha cessato di aspettare».zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA • iTÌVÌ; ;. J

4. Quando uno si sente con le carte in regola, e quindi ab-bastanza giusto, rischia di non riuscire più ad entrare nella casa del padre, dove si entra perché si è peccatori e si sa di esserlo. Chi si crede giusto ci si trova male, in "pessi-ma compagnia". , , ,,

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Come un programma di vita zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Le 13,6-9 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Il contesto in cui questa Parabola è collocata è un discorso severo di Gesù sulla conversione.

La conversione, da vivere o da confermare, è appunto il frutto finale e decisivo di questa nostra riflessione sul male dentro e fuori di noi.

Convertirsi significa dare una direzione nuova alla no-stra vita. Secondo l'insegnamento di Gesù la conversione è una scelta di vita: solo essa ci strappa alla morte, alla giustizia di Dio. Il tempo che noi viviamo è un tempo di misericordia, il tempo della "pazienza" di Dio. Noi vo-gliamo essere persone che non abusano di questa pazien-za. Dio non lo merita.

Alla luce di questo desiderio di conversione leggiamo dunque questa Parabola. La scena si svolge in una vigna. Il vignaiuolo è intento al suo lavoro, alla cura delle viti e delle piante da frutto. Viene il padrone della vigna ed è ben naturale che egli speri di tornare a casa portando frutti raccolti dalle sue piante. Il suo sguardo si ferma su un fi-co. Molte foglie, proprio come l'anno precedente, e anco-ra l'anno prima, ma a guardare bene tra le grosse foglie, non vi è un frutto. L'assenza dei frutti nei tre anni prece-denti ha radicato nel padrone l'attesa, che ora va nuova-mente delusa. La conclusione è logica ed è una sola: que-

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LA PARABOLA DEL FICO STERILE —

sta pianta sfrutta solo il terreno e getta ombra sopra le viti, che hanno bisogno di sole perché l'uva maturi.

Ed ecco la decisione: quella pianta deve essere tagliata; servirà almeno come legna da ardere.

Il vignaiuolo interviene per salvare la pianta. Forse è ne-cessaria una cura straordinaria. Bisogna tentare di tutto. In fondo una pianta è sempre una pianta e ci si mette tanto per farla crescere! Forse zappando intomo in modo che l'ac-qua penetri meglio nelle radici e mettendo del concime la pianta produrrà. Perché non tentare? Dopo se mai, si po-trà tagliarla.

Le cure di Dio su di noi si sprecano. Ma quali sono i nostri frutti? La nostra vita è sterile oppure i frutti sono presenti, abbondanti o meno?

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Può essere abbastanza difficile comprendere quali de-vono essere i frutti che giustificano il nostro dirci cristia-ni. Ma il fatto che non sempre sappiamo quali debbano essere questi frutti è un segno sufficiente a convincerci che proprio su questo dobbiamo interrogarci, sia a livello per-sonale come a livello comunitario. Chiediamoci dunque qua-li sono i frutti che Dio si aspetta da noi?

2. Verificare in questa riunione comunitaria quali sono le idee fondamentali che portiamo via da questa tappa, su Dio, su noi stessi e i nostri atteggiamenti, sul prossimo e sul modo di porci di fronte agli altri. Raccogliere queste idee è esat-tamente chiedersi quali sono i "frutti" della nostra ricerca.

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— COME UN PROGRAMMA DI VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

3. Ogni cristiano dovrebbe avere un programma di vita. Qual è questo programma per me?

4. Che cosa ci proponiamo come comunità? '

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Negli Esercizi Spirituali Sant'Ignazio parla di una "ri-forma" della vita che ciascuno di noi dovrebbe fare ed ag-giornare continuamente. Forse sarebbe bene che in un mo-mento di preghiera più prolungata nel tempo d'Avvento op-pure in un ritiro quaresimale questa riforma prenda corpo.

2. Si potrebbe anche consigliare di affrontare nella preghiera personale la riflessione sulla importanza delle opere che certificano l'autenticità della fede. A questo può venire in-contro molto bene il primo e il secondo capitolo della let-tera di Giacomo.

3. Introdurre e imparare la revisione di vita comunitaria può essere una cosa molto buona a questo punto. Essa ser-ve a verificare i "frutti" e quindi a renderci conto se noi siamo piante fruttifere o sterili nel grande campo di Dio.

Immaginando Cristo nostro Signore, dinanzi a me posto in croce, farò un colloquio: come da Creatore sia giunto a farsi uomo, e come dalla vita eterna sia venuto alla mor-te temporale, e così a morire per i miei peccati.

Ed altrettanto riflettendo su me stesso:

* CHE COSA HO FATTO PER CRISTO? ^ * CHE COSA FACCIO PER CRISTO? * CHE COSA DEVO FARE PER CRISTO?

(EE.SS. n. 53)

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TERZO SETTORE

UNA CHIAMATA NELLA MIA VITA

Dalla riflessione e dalla preghiera degli incontri prece-denti abbiamo potuto portare via, come un tesoro prezio-so, una visione nuova di noi stessi e di Dio. Abbiamo co-nosciuto i nostri peccati, ma abbiamo anche fatto esperienza dell'amore paziente e generoso di Dio.

E abbastanza naturale, se questa precedente fase è stata portata avanti con totale apertura di mente e di cuore, che affiori ora nel nostro spirito una domanda:zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Dio ha fatto tanto

per me: che cosa io ho fatto per Cristo, che cosa faccio,

che cosa devo fare per Cristo? (EE.SS. n. 53). Questa do-manda, che nasce spontanea alla fine della precedente tap-pa, ci apre ad una nuova (cfr At 9,12-21).

La reazione naturale all'amore di Dio diventa atteggia-mento di disponibilità al suo progetto: «Che cosa vuoi da me, o Signore?»

A questa nostra richiesta il Signore risponde presentan-doci Gesù, espressione perfetta del Padre. Come se Egli ci dicesse: Tu chiedi che cosa devi fare? Guarda al Cristo, fai quello che Lui ha fatto, vivi come Lui ha vissuto, abbi in te stesso gli stessi sentimenti che Egli ha avuto. In Lui troverai la risposta alla tua ricerca, la mia volontà su di te.

Si tratta di comprendere e verificare la nostra chiamata. Pochi sono quelli che vivono la loro vita come una chia-mata di Dio, anche tra coloro che possiamo definire "cri-

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UNA CHIAMATA NELLA MIA VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

stiani generosi". Molti pensano: io debbo essere fedele a Dio, debbo osservare certe norme che Egli mi prescrive.

Per queste persone il Signore è il "legislatore" severo che pretende una fedeltà a tutta prova, di cui si ha timore e davanti al quale non ci si può mai presentare sereni. Per questi la vita di fede è simile ad un grave peso da portare, sapendo che comunque si sarà sempre inadempienti. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Altra cosa è se si concepisce la vita come una ' 'chiama­

ta ' '. Il Signore che mi ha creato, e quindi mi ha voluto dal-l'eternità, il Cristo che mi ha redento, che è venuto a cer-carmi come il pastore cerca la pecora smarrita, mi associa ora al suo progetto: vuole farmi suo collaboratore per por-tare a tutti gli uomini la gioiosa scoperta della libertà, la buona notizia del Vangelo.

E evidente che questo comporterà alcune importanti con-dizioni: ma queste vengono accettate nella dinamica di un amore che vuole "condividere", di una risposta che non conosce ostacoli.

Lo scopo di queste riflessioni è quindi quello di com-prendere meglio la mia "vocazione". Per farlo è indispen-sabile conoscere piti profondamente Cristo, i suoi gusti, per meglio seguirlo: conoscere per amare e per servire.

Tutto questo nel clima naturale dell'amore. Prendiamo l'esempio di due persone che si amano profondamente a vicenda. Questo amore non si esprime necessariamente con le parole, ma con una '"presenza" ' reciproca, che talvolta si esprime anche con i gesti, ma che non vive solo di essi: è qualcosa che è ad una differente profondità.

Questa presenza d'amore porta pian piano ad una "'tra­

sformazione". Nel nostro caso si tratta di "indossare" Cri-

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TERZO SETTORE

sto, con i suoi criteri, i suoi valori, i suoi giudizi, la sua condotta .

Così noi siamo pian piano trasformati in Cristo: ma per-ché questo avvenga è necessario avere un cuore grande: ecco il Magis degli Esercizi ignaziani: e tradotto in un lin-guaggio più nostro potremmo dire che questo avviene se abbiamo un cuore che si butta in avanti.

Sul probelma del passaggio da una fede basata sulla os-servanza di norme, ad una fede vissuta come relazione al-la persona di Cristo e di Dio in genere, mi è parso utile suggerire una pagina del libro di Martini-Vanhoye, Bib-bia e vocazione. Ed, Morcelliana, 1982, che chiarifica molto bene questo passaggio partendo dalla vocazione del profe-ta Geremia.

, i ., FEDE OBLATIVA E ADOLESCENZIALE

La fede di un ragazzo che abbia uno sviluppo pienamen-te cristiano giunge ben presto a percepire la possibilità di fare qualcosa per Dio. E il momento degli atti generosi, del sacrificare qualcosa di sé per ciò che si è percepito della presenza di Dio nella propria vita. Questo aspetto ci fa pas-sare da una prima esperienza di tipo recettivo ad una espe-rienza di azione. Le proprie attività vengono a configurar-si come qualcosa che si fa per Dio.

Notiamo questo aspetto, nella vicenda di Geremia in quei passi chiamafi deuteronomistici per la particolare insisten-za, che in essi c'è, sulla Legge. Geremia ha questo aspetto dell'amore alla Legge: Legge che deve essere segno di una benedizione di Jahvé. A questo proposito è tipico il discorso sul Tempio che troviamo al cap. VII. In esso c'è un breve

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UNA CHIAMATA NELLA MIA VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

decalogo, una serie di impegni concreti. Non è più soltan-to un abbandono semplice e infantile a Dio, ma una serie di azioni responsabili. Tali azioni vengono colte in un qua-dro di premio e castigo. Geremia, come un adolescente, incomincia a capire che se si sacrifica, si impegna, allora potrà vivere un'esistenza degna di uomo; se invece si la-scia trascinare dalle passioni, piccole o grandi, che gli si mostrano, non potrà costruire la sua vita.

«Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste senten-ze tra un uomo e il suo avversario: se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete il san-gue innocente in questo luogo, e se non seguirete per vo-stra disgrazia altri dei, io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gio-verà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il fal-so, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non co-noscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! Per poi compiere tutti questi abomini» (Ger. 7,5-10).

L'insistenza è su di una energica riforma della condotta morale, perché soltanto in essa l'uomo può sperare di co-struirsi un avvenire, di rimanere in possesso dei beni che gli sono dati. Questo aspetto è molto importante nella vita di Geremia, che spesso annunzia castighi per l'infedeltà del popolo incapace di adempiere ai suoi obblighi e doveri.

C'è tuttavia, nell'esperienza religiosa di ciascuno, un du-plice rischio insito in questo momento dell'esperienza di

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TERZO SETTORE

Dio visto come Colui che chiede un impegno responsabi-le, soprattutto di tipo morale.

Il primo rischio è quello di costruire una religione del-l'osservanza e del merito. Una religione in cui il morali-smo sia r essenza che impedisce l'approfondimento della verità. Quindi questa esperienza, di per sé importante, se liioccata diventa limitativa e distrugge se stessa. Giungia-mo per questa via alla religiosità del figlio maggiore pre-sentatoci nella Parabola del Figliuol prodigo: egli ha una perfetta osservanza, ma la vive così male da non capire piìi il cuore del padre.

Il secondo rischio di questo moralismo assunto come uni-ca istanza religiosa, è che l'uomo facilmente si illude nelle proprie possibilità; crede di essere giusto perché compie alcuni atti di giustizia. Ma siccome non può essere giusto pienamente, concentra la sua giustizia su alcuni atti e di questi mena vanto come se si trattasse di atti che lo giusti-fichino pienamente.

Alcuni pongono questo vanto nel culto, nell'osservanza precisa di tutte le prescrizioni cultuali, nel pietismo, nella religiosità puramente legata a tutto ciò che è la cosiddetta «pratica cristiana», dimenticando tutte le loro ingiustizie mo-rali, sociali e politiche.

Una religiosità moralistica non potendo essere osserva-ta pienamente, in quanto l'uomo non riesce ad essere com-piutamente giusto in tutte le cose con le sue sole forze, fi-nisce sempre per concentrarsi su alcune poche cose e ren-derle come un assoluto. Per questo Geremia critica seve-rissimamente il culto nel Tempio che altre volte lui stesso esalta. Quando si accorge che il popolo pone la sua giusti-

Si

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UNA CHIAMATA NELLA MIA VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

zia nell'osservanza delle pratiche cultuali, allora egli de-nuncia questo come un bloccare lo sviluppo dinamico del-la religiosità, come un creare idoli. Ecco perché molte pa-gine di Geremia sono una requisitoria contro il culto e una denuncia di tutti i mali sociali, di tutte le ingiustizie, le op-pressioni del paese, affinché il popolo riconosca la propria ingiustizia davanti a Dio.

Questo è un momento difficile, spesso drammatico nel-lo sviluppo della coscienza di fede personale. Uno, con-statando che non riesce a essere all'altezza di tutte le pro-prie responsabilità, o dichiara ciò impossibile e allora ab-bandona la pratica religiosa e conduce una vita secondo i propri progetti; oppure limita ad alcuni settori la propria giustizia e con spirito farisaico si vanta di essa.

Molte pagine di Geremia possono essere citate a questo proposito come reazione a questo blocco della dinamica re-ligiosa. Per esempio Ger. 7,21-23: «Dice il Signore Dio degli eserciti, Dio di Israele: 'Aggiungete pure i vostri olo-causti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! In verità io non parlai né diedi comandi sull'olocausto e sul sacrifi-cio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d'Egit-to. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allo-ra io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e cam-minate sempre sulla strada che vi prescriverò perché siate felici».

Qui Geremia è al culmine della sua vocazione profetica, è colui che deve aiutare il popolo a compiere il passaggio da una religiosità delle opere al contatto personale con Dio. Da una religiosità cultuale alla religiosità del cuore, nella quale tutte le esperienze religiose precedenti vengono as-

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TERZO SETTORE

sommate e chiarificate nel rapporto personale con Javhé che si manifesta come amore. La missione di Geremia è quella di proclamare a Israele che non è la sua giustizia a farlo sopravvivere e risorgere ma l'amore di Dio.

«Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo an-

cora pietà.

Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, -4 " '

vergine di Israele.

Di nuovo ti ornerai dei tuoi tamburi ,^, e uscirai tra la danza dei festanti. Di nuovo pianterai vigne sulle colline di Samaria;

i piantatori, dopo aver piantato, raccoglieranno.

Verrà il giorno in cui grideranno le vedette

sulle montagne di Efraim: n- j .

Su, saliamo a Sion,

andiamo dal Signore nostro Dio»

(Ger 31,3-6)

L'esperienza di fede diviene, in questo momento, una esperienza del contatto, del rapporto pesonale dell'uomo con Dio che si manifesta come amore.

L'amore certamente era presente anche all'inizio nell'e-

sperienza infantile, ma non era ancora passato però per tutte

le prove della vita attraverso le quali verifica la propria in-

capacità personale a salvarsi. Il Geremia di ora diventa già evangelico, nel senso che,

come il Vangelo, propone una salvezza che non inizia dai meriti e dalle capacità umane, ma dall'amore di Dio. L'osservanza della Legge è importante, ma è solamente nel 83

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UNA CHIAMATA NELLA MIA VITA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

riconoscere l'amore di Dio che si manifesterà veramente un nuovo rapporto con Lui, la Nuova Alleanza.

«Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò la mia leg-ge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande, dice il Si-gnore; perché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricor-derò più dei loro peccati»

(Ger 31,33-34)

Geremia dunque raggiunge il culmine della sua vocazione nel far passare il popolo dall'esperienza dello scacco nel-l'osservanza della Legge, alla promessa di un nuovo tipo di rapporto personale con Dio, in cui Lui sarà in ciascuno e proporrà a tutti il cuore nuovo che darà la capacità di osservare la Legge e di viverla spontaneamente.

Paolo più tardi porterà a compimento nel Nuovo Testa-mento il messaggio di Geremia. Il rapporto personale di Geremia con il Dio dell'alleanza diventa nel Nuovo Testa-mento rapporto personale con Dio.

L'adolescenza coglie nell'amicizia col Cristo vivo la pie-nezza delle sue possibilità di espansione. Intuisce che Dio è tutto e che l'uomo è come un bambino nelle sue mani. Lo stato adolescenziale si sviluppa gradualmente così co-me gradualmente si è sviluppata l'esperienza degli Apo-stoli, i quali sono passati dall'esperienza pre-pasquale di Cristo amato profondamente come amico, come maestro, come Signore, come guida, all'esperienza post-pasquale nel-la quale hanno visto in Cristo il Signore della Chiesa.

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Dio chiama tutti e a tutte le ore zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Mt 20,1-16

' AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

La Parabola parte dalla presenza sulla piazza pubblica di operai disponibili per la libera contrattazione con un da-tore di lavoro. Questa scena comune in oriente e anche in molti paesi del meridione italiano, ci richiama alla preca-rietà della vita di molti lavoratori, che non avendo un im-piego fisso, vivono della loro giornata.

Secondo la Parabola il tempo del lavoro è limitato dalla luce del sole, dal suo sorgere al tramonto. Il salario gior-naliero è pattuito col datore di lavoro: normalmente il prezzo era di un danaro per una intera giornata, esattamente quel-lo che riceveranno i lavoratori del primo reclutamento.

Ma insieme con essi ve ne sono altri, che vengono ugual-mente invitati ad andare a lavorare nella vigna, benché l'ora di inizio sia sostanzialmente diversa: alcuni infatti vanno alle tre del pomeriggio, altri alle cinque.

Dobbiamo qui fare una precisazione: il cuore della Pa-rabola sta nella diversità della durata del lavoro e nella ri-compensa ricevuta. Al termine della giornata il padrone or-dina al suo fattore di pagare gli operai, ma con una dupli-ce accortezza: primo, di iniziare dagli ultimi reclutati, e, secondo, di dare a ciascuno un danaro: sembra quasi che il padrone di proposito voglia suscitare la reazione degli

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— DIO CHIAMA TUTTI E A TUTTE LE ORE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

operai della prima ora: se fossero stati pagati essi per pri-mi, forse non si sarebbero accorti di quella che essi repu-tano una ingiustizia nei loro riguardi.

Diciamo quindi che la Parabola potrebbe essere intitola-ta così: «Salario uguale per tutti per lavoro non uguale».

E poi l'insegnamento principale della Parabola: "Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Dio agisce con non uma-na liberalità, e pretendere di giudicare l'agire di Dio se-condo il nostro metro umano, questa è la vera ingiustizia.

Come in ogni Parabola in questa vi sono degli insegna-menti secondari, che hanno anche il loro peso. Non è ftio-ri luogo che noi li prendiamo in considerazione, visto che senza di essi la Parabola non sarebbe facilmente compren-sibile.

Uno di questi elementi è che //zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA padrone della vigna chia­

ma a tutte le ore. La sua preoccupazione principale sem-bra essere quella di uscire quasi in continuazione sulla piazza a vedere se vi sono persone che vogliono entrare nella sua ' vigna a lavorare. Tanto che nelle sue parole si scorge qua-si una venatura di rimprovero: "Perchè ve ne state tutto il giorno oziosi?". La risposta dei lavoratori è anch'essa significativa: "Nessuno ci ha preso a giornata". Questa piccola scena familiare serve a caratterizzare il padrone della vigna: si tratta di un padrone diverso da tutti gli altri. Sem-brerebbe che la sua condotta vada quasi contro i propri in-teressi: la vigna è importante, ma le persone lo sono di piìi. Si capisce questa condotta solo se nel padrone si scorge l'agire di Dio.

Così anche in questo particolare della Parabola noi ve-

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LA PARABOLA DEGLI OPERAI DELLA VIGNA -

diamo quello che è l'insegnamento principale: il padrone agisce portato dalla bontà, dalla cura verso queste persone. In questo senso quello che causa scandalo non è tanto la mancanza di giustizia quanto la coerenza della bontà. Ma la bontà, secondo la mentalità del padrone, giustifica que-sto genere di scandali.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Questa Parabola si presta molto bene alla "drammatiz-zazione", per cui, dove il gruppo sia sufficientemente li-bero e preparato, essa potrebbe essere un ottimo modo di presentare il brano evangelico, magari in due scene.

2. Si tratta di cogliere della Parabola tutti gli aspetti: i par-ticolari sono tutti importanti. Ma quello che nel nostro cam-mino acquista valore particolare è la diversità nei tempi della chiamata.

Quale significato concreto questa diversità assume nella Parabola e nella nostra vita? e;: • r;( ozyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ÌT; ;!;;•;:

3. Un altro passo importante è quello di identificare il rap-porto alla realtà della chiamata di ciascuno di noi. Sarà utile verificare se le persone del gruppo hanno sentito questa chia-mata, se sanno identificare il momento e le modalità con cui essa si è fatta sentire.

4. Se a causa della giovane età o per altri motivi, questo non fosse ancora avvenuto, potrebbe essere utile dedicare qualche tempo per capire cosa significa essere chiamati da Dio, come questa chiamata si manifesti etc. dando anche qualche strumento per saperla riconoscere o almeno per prepararsi a riconoscerla.

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3,4zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — DIO CHIAMA TUTTI E A TUTTE LE ORE

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Il Signore chiama tutti e a tutte le ore. Nel mio modo di pensare è forse presente l'idea che l'in-vito sia rivolto solo ad alcuni, ma non a tutti. Questa idea ci sembra confermata dal fatto che non tutti sono credenti. Questo modo di pensare è profondamente sbagliato e non è certo dar ragione alla bontà di Dio.

La chiamata di Dio è rivolta a tutti, e non ci sono tempi esclusi per questa chiamata. Il fatto è che Dio può chiama-re in vari modi, che spesso sfuggono alla mia osservazio-ne. I cristiani sono molti di piìi di quelli che vediamo nelle nostre chiese. Questo non significa che frequentare la chiesa sia cosa trascurabile o secondaria; ma ridurremmo a ben poco l'azione di Dio se pensassimo che Egli agisce solo per quelli che sono esternamente osservanti.

2. Questo ragionamento, che è confermato dalla nostra fe-de e anche dai documenti della chiesa, ci deve spingere ad essere pivi propositivi, ad avvicinare i "lontani": in essi Dio è all'opera: si tratta di dargli una mano con la nostra testimonianza di vita e anche con la nostra parola. In que-sto senso il padrone della vigna prende in prestito la no-stra voce e la nostra vita per far sentire la sua chiamata. Ecco un'applicazione di quella affermazione teologica che ci dice che la "chiesa è di sua natura missionaria". (Cfr ad esempio Lumen Gentium n.l7).

3. Nella nostra vita la chiamata fondamentale di Dio si con-cretizza e si specifica in diverse chiamate particolari, ad esempio quella dello stato di vita, quello professionale, quel-la del servizio, etc...

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LA PARABOLA DEGLI OPERAI DELLA VIGNA -a4

Si può dire che la nostra vita è piena di chiamate, tutte

espressione della fondamentale chiamata battesimale, di cui

abbiamo preso coscienza in un momento particolare della

nostra vita.

Occorre non vedere queste chiamate come qualcosa di separato rispetto alla chiamata di fede. In questo senso siamo stimolatizyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA a ricercare una unità di vita, realizzando quella integrazione di cui ci parlano anche i Principi Generali, (cfr PG.n.3).

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Gli invitati non ne furono degni ' zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testi evangelici di riferimento Le 14,15-24; Mt 22,1-15 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

•1 • zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Abbiamo davanti a noi due testi, quello di Luca e quello di Matteo, sostanzialmente uguali, ma con qualche parti-colare diverso e significiativo in ciascuno dei due.

Cominciamo da quello di Luca: il tema della Parabola è introdotto dalla esclamazione di un tale, che rifacendosi alle sue reminiscenze bibliche, prorompe in una esclama-zione dicendo "beato" chi potrà partecipare al grande ban-chetto escatologico del Regno (Lcl4,15).

Teniamo anche presente che la Parabola è pronunciata in un contesto del tutto particolare, estremamente effica-ce. L'evangelista ci dice che Gesù, entrato di sabato nella casa di uno dei capi dei Farisei, partecipa ad un banchetto. Sembra che Gesù cerchi in qualche modo "lo scontro" con la mentalità della gente che lo circonda: guarisce un idro-pico, osserva i commensali che vanno alla ricerca dei po-sti migliori, e non si trattiene dal fare commenti e dal dare insegnamenti. Tutte cose che attirano su di lui l'attenzione un po' risentita dei commensali. Ma questo invece di ren-dere più prudente Gesù, lo fanno anzi più deciso sulla li-nea di una salutare provocazione.

La Parabola è essenziale e drammatica: un uomo vuole dare una grande cena: non deve trattarsi di una persona qua-

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LA PARABOLA DELLA GRANDE CENA —

lunque se si può permettere una spesa così rilevante: all'o-ra della cena i servi vanno a ricordare agli invitati che tut-to è pronto. Ma queste persone, tutte del suo rango, hanno troppo da fare, sono così impegante nelle loro cose, che non resta loro altro da fare che declinare l'invito. A due riprese il padrone, giustamente irritato, manda allora ad invitare alla cena gente di basso rango, il resto di una uma-nità raccattata per le vie e le piazze della città, storpi, zop-pi, povera gente sbandata. E poiché c'è ancora posto, la gente viene cercata anche lungo le siepi (sembra quasi si tratti di gente buttata via e abbandonata come inutile e ri-buttante!) e viene anche usata una specie di amorevole for-zatura come per vincere l'esitazione di chi fosse incline a rifiutare l'invito preso dalla coscienza della propria inde-gnità.

Nel racconto di Matteo, la Parabola si arricchisce di al-cuni particolari, che é utile non trascurare. Colui che dà il banchetto è un Re: la grandezza del personagio aiuta da una parte la comprensione della Parabola stessa (il Re è Dio), e dall'altra fa apparire in modo ancora più chiaro il peso del rifiuto da parte degli invitati.

Un secondo particolare è che questi invitati non si limi-tano alla scortesia. Essi arrivano persino ad esprimere osti-lità verso il Re che li ha invitati, maltrattando i servi che hanno portato l'invito, malmenandoli ed arrivando persi-no ad ucciderne alcuni. È il segno chiaro di una ribellio-ne, è il cercare appositamente la provocazione ed il re sa mettere in atto una risposta adeguata: gli assassini ribelli vengono passati a fil di spada e, secondo la logica della repressione più severa, le loro città vengono date alle fiam-

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— GLI INVITATI NON NE FURONO DEGNI zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

me. Ultimo particolare da osservare è quello di un tale che viene scoperto senza l'abito nuziale. Questo particolare di Matteo ci sorprende, perché non si riscontra questo uso presso gli Ebrei in occasione delle nozze. Dobbiamo quin-di pensare che questo particolare sia stato introdotto dal-l'Evangelista per significare un qualche cosa che egli rite-neva importante far comprendere nella prima comunità cri-stiana: gli studiosi sono propensi a vedere nella veste nu-ziale le opere della giustizia che devono sempre accompa-gnare la fede. Questo spiegherebbe il fatto che il commen-sale possa essere colpevolizzato e gettato fuori. La fede che apre le porte del Regno non può essere una fede solo teo-rica, deve essere comprovata dalla vita.

L'insegnamento della Parabola ha due versanti: uno molto particolare riferito ad Israele, ed uno più generale che ri-guarda tutti gli uomini. ; si i<

Per quanto riguarda il primo versante, la polemica ver-so la classe dirigente è evidente. Queste persone, che si ritengono giuste, che trattano Dio da pari a pari, che si sen-tono depositarie di una verità con la quale pensano di po-ter imbrigliare l'azione di Dio, sono escluse, anzi si auto-escludono dal Regno. E le porte si aprono invece a colo-ro, che, sentendosi "nw/Za", sanno ricevere il Regno con quella autenticità che gli è propria cioè quella del dono as-soluto gratuito ed insperato.

A noi più propriamente interessa l'altro versante, quel-lo generale, quello per cui la Parabola conserva tutto il suo valore dirompente.

Il Regno, la sequela del Cristo, è, come l'invito ad un banchetto, una chiamata fondata sulla libertà di Dio e sul-

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LA PARABOLA DELLA GRANDE CENA —

la libertà dell'uomo. Questi due elementi di libertà che ri-troviamo anche nel Vangelo di Marco, al capitolo terzo (chiamò a se quelli che volle ed essi vennero a lui) quando si tratta della chiamata dei dodici, deve essere percepita con solare chiarezza e ricevuta come dono. Nessuno può arrogarsi il diritto di entrarvi.

La Parabola sembra tracciare una linea di divisione tra gli uomini. Da una parte quelli che hanno tutto nella vita, o che credono di aver tutto: beni materiali, qualità umane, sicurezza, tanta sicurezza che consente loro di non sentirsi mai in difficoltà, di sapere tutto, di fare tutto al momento opportuno, anche giudicare l'agire di Dio...

La voce che li invita al banchetto, cade per loro nel

vuoto...

che cosa ci può essere di più importante di ciò che essi hanno pensato e deciso di fare? Troppo preoccupati delle loro cose, pieni di se stessi, essi sono incapaci di accogliere la vera ricchezza.

Dall'altro lato si trovano quelli che non hanno nulla, o se hanno è come se non avessero. Il non avere nulla non è prioritariamente ed essenzialmente il non possedere, non avere tra mano cose o possibilità di qualsiasi genere. Si tratta prima di tutto di un atteggiamento interiore raffigu-rabile parte nella giusta valutazione delle cose e nella rela-tivizzazione di esse, parte nella libertà che ne deriva. Per-sone che accettano l'invito senza calcolare, che danno senza tenere aggiornati i libri della contabilità. Abituate al dono sanno comprendere il valore di ciò che viene loro offerto da Dio. Queste sono le persone che possono andare alla festa del regno.

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a. §zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA GLI INVITATI NON NE FURONO DEGNI zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Molti sono i legami che impediscono di accogliere il Ren-go di Dio con libertà: le mentalità, i privilegi assaporati e difesi, le preoccupazioni culturali, le logiche di mondo ripiegato su se stesso... zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Ci appare così chiaro che una delle condizioni fonda­mentali per seguire la proposta del Regno, è la libertà del cuore.

Non a caso negli Esercizi Spirituali la meditazione del Regno viene considerata come un secondo "Principio e Fondamento", che pone le basi per la seconda, la terza e la quarta settimana.

Solo che ora la libertà di spirito si pone non solo come equilibrio nel nostro aderire alle cose, nell'uso di esse, ma come spinta propulsiva per aderire al progetto di Dio, per affidarsi alla persona del Cristo.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. La guida del gruppo aiuti, con una piccola scheda bibli-ca, a comprendere l'esatto significato del "Regno", un con-cetto non sempre facile per le persone dei giorni nostri.

2. Un primo punto che può essere oggetto di una condivi-sione è il significato dell'invito. Un invito è come uno scri-gno, racchiude in se molte cose preziose: provare a sco-prirne il significato, applicando poi a Dio e al suo invito quanto viene scoperto.

3. // banchetto: che valore ha nella Parabola, nella nostra simbologia? Applicare al senso della chiamata (Cfr Me 3,13).

4. Individuare quali sono gli atteggiamenti che mi esclu-

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LA PARABOLA DELLA GRANDE CENA —

dono dal Regno, nella mia vita, e quali lo favoriscono. (Bi-sogna scendere nei particolari perché spesso nella nostra vita ci sono delle realtà che noi diamo per scontate e che invece sono da mettere in discussione proprio dal punto di vista del Regno: es. piccole o grandi presunzioni, menta-lità radicate nel nostro ambiente, etc).

5. Quali gli atteggiamenti interiori che favoriscono l'acco-glienza del Regno nella mia vita?

6. Ci sono delle categorie di persone che mi pare siano oggi nelle condizioni di aprirsi più facilmente al Regno?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. È bene che ci confermiamo nella ricerca di una vera li-bertà. Abbiamo detto nelle nostre riflessioni precedenti che Dio vuole essere amato da uomini liberi: questo significa nel concreto non solamente che Dio chiede, nella sua ge-losia divina, che non vi siano delle cose che si antepongo-no a lui, ma vuole anche che la nostra scelta del Regno sia una libera espressione del nostro amore verso di Lui. Diamo pure alla parola "amore" tutti i connotati che sia-mo soliti dare a questa parola e chiediamoci se veramente Dio è amato da noi, se Cristo è davvero oggetto della no-stra preferenza.

2. Alcuni degli invitati secondo il racconto di Matteo non solo trattano male i servi che portano l'invito, ma addirit-tura li sopprimono. Questa storia non è un eccesso fuori posto nella Parabola. In realtà così è accaduto per molti che annunciavano le chiamate di Dio nella storia. Chi pre-sta la voce a Dio non ha mai vita facile.

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— GLI INVITATI NON NE FURONO DEGNI zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Ma questo ha un suo senso anche nella nostra vita per-sonale. Noi in qualche modo "uccidiamo" coloro che ci ricordano le esigenze di Dio, prendendo le distanze da lo-ro. Siamo molto abili nel "selezionare" le persone e nel difendere il nostro "status quo". Ma accade anche che "uc-cidiamo" le voci che risuonano dentro di noi e che sono "chiamate" di Dio ad una maggiore fedeltà nel seguire il Regno nella nostra vita.

Forse è bene pensare anche a questo.

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Calcolare il rischio zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Le 14,28-32

^ * AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Il testo che abbiamo davanti agli occhi è composto da due piccole Parabole. Ambedue hanno come obiettivo quello di sottolineare le esigenze della sequela di Gesìi.

Sono ambedue delle Parabole molto chiare, che si im-pongono per la loro semplicità e immediatezza. *: '

Gioverà soprattutto per queste due Parabole vedere in quale contesto Gesù le ha poste. C'è molta gente che at-tratta dal giovane Rabbi di Nazareth si mette ad andargli dietro, a seguirlo. La scena è di una efficacia straordina-ria: vediamo questo Gesù accelerare il passo e la gente dietro a lui. Poi Gesù si volta e proferisce parole che sono in gra-do di scoraggiare chiunque non abbia convinzioni profon-de neirandargli dietro: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, sua moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo" (Le 14,25-27).

Proprio per far comprender meglio questa sentenza se-vera, Gesù aggiunge queste due Parabole. Vediamole.

La prima parla di un tale che vuole costruire una torre. La Parabola è coinvolgente: Gesù si richiama alla ragio-

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a. SzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — CALCOLARE IL RISCHIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

nevolezza di ciascuno degli ascoltatori: "Chi di voi, vo-lendo costruire una torre...".

La cosa piti sensata da fare è di "fare un preventivo del-le spese", in modo da rendersi conto se il progetto è rea-lizzabile, se ci sono i fondi necessari. Solo in caso di una verifica positiva si procederà all'inizio dei lavori. Non te-nere conto di questo elemento esporrebbe la persona alla derisione: potrebbe forse dare inizio alla costruzione ma non potrebbe portarla a termine. E così quanti passano da-vanti a questa opera lasciata a metà, diranno la loro deri-sione.

La seconda Parabola ci presenta una scena diversa. Si tratta di un re che sta per marciare in guerra contro un al-tro re. La consistenza delle sue truppe è di diecimila uo-mini. Egli si trova quindi a considerare l'opportunità di pro-seguire nell'offensiva, dato che il suo avversario può av-valersi di un esercito di ventimila unità. Egli è ancora in tempo: si tratta di vedere se non sia opportuno mandare dei messaggeri per intavolare accordi di pace...

Le Parabole rimandano al calcolo e alla scaltrezza di cui si fa uso nelle cose di questo mondo. Su questo sfondo è presentato il tema del discepolo che vuole seguire Cri-sto. Si tratta di una impresa dura e rischiosa: perciò colui che decide di seguire Gesù deve essere molto accorto nel-la valutazione delle proprie forze, dei doveri che si assu-me e dei rischi che corre.

È chiaro quello che Gesù vuole dirci: l'impegno di se-guirlo non può essere preso alla leggera, senza darsi conto che siamo chiamati alla fatica. Sembra qui di risentire il

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LA PARABOLA DELLA TORRE E DELLA GUERRA -

discorso del Re Eterno nella meditazione del Regno negli Esercizi Spirituali.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Se nella Parabola precedente (banchetto) la condizione per entrare nel Regno era la libertà, qui in queste due Pa-rabole quale sembra essere la condizione o le condizioni poste da Gesù? 2. In che senso il "calcolo" messo in luce dalle Parabole per i comportamenti umani può essere trasferito nel cam-po della sequela di Gesù? 3. Sembrerebbe che la sequela esiga una "maturità di de-cisione". Quali strumenti aiutano a raggiungerla?

4. Posso dire che il mio modo di seguire Cristo è frutto di una matura riflessione? So a quali rischi e rinunce sono chiamato?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. L'impegno a seguire Gesù è l'affare più importante della nostra vita. Questa è la torre che dobbiamo costruire, la guerra che dobbiamo combattere e vincere, sia come per-sone che come comunità. Occorre essere onesti. Se rite-niamo che al prezzo indicato da Gesù non valga la pena costruire la torre né vincere la guerra, allora tanto vale che confessiamo semplicemente che non intendiamo essere di-scepoli di Gesù. 2. Quale dunque la condizione prima che Gesù pone? Ec-cola: Chi non prende la propria croce e non viene dietro

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B.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — CALCOLARE IL RISCHIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

a me non può essere mio discepolo. Questo significa che non vi è altra legge in questa impresa che quella del Cri-sto, la sua offerta di speranza agli uomini, il suo cammino di verità. Questo è il costo dell'essere cristiani.

3. Questa legge fondamentale poggia a sua volta su due condizioni: zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

La prima è "l'odio" dei propri familiari. Questa Para-bola di Gesìi ha suscitato la sorpresa e lo scandalo di tante persone. Ma non per questo possiamo cancellarla dal Van-gelo. Per "famiglia" qui Gesù intende il clan familiare nel, quale si vive, i vincoli di carne e di sangue, le esigenze di gruppi particolari, le appartenenze più o meno motiva-te. Chiudersi nell'amore di queste realtà (vincoli di ogni genere che danno sicurezza solo alla nostra vita) vuol dire dare all'egoismo una etichetta d'amore. Cristo vuole un amore che superi ogni frontiera: per questo egli offre il suo amore a tutti ma soprattutto a coloro che nessuno ama. Solo seguendo il suo esempio di amore universale, cercando il bene di tutti, noi abbattiamo le frontiere della indifferenza e dell'odio. In questo amore aperto può e deve entrare an-che l'amore ai propri familiari, ma esso non può essere esclusivo.

La seconda condizione è la rinuncia ai propri beni. Ri-nunciare ai propri beni non vuol necessariamente dire vi-vere fuori del mondo e disinteressarsi di esso. Rinunziare vuol dire mettere tutto nella direzione del Regno, fare dei propri beni uno strumento che porti alla comunione con gli altri e soprattutto con i bisognosi, non al soddisfacimento del proprio egoismo e all'allontanamento degli altri.

A queste condizioni di coraggio, di apertura, di altrui-smo ci si mette sulla via percorsa da Gesù.

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Accettare i tempi di Dio zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Me 4,26-29

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Il Regno di Dio si fa nella storia. Per questo è necessa-ria la collaborazione umana, seria, costante, fiduciosa. Ma Gesù in questa piccola Parabola sembra voler ricordare che l'azione di Dio è sempre prioritaria. Ogni volontarismo umano cade davanti al mistero dell'azione e dei tempi di Dio.

Così ha vissuto Gesù. Egli ha vissuto la sua esperienza umana dedicata alla salvezza dell'uomo, abbandonandosi totalmente alla volontà del Padre. La sua ora egli l'ha atte-sa nel rispetto del disegno del Padre: non vi è stata altra tensione in lui che quella di fare la volontà di Colui che lo aveva mandato "Io faccio sempre le cose che piacciono a Lui".zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA V ...i„„ , . >

Questa Parabola dunque parla del seme che cresce, affi-dato alla terra, senza che l'agricoltore possa influire in que-sta crescita. L'azione misteriosa del seme che si trasforma in stelo e spiga è ancora sottolineata dal fatto che nulla si dice della azione dell'agricoltore per preparare il terreno, come l'aratura, o la sarchiatura del terreno stesso. Neppu-re dopo la seminagione egli, così come la Parabola è det-ta, interviene per assecondare il felice esito della semina: non si parla della siccità, non si parla del mal tempo. For-

ici

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11 zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — ACCETTARE I TEMPI DI DIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

se perchè questi fenomeni in Palestina ai tempi di Gesù era-no totalmente incontrollabili da parte di ogni solerzia umana.

Questo agricoltore anzi sembra attendere in assoluta tran-quillità l'evento del raccolto. Solo quando giunge questo tempo la sua azione riprende, ma per raccogliere i frutti.

Il Regno di Dio è quindi una iniziativa eminentemente divina: essa si serve della collaborazione umana, la quale non può e non deve tuttavia forzare i tempi e le modalità del processo di crescita del Regno.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Non bisogna dimenticare sotto quale titolo abbiamo po-sto questa Parabola, e ci pare non forzatamente: si tratta di modellare la nostra vita su Cristo. Sotto questa ottica deve essere impostata e muoversi la riunione.

2. E abbastanza naturale che tutti ma soprattutto i giovani, pensando al Regno e al loro impegno in esso, vogliano non solo affrettare i tempi ma verificare risultati immediati. En-trare nel Regno significa invece affidare tutto a Dio, lavo-rare intensamente e disinteressatamente, lasciando che il Signore stabilisca i tempi di maturazione.

3. Nella riunione, partendo da queste affermazioni, ci si può interrogare sulla propria vita personale, perché è in noi che si realizza prima che altrove il Regno di Dio: so accettare i tempi del Signore? Quale fiducia ripongo in Lui? Quale uso faccio dei mezzi soprannaturali? Nei miei sco-raggiamenti, così frequenti, non vi è forse eccessiva fidu-cia in me stesso e nei mezzi umani?

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LA PARABOLAzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA r.^.^r.RicoLTORE PAZIENTE - H

4. Nel mio rapporto con gli altri, sia pure portato dal desi-derio di renderli migliori e di cambiare in meglio il mon-do, non vi è un forzare i tempi delle persone? So rispettare la libertà degli altri?

5. Nella valutazione degli eventi, più o meno grandi, qua-

le fiducia esprimo?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Il Regno sta maturando in me. Forse io non me ne so rendere conto, né importa molto che io lo sappia. È im-portante che lo creda. Altrimenti il Signore starebbe ozio-so in me. Ma questo non sarebbe più il Signore.

2. C'è chi semina e c'è chi miete, ci ricorda San Paolo. A me il Signore ha rivolto un invito perché io semini con Lui. Forse mieterò anche, ma di quello che io non ho se-minato. Altri mieteranno quello che io semino. Questa è la logica del Regno. Evidentemente la logica di Dio non è la logica della produzione, dei riscontri immediati, della catena di montaggio. ' 3. Il campo di Dio è il mondo, il cuore di ogni uomo. È bello pensare che qualcosa sta avvenendo per opera sua negli altri anche quando io non vedo. È importante che io impa-ri a favorire non a disturbare l'opera di Dio.

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Dal piccolo al grande zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Me 4,30-32 ' '•'

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Se la prima regola del regno si poteva riassumere nella espressione "I nostri tempi non sono i tempi di Dio", questa seconda regola può essere enunciata così: "Dio agisce sem-pre dal piccolo al grande", portando cioè a compimento ciò che di buono vi è in noi e nel mondo, indipendente-mente dalla entità di questo bene.

La Parabola evidenzia di conseguenza la capacità di cre-scita del Regno di Dio.

Si tratta di un granellino di senape, che è il più piccolo tra tutti i semi, come osserva Gesù, ma esso si trasforma in un albero "più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra".

Proviamo a pensare che cosa potesse significare per la prima comunità cristiana questa Parabola. Posta in mezzo ad un mondo pagano, proprio come un piccolo seme, essa traeva da questa parola del maestro il motivo della propria speranza.

Di conseguenza non vi era posto in questa nascente co-munità per il pessimismo, per la considerazione deprimente della propria pochezza e povertà di mezzi. Anzi da questa inadeguatezza nasceva in loro la coscienza che l'opera era "gestita" solo da Dio.

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LA PARABOLA DEL CHICCO DI SENAPAzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA — 3,0

La comunità cristiana oggi vive in una situazione che per certi aspetti non trascurabili è assai vicina a quella della prima comunità. Essa si trova a proclamare e a vivere una parola che non ha accesso presso la mentalità del mondo d'oggi. I valori proposti dal Vangelo non fanno presa sul-la massa delle persone, o almeno così sembra. Senza in-dulgere a false nostalgie, si può dire che oggi non viviamo più in una società cristianizzata ma secolarizzata. Dobbia-mo prenderne atto. Siamo chiamati ad andare contro cor-rente.

Ma non per questo dobbiamo lasciarci prendere dal ti-more e dalla rassegnazione. Se crediamo vero che la si-tuazione nostra è simile a quella dei primi cristiani, dob-biamo anche essere convinti che da questo piccolo "resto" che è la comunità cristiana può nascere una nuova "im-plantatio evangelica", per esprimerci con le parole dei Ve-scovi dopo Loreto. La diffusione dell'annuncio evangeli-co la prima volta non fu esente da connessioni di tipo umano e politico: basti pensare alla famosa era costantiniana. Oggi questa nuova crescita del Vangelo passa attraverso altre vie, altri metodi, in particolare quello della crescita delle co-scienze, quello della riappropriazione di valori che sono insieme profondamente umani e cristiani. A questo il mondo è pronto.

La sicurezza che il Vangelo ha un suo futuro, nonostan-te le apparenze, non deve tuttavia portarci ad interpretare la Parabola in chiave mondana, quasi che dobbiamo spe-rare un «trionfo» della fede, l'affermarsi di una «cristiani-tà terrena». «Il regno di Dio viene con potenza» dice Gesù (Me 9,1), ma questa affermazione del Regno in modo to-tale è escatologica, riguarda gli ultimi tempi, che sono nella

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fi© —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA DAL PICCOLO AL GRANDE zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

prescienza di Dio. A noi spetta «rimboccarci le maniche» e lavorare nella speranza, perché questo nostro tempo è il terreno su cui il Signore la vuole seminare e far crescere.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE Ì • ; , ;

1. Quale nuova dimensione porta nella mia vita personale e nella mia comunità, questa Parabola di Gesù?

2. Nella nostra vita apostolica certamente sono presenti mol-te piccole cose: come possiamo fare in modo che queste piccole cose diventino, per l'azione di Dio, cose importanti?

3. Vogliamo per un momento pensare a chi potrebbero es-sere quegli uccelli del cielo che trovano sollievo nella no-stra comunità?

4. C'è qualche realtà personale e comunitaria nella quale ho sperimentato questo «evento» della crescita e della uti-lità per gli altri?

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APPLICAZIONE ALLA VITA '

1. Valorizzare le piccole cose. È straordinariamente de-viarne il nostro «sensazionalismo» attivo e passivo. Prova-re a scoprire il «piccolo bene feriale» della nostra esisten-za per realizzarlo meglio.

2. In me vi sono delle potenzialità: forse non le ho mai sco-perte, forse non le ho mai apprezzate, forse non sono mai state apprezzate dagli altri. Sarebbe bello e utile per il Re-gno rendersene conto m/em.

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Una manciata di lievito zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Mt 13,33

. • AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA

Un pugno di lievito fa fermentare una quantità di farina che darebbe pane a più di cento persone. Ecco la realtà, la concretezza di questa Parabola.

Non vi è molto da dire su di essa: la sua comprensione è immediata. La gente che ascoltava Gesù aveva esperien-za di questo fatto che ha proprio il sapore del pane fatto in casa. Una volta alla settimana, generalmente al giovedì sera, le donne di casa mettevano il lievito in una quantità di farina che bastasse a fare il pane per tutta la settimana. Al venerdì mattina, la farina era pronta: ci si alzava molto presto e a metà della mattinata il pane veniva sfornato ed era pronto per essere consumato presto alla mattina del sa-bato, giorno di festa e di riposo.

Quello che attira l'attenzione di Gesù è la sproporzione tra la esigua quantità del fermento e la grande massa della pasta che esso è destinato a far fermentare.

Così, dice Gesù alla gente che lo ascoltava, è anche nel Regno di Dio. Gli inizi sono quasi impercettibili, ma lo sviluppo sarà straordinario, positivamente sproporzionato.

Anche per questa Parabola è importante che ricordiamo l'ottica particolare sotto cui la inquadriamo e cioè il no-stro modellare la vita sull'esempio del Cristo.

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flS>zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA UNA MANCIATA DI LIEVITO

In realtà tutta la vita di Gesti può essere paragonata alla manciata di lievito. Nei suoi 33 anni di vita Gesù ha scelto il nascondimento per trenta anni, in un villaggio sconosciuto della Palestina. Per gli altri tre anni Egli non ha cercato pubblicità e notorietà (ricordiamo che Gesù si sottraeva ad ogni tentativo di esaltazione umana), non è uscito se non per brevissimi periodi di tempo dai confini del suo paese, ha rifiutato la via del sensazionale, del miracolistico. (Cfr. le tentazioni all'inizio della vita pubblica).

Questa è l'opzione che Gesù propone anche a noi. Que-sto ci ricorda la Parabola della manciata di lievito che fa fermentare tutta la pasta.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. L'immagine del lievito ci dice molte cose: chiediamoci che cosa si nasconde per noi in questa immagine. Cosa fa che il lievito sia veramente lievito? Che cosa è rappresen-tato dalla massa di farina?

2. Quali caratteristiche l'immagine del lievito sembra vo-ler dare alla nostra presenza nel mondo, al nostro aposto-lato, alla nostra testimonianza?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Si potrebbe riflettere (personalmente e in gruppo) sulla scia di questa Parabola, circa il nostro rapporto con il mon-do. Non v'è dubbio che la nostra fede ci chiama a vivere insieme agli altri uomini tutte le sfide e gli impegni attra-verso i quali si costruisce la città dell'uomo. In questo senso non siamo né diversi né migliori. Ma è anche importante

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LA PARABOLA DEL LIEVITO —zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA t

che sotto un altro punto di vista percepiamo la nostra di-versità. Se il lievito diventa farina non ha più alcuna pos-sibilità di cambiare la massa: esso stesso è massa. 2. La logica nella quale vive il crisfiano è quella enunciata da questa Parabola. In un certo senso si può assimilare a questa figura anche quella del sale, che Gesù usa in altra parte del Vangelo. È nella logica di Dio che vi sia una spro-porzione tra lievito e farina, tra sale e quantità di cibo da rendere gustoso. Ho sentito dire da qualcuno che Dio chia-ma ad essere sale, non ha fare del mondo una immensa sa-liera. È tutto questo mi pare vero se si vuole dire che non c'è bisogno di «teocrazie» per instaurare il Regno di Dio. Il mondo non deve essere una immensa massa di lievito, ma il lievito non ha senso se la farina non diventa pane. 3. Gesù in altri passi del Vangelo parla del «lievito dei Fa-risei», cioè del loro spirito, della sostanza della loro men-talità e concezione. Non esiste quindi solo il lievito di Ge-sù, esistono anche altri lieviti. E importante che il cristia-no conservi la sua autenticità, che non cambi la sua natura assimilandosi ad altri lieviti. Per il discepolo di Gesù iso-larsi dal mondo, o non concepire la vita sotto questa pro-spettiva del lievito porterà immancabilmente alla fermen-tazione della pasta da parte di altri lieviti che non sempre sono per il bene dell'uomo. '

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Un uomo ferito sulla strada zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Le 10,25-37

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA ' ' ,!,.•( zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Il racconto è noto a tutti. Non sarà quindi necessario che ci fermiamo a riproporlo.

Gioverà invece vedere con attenzione in quale contesto esso è nato. Si tratta di un contesto «conflittuale». Un dot-tore della legge si alza perzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA «mettere alla prova» Gesù, e gli chiede che cosa deve fare per avere la vita eterna.

Mettere alla prova significa «tentare» conoscere la vera realtà, verificare. Questo dottore della legge quindi non è tanto interessato a farsi idee chiare sulla vita eterna, quan-to sulla vera natura di Gesù. Chi è questo Gesù? La stessa domanda si fa anche il tentatore, e anch'egli mette alla prova Gesù nel suo ritiro di quaranta giorni nel deserto. Anche gli Apostoli si domanderanno: «Chi è mai costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?», quando Gesù pla-cherà la tempesta sul lago. E infine Gesù stesso chiederà ai suoi amici una verifica di ciò che la gente pensa di Lui: «Chi dice la gente che io sia?» (cfr Mt 16).

La Parabola è dunque cristologica. Il samaritano è Ge-sù: nel suo amore si rivela e si realizza l'amore di Dio per l'uomo.

Vediamo anche alcuni particolari della Parabola e pri-ma di tutto qualcosa sulla Strada che porta da Gerusalem-

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LA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO — ^®

me a Gerico. Era una strada pericolosa perché passava nelle propaggini del deserto di Giuda. E vero che si trattava di un'arteria di grande comunicazione, essendo la via che col-legava, attraverso Gerico, Gerusalemme al mare e preci-samente al porto di Cesarea Marittima. Ma il fatto che pas-sasse attraverso il deserto la rendeva luogo esposto a in-cursioni di banditi e di nazionalisti: le cronache del tempo dovevano portare molti di questi fatti. Forse anche a que-sto particolare sono collegabili i comportamenti del sacer-dote e del levita: avevano paura a compromettersi: magari gli assalitori potevano essere ancora vicini: non vi era al-tro da fare che accelerare il passo.

Gerico era città importante, per la sua abbondanza di ac-que (ancora oggi è un'oasi incredibile) ma anche perché vi risiedeva una forte guarnigione romana e molti sacer-doti. Le sue produzioni di ogni tipo ne facevano una città di benessere.

I comportamenti del sacerdote e del levita forse erano anche giustificati da motivi rituali: essi avevano paura di contaminarsi perché l'avvicinare un cadavere (e tale pote-va sembrare il ferito) procurava impurità e impediva di poter celebrare i riti sacri. Questo sembrerebbe giustificare il per-ché uno di loro passi addirittura dall'altro bordo della strada.

Di altri particolari potrebbe essere bene fare una verifi-ca in gruppo e pertanto li tralasciamo in questo punto.

Condividere le scelte e la missione di Cristo significa vi-vere la Parabola del buon Samaritano. Il dottore della leg-ge sa amare Dio, ma non sa che contenuto dare all'amore del prossimo. Gesù insegna che la vita etema consiste nel non distruggere l'amore di Dio e quello dei fratelli. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

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UN UOMO FERITO SULLA STRADA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Il modo poi di amare il prossimo consiste nell'aiutare chiunque sia in necessità, chiunque soffre per qualsiasi ge-nere di dolore o di emarginazione. Che l'uomo sia assalito dai banditi, non ha importanza. Questo ferito sulla strada è il simbolo di tutte le persone che soffrono giustamente o ingiustamente, per motivi «giusti» o senza motivo.

Gesti capovolge la domanda del dottore: Egli ha chiesto «Chi è il mio prossimo?» quasi mettendo una distanza tra lui e i fratelli. Gesù alla fine della Parabola gli chiede: «Chi ti pare prossùno per questo uomo?», mettendo così il pros-simo dentro il cuore di ciascuno. Prossimo è colui o colo-ro che noi siamo capaci di portare dentro il nostro cuore.

Aggiungiamo infine alcune note che ci possono aiutare ad entrare meglio nella Parabola.

* In essa si respira una aria molto «anti-rituale». Se i due religiosi non sanno soccorrere il ferito questo significa che anche il loro amore di Dio non è autentico e che tutta la loro esistenza religiosa rischia di essere un falso.

* La Parabola del buon Samaritano, divenendo norma di condotta pone anche un nuovo fondamento del concetto evangelico di umanità. Le barriere di razza e di religione sono superate. Quello che conta è che l'amore sia vera-mente impegnato, che si paghi di persona.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. Consigliamo di rendersi conto di ogni particolare della Parabola. Ne segnaliamo alcuni oltre a quelli su cui ci si è già fermati:zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA Un uomo: cosa significa questa espressio-ne? Samaritano: Quale significato assume il fatto che il soc-

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LA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO - ^®

corritore fosse un samaritano? Il soccorso portato: quale entità esso ha, e cosa significa nel nostro contesto spirituale?

2. Chiarirsi bene il rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo: ci si può riferire ad altri testi biblici, come ad esempio, la lettera di Giacomo o le lettere di Giovanni.

3. Come incarnare nella vita lo spirito del buon Samaritano? Quali atteggiamenti interiori bisogna coltivare?

4. Quali sono i piccoli o grandi razzismi che mi impedi-scono di andare agli altri con apertura e amore? ^

5. Vi è nella mia religiosità il pericolo che invece di dive-nire motivo di contatto e di amore, divenga fonte di divi-sione e di esclusioni?

6. Chi è l'uomo ferito nel mio ambiente?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Il racconto ci immerge nel contesto della vita quotidia-na: il nostro amore per il prossimo si gioca nella usualità della vita e nel campo delle relazioni interpersonali.

2. Vivere il regno significa sia per la chiesa come per me personalmente vivere lo spirito del Buon Samaritano co-me «missione», cioè come compito principale che Dio mi affida nel mondo.

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Page 66: Libretto v3 cropped rotaz

QUARTO SETTORE

LA VITA SOTTO IL SEGNO DELLA PASQUA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Se una persona o una comunità hanno seguito questo cam-mino con fedeltà e impegno fino ad ora, non si può dubbi-tare che qualcosa di veramente importante sia avvenuto. E questo non tanto in forza degli strumenti umani, sia pu-re validi, come il testo guida, l'animatore del gruppo, etc, ma per l'efficacia della grazia che sempre produce frutti abbondanti in coloro che accolgono la Parola in un terreno buono.

La terza parte del nostro cammino ci ha posto davanti alle esigenze del Regno, ci ha fatto conoscere le preferen-ze di Cristo. E abbiamo sigillato la nostra riflessione con il proponimento di riprodurre nella nostra vita lo stile del buon Samaritano, meglio ancora, lo stile di Gesù di cui il buon Samaritano è figura ed espressione. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Questa quarta parte punta alla conferma del nostro pro-ponimento. Quello che ci rende simili a Gesù non è solo il comprendere il suo stile, il desiderarne ma in modo inef-ficace l'imitazione, ma è vivere e concretizzare ciò che si è compreso e si è scelto. Si tratta di essere confermati. Es-sere confermati significa avere un "rafforzamento interio-re" attraverso una "vis" che non può venire da noi ma solo da Cristo.

Devo comprendere che la mia vita spirituale consiste nel-l'essere unito a Gesù in un modo sempre più saldo e tota-

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LA VITA SOTTO IL SEGNO DELLA PASQUA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

le: unito a Lui, alla sua sorte, riproducendo in me la sua vita. Paolo ha una bellissima espressione per significare questa realtà. Egli dice: "Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me" (Gal 2,20).

Ci dice ancora san Paolo che al momento del Battesimo noi siamo stati sepolti con Gesù nella morte perché si ma-nifesti nella nostra vita la sua gloria. Nella logica del Bat-tesimo noi siamo chiamati a riprodurre nella nostra vita il mistero di Gesù morto e risorto, ad unirci a Lui, si badi bene, non solo nel dolore ma anche nella gioia.

Gioia e dolore nella nostra vita, le piccole e grandi gioie, le piccole e grandi pene, sono la nostra Pasqua. Ma biso-gna abituarsi a vivere tutto sotto la luce del Cristo, cogliendo sia il senso salvifico di tutto ciò che noi viviamo come pu-re il valore unitivo che ci collega alla persona di Gesù.

In definitiva questo è per noi celebrare l'Eucarestia in-sieme a Gesù. Quando Gesù nell' ultima cena invita i suoi amici a ripetere quanto Egli faceva (FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME) non si riferiva solo al rito esteriore, ma alla sostanza di ciò che avveniva in quell'istante: lo spez-zare il pane era il segno dello spezzare la vita. Noi spez-ziamo la nostra vita insieme a Cristo che nella Eucarestia si offre ogni giorno e per sempre.

Ecco perché negli Esercizi ignaziani la conferma delle scelte è affidata alla meditazione della Passione e della gloria del Signore, magnificamente sintetizzate nella Eucarestia.

Questo tipo di riflessione esige poco ragionamento e molto amore. A volte nella considerazione di queste verità ci sen-tiamo aridi, a volte spauriti. Anche Gesù davanti al miste-ro della morte ha sudato sangue e ha pregato perché il ca-

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QUARTO SETTORE

lice passasse da Lui. È l'ora di ricordarsi che un amore che vive e si manifesta solo nei momenti di gioie non è un amore vero, è ricerca di sé e nuli'altro.

Questa riflessione è importante anche da un punto di vi-sta apostolico. Si fa un bel dire che noi comprendiamo gli altri quando sono nella sofferenza, ed è facile predicare il valore della croce senza averla mai portata. Sono in grado di comprendere veramente gli altri quelli che sono stati posti anch'essi nella prova. Il dolore rompe molti meccanismi di egoismo e di chiusura. «Com-patire» vuol dire proprio questo!

Bisogna divenire «anime pasquali» per saper portare l'al-leluia nelle strade del mondo, per scaldare il cuore a chi cammina sotto il peso dei suoi fallimenti e cerca la salvez-za nella fuga. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

E Cristo che porta la gioia nel cuore dell'uomo.

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Page 68: Libretto v3 cropped rotaz

Il senso della sofferenza del Cristo e della nostra sofferenza zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testi evangelici di riferimento: Gv 12,24 - Gv 15,1-11

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Gesù è giunto al momento importante della sua vita, il momento in cui sarà glorificato. Questo momento è aper-to, nel Vangelo di Giovanni, da una scena molto significa-tiva, anche se spesso viene passata sotto silenzio. C'è un gruppo di cittadini greci che vogliono "vedere" Gesù. La loro richiesta passa attraverso gli Apostoli prima di giun-gere al Maestro. Gesù non risponde direttamente alla loro domanda, ma fa comprendere che l'ora della sua glorifi-cazione passa attraverso l'accettazione della passione. La semente gettata a ventaglio e abbondantemente dalla mano del seminatore ha varcato anche i confini dell'antico po-dere: sono cadute tutte le barriere. Ma perché questo se-me gettato porti il suo frutto dovunque, occorre che accet-ti di morire. "Se il chicco di grano caduto in terra non muo-re, rimane solo; se invece muore produce molto frutto".

La solitudine a cui si riferisce la Parabola è desolazio-ne, è nulla di speranza. Gesù afferma dunque una logica diversa da quella che normalmente ci anima e che ci sug-geriscono il nostro egoismo e le nostre paure. Noi siamo portati a difendere ciò che abbiamo e un istinto egoistico di conservazione ci porta a rifiutare la morte che vi è in ogni momento di dono, in ogni dimenticanza di noi stessi.

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LA PARABOLA DEL CHICCO DI GRANO E DELLA VITE E... -zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA 2.1

Ma questa è la vera morte. Tutto finisce con noi, con la nostra meschina chiusura. L'eredità è la tristezza, e noi siamo capaci di generare solo solitudine. Se il chicco di grano...

Ma nel momento in cui ci si apre agli altri, si accetta la logica del dono e quel tanto di "morte" che vi è in es-so, inizia il processo della nostra realizzazione, l'esalta-zione della vita e della gioia. Tutto questo nel mistero, mi-stero di sofferenza e di nascondimento, nel buio della ter­

ra. La tenue lamella di verde che affiora dalla terra, lo stelo che cresce e cerca l'aria e il sole, la spiga che si riempie di chicchi, tutto viene da quella morte accettata sotto la col-tre di terra. Se invece muore produce molto frutto.

Questo ha fatto Gesù, questo viene chiesto a noi per con-fermarci a Lui. Ecco perchè Gesù prosegue quasi trasci-nandoci in questo vortice di morte che è vita e nel tentati-vo di strapparci a una vita che è morte. "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la con-serverà per la vita eterna". È così per Lui, è così per chi vuole essere CON LUL . ; ^ ; ; >

"Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io là sarà anche il mio servo". Seguire Lui, senza temere la morte di noi stessi. "Se uno mi serve il Padre mio lo onorerà".

La via dell'unione con Gesù, unione nella sua morte e nella sua resurrezione è molto bene espressa da una alle-goria che per il tempo in cui è stata posta da Giovanni, è come una finestra sulla vita interiore di Gesù.

L'allegoria della vite e dei tralci esprime anche molto bene il mistero della nostra sofferenza accanto a Gesù.

La vite è una pianta molto comune nel mondo ebraico:

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— IL SENSO DELLA SOFFERENZA DEL CRISTO E. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

tptutti comprendono, senza bisogno di grandi spiegazioni, che la vite non può produrre frutti abbondanti se non è fat-ta oggetto di molte cure. Non tutti i tralci portano frutto. La linfa della vita è per tutti i tralci: ma evidentemente al-cuni sono collegati bene alla vite, altri non lo sono. Se la vite è Cristo, ciò di cui dobbiamo preoccuparci noi tralci è di essere veramente uniti a Lui. Uniti a Lui portiamo frutto.

Il tralcio che è unito alla vite subisce la potatura. Essa può apparire una ferita nel tralcio, ma questa è solo l'ap-parenza. La realtà è che proprio quella potatura lo rende capace di produrre un grappolo abbondante e pieno di succo. Coloro che sono uniti a me, sembra voler dire Gesù, de-vono attendersi di essere sottoposti a potatura, di avere delle sofferenze, come io sono passato attraverso la sofferenza. Ma questo è per la ricchezza del frutto.

Ecco tracciato il significato della nostra sofferenza, del-la nostra partecipazione alle sofferenze di Cristo, il nostro "passaggio", la nostra Pasqua. zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

La croce senza Cristo! Chi può dire quanto pesa ?

La croce è sopportabile perché sopra c 'è Lui crocifisso.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. La Parabola del chicco di grano che muore. La si po-trebbe prendere come preghiera all'inizio della riunione. Dove è la "forza" di questo paragone? Su quale valore poggia la Parabola?

2. Restando a livello puramente umano: non è forse vero che questo paragone sarebbe giusticabile anche senza ri-

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LA PARABOLA DEL CHICCO DI GRANO E DELLA VITE E. .. — zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA 1

correre alla fede? Non si tratta forse di una legge univer-sale della natura? Come la si potrebbe enunciare?

3. La Parabola della vite e dei tralci. L'unità con la vite da che cosa è assicurata? Applicare al nostro essere tralci di Cristo.

4. La potatura. Ma in che cosa consiste propriamente? Spie-gandoselo si può forse arrivare a capire meglio il perché delle tante potature della nostra vita. Quali sono queste po-tature?

5. Trovare nella propria vita qualche vicenda di questa "morte" fruttuosa e comunicarla ai propri amici.

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. C'è un modo pagano di soffrire, c'è un modo cristiano. Il dolore è una eredità di tutti. Ma il dolore affrontato alla maniera dei pagani porta alla disperazione. Il dolore cri-stiano è sorretto dalla speranza. Non è la stessa cosa. An-che la donna, ci ricorda Gesù, soffre quando è il momento del parto, ma poi si rallegra perché una vita è venuta al mondo...

2. L'accettazione della sofferenza è una questione d'amo-re. Se ci fosse stata un'altra maniera eloquente per dirci l'amore e per portarci la salvezza Gesù l'avrebbe seguita. A pensarci è proprio così: l'amore e la morte vanno insieme.

3. Non si può capire ed accettare il dolore nella vita se non guardando al Crocifisso. Forse per questo Gesù non ci ha fatto grandi disquisizioni su che cosa esso sia, ci ha dato l'esempio di come lo si vive.

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azyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA - IL SENSO DELLA SOFFERENZA DEL CRISTO E.

4. La comunione con Cristo che soffre non ci esime dalla comunione con i nostri fratelli sofferenti anzi, ci rimanda ad essa. Ci sono tante croci quanti sono gli uomini e le donne del mondo: ma c'è un unico Crocifisso. In Lui ci sono tut-te le croci e nel volto tutti i volti sfigurati dei fratelli.

5. Non occorre sognare. Noi talvolta cerchiamo la croce, ma la croce comunque viene a noi, ci cerca. Basterebbe cominciare ad abbracciare le croci che ci vengono incon-tro: sono croci vere e non le abbiamo decise noi. La mano che ce le ha messe addosso può essere la mano di chiun-que: ma in definitiva è sempre la mano di Dio.

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Il prezzo della gioia e del premio zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Testo evangelico di riferimento: Mt 25,31-46

AMBIENTAZIONE DELLA PARABOLA ; ,'

Ritorniamo a una scena familiare per la gente del paese di Gesìi. Il gregge rientra verso l'ovile perché ormai il so-le sta declinando. Al momento di chiudere le pecore nel-l'ovile il pastore isola i capri dalle pecore. Un gesto com-piuto tante volte per consentire alle pecore di poter riposa-re tranquille, senza essere disturbate dalle cornate prepo-tenfi dei capri. La gente capisce. Così al giudizio finale il Figlio dell'Uomo. Egli separerà i buoni dai cattivi e met-terà i primi a destra e gli altri alla sinistra: destra e sinistra sono proverbialmente segno della fortuna e della disgrazia.

Al momento del raduno il giudizio è già compiuto, an-che se verrà formalizzato ora. Come mai? » i.;

È la vita stessa che ci giudica, che ci mette a destra o a sinistra, tra le pecore o tra i capri. Non c'è bisogno che ci giudichi Dio. Ci giudichiamo da noi stessi, con la no-stra vita.

Essere posti alla destra. La glorificazione promessa a chi accetta di morire come il chicco di grano nel segreto e nel-l'oscurità della terra.

Prima di parlare della gloria è giusto dunque parlare di come Gesìi vede sostanziato nella vita il nostro "morire". Il morire è prima di tutto morire al proprio egoismo per

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Page 71: Libretto v3 cropped rotaz

— IL PREZZO DELLA GIOIA E DEL PREMIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

nascere alla carità del cuore di Cristo. La vera pietà verso Dio, la capacità di fare posto a Dio nella nostra vita si ma-nifesta attraverso questi sei modi di vivere l'amore verso i fratelli. Non si tratta di semplici modi di beneficienza senza benevolenza. Sono sei espressioni d'amore. "Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi ave-te vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete ve-nuti a trovarmi".

Queste sono le modalità del morire a noi stessi per ri-sorgere con Cristo, queste sono le condizioni per poter es-sere posti alla destra del Figlio dell'Uomo.

Queste condizioni poste da Gesù per potersi sedere alla sua destra, partecipare cioè della sua gloria, devono esse-re però compiute nel suo Nome, in onore di Lui. Lo stu-pore che coglie sia quelli di destra, come quelli di sinistra, è fondato su questo: Cristo si è identificato sempre con i poveri del mondo, con gli abbandonati e i dimenticati, con i peccatori.

"Saper trovare la propria gioia nella gioia degli altri è il segreto della felicità"

(Georges Bernanos)

Possiamo aggiungere: è anche il segreto del Paradiso.

SUGGERIMENTI PER LA RIUNIONE

1. La riunione stavolta ha la movenza di un esame di co-scienza. Non si tratta di fare la vivisezione di noi stessi, ma certamente di verificare la nostra convinzione in rap-porto alla Parabola e a ciò che essa introduce.

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LA PARABOLA DELLE PECORE E DEI CAPRI —

2. Consiglio di iniziare prendendo come testo per la pre-ghiera l'inno dell'amore di san Paolo. (I Cor cap. 13).

3. Può essere ufile passare in rassegna le sei esemplifica-zioni che Gesù fa dell'amore fraterno. Qualcuna di esse è più urgente nel mio ambiente?

4. Condividere la gloria di Gesù. Come penso a questo fat-to? Lo penso in modo tale che incida nella mia vita? 5. Che cosa aggiunge alla vita dell' uomo la speranza del-la gioia senza fine? Vedo una differenza tra chi ha questa speranza e chi non ce l'ha?

APPLICAZIONE ALLA VITA

1. Tutù noi siamo fatu per la gioia. La cerchiamo in ogni dove e presso chiunque. Ma è raro che la troviamo, anche e soprattutto quando ci viene promessa dai venditori di gioia a buon mercato. Anzi proprio in questi casi le delusioni sono più grandi per quel tanto di speranza che investiamo in questa ricerca.

Gesù non illude: non ci promette la gioia facile, ma quella a caro prezzo. Solo quella gioia che nasce dall'amore, dal dono di sè, è gioia che dura: non sente le stagioni perché ha radici nel cielo. 2. Tutte le gioie autentiche sono aperte al cristiano. Spes-so si è presentata la fede come un cammino di tristezza, di repressioni, di sole rinunce. In realtà chi vive di fede vive nella gioia dell'esser amato da Dio, reprime solo ciò che contrasta questo amore e quindi ciò che contrasta la sua felicità e le rinunce vere non sono più tali ma sono ge-

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- IL PREZZO DELLA GIOIA E DEL PREMIO zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

sti d'amore. Solo il cristiano, se vuole, ha il potere di tra-sformare le tenebre in luce, il pianto in gioia. 3. Il nostro sguardo si porta piìi facilmente sul "morire" che sulla morte. Noi siamo più preoccupati di sapere co-me venire a capo del "morire" che di saper vincere la mor-te. Socrate ha superato il "morire", Cristo ha vinto la mor-te, come "ultimo nemico". Superare il "morire" fa parte delle possibilità umane, vincere la morte significa risurre-zione. Non è a partire da un "arte del morire", ma a par-tire dalla risurrezione di Cristo, che può soffiare un vento nuovo, purificante, nel mondo attuale (D. Bonhoeffer).

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Preghiera per ottenere l'amore zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

Signore del mondo, fonte della vita e origine di ogni

cosa buona, mio amato Salvatore Gesù, dono incom­

mensurabile fatto a me e a tutta l'umanità. Spirito

Santo forza dell'amore, sostegno di tutti coloro che

dicono "sì" al bene. Trinità Santa, etema comunio­

ne d'amore, io Ti adoro, Ti benedico e Ti amo.

Insegnami ad amare concretamente con la vita, fa

che io comprenda che l'amore si deve dimostrare più

nelle opere che nelle parole. Io voglio amare come

Tu, mio Dio, mi hai amato. Tu mi hai dato tutto di

Te: creandomi mi hai dato la tua vita e la tua pater­

nità, per riscattarmi mi hai donato tuo Figlio, per

sostenermi e illuminarmi mi hai donato il tuo Spiri­

to. Così io impari ad amare donando, comunicando

a coloro che dico di amare tutto quello che io ho,

non solo le cose materiali ma anche tutti i beni intel­

lettuali e dello spirito. s ; jzyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA J • v, , ; , v

Dammi la memoria spirituale dei tuoi doni, quelli

legati alla creazione, quelli che derivano dalla re­

denzione che Tu hai operato per tutti gli uomini, dam­

mi la memoria di ogni beneficio particolare legato

alla mia persona, alla mia storia, alla mia chiama­

ta. Che io gusti profondamente nel mio spirito la con­

vinzione che questa immensa ondata di doni era tut-

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PREGHIERA PER OTTENERE LAMORE zyxw

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ta orientata e spinta dal tuo desiderio di darti a me,

in tutto quello che tu. Dio eterno e immenso, potevi

concedere ad una creatura limitata e peccatrice.

Come posso pensare, o Signore, di tenere ancora

qualcosa per me, di limitare la tua sovranità sopra

la mia vita, di negarti il dono del mio cuore? Io vo­

glio donarti tutto.

Prendi, Signore, e accetta tutta la mia libertà, la

mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà,

tutto ciò che ho e possiedo: tu me lo hai dato, a Te,

Signore, lo ridono, tutto è tuo, disponine a tuo pieno

piacimento. Dammi solo il tuo amore e la tua gra­

zia, e questo mi basta.

Fammi sentire o Signore la tua misteriosa e vivifi­

cante presenza in tutte le cose. Tu in qualche modo

abiti nelle tue creature: sei Tu che le fai esistere, sei

Tu che riveli meravigliosi aspetti della tua vita e del­

la tua potenza nei vegetali, con la loro sorprendente

varietà, negli animali con i loro istinti così delicati

e perfetti, nella natura umana nella quale hai acce­

so la luce della ragione. In ognuno di noi, e quindi

anche in me, tu hai riassunto come in un piccolo co­

smo tutti questi gradini della vita, facendoli culmi­

nare sulla soglia del tuo mistero poiché mi hai fatto

tempio tuo, imprimendo in me le sembianze del tuo

volto: perché a immagine e somiglianza della tua

Maestà mi hai voluto.

128

PREGHIERA PER OTTENERE L'AMORE

Signore tu mi hai posto al centro delle tue atten­

zioni: io sto sempre sotto al tuo sguardo, sono nel

tuo pensiero, sono nel tuo cuore. Tutto ciò che esiste

lo hai dato a me anzi Tu lavori in tutte le cose create

per rendere più bella e gioiosa la mia vita.

Nulla sarebbe bello, vitale, gioioso se non ci fossi Tu.

Tutti i beni che ho, i doni che mi ritrovo tra le mani,

tutto discende dall'alto, tutto discende da Te. Quan­

do in me sperimento forza e coraggio è perché la Tua

infinita potenza me ne comunica un apice; quando

trovo in me l'anelito alla giustizia è perché da Te,

che sei il Giusto, mi viene trasmesso; quando uso mi­

sericordia è perché nel tuo cuore si specchia il mio

cuore. Tu sei il sole e ogni raggio di luce non vive

se non legato a Te che sei la fonte della luce. Tu sei

la sorgente di ogni bene e non vi è bene che non sgor­

ghi dalle profondità del tuo mistero.

Io comprendo, o Signore, che non posso cercare

altrove chi dia senso, un senso d'amore, alla vita,

e gioisco nel sapere che Tu mi ami e nell 'intravede­

re aperia davanti a me la grande via maestra dell 'a-

more: quella che poria alle soglie della tua casa. E

io già penso al giorno in cui arriverò. So che non

ci sarà bisogno di bussare: ecco Tu sei già lì, in pie­

di, in attesa di quell'istante. Già fin d'ora GRAZIE. zyxw

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Per molti giovani, oggi la vita è spontaneità o non è vi-ta. Se si spezza la spontaneità, se la si fa abortire, la vita è nata morta. Se si vedono così le cose, l'esame defrauda la vita attiva della sua spontaneità: è un approccio riflessi-vo, disidratato, che inaridisce tutta la spontaneità della vi-ta. Queste persone, oggi, non ammettono più la pretesa di Socrate, che una vita sottratta all'esame non merita di es-sere vissuta. Per essi, lo Spirito è nello spontaneo, e tutto ciò che si contrappone al suo emergere è estraneo allo Spi-rito.

Questo modo di vedere dimentica che due tipi di sponta-neità sorgono nella nostra coscienza ed esperienza: l'una buona, al servizio di Dio; l'altra cattiva, che non è al ser-vizio. Tutti fanno l'esperienza di questi due generi di im-pulsi e di mozioni spontanee. Spesso, degli spiriti vivi, delle lingue agili, che possono essere molto interessanti e capa-ci di fare colpo e la cui caratteristica abituale è proprio que-sta spontaneità, non ci convincono del tutto del loro essere sotto la mozione di una buona spontaneità e che essi siano in grado di esprimerla. Infatti, per colui che ha a cuore ser-vire Dio con tutta la sua persona, la questione non è sol-tanto di lasciare emergere lo spontaneo, ma piuttosto di sa-per filtrare queste diverse spinte spontanee e di accogliere nella sua vita concreta quelle che vengono da Dio e con-zy

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ducono a Lui. E ciò che noi facciamo lasciando sgorgare, nella nostra vita di ogni giorno, la spontaneità veramente ispirata dallo Spirito. Soltanto, noi dobbiamo imparare a percepire questa vera spontaneità ispirata dallo Spirito.

In questo apprendimento, l'esame ha un ruolo decisamen-te centrale.

Quando l'esame si ricongiunge al discernimento, esso diviene presa di coscienza.

, L'esame di coscienza ha delle risonanze strettamente mo-rali: si aveva un bel dire che l'esame di coscienza nella vi-ta cristiana è altro dalla preparazione alla confessione; nella pratica, lo si spiegava e lo si trattava fondamentalmente come se fosse proprio questo. Il suo obiettivo principale era la buona o cattiva qualità delle nostre azioni di ogni giorno. Nell'esercizio del discernimento, la preoccupazione principale non è la qualità morale delle buone o cattive azio-ni, ma piuttosto la maniera in cui il Signore ci tocca e ci muove (spesso a nostra insaputa) al centro dei sentimenti che noi proviamo. Ciò che accade nella nostra coscienza spirituale è assolutamente prioritario rispetto alla qualifi-cazione giuridica delle nostre azioni in buone o cattive. In-fatti l'esame quotidiano, piuttosto che valutare la risposta data con le nostre azioni, deve soffermarsi su come noi sen-tiamo l'attrazione del Padre (Gv 8,44) nella nostra coscienza spirituale concreta, e su come la nostra natura peccatrice, tranquillamente, ci tenta e ci attira lontano dal nostro Pa-dre attraverso il gioco sottile delle nostre disposizioni spi-rituali.

È dell'esame delle nostre disposizioni spirituali che noi ci occupiamo al momento, in modo da poter apportare la

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APPENDICE

nostra collaborazione e abbandonare i nostri cuori all'am-mirevole spontaneità, che è il tocco del nostro Padre e la spinta dello Spirito. : ,zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA ,f

L'IDENTITÀ CRISTIANA

L'esame in questione non è uno sforzo di perfezionamento personale alla maniera di Ben Franklin. Parliamo di un'e-sperienza, nella fede, di una nostra crescente sensibilità ai modi unici speciali e personali, che impiega lo Spirito di Cristo per avvicinarsi a noi e per chiamarci. Evidentemente , questa crescita domanda tempo. Ma l'esame così compre-so ci rinnova e ci radica maggiormente nella nostra identi-tà religiosa, dal momento che Dio avvolge con il suo amo-re la nostra persona fatta di carne e di spirito invitandoci ad entrare profondamente nel mondo del suo amore per-sonale. Non posso esaminarmi senza ritrovarmi davanti al Padre come io sono in Cristo con la mia identità personale.

Ora l'esame di ogni giorno diventa spesso così genera-le, vago e senza carattere specifico, che l'identità di cia-scuna persona sembra scomparire. L'esame acquista valo-re quando diviene esperienza quotidiana di confronto e di rinnovamento della nostra specifica identità religiosa e della maniera in cui Cristo delicatamente ci chiama ad appro-fondire e a sviluppare questa identità. Dovremo cercare di fare ogni volta il nostro esame con tutta la chiarezza con cui cogliamo la nostra identità. Perché non facciamo que-sto esame semplicemente come lo farebbe qualsiasi cristia-no, ma come questo cristiano particolare che ha ricevuto nella fede una vocazione e una grazia unici. zy

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L'esame è un tempo di preghiera. Una riflessione vuota su se stessi o una introspezione malsana comportano dei veri pericoli. D'altra parte l'esame fatto senza sforzi e la tendenza a vivere seguendo la corrente della vita ci rende totalmente superficiali e insensibili all'azione sottile e pro-fonda del Cristo nell'intimo dei nostri cuori. L'esame con-serva le sue qualità di preghiera e di efficacia spirituale solo se si lega alla preghiera contemplativa del soggetto.

Senza questa relazione 1' esame scivola sulla revisione su di sè in vista di un perfezionamento personale, ammes-so che si riesca a continuarlo. E nella preghiera contem-plativa che il Padre si rivela al ritmo che a Lui piace, l'or-dinarsi del mistero di tutte le cose a Cristo, come dice Paolo ai Colossesi «Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani» (Col 1,27). Il con-templativo sperimenta, in molti e delicati modi, soprattut- | to non verbali, questa rivelazione del Padre in Cristo. LozyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA i Spirito di Gesù resuscitato presente al cuore del credente ) lo rende capace di sentire e di intendere questo appello a conformarci a una tale rivelazione. La contemplazione è ; vuota di contenuto senza questa risposta che ci conforma al Cristo.

Questo modo di conformarsi rispettoso e docile, e non di stile moralizzante («l'obbedienza della fede» di cui par-la San Paolo in Rom 16,26), è opera dell'esame quotidia-no, per «sentire» e identificare questi inviti intimi del Si-gnore che guidano e approfondiscono di giorno in giorno la nostra adesione e per non cedere affatto alle insinuazio-ni sottili che gli sono contrarie. Senza questo contatto con-

134

APPENDICE

templativo con il Padre che ci rivela la realtà in Cristo, nella preghiera formale come nella preghiera informale diffusa, la pratica quotidiana dell'esame si svuota, si dissecca e muo-re. Senza ascolto della rivelazione da parte del Padre delle sue vie così differenti dalle nostre (Is 55, 8-9), l'esame ri-diviene modo di darci la carica, nella ricerca della perfe-zione personale, umana e naturale, o peggio ancora, del-l'impegno egoistico di noi stessi nei nostri progetti.

Senza la contemplazione regolare l'esame è futile. Man-care a questa contemplazione impoverisce la ricca e mera-vigliosa esperienza nella quale il Signore invita in conti-nuazione il contemplativo a rispondergli ordinando la sua vita. È vero, d'altronde che la contemplazione pratica senza esame regolare si isola e diventa, nella vita, superficiale e stentata. Il tempo della preghiera formale può divenire, nella giornata di qualcuno, un periodo eminentemente sa-crosanto, ma così isolata dal resto della vita da impedire di immergersi in quella preghiera «che trova Dio in tutte le cose» a livello della vita reale. L'esame dà, alla nostra quotidiana esperienza di Dio nella contemplazione, una pre-sa su tutta la vita della nostra giornata; è un mezzo impor-tante per trovare Dio in tutto e non solamente nel momen-to della preghiera formale, come spiegheremo in conclu-sione dell'articolo.

IL DISCERNIMENTO DEL CUORE

Nella vita cristiana, quando abbiamo preso conoscenza dell'esame, si trattava di un'esercizio preciso di preghie-ra, di circa un quarto d'ora, che può esserci apparso ini-zialmente molto formale e abbastanza superficiale. Ciò non

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derivava dallo stesso esame-preghiera, ma da noi; erava-mo dei principianti e non avevamo ancora integrato in noi questo processo di discernimento spirituale praticato attra-verso gli esami quotidiani. Per un principiante che non ha ancora fatto molto cammino sulla strada dell'integrazione personale, un tale esercizio può essere molto valido, e pa-rere, nonostante ciò, formale e stilizzato. Ciò non dovreb-be sconcertarci: è un'esperienza inevitabile nel novizio come nel veterano che si rimette di fronte all'esame.

Ma fondamentalmente non si comprenderà l'esame se non si coglie quello che è il suo obiettivo. In definitiva, speci-ficatamente, l'esame è volto a sviluppare un cuore capace di discernere, attivo non solamente per uno o due quarti d'ora nella giornata, ma continuamente. È qui un dono del Signore, uno dei suoi doni più importanti, come Salomo-ne aveva capito (1 Re 3,9-10). Noi dobbiamo continuare a domandarlo, ma anche accogliere il suo sviluppo nei no-stri cuori. La pratica quotidiana dell'esame è essenziale a questo proposito.

Bisogna quindi considerare le 5 tappe dell'esame come ce le presenta Sant'Ignazio negli Esercizi Spirituali (n. 43) e, gradualmente, farne l'esperienza nella fede, assumen-dole quali dimensioni della coscienza cristiana che Dio e la sua azione formano nel nostro cuore, mano a mano che esso affronta il mondo e tutte le cose, e in esse si sviluppa.

Se noi lasciamo che il Padre a poco a poco trasformi il nostro spirito in quello di Suo Figlio, se noi lasciamo di-venire i nostri cuori veramente cristiani attraverso la no-stra viva esperienza di questo mondo, allora l'esame, i cui elementi separati cominciano ad integrarsi nel nostro cuo-

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APPENDICE

re aperto sul mondo, ci apparirà molto più organico e molto

meno artificiale. Ignazio nella sua maturità, verso la fine della sua vita,

esaminava sempre tutti i movimenti e le inclinazioni del suo cuore. Egli discerneva permanentemente l'accordo di tutte le cose con la sua vera personalità centrata su Cristo. Era il riscontro nella vita di questi momenti di preghiera intensi e quotidiani chiamati «esami». Il principiante, co-me il veterano, deve rendersi conto dell'importanza di uno o due quarti d'ora di Esercizio quotidiano dedicato all'e-same, ossia di un cuore in stato di discernimento continuo, e anche delle necessità di adattare progressivamente la pra-tica dell'esame alla propria evoluzione e alla situazione del mondo in cui vive. Eppure sappiamo molto bene che sotti-li ragionamenti ci invitano ad abbandonare l'esame quoti-diano col pretesto che noi siamo «arrivati» a questo conti-nuo discernimento del cuore. Questo pretesto vuole impe-dire la crescita della nostra sensibiltà spirituale verso lo Spi-rito e verso le sue vie nella nostra vita quotidiana.

Accenniamo ora brevemente al tipo di esame che San-t'Ignazio presenta negli Esercizi (n. 43), alla luce delle ri-flessioni precedenti sull'esame come coscienza di discer-nimento nella vita concreta. , - ;

1. DOMANDARE LA LUCE

Come primo punto dell'esame, Ignazio propone l'azio-ne di grazia. Se si invertissero i primi due punti, non cam-bierebbe molto. Da parte mia, io proporrei, come intro-duzione appropriata all'esame, la preghiera per essere il-luminati.

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L'esame non è solamente una pratica di memoria e di analisi che si sofferma su una parte del giorno trascorso. Si tratta di gettare sulla mia vita uno sguardo guidato dallo Spirito e di rispondere coraggiosamente alla chiamata in-teriore che Dio mi fa sentire. Ciò che noi cerchiamo è lo sviluppo graduale di questa visione interiore del mistero che noi siamo. Senza la grazia del Padre che vuole rive-larcelo, questa sorta di sguardo è impossibile. Il cristiano deve vegliare per non lasciarsi rinchiudere nel mondo del-le sue potenze naturali: il nostro mondo tecnologico può, a questo riguardo, presentare un particolare pericolo. Con un senso profondo dei valori in causa in tutte le sue rela-zioni umane, il cristiano si innalza nella fede al di sopra delle frontiere del momento e al di sopra delle cause natu-rali limitate: egli scopre un Padre che l'ama e si getta in questo amore, attraverso e al di là di tutto ciò che esiste. È questa la ragione per cui cominciamo l'esame doman-dando esplicitamente questa illuminazione, che sopravvi-verà dentro e attraverso le nostre facoltà naturali, ma di cui queste non saranno mai capaci di per sé. Che lo Spirito mi aiuti a capire un po' meglio come egli mi vuole.

2. RENDERE GRAZIE PER I DONI RICEVUTI

La condizione del cristiano nel mondo è quella di un po-vero, che non possiede niente, nemmeno la sua persona, e tuttavia è colmato di doni in ogni istante attraverso tutte le cose. Quando diventiamo troppo preoccupati di noi stessi, e misconosciamo la nostra povertà fondamentale, allora per-diamo i doni ricevuti: incominciamo a domandare ciò che crediamo di meritare (ed eccoci sul cammino di amare fru-

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APPENDICE

strazioni) oppure prendiamo ingenuamente tutto ciò che ci capita come dovuto. Solo il vero povero può apprezzare il minimo dono e provare un'autentica gratitudine. Più vi-viamo profondamente la nostra fede, più siamo poveri, e più diventiamo ricchi. La vita stessa diviene umile e gioiosa azione di grazie. Questo dovrebbe diventare, sempre di più, un dato acquisito della nostra coscienza.

Dopo la richiesta di luce come introduzione i nostri cuori dovrebbero trovarsi in uno stato di riconoscenza vera e piena di fede verso nostro Padre, per i doni che Egli ci ha fatto nell'ultima parte del giorno. Forse nella spontaneità del mo-mento non abbiamo avuto coscienza del dono che abbia-mo ricevuto, ed ora, in questo esercizio di preghiera me-ditata, vediamo sotto tutt'altra luce ciò che è successo.

La nostra improvvisa gratitudine, atto umile e disinte-ressato di poveri, ci rende pronti a scoprire più chiaramente per l'avvenire il dono di Dio nella sua immediata sponta-neità. Questa gratitudine dovrebbe provenire dai doni con-creti e propriamente personali di cui ciascuno di noi è gra-tificato, siano essi considerevoli e manifestamente impor-tanti o piccoli e apparentemente insignificanti. Nella vita ci sono molte cose che noi consideriamo come dovute; a p)oco a poco Dio ci condurrà a comprendere profondamente che tutto è dono. E giusto lodarlo e ringraziarlo.

3. CONSIDERARE LE NOSTRE AZIONI COME DELLE RISPOSTE

In questa terza parte dell'esame la nostra attenzione è ri-volta a considerare dettagliatamente, in maniera precisa, le nostre azioni della giornata appena trascorsa, per clas-

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sificarle in buone o cattive. Proprio quello che non dovrem-mo fare!

La nostra principale preoccupazione a questo proposito, nella luce della fede, è ciò che è capitato, a noi e in noi, dal nostro ultimo esame. Le domande essenziali sono: co-sa è successo in me? Quale lavoro Dio ha compiuto in me? Che cosa mi ha domandato? Non è che in un secondo mo-mento che bisogna considerare le nostre azioni. Questa se-zione dell'esame suppone che noi siamo divenuti attenti, interiormente, ai nostri sentimenti, alle nostre disposizio-ni, alle pressioni molto delicate, che non ne siamo spaven-tati, ma che abbiamo appreso a considerare molto seria-mente. È qui, al centro della nostra affettività, così spon-tanea così forte e a volte così carica d'ombre, che Dio ci muove e tratta con noi nella maniera piìi intima. Queste disposizioni, sentimenti, pressioni e movimenti interiori so-no gli «spiriti» che è opportuno passare al vaglio e sotto-mettere al discernimento, per poter riconoscere la chiamata di Dio al centro del nostro essere.

Lo dicevamo poco fa: l'esame è uno dei principali mez-zi per vedere chiaro nella nostra coscienza spirituale. Questo suppone un approccio vero, nella fede, con la vita, vita che è innanzitutto ascolto, poi risposta attiva: «L'attitudine fon-damentale del credente è quella dell' ascolto. Il credente ascolta le proposte del Signore. A tutte le forme e a tutti i livelli in cui egli discerne la parola e la volontà che Dio gli esprime, egli deve rispondere come Paolo in totale "ob-bedienza di fede". È l'attitudine di recettività, di passività e di povertà di colui che sempre ha bisogno, che dipende

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APPENDICE

radicalmente ed è cosciente della sua condizione di crea-tura» (A. Asselin).

Da qui questo grande bisogno di tranquillità interiore, di pace e di attenzione appassionati che ci dispone ad aspet-tare la parola di Dio in ogni istante e in ogni situazione e a rispondergli nelle nostre azioni. In un mondo basato soprattutto sull'attività (che diventa attivismo) sulla pro-duttività e sul rendimento (mentre è l'operosità ad essere norma per il Regno di Dio) questo sguardo di fede è im-plicitamente, se non esplicitamente, contestato in ogni mo-mento.

Ecco perchè la nostra prima preoccupazione concerne queste disposizioni ultime e delicate della nostra affettivi-tà attraverso le quali Dio ha trattato con noi in queste ulti-me ore. Forse in quel momento non abbiamo riconosciuto la sua chiamata.zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA vrr r ^ ,,2

Molto spesso la nostra attività prende troppo piede e noi perdiamo tutto il senso della risposta. Diveniamo auto-attivi e auto-motivati, piuttosto che mossi o motivati dallo spiri-to (Rom. 8,14). Vi è una sottile mancanza di fede, una sot-tile incapacità a vivere da figli o figlie del Padre. Alla luce della fede, è la qualità dell'attività (come risposta) più che l'attività stessa che fa differenza per il Regno di Dio.

In questa visione generale niente esige che si riveda ogni secondo trascorso dopo l'ultimo esame; dobbiamo piutto-sto considerare certi dettagli, certi fatti precisi che riveli-no un disegno e apportino luce e profondità. Questo ci con-duce a riflettere su ciò che Sant'Ignazio chiama esame par-ticolare. Questo elemento dell'esame, forse più che tutti gli altri, è stato mal compreso. Se ne è fatto spesso uno

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sforzo di analisi puntuale e di conquista, discendendo la lista dei vizi o risalendo quella delle virtù, in una ricerca pianificata e meccanica di perfezione personale. Si passa-va un certo tempo a considerare un vizio o una virtù, poi si considerava il seguente sulla lista.

Piuttosto che un'approccio programmato alla perfezio-ne, l'esame particolare vuole essere un'incontro persona-le, rispettoso e leale con il Signore nei nostri cuori. Quan-do noi ci svegliamo veramente all'amore di Dio, comin-ciamo a renderci conto che delle cose devono cambiare. Ci troviamo in difficoltà in tanfi campi e dobbiamo disfar-ci di una massa di difetti! Ma il Signore non ci domanda di intraprendere tutto questo in un colpo solo. Di solito nel nostro cuore vi è un punto in cui, in particolare, egli ci chiama ad una conversione, sempre inizio di una nuova vita. C'è un angolo in noi in cui Egli ci prende a gomitate e ci ricorda che, se vogliamo essere seri con Lui, dobbiamo cambiare. E spesso proprio il punto che noi volevamo di-menticare e (forse) considerare più tardi. Non vogliamo ascoltare la sua parola che ci condanna a questo proposito e, di conseguenza, proviamo a dimenticarla e a distrarci lavorando in un altro angolo più sicuro che ci richiede con-versione ma dove la coscienza non ci pungola allo stesso modo.

È in questa zona determinata del nostro cuore che, se noi vogliamo essere aperti e docili al Signore, che cono-sciamo attraverso un'esperienza molto personale il fuoco vivo della sua parola. Molto spesso riconosciamo questa consapevolezza per quello che essa è, tentiamo di affievo-lirne la percezione lavorando con energia su un altro pun-

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APPENDICE

to che vogliamo correggere, quando il Signore vuole pre-cisamente un'altra cosa. Chi è agli inizi ha bisogno di tempo per sentire interiormente Dio, prima di arrivare a poco a poco a riconoscere l'invito alla conversione che Egli gli rivolge a proposito di un punto determinato della sua vita (a prezzo forse di una lotta molto penosa). È bene che si dia un tempo, necessario per apprendere quale esame par-ticolare il Signore attende da noi in questo momento, piut-tosto che affrontare arbitrariamente questa o quella imper-fezione.

Così l'esame di questo punto particolare della nostra vi- ' ta è un'esperienza molto personale, sincera, e a volte deli-catissima della chiamata che Dio ci rivolge nel profondo del cuore, perché ci indirizziamo a Lui. L'obiettivo di questa conversione può restare lo stesso per molto tempo; l'im-portante è che noi percepiamo questo tipo di richiamo co-me proveniente da Lui. Spesso quest'ultimo prenderà l'a-spetto di una buona e sana colpevolezza, che bisognerà in-terpretare con cura per rispondervi secondo lo Spirito. Quando questa attenzione particolare è colta come un'e-sperienza personale dell'amore che il Signore ha per noi (qualunque sia la sua forma: per esempio un richiamo ad un'umiltà più vera o a una disponibilità più aperta a pren-dere gli altri come sono), in quel momento comprendiamo perché Sant'Ignazio ci suggerisce di applicare tutta la no-stra coscienza ai due momenti importanti della giornata: l'inizio e il termine.

Una delle dimensioni fondamentali del modo di pregare che si chiama esame di coscienza è la conoscenza intima della nostra condizione di peccatori. Questa conoscenza cor-

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risponde ad una ripresa di coscienza spirituale nella fede, una rivelazione che il Padre ci fa nel vivo della nostra espe-rienza, ben più che a un dato puramente colpevolizzante e moralizzante. Questo senso spirituale della nostra condi-zione umana davanti a Dio dipende dal progresso della no-stra fede e si sviluppa in una maniera viva che si risolve sempre nell'azione di grazie che è il canto del peccatore salvato. Ciò ci introduce alla quarta dimensione dell'esame.

4. CONTRIZIONE E PENTIMENTO

Nel cuore del cristiano vi è sempre il canto, canto di gioia profonda e di gratitudine ma il nostro alleluia può essere molto superficiale, senza corpo né anima, se non è segna-to da un autentico sentimento di pentimento. E il canto del peccatore cosciente di essere preda delle sue tendenze al peccato e di essere nello stesso tempo trasformato e rinno-vato grazie alla vittoria di Gesù Cristo. Così, la nostra cre-scita non si realizza senza che noi proviamo una contrizio-ne piena di meraviglia in presenza del nostro Salvatore.

Questa dimensione del nostro sguardo spirituale che il Padre desidera approfondire in noi mentre ci trasforma in suoi figli e figlie, si applica qui alle azioni che abbiamo compiuto dopo il nostro ultimo esame, nella misura in cui esse sono state una risposta insufficiente all'azione del Si-gnore nei nostri cuori. Questo rammarico nascerà soprat-tutto dalla nostra mancanza di sincerità e di coraggio nelle risposte alla chiamata che ci rivolge il Signore nell'esame particolare. Non si confonda questa contrizione con la ver-gogna o la depressione che possiamo provare di fronte al-le nostre debolezze. Essa è un'espressione di fede che si

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APPENDICE

sviluppa nella misura in cui scopriamo meglio il desiderio appassionato di Dio che attende che noi l'amiamo con tut-te le fibre del nostro essere.

Dopo questa descrizione dovremmo sentire con eviden-za il valore di questa pausa quotidiana che si chiama esa-me, o esercizio della vigilanza spirituale: essa dà espres-sione concreta alla contrizione che abita nei nostri cuori e che nasce dalle revisioni della nostra giornata.

5. UNA RISOLUZIONE CARICA DI SPERANZA

L'ultimo elemento dell'esame di coscienza consegue mol- ' to naturalmente dai precedenti. Il loro sviluppo organico ci conduce a esaminare il futuro che viene verso di noi per integrarsi alla nostra vita. Alla luce del discernimento che abbiamo appena fatto del passato immediato, come vedia-mo l'avvenire? Siamo scoraggiati, depressi o paurosi da-vanti ad esso? Se questa è l'atmosfera del nostro cuore, dobbiamo interrogarci e tentare di vedervi chiaro. Dobbia-mo riconoscere onestamente i sentimenti che ci ispira que-sto avvenire e non nasconderceli nella speranza che essi spariscano.

Il modo di esprimere quest'ultimo elemento dipenderà dall'andamento dei punti precedenti dell'esame. Così l'a-spetto della risoluzione che prenderemo per l'avvenire im-mediato non sarà sempre lo stesso. Se restasse identico, questo sarebbe il segno chiaro che non siamo entrati vera-mente nei quattro elementi precedenti. A questo punto del nostro esame, dovremmo provare un grande desiderio di considerare l'avvenire con uno sguardo e un cuore nuovi: noi preghiamo il Signore di riconoscere veramente il cam-

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mino individuale che ci propone, di comprendere veramente la parola che Egli ci rivolge nella nostra situazione con-creta e di rispondervi con più fede, umiltà e coraggio.

Questo dovrebbe essere soprattutto vero nell' esperien-za intima della chiamata del Signore a una conversione do-lorosa in quella certa parte della nostra vita che abbiamo chiamato «esame particolare». L'atmosfera del nostro cuore dovrebbe essere una grande speranza, fondata non sui no-stri desideri o sulle nostre forze future, ma piuttosto e molto più profondamente sul nostro Padre di cui noi condividia-mo la gloriosa vittoria in Gesù Cristo attraverso la vita del loro Spirito nei nostri cuori; più noi confideremo in Dio e gli permetteremo di condurre la nostra vita, più anche noi faremo l'esperienza della vera speranza cristiana e al di là dei nostri deboli mezzi. Un'esperienza talvolta con-fusa di timore, purificante, ma in fondo liberante e piena di gioia. S. Paolo esprime bene lo spirito di questa conclu-sione dell'esame in tutto questo passaggio della lettera ai Filippesi (3,7-14) «... dimentico del passato e proteso ver-so il futuro, corro verso la meta».

ESAME E DISCERNIMENTO ' : ;

Terminiamo questo articolo con qualche osservazione d'insieme sull'esame come noi l'abbiamo descritto, e sul discernimento degli spiriti. L'esame, percepito in questa luce e praticato così ogni giorno, non diviene più un breve esercizio compiuto una o due volte al giorno, e del tutto secondario rispetto alla nostra preghiera formale e alla no-stra maniera attiva di vivere l'amore di Dio nella nostra vita quotidiana. Esso è invece un esercizio che condiziona e rinnova a tal punto la nostra identità nella fede che ci do-

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APPENDICE

vrebbe fare maggiore difficoltà l'omettere l'esame che non la nostra quotidiana preghiera contemplativa propriamen-te detta.

Questa sembra essere stata la maniera in cui Ignazio ha considerato l'esame. Mai egli parla di ometterlo, mentre per la meditazione quotidiana ammette che, per certe ra-gioni, possa essere adattata e abbreviata. Sembra proprio che l'esame per lui fosse centrale e assolutamente inviola-bile. Questo ci stupisce finché non arriviamo a rinnovare la nostra comprensione dell'esame così strettamente lega-to allo sviluppo della nostra identità spirituale e così capi-tale per la nostra scoperta di Dio in tutte le cose e dapper-tutto, che esso diviene l'esperienza centrale nella preghie-ra quotidiana.

Per Ignazio, trovare Dio in ogni cosa è «il tutto della vi-ta». Alla fine dei suoi giorni egli diceva «che poteva trova-re Dio quando voleva, non importa a che ora» (Autobio-grafia, nn. 99). Era l'Ignazio della maturità, che aveva così pienamente permesso a Dio di occupare tutte le fibre del suo essere, dicendo al Padre un sì senza riserve, sgorgato dal profondo del suo essere, che poteva provar ogni qual-volta lo volesse, la pace profonda, la gioia e la contentez-za, nelle quali egli faceva l'esperienza di Dio nell'intimo del cuore. L'identità di Ignazio, in questo momento della sua vita totalmente fondata in Cristo, come dice san Paolo è «di essere trovato in Lui, non con una mia giustizia deri-vante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sul-la fede». Ignazio aveva questa certezza di aver trovato la sua vera unità interiore in Cristo.

In grado di trovare Dio ogni volta che voleva, poteva

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ormai trovarlo in tutte le cose, sperimentando ogni mozio-ne, disposizione o sentimento interiore col suo vero io. Ogni volta che egli sperimentava in se stesso un accordo intimo in forma di pace, di gioia, di contentezza rinnovata con la mozione interiore, e ogni volta che si sentiva in pace nel suo vero io, egli aveva la certezza che in quell'istante ave-va percepito la parola che Dio gli rivolgeva. Ed egli vi ri-spondeva con la pienezza dell'umile coraggio che era una sua caratteristica. Se scopriva qualche dissonanza, agita-zione, e turbamento, nel profondo del suo cuore, e non po-teva trovare in Cristo il suo vero io pacificato, egli identi-ficava la mozione interiore come opera del cattivo spirito e trovava Dio opponendosi alla pulsione della desolazio-ne.

In questa maniera egli era in grado di trovare Dio in tut-te le cose, sottomettendo con cura al discernimento tutte le sue esperienze interiori (o spiriti). Questo discernimen-to degli spiriti diviene così una maniera quotidiana molto pratica di vivere l'arte di amare Dio con tutto il cuore, con tutto il corpo e con tutte le forze. .zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA > • v •< i

Ogni istante della sua vita era speso a trovare Dio nella situazione data in una profonda tranquillità, pace e gioia.

Per Ignazio questa maniera di trovare Dio nella mozio-ne, nel sentimento, nell'opzione del momento era divenu-ta, nella sua maturità, pressoché istantanea, tanto Dio aveva afferrato il cuore e l'inclinazione del suo essere.

Per chi inizia, ciò che era quasi istantaneo per l'Ignazio della maturità, può richiedere uno sforzo: lo sviluppo per qualche ora o qualche giorno di una preghiera intensa, se-condo l'importanza della mozione o della pulsione da iden-tificare.

148

APPENDICE

Secondo alcuni dei suoi scritti, Ignazio ricorreva all'e-same e si riportava al test quasi istantaneo dell'accordo co uo vero io'anche moltissime volte nella giornata. Ma egh

parla anche dell'esame in senso più formale e ristretto cioè zyxwvutsrqponmlkjihgfedcbaZYXWVUTSRQPONMLKJIHGFEDCBA

c\\e Quarti d'ora di preghiera ogni giorno. CWaSe relazioni intime ed essenziali esistenti tra questi

due sensi dell'esame era lo scopo di questo articolo. zyxw

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Forse perché aumenta sempre più il numero e il volume delle voci che fanno ressa alle nostre orecchie e disorientano il nostro cuore, è ogni giorno più avvertito il bisogno di lasciare risuona-re nelle nostre Comunità in modo distinto e immediato l'unica Parola essenziale.

Strumento agile e pratico questo libro è supporto ad un itine-rario comunitario sul filo delle Parabole evangeliche, ripropo-ste secondo una particolare chiave di lettura: le tappe proprie degli Esercizi Spirituali ignaziani.

Per ogni incontro si suggeriscono una traccia e semplici spun-ti dai quali avviare il lavoro personale e di gruppo, mentre il susseguirsi concatenato delle riflessioni, secondo i ritmi degli Esercizi, consentirà inaspettati passi in avanti in una esistenza da contemplativi nell'azione. zy

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FRANCESCO BOTTA, gesuita, a lungo ha esercitato il suo ministero apostolico tra i laici delle Comunità di Vita Cristiana, CVX, di cui è stato anche Assistente Nazionale. Già Rettore del Seminario Campano, è stato Parroco a Tirana, ed ora è Supe-riore dei Gesuiti dell'Italia Centrale. z

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ISBN 88-85299-17-2

9 788885 299177

L. 17.000 iva inclusa