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LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA CAPITALISTICO E LE NUOVE CONTRADDIZIONI SOCIALI di Andrea Fumagalli 1. Il divenire cognitivo dell’accumulazione. Quando si parla di capitalismo cognitivo, si fa riferimento alla nuova fase di accumulazione che si sta sostituendo a quella industriale-fordista. Con lo sviluppo del paradigma fordista di produzione, l’accumulazione capitalistica fondata sulla produzione materiale giunge al suo apogeo. La divisione smithiana del lavoro, fondata sulla parcellizzazione delle mansioni lavorative, si estende al suo massimo. I risultati quantitativi sono ben noti. In soli 50 anni, l’organizzazione taylorista della produzione è in grado di produrre una crescita della capacità produttiva di gran lunga superiore a quella di tutta la storia precedente dell’umanità. La crisi del paradigma fordista, che inzia nei tardi anni Sessanta e raggiunge il suo apice a metà degli anni Settanta, è in primo luogo crisi della produttività materiale che deriva dallo sfruttamento delle economie di scala statiche (da dimensione e da automazione rigida) e della domanda standardizzata, nonché degli effetti negativi dovuti alla rigidità produttiva e tecnologica del fordismo. La fuoriuscita dal fordismo nel ventennio, che dalla metà degli anni ’70 giunge ai primi anni Novanta, porta alla sperimentazione di più alternative, tutte caratterizzate dalla necessità di sviluppare forme di accumulazione più Dipartimento di Economia, Università di Pavia, Italia, Rete Euromayday: www.precaria.org.
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LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA CAPITALISTICO E LE NUOVE CONTRADDIZIONI SOCIALI

Feb 07, 2023

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Mauro Giorgieri
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LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA CAPITALISTICO E LE NUOVECONTRADDIZIONI SOCIALI

di Andrea Fumagalli

1. Il divenire cognitivo dell’accumulazione.

Quando si parla di capitalismo cognitivo, si fariferimento alla nuova fase di accumulazione chesi sta sostituendo a quella industriale-fordista. Con lo sviluppo del paradigma fordista diproduzione, l’accumulazione capitalistica fondatasulla produzione materiale giunge al suo apogeo. Ladivisione smithiana del lavoro, fondata sullaparcellizzazione delle mansioni lavorative, siestende al suo massimo. I risultati quantitativisono ben noti. In soli 50 anni, l’organizzazionetaylorista della produzione è in grado di produrreuna crescita della capacità produttiva di granlunga superiore a quella di tutta la storiaprecedente dell’umanità. La crisi del paradigmafordista, che inzia nei tardi anni Sessanta eraggiunge il suo apice a metà degli anni Settanta,è in primo luogo crisi della produttività materialeche deriva dallo sfruttamento delle economie discala statiche (da dimensione e da automazionerigida) e della domanda standardizzata, nonchédegli effetti negativi dovuti alla rigiditàproduttiva e tecnologica del fordismo. La fuoriuscita dal fordismo nel ventennio, chedalla metà degli anni ’70 giunge ai primi anniNovanta, porta alla sperimentazione di piùalternative, tutte caratterizzate dalla necessitàdi sviluppare forme di accumulazione più

Dipartimento di Economia, Università di Pavia, Italia, ReteEuromayday: www.precaria.org.

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flessibili. Definiamo tale periodo con il termine“post-fordismo”, per indicare ciò che si vuolesuperare ma non ancora ciò che consente di coglierele caratteristiche peculiare del nuovo “regime” diaccumulazione1. La fase post-fordista sicaratterizza così per la compresenza incontemporanea di più modelli produttivi: dalmodello toyotista giapponese del “just in time” diderivazione taylorista2, al modello dei distrettiindustriali delle piccole imprese3, sino allosviluppo delle filiere produttive che tendono adinternazionalizzasi su base gerarchica4. Ciascunodi questi paradigmi organizzativi ha i suoi cantorie i suoi estimatori e dà origine a possibilicompenetrazioni cosi che modelli spuri sonopossibili. Le ricadute sul ruolo svolto dai fattoriproduttivi “tradizionali” (terra, lavoro ecapitale) sono rilevanti e l’importanza dell’uno1 Il termine “regime di accumulazione” fa parte dei concettidi base della “scuola di regolazione” francese e serve adindicare una modalità di organizzazione del lavoro, dellatecnologia e dei meccanismi di redistribuzione del redditoche definiscono una certa fase storica dell’evoluzionecapitalistica. Cfr. R.Boyer, Fordismo e Postfordismo, EdizioniEgea, Milano, 2007.2 Cfr., tra gli altri, T.Ohno, Lo spirito Toyota. Il modello giapponesedella qualità totale. E il suo prezzo, Einaudi, Torino, 2004, G.Bonazzi,Il tubo di cristallo. Modello giapponese e fabbrica integrata alla Fiat, IlMulino, Bologna, 1993, M. Revelli, “Economia e modellosociale nel passaggio tra fordismo e toyotismo” in P.Ingrao,R.Rossanda (a cura di) Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri,Roma, 1995, pp. 161-224, B.Coriat, Penser à l’invers, C.Bourgois,aris, 1991 (trad. it., Ripensare l’organizzazione del lavoro. Concetti eprassi nel modello giapponese, Dedalo, Bari, 1991.3 Cfr. M.Priore, C.Sabel, The second industrial divide. Possibilities forprosperity, Basic Books, New York (Usa), 1984; S.Brusco,Piccole imprese e distretti industriali, Rosenberg & Seller, Torino,1989; G. Becattini, Distretti industriali e sviluppo locale, BollatiBoringhieri, Torino, 2000. Per un’analisi di taglio critico,cfr. M.Lazzarato, Y.Moulier-Boutang, A.Negri, G.Santilli, Desentreprises pas comme le outres, Publisud, Paris, 1993, A.Fumagalli, “Lavoro e piccola impresa nell’accumulazioneflessibile in Italia. Parte I e Parte II”, in Altreragioni, n. 5e n. 6, 1996-97.4 Cfr. C.Palloix, L’economia mondiale e le multinazionali, 2 voll. JacaBook, Milano, 1979 e 1982, G.Bertin, Multinationales et propriétéindustrielle : le contrôle de la tecnologie mondiale, Presse Universitairedu France, Parigi, 1985.

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rispetto all’altro si modifica a seconda delparadigma organizzativo di volta in voltaconsiderato. La fase post-fordista è caratterizzata dalladiffusione di nuove tecnologie di linguaggio ecomunicazione (Ict), dalle innovazioni neltrasporto e dalle innovazioni nei mercatifinanziari. Nella fase post-fordista, queste tretipologie di innovazioni operano ancora in mododifferenziata e asincrono.Per quanto riguardo le Ict, esse sono massicciamenepresenti nel toyotismo giapponese e nei processi diristrutturazione delle corporation multinazionali.Gli effetti non riguardano solo le modalitàorganizzative della produzione materiale (graziealle strategie di downsizing e di esternalizzazionedi parti dello stesso processo produttivo), mainnervano e modificano anche la fase dellacircolazione delle merci, favorendo il passaggiodalla produzione materiale alla produzionesimbolica. Il core business delle grandi impresemultinazionali si sposta cosi dal controllo dellaproduzione al controllo delle fonti di innovazione(ricerca e sviluppo) e del marchio (brand). La proprietàd’impresa tende sempre più ad assimilarsi con laproprietà intellettuale e il copyright con ilmarchio5.Le nuove tecnologie del trasporto, esemplificatedalla diffusione dei “container”, consentono lagestione dei flussi merceologici tra areegeografiche differenti, evidenziando una nuovadivisione spaziale della produzione e del lavoro(internazionalizzazione selettiva dellaproduzione).Infine, le innovazioni finanziarie ridefiniscono inmodo nuovo il ruolo dei mercati finanziari, non piùintesi come luogo di drenaggio del risparmioaccumulato nel processo fordista di produzione, ma5 Per un’analisi più approfondita, cfr. A. Fumagalli,Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un nuovo paradigma diaccumulazione, Carocci, Roma, 2007. Si veda anche, A.Arvidsson,Brands: meaning and value in media culture, Routledge, Abingdon (UK),2006.

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come ambito privilegiato della valorizzazionedell’impresa capitalistica e fonte diretta difinanziamento e controllo dei flussi diinvestimento internazionali. Da un lato si assisteall’ampliamento della base dei mercati finanziarigrazie all’espropriazione crescente di reddito dalavoro che viene più o meno forzosamentecanalizzato verso gli stessi mercati finanziari,dall’altro la finanzia tende a sostituire lo statonazionale (welfare) tramite forme di assicurazionesociale privata su scala individuale e non piùcollettiva-universale. Ne consegue una profondamodificazione nel rapporto tra credito e finanza ele politiche monetarie perdono di autonomia ecentralità, dovendo il più delle volte assecondarela dinamica degli indici di borsa, al limitecercando di creare “ammortizzatori di sicurezza” incaso di crisi di fiducia, possibili scoppi di bollespeculative e andamenti eccessivamente instabilidei mercati azionari a causa di shock esogeni. E’ dopo la prima guerra del golfo che questeinnovazioni cominciano a coagularsi intorno ad ununico e nuovo paradigma di accumulazione evalorizzazione. La nuova configurazionecapitalistica tende a individuare nella merceconoscenza” e nello “spazio” (geografico evirtuale) i nuovi cardini su cui fondare unacapacità dinamica di accumulazione. Si vengono cosìa determinare due nuove economie di scala staticheche stanno alla base della crescita dellaproduttività: le economie di apprendimento(learning) e le economie di rete (network). Le primesono legate al processo di generazione e creazionedi nove conoscenze (sulla base delle nuovetecnologie comunicative e informazionali), leseconde sono derivate dalle modalità organizzativedistrettuali (network territoriali o aree-sistema),non più utilizzate per la sola produzione edistribuzione delle merci, ma sempre più comeveicolo di diffusione (e controllo) ella conoscenzae del progresso tecnologico.

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Possiamo denominare tale paradigma di accumulazionecon il termine: “capitalismo cognitivo”6:

“il termine capitalismo designa la permanenza, nellametamorfosi, delle variabili fondamentali del sistemacapitalistico: in particolare, il ruolo guida del profitto edel rapporto salariale o più precisamente le differenti formedi lavoro dipendente dalle quali viene estratto ilplusvalore; l’attributo cognitivo mette in evidenza la nuovanatura del lavoro, delle fonti di valorizzazione e dellastruttura di proprietà, sulle quali si fonda il processo diaccumulazione e le contraddizioni che questa mutazionegenera”7.

L’analisi delle forme di accumulazione,valorizzazione e redistribuzione del capitalismocognitivo non sono oggetto di questo saggio8.Tuttavia, alcune peculiarità possono essere quiriassunte:a. le economie dinamiche di apprendimento e di

rete danno vita a nuove forme di divisione dellavoro, ovvero, rispettivamente, divisionecognitiva e divisione spaziale del lavoro, chesi sommano ed in alcuni casi si sostituisconoalla classica divisione smithiana del lavorotipica della produzione fordista-industriale.

b. il comando d’impresa si sposta dalla produzionedelle merci al controllo della tecnologia e deiflussi finanziari, dando origine ad una nuovagerarchia internazionale, di tipo policentrica,nella quale, il controllo delle leve immaterialidella conoscenza e della finanza sono l’asseportante del dominio capitalistico;

c. i processi di esternalizzazione edelocalizzazione (internazionalizzazione della

6 Cfr. C. Vercellone (a cura di), Capitalismo Cognitivo,Manifestolibri, Roma, 2006, A.Fumagalli, Bioeconomia…,op.cit., Y. Moulier-Boutang, Le capitalism cognitif. Comprendre lanouvelle grande trasformation et ses enjeux, Ed. Amsterdam, Paris, 20077 Cfr. Cfr. D.Lebert, C.Vercellone, “ Il ruolo dellaconoscenza nella dinamica di lungo periodo del capitalismo:l’ipotesi del capitalismo cognitivo”, in C.Vercellone (a curadi), Capitalismo cognitivo, op.cit., pag. 228 Per approfondimenti in tal senso, cfr. A. FumagalliBioeconomia…, op.cit., Y.Moulier-Boutang, Le capitalism cognitif,op.cit.

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produzione) portano ad un ampliamento della basecapitalistica su scala globale, con l’effettodi aumentare il numero complessivo deilavoratori salariati industriali, ma, allostesso tempo, rendendo centrale il ruolo dellavoro cognitivo e relazionale, che, nei paesi apiù vecchia industrializzazione e ovunque siesercita il controllo della finanza e dellatecnologia , tende a diventare egemone;

d. la valorizzazione del capitalismo cognitivoderiva sempre meno dalla produzione industrialediretta ma sempre più dal valore simbolico che èassociato alla merce. In un contesto, in cui ilvalore monetario non ha più alcun rapporto conla merce (la monta è diventata pura moneta-segno), tale valorizzazione tende a incastonarsinel valore azionario della produzione. Lafinanza diventa così l’ambito in cui lavalorizzazione capitalistica cognitiva prendeforma, come espressione della produttività dellavoro manuale industriale (in misuradecrescente) e del lavoro cognitivo generalintellect (in misura crescente).

Il passaggio dal capitalismo fordista-industrialeal capitalismo cognitivo-immateriale è quindi lametamorfosi del ciclo del capitale dalla formula:denaro-merce-denaro (D-M-D’) a quello: denaro-conoscenza-denaro (D-M(K)-D’)9.

2. Lavoro nomade e flessibile ….

Nel capitalismo cognitivo, a differenza delcapitalismo fordista, il rapporto capitale-lavoro ela conseguente distribuzione del reddito sonocaratterizzate da mobilità.Affermare che il rapporto capitale-lavoro nelcapitalismo cognitivo sia mobile significa che essopuò assumere diverse forme, senza modificarne lasostanza: ovvero la condizione di subalternitàdella prestazione lavorativa.

9 Sul concetto di conoscenza come merce, cfr. cap. 2 diA.Fumagalli, Bioeconomica e .., op.cit.

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La prestazione lavorativa è oggi caratterizzata damobilità soggettiva e mobilità oggettiva.La mobilità soggettiva significa che il rapporto dilavoro assume connotazioni diverse a seconda che laprestazione lavorativa implichi attività diretta diproduzione, di riproduzione, di consumo; a secondache sia prevalente l’utilizzo del corpo, degliaffetti o del cervello.Ciò si traduce in una mobilità oggettiva che èdefinita dal flusso di merci e di persone checostituiscono il luogo e il tempo della produzione.Tempo e spazio definiscono in tal senso uno spaziovettoriale di flussi che vede di volta in volta, aseconda del modello organizzativo dominante, ilpassaggio e la ricombinazione perenne dellesoggettività lavorative. Come abbiamo giàosservato, il lavoro nel capitalismo cognitivo èmobile in quanto disperso in un ambito produttivoche non presenta confini immediati: non è cioèracchiudibile né in un unico spazio (come potevaessere la fabbrica) né in unico modelloorganizzativo dei tempi (come lo eral’organizzazione tayloristica).E’ da questa mobilità del lavoro che trae linfa ilgeneral intellect, come esito della cooperazione socialeche ricompone, di volta in volta, i diversi flussida cui trae origine. E’ da questa mobilità chederiva il concetto di moltitudine, artificioterminologico per rendere conto di una complessitàdelle forze di lavoro non riducibile ad unaunicità, ad uno stock omogeneo. Nel capitalismo cognitivo la condizione di mobilitàdella forza lavoro è accompagnata dallapredominanza della contrattazione individuale. Ciòderiva dal fatto che sono le individualità nomadi aessere messe al lavoro e il primato del dirittoprivato su un diritto comune ancora tutto dacostruire induce a trasformare l’apporto delleindividualità, soprattutto se caratterizzate daattività cognitive, relazionali e affettive, inindividualismo contrattuale.Ne consegue che l’intrinseca mobilità del lavoro sitrasforma in precarietà soggettiva del lavoro.

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In questo contesto, la condizione di precarietàassume forme nuove. Il lavoro umano nel corso delcapitalismo è sempre stato caratterizzato daprecarietà più o meno diffusa a seconda della fasecongiunturale e dei rapporti di forza di volta involta dominanti. Così è successo in forma massiccianel capitalismo pretaylorista e così è stato,seppur in forma minore, nel capitalismo fordista.Ma, in tali periodi, si è sempre parlato diprecarietà della condizione di lavoro, in quanto losvolgimento di un lavoro prevalentemente manualeimplicava in ogni caso una distinzione tra il tempodella fatica e il tempo del riposo, cioè tra tempodi lavoro e tempo di vita, inteso come tempo di nonlavoro o tempo libero. La lotta sindacale del XIX edel XX secolo è sempre stata tesa a ridurre iltempo di lavoro a favore del tempo di non lavoro.Nella transizione dal capitalismo industriale-fordista a quello cognitivo, il lavoro digitale ecognitivo si è sempre più diffuso sino a definirele modalità principali della prestazionelavorativa. Viene meno la separazione tra uomo e lamacchina che regola, organizza e disciplina lavoromanuale Nel momento stesso in cui il cervello e lavita diventano parte integrante del lavoro, anchela distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoroperde senso. Ecco allora che l’individualismocontrattuale, che sta alla base della precarietàgiuridica del lavoro, tracima nella soggettivitàdegli stessi individui, condiziona i lorocomportamenti e si trasforma in precarietà esistenziale. Nel capitalismo cognitivo, la precarietà è, inprimo luogo, soggettiva, quindi esistenziale, quindigeneralizzata. E’ condizione strutturale interna alnuovo rapporto tra capitale e lavoro immateriale,esito della contraddizione tra produzione sociale eindividualizzazione del rapporto di lavoro, tracooperazione sociale e gerarchia. La precarietà è condizione soggettiva in quanto entradirettamente nella percezione dei singoli in mododifferenziato a seconda delle aspettative, delleforme di immaginari dominanti e del grado diconoscenza posseduta.

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La precarietà è condizione esistenziale perché èpervasiva e presente in tutte le attività degliindividui e non solo nell’ambito strettamentelavorativo, per di più in un contesto dove è semprepiù difficile separare lavoro da non lavoro. Insecondo luogo, perché l’incertezza che lacondizione di precarietà crea non trova alcunaforma di assicurazione che prescinda dalcomportamento degli stessi individui, a seguito delprogressivo smantellamento del welfare state.La precarietà è condizione generalizzata perché anchechi si trova in una situazione lavorativa stabile egarantita è perfettamente cosciente che talesituazione potrebbe terminare da un momentoall’altro in seguito a un qualsiasi processo diristrutturazione, delocalizzazione, crisicongiunturale, scoppi della bolla speculativa, ecc.Tale consapevolezza fa sì che il comportamento deilavoratori/trici più garantiti sia di fatto moltosimile a quello dei lavoratori/trici che vivonooggettivamente e in modo diretto una situazioneeffettivamente “precaria”. La moltitudine dellavoro è così o direttamente precaria opsicologicamente precaria.

* * * * *

Precarietà e moltitudine sono due facce dellastessa medaglia. Parliamo di moltitudine e non diclasse proprio perché nell’ambito del capitalismocognitivo l’attività lavorativa è frammentata nonsolo a causa di una separazione imposta da rapportidi forza sfavorevoli (il che non sarebbe condizionesufficiente per abbandonare il termine “classe”) masoprattutto a causa di una molteplicità edifferenziazione che parte dall’uso e dallosfruttamento delle individualità di cui ognipersona è latore. Si tratta di

“una moltitudine apparentemente indifferenziata di forme-lavoro. Sono le differenze – e non più la differenza – acostituire la forza lavoro cognitiva dell’attuale fasecapitalistica. Ed è proprio lo sfruttamento di tali

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differenze e la loro declinazione materiale a definire lenuove forme del rapporto capitale-lavoro”10.

Inoltre la moltitudine si definisce all’interno diuno spazio mobile, dai confini perennemente incertie dinamici. Mobilità e indifferenziateindividualità sono gli ingredienti che favorisconoil processo di individualismo contrattuale elavorativo che sta alla base della condizionesoggettiva di precarietà. Se la forza lavoro e ilmodo di lavoro fosse definito in modo univoco edomogeneo e assumesse modalità standard generali,non si potrebbe parlare né di moltitudine e né diprecarietà: moltitudine precaria, dunque.

3 …. e welfare e reddito precario

Lo sviluppo del capitalismo cognitivo e letrasformazioni del mercato del lavoro hanno resosempre più impellente una ridefinizione complessivae una riarticolazione delle politiche di welfare,alla luce del venir meno della regolazioneredistributiva che aveva caratterizzato ilparadigma industriale-fordista11.Nel dibattito socio economico attuale, due sono leconcezioni di welfare che più di altre attiranol’attenzione degli studiosi e dei politici: ilworkfare e, in alternativa, il welfare pubblico, diderivazione keynesiana. Il workfare è un sistema di welfare nonuniversalistico, garantito a chi ha i mezzimonetari per pagarlo, inteso come strumento diassistenza temporaneo e condizionato in attesa dientrare nel mercato del lavoro. E’ strutturatosull’idea di fornire un aiuto di ultima istanzaladdove esistono condizioni esistenziali che nonconsentono di poter lavorare e quindi di accedere a

10 Cfr, A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo, op.cit., p.123. 11 Cfr. A. Fumagalli, “Trasformazione del lavoro etrasformazioni del welfare: precarietà e welfare del comune(commonfare) in Europa”, in E. Brancaccio, R. Realfonzo, RiveGauche 2007, Manifestolibri, 2008, pp.

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quei diritti che solo la prestazione lavorativa èin grado di fornire. L’idea di workfare è inoltrecomplementare alla proposta di privatizzazione dibuona parte del welfare pubblico, a partire dallasanità. dall’istruzione e dalla previdenza,progetto che oggi trova fondamento nel cd. principiodi sussidiarietà, secondo il quale nelle materie che nonrientrano nella propria competenza esclusiva,livelli di governo superiore (es. lo Stato) possonointervenire soltanto e nella misura in cui gliobiettivi prefissati non possano essere conseguitiin maniera soddisfacente dai livelli di governoinferiore (es. le Regioni). Nella pratica questoprincipio si traduce nel fatto che l’interventopubblico può avere una sua ragion d’essere laddoveil privato non è in grado o non trova convenienteintervenire. Il caso della Lombardia è, alriguardo, eclatante. In nome della libertà discelta del cittadino tra pubblico e privato,vengono sussidiate la sanità e l’istruzione privatae si introducono ticket sanitari e vari aumentitariffari. Inoltre, il workfare ha come targetimmediato e parziale solo chi si trova al di fuoridel mercato del lavoro, come i disoccupati e ipensionati al minimo sociale e si basa sulla nettadistinzione tra politiche sociali e politiche dellavoro. L’idea è ancora quella prettamente fordistacon l’aggiunta di una cornice neoliberista, sulmodello anglosassone: incentivi al lavoro e statosociale minimo. Il protocollo sul welfare,competitività e mercato del lavoro del 23 luglioscorso stilato da Damiano e firmato dai sindacaticonfederali ne vorrebbe rappresentarel’applicazione in Italia.

Il welfare pubblico o keynesiano è, in parte, l’esattocontrario. Lo Stato dovrebbe farsi carico di unintervento di stampo universalistico, in grado digarantire a tutti i cittadini (che non semprecoincidono con i residenti) alcuni servizi socialidi base, quali la salute, l’istruzione e laprevidenza per tutta l’esistenza (dalla culla allatomba, secondo la famosa definizione del rapporto

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Beveridge del secondo dopoguerra). Non ci sarebbespazio quindi per l’intervento privato.

A queste due visioni di massima, ne seguono altrevisioni che rappresentano delle situazioni ibride:il welfare scandinavano che dà origine alle politichedella flexicurity, che si presentano come un momento disintesi del welfare keynesiano di tipouniversalistico, ma tarato sulle esigenze diflessibilizzazione del mercato del lavoro esull’esistenza di un mercato de lavoro fortementeomogeneo, incorporando alcune caratteristiche delworkfare. E, sul versante latino-medirerraneo, ilwelfare familistico, una mistura di workfare e diassistenzialismo non universalistico

E’ dunque sempre più necessario e impellenteintrodurre un’idea nuova di welfare, un’idea che siain grado di affrontare i due elementi principaliche caratterizzano l’attuale fase capitalistica neipaesi cd. “occidentali”: la precarietà; la generazione di ricchezza che ha origine dalla

cooperazione sociale e dal general intellect.

Riguardo al primo punto, il mondo del lavoro apparesempre più frammentato non solo da un punto divista giuridico ma soprattutto da quelloqualitativo-soggettivo. La figura del lavoratoresalariato industriale è emergente in molte partidel globo ma sta declinando in modi quasiirreversibile nei paesi occidentali a vantaggio diuna moltitudine variegata di figure atipiche eprecarie, dipendenti, parasubordinate e autonome,la cui capacità organizzativa e di rappresentanza èsempre più vincolata dal prevalere dellacontrattazione individuale e dall’incapacità diadeguamento delle strutture sindacale fordiste. Lapreminenza della contrattazione individuale suquella collettiva svuota la capacità dirappresentanza delle tradizionali forze sindacali.Il tentativo di recuperare tale capacità tramitestrategie di concertazione ha mostrato tutti i suoi

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limiti, sino a snaturare il ruolo del sindacato daforza in grado di rappresentare gli interessi dellavoro in istituzione di controllo e succube agliinteressi imprenditoriali sotto l’ombrello dellecompatibilità economiche dettate dalla nuovagerarchia economica internazionale.

Riguardo al secondo punto, abbiamo già rilevato chela produzione di ricchezza non è più fondata soloed esclusivamente sulla produzione materiale.L’esistenza di economie di apprendimento (chegenerano conoscenza) e di economie di rete (che neconsentono la diffusione, a diverso livello)rappresentano oggi le variabili che stannoall’origine degli incrementi della produttività:una produttività che sempre più deriva dallosfruttamento di beni comuni che discendono dallanatura sociale del genere umano (quali istruzione,sanità, conoscenza, spazio, relazionalità, ecc.) eche quindi si configura come esito di una“cooperazione” sociale, più o meno indotta oconsenziente.

Ne deriva che, in tale contesto, un intervento diwelfare deve saper rispondere al trade-off cheregola in modo instabile il processo diaccumulazione insito nel capitalismo cognitivo: ilrapporto contradditorio tra precarietà ecooperazione sociale. Più in particolare, si trattadi remunerare la cooperazione sociale, da un lato,e favorire forme di produzione sociale, dall’altro.

La remunerazione della cooperazione socialesignifica garanzia di continuità di redditoindividuale, incondizionato, per tutti coloro cheoperano nel territorio a prescindere dallo lorostatus professionale e civile. Poiché lacooperazione sociale va ben oltre la prestazionelavorativa eventualmente riconosciuta e certificatama tende a coincidere con l’esistenza stessa, laremunerazione della cooperazione sociale è data dalsalario eventualmente percepito più un basic income:tale basic income deve essere inteso come una sorta

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di risarcimento monetario (appunto remunerazione)della produttività sociale individuale e non comemero intervento assistenzialistico. Tale misuradeve essere accompagnata dall’introduzione di unsalario minimo orario, al fine di evitare che sipossa generare un effetto di sostituzione tra basicincome e lo stesso salario a vantaggio dell’impresae a discapito del lavoratore. Inoltre, tale basicincome, introdotto in modo graduale, prescindendodallo stato professionale degli individui e nonsottoposto ad alcuna misura di controllo e dicondizionamento, non è solo una misura di welfare,ma in quanto elemento di remunerazione, è anche unamisura di intervento nella regolazione del mercatodel lavoro. Viene così meno la distinzione trapolitiche di welfare e politiche del lavoro diderivazione fordista e tanto cara anche all’attualegoverno di centro-sinistra. La garanzia di unreddito in presenza di un salario minimo consenteinfatti ampliare le possibilità di scelta neldefinire la propria offerta di lavoro e quindiintervenire direttamente sulle condizioni dilavoro. La possibilità del rifiuto del lavorocapitalistico apre prospettive di liberazione chevanno ben al di là della semplice misuraredistributiva con la quale si intende solitamente(e si critica) il basic income.

Lo sviluppo della produzione (cooperazione) socialerichiede come premessa la riappropriazione e ladistribuzione dei guadagni che derivano dallosfruttamento dei beni comuni che stanno alla basedell’accumulazione odierna. Tale riappropriazionenon necessariamente si ottiene con il passaggiodalla proprietà privata a quella pubblica. Laddovesi tratta di servizi di base come la sanità ol’istruzione o il la mobilità territoriale ciò èpossibile, in quanto si tratta di beni pubblicioggi sempre più privatizzati. Se si parla invece diconoscenza, invece, è necessario parlare di benicomuni e di “proprietà comune”, in quanto laconoscenza non è, né può essere, un beneesclusivamente privato o esclusivamente pubblico.

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4. Commonfare e reddito di esistenza nelcapitalismo cognitivo: alcuni punti preliminaredi discussione.

Nel capitalismo cognitivo non vi è attualmentenessuna regola redistributiva sia diretta cheindiretta. Lo smantellamento del welfare keynesianoin forme di workfare si è accompagnato al venirmeno del legame tra crescita della produttivitàmateriale e crescita del potere d’acquisto deiredditi da lavoro. Tale esito è il frutto sia deiprocessi di finianziarizzazione che del pesocrescente della conoscenza come fattore diaccumulazione.Nel primo caso, i mercati finanziari tendono semprepiù a svolgere il ruolo di assicurazione socialeprivata, secondo coordinate e dinamicheindividualizzate e instabili. Nel secondo caso, ilpeso crescente della conoscenza e della produzioneimmateriale nel processo di accumulazione rendepiù problematica una misurazione dei guadagni diproduttività, sempre più dipendenti da fattorisociali e non più attribuibili a individui singoli.Il welfare si individualizza, mentre laproduttività si socializza: è da questo paradossoche deriva la tendente instabilità del capitalismocognitivo la crisi dei meccanismi di redistribuzonee originano nuovi fattori endogeni dicontraddizione. Al riguardo, ci basti sottolinearei seguenti

produzione e cooperazione sociale individualizzazione delrapporto di lavoro e gerarchia.

È su questa coppia dialettica che si estrinseca laproduzione di plusvalore, si registra il processodi sfruttamento del capitalismo cognitivo e siconsumano le nuove forme di alienazione. È qui chesi definisce il nuovo rapporto capitale – lavoronelle sue manifestazioni reali. Da un lato larichiesta di partecipazione, relazione e comunione

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agli intenti produttivi dell’impresa, dall’altro laprecarietà dei rapporti individuali,l’inquietitudine, l’incertezza e la frustrazionepsicologica ed esistenziale che ne deriva.

tempo di lavoro tempo di vita, produzione riproduzione.

La commistione tra tempo di vita e tempo di lavoroe, conseguentemente tra produzione e riproduzione,è la fenomenologia concreta della supremazia dellavoro astratto sul lavoro concreto nel capitalismocognitivo.

sfruttamento del comune espropriazione privata.

La messa a valore delle intere facoltà umane edella connaturata operosità sociale che si esplicanel lavoro concreto diviene lavoro astratto nelmomento stesso in cui l’esito di tale operositàproduce e riceve remunerazione monetarianell’ambito della struttura proprietaria (in cuivige la proprietà individuale) dell’agire comune.

workfare commonfare.

Nell’ambito sociale, la condizione di precarietàgeneralizzata ed esistenziale si traduce in unafilosofia comportamentale individualistica, chefonda la sua legittimità nel “fare da sé e controgli altri” e nello smantellamento di qualsiasiforma di protezione sociale sovraindividuale. Nelmomento stesso in cui qualsiasi servizio sociale(dalla salute, alla previdenza, alla sicurezza edifesa personale) è demandata a se stessi,l’individualismo come filosofia sociale diventaegemone, proprio quando la produzione sisocializza.

Per alleviare l’instabilità strutturaledell’attuale capitalismo cognitivo diventanecessario – almeno da un punto di vista meramenteteorico – ripensare la definizione delle variabili

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redistributive in modo che siano più consone allaproduzione di valore e accumulazione dell’attualecapitalismo cognitivo.

Per quanto riguarda la sfera del lavoro, occorrericonoscere che nel capitalismo cognitivo laremunerazione del lavoro si traduce nellaremunerazione di vita: di conseguenza ciò che nelfordismo era il salario oggi nel capitalismocognitivo diventa reddito di esistenza (basic income)e il conflitto in fieri che si apre non è più la lottaper alti salari (per dirla i termini keynesiani) mapiuttosto la lotta per una continuità di reddito aprescindere dall’attività lavorativa certificatadal un qualche rapporto di lavoro. Come abbiamo giànotato, dopo la crisi del paradigma fordista-taylorista, la divisione tra tempo di vita e tempodi lavoro non è più facilmente sostenibile. Isoggetti maggiormente sfruttati nel mondo dellavoro sono quelli la cui vita viene messainteramente al lavoro. Questo avviene in primoluogo per i lavori svolti nel settore dei servizi enell’allungamento dell’orario di lavoro,soprattutto per la forza –lavoro migrante: granparte del tempo di lavoro svolto nelle attività delterziario non avviene nel luogo di lavoro. Ilsalario è la remunerazione del lavoro e il redditoindividuale è la somma di tutti gli introiti chederivano dal vivere e dalle relazioni in unterritorio (lavoro, famiglia, sussidi, eventualirendite, ecc., ecc.) e che determinano lo standarddi vita. Finché c’è separazione tra lavoro e vita,c’è anche una separazione concettuale tra salario ereddito individuale, ma quando il tempo di vitaviene messo a lavoro sfuma la differenza frareddito e salario

Di fatto, la tendenziale sovrapposizione tra lavoroe vita, quindi tra salario e reddito non è ancoraconsiderata nell’ambito della regolazioneistituzionale (e neanche da alcune componenti chesi definiscono “antagoniste”). Il reddito diesistenza (basic income) può rappresentare un

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elemento di regolazione istituzionale adatto allenuove tendenze del nostro capitalismo. E’ definitoda due componenti: la prima prettamente salariale,sulla base delle prestazioni di vita cheimmediatamente si traducono in prestazionilavorative (tempo di lavoro certificato eremunerato, ma anche il tempo di vita utilizzatoper la formazione, l’attività relazione el’attività riproduttrice); la seconda è unacomponente di reddito (aggiuntiva alla prima) cherappresenta la quota di ricchezza sociale chespetta ad ogni individuo. Questa ricchezza socialedipende dalla cooperazione e dalla produttivitàsociale che si esercita su un territorio (che oggiè appannaggio dei profitti e delle renditemobiliari e immobiliari). Definendo in questo modoil basic income, i concetti di salario e redditoappaiono complementari e non conflittuali.

Per quanto riguarda la sfera della produzione, unsecondo aspetto innovativo è il ruolo svolto daidiritti di proprietà intellettuale. Essirappresentano lo strumento principale che consenteal capitale di appropriarsi del general intellect.Poiché la conoscenza è un bene comune, prodottodalla cooperazione sociale, il plusvalore chescaturisce dal suo uso in termini di attivitàinnovativa e incrementi di produttività del lavoronon è semplicemente il frutto di un investimento diuno stock di capitale fisico e individuale (cioèascrivibile ad un capitalista definito come entitàsingola, sia esso persona o organizzazioneimprenditoriale) ma dipende piuttosto dall’utilizzodi un patrimonio sociale (o “capitale umanosociale” come dicono gli economisti) che si èsedimentato sul territorio e che è indipendentedall’iniziativa del singolo imprenditore. Il saggiodi profitto che ne scaturisce non è quindi ilsemplice rapporto tra livello di investimento estock di capitale che definisce il valoredell’impresa, ma piuttosto “qualcosa”, la cuientità dipende anche dal capitale “sociale”esistente. In altre parole, poiché il profitto

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nasce dallo sfruttamento e dall’espropriazione afini privati di un bene comune come la conoscenza,esso è in parte assimilabile a una rendita: unarendita da territorio e da apprendimento, ovverouna rendita che proviene dall’esercizio dei dirittidi proprietà intellettuale, dalla proprietà dellaconoscenza.Ora, parafrasando Keynes, si potrebbe sostenereche,

“The owner of knowledge can obtain profit because knowledge isscarce, just as the owner of land can obtain rent becauseland is scarce. But whilst there may be intrinsic reasons forthe scarcity of land, there are no intrinsic reasons for thescarcity of knowledge”12.

La commistione tra profitto e rendita deriva dalfatto che, nel capitalismo cognitivo, il processodi accumulazione ha esteso la basedell’accumulazione stessa, cooptando al suo internoattività dell’agire umano che nel capitalismofordista-industriale non erano produttive di plus-valore, né si traducevano in lavoro astratto. Nuoviinput si sono così aggiunti o si sono rafforzati esono diventati strategici, come appunto laconoscenza in quanto bene a se stante (e non piùsemplicemente incorporato nelle macchine) e lospazio, sia nella sua accezione fisico-territorialeche virtuale. Ne consegue che la proprietà di talifattori non dà più adito a una rendita ma, essendomessi in produzione, a un profitto vero e proprio.Ciò vale in particolare per la proprietàterritoriale e dei flussi di comunicazione cosìcome la gestione dei flussi monetari e finanziari.

Da questo punto di vista, le indicazioni dipolitica economiche proposte da Keynes all’indomanidel sorgere del fordismo, potrebbero essereriscritte tenendo conto delle novità insite nelpassaggio al capitalismo cognitivo.12 Abbiamo qui ripreso la citazione di Keynes, (cfr.J.M.Keynes, Teoria Generale, ch. 24, ed. italiana, Utet, 2001,p. 567) e abbiamo sostituito il termine “capital” con iltermine “knowledge” e il termine “interest” con quello di“profit”.

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La misura di un basic income sostituisce la politicadegli altri salari, mentre l’eutanasia del rentier diKeynes potrebbe essere declinata nell’eutanasia deidiritti di proprietà intellettuale, accompagnata dapolitiche fiscali in grado di ridefinirel’imponibile di base tenendo conto dei nuovi inputproduttivi, in primo luogo lo spazio, la conoscenzae i flussi finanziari. Riguardo alla terza proposta di Keynes disocializzazione degli investimenti, il capitalismocognitivo si caratterizza per una socializzazionedella produzione a fronte di una concentrazionesempre più elevata dei flussi tecnologici efinanziari, le leve oggigiorno che consentono ilcontrollo e il comando sull’attività produttivaflessibilizzata e esternalizzata. Qualsiasipolitica che vada ad intaccare tale concentrazioneche sta alla base dei flussi di investimento incidequindi in modo diretto sulla struttura proprietariae mina alle radici la stesso rapporto capitalisticodi produzione. Quello che proponiamo, in alternativa al workfare eal welfare statalista della cosiddetta sinistraradicale, è il common-fare (ovvero il welfare delcomune).

La concezione di welfare keynesiano-pubblico è congruentecon l’idea del capitalismo industriale-fordista,oggi sempre più superato dal diffondersi di uncapitalismo cognitivo. Di converso, il workfare, conl’idea di stato sociale minimo, può apparentementesembrare più idoneo a rappresentare le istanze delcapitalismo cognitivo. Ed è per questo che apparevincente. In realtà, il workfare fa riferimento adun intervento di deregulation del sistema pubblicoche ha sempre contraddistinto il pensieroconservatore neo-liberale e per questo non ha“tempo”.

L’idea di commonfare, invece, parte dal presuppostoche la cooperazione sociale è la produzione del

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comune: qualsiasi politica di welfare che abbia acuore la coesione sociale non può quindi chepartire dal comune. I beni comuni nell’evoluzionedel capitalismo hanno più volte modificato lapropria struttura. Ai beni comuni legati allasopravvivenza terrena e al consumo primario (aria,acqua, cibo, vestiti, abitazione, socialità, ecc.,ecc.), connaturati con lo stesso agire umano, sisono aggiunti dei nuovi beni comuni, che oggi stanoalla base non tanto della sopravvivenza e delconsumo di base, ma piuttosto della produzione edell’accumulazione. Essi riguardano in primo luogoil territorio, geografico e virtuale econseguentemente l’ambiente, quindi il linguaggio ela conoscenza. Ipotizzare un welfare del comune significa oggiimbastire una politica: che tolga dalle gerarchie imposte dal libero

scambio i beni primari e di pubblica utilità chenegli ultimi 15 anni hanno subito estesiprocessi di privatizzazione in seguitoall’adozione degli accordi europei di Cardiffsulla regolamentazione del mercato dei beni edei servizi (accesso ai beni comuni materiali)

che imponga forme di controllo e di monitoraggiosul mercato del credito, sui suoi costi e sullepossibilità di elargire forme di finanziamentoanche a chi non ha contratti a tempoindeterminato con la garanzia e l’assicurazionedegli apparati pubblici, sia a livello localeche sopranazionale (accesso alla moneta comebene comune);

che proceda ad una regolamentazione dei dirittidi proprietà intellettuale e della legislazionesempre più restrittiva dei brevetti a favore diuna maggiore libertà di circolazione dei saperie alla possibilità gratuita di dotarsi diinfrastrutture informatiche, tramite adeguatepolitiche innovative e industriali (accesso aibeni comuni immateriali).

che consenta una partecipazione finanziaria econsultiva agli organi di gestione, a partiredal livello locale, dei beni pubblici

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essenziali, quali acqua, energia, patrimonioabitativo, e sostenibilità ambientale tramiteforme di municipalismo dal basso (principiodemocratico).

Commonfare, ovvero continuità di reddito e liberoaccesso ai beni comuni. Due condizioni per poterscegliere e essere autonomi dalla dipendenzaeconomica. Perché oggi le politiche sociali sonol’effettivo specchio della democrazia. E la nostralibertà si fonda sul diritto ad una scelta libera econsapevole.

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