Top Banner
© 2014 Wichg Publishing U ISSN 0391-5603 Urologia ( 2014 ; S25): 16-25 81 Un altro dato decisamente rilevante è che le IVU rappre- sentano almeno il 40% delle infezioni acquisite in ambiente ospedaliero e la maggior parte di esse sono da correlare alla cateterizzazione (4). Nella popolazione generale sono riscontrabili con sempre maggiore facilità ceppi baerici produori di beta laamasi (ESBL) che mostrano resistenza alla gran parte di anbioci e sensibilità residua ai soli carbapenemi. Ancor più preoccu- pante è il recente riscontro, non solo in report locali, di cep- pi baerici produori di enzimi ESBL-CARBA (es. New Dehli Metallo-Beta-Lactamase NDM-1) e quindi, di fao, resisten a tue le famiglie di anbioci carbapenemi compresi (5). La diffusa resistenza alle cefalosporine e ai fluorochinolo- nici rende queste due famiglie di anbioci a largo spero, di diffusione ubiquitaria nelle ulme decadi, progressivamente inefficaci (6). In considerazione del fao che ben pochi nuovi anbioci sono aesi in prossima disponibilità negli anni futuri e della prevedibile ulteriore estensione di resistenza baerica alle auali famiglie di anbioci, diviene urgente la razionalizza- zione delle terapie per tue le forme di IVU dalla semplice ciste, da gesre ambulatorialmente, alla urosepsi severa. Sebbene la maggior parte delle IVU abbia un decorso be- nigno, esse possono manifestarsi con svaria quadri clinici la cui diagnosi e caraerizzazione spesso non è precisa e pun- tuale, con conseguenze cliniche e rischi notevolmente varia- bili per pologia di paziente, condizioni cliniche associate e ambiente in cui l’infezione si è sviluppata. In questa rassegna saranno affronta i pun chiave e gli aspe controversi relavi all’eziopatogenesi, clinica e dia- gnosi delle IVU alla luce delle evidenze scienfiche disponi- bili e delle raccomandazioni delle linee guida internazionali, Le infezioni delle vie urinarie Nazario Foschi, Riccardo Biennesi, Giuseppe Palermo, Francesco Pinto, Pier Francesco Bassi, Emilio Sacco Clinica Urologica, Università Caolica del Sacro Cuore, Roma - Italy Accepted: June 30, 2014 Published online: December 1, 2014 Corresponding author: Nazario Foschi Clinica Urologica Università Caolica del Sacro Cuore Roma Largo A. Gemelli Roma, Italy [email protected] Introduzione Le infezioni delle vie urinarie (IVU) rappresentano le infe- zioni con la maggiore prevalenza e con un impao sociale ed economico molto rilevante. Si sma che solo negli USA per le IVU vengano effeuate annualmente circa 7.000.000 di visi- te mediche e almeno il 15% delle prescrizioni di anbioci (1, 2). Sempre negli USA almeno 100.000 ricoveri ospedalieri annui sono aribuibili alle IVU, in gran parte pielonefri (1). In termini di cos, nel 1995 si è smata una spesa pari a 1,6 miliardi di $ con proiezioni di circa 3 miliardi di $ nel 2014. I cos dire, che includono cos medici (visite mediche, pre- scrizioni, spese ospedaliere) e cos non medici (viaggi, giorni di malaa etc.) rappresentano circa il 40% del totale, mentre i cos indire (perdita di produvità associata alla malaa) raggiungono il 60% (3). Ques da divengono molto più allarman alla luce del- lo sviluppo e del riscontro di quadri di anbiocoresistenza sempre più diffusi da correlare ad un uso non omale degli anbioci ad oggi disponibili. Urinary tract infecons Urinary tract infecons (UTI) are amongst the most frequent bacterial infecons and therefore are responsible for a significant fracon of anbioc use, thus carrying a relevant social and economic burden. UTI may present as benign, uncomplicated cyss or severe, life-threatening urosepsis. Due to the heterogeneity of UTI the Euro- pean Secon of Infecons in Urology (ESIU) has introduced a phenotypical classificaon, based upon the clinical presentaon, the risk factors and the anbioc suscepbility of the causave pathogens. Presence of risk factors is a key point and could change dramacally the course of UTI. In scenario of urosepc paents, early diagnosis and therapy are mandatory and a successful decompression of the obstructed urinary tract is predictor of sur- vival. The muldisciplinary approach and a mely microbiological characterizaon are crical in this context. Keywords: Urinary tract infecons, Recurrent cyss, Bacterial prostas, Urosepsis, Prophilaxys, Therapy DOI: 10.5301/uro.500008 SEMINAR
9

Le infezioni delle vie urinarie

Apr 05, 2023

Download

Documents

Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Le infezioni delle vie urinarie

© 2014 Wichtig Publishing

UISSN 0391-5603

Urologia (2014 ; S25): 16-2581

Un altro dato decisamente rilevante è che le IVU rappre-sentano almeno il 40% delle infezioni acquisite in ambiente ospedaliero e la maggior parte di esse sono da correlare alla cateterizzazione (4).

Nella popolazione generale sono riscontrabili con sempre maggiore facilità ceppi batterici produttori di beta lattamasi (ESBL) che mostrano resistenza alla gran parte di antibiotici e sensibilità residua ai soli carbapenemi. Ancor più preoccu-pante è il recente riscontro, non solo in report locali, di cep-pi batterici produttori di enzimi ESBL-CARBA (es. New Dehli Metallo-Beta-Lactamase NDM-1) e quindi, di fatto, resistenti a tutte le famiglie di antibiotici carbapenemi compresi (5).

La diffusa resistenza alle cefalosporine e ai fluorochinolo-nici rende queste due famiglie di antibiotici a largo spettro, di diffusione ubiquitaria nelle ultime decadi, progressivamente inefficaci (6).

In considerazione del fatto che ben pochi nuovi antibiotici sono attesi in prossima disponibilità negli anni futuri e della prevedibile ulteriore estensione di resistenza batterica alle attuali famiglie di antibiotici, diviene urgente la razionalizza-zione delle terapie per tutte le forme di IVU dalla semplice cistite, da gestire ambulatorialmente, alla urosepsi severa.

Sebbene la maggior parte delle IVU abbia un decorso be-nigno, esse possono manifestarsi con svariati quadri clinici la cui diagnosi e caratterizzazione spesso non è precisa e pun-tuale, con conseguenze cliniche e rischi notevolmente varia-bili per tipologia di paziente, condizioni cliniche associate e ambiente in cui l’infezione si è sviluppata.

In questa rassegna saranno affrontati i punti chiave e gli aspetti controversi relativi all’eziopatogenesi, clinica e dia-gnosi delle IVU alla luce delle evidenze scientifiche disponi-bili e delle raccomandazioni delle linee guida internazionali,

Le infezioni delle vie urinarieNazario Foschi, Riccardo Bientinesi, Giuseppe Palermo, Francesco Pinto, Pier Francesco Bassi, Emilio Sacco

Clinica Urologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma - Italy

Accepted: June 30, 2014Published online: December 1, 2014

Corresponding author:Nazario FoschiClinica UrologicaUniversità Cattolica del Sacro Cuore RomaLargo A. GemelliRoma, [email protected]

Introduzione

Le infezioni delle vie urinarie (IVU) rappresentano le infe-zioni con la maggiore prevalenza e con un impatto sociale ed economico molto rilevante. Si stima che solo negli USA per le IVU vengano effettuate annualmente circa 7.000.000 di visi-te mediche e almeno il 15% delle prescrizioni di antibiotici (1, 2). Sempre negli USA almeno 100.000 ricoveri ospedalieri annui sono attribuibili alle IVU, in gran parte pielonefriti (1). In termini di costi, nel 1995 si è stimata una spesa pari a 1,6 miliardi di $ con proiezioni di circa 3 miliardi di $ nel 2014. I costi diretti, che includono costi medici (visite mediche, pre-scrizioni, spese ospedaliere) e costi non medici (viaggi, giorni di malattia etc.) rappresentano circa il 40% del totale, mentre i costi indiretti (perdita di produttività associata alla malattia) raggiungono il 60% (3).

Questi dati divengono molto più allarmanti alla luce del-lo sviluppo e del riscontro di quadri di antibioticoresistenza sempre più diffusi da correlare ad un uso non ottimale degli antibiotici ad oggi disponibili.

Urinary tract infectionsUrinary tract infections (UTI) are amongst the most frequent bacterial infections and therefore are responsible for a significant fraction of antibiotic use, thus carrying a relevant social and economic burden. UTI may present as benign, uncomplicated cystitis or severe, life-threatening urosepsis. Due to the heterogeneity of UTI the Euro-pean Section of Infections in Urology (ESIU) has introduced a phenotypical classification, based upon the clinical presentation, the risk factors and the antibiotic susceptibility of the causative pathogens. Presence of risk factors is a key point and could change dramatically the course of UTI. In scenario of uroseptic patients, early diagnosis and therapy are mandatory and a successful decompression of the obstructed urinary tract is predictor of sur-vival. The multidisciplinary approach and a timely microbiological characterization are critical in this context. Keywords: Urinary tract infections, Recurrent cystitis, Bacterial prostatitis, Urosepsis, Prophilaxys, Therapy

DOI: 10.5301/uro.500008

SEMINAR

Page 2: Le infezioni delle vie urinarie

Foschi et al 17

© 2014 Wichtig Publishing

al fine di fornire al lettore le basi razionali per una corretta gestione e basata sull’evidenza.

Classificazioni delle IVU

La descrizione usuale di una patologia prevede la classifi-cazione in categorie e stratificazione in gradi o sistemi.

Per quanto riguarda le IVU la classificazione e caratteriz-zazione può non essere agevole in quanto vi sono multipli fattori da tenere in considerazione per descrivere severità e possibilmente prognosi dell’infezione: sede anatomica, pre-sentazione clinica, fattori di rischio sottostanti, dati microbio-logici.

Possiamo storicamente distinguere una classificazione microbiologica, che tiene conto dell’agente eziologico e della sua eventuale quantificazione (es. cistite batterica, batteriu-ria asintomatica/sintomatica, significativa/non significativa), una classificazione anatomica (alte e basse vie urinarie) ed una classificazione clinica (IVU non complicate, complicate, ricorrenti, asintomatiche).

I criteri fondamentali nell’inquadramento delle IVU pos-sono essere racchiusi in 5 categorie: criteri clinici, possibili fattori di rischio, patogeno/agenti eziologici, ambiente/sede in cui l’IVU è stata contratta, opzioni terapeutiche/suscettibi-lità alle terapie.

Nelle ultime due-tre decadi sono state progressivamen-te introdotte differenti classificazioni, alcune delle quali tut-tora in utilizzo e man mano aggiornate fino agli ultimi anni.

Le più diffuse classificazioni delle IVU sono le seguenti: la classificazione del Center of Disease Control and Prevention in the USA (CDC) introdotta nel 1988 e aggiornata nel 2008, la classificazione dell’Infectious Disease Society of America (IDSA) del 1992, e quella dell’European Society of Clinical Mi-crobiology and Disease (ESCMID) del 1993 (7-11).

La classificazione CDC del 1988 distingueva le IVU sinto-matiche dalla batteriuria asintomatica (BA) e altre infezioni delle vie urinarie. Nell’aggiornamento del 2008 sono stati introdotti i concetti di Health Care Associated Urinary Tract Infections (HA-UTI) che comprendeva di fatto le Nosocomially Acquired Urinary Tract Infections (NA-UTI) (9).

Le classificazioni IDSA ed ESCMID sono state elaborate soprattutto per lo sviluppo di nuovi farmaci antimicrobici e per i relativi studi clinici. La IDSA introduce il concetto di IVU complicate (o “high-risk”) ed IVU non complicate (o “low-risk”); in quest’ultime non vi sono per il paziente noti fattori di rischio che lo rendano più suscettibile a svilupparle (4, 5). Le IVU complicate, invece, sono caratterizzate dalla presenza di questi fattori, alcuni dei quali sono correlati a condizioni dell’apparato urinario (calcoli, ostruzione, diversioni urina-rie, cateteri etc.), altri a patologie varie (diabete, immunode-pressione, insufficienza renale etc.). Il concetto di “complica-to”, tuttavia, può essere interpretato con diverse accezioni: un maggiore rischio di complicanze cliniche se l’IVU non è ap-propriatamente trattata, un’aumentata suscettibilità alle IVU, un aumentato rischio di fallimento terapeutico, un maggiore rischio di perdita di funzionalità renale, un eventuale rischio per la vita (12).

Nelle linee guida IDSA vengono, inoltre, introdotte le soglie “microbiologiche” (in termini di unità formanti co-lonia, UFC) nella diagnosi di IVU per differenti gruppi di

pazienti e situazioni cliniche.La recente introduzione della classificazione della Europe-

an Association of Urology (EAU) e della European Section of Infection in Urology (ESIU) che prevede l’utilizzo del sistema ORENUC per la tipizzazione dei fattori di rischio, consente una definizione di gruppi di severità delle IVU in base alla presen-tazione clinica, alla categorizzazione dei fattori di rischio e alla disponibilità della terapia appropriata (12, 13). In questo modo un episodio di IVU può essere descritto con un breve acronimo associato alla diagnosi clinica che evidenzia imme-diatamente la presenza di fattori di rischio, l’agente eziologico e la disponibilità di un’adeguata terapia antibiotica (12).

La classificazione EAU-ESIU ha, quindi, l’obiettivo, di su-perare la dicotomia “complicato/non complicato” oggetto di controversie e confusione rimpiazzandola con la stratificazio-ne in gruppi in base alla severità dell’infezione. Infine, si pre-sta a chiarire il significato clinico della BA intendendola come una colonizzazione piuttosto che una vera e propria infezione (12, 14, 15).

La distinzione tra IVU complicate e non complicate rimane comunque immediata ed ancora diffusa. Le IVU non compli-cate possono essere sintetizzate come un’infezione urinaria acuta, acquisita in comunità nella donna in premenopausa, sana e non gravida, mentre le IVU complicate sono quelle del maschio, del bambino, dell’anziano, della gravida, nosoco-miali ed in presenza di fattori di rischio come anomalie strut-turali o disturbi funzionali dell’apparato urinario, derivazioni urinarie, calcolosi, presenza di catetere vescicale (Catheter-Associated Urinary Tract Infections o CA-UTI), severe comor-bidità, immunosoppressione, trapianto renale, insufficienza renale, diabete, recenti terapie antibiotiche o manovre stru-mentali e interventi sull’apparato urinario.

Cenni epidemiologici

Le IVU presentano differenti tassi di prevalenza in funzio-ne di più variabili quali innanzitutto genere ed età. Negli USA si stima che il 25-40% delle donne di età compresa tra i 20 e i 40 anni abbia avuto almeno un episodio di IVU (16).

Nelle statistiche europee emerge una sostanziale sovrap-ponibilità con il 20% delle donne adulte che possono andare incontro ad almeno un episodio di IVU nel corso della loro vita (17).

In altre casistiche sono ancora evidenti le differenti inci-denze nei due sessi: solo 0,0006-0,0008 IVU/persona all’anno nella popolazione maschile, contro le 0,5-0,7 IVU/persona all’anno per coetanei di sesso femminile (16).

Inoltre, l’incidenza nelle donne tende ad aumentare con l’aumentare dell’età e con i periodi di più intensa attività ses-suale. D’altronde, anche in menopausa, le donne risultano maggiormente a rischio per le eventuali alterazioni dell’appa-rato urinario, la diminuzione degli estrogeni e la conseguente variazione della microflora vaginale ed infine per le eventuali comorbidità che tendono inevitabilmente ad essere più fre-quenti con l’invecchiamento.

In rapporto alle età, riscontriamo che in età neonatale sono i maschi ad avere maggiore incidenza di IVU, mentre nell’infan-zia essa è approssimativamente del 2% con le femmine 10 vol-te più a rischio dei maschi, ed infine, in età scolare l’incidenza è del 5% nelle femmine ed è molto bassa nei maschi (16).

Page 3: Le infezioni delle vie urinarie

Infezioni vie urinarie18

© 2014 Wichtig Publishing

e Morganella sp., ma anche Corynebacterium urealyticum, Klebsiella, Pseudomonas e Serratia sp. e stafilococchi) sono coinvolti nelle IVU associate a litiasi infetta.

La virulenza e la patogenicità dei diversi tipi di batteri è molto differente e dipende non solo dalla specie batterica presa in considerazione ma anche, e soprattutto, dallo stato delle difese dell’ospite e dalla integrità del suo apparato uri-nario. L’equilibrio tra fattori di virulenza specifici del batterio e le difese dell’ospite sono cruciali nello sviluppo e nell’evo-luzione delle IVU.

Caratteristica dell’UPEC è la presenza di un corredo di fat-tori di virulenza come le adesine, strutture della superficie cellulare batterica che consentono l’adesività alle membrane cellulari dell’ospite. L’UPEC presenta pili (fimbrie) e proteine di membrana (come l’emoagglutinina) che facilmente trova-no siti suscettibili nei glicolipidi di membrana presenti negli epiteli intestinali e urinari (24).

Le fimbrie di tipo 1 legano strutture contenenti manno-sio presenti diffusamente sulle membrane di diverse fami-glie cellulari, legano, inoltre, la proteina di Tamm-Horsfall abbondantemente presente nelle urine. Ulteriori fattori di virulenza sono rappresentati da polisaccaridi capsulari, emolisine, fattore citotossico necrotizzante (CNF-1), aero-bactine, proteine del biofilm (antigene 43), protectine e re-cettori per l’uptake del ferro, l’antigene O e il polisaccaride capsulare (25-27).

Diversi meccanismi di difesa sono normalmente pre-senti nelle urine e nell’apparato urinario. In primo luogo il flusso urinario, continuo e unidirezionale è il primo fatto-re di difesa fornendo un continuo lavaggio delle superfici dell’apparato urinario; ogni evento che tenda ad interferire o arrestare questo flusso potrà causare un’aumentata su-scettibilità alle IVU (ostruzione, reflusso vescico-uretrale, riduzione della diuresi, strumentazione delle vie urinarie, cateterizzazione etc.).

L’immunità secretoria (IgA) riduce l’adesività delle cellu-le batteriche e la capacità invasiva di quest’ultime. Anche la secrezione di chemocine infiammatorie come IL-6 e IL-8 riveste un ruolo difensivo verso le IVU. L’urina ha proprietà antibatteriche in virtù del suo pH, concentrazione di urea e osmolarità; la presenza, inoltre, di alcuni acidi organici li-mita fortemente la proliferazione degli agenti patogeni. L’u-rotelio sano offre barriere anatomiche e tissutali fornendo uno scudo altamente specializzato ed impermeabile grazie alle giunzioni intracellulari e alle proteine di membrana come le uroplachine ed il rivestimento uroteliale costituito da uno strato di proteoglicani e glicosamminoglicani (GAGs). Sono anche presenti proteine dotate di proprietà batterici-de come l’alfa e beta defensine o la catelicidina.

Sebbene la maggior parte dei ceppi di Escherichia coli sono contrastati ed eliminati dai meccanismi di difesa dell’o-spite entro pochi giorni dall’infezione, nuove evidenze fisio-patologiche hanno dimostrato che piccoli cluster di batteri intracellulari possono persistere per mesi senza essere rag-giunti dagli antibiotici (23).

Nel modello murino è stato riscontrato che ceppi parti-colarmente virulenti riescono, dopo l’adesione all’urotelio, ad “internalizzarsi” formando dei reservoir quiescenti e per-sistenti non aggredibili dagli antibiotici e capaci di reinne-scare infezioni recidive o BA, ciò potrebbe spiegare la pato-

Un’altra condizione particolare è rappresentata dalla gra-vidanza, durante la quale le IVU, sia in forma di cistite che come pielonefrite, possono verificarsi dall’1 al 2% dei casi.

Nei trapiantati di rene le IVU sono, complici l’immunode-pressione e le alterazioni anatomiche che il trapianto com-porta, significativamente presenti manifestandosi fino al 30-50% dei casi (16).

Eziopatogenesi

I microrganismi possono raggiungere l’apparato urina-rio per diffusione ematogena e linfatica, ma la corsia prefe-renziale rimane la via ascendente per continuità anatomica dall’uretra coinvolgendo soprattutto microrganismi di origi-ne enterica facilmente riscontrabili nella regione perineale e perianale. Ciò spiega la maggiore predisposizione del ses-so femminile a contrarre le IVU, specialmente in relazione all’attività sessuale, e la facilità di contaminazione attraverso le manovre invasive retrograde quali la cateterizzazione. In-fatti, dopo cateterizzazione, la probabilità di colonizzazione delle vie urinarie aumenta esponenzialmente con il tempo di permanenza in sede del catetere stesso raggiungendo circa il 100% nel giro di alcuni giorni e anche in presenza di sistemi di drenaggio chiusi si può solo ritardare questa evenienza (16).

La via ematogena è invece più rara e caratteristica solo di alcune famiglie di batteri quali Stafilococcus aureus, Sal-monella sp., o di miceti e micobatteri quali Candida sp. e Micobatterium tubercolosis.

I principali uropatogeni derivano dalla flora intestinale fecale e possiedono caratteristiche che consentono adesi-vità, crescita, resistenza alle difese dell’ospite e ne permet-tono l’agevole colonizzazione delle vie urinarie. Numerose evidenze dimostrano che l’alterazione della flora batterica vaginale e, in particolar modo la carenza di lattobacilli pro-duttori di H2O2, che si ottiene facilmente dopo terapia anti-biotica, igiene inadeguata o per l’utilizzo di creme spermi-cide e dispositivi a scopo contraccettivo, possa predisporre alla colonizzazione batterica. Altri fattori di rischio in preme-nopausa sono rappresentati da storia materna di IVU ricor-renti, giovane età di insorgenza delle prime IVU, frequenza e promiscuità dei rapporti sessuali; il reflusso vescico-uretera-le severo può avere un ruolo in casi specifici (18).

In postmenopausa, una storia di IVU in età premeno-pausale, la carenza estrogenica, l’incontinenza, il prolasso genitale, un significativo residuo postminzionale e lo stato dell’antigene ABH non-secretorio sono comuni fattori di ri-schio (19, 20).

Escherichia coli uropatogeno (UPEC) è responsabile al-meno dell’85% delle UTI ambulatoriali e del 50% delle no-socomiali (21, 22).

Altri microrganismi coinvolti sono Staphylococcus sapro-phyticus (5-10%) e, in minor misura, Proteus mirabilis, Kleb-siella pneumoniae, Enterococcus faecalis (23).

Il ruolo delle IVU non UPEC-relate aumenta passando dallo scenario delle infezioni comunitarie a quello delle infe-zioni ricorrenti o di quelle nosocomiali. In queste ultime, in particolare, acquistano un ruolo rilevante anche Staphylo-coccus aureus meticillino-resistente (MRSA), Pseudomonas e Serratia sp. Germi ureasi-produttori (Proteus, Providencia

Page 4: Le infezioni delle vie urinarie

Foschi et al 19

© 2014 Wichtig Publishing

possibilità di sviluppo di condizioni quali l’ipersensibilità vesci-cale e sintomi correlabili alla sindrome della vescica iperattiva (OAB) (1, 31, 32).

Le IVU ricorrenti sono classificate, soprattutto negli studi clinici, come recidive se causate dallo stesso uropatogeno en-tro 30 giorni dal precedente episodio (20-30% dei casi) e rein-fezioni (70-80% dei casi) se causate da ceppi patogeni diversi; tale distinzione è comunque spesso non agevole nella pratica clinica dove nella gran parte dei casi gli episodi ricorrenti sono dovuti allo stesso ceppo, a supporto dell’ipotesi della persi-stenza batterica intracellulare (33, 34).

I ceppi uropatogeni di Escherichia coli responsabili di IVU ricorrenti sono spesso dotati di multipli fattori di virulenza che li rendono particolarmente aggressivi (35, 36).

Uno o più dei fattori di rischio, precedentemente menzionati, sono spesso presenti contemporaneamente nelle pazienti (20).

Di utilità clinica risulta inoltre la distinzione tra cistiti postcoitali ovvero intercourse-related e cistiti non coitali ovvero intercourse-unrelated, con le prime che arrivano a rappresentare il 75-90% dei casi e, comunque, più semplici da trattare e prevenire (33).

genesi delle cistiti ricorrenti in particolar modo quelle in cui viene riscontrato il medesimo ceppo batterico responsabile (Fig. 1) (19, 28-30). Sono state riportate evidenze a sostegno di questo comportamento batterico anche nella vescica uma-na (28-29).

IVU ricorrenti

Le IVU ricorrenti sono infezioni frequenti e rappresentano spesso una sfida terapeutica sia per i pazienti che per i curanti. Almeno il 20-30% delle donne con un primo episodio di IVU andrà incontro ad infezione ricorrente entro 3-4 mesi. Una IVU ricorrente è definita dal susseguirsi di almeno due episodi (og-gettivati dal riscontro colturale) in un periodo di 6 mesi o di almeno tre episodi/annui (1).

L’incidenza è più elevata soprattutto nelle donne in età pre-menopausale, con importanti ricadute socioeconomiche come costi diretti ed indiretti su una popolazione lavorativamente attiva (spese mediche, perdita di produttività, giorni di lavoro persi etc.) e con rilevanti effetti sulla qualità della vita, deterio-ramento della vita sessuale, maggiore incidenza di vulvodinia e

Fig. 1 - L’espressione di Pili, soprattutto di tipo 1 che permette l’adesione della cellula batterica, consente progressivamente di scardinare le barriere uroteliali nonostante la presenza di recettori competitivi abbondanti presenti in soluzione nelle urine come la proteina di Tamm-Horsfall. Il processo successivo consiste nella invasione intracellulare da parte di Escherichia coli uropatogeno (UPEC) con differenti mecca-nismi d’azione, attraverso incorporamento in vescicole o dagli ombrelli cellulari fino a raggiungere il citoplasma dove un‘attiva replicazione porta alla formazione di comunità batteriche intracellulari (IBC). Questa replicazione è di fatto protetta da tutti i meccanismi di difesa endo-luminali dell’apparato urinario ed inoltre al sicuro dai comuni antibiotici che non raggiungono questa sede. Si costituisce così un reservoir quiescente intracellulare (QIR) di patogeni responsabili di ricadute e IVU ricorrenti. La cellula uroteliale colonizzata va incontro a morte cellulare con il rilascio di nuove colonie di patogeni pronti a riprendere il processo sulle cellule contigue, processi noti come esfoliazione e fragilizzazione. Questo meccanismo è stato dimostrato non solo per l’UPEC ma anche per altre enterobacteriaceae. (Modificata da Rosen DA, Hooton TM, Stamm WE, Humphrey PA, Hultgren SJ. Detection of Intracellular Bacterial Communities in Human Urinary Tract Infection. PLoS Med 2007; 4(12): e329. doi:10.1371/journal.pmed.0040329]) (Copyright: © 2007 Rosen et al).

Page 5: Le infezioni delle vie urinarie

Infezioni vie urinarie20

© 2014 Wichtig Publishing

Clinica e diagnosi

L’inquadramento clinico e strumentale delle IVU è un pas-so fondamentale per la loro corretta gestione. L’allarmante fenomeno della antibiotico-resistenza deriva, infatti, anche da una non ottimale valutazione dei rischi e da una scorretta classificazione diagnostica.

Da un punto di vista clinico la sintomatologia è abbastan-za tipica con disuria, pollachiuria, nicturia, stranguria, macro-ematuria, dolore sovrapubico, incontinenza da urgenza, urine ipercromiche e maleodoranti. La ricerca anamnestica dei fat-tori di rischio sottostanti aumenta la probabilità di diagnosti-care IVU.

Seppure statisticamente una donna che si rechi in am-bulatorio con i sintomi classici delle basse vie urinarie, in as-senza di irritazione o secrezioni purulente vaginali, ha circa l’80-95% di probabilità di avere una IVU, il gold-standard per la diagnosi rimane il riscontro del patogeno nelle urine in pre-senza dei sintomi clinici (37).

Il riscontro e l’identificazione del patogeno avviene con la coltura delle urine utilizzando il mitto intermedio; l’urinocol-tura fornisce anche una valutazione del livello di batteriuria.

Il livello minimo di batteriuria dimostrabile non è stan-dardizzato e ben definito in letteratura. Molti laboratori de-finiscono 105 UFC/ml (Kass’ index) come soglia minima dia-gnostica, seppure questa si applichi oggi solo alla BA nella donna e nei pazienti con catetere vescicale ed in molti casi possa essere spostata a 103 UFC/ml per specifici agenti pa-togeni e situazioni cliniche come le infezioni sintomatiche e quelle nel maschio (38-41). La BA è definita dall’assenza di sintomi e contestuale riscontro di concentrazioni batteriche ≥105 UFC/ml in un unico riscontro nel maschio e in due conse-cutive urinocolture appropriatamente raccolte nella donna. La preparazione della raccolta delle urine è il primo passo di fondamentale importanza, più evidenze hanno sottolineato la necessità di raccogliere le urine del mitto intermedio e di praticare un’accurata igiene del perineo, della vulva e del glande prima della raccolta, manovre che nella pratica clinica possono non essere del tutto agevoli (39, 42, 43).

Il test rapido delle urine fresche con dipstick ha il van-taggio di fornire immediatamente informazioni indirette che consentano di riconoscere la presenza o meno di IVU se i sintomi caratteristici sono clinicamente manifesti. I dip-stick possono individuare rapidamente la presenza di nitriti, esterasi leucocitaria, proteine ed emazie. Anche se con una sensibilità bassa, la positività per nitriti determina un aumen-to della probabilità della presenza di IVU da 2,6 a 10,6 volte. Il riscontro di esterasi leucocitaria aumenta la probabilità di solo 1,6-2,6 volte. Il riscontro di emazie, pur avendo un’alta sensibilità, ha una specificità molto bassa (44).

L’esame microscopico del sedimento urinario a fresco è gravato da una bassa sensibilità soprattutto per IVU con cari-ca <105 UFC/ml, risulta, inoltre, anche operatore-dipendente.

Sono stati sviluppati alcuni algoritmi nel tentativo di au-mentare la precisione diagnostica delle singole metodiche. Nell’algoritmo di McIsaac la presenza di 2 su 3 criteri (stran-guria/disuria, dipstik positivo per leucociti, presenza di nitriti) può diagnosticare un’IVU con una sensibilità dell’80% e una specificità del 54%. Valori analoghi sono riportati da Little et al nello sviluppo del loro personale algoritmo (45).

La diagnostica nei casi più impegnativi, in cui le recidive sono particolarmente frequenti, maggiormente severe o re-frattarie a terapia e/o in cui il sospetto di un’uropatia sotto-stante è più forte, può includere accertamenti più approfon-diti come lo studio urodinamico, la cistografia minzionale e la cistoscopia. L’obiettivo è quello di identificare condizioni funzionali (ipocontrattilità detrusoriale, dissinergia vescico-sfinterica, ostruzione cervico-uretrale, pseudodissinergia e iperattività del pavimento pelvico) o organiche (diverticolosi vescicale o uretrale, fistole etc.) del basso apparato urinario. Le alte vie urinarie verranno indagate nel sospetto di uropatie a tale livello. La diagnostica differenziale deve altresì conside-rare le vaginiti, le sindromi uretrali, la sindrome della vescica dolorosa/cistite interstiziale, il carcinoma in situ, l’endome-triosi vescicale, i corpi estranei e le infezioni specifiche.

Mentre la gran parte delle IVU ambulatoriali sono delle IVU non complicate e può essere sufficiente basarsi solo sulla clinica e sui metodi indiretti per la diagnosi, nelle IVU compli-cate la ricerca del patogeno mediante esami colturali diventa mandatoria. La valutazione dell’alto apparato urinario è sem-pre indicata in caso di pielonefrite acuta, complicata e non. In caso di mancata risposta clinica entro 72 ore dall’inizio della terapia, è indicato l’approfondimento diagnostico mediante TC e scintigrafia renale con DMSA (13).

Urosepsi

Il termine urosepsi indica una condizione severa e po-tenzialmente letale causata da una IVU o da una infezione dell’apparato genitale maschile. Un focolaio settico nelle vie genito-urinarie è riscontrabile fino al 30% dei pazienti affetti da sepsi (46-48).

La causa principale è da ascriversi, quasi esclusivamen-te, a IVU complicate solitamente associate alla presenza di varie anomalie strutturali e funzionali a carico dell’apparato urinario. Altre condizioni predisponenti sono rappresentate dall’immunosoppressione e dalle patologie dismetaboliche. I pazienti sottoposti a chirurgia urogenitale, o i pazienti con documentata infezione degli organi parenchimatosi delle vie urogenitali (rene e prostata), sono da considerarsi ad alto ri-schio per lo sviluppo di sepsi (49).

Nelle ultime tre decadi, la popolazione a più alta inciden-za di urosepsi è progressivamente cambiata, comprendendo sempre più pazienti anziani, immunocompromessi o bambini prematuri rispetto al passato quando colpiva più frequen-temente persone in buono stato di salute. Negli ultimi anni l’incidenza della sepsi è aumentata principalmente a causa dell’incremento dell’età media della popolazione e delle re-lative comorbidità (Fig. 2), della comparsa di ceppi batterici multiresistenti e del maggior numero di procedure invasive e chirurgiche in questa popolazione. Con il miglioramento della gestione terapeutica dei pazienti settici, nelle ultime due de-cadi si è, invece, assistito ad una diminuzione della mortalità per sepsi dal 27,8% degli anni ’80 al 17,9% dei primi anni 2000 (46).

La sepsi è ubiquitariamente la principale causa di morte nei reparti di terapia intensiva con una mortalità del 20%; per la sepsi severa e lo shock settico sono riportate, invece, mor-talità del 40 e del 60% rispettivamente (47).

Le urosepsi solitamente hanno una prognosi migliore del-

Page 6: Le infezioni delle vie urinarie

Foschi et al 21

© 2014 Wichtig Publishing

le più diffuse sepsi a partenza polmonare e addominale, ma la mortalità può raggiungere il 20-40% (46).

L’urosepsi può svilupparsi sia nell’ambito di una IVU ac-quisita in comunità sia nel caso di una HA-UTI; la prolungata ospedalizzazione, la cateterizzazione prolungata e/o non in-dicata, la non corretta gestione dei sistemi di drenaggio delle urine e la non osservanza delle regole di asepsi intraospeda-liere sono tutti significativi fattori di rischio per lo sviluppo di IVU nosocomiali e conseguenti urosepsi. Circa il 10% dei pazienti ospedalizzati in reparti di Urologia sono a rischio di IVU nosocomiali spesso causate da patogeni multiresistenti, e il 24% circa si manifesta con segni di sepsi (46, 50).

Dati epidemiologici mostrano che mentre i tassi di IVU nosocomiali sono tendenzialmente in diminuzione nei Paesi Europei dal 2003 in poi, l’incidenza di urosepsi appare in in-cremento (50, 51).

La sede in cui si è sviluppata l’urosepsi, ovvero in comuni-tà o in ambiente ospedaliero comporta, inoltre, una sostan-ziale variazione nei germi patogeni coinvolti. Gli enterobatteri Escherichia coli, Proteus, Enterobacter, Klebsiella e l’Entero-cocco sono i principali responsabili nelle urosepsi acquisite in comunità. Le urosepsi acquisite in ambiente nosocomiale, invece, riconoscono come principali agenti patogeni l’Entero-cocco, Pseudomonas e Serratia sp., Acinetobacter baumanii, Candida sp. ed altri germi opportunisti soprattutto in presen-za di alterate difese immunitarie dell’ospite. Nelle sepsi no-socomiali è, inoltre, molto più frequente il riscontro di mul-tiresistenza agli antibiotici (come per lo MRSA) e di infezioni polimicrobiche molto spesso riguardanti portatori di cateteri a permanenza.

La presentazione clinica delle urosepsi può essere molto variabile con il 10-15% dei pazienti che si presenta ipotermi-co. Inizialmente, è riscontrabile tachipnea con iperventilazio-ne e conseguente alcalosi respiratoria. Gli iniziali sintomi del-

la sfera uro-genitale comprendono la colica renale, il dolore al fianco, stranguria, pollachiuria, ritenzione urinaria e il dolore perineale o scrotale. Possono associarsi sintomi di altri organi e apparati quali le alterazioni della coscienza, petecchie con-giuntivali ed emorragie retiniche, vomito, diarrea melena e altri sintomi dell’apparato gastrointestinale (fino al 30% dei casi).

I sintomi caratteristici della sepsi (febbre, tachicardia, tachipnea, alcalosi respiratoria), una volta considerati fon-damentali per la diagnosi, sono alquanto aspecifici ed attual-mente sono considerati come sintomi di allarme in quanto sono stati progressivamente introdotti altri sintomi, segni bio-logici e clinici (52, 53).

La definizione attuale dell’American College of Chest Physi-cian/Society of Critical Care Medicine (ACCP/SCCM) distingue l’infezione dalla batteriemia, che possono essere seguite dalla SIRS, dalla sepsi severa e dallo shock settico (Fig. 3).

Diversi test e dati laboratoristici possono integrare la diagnosi clinica ed essere utili nel follow-up: esami colturali (urino-colture, emocolture, colture di secrezioni), emocro-mo (leucocitosi, leucopenia, eosinopenia, trombocitopenia), emogasanalisi (alcalosi respiratoria e successiva acidosi meta-bolica, ipossiemia), sideropenia, ipoalbuminemia, proteinu-ria. Dal 2001 l’European Society of Intensive Care Medicine ha introdotto nella pratica clinica alcuni biomarkers quali la procalcitonina e la proteina C reattiva come ausilio nella dia-gnosi e nella valutazione clinica. In particolare, elevati livelli di procalcitonina hanno dimostrato buona sensibilità ed accet-tabile specificità nel predire pielonefrite, danno renale, bat-teriemia e necessità di drenaggio delle vie urinarie (54, 55).

Nelle metodiche di imaging il ruolo fondamentale è as-sunto dalla tomografia assiale computerizzata (CT) che risulta la metodica più efficace nell’inquadramento e nel follow-up delle condizioni urologiche predisponenti e per individuare

Fig. 2 - Modificata da Çek M, Tandoğdu Z, Naber K, et al. Global Prevalence Study of Infections in Urology Investigators. Antibi-otic prophylaxis in urology de-partments, 2005-2010. Eur Urol. 2013;63(2):386-394.ASB= asymptomatic bacteriuria

Page 7: Le infezioni delle vie urinarie

Infezioni vie urinarie22

© 2014 Wichtig Publishing

immediatamente la sede e la causa di partenza dell’urosepsi.Da un punto di vista terapeutico, il rapido riconoscimento

della localizzazione di partenza del focolaio settico, la pron-ta risoluzione delle condizioni predisponenti e l’appropriata collaborazione multidisciplinare tra urologi, infettivologi e ri-animatori si rivelano fondamentali per la gestione di questi pazienti e soprattutto per il rapido (entro 24 ore) inizio della terapia più adeguata.

Il drenaggio mininvasivo dell’ostruzione urinaria mediante cateterismo vescicale, stent ureterali o nefrostomie, è spes-so il momento fondamentale nella terapia della urosepsi e permette di dilazionare la successiva rimozione della causa primitiva. Una terapia antibiotica empirica deve comunque essere intrapresa immediatamente, subito dopo aver effet-tuato i prelievi per gli esami colturali. L’immediata sommi-nistrazione dell’antibiotico comporta i migliori risultati tera-peutici: è stato dimostrato che se la terapia viene intrapresa nella prima mezzora dall’instaurarsi dell’ipotensione, i tassi di sopravvivenza possono superare l’80%, e che il ritardo nella terapia comporta una progressiva riduzione dei tassi di so-pravvivenza del 7% ogni ora (56).

Nella scelta dell’antibiotico bisogna considerare la storia clinica, la patologia di base, il pattern di patogeni più frequen-ti ed eventuali antibiotico-resistenze dell’ambiente locale in base alle statistiche microbiologiche più specifiche a disposi-zione. Importante risulta la storia clinica e le pregresse even-tuali terapie antibiotiche effettuate nei precedenti 90 giorni, con indicazione ad evitare antibiotici già utilizzati soprattutto se fluorochinolonici o cefalosporine. Le terapie antibiotiche dovrebbero essere somministrate a dosi elevate compati-bilmente alle comorbidità e alla funzione renale del singolo paziente, questo perché nelle urosepsi il ruolo del biofilm batterico nelle vie urinarie e genitali è fondamentale (soprat-tutto in caso di cateteri, calcoli ed ostruzione), ed alte dosi di antibiotici sono necessarie per la penetrazione nel biofilm stesso (57-59).

Il mancato rispetto dei criteri di appropriatezza della tera-pia antibiotica iniziale comporta un sensibile incremento del tasso di mortalità dei pazienti settici (60, 61).

Altro momento fondamentale nella gestione delle urosep-si è l’opportuna terapia di supporto che deve comprendere la somministrazione adeguata di fluidi e farmaci con l’obiettivo del mantenimento della pressione sistolica, del controllo del-la frequenza cardiaca, della diuresi e della pressione venosa centrale. Il mancato controllo pressorio e i quadri di ipoper-fusione che ne derivano possono necessitare della gestio-ne in reparti di terapia intensiva. L’ossigenoterapia, la som-ministrazione di peptidi vasoattivi, la trasfusione di globuli rossi concentrati o di plasma fresco e l’eventuale necessità di emodialisi ed emofiltrazione sono tutte ulteriori manovre intensive che possono rivelarsi fondamentali nella gestione del paziente urosettico. L’utilizzo di proteina C attivata ricom-binante è stata dimostrata utile negli adulti con quadri severi ed importanti fattori di rischio (62).

Infine, bisogna ricordare la fondamentale rilevanza delle strategie preventive internazionalmente riconosciute, di pro-babile o comprovata efficacia, nel ridurre l’incidenza delle HA-UTI e delle CA-UTI (13, 63, 64).

Conclusioni

Vista la grande variabilità degli scenari clinici e l’eteroge-neità delle evidenze presenti, risulta difficoltoso trarre con-clusioni assolute sui molti aspetti della diagnosi, della terapia e della profilassi delle IVU. Le IVU rappresentano un serio pro-blema sanitario con un gravoso impatto sociale ed economico. L’invecchiamento della popolazione generale, e l'incremento delle relative comorbidità portano ad un inevitabile aumen-to della popolazione a rischio di episodi urosettici ed IVU più severe, anche alla luce dell’estensione delle indicazioni per la chirurgia urologica e alla diffusione di alcune manovre dia-gnostiche invasive. Il preoccupante fenomeno dell’antibioti-

Fig. 3 - Cascata clinica dell’urosepsi. La sindrome da risposta infiamma-toria sistemica (SIRS) può avere mol-teplici cause, infettive e non, e deve includere 2 o più condizioni come la temperatura corporea minore di 36 °C o superiore a 38 °C, la frequen-za cardiaca superiore a 90 bpm, la frequenza respiratoria maggiore a 20 atti al minuto oppure una PaCO2 minore di 32 mmHg, una leucocitosi (maggiore di 12000/mm3) o una leu-copenia (minore di 4000/mm3) o pre-senza di più del 10% di forme imma-ture. La sepsi è definita da una SIRS scatenata da un’infezione. La sepsi severa è caratterizzata dalla compar-sa di segni di disfunzione d’organo o di ipoperfusione (acidosi lattica, oli-guria o alterazione dello stato men-tale) e ipotensione (<90 mmHg o una riduzione di 40 mm/Hg dalla pressio-ne di base) in assenza di altre cause.

Page 8: Le infezioni delle vie urinarie

Foschi et al 23

© 2014 Wichtig Publishing

co-resistenza emerge come problematica ubiquitaria ad oggi di difficile risoluzione ma che deve spronarci ad un sempre più razionale e parsimonioso impiego degli antibiotici, spe-cialmente di quelli ad ampio spettro come i fluorochinolonici. I differenti quadri clinici e la severità con cui si manifestano le IVU impongono risposte terapeutiche ragionate e personaliz-zate. Una giusta classificazione di ogni singolo episodio di IVU e la stratificazione del rischio attraverso una corretta indagine anamnestica divengono fondamentali per l’adeguatezza della terapia e la prevenzione delle complicanze. Sebbene le avan-zate tecniche di terapia intensiva e supporto nei pazienti criti-ci permettano, oggi, un miglioramento della sopravvivenza in caso di sepsi, l’incidenza di quest’ultima è pericolosamente in aumento rimanendo una delle cause di mortalità più frequen-ti nei reparti ospedalieri. Un miglioramento delle strategie profilattiche per le IVU ricorrenti è urgentemente necessario e richiede una conoscenza più accurata dell’eziopatogenesi di queste infezioni. Il miglioramento della profilassi, insieme alla limitazione del trattamento della batteriuria asintomatica esclusivamente nei casi a rischio, sarebbe già un importante passo avanti nella direzione della massima limitazione dell’e-sposizione agli antibiotici.

DisclosuresInformed consent: None.Financial support: None.Conflict of interest: None.

Bibliografia1. Foxman B. Epidemiology of urinary tract infections: incidence,

morbidity, and economic costs. Am J Med. 2002;113(1)(Suppl 1A):5S-13S.

2. Mazzulli T. Resistance trends in urinary tract pathogens and impact on management. J Urol. 2002;168(4 Pt 2):1720-1722.

3. Foxman B, Brown P. Epidemiology of urinary tract infections: transmission and risk factors, incidence, and costs. Infect Dis Clin North Am. 2003;17(2):227-241.

4. Rüden H, Gastmeier P, Daschner FD, Schumacher M. Nosocomial and community-acquired infections in Germany. Summary of the results of the First National Prevalence Study (NIDEP). Infection. 1997;25(4):199-202.

5. Oteo J, Pérez-Vázquez M, Campos J. Extended-spectrum [beta]-lactamase producing Escherichia coli: changing epidemiology and clinical impact. Curr Opin Infect Dis. 2010;23(4):320-326.

6. Cassier P, Lallechère S, Aho S, et al. Cephalosporin and fluoro-quinolone combinations are highly associated with CTX-M β-lactamase-producing Escherichia coli: a case-control study in a French teaching hospital. Clin Microbiol Infect. 2011; 17(11):1746-1751.

7. D’Amico AV, Whittington R, Malkowicz SB, et al. Biochemical outcome after radical prostatectomy, external beam radiation therapy, or interstitial radiation therapy for clinically localized prostate cancer. JAMA. 1998;280(11):969-974.

8. Garner JS, Jarvis WR, Emori TG, Horan TC, Hughes JM. CDC definitions for nosocomial infections, 1988. Am J Infect Control. 1988;16(3):128-140.

9. Horan TC, Andrus M, Dudeck MA. CDC/NHSN surveillance definition of health care-associated infection and criteria for specific types of infections in the acute care setting. Am J Infect Control. 2008;36(5):309-332.

10. Rubin USE, Andriole VT, Davis RJ, Stamm WE. Evaluation of new

anti-infective drugs for the treatment of UTI. Clin Infect Dis. 1992;15:216.

11. Rubin UH SE, Andriole VT, Davis RJ, Stamm WE, with a modification by a European Working Party (Norrby SR). General guidelines for the evaluation of new anti-infective drugs for the treatment of urinary tract infection. The European Society of Clinical Microbiology and Infectious diseases, Taukirchen, Germany, 1993, p. 240-310.

12. Johansen TEB, Botto H, Cek M, et al. Critical review of current definitions of urinary tract infections and proposal of an EAU/ESIU classification system. Int J Antimicrob Agents 2011, doi: 10.1016/j.ijantimicag.2011.09.2009

13. Grabe M, Bartoletti R, et al. EAU guidelines on urological infections, 2014 version.

14. Sundén F, Håkansson L, Ljunggren E, Wullt B. Bacterial inter-ference—is deliberate colonization with Escherichia coli 83972 an alternative treatment for patients with recurrent urinary tract infection? Int J Antimicrob Agents. 2006;28(Suppl 1):S26-S29.

15. Nicolle LE, Bradley S, Colgan R, et al; American Geriatric Society. Infectious Diseases Society of America guidelines for the diagnosis and treatment of asymptomatic bacteriuria in adults. Clin Infect Dis. 2005;40(5):643-654.

16. Brusch JL, Bavaro MF, et al. Urinary tract infections in females. http://emedicine.medscape.com/article/233101-overview

17. UVI - nedre urinvägsinfektioner hos kvinnor [UTI - lower urinary tract infections in females]. The Medical Products Agency, Sweden 2007;18 (2).

18. Finer G, Landau D. Pathogenesis of urinary tract infections with normal female anatomy. Lancet Infect Dis. 2004;4(10): 631-635.

19. Hannan TJ, Totsika M, Mansfield KJ, Moore KH, Schembri MA, Hultgren SJ. Host-pathogen checkpoints and population bottlenecks in persistent and intracellular uropathogenic Escherichia coli bladder infection. FEMS Microbiol Rev. 2012;36(3): 616-648.

20. Stamm WE, Raz R. Factors contributing to susceptibility of postmenopausal women to recurrent urinary tract infections. Clin Infect Dis. 1999;28(4):723-725.

21. Mulvey MA, Schilling JD, Hultgren SJ. Establishment of a persistent Escherichia coli reservoir during the acute phase of a bladder infection. Infect Immun. 2001;69(7):4572-4579.

22. Scholes D, Hooton TM, Roberts PL, Stapleton AE, Gupta K, Stamm WE. Risk factors for recurrent urinary tract infection in young women. J Infect Dis. 2000;182(4):1177-1182.

23. Naber KG, Schito G, Botto H, et al. Surveillance study in Europe and Brazil on clinical aspects and Antimicrobial Resistance Epidemiology in Females with Cystitis (ARESC): implications for empiric therapy. Eur Urol 2008; 54:1164-1178.

24. Bullitt E, Makowski L. Structural polymorphism of bacterial adhesion pili. Nature. 1995;373(6510):164-167.

25. Ulett GC, Totsika M, Schaale K, Carey AJ, Sweet MJ, Schembri MA. Uropathogenic Escherichia coli virulence and innate immune responses during urinary tract infection. Curr Opin Microbiol. 2013;16(1):100-107.

26. Agarwal J, Srivastava S, Singh M. Pathogenomics of uropatho-genic Escherichia coli. Indian J Med Microbiol. 2012;30(2): 141-149.

27. Oelschlaeger TA, Dobrindt U, Hacker J. Virulence factors of uropathogens. Curr Opin Urol. 2002;12(1):33-38.

28. Mysorekar IU, Hultgren SJ. Mechanisms of uropathogenic Escherichia coli persistence and eradication from the urinary tract. Proc Natl Acad Sci USA. 2006;103(38):14170-14175.

29. Rosen DA, Hooton TM, Stamm WE, Humphrey PA, Hultgren SJ. Detection of intracellular bacterial communities in human urinary tract infection. PLoS Med. 2007;4(12):e329.

30. Uehling DT, Johnson DB, Hopkins WJ. The urinary tract response

Page 9: Le infezioni delle vie urinarie

Infezioni vie urinarie24

© 2014 Wichtig Publishing

to entry of pathogens. World J Urol. 1999;17(6):351-358. 31. Arnold LD, Bachmann GA, Rosen R, Rhoads GG. Assessment of

vulvodynia symptoms in a sample of US women: a prevalence survey with a nested case control study. Am J Obstet Gynecol. 2007 Feb;196(2):128.e1.

32. Arya LA, Northington GM, Asfaw T, Harvie H, Malykhina A. Evidence of bladder oversensitivity in the absence of an infection in premenopausal women with a history of recurrent urinary tract infections. BJU Int. 2012;110(2):247-251.

33. Leibovici L, Alpert G, Laor A, Kalter-Leibovici O, Danon YL. Urinary tract infections and sexual activity in young women. Arch Intern Med. 1987;147(2):345-347.

34. Ejrnaes K, Sandvang D, Lundgren B, et al. Pulsed-field gel electrophoresis typing of Escherichia coli strains from samples collected before and after pivmecillinam or placebo treatment of uncomplicated community-acquired urinary tract infection in women. J Clin Microbiol. 2006;44(5):1776-1781.

35. Ejrnæs K. Bacterial characteristics of importance for recurrent urinary tract infections caused by Escherichia coli. Dan Med Bull. 2011;58(4):B4187.

36. Ejrnæs K, Stegger M, Reisner A, et al. Characteristics of Escherichia coli causing persistence or relapse of urinary tract infections: phylogenetic groups, virulence factors and biofilm formation. Virulence. 2011;2(6):528-537.

37. Guay DR. Contemporary management of uncomplicated urinary tract infections. Drugs. 2008;68(9):1169-1205.

38. Schmiemann G, Gebhardt K, Matejczyk M, Hummers-Pradier E. DEGAM-Leitlinie Nr. 1: Brennen beim Wasserlassen – Update 2009. Omikron publishing: Düsseldorf 2009.

39. Samenvattingskaart NHG-Standaard. URINEWEGINFECTIES NHG-STANDAARD.http://nhg.artsennet.nl/upload/104/standaarden/ M05/start.html

40. GEK-Arzneimittel-Report2009. http://www.gek.de/x-medien/dateien/magazine/GEK-Arzneimittel-Report-2009.pdf

41. EAU (European Association of Urology). Guidelines on Urological Infections. European Association of Urology, 2009.

42. Baerheim A, Laerum E. Home-voided urine specimens in women. Diagnostic agreement with clean-catch midstream specimens. Scand J Prim Health Care. 1990;8(4):207-211.

43. Lifshitz E, Kramer L. Outpatient urine culture: does collection technique matter? Arch Intern Med. 2000;160(16):2537-2540.

44. Schmiemann G, Kniehl E, Gebhardt K, Matejczyk MM, Hummers-Pradier E. The diagnosis of urinary tract infection: a systematic review. Dtsch Arztebl Int. 2010;107(21):361-367.

45. Little P, Turner S, Rumsby K, et al. Dipsticks and diagnostic algorithms in urinary tract infection: development and validation, randomized trial, economic analysis, observational cohort and qualitative study. Health Technol Assess 2009;13: iii-iv, ix-xi, 1-73.

46. Brun-Buisson C, Meshaka P, Pinton P, Vallet B; EPISEPSIS Study Group. EPISEPSIS: a reappraisal of the epidemiology and outcome of severe sepsis in French intensive care units. Intensive Care Med. 2004;30(4):580-588.

47. Angus DC, Linde-Zwirble WT, Lidicker J, Clermont G, Carcillo J, Pinsky MR. Epidemiology of severe sepsis in the United States: analysis of incidence, outcome, and associated costs of care. Crit Care Med. 2001;29(7):1303-1310.

48. Martin GS, Mannino DM, Eaton S, Moss M. The epidemiology of sepsis in the United States from 1979 through 2000. N Engl J Med. 2003;348(16):1546-1554.

49. Wagenlehner FM, Weidner W, Naber KG. Optimal management

of urosepsis from the urological perspective. Int J Antimicrob Agents. 2007;30(5):390-397.

50. Cek M, Tandoğdu Z, Wagenlehner F, Tenke P, Naber K, Bjerklund-Johansen TE. Healthcare-associated urinary tract infections in hospitalized urological patients-a global perspective: results from the GPIU studies 2003-2010. World J Urol. 2014.

51. Çek M, Tandoğdu Z, Naber K, et al; Global Prevalence Study of Infections in Urology Investigators. Antibiotic prophylaxis in urology departments, 2005-2010. Eur Urol. 2013;63(2):386-394.

52. Bone RC, Balk RA, Cerra FB, et al; The ACCP/SCCM Consensus Conference Committee. American College of Chest Physicians/Society of Critical Care Medicine. Definitions for sepsis and organ failure and guidelines for the use of innovative therapies in sepsis. The ACCP/SCCM Consensus Conference Committee. American College of Chest Physicians/Society of Critical Car e Medicine. Chest. 1992;101(6):164455.

53. Levy MM, Fink MP, Marshall JC, et al; International Sepsis Definitions Conference. 2001 SCCM/ESICM/ACCP/ATS/SIS International Sepsis Definitions Conference. Intensive Care Med. 2003;29(4):530-538.

54. Xu RY, Liu HW, Liu JL, Dong JH. Procalcitonin and C-reactive protein in urinary tract infection diagnosis. BMC Urol. 2014;14(1):45.

55. Sugimoto K, Shimizu N, Matsumura N, et al. Procalcitonin as a useful marker to decide upon intervention for urinary tract infection. Infect Drug Resist. 2013;6:83-86.

56. Kumar A, Roberts D, Wood KE, et al. Duration of hypotension before initiation of effective antimicrobial therapy is the critical determinant of survival in human septic shock. Crit Care Med. 2006;34:1589-96.

57. Anderson GG, Martin SM, Hultgren SJ. Host subversion by formation of intracellular bacterial communities in the urinary tract. Microbes Infect. 2004;6(12):1094-1101.

58. Justice SS, Hung C, Theriot JA, et al. Differentiation and developmental pathways of uropathogenic Escherichia coli in urinary tract pathogenesis. Proc Natl Acad Sci USA. 2004; 101(5):1333-1338.

59. Kumon H. Management of biofilm infections in the urinary tract. World J Surg. 2000;24(10):1193-1196.

60. Kang CI, Kim SH, Park WB, et al. Bloodstream infections caused by antibiotic-resistant gram-negative bacilli: risk factors for mortality and impact of inappropriate initial antimicrobial therapy on outcome. Antimicrob Agents Chemother. 2005; 49(2):760-766.

61. Harbarth S, Garbino J, Pugin J, Romand JA, Lew D, Pittet D. Inappropriate initial antimicrobial therapy and its effect on survival in a clinical trial of immunomodulating therapy for severe sepsis. Am J Med. 2003;115(7):529-535.

62. Bernard GR, Vincent JL, Laterre PF, et al; Recombinant Human Protein C Worldwide Evaluation in Severe Sepsis (PROWESS) study group. Efficacy and safety of recombinant human activated protein C for severe sepsis. N Engl J Med. 2001;344(10): 699-709.

63. Carlet J, Dumay MF, Gottot S, et al. [Guideliness for prevention of nosocomial infections in intensive care unit.] Arnette Ed Paris. 1994;41-53.

64. Tenke P, Kovacs B, Bjerklund Johansen TE, Matsumoto T, Tambyah PA, Naber KG. European and Asian guidelines on management and prevention of catheter-associated urinary tract infections. Int J Antimicrob Agents. 2008;31(Suppl 1): S68-S78.