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I MONTI DI DIO A CURA DI SERENELLA CASTRI UMBERTO ALLEMANDI & C.
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L'eletto verso il monte. Dialogare con Dio nelle immagini dall'Antico Testamento

Feb 25, 2023

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I MONTI DI DIO

a cura di SERENELLA CASTRI

UMBERTO ALLEMANDI & C.

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Progetto e Produzione

Pro Loco San Floriano per la mostra di IllegioLara IobPresidente

Con il sostegno di

Autori del CAtAlogo

SaggiMarco BussagliGiuseppe CapriottiMaria CorsiDavid FrapicciniFrancesco LovinoGianfranco Ravasi Silvia RomaniAthanasios SemoglouEdoardo Villalta

Schede Adele BredaRichard BurnsMichele DanieliUdo FelbingerSara RodellaGiacomo MontanariVirginie SpenléSara Tarissi De JacobisKarin Trojer

TraduzioniSerenella Castri, dal tedesco (schede pp. 78-79, 183-186)Giuliana Olivero, dal francese e dall’inglese (saggio di Athanasios Semoglou, scheda pp. 75-77)

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Sommario

13 La montagna nell’orizzonte della cultura biblica giAnfrAnCo rAvAsi

31 I monti sacri dei Luoghi Santi e le loro teofanie nell’arte paleocristiana AthAnAsios semoglou

41 Mitiche montagne silviA romAni

55 L’eletto verso il monte. Dialogare con Dio nelle immagini dall’Antico Testamento giusePPe CAPriotti

72 Maestro dei Discepoli di Emmaus di Liegi, Mosè davanti al roveto ardente

75 Albert Joseph Moore, Il sacrificio di Elia

78 Ernst Fuchs, Mosè davanti al roveto ardente

81 I monti dello spirito mArCo bussAgli

95 Sul tema della Trasfigurazione: Lorenzo Lotto e dintorni dAvid frAPiCCini

108 Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi

117 Giovanni Francesco Caroto, Tentazione di Cristo

120 Pieter Brueghel il Giovane, Salita al Calvario

123 La montagna come luogo di ascesi. Realtà geografica, spazio sacralizzato, immagine ideale nel Medioevo italiano mAriA Corsi

137 Pietro di Giovanni detto Lorenzo Monaco, L’incontro di Pafnuzio con l’eremita Onofrio

141 Pietro di Giovanni detto Lorenzo Monaco, L’incontro tra sant’Antonio abate e l’eremita Paolo

145 Balthasar Grießmann, San Giovanni Battista nel deserto

149 Il monte di san Girolamo, o della solitudine dell’eremita frAnCesCo lovino

157 Angelo Maccagnino (attribuito a), San Girolamo

161 Una casistica per i Sacri Monti piemontesi e lombardi edoArdo villAtA

171 La montagna sublime mArCo bussAgli

183 Friedrich von Amerling, Paesaggio eroico

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L’eletto verso il monte. Dialogare con Dio nelle immagini dall’Antico TestamentogiusePPe CAPriotti

Influenzati forse dall’aspetto fisico delle alture, che sembrano avvicinare terra e cielo, gli uomini di diverse civiltà, antiche e recenti, hanno di sovente caricato alcune montagne di un particolare valore simbolico e sacrale, trasformandole in luo-

ghi in cui è possibile entrare in contatto con esseri extraumani, detentori di poteri straordinari. Si tratta probabilmente, in primissima istanza, di una questione meramente geografica: essendo luoghi elevati, le montagne sono spesso esposte alle forze più impressionanti della natura, ai venti e alla neve, e si caricano dunque facilmente di romantico mistero; la lontananza delle vette, che appaiono spesso velate di nebbia, e il loro isolamento dalle comunità umane, non sempre in grado di abitare le alte cime, conferiscono ai monti un’atmosfera di stupefacente alterità. Sottratte spesso dunque per queste motivazioni alla sfera del quotidiano, le montagne in molte culture sono interessate da un vero e proprio processo di sacralizzazione1.Mentre nel mondo classico le alture sono per eccellenza le dimore degli dèì, come ad esempio il monte Olimpo, nei testi dell’Antico Testamento, Jahvè, che è senza dubbio il «Dio delle montagne», almeno secondo il probabile senso etimologico di uno dei suoi epiteti, El-Shaddai2, non risiede affatto sulle vette, ma semplicemente sceglie di rivelarsi sulle montagne: così come elegge il patriarca o il suo nabi, ugualmente decide di manifestarsi e di parlare con questi ultimi in un luogo ben preciso e caratterizzato, che è, in genere, la cima di un monte. Nella prospettiva ebraica, dunque, la sacralizzazione di una vetta è presentata come l’effetto di un diretto intervento di Jahvè3. Il ruolo speciale attribuito dagli ebrei alle montagne sacre si ma-nifesta nei testi dell’Antico Testamento soprattutto mediante la citazione nominale e la descrizione di vette in cui avvengono rilevanti episodi della storia del popolo d’Israele o determinanti incontri tra Jahvè e il suo eletto: l’arca di Noè si incaglia sul monte Ararat, tra le odierne Turchia e Armenia; il mancato sacrificio d’Isacco ha luogo sull’altura del monte Moriah, tradizionalmente identificato con la collina a nord di Sion; Mosè riceve la sua missione e le famose tavole sul monte Sinai; sul monte Carmelo, sperone montuoso che era sacro a Baal, ebbe luogo la tremenda ordalia tra il profeta Elia e i sacerdoti di quel dio.La cultura occidentale è profondamente influenzata da questo tipo di sacralizzazione delle vette operata dalla cultura ebraica, e la montagna, immaginata o realmente esperita, continua a essere concepita nella lunga durata come il luogo privilegiato di incontri eccellenti, come la frontiera tra gli uomini e Dio4. Questo saggio si prefigge lo scopo di analizzare l’elaborazione iconografica, e dunque la tematizzazione visiva, inerente lo speciale ruolo attribuito dalla tradizione ebraica ai monti e alle vette, in un percorso che va dal Medioevo alla piena età moderna.

l’ArCA di noè sull’ArArAt

«Nel settimo mese, il diciassette del mese, l’arca si posò sui monti dell’Ararat. Le acque andarono via via diminuendo fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le cime dei monti»5. In questo modo il testo veterote-stamentario presenta la prima montagna emersa dal Diluvio, la quale simboleggia la salvezza riservata da Dio alla famiglia di Noè e a tutte le specie animali: prima che la colomba ritorni con il ramoscello d’ulivo, l’iniziale segno del mantenimento della promessa divina, e dunque del ritorno alla vita sulla terra, si manifesta proprio attraverso la visione delle vette.Trasponendo fedelmente in immagine queste parole bibliche, il redattore del programma iconografico del ciclo musivo vetero-

Fig. 1. Fine del Diluvio, 1180-1190. Mosaico. Monreale, Duomo, navata centrale.

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testamentario della navata centrale del Duomo di Monreale fece massima attenzione affinché gli artisti bizantini e le maestranze siciliane, che realizzarono i mosaici orientativamente tra il 1180 e il 11906, componessero con attenzione la scena con la fine del Diluvio, restituendo in particolare la pregnanza simbolica di quelle prime cime emerse (fig. 1). L’arca, raffigurata come una casa con tetto a capanna all’interno di una barca, si è infatti incagliata su tre colli che già brulicano di fresche erbette. Come afferma la scritta che scorre sopra l’episodio, «CessAto diluvio noe extrAhi feCit bestiAs Ab ArCA», Noè e uno dei suoi figli stanno facendo uscire dall’arca gli animali: il patriarca guida un leone, il figlio un ariete sopra una passerella, mentre altri animali domestici, un cavallo e un toro, hanno cominciato a brucare i primi ciuffi d’erba sotto lo sguardo attento delle donne che sono ancora rifugiate all’interno dell’arca7. È molto probabile che in questa raffigurazione abbia agito un modello iconografico bizantino, fissato ad esempio nel celebre Manuale del Monte Athos, che, sottolineando con chiarezza la centralità dei monti, prescrive: «In mezzo alle acque, si vedono comparire le cime dei monti; su una di esse poggia l’arca»8. L’importanza conferita alla montagna nel Manuale, ideato da monaci che si erano rifugiati proprio sul monte Athos per fare vita eremitica, e nello stesso dipinto di Monreale, va probabilmente inserita nella più generale sacralizzazione delle alture operata dalla cul-tura bizantina, che sostituisce le aree desertiche dei monaci egizi e palestinesi con i solitari rilievi della Grecia e dell’Anatolia9.

Nonostante il testo biblico citi esplicitamente l’Ararat, nell’arte occidentale la raffigurazione della montagna nelle scene legate agli episodi del Diluvio universale ha una fortuna alterna. Si pensi ad esempio che nella Firenze del primo Rinascimento un pittore come Pa-olo Uccello nelle Storie di Noè, realizzate tra il 1436 e il 1440 nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella10, non tematizza affatto il problema del monte, mentre nella celebre Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, consegnata nel 1452, la formella con le storie di Noè è dominata dal singolare volume piramidale dell’arca, appoggiato su un terreno montagnoso in cui è chiara-mente riconoscibile la cima di un colle11.Il massiccio dell’Ararat torna a essere invece centra-le tra Settecento e Ottocento. Nel Sacrificio di Noè di Francesco Fernandi, detto l’Imperiali (fig. 2), conser-vato nella Galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena e databile al terzo decennio del Settecento12, la montagna acquista un’incredibile ma-estosità, probabilmente dovuta a un’attenta rilettura del testo biblico da parte del pittore. Sullo sfondo di un grande colle, ove giace solitaria l’arca, raffigurata ancora una volta come una casa con tetto a capanna all’interno di una barca, Noè sta compiendo il sacrifi-cio per ringraziare Dio di averlo salvato dal diluvio13. Il dipinto fa perno sul parallelepipedo dell’altare fatto di blocchi squadrati, sul quale è stato acceso il fuoco e dal quale si alza un’alta colonna di fumo. La monta-gna è quasi la cassa di risonanza di uno straordinario campionario di pose emotivamente intensificate: Noè guarda in alto e prega a mani giunte; una donna in primo piano compie lo stesso gesto del patriarca, inginocchiandosi su un masso; un figlio si genuflette mestamente appog-giandosi a un bastone; altri pregano allargando meravigliati le braccia, mentre il più giovane, che s’accorge di essere guardato dall’osservatore, invita quest’ultimo con lo sguardo a entrare nel quadro e a partecipare al sacro olocausto. La scena, popolata dagli animali usciti dall’arca, tra cui si distinguono due conigli, una scimmia, due roditori, un cane, una mucca e un vitellino, è chiusa sulla sinistra da un albero rimasto con rami spezzati e poche foglie a causa delle furia del diluvio. Il pittore risolve il tema biblico restituendo un’atmosfera da «arcadia romana», nella quale figure umane e paesaggio dialogano serenamente.Questa classicità si drammatizza in toni pienamente romantici nella stampa con la Fine del Diluvio realizzata da Gustave Doré nel 1865 per la sua celebre Bibbia illustrata, pubblicata in Italia per la prima volta nel 1869 da Treves (fig. 3)14. L’e-pisodio biblico è ambientato in un paesaggio montagnoso diviso a metà: in basso l’acqua che si è ritirata ha fatto riemergere i corpi di uomini e animali annegati; in alto, su un Ararat ancora pieno di cadaveri, si è incagliata la maestosa arca, effigiata come una grande nave che protegge una casa con tetto a capanna e illuminata da dietro sullo sfondo da una fulgida luce. Da

Fig. 2. Francesco Fernandi, detto l’Imperiali, Sacrificio di Noè, terzo decennio del Settecento. Cesena, Galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio.

Fig. 3. Gustave Doré, Fine del Diluvio, 1865. Stampa da La sacra Bibbia, Treves, Milano 1869.

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una finestra Noè ha fatto uscire una bianca colomba, che vola verso il basso e contrasta con la scura gola triangolare creata dall’acqua al centro dell’immagine. Per quanto la terribilità di questa stampa sia sicuramente legata a una meditata lettura del testo veterotestamentario, Gustave Doré si fa interprete dello sgomento, tutto romantico, dell’uomo nei confronti di una natura non tanto selvaggia, quanto ingovernabile, misteriosa e ostile nella sua furia più distruttiva. La montagna biblica diventa allora, per eccellenza, il luogo della scoperta del sublime e della disperata tragicità dell’esistere15. Eppure, su quel massiccio, che mostra la piccolezza dell’essere umano di fronte all’immensità della natura e delle sue forze, si incaglia e si erge, in un alone luminoso e raggiante, l’arca della salvezza promessa da Dio.

AbrAmo sul monte moriAh

Alle promesse di Dio è intrinsecamente legata anche la vicenda del patriarca Abramo. «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moriah e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò»16. Con queste parole,

secondo il testo biblico, Jahvè ordina ad Abramo di sacrificare il suo figlio a lungo atteso. La situazione geografica è chia-ra: il territorio di Moriah e un monte che Dio indicherà. La montagna è dunque il luogo selezionato da Jahvè per mettere alla prova l’eletto che ha scelto. Nel Manuale del Monte Athos, ove non si dimentica l’ambientazione biblica, si raccomanda infatti: «Abramo, in cima a un monte, lega su un fascio di legna il figlioletto Isacco [...] Ai piedi del monte, due giovani trattengono un asino bardato»17.Con ogni probabilità questo Manuale guida la mente dei redattori del programma iconografico e la mano degli artefici che hanno realizzato il ciclo dei già citati mosaici della navata centrale di Monreale, nel quale il Sacrificio di Isacco viene rap-presentato in ambientazione montagnosa (fig. 4): Abramo poggia il piede sopra un piccolo e simbolico monte, coronato di rocce, che viene duplicato sullo sfondo in una più maestosa montagna. In questo modo i mosaicisti da un lato hanno voluto indicare all’osservatore l’omologia tra i due monti, il piccolo e il grande, e dall’altro, seguendo una consuetudine tipicamente medievale, hanno chiarito che ciò che avviene davanti al monte più grande, che si trova sullo sfondo, va letto in realtà come se avvenisse sopra quest’ultimo: davanti significa sopra18. Questa spazialità simbolica si scioglie in estrema

Fig. 5. Abramo e Isacco verso il monte Moriah, 1210-1220. Affresco. Grissiano, chiesa di San Giacomo.

Fig. 4. Sacrificio di Isacco, 1180-1190. Mosaico. Monreale, Duomo, navata centrale.

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chiarezza nell’affresco con la salita di Abramo e Isacco verso il monte Moriah nella chiesa montana di San Giacomo a Grissian/Grissiano, sulle Alpi altoatesine, in provincia di Bolzano (fig. 5). Il santuario, edificato lungo una strada di pellegrinaggio verso Santiago de Compostela, viene fondato, come attesta un’iscrizione posta nell’abside della chiesa, nel 1142 dal vescovo Hartmann di Bressanone e da due donatori (Rodolfo e la sua consorte), mentre il suo ciclo pittorico è stato datato intorno al 1210-122019. L’arco trionfale è decorato con temi di sacrificio, legati dunque all’eucaristia che si celebrava nel sottostante altare: in basso compare l’offerta di Caino e Abele, mentre nel registro superiore si trova il sacrificio di Isacco. In quest’ultimo caso l’artista, abile e ingegnoso, sfrutta la difficile curvatura dell’arco, usandola per rendere la salita verso il monte del sacrificio. L’arcone absidale offre infatti la possibilità di rappresentare l’ascesa, guidata dal patriarca Abramo che, con volto nimbato, indica il cammino al giovane Isacco; quest’ultimo tiene in mano la spa-da, ignaro delle intenzioni paterne, mentre la strada è aperta da un servitore, con vistoso copricapo appuntito, e dal suo mulo, carico di legna, che si inerpica verso il colmo dell’arcone. Il pittore fotografa dunque non il sacrificio, ma l’episodio precedente, ovvero la scalata al monte, restituendola nel grande abbraccio del paesaggio alpino. Sullo sfondo compaiono infatti pittoresche montagne, ove non è difficile riconoscere le Dolomiti, con le cime frastagliate e le guglie di pietra che si stagliano nel cielo, ritratte con i caratteristici colori sfumati dal giallo al rosa intenso; le alte cime rocciose sono inoltre coperte alla sommità dalla neve e nuvole biancastre vagano nel cielo azzurro. Per questi dati naturalistici si tratta dunque di un affresco romanico eccezionale20. Se da un lato in questa raffigurazione montagnosa agiscono sicuramente modelli provenienti dalla pittura orientale, ricca di paesaggi rocciosi, non è però affatto da escludere anche un’intenzionale re-alistica rappresentazione del paesaggio dolomitico della zona21, effigiato per ambientare la scena biblica in uno spazio familiare all’osservatore. In questo modo il territorio alpino ne esce sacralizzato, come se la Terra Santa fosse stata traslata tra le cime dolomitiche22.Nel xv secolo il tema del sacrificio di Isacco continua a essere raffigurato in un ambiente montuoso, perlopiù grazie a speroni rocciosi, come accade ad esempio in entrambe le formelle di Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi, realizzate in occasione del famoso concorso fiorentino del 1401 per la porta del battistero, vinto dal primo23. Appena terminata la porta Nord nel 1424, Ghiberti viene incaricato anche dell’esecuzione della terza porta, detta del Paradiso, commissionata il 2 gennaio 1425 dall’Arte di Calimala e consegnata nel giugno del 145224. Chiamato a raffigurare stavolta episodi dell’Antico Testamen-to, sulla base di un complesso programma iconografico alla cui definizione concorrono diversi intellettuali dell’epoca25, lo scultore, che rivoluziona la struttura compositiva delle porte precedenti mediante il rifiuto della losanga lobata a favore di formelle quadrangolari, decide di ricorre molto spesso ad ambientazioni rocciose, che certe volte divengono esplicitamente montagnose, anche quando il testo biblico non lo richiede esplicitamente, come ad esempio nel caso dell’offerta di Caino e Abele, effigiata su un alto monte. La formella con il Sacrificio di Isacco (fig. 6) viene costruita restituendo tre nuclei narrativi, che apparentemente mancano di un centro: in basso a sinistra, Abramo riceve l’annuncio della discendenza da parte di tre angeli, mentre Sara sta uscendo dalla tenda; a sinistra, sempre in basso, i servi discutono e riposano, insieme a un mulo, vici-no a una fontanella d’acqua che esce dalla montagna; l’episodio principale, il drammatico figlicidio bloccato dall’angelo, è posizionato in alto a sinistra, sopra una montagna, che risulta essere l’apice compositivo di una diagonale che parte in basso a sinistra nella figura del patriarca inginocchiato. Attraverso questa diagonale, l’artista ha restituito l’ambientazione biblica e, implicitamente, anche la durata temporale della faticosa salita al monte Moriah, che diviene il perno della composizione, pur essendo spostato sulla destra: nell’assenza di un centro compositivo, la raffigurazione della montagna serve infatti a rendere più chiaro all’osservatore il fuoco dell’immagine, l’azione drammatica principale.Lo stesso espediente e la stessa ascesa in diagonale da sinistra verso destra viene utilizzata da Ghiberti nella formella con la Consegna delle tavole della Legge, episodio nel quale è protagonista assoluto un eletto che ha con i monti un rapporto veramente speciale: Mosè. Fig. 6. Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, formella con il Sacrificio di Isacco, 1452. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo.

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raviglia; il biblico roveto ardente è divenuto inoltre un roseto, innalzato da un monte, lambito in alto da lingue di fuoco e sormontato dalla Vergine col Bambino. La presenza dell’angelo annunciante e della Vergine col Bambino sull’albero aveva condotto Pierre-Joseph de Haitze, uno storico provenzale del xvii secolo, a leggere la figura sulla destra come Gioacchino in atto di ricevere da parte dell’angelo il messaggio della maternità di Anna, attraverso la visione della Vergine sull’albero30. In seguito il dipinto è stato anche letto come l’annuncio a Giuseppe, sulla base di un celebre passo di Matteo31: l’immagine sarebbe dunque una raffigurazione del sogno di Giuseppe che decide di non ripudiare la Vergine a seguito della parole dell’angelo32. Queste proposte di identificazione non giustificano però la significativa azione che sta compiendo la figura maschile sulla destra, che si sta scalzando: essa è propria di Mosè ed è tipica dell’ico-nografia del roveto ardente. Non è tuttavia da escludere che la presenza dell’angelo sulla sinistra, da interpretare come l’angelo del Signore che però non parla dal roveto ardente, nel dipinto occupato dalla Vergi-ne, sia stato intenzionalmente posizionato in maniera ambigua, al fine di suggerire una possibile lettura tipologica fra episodi vetero e neotestamentari.La lettura tipologica, secondo la quale al-cuni avvenimenti del Vecchio Testamento vengono interpretati come prefigurazione di quelli del Nuovo, spiega infatti tutte le apparenti stranezze iconografiche presen-ti nel dipinto, a partire da quella maggio-re: la Vergine compare nel roveto ardente perché sin dai Padri della Chiesa il legno che non si consuma col fuoco è interpreta-to come un’immagine veterotestamentaria della verginità di Maria che non si infrange nel parto. Nella Biblia Pauperum l’episodio del roveto ardente accompagna infatti la Natività, mentre nello Speculum Huma-nae Salvationis l’Annunciazione33. Il roseto che sostituisce il roveto è un chiaro omaggio alla Vergine attraverso il suo fiore, la rosa; inoltre, il roseto stesso, coronato dalla Ver-gine, rimanda all’albero di Jesse, cui fan-no riferimento i profeti en grisaille presenti nella cornice; l’angelo in posa annunciante rimanda ovviamente alle «annunciazioni» neotestamentarie; il medaglione sul petto dell’angelo mostra Adamo ed Eva mentre,

mosè dAll’oreb Al monte sinAi

Principale profeta del popolo d’Israele, Mosè è presentato nei testi biblici come l’abile guida e l’intelligente legislatore, che ha un privilegiato rapporto con Jahvè, il quale gli si presenta in genere sulle cime di un monte. Gli episodi iconografici in cui maggiormente viene tematizzata dagli artisti l’importanza della montagna sono due: la chiamata di Mosè tramite il prodigio del roveto ardente, che avviene sul monte Oreb26; la consegna delle tavole della Legge sul monte Sinai, sacralizzato con un limite non accessibile a tutti dallo stesso Jahvè27. Nella tradizione letteraria e artistica questi due eventi vengono frequente-

mente assimilati, così come i luoghi in cui essi sono avvenuti: nell’Itinerarium Egeriae, infatti, l’episodio del roveto ardente avvie-ne, contrariamente a quanto afferma il testo biblico, sul monte Sinai come la consegna delle tavole28.Questo sincretismo topografico si complica in uno straordinario coacervo di rimandi biblici, vetero e neotestamentari, nel pan-nello centrale del Trittico del roveto ardente completato da Nicolas Froment nel 1476 (fig. 5 p. 18), su commissione di re Rena-to d’Angiò, per una cappella nella chiesa dei Grands Carmes ad Aix-en-Provence e oggi esposto nella Cattedrale di Saint-Sau-veur della stessa città29. La committenza re-gale è confermata anche dai ritratti presenti nei pannelli laterali del trittico: re Renato sulla destra, accompagnato dai santi Mad-dalena, Antonio Abate e Maurizio, e la coniuge regina Giovanna di Laval sulla destra, insieme ai santi Giovanni Evan-gelista, Caterina d’Alessandria e Nicola. Nello scomparto centrale, invece, si assiste a un episodio dall’ambigua iconografia: sulla destra compare il vecchio Mosè, effi-giato nel momento in cui si toglie i sandali, come indicatogli, secondo il testo biblico, dall’angelo del Signore apparso nel roveto ardente; nel dipinto invece un vero e pro-prio angelo appare sulla sinistra (e non nel roveto ardente), in evidente dialogo col profeta: il gesto della sua mano significa infatti che sta portando un annuncio, cui Mosè risponde con atteggiamento di me-

Fig. 7. Johann Lyss, Sacrificio di Isacco, 1625-1626. Olio su tela, 88 x 69,5 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi, Corridoio Vasariano, inv. 1890-1376.

Fig. 8. Dierick Bouts (attribuito a), Mosè davanti al roveto ardente, c. 1465-1470. Olio su tavola, 45 x 35,5 cm. Philadelphia, Museum of Art, John G. Johnson Collection, 1917.

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nello specchio portato in mano da Gesù, riflettono la Vergine col Bambino, in chiaro rapporto tipologico34. Ai fini del no-stro discorso è molto interessante notare che il pittore tematizzi con estrema chiarezza la questione del monte. Nell’immagine, infatti, Mosè col suo gregge è effigiato su un territorio pianeg-giante sul quale sorge un monticello col roseto ardente, che viene innalzato e messo in evidenza proprio grazie a quel pro-montorio. Alla base di quest’ultimo, che rimanda chiaramente all’ambientazione prevista dal racconto biblico, è presente una fonte di acqua che genera un fiumiciattolo che giunge al primo piano. Con altissime probabilità, il pittore fa riferimento a un altro episodio biblico prodigioso, nel quale Mosè fa sgorgare da una roccia, sempre sull’Oreb, una fonte d’acqua per far bere il suo popolo assetato35. In questo modo il pittore ribadisce la centralità e la sacralità del monte Oreb, teatro di due eventi straordinari, nella missione salvifica di Mosè.Una serrata intelaiatura tipologica sostiene anche l’articolato ciclo quattrocentesco della Cappella Sistina, ove le storie di Mosè fronteggiano quelle di Cristo, le prime come prefigu-razione delle seconde: ogni episodio della vita di Mosè viene proposto specularmente a uno della vita di Cristo36. Anche se montagne e speroni rocciosi sono l’ambientazione di molti momenti della vita di Mosè, in un caso la presenza del monte acquista un valore davvero speciale, ovvero nella Discesa dal monte Sinai, dal momento che tale episodio viene messo in con-fronto tipologico con il Discorso sulla montagna (fig. 9), che gli è esattamente di fronte. Entrambi i dipinti sono concordemente attribuiti a Cosimo Rosselli, che firma il contratto d’alloga-

zione per la decorazione delle pareti della cappella il 27 ottobre 1481, insieme a Perugino, Botticelli e Ghirlandaio37. Il primo affresco, contrassegnato dalla scritta «PromulgAtio legis sCriPte Per moisem» che scorre nel fregio superiore, raffigura diversi episodi della vita di Mosè, in stretta dipendenza l’uno dall’altro: al centro, sopra una montagna erbosa, il monte Sinai, Mosè riceve le tavole della Legge da Dio, circondato da angeli; poco più sotto Giosuè, addormentato, attende il maestro; in secondo piano sulla sinistra, l’accampamento ebraico è sconvolto dal fragore dei tuoni divini; in primo piano a sinistra Mosè scende dal monte Sinai con le tavole, seguito da Giosuè, e il suo popolo è accecato dalla luce emanata dal suo volto; al centro il profeta, ancora accompagnato da Giosuè, scaglia a terra le tavole perché gli israeliti sono prostrati ad adorare il vitello d’oro38; sullo sfondo a destra, alcuni idolatri vengono decapitati. Il secondo dipinto, introdotto dalla scritta «PromulgAtio evAngeliCAe legis Per Christum», speculare alla precedente, illustra due momenti legati tra loro: al centro Cristo, in piedi su un dosso, ovvero la montagna del racconto evangelico, pronuncia le beatitudini e altri precetti, mentre dietro di lui sono accovacciati gli apostoli e davanti una moltitudine di persone ascolta il suo discorso; a sinistra si

Fig. 10. Gustave Doré, Strage dei sacerdoti di Baal, 1865. Stampa da La sacra Bibbia, Treves, Milano 1869.

raffigura Gesù che, appena sceso dal monte, accoglie la richiesta di guari-gione di un lebbroso39. Dal punto di vista compositivo la presenza sullo sfondo della montagna, dalla quale stanno scendendo Cristo e gli apostoli, è molto significativa perché essa reduplica in forme maestose il piccolo colle su cui il Messia sta facendo il sermone: come nel già osservato mosaico di Monreale con il Sacrificio di Isacco, il monte sullo sfondo serve a chiarire che l’episodio avviene sulla montagna. Dal punto di vista simbolico, invece, la montagna sullo sfondo, coronata da una chiesa con campanile, richiama immediatamente la cima sulla quale, nella parete opposta, Mosè sta riceven-do le tavole della Legge: quest’ultima viene infatti pienamente confermata attraverso l’istituzione della Chiesa, cui l’edificio rimanda. La Legge viene data a Mosè sul monte Sinai, Cristo la sviluppa e la completa nel discorso sulla montana: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Pro-feti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento»40.La tempestosità atmosferica che accompagna il manifestarsi del Signore in occasione della consegna delle tavole della Legge, ben presente nel testo bi-blico, ma poco sviluppata da Cosimo Rosselli, diviene invece centrale nel telero con Consegna delle tavole della Legge e adorazione del vitello d’oro, realizzato da Jacopo Tintoretto tra il 1562 e il 1564, in coppia con un Giudizio univer-sale, per la chiesa veneziana della Madonna dell’Orto (figg. 1 e 6 pp. 12 e 19)41. Sfruttando il formato allungato del telero, il pittore riesce a restituire con grande maestria il contrasto tra monte e valle, che in Esodo era chiara-mente una polarità sacro/profano: a valle s’insedia il popolo d’Israele tentato dall’idolatria, mentre il sacralizzato monte Sinai, cinto dal Signore, è acces-sibile solo al suo eletto profeta. Sulla montagna, un luminosissimo Mosè a torso nudo apre le sue braccia, quasi come un alter Christus, reduplicando lo stesso gesto di Dio che scende verso il monte, portato da una serie di angeli, in gran parte apteri. Come dichiara il testo biblico, l’infuocato monte è isolato da una densa nube, che impedisce al popolo di vedere cosa succede in alto. A valle gli israeliti, stanchi di attendere Mosè che non scende-va, hanno costruito un vitello d’oro, radunando il metallo prezioso posseduto da tutto il popolo. L’insolito accoppiamento col Giudizio universale vuole sicuramente esprimere il fatto che la salvezza finale è possibile solo se si è operato nel rispetto della Legge data dal Signore42.

eliA sul monte CArmelo

L’ultimo monte sacro dell’Antico Testamento è il Carmelo, in alta Galilea, oggi nel territorio dello Stato d’Israele. Il monte Carmelo è il luogo di residenza del profeta Elia, ove egli si confronta in un’ordalia con i sacerdoti di Baal: il profeta chiede a questi ultimi di preparare un olocausto e di invocare Baal affinché accenda il fuoco; quando tutti si accorgono che il sacrificio dei sacerdoti non si consuma, Elia prepara il suo altare e chiede al Signore di far cadere il fuoco, che prontamente riduce tutto in cenere; i sacerdoti di Baal sconfitti vengono messi a morte per scannamento nel torrente di Kison43. Una pregnante raffi-gurazione di questo episodio, in cui viene opportunamente sfruttata la terribilità del monte, si deve alla magistrale mano di Gustave Doré, che inserisce una stampa con la Strage dei sacerdoti di Baal nella sua già citata Bibbia commissionata nel 1864, e compiuta nel 1865 (fig. 10)44. Si tratta di un’immagine di straordinario interesse proprio per il ruolo di assoluto protagonista

Fig. 11. Ascensione al cielo di Elia sul carro di fuoco, fine del xiii - inizio del xiv secolo. Tempera su tavola. Mosca, collezione V. A. Logvinenko.

Nelle pagine precedenti: Fig. 9. Cosimo Rosselli, Discorso sulla montagna, 1481. Affresco. Città del Vaticano, Cappella Sistina.

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rivestito dal monte Carmelo. Il testo biblico afferma infatti che l’ordalia avviene sul monte, mentre la strage di sacerdoti ha luogo sul torrente Kison, ove Elia li fece scendere. Forzando il racconto veterotestamentario, Gustave Doré ambienta anche la messa a morte dei sacerdoti di Baal su un’alta rupe del Carmelo, a picco sul fiume che scorre in basso. Qui Elia ordina la sua punizione, che non avviene in realtà per scannamento, bensì per decapitazione, come è ben evidente grazie all’arma tenuta in mano dal manigoldo che sta per sferrare il corpo mortale sul collo del sacerdote con la testa appoggiata su una pietra. Il corpo di uno che lo ha preceduto sta inoltre precipitando verso il torrente, mentre un altro galleggia già tra i flutti. La scelta di esibire la punizione su una vetta del monte Carmelo, tradendo il testo biblico, risponde probabilmente a due ragioni: la prima, squisitamente romantica, è legata al fatto che l’ambientazione montana rende l’intero episodio terribilmente sublime; la seconda, più strettamente teologica, è probabilmente connessa all’intenzione di restituire nell’unica immagine del ciclo veterotestamentario dedicata a Elia la predilezione di quest’ultimo per il monte Carmelo, come sua residenza privilegiata e luogo del suo speciale contatto col Signore.Forse per questo stesso motivo, il monte acquista talvolta una certa importanza anche nella raffigurazione di un altro capitale episodio della vita del profeta, ovvero l’Ascensione al cielo sul carro di fuoco45. Si tratta di un soggetto iconografico che ha in realtà maggiore fortuna nell’arte bizantina, in relazione a un più vivace culto del profeta46. Anche se il testo biblico rac-

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Fig. 12. Pentecoste tra Consegna delle tavole sul Sinai e Sacrificio di Elia sul Carmelo, fine del xii secolo. Stampa da Biblia Pauperum, f. 35r.

conta che l’episodio avviene nelle prossimità del fiume Giordano, dunque in una zona pianeggiante, in alcuni casi gli artisti bizantini aggiungono la presenza del monte. È quanto accade ad esempio in un’icona russa realizzata tra la fine del xiii e l’inizio del xiv secolo e conservata a Mosca, nella collezione V. A. Logvinenko (fig. 11)47, ove compaiono due montagnole rocciose in miniatura, estranee alla tradizione testuale. Nell’immagine Elia viene assunto in cielo su un carro di fuoco, che sale verso la mano di Dio, accompagnato dall’arcangelo Michele, anch’esso estraneo al testo bilico; in basso il profeta Eliseo, discepolo di Elia, si protende ad afferrare il mantello che Elia vuole lasciargli; al centro scorre il fiume Giordano, mentre a destra e a sinistra si innalzano due colli rocciosi, che servono probabilmente ad ambientare l’episodio in montagna, forse per ribadire lo speciale rapporto che legava Elia al Carmelo.

unA PostillA sui monti dell’AntiCo testAmento nellA BiBlia PauPerum

Molti degli episodi analizzati finora in funzione della presenza dei monti ritornano secondo argute combinazioni in quel singolare «atlante di immagini» che è la Biblia Pauperum. Concepita probabilmente in ambito benedettino bavarese alla fine del xii secolo, anche se poi ebbe uno straordinario successo presso tutti i predicatori, la Biblia Pauperum, che ha un’enorme diffusione prima manoscritta e poi grazie all’invenzione della stampa a caratteri mobili, si compone in genere di quaranta tavole nelle quali un episodio del Nuovo Testamento, posizionato al centro della pagina, viene messo in relazione tipologica con due fatti dell’Antico Testamento, che affiancano la scena centrale. La tavola si completa poi con quattro immagini di profeti, due sopra e due sotto l’episodio neotestamentario, e con numerose scritte: tre tituli che indicano le scene narrative; quattro profezie nei cartigli dei rispettivi profeti; due lectiones per le scene del Vecchio Testamento48. Testo e immagine dia-logano dunque per restituire all’osservatore il progetto salvifico di Dio, nel quale la tipologia dimostra come alcuni eventi del passato preannuncino quelli del futuro non come meccanico ritorno, ma come ripresa progressiva, che supera e porta a compimento i fatti passati49.Sebbene in molte di queste tavole le montagne vengano utilizzate in quanto esatta ambientazione di episodi biblici, come av-viene ad esempio nella pagina dedicata alla Pentecoste, accompagnata dalla Consegna delle tavole sul Sinai e dal Sacrificio di Elia sul Carmelo, ove i monti rappresentano l’esatta topografia dei siti in cui sono avvenuti gli episodi (fig. 12)50, in certi altri casi le vicende figurative delle montagne sono particolarmente singolari e interessanti dal momento che esse precisano in maniera ulteriore il funzionamento della macchina tipologica che sorregge l’intera opera. È quanto accade ad esempio nella pagina con la Crocifissione, affiancata dal Sacrificio di Isacco e dal Serpente di bronzo, ovvero da due episodi dell’Antico Testamento che prefigurano il sacrificio salvifico di Cristo (fig. 13)51. Ai fini del nostro discorso è molto interessante notare che la Croci-fissione avviene sul Golgota, che nell’immagine è appena accennato alla base della croce, come avviene in moltissima pittura medievale e rinascimentale, nella quale il Calvario è così semplicemente alluso. A destra il sacrificio di Isacco avviene sullo sfondo del monte Moriah, secondo una convenzione rappresentativa già analizzata, che ci porta a leggere il fatto come se ac-cadesse sul monte, dal momento che davanti significa figurativamente sopra. A sinistra l’episodio del serpente di bronzo, che secondo il testo biblico avviene nel deserto52, è invece ambientato in un terreno roccioso, come gli altri episodi, e, soprattutto, il bastone col serpente di bronzo è posizionato proprio sopra un piccolo colle, che non ha alcuna base scritturale. Con ogni probabilità è stata proprio la lettura tipologica a rendere necessario il colle anche per il serpente di bronzo, dal momento che gli altri due sacrifici salvifici avvengono in entrambi i casi sopra i monti. In questo modo l’ideatore degli abbinamenti della pagina ha indirettamente sottolineato la forza simbolica delle vette, sacralizzate dal popolo ebraico come luoghi privilegiati del contatto e del dialogo con Dio.

Fig. 13. Crocifissione tra Sacrificio di Isacco e Serpente di bronzo, fine del xii secolo. Stampa da Biblia Pauperum, f. 25r.

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35 Es 17, 6: «“Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Mosè così fece sotto gli occhi degli anziani d’Israele».36 John sheArmAn, La costruzione della Cappella e la prima decorazione al tempo di Sisto IV, in La Cappella Sistina. I primi restauri: la scoperta del colore, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1986, pp. 22-87 e Arnold nesselrAth, Vaticano. La Cappella Sistina. Il Quattrocento, FMR, Milano 2003.37 Cfr. edith gAbrielli, Cosimo Rosselli. Catalogo ragionato, Allemandi, Torino 2007, pp. 170 e 275.38 Es 32.39 Le fonti del discorso sulla montagna sono Mt 5 e 7; Lc 6, 17-49; per la guarigione del lebbroso cfr. Mt 8, 1-4; Mc 1, 40-45; Lc 5, 12-16.40 Mt 5, 17.41 rodolfo PAlluCChini, PAolA rossi, Tintoretto. L’opera completa, II, Electa, Milano 1990, pp. 63-65 e 182-183.42 Per una possibile lettura del dipinto in relazione alla religiosità di Gasparo Contarini e alle urgenze della controriforma cfr. donAtellA CiAloni, I due teleri del Tintoretto alla Madonna dell’Orto di Venezia, «Arte Cristiana», 90, 2002, pp. 183-200. Cfr. anche susAnne riChter, Jacopo Tintoretto und die Kirke der Madonna dell’Orto zu Venedig, Sca-neg, München, 2000.43 2 Re 18, 17-40: «Appena lo vide, Acab disse a Elia: “Sei tu la rovina di Israele!”. Quegli rispose: “Io non rovino Israele, ma piuttosto tu insieme con la tua famiglia, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito Baal. Su, con un ordine raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele”. Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo. Elia si accostò a tutto il popolo e disse: “Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!”. Il popolo non gli rispose nulla. Elia aggiunse al popolo: “Sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Dateci due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Io preparerò l’altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Voi invocherete il nome del vostro dio e io invo-cherò quello del Signore. La divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio!”. Tutto il popolo rispose: “La proposta è buona!”. Elia disse ai profeti di Baal: “Sceglietevi il giovenco e cominciate voi perché siete più numerosi. Invocate il nome del vostro Dio, ma senza appiccare il fuoco”. Quelli presero il giovenco, lo prepararono e invocarono il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: “Baal, rispondici!”. Ma non si sentiva un alito, né una risposta. Quelli continuavano a saltare intorno all’altare che avevano eretto. Essendo già mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: “Gri-date con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà”. Gridarono a voce più forte e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora agivano da invasati ed era venuto il momento in cui si sogliono offrire i sacrifici, ma non si sentiva alcuna voce né una risposta né un segno di attenzione. Elia disse a tutto il popolo: “Avvicinatevi!”. Tutti si avvicinarono. Si sistemò di nuovo l’altare del Signore che era stato demolito. Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei discendenti di Giacobbe, al quale il Signore aveva detto: “Israele sarà il tuo nome”. Con le pietre eresse un altare al Signore; scavò intorno un canaletto, capace di contenere due misure di seme. Dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse: “Riempite quattro brocche d’acqua e versatele sull’olocausto e

sulla legna!”. Ed essi lo fecero. Egli disse: “Fatelo di nuovo!”. Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: “Per la terza volta!”. Lo fecero per la terza volta. L’acqua scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì d’acqua. Al momento dell’offerta si avvicinò il profeta Elia e disse: “Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!”. Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista, tutti si prostrarono a terra ed esclamarono: “Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!”. Elia disse loro: “Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi uno!”. Li afferrarono. Elia li fece scendere nel torrente Kison, ove li scannò».44 La Bibbia cit., p. 96.45 2 Re 2, 9-14. A partire dal xiii secolo, prima nel mondo bizantino e poi anche in quello latino, la figura di Elia comincia ad acquisire progressivamente importanza grazie alla lettura tipologica che lo lega alla figura di Cristo: l’Ascensione di Elia è interpretata dun-que come una prefigurazione di quella di Cristo. Si tratta di un parallelo ampliamente sviluppato nella patristica, in particolare cfr. girillo di gerusAlemme, Panegirico sulla Resurrezione di Cristo (PG 33, coll. 857-860) e giovAnni Crisostomo, Omelia sull’Ascensione di Cristo (PG 50, coll. 450-451). Elia è inoltre una figura molto importante anche per lo sviluppo del monachesimo, di cui egli diviene in qualche modo archetipo, dal momento che trovò la salvezza nel deserto e nella vita ascetica.46 Sul culto di Elia, soprattutto in Oriente, cfr. Élie le prophète, 2 voll., Desclée de Brouwer, Tournai 1958; Le saint prophète Élisée d’après les Peres de l’Église (Textes présentés par les carmélites du Monastère Saint Élie), prefazione di Olivier Clement, Abbaye de Bellefon-taine, Bégrolles en Mauges 1993; eliAne Poirot, Le glorieux prophète Élie dans la liturgie byzantine, Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles en Mauges 2004.47 Cfr. engelinA s. smirnovA, Due icone russe del xiii secolo, in Duecento. Due icone russe, Terra Ferma, Vicenza 2006, pp. 9-41.48 Tra le diverse edizioni anastatiche o facsimile si segnalano in particolare: henriK Cornell, Biblia Pauperum, Thule-Tryck, Stockholm 1925; Avril henry (a cura di), Biblia Pauperum, Scolar Press, Aldershot 1987; elizAbeth soltész (a cura di), Biblia Pauperum, Corvina, Budapest 1967; lAmberto donAti, luigi miChelini toCCi (a cura di), Biblia Pauperum. Riproduzione del Codice Palatino latino 143, Biblioteca Apostolica Vaticana, Citta del Vaticano 1979; sAntino Corsi, Pier giorgio PAsini (a cura di), Biblia Pauperum, Guaraldi, Rimini 1995.49 Cfr. in generale friedriCh ohly, Tipologia. Forma di pensiero della storia, Sicania, Messina 1994.50 Corsi, PAsini (a cura di), Biblia Pauperum cit., pp. 154-157.51 Ibid., pp. 114-117.52 Nm 21, 5-9: «Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e sia-mo nauseati di questo cibo così leggero”. Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d’Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti”. Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita».

1 Sul fenomeno cfr. edWin bernbAum, Sacred Mountains of the Word, University of California Press, Berkeley 1990; AdriAn CooPer, Sacred Mountains. Ancient Wisdom and Modern Meanings, Floris Books, Edinburgh 1997.2 xAvier léon-dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova 2002, p. 727.3 olegArio gArCíA de lA fuente, sub voce Monte di Dio, in Enciclopedia della Bibbia, 4, Elledici, Torino 1970, coll. 1309-1311.4 Molti studi, anche recenti, convergono nel mostrare come la montagna in epoca medie-vale e moderna sia stata sacralizzata in quanto spazio privilegiato del contratto tra Dio e gli uomini. Cfr. ClAude leCouteux, Aspects mythiques de la montagne au Moyen âge, «Le monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie», 1-4, 1982, pp. 43-54; ClAude thomAsset, dAniele JAmes-rAoul (a cura di), La montagne dans le texte médiéval. Entre mythe et réalité, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, Paris 2000; CAr-lo tosCo, Montagne sacre nell’età romanica, in Antonio Diano, Lionello Puppi (a cura di), Tra monti sacri, «sacri monti» e santuari: il caso veneto, Il Poligrafo, Padova 2006, pp. 77-90.5 Gn 8, 4-5.6 ernst Kitzinger, I mosaici di Monreale, Flaccovio, Palermo 1991 [ed. orig. 1960], p. 17. Cfr. anche mAriA AndAloro, sub voce Mosaici. Monreale, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VIII, Treccani, Roma 1997, pp. 528-530.7 Cfr. dAvid AbulAfiA, mAssimo nAro, Il duomo di Monreale. Lo splendore dei mosaici, Itaca, Casal Bolognese 2009.8 Pier luigi zoCCAtelli (a cura di), I segreti dell’iconografia bizantina. La «Guida della pittura» da un antico manoscritto, Arkeios, Roma 2003, pp. 79-80.9 AliCe-mAry tAlbot, Les saintes montagnes à Byzance, in Michel Kaplan (a cura di), Le sacré et son inscription dans l’espace à Byzance et en Occident. Etudes comparées, Publications de la Sorbonne, Paris 2001, pp. 263-275.10 Ai fini del nostro discorso sarà sufficiente rimandare ad AnnA PAdoA rizzo, Paolo Uccello. Catalogo completo dei dipinti, Cantini, Firenze 1991, pp. 28-42.11 Ai fini del nostro discorso sarà sufficiente rimandare a riChArd KrAutheimer, Lorenzo Ghiberti, I, Princeton University Press, Princeton 1970, pp. 159-213.12 Il dipinto è riferibile alla maturità dell’artista. Cfr. Angelo mAzzA, La collezione dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Nuova Alfa Editore, Cesena 1991, pp. 228-234 e, con poche differenze, id., La Galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Electa, Milano 2001, pp. 380-386.13 Gn 8, 20.14 La Sacra Bibbia. Vecchio e Nuovo Testamento, Treves, Milano 1869. Cfr. anche La Bibbia. 241 incisioni di Gustave Doré, prefazione di Gianfranco Ravasi, Marietti, Genova 1977.15 Cfr. giovAnnA PinnA, Il sublime romantico. Storia di un concetto sommerso, Centro Internazionale Studi di Estetica, Palermo 2007 e giusePPe PAnellA, Storia del Su-blime. Dallo Pseudo Longino alle poetiche della Modernità, Edizioni Clinamen, Firenze 2012.16 Gn 22, 2.17 zoCCAtelli (a cura di), I segreti dell’iconografia bizantina cit., p. 82.18 Su queste convenzioni medievali cfr. ChiArA frugoni, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010, pp. 115-136.19 Per i dati storici cfr. la scheda in helmut stAmPfer, thomAs stePPAn, Affreschi romanici in Tirolo e Trentino, Jaca Book, Milano 2008, pp. 217-218.20 niCColò rAsmo, La chiesa di S. Giacomo a Grissiano, «Cultura Atesina. Kultur des Etschlandes», xvi, 1-4, 1962, pp. 43-55, in particolare p. 46.21 Cfr. id., St. Jakob in Grissian, Druckerei Presel, Bozen 1965; otto demus, Romani-sche Wandmalerei, Hirmer, München 1968, pp. 62 e 133; silviA sPAdA PintArelli, sub voce Grissiano, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, Treccani, Roma 1996, pp. 101-102.22 tosCo, Montagne sacre nell’età romanica cit.23 KrAutheimer, Lorenzo Ghiberti cit., pp. 31-49.24 Per la documentazione cfr. Ibid., pp. 159-168 e mArgAret hAines, Documentation on the Gates of Paradise: Through a Glass Darkly, in Gary M. Radke (a cura di), The Gates of Paradise. Lorenzo Ghiberti’s Renaissance Masterpiece, Yale University Press, New York - London 2007, pp. 81-85.25 Il programma viene definito da Leonardo Bruni, cancelliere della Repubblica, poi modificato da Ambrogio Traversari, generale dell’ordine camaldolese, probabilmente col concorso delle idee del vescovo Antonio di ser Niccolò Pierozzi, meglio noto come sant’Antonino di Firenze. Cfr. frederiCK hArtt, Lucerna ardens et lucens. Il significato della Porta del Paradiso, in Lorenzo Ghiberti nel suo tempo, atti del convegno internazionale di studi (Firenze, 18-21 ottobre 1978), Olschki, Firenze 1980, pp. 27-57.26 Es 3, 1-6: «Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di

Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio».27 Es 19, 12: «Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: Guardatevi dal salire sul monte e dal toccare le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte». Es 19, 18-23: «Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono. Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. Poi il Signore disse a Mosè: “Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si tengano in stato di purità, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!”. Mosè disse al Signore: “Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertiti dicendo: Fissa un limite verso il monte e dichiaralo sacro”». Es 24, 12-18: «Il Signore disse a Mosè: “Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli”. Mosè si alzò con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio. Agli anziani aveva detto: “Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro”. Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La Gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti». Es 31, 18: «Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio».28 egeriA, Pellegrinaggio in Terra Santa, a cura di Nicoletta Natalucci, Nardini, Firenze 1991, pp. 68-71. La questione è stata analizzata da ArCher sAint-ClAir, The Basi-lewsky Pyxis. Typology and Topography in the Exodus Tradition, «Cahiers Archéologiques», 32, 1984, pp. 15-30.29 Il documento di quietanza di pagamento è stato pubblicato da gustAve ArnAud d’Agnel, Les comptes du Roi René publiés d’après les originaux conservés aux archives des Bouches-du-Rhône, I, A. Picard, Paris 1908, pp. 187-188. Tutta la documentazione sul pittore è stata più recentemente rianalizzata da Joëlle guidini-rAybAud, La commande artistique dans l’entourage du roi René: un prix-fait inédit établi avec Nicolas Froment, «Revue de l’art», 147, 2005, pp. 91-97.30 Pierre-JosePh de hAitze, Les curiosités les plus remarquables de la ville d’Aix, David, Aix 1679, p. 151. La fonte in questo caso sarebbe il Protovangelo di Giacomo. Cfr. mAr-Cello CrAveri (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1990, p. 10.31 Mt 1, 18-21: «Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”».32 L’ipotesi è di ChArles i. minott, A note on Nicolas Froment’s «Burning-Bush Triptych», «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 25, 1962, pp. 323-325.33 Una pregnante e dettagliata lettura in chiave tipologica del dipinto si deve a enri-quetA hArris, Mary in the burning bush. Nicolas Froment’s triptych at Aix-en-Provence, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 1, 1937-1938, pp. 281-286, che può essere aggiornata con JeAn Arrouye, Le paysage allégorique du «Buisson Ardent» de Nicolas Froment, in Lire le paysage, lire les paysages. Acte du colloque des 24 et 25 novembre 1983, CiereC, Saint-Etienne 1984, pp. 187-197.34 Per tutti questi rimandi simbolici si rimanda ancora a hArris, Mary in the burning bush cit.