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L’epopea di Sebastopoli: la legittimità del referendum di secessione nel diritto internazionale alla luce della recente vicenda della Crimea

Mar 28, 2023

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pubblicati in italiano, francese, inglese, spagnolo e portoghese. Gli articoli pubblicati nella Rivista non

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L’EPOPEA DI SEBASTOPOLI: LA LEGITTIMITÀ DEL REFERENDUM DI SECESSIONE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE ALLA LUCE DELLA RECENTE

VICENDA DELLA CRIMEA Valentina Ranaldi

Dottoranda di ricerca presso l’Università «La Sapienza» di Roma

1. Premessa: la Crimea tra Russia ed Europa

«A lungo questa epopea di Sebastopoli lascerà in Russia tracce profonde, ed eroe di

questa epopea è stato il popolo russo». Così si esprimeva Lev Nikolaevič Tolstoj in merito

alla strenua difesa russa di Sebastopoli dall’assedio della flotta anglofrancese durante la

guerra di Crimea, nei suoi Racconti di Sebastopoli1. Anche allora, come oggi, la penisola di

Crimea era fulcro delle ambizioni territoriali della Russia, desiderosa di guadagnarsi la

posizione strategica sul Mar Nero che essa geograficamente consente. Per questo Nicola I aprì

le ostilità contro l’Impero Ottomano nel novembre 1853, nell’ambito di un disegno

espansionistico in direzione del Mar Nero e dei Balcani. Il casus belli era stato il mancato

riconoscimento dei diritti dei cittadini ortodossi da parte dell’Impero ottomano, che portò

all’occupazione russa della Moldavia e della Valacchia. Conflitto tra i più sanguinosi

dell’Ottocento, la guerra di Crimea si concluse con la sconfitta russa (1855) e la Conferenza

di Parigi (1856), che garantiva l’integrità territoriale dell’Impero ottomano2.

Punto di partenza obbligato, l’evento storico appena richiamato, se si vogliono

comprendere con chiarezza le ragioni profonde dell’attuale crisi della Crimea, nella

consapevolezza che nessun fenomeno giuridico internazionale possa essere adeguatamente

1 TOLSTOJ, Sebastopoli nel mese di dicembre, in Racconti di Sebastopoli. Ufficiale d’artiglieria, Tolstoj arrivò a Sebastopoli il 7 novembre 1854, e vi resterà fino alla disfatta russa e alla caduta della città nel settembre 1855. Per una ricostruzione della guerra di Crimea nell’ambito della politica estera di Nicola I si veda, tra gli altri, RIASANOVSKY, Storia della Russia, Milano, 2005, pp. 330-339. 2 Si ricordi la presenza, a fianco degli anglofrancesi, di un corpo di spedizione inviato dal Piemonte per volontà di Cavour, che si proponeva in questo modo di portare la questione dell’unità italiana al tavolo delle grandi potenze, come poi effettivamente fece nella conferenza di pace di Parigi del 1856 per protestare contro le truppe austriache nello Stato pontificio.

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analizzato se non tenendo in considerazione le ragioni storiche, sociali e culturali che ne sono

causa. La Crimea, come del resto l’Ucraina tutta, è storicamente legata alla Russia per

posizione geopolitica, cultura, composizione etnica, e non era difficile immaginare che, posta

di fronte alla necessità di una netta scelta di campo tra Russia ed Europa, sarebbero emerse

pulsioni mai sopite come quelle che hanno portato, nel marzo scorso, alla secessione

dall’Ucraina.

La guerra di Crimea ebbe l’effetto di devastare il tessuto socio-economico della

penisola. A seguito delle persecuzioni zariste e di confische, la popolazione tatara fu costretta

ad allontanarsi diventando progressivamente una minoranza nella sua terra. L’abbandono

delle terre fertili che ne conseguì, costrinse lo zar a far rimpiazzare i Tatari con contadini russi

(nonché italiani) che arrivarono in grande quantità, comportando, nel medio periodo, un

evidente miglioramento delle condizioni economiche della regione.

In seguito alla Rivoluzione del 1917 e alla conseguente frammentazione dell’Impero

venne proclamata, in opposizione al bolscevismo, la Repubblica Popolare di Crimea

(dicembre 1917-gennaio 1918), un tentativo di creare una nuova nazione che, sebbene di

iniziativa dei tatari di Crimea, prevedeva l’uguaglianza delle varie etnie della penisola. È

proprio la Crimea che, nel corso della guerra civile3, costituì l’ultima roccaforte dell’Armata

Bianca guidata dal Generale Wrangel contro l’Armata Rossa, alla quale si arrese solo nel

19204. Il 18 ottobre 1921 la penisola divenne la Repubblica socialista sovietica autonoma di

Crimea all’interno della Repubblica socialista federativa sovietica russa (RSFSR).

La terra di Crimea fu destinata ad essere teatro di alcune fra le più sanguinose battaglie

della Seconda guerra mondiale e Sebastopoli, presa d’assedio dalle truppe tedesche, resistette

eroicamente dall’ottobre 1941 fino al 4 luglio 1942, quando fu occupata. La liberazione da

parte dell’Armata Rossa arrivò nel 1944. Dopo di essa, con un’operazione di vera e propria

pulizia etnica, circa 200 mila Tatari di Crimea, insieme ad altre minoranze, vennero deportati

3 Sulla quale si veda VILLARI, Mille anni di storia, dalla città medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, 2000, p. 630-636.4 DUROSELLE, Storia diplomatica dal 1919 ai giorni nostri, Milano, 1998, p. 53.

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nei gulag staliniani con l’accusa di collaborazionismo con le truppe del Terzo Reich5. Di fatto

la Crimea divenne un oblast dell’URSS, appartenente amministrativamente alla Russia e a

fortissima presenza russa. Ciò anche per garantire le strategiche postazioni militari; la baia di

Sebastopoli assurse a principale porto dell’intera Unione sovietica, quale base storica della

flotta del Mar Nero.

Nel 1954, un anno dopo la morte di Stalin, il premier Krusciov (di origine ucraina) con

il pretesto di celebrare i 300 anni del Trattato di Perislav, suggello dell’unione dell’Ucraina

nell’impero zarista e dei rapporti di alleanza fra Russia e i cosacchi ucraini, “regalò” la

Crimea all’Ucraina sovietica. A suo modo di vedere, questo atto rispondeva ad un intento di

decentralizzare l’URSS, oltre ad essere una sorta di ricompensa per l’Ucraina il cui frumento

aveva nutrito l’Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale. In sostanza, nel contesto

dell’Unione Sovietica, si trattava di un passaggio di giurisdizione senza particolari

conseguenze, ma la “generosità” di Krusciov non venne mai accettata di buon grado né in

Crimea né in Russia. Essa venne anzi osteggiata da buona parte della popolazione russa,

causando forti tensioni interne all’Ucraina.

Nel frattempo, con il processo di destalinizzazione avviato nel 1956 da Krusciov, le

popolazioni di Crimea deportate in massa dopo il 1944 poterono essere riabilitate e tornare

nelle loro terre d’origine. I Tatari iniziarono però a ritornare solo verso gli anni Ottanta. La

Crimea aveva conosciuto un ottimo sviluppo economico e boom demografico a partire dagli

anni Sessanta, e la popolazione restava in massima parte russofona.

Con il collasso dell’Unione Sovietica l’Accordo di Minsk, sottoscritto l’8 dicembre

1991 tra Russia, Ucraina e Bielorussia6, sancì la permanenza della Crimea all’interno dello

Stato ucraino e il 5 maggio 1992 la Crimea votò per l’indipendenza; il governo locale decise

però di restare parte dell’Ucraina, pur con uno status di Repubblica autonoma. L’accordo del

1991 prevedeva anche che la flotta da guerra della marina russa di stanza in Crimea potesse

5 RIASANOVSKY, cit., p. 533. 6 Il preambolo dell’Accordo di Minsk si apre con la constatazione che l’URSS cessa di esistere come soggetto di diritto internazionale. Si veda FILIPPINI, L’evoluzione del sistema sovietico fino alla sua dissoluzione e i riflessi internazionali, in SACERDOTI, Diritto e istituzioni della nuova Europa, Milano, 1995, p. 85 ss.

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rimanere ancorata a Sebastopoli; l’accordo è stato recentemente (2010) rinnovato da Mosca e

Kiev fino al 2042.

Attualmente in Crimea la popolazione di etnia russa rappresenta il 59% della

popolazione, il 24% è di etnia ucraina, mentre la minoranza tatara si aggira attorno al 12%.

2. Il referendum in Crimea del 16 marzo 2014 e le reazioni dellaComunità internazionale: il non riconoscimento dell’annessione alla Federazione russa come conseguenza di una pretesa violazione del diritto internazionale

Il 16 marzo 2014 un referendum popolare ha sancito la secessione della Crimea e la sua

annessione alla Russia. Il referendum era stato indetto dal Parlamento della Crimea con una

Risoluzione (la n. 1702-6/14), adottata in data 6 marzo 2014. Il voto popolare è stato

preceduto, l’11 marzo 2014, da una dichiarazione di indipendenza da parte del Consiglio

supremo della Repubblica di Crimea.

Il quesito referendario verteva su due opzioni: entrare a far parte della Federazione russa

come soggetto federale, oppure tornare alla Costituzione della Crimea del 1992, nella quale

quest’ultima era qualificata come “una parte integrante dell’Ucraina”. Il risultato del

referendum, al quale ha partecipato oltre l’80% degli aventi diritto, ha decretato la

riunificazione della Crimea alla Russia con una maggioranza di circa il 97% dei votanti.

La riunificazione è stata poi perfezionata con la firma a Mosca, il 18 marzo 2014, del

Trattato di adesione, sottoscritto dal Presidente Putin e dalle autorità della Crimea e ratificato

dalla Duma di Stato russa il successivo 20 marzo. L’esito del referendum è stato infine

completato, il 21 marzo, con la firma da parte del Presidente Putin di due leggi federali ad

hoc7.

7 Si tratta della Federal Constitutional Law On Admitting to the Russian Federation the Republic of Crimea and Establishing within the Russian Federation the New Constituent Entities of the Republic of Crimea and the City of Federal Importance Sevastopol e la Federal Law On Ratifying the Agreement between the Russian Federation and the Republic of Crimea on Admitting to the Russian Federation the Republic of Crimea and Establishing within the Russian Federation New Constituent Entities, entrambe del 21 marzo 2014 e reperibili al seguente link: http://eng.kremlin.ru/acts/6912.

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Questo avveniva mentre, nella situazione di estrema instabilità seguita alla destituzione

del Presidente Yanukovich il 22 febbraio 2014 e all’insediamento di un governo provvisorio,

luoghi chiave della Crimea, quali aeroporti ed edifici pubblici, compreso il parlamento

regionale, venivano di fatto bloccati da uomini armati privi di insegne, successivamente

identificati (per ammissione dello stesso Putin), come soldati russi. Tutto ciò senza che

venisse sparato un solo colpo. La presenza russa è stata ufficialmente giustificata con

l’esigenza di proteggere la popolazione di etnia russa, esposta al rischio di violenze, nonché i

propri cittadini presenti nelle basi russe.

Intanto la flotta russa, già di stanza a Sebastopoli in forza dell’accordo sopra richiamato,

aveva bloccato l’accesso al porto.

La presenza militare russa in Crimea ha scatenato un’ondata di proteste ed una severa

condanna dell’annessione alla Russia, da parte soprattutto degli Stati Uniti e degli Stati

europei, che hanno avuto come conseguenza immediata l’adozione di sanzioni ad personam.

Senza volersi addentrare in valutazioni di merito sulla –dubbia- legittimità ed efficacia delle

cosiddette “sanzioni individuali”, va ricordato come i primi provvedimenti, adottati in data 6

marzo, colpissero principalmente gli esponenti politici e amministrativi ucraini coinvolti nei

disordini di Kiev. Successivamente le stesse sanzioni sono state estese in varie fasi, a partire

dal 17 marzo, a funzionari russi ed ucraini coinvolti nella secessione della Crimea e nella sua

annessione alla Russia. Le sanzioni adottate dall’Unione europea sono consistite, in

particolare, nel congelamento degli asset detenuti in Europa dal Presidente Yanukovich, da

diciassette funzionari pubblici ucraini e da ventuno esponenti politici di Russia, Crimea ed

Ucraina, per i quali è stato peraltro imposto un blocco dell’ingresso nell’Unione. Analoghe

sanzioni sono state adottate dagli Stati Uniti, che ha inoltre redatto una lista di “Specially

Designed Nationals” ucraini (SDN, tra cui il presidente Yanukovich) con cui soggetti privati e

operatori economici statunitensi non possono condurre transazioni economiche.

Alla luce degli avvenimenti sopra descritti, la maggior parte della Comunità

internazionale si è inoltre espressa nel senso del non riconoscimento dei cambiamenti nello

status della Crimea. Ciò è avvenuto sia a livello unilaterale da parte dei singoli Stati, sia a

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livello di Organizzazioni internazionali. Prima tra tutte, l’Organizzazione delle Nazioni Unite

ha visto al suo interno accendersi un infuocato dibattito in seno al Consiglio di Sicurezza, in

particolare tra la Russia e gli altri Stati, che ha di fatto monopolizzato i lavori dell’Istituzione

nell’ultimo periodo.

È necessario a tal fine ricordare come la Federazione russa, grazie al potere di veto che

detiene in seno al Consiglio di Sicurezza in qualità di membro permanente, sia riuscita a

bloccare l’adozione del progetto di risoluzione sul referendum in Crimea proposto da 41 Paesi

(in prevalenza occidentali, Stati Uniti in primis8) il 15 marzo 20149. Solo la Cina si è astenuta

dal voto, mentre tutti gli altri Stati membri hanno votato a favore10. Il progetto di risoluzione è

particolarmente significativo in quanto rispecchia appieno la posizione della Comunità

internazionale, dichiarando invalido il referendum che si sarebbe tenuto il giorno dopo in

Crimea. Appare dunque rilevante richiamare tale progetto di risoluzione, pur non volendo con

ciò intendere l’ordinamento giuridico delle Nazioni Unite come una sorta di

istituzionalizzazione della Comunità internazionale. È interessante notare come, al fine di

suffragare la presa di posizione contraria al referendum in Crimea, il progetto richiami in

primo luogo, nel Preambolo del testo, l’articolo 2 (paragrafo 4) della Carta delle Nazioni

Unite, cioè l’obbligo per gli Stati di astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dalla

minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di

qualsiasi Stato, e di risolvere pacificamente le loro controversie internazionali11. Di qui il suo

corollario, per cui «no territorial acquisition resulting from the threat or use of force shall be

recognized as legal»12. Ciò quantomeno finché non si costituisce una situazione di effettività.

Ancora nel preambolo si cita l’Atto finale di Helsinki della Conferenza sulla Sicurezza e la

Cooperazione in Europa del 1975, che dichiara inviolabili i confini degli Stati europei tranne

8 Il testo era infatti stato proposto dagli Stati Uniti il 13 marzo 2014. 9 UNSC Draft Resolution, UN Doc S/2014/189. Per un commento sul progetto di risoluzione si veda, in particolare, CADIN, La crisi in Ucraina dinanzi al dinanzi al Consiglio di Sicurezza: ritorno a Yalta senza biglietto?, in Ordine internazionale e diritti umani, 2, 2014, pp. 346-351. 10 Sulle posizioni espresse dai singoli Stati si legga il verbale della riunione del 15 marzo 2014, UNSC Verbatim Record (15 March 2014), UN Doc S/PV.7138. 11 UNSC Draft Resolution, cit., preambolo. 12 Idem.

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nel caso di modifiche consensuali, e il Memorandum di Budapest del 199413. Si manifesta,

infine, la preoccupazione del Consiglio di Sicurezza circa l’intenzione di tenere un

referendum sullo status della Crimea il 16 marzo 2014.

Nel suo dispositivo, la draft resolution riafferma l’impegno del Consiglio di Sicurezza a

garantire l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina «within its

internationally recognized borders»14, ed esorta le Parti a perseguire la risoluzione pacifica

della controversia mediante un dialogo politico diretto, ad astenersi da azioni unilaterali e da

una retorica incendiaria che possano accrescere le tensioni, e a collaborare con gli sforzi di

mediazione internazionale15. Il terzo paragrafo invita l’Ucraina a rispettare i suoi obblighi

internazionalmente assunti, nonché i diritti di tutte le persone che vivono in Ucraina,

«including the rights of persons belonging to minorities»16. Il riferimento è chiaramente alla

popolazione russofona residente nel Sud e nell’Est del Paese.

Infine il progetto di risoluzione, dopo aver sottolineato come l’Ucraina non abbia

autorizzato il referendum sullo status della Crimea17, dichiara che «this referendum can have

no validity, and cannot form the basis for any alteration of the status of Crimea»18. Per queste

ragioni il Consiglio di Sicurezza «calls upon all States, international organizations and

specialized agencies not to recognize any alteration of the status of Crimea on the basis of this

referendum and to refrain from any action or dealing that might be interpreted as recognizing

any such altered status»19.

Se in Consiglio di Sicurezza l’adozione del progetto di risoluzione sin qui descritto è

stato impedito dal veto russo, nulla ha invece impedito all’Assemblea generale di approvare a

larga maggioranza, in data 27 marzo 2014, una risoluzione20 sull’integrità territoriale

13 Quest’ultimo è un’intesa politica firmata, il 5 dicembre 1994, da Ucraina, Federazione russa, Regno Unito e Stati Uniti. Per quanto qui interessa è sufficiente ricordare che gli Stati firmatari, assicurandosi l’adesione dell’Ucraina al Trattato sulla non proliferazione nucleare, si facevano garanti della sua integrità territoriale. 14 UNSC Draft Resolution, cit., dispositivo, par. 1. 15 Idem, par. 2. 16 Idem, par. 3. 17 Idem, par. 4. 18 Idem, par. 5. 19 Idem. 20 Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, n. 68/262 del 27 marzo 2014.

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dell’Ucraina proposta da Polonia, Lituania, Germania, Canada, Ucraina e Costa Rica21. Il

contenuto di detta risoluzione è molto simile al progetto respinto dal Consiglio di Sicurezza,

con l’aggiunta però della richiesta, rivolta a tutti gli Stati, di desistere e di astenersi da

qualsiasi azione diretta alla distruzione parziale o totale dell’unità nazionale e dell’integrità

territoriale dell’Ucraina, compreso qualsiasi tentativo di modificare i confini di tale Sato

attraverso la minaccia o l’uso della forza, o altri mezzi illegali. Nella risoluzione si conferma

infine l’appello agli Stati a non riconoscere «any alteration of the status of the Autonomous

Republic of Crimea and the city of Sevastopol» e ad astenersi dal compiere «any action or

dealing that might be interpreted as recognizing any such altered status».

Anche l’Unione europea si è schierata, pur con diversi livelli di intensità tra i vari Stati

membri, nel senso del non riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Federazione

russa. A tale proposito è appena il caso di rilevare come, date le carenze strutturali della

politica estera e di sicurezza comune, nonché della politica europea di sicurezza e di difesa,

appare del tutto fuorviante parlare, come in questi mesi si è fatto, di “politica estera”

dell’Unione europea nel contesto della crisi ucraina. Si può semplicemente in questa sede

richiamare la posizione assunta dai Capi di Stato e di Governo dei ventotto Stati membri

dell’Unione europea ed espressa, con una dichiarazione, il 6 marzo 2014; è ad essa che si

richiamano le due dichiarazioni congiunte del Presidente della Commissione europea, José

Manuel Barroso, e del Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, del 1622 e del

18 marzo 201423. Nella dichiarazione del 16 marzo, in particolare, si definisce il referendum

sul futuro status del territorio dell’Ucraina come contrario alla Costituzione ucraina e al diritto

internazionale. Esso è perciò illegale ed illegittimo, «and its outcome will not be

recognised»24. Nello stesso documento si afferma inoltre che la soluzione della crisi in

Ucraina deve basarsi sull’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza del Paese, nel

21 La risoluzione è stata approvata con 100 voti a favore, 11 contrari e 58 astensioni. 22 Joint statement by President of the European Council Herman Van Rompuy and President of the European Commission José Manuel Barroso on Crimea, Bruxelles, 16 marzo 2014. 23 Joint statement on Crimea by the President of the European Council, Herman Van Rompuy, and the President of the European Commission, José Manuel Barroso, Bruxelles, 18 marzo 2014. 24 Joint statement, 16 marzo 2014, cit.

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quadro della Costituzione ucraina e nel rispetto degli standard internazionali. L’unica

soluzione possibile viene individuata in un processo diplomatico che porti a discussioni

dirette tra i Governi di Ucraina e Russia. Si ribadisce infine una forte condanna «of the

unprovoked violation of Ukraine’s sovereignty and territorial integrity»25, e si fa appello alla

Russia perché ritiri le proprie forze armate fino a riportarle, nelle aree i cui esse stazionano in

modo permanente, al loro numero precedente alla crisi.

La dichiarazione congiunta del 18 marzo invece, oltre a ribadire la necessità di rispettare

la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’Ucraina, afferma che l’Unione europea

non riconosce «the illegal and illegitimate referendum in Crimea», e «does not and will not

recognise the annexation of Crimea and Sevastopol to the Russian Federation»26.

Identiche posizioni sono state espresse dai Ministri degli Affari Esteri degli Stati membri

il 17 marzo 2014.

Nel senso del non riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Russia si è espresso

anche il Consiglio d’Europa. La European Commission for Democracy through Law

(Commissione di Venezia) si è espressa sul tema della secessione della Crimea con due

pareri, rispettivamente del 13 e del 21marzo: il n. 762/201427 e il n. 763/201428.

Nel parere n. 762/2014 si riporta, in particolare, il testo della Costituzione ucraina,

adottata dal Parlamento di Kiev in 28 giugno 1996, poi emendata da diverse leggi nel corso

degli anni. Le disposizioni che rilevano nel caso della Crimea sono, in particolare, quelle

riguardanti il referendum, nonché il Capitolo X della Carta costituzionale, che ha riguardo

proprio alla Repubblica autonoma di Crimea. Con riferimento al referendum l’articolo 72

della Costituzione ucraina stabilisce che esso debba essere indetto dal Parlamento

dell’Ucraina (la Verkhovna Rada) o dal Presidente dell’Ucraina, mentre l’articolo 73 prevede

che «Issues of altering the territory of Ukraine are resolved exclusively by an All-Ukrainian

referendum». Su tali basi la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa ha ravveduto

25 Idem. 26 Joint statement, 18 marzo 2014, cit. 27 Commissione di Venezia, parere n. 762/2014, Strasburgo, 13 marzo 2014. 28 Commissione di Venezia, parere n. 763/2014, Strasburgo, 21 marzo 2014.

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una violazione della Costituzione ucraina. A ciò si aggiungerebbe, secondo il parere della

Commissione, anche una violazione degli standard internazionali (tra i quali i principi stabiliti

dalla stessa Commissione Venezia nel codice di buone prassi per i referendum), nonché

dell’articolo 3 del Primo Protocollo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo29 e

dell’articolo 25 del Patto sui diritti civili e politici.

Nel parere n. 763/2014 sul progetto di legge costituzionale finalizzato all’annessione

della Crimea alla Federazione russa, la Commissione di Venezia evidenzia la violazione del

principio dell’integrità territoriale. Secondo tale principio la cessione di un territorio è

possibile solo con il pieno consenso del governo interessato e, comunque, assicurando il pieno

rispetto dei diritti umani. La legalità della secessione deve essere valutata sulla base

dell’ordinamento dello Stato territoriale, e non dello Stato che procede all’annessione. Il

diritto all’autodeterminazione, inoltre, non include in alcun modo il diritto di secessione.

Sulla base di tale impostazione l’annessione russa costituisce, per la Commissione di Venezia,

una violazione del principio della salvaguardia dell’integrità territoriale, della sovranità degli

Stati, del non intervento negli affari interni di un altro Stato e del principio pacta sunt

servanda30.

A fronte della quasi unanime condanna della Comunità internazionale sin qui descritta,

appare doveroso porsi alcune domande. Si può condannare tout court un referendum popolare

che dimostri una schiacciante volontà di una regione che intenda secedere o si pronunci nel

senso dell’annessione ad un altro Stato, senza tenere minimamente in conto il principio di

autodeterminazione di popoli? Se la secessione è indifferente per il diritto internazionale,

come chiaramente espresso dalla Corte Internazionale di Giustizia nell’Advisory Opinion sul

caso del Kosovo (su cui si tornerà tra breve), perché ritenere illegittimo il referendum tenutosi

in Crimea, considerando oltretutto il caso di specie di una situazione di vuoto di potere

determinato dal capovolgimento del Presidente -legittimamente eletto- Viktor Yanukovich?

29 L’Articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce il diritto a libere elezioni «in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo». 30 Commissione di Venezia, parere n. 763/2014, cit.

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3. Il remedial secession nel diritto internazionale con riguardo allasecessione della Crimea e del Kosovo: sull’ineguale applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli

Per parte della Dottrina31, il principio di autodeterminazione non può essere inteso come

idoneo a legittimare le pretese secessionistiche di determinate parti di territorio, sino esse

regioni, province o circoscrizioni territoriali dotate di un grado più o meno ampio di

autonomia. Quanto affermato varrebbe anche per circoscrizioni etnicamente distinte dal resto

del Paese. La secessione come rimedio (remedial secession) non avrebbe dunque alcun

fondamento, neanche nel caso di minoranze sottoposte a discriminazioni intollerabili32.

Occorre però rilevare come la Corte Internazionale di Giustizia, chiamata a pronunciarsi

sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, si sia espressa, con il parere del 22 luglio

2010, nel senso dell’inesistenza, nel diritto internazionale generale, di una norma

consuetudinaria che vieti le dichiarazioni unilaterali di indipendenza33. La Corte infatti, nel

31 Tra tutti, CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2013, p. 28. 32 In tal senso TANCREDI, La secessione nel diritto internazionale, Padova, 2001. Sul principio di autodeterminazione dei popoli e della tutela delle minoranze con riguardo alla secessione si vedano, tra gli altri: KOHEN (ed.), Secession: International Law Perspectives, Cambridge, 2006; MOORE (ed.), National Self-Determination and Secession, Oxford, 1998; VILLANI, Autodeterminazione dei popoli e tutela delle minoranze nel sistema delle nazioni unite, in ID., Studi su La protezione internazionale dei diritti umani, Roma, 2005, p. 62; WALTER-VON UNGERN STERNBERG-ABUSHOV, Self-Determination and Secession in International Law, Oxford, 2014. 33 Parere della Corte Internazionale di Giustizia del 22 luglio 2010. Il Kosovo, provincia autonoma della Serbia, si era dichiarato indipendente il 17 febbraio 2008, per voce delle istituzioni provvisorie di amministrazione autonoma. L’8 ottobre 2008 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 63/3, aveva richiesto alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo sulla questione se la dichiarazione unilaterale di indipendenza delle “autorità provvisorie di auto-governo” del Kosovo fosse o meno conforme al diritto internazionale. Per un commento del parere della Corte di vedano, tra gli altri: BERNARDINI, Il parere della corte internazionale di giustizia sulla questione del Kosovo, in Riv. coop. giur. int., 37, 2011, pp. 7-9; CARCANO, Sul rapporto fra diritto all’autodeterminazione dei popoli e secessione: in margine al parere della Corte internazionale di giustizia riguardante il Kosovo, in Riv. dir. int., 2010, p. 1135 ss.; GRADONI-MILANO (a cura di), Il parere della Corte Internazionale di Giustizia sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo, Padova, 2011; HIPOLD (ed.), Kosovo and International Law: The ICJ Advisory Opinion of 22 July 2010, Danvers, 2012; MILANO, Declarations of independence and territorial integrity: some reflections in light of the Court’s advisory opinion, in ARCARI-BALMOND (dirigé par), La déclaration d’indépendance du Kosovo à la lumiere de l’avis de la Cour Internationale de Justice du 22 juillet 2010, Milano, 2011, pp. 59-90; OELLERS-FRAHM, Problematic Question or Problematic Answer? Observations on the ICJ’S Advisory Opinion concerning Kosovo’s unilateral declaration of independence, in Germ. YB. Int. Law, 53, 2011, pp. 793-830; TANCREDI, Il parere della Corte internazionale di giustizia sulla Dichiarazione d’Indipendenza del Kosovo, in Riv. dir. int., 2010, pp. 994-1052.

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chiedersi se la dichiarazione di indipendenza violasse o meno il diritto internazionale

generale, ha richiamato la prassi del periodo coloniale, in cui l’affermazione di un diritto

all’autodeterminazione avrebbe fatto emergere di un “diritto all’indipendenza”. Con riguardo

invece ai contesti extra coloniali, la Corte ha sostenuto che la prassi degli Stati non permette

di stabilire la formazione in diritto internazionale di una nuova regola proibitiva delle

dichiarazioni unilaterali di indipendenza34.

La Corte fa poi riferimento alla prassi del Consiglio di Sicurezza, che aveva dichiarato

nulle le secessioni, proclamate tramite dichiarazioni unilaterali di indipendenza, della

Rhodesia del Sud nel 1970 e di Cipro del Nord nel 198335. Esse riguarderebbero però,

secondo la Corte, valutazioni effettuate dal Consiglio di Sicurezza nel contesto di violazioni

di importanza fondamentale del diritto internazionale generale, in particolare violazioni di

norme di ius cogens. Se, dunque, in quei casi i processi di secessione erano frutto di

violazioni del diritto internazionale di più ampia portata, non era questo il caso del Kosovo. È

per questa ragione che, in occasione della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, non si è

ripetuta la prassi di condanna delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza da parte del

Consiglio di Sicurezza; prassi che avrebbe, dunque, un carattere di eccezionalità36.

In merito all’incidenza del principio dell’integrità territoriale, la Corte lo ha definito, nel

parere del 22 luglio 2010, con riferimento all’articolo 2, paragrafo 4, della Carta della Nazioni

Unite, nonché alla Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli tra Stati e all’Atto finale

della Conferenza di Helsinki del 1975, come «an important part of the international legal

34 Parere della Corte Internazionale di Giustizia, cit., par. 79. Sul tema si vedano CHRISTAKIS, Le droit à l’autodétermination en dehors des situations de décolonisation, Paris, 1999; POMERANCE, Self-Determination in Law and Practice, the New Doctrine in the United Nations, Boston-London, 1982. 35 Sul differente caso della Repubblica Turca di Cipro del Nord si rimanda a SINAGRA-ZANGHÌ (a cura di), La Questione Cipriota, La Storia il Diritto, Milano, 1999. 36 Parere della Corte Internazionale di Giustizia, cit., par. 81. Sul tema si veda MILANO, The Security Council and Territorial Sovereignty: the Case of Kosovo, in ICLR, 12, 2010, pp. 182-201.

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order»37. Il principio dell’integrità territoriale si applicherebbe però ai soli rapporti tra Stati,

non venendo in rilievo negli altri casi38.

La Corte Internazionale di Giustizia ha infine menzionato, nella sua valutazione della

conformità delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza al diritto internazionale generale, il

diritto di autodeterminazione dei popoli nella variante della “secessione rimedio”.

L’argomento della remedial secession riguarderebbe, però, il diritto alla secessione e alla

creazione di un nuovo Stato; esso non rientrava quindi, secondo la Corte, nella portata

“ristretta” del parere, non rilevando ai fini della risposta al quesito39.

La Corte concludeva dunque nel senso dell’inesistenza, nel diritto internazionale

generale, di un divieto applicabile alla promulgazione di dichiarazioni di indipendenza. La

dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 17 febbraio 2008 veniva di conseguenza

considerata, dalla Corte, come “non contraria” al diritto internazionale.

Ora, il Kosovo ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia in nome del principio di

autodeterminazione dei popoli, ed ha ottenuto il riconoscimento degli Stati Uniti, della

maggior parte degli Stati europei e di vari altri membri della Comunità internazionale. Se

furono considerati legittimi l’intervento militare della NATO in Kosovo (a protezione della

minoranza albanese) e il riconoscimento della sua indipendenza, perché non considerare

legittimo il referendum con il quale la Crimea ha deciso la secessione dall’Ucraina? Anche in

questo caso, infatti, l’argomento fondamentale addotto dalla Crimea (e dalla Russia) a

giustificazione dell’annessione si basa sul diritto di autodeterminazione dei popoli. A tale

diritto si è richiamato il delegato russo Vitaly Churkin nei dibattiti svoltisi in seno al

Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per motivare il suo voto

contrario alle risoluzioni proposte. La scelta del popolo di Crimea espressa nel referendum era

stata, a suo dire, determinata dalla situazione di violenza e di illegalità conseguente al colpo di

Stato in Ucraina.

37 Parere della Corte Internazionale di Giustizia, cit., par. 80. Sul tema si veda ARANGIO-RUIZ, Autodeterminazione dei popoli e diritto internazionale. Dalla Carta delle Nazioni Unite all’Atto di Helsinki (CSCE), in Riv. st. pol. int., 1983, pp. 524-526. 38 Idem. 39 Parere della Corte Internazionale di Giustizia, cit., paragrafi 82-83.

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Quanto si vuole sottolineare è la necessità di adottare i medesimi principi in tutte le

circostanze. Quando si parla di autodeterminazione dei popoli, questo principio dovrebbe

valere per tutti. Se parte della comunità internazionale riconobbe l’indipendenza del Kosovo,

a che titolo negare l’annessione della Crimea alla Russia? Non appare a chi scrive

convincente la motivazione, addotta per giustificare tale differente trattamento, secondo la

quale vi sarebbe stata un’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina. È evidente infatti

come l’annessione della Crimea da parte della Russia sia stata caratterizzata da modalità

sostanzialmente pacifiche. Il mancato accertamento della violazione grave di una norma

cogente è peraltro confermato anche dalla stessa discussione in seno al Consiglio di

Sicurezza, alla quale si è sopra accennato40. Nel progetto di risoluzione votato il 15 marzo non

vengono infatti contestate violazioni del diritto internazionale da parte di alcuno, né si dà

alcuna motivazione dell’asserita invalidità del referendum, se non implicitamente quella,

rilevante per il solo ordinamento interno, di non essere stato autorizzato dal governo nazionale

provvisorio. Il fondamento giuridico della dichiarazione di invalidità del referendum in

Crimea e della richiesta di non riconoscimento dei suoi effetti è, dunque, alquanto discutibile.

40 In tal senso CADIN, cit.

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