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LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE FRA CULTURA,STORIA E DIDATTICA DELLA
MATEMATICA
Dario Palladino(Università di Genova)
Prima parteLa geometria di Euclide e la questione delle rette
parallele
PremessaLa scoperta e la diffusione delle geometrie non euclidee
sono senza
dubbio da annoverare fra gli eventi che hanno maggiormente
influenzato losviluppo della matematica nel diciannovesimo secolo.
Entrare nel meritodei loro contenuti appare opportuno non solo dal
punto di vista strettamentematematico, ma anche per le
ripercussioni che hanno avuto sia sullaconcezione delle teorie
fisiche, sia sulla riflessione filosofica e scientificain generale.
Si può tranquillamente affermare che ogni persona coltadovrebbe
sapere, almeno a grandi linee, che cosa sono e quali influenzehanno
avuto nello sviluppo della matematica e del pensiero
scientifico.Tale conoscenza non richiede particolari
approfondimenti matematici e puòessere raggiunta con strumenti
tecnici alla portata degli studenti liceali.
Nostro costante punto di riferimento sarà il volume E. Agazzi,
D.Palladino, Le geometrie non euclidee e i fondamenti della
geometria dalpunto di vista elementare (La Scuola, Brescia, 1998).
In questo primointervento ci occuperemo dell’assiomatica classica,
degli Elementi diEuclide e delle peculiarità del V postulato
euclideo.
L’assiomatica classicaRicordiamo in primo luogo che una teoria
matematica modernamente
intesa è un sistema ipotetico-deduttivo che si basa su un
insieme di concettinon definiti, detti concetti primitivi, e un
insieme di proposizioni primitive,dette assiomi, accettate senza
che ne venga data una dimostrazione. Tuttegli altri concetti della
teoria devono essere introdotti mediante definizioni etutte le
altre proposizioni della teoria, dette teoremi, devono essere
ottenutemediante dimostrazioni nelle quali si assumono come ipotesi
solo assiomi oproposizioni già precedentemente dimostrate.
La necessità di assumere concetti primitivi e assiomi deriva dal
fatto chesia le definizioni sia le dimostrazioni hanno un carattere
“relazionale”: inuna definizione un concetto nuovo viene definito a
partire da altri il cuisignificato è assunto come già noto e una
dimostrazione mostra come unaconclusione deriva logicamente da
altre proposizioni assunte come ipotesi.Se si vogliono evitare
circolarità o regressi all’infinito, occorre stabilire ipunti di
partenza, ossia i concetti primitivi e gli assiomi, da cui iniziare
iprocessi definitorio e dimostrativo.
A proposito degli assiomi, si era soliti suddividere le
proposizioniprimitive in due gruppi: i postulati e le nozioni
comuni (o anchesemplicemente assiomi); i postulati enunciavano le
proprietà evidenti deglioggetti della teoria (e oggi sono detti
assiomi specifici); le nozioni comuni
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stabilivano proprietà di carattere generale, vere per qualsiasi
ambitooggettuale e non solo per quello specifico della teoria (e
corrispondono,almeno approssimativamente, a quelli oggi detti
assiomi logici).
Quanto sinora esposto del metodo assiomatico è comune sia
allaconcezione classica, sia a quella moderna. Ciò che
caratterizzaulteriormente la prima è che in essa il procedimento
dimostrativo è intesocome metodo per mostrare la verità delle
proposizioni. I filosofi greciavevano distinto l’opinione che,
basandosi sull’evidenza dei sensi, puòessere fallace e la verità
basata sul ragionamento intellettuale; avevanocercato quindi i
criteri per stabilire la demarcazione tra l’opinione (dóxa),la cui
verità è contingente e instabile, e l’autentico sapere (epistéme),
la cuiverità, necessaria e indubitabile, è garantita da processi
razionalmentefondati. Questa impostazione ha due importanti
conseguenzenell’organizzazione classica del sapere scientifico: (1)
per essere veritativoil discorso scientifico deve possedere un
preciso contenuto oggettuale (soloa proposito di determinati
oggetti si può dire che una proposizione è vera);(2) gli assiomi,
assunti senza dimostrazione, essendo i “garanti” della veritàdelle
proposizioni dell’intera teoria, devono essere “veri di per sé”: la
loroverità deve essere intellettualmente garantita al di là di ogni
ragionevoledubbio.
Non entriamo in ulteriori dettagli di questa caratterizzazione
dellaconcezione classica dell’assiomatica, alla quale si fa spesso
riferimentocome alla concezione aristotelica, dato che quanto
esposto è sufficiente perintrodurci all’esame della sistemazione
euclidea della geometria.
Gli Elementi di EuclideCome è noto, gli Elementi di Euclide
(scritti probabilmente intorno al
300 a.C.) costituiscono il primo vero proprio trattato di
matematica che cisia pervenuto: esso compendia e organizza
assiomaticamente i risultatimatematici (geometrici, aritmetici e
algebrici) dei tre secoli precedenti. Quisiamo interessati al primo
dei tredici libri in cui l’opera è suddivisa: esso siconclude con
la dimostrazione del teorema di Pitagora (Proposizione 47:«Nei
triangoli rettangoli il quadrato del lato opposto all’angolo retto
èuguale alla somma dei quadrati dei lati che comprendono l’angolo
retto»1)e del suo inverso (Proposizione 48: «Se in un triangolo il
quadrato di unodei lati è uguale alla somma dei quadrati dei
rimanenti due lati deltriangolo, l’angolo che è compreso dai due
rimanenti lati del triangolo èretto»). All’inizio del primo libro
dell’opera sono enunciate le proposizioniprimitive, divise in tre
gruppi: termini, postulati e nozioni comuni.
Il primo gruppo (termini), contiene le definizioni dei concetti
geometrici.Esse possono essere distinte in due tipi. Nelle
definizioni nominali unconcetto nuovo viene definito in funzione di
concetti già definiti; adesempio:
1 Per gli enunciati delle proposizioni euclidee si veda Euclide,
Elementi, trad. ecommento a cura di A. Frajese e L. Maccioni, UTET,
Torino, 1970.
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«X. Quando una retta innalzata su un’altra retta forma gli
angoliadiacenti uguali fra loro, ciascuno dei due angoli uguali è
retto, e la rettainnalzata si chiama perpendicolare a quella su cui
è innalzata.
XI. Angolo ottuso è quello maggiore di un retto.XXIII. Parallele
sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e
venendo prolungate illimitatamente dall’una e dall’altra parte2,
nons’incontrano fra loro da nessuna delle due parti».Altri termini,
detti talvolta definizioni reali, hanno lo scopo dicaratterizzare,
almeno intuitivamente e per quanto possibile, l’universooggettuale
della geometria; ad esempio:
«I. Punto è ciò che non ha parti.IV. Linea retta è quella che
giace ugualmente rispetto ai suoi punti.VIII. Angolo piano è
l’inclinazione reciproca di due linee su un piano, le
quali si incontrino fra loro e non siano in linea retta».I
termini di questo tipo non sono vere e proprie definizioni, in
quanto il
concetto nuovo non viene definito mediante concetti già definiti
(non èstato preliminarmente definito cosa voglia dire “non avere
parti”, “giacereugualmente rispetto ai suoi punti”, “inclinazione
reciproca di due linee”).Come si è detto, non tutto si può
definire, e quindi necessariamente alcuniconcetti vanno assunti
come primitivi. D’altra parte, nella concezioneclassica
dell’assiomatica, i concetti primitivi hanno un
riferimentooggettuale e i termini in questione, come si è detto,
intendono in qualchemodo individuarlo.
Il secondo gruppo contiene i postulati, ossia le proposizioni
primitivespecifiche della geometria:
«I. Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da
un qualsiasipunto ad ogni altro punto.
II. E che una retta terminata (= finita) si possa prolungare
continuamentein linea retta.
III. E che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro
ed ognidistanza (= raggio).
IV. E che tutti gli angoli retti siano uguali fra loro.V. E che
se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli
interni e dalla stessa parte minori di due retti (= tali che la
loro somma siaminore di due retti), le due rette prolungate
illimitatamente verranno adincontrarsi da quella parte in cui sono
gli angoli minori di due retti (= la cuisomma è minore di due
retti)».
Prima di svolgere qualche breve commento elenchiamo per
completezzae per illustrare quanto precedentemente esposto, qualche
proposizione delterzo gruppo, ossia delle nozioni comuni:
2 Si tenga presente anche per il seguito che, nel linguaggio di
Euclide, “retta” equivaleal nostro “segmento”. Per ragioni sulle
quali dobbiamo sorvolare, sostanzialmentelegate al rifiuto
dell’infinito attuale, la geometria greca accettava solo
l’infinitopotenziale: la retta, quindi, non era intesa come una
linea infinita, ma come un segmentoprolungabile a piacere in ambo i
sensi.
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«I. Cose che sono uguali ad una stessa sono uguali anche fra
loro.II. E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le
totalità sono
uguali.VIII. E il tutto è maggiore della parte».Tornando ai
postulati, si può immediatamente rilevare il loro carattere
costruttivo: il primo e il secondo sono relativi al tracciamento
di rette e ilterzo al tracciamento di cerchi; il quinto, sul quale
torneremo ampiamentefra poco, stabilisce una condizione per
costruire il punto d’intersezione didue rette. Il quarto è una
premessa indispensabile del quinto, poichéstabilisce che l’angolo
retto ha ampiezza determinata.
Come si è detto, secondo la concezione classica
dell’assiomaticapostulati e nozioni comuni devono essere
proposizioni evidenti. Di fatto,l’evidenza del V postulato fu messa
in dubbio già dall’antichità. Anzi, unesame accurato del primo
libro degli Elementi corrobora l’ipotesi che lostesso Euclide abbia
esitato prima di annoverarlo fra i postulati. Vedremoinfatti che si
possono evidenziare tre vere e proprie “anomalie”: (1) il
Vpostulato è utilizzato, contrariamente a tutte le altre
proposizioni primitive,molto avanti nel testo; (2) la proposizione
inversa del V postulato è unteorema; (3) una proposizione è molto
più “informativa” di dueproposizioni precedenti. Dato che questa è
l’origine di tutte le vicende chetratteremo nel seguito, appare
utile soffermarsi brevemente su di essa.
In primo luogo va rilevato che, dopo i tre gruppi di
proposizioniprimitive, Euclide inizia la lunga serie dei teoremi,
detti proposizioni (e ilprimo libro termina, come si è detto, con
le Proposizioni 47 e 48, ossia ilteorema di Pitagora e il suo
inverso). Ebbene, il V postulato non intervieneche nella
dimostrazione della Proposizione 29. Ciò significa che le
primeventotto proposizioni sono conseguenza solo delle altre
proposizioniprimitive, ossia appartengono a quella che oggi viene
detta geometriaassoluta (vale a dire la parte della geometria
euclidea che non dipende dalV postulato). Questo fatto costituisce
una prima “anomalia”, nel senso cheEuclide sfrutta fin dall’inizio
tutte le altre proposizioni primitive,indipendentemente dal loro
ordine progressivo.
Per comprendere adeguatamente quanto verremo esponendo è
necessariosapere quali proposizioni possono essere dimostrate senza
impiegare il Vpostulato. Elenchiamo le più importanti (che
rientrano nelle prime ventottoproposizioni euclidee) : triangoli
isosceli hanno gli angoli alla base uguali(e viceversa), i criteri
di uguaglianza dei triangoli, l’esistenza e l’unicitàdella
bisettrice di un angolo, del punto medio di un segmento,
dellaperpendicolare condotta da un punto a una retta, le proprietà
degli angoliadiacenti, consecutivi e opposti al vertice, le
disuguaglianze tra lati e angolidi un triangolo (un lato è minore
della somma degli altri due e maggioredella loro differenza, a lato
maggiore è opposto angolo maggiore, eviceversa).
Per la nostra analisi è particolarmente importante la
Proposizione 16 percui la proponiamo con la relativa
dimostrazione:
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Proposizione 16: In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati,
l’angoloesterno è maggiore di ciascuno dei due angoli interni ed
opposti.Dimostrazione . Sia ABC un triangolo. Prolunghiamo AB in D
edimostriamo che l’angolo esterno δ è maggiore dell’angolo interno
nonadiacente γ (figura 1):
Uniamo A con il punto medio M di BC e prolunghiamo AM in modo
cheME sia uguale ad AM. Dall’uguaglianza dei triangoli AMC e EMB
(primocriterio) segue che γ = MBE. Essendo MBE < δ (il tutto è
maggiore dellaparte), si ricava γ < δ. Con analogo procedimento
(considerando il puntomedio di AB) si dimostra che α < δ.
Dalla Proposizione 16 segue facilmente la:Proposizione 17: In
ogni triangolo la somma di due angoli, comunquepresi, è minore di
due retti.Dimostrazione. Con riferimento al triangolo in figura 1,
da β + δ = 2 retti(essendo β e δ adiacenti) e γ < δ
(Proposizione 16), segue β + γ < 2 retti.
Possiamo leggere la Proposizione 17 nel modo seguente. Se due
rette r e stagliate dalla trasversale t si incontrano (figura 2),
allora la somma degliangoli che formano con t dalla parte del punto
di intersezione, essendo lasomma di due angoli di un triangolo, è
minore di due retti:
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In tal modo emerge chiaramente come la Proposizione 17 sia
l’inversadel V postulato: se r e s tagliate dalla trasversale t
formano con essa da unastessa parte angoli la cui somma è minore di
due retti, allora r e s siincontrano:
Ecco quindi una seconda “anomalia”: senza usare il V postulato
si riescea dimostrare la Proposizione 17; la proposizione inversa
della 17 vieneassunta da Euclide come V postulato. In genere,
quando valgono sia unaproposizione, sia la sua inversa, si riesce a
dimostrare entrambe partendodalle stesse premesse.
Dalle Proposizioni 16 e 17 si ottiene facilmente quanto Euclide
esprimenelle Proposizioni 27 e 28: se due rette r e s formano con
una trasversale tdue angoli coniugati interni la cui somma è due
retti (oppure angoli alterniinterni o angoli corrispondenti
uguali), allora r e s sono parallele.
Nel caso degli angoli coniugati interni supplementari, la
dimostrazione siottiene immediatamente per contrapposizione dalla
Proposizione 17:
se β + γ = 2 retti (e quindi non è minore di 2 retti), allora r
e s non siincontrano, ossia sono parallele.
I casi degli angoli alterni interni o corrispondenti uguali si
riconduconofacilmente a quello degli angoli coniugati interni
supplementari. Indefinitiva (figura 4):
Le inverse delle Proposizioni 27 e 28, compendiate da Euclide
nellaProposizione 29, si dimostrano impiegando il V postulato.
Se r e s sono parallele, allora formano con una trasversale t
angoliconiugati interni supplementari, angoli alterni interni e
angolicorrispondenti uguali (figura 5):
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Esaminiamo il caso degli angoli coniugati interni (gli altri due
siriconducono immediatamente ad esso).Supponiamo, per assurdo, che
non valga β + γ = 2 retti.Se fosse β + γ < 2 retti, r e s si
incontrerebbero, per il V postulato, a destradi t, contro l’ipotesi
che r e s siano parallele.Se fosse β + γ > 2 retti, allora,
essendo α + β + γ + δ = 4 retti, si avrebbeα + δ < 2 retti e,
sempre per il V postulato, r e s si incontrerebbero asinistra di t,
contro l’ipotesi che r e s siano parallele.
Quindi, le Proposizioni 27 e 28 (figura 4) fanno parte della
geometriaassoluta, mentre la dimostrazione della Proposizione 29
(figura 5) richiedel’intervento del V postulato.
Nella Proposizione 31 Euclide fa vedere come si può costruire,
data unaretta r e un punto P fuori di essa, una parallela per P a
r:
Proposizione 31: Condurre per un punto dato una linea retta
parallela aduna retta data.
Basta unire P con un qualsiasi punto Q di r e costruire l’angolo
QPBuguale all’angolo PQA. La retta s del lato PB è parallela a r;
infatti, r e sformano con la trasversale PQ angoli alterni interni
uguali e quindi sonoparallele per la Proposizione 27.
Dato che la dimostrazione della Proposizione 31 si basa solo
sullaProposizione 27 e non richiede l’impiego del V postulato,
l’esistenza dellaparallela per un punto a una retta è un teorema
della geometria assoluta.
Vediamo ora la:
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Proposizione 32: In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati,
l’angoloesterno è uguale alla somma dei due angoli interni ed
opposti, e la sommadei tre angoli interni del triangolo è uguale a
due retti.Dimostrazione. Tracciata per B la parallela BE al lato AC
(Proposizione31), per l’uguaglianza degli angoli alterni interni e
corrispondentievidenziati in figura 7 (Proposizione 29) si ha
immediatamente chel’angolo esterno CBD è uguale alla somma α + γ
degli angoli interni nonadiacenti ad esso e che α + β + γ = 2
retti.
Fig. 7
Pertanto, nella Proposizione 32 Euclide ottiene il ben noto e
importanterisultato sulla somma degli angoli interni dei triangoli,
che nel seguitoindicheremo brevemente con S = 2R. Si noti che nella
dimostrazione èintervenuta la Proposizione 29, e quindi la
Proposizione 32 dipende dal Vpostulato.
Ed ecco la terza ancora più evidente “anomalia”. È evidente che,
unavolta ottenuta la Proposizione 32, le Proposizioni 16 e 17
divengonosuperflue: se l’angolo esterno di un triangolo è la somma
dei due angoliinterni non adiacenti, allora è maggiore di ciascuno
di essi, e se la sommadei tre angoli interni è due retti, la somma
di due angoli interni è minore didue retti. Per quale ragione
Euclide dimostra prima due proposizioni percosì dire meno
informative, e dopo una che le comprende? Si potrebbeessere tentati
di rispondere che ciò sia stato motivato dall’intento diproporre un
percorso dimostrativo più lineare e di più agevolecomprensione,
ossia, in sintesi, per facilitare l’apprendimento da parte
deilettori graduando in qualche misura le difficoltà. Questa
giustificazione,che ai nostri occhi appare del tutto plausibile, è
in realtà inconsistente,perché totalmente estranea allo spirito con
cui è compilata l’intera opera. Sipuò fondatamente sostenere che
nessun espediente di natura “didattica” èpresente negli Elementi
euclidei. Appare più ragionevole ipotizzare cheEuclide abbia
esitato a introdurre il V postulato tra le proposizioniprimitive e
cercato di ottenerlo come teorema, dimostrando il maggiornumero
possibile di proposizioni senza impiegarlo: le Proposizioni 16 e
17,a differenza della 32, si dimostrano senza ricorrere ad esso.
Solo dopo averconstatato il fallimento dei suoi tentativi di
dimostrarlo e ritenendoloessenziale per lo sviluppo della
geometria, ha dovuto inserirlo tra i postulatie ha iniziato a
utilizzarlo solo a partire dalla ventinovesima proposizione.
In sintesi, l’analisi condotta sul primo libro sembra suggerire
che lostesso Euclide abbia avuto dei dubbi sulla legittimità del V
postulato, ossia
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che, essendo tra l’altro la proposizione inversa di una
proposizionedimostrabile, non possedesse il grado di evidenza che,
secondo i canoniaristotelici, ogni principio doveva possedere (per
evitare fraintendimenti,ricordiamo che non era in gioco la semplice
“verità” del V postulato, ma lasua “verità di per sé”). Considerato
inoltre che, secondo i canoni delmetodo assiomatico, i postulati
devono essere il minor numero possibile, sipuò concludere che
Euclide, prima di assumere il V postulato, abbiacercato di
dimostrarlo. In ogni caso, indipendentemente dall’attendibilità
diquesta lettura del primo libro degli Elementi, è un fatto che, da
quelmomento, quasi tutti i matematici si proposero di “emendare”
Euclidecercando di diminuire il numero dei postulati dimostrando il
V postulato.
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LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE FRA CULTURA,STORIA E DIDATTICA DELLA
MATEMATICA
Dario Palladino(Università di Genova)
Seconda parteMomenti della storia dei tentativi di dimostrazione
del
V postulato di Euclide
PremessaNel precedente intervento abbiamo delineato le
caratteristiche della
concezione classica dell’assiomatica ed esaminato alcuni aspetti
dell’operache per più di due millenni è stata considerata il
paradigma dellasistemazione scientifica rigorosa, vale a dire gli
Elementi di Euclide. Si èpoi discussa la peculiare posizione di una
delle proposizioni primitive, valea dire il V postulato, sulla
quale si è accentrata l’attenzione dei matematicisuccessivi, dato
che ai più sembrava che non avesse quel requisito dievidenza
necessario per elevare una proposizione al rango di principio diuna
scienza rigorosamente fondata.
Tanto per fare un esempio, Proclo (410-485 d.C.), l’autore al
qualedobbiamo la maggior parte delle informazioni sulla matematica
greca e cheinfluenzò le ricerche successive sulla teoria delle
rette parallele, nel suoCommento al primo libro degli Elementi di
Euclide, a proposito del Vpostulato scrive: «Anche questo deve
essere assolutamente cancellato daipostulati perché è un
teorema...». Tuttavia, i tentativi di dimostrazione delV postulato
che si sono protratti fino all’Ottocento sono falliti: nessuno
èriuscito a dimostrare che il V postulato è un teorema della
geometriaassoluta. Nella maggior parte dei casi si riusciva a
ottenere il V postulatoassumendo una nuova ipotesi, la quale
risultava poi equivalente al Vpostulato stesso. In questo
intervento vedremo un ampio elenco diproposizioni equivalenti al
postulato euclideo.
Il V postulato e l’unicità della parallela
La prima proposizione che prendiamo in considerazione,
attribuibile aProclo, è l’unicità della parallela:
Unicità della parallela: Dati nel piano un punto e una retta
esterna adesso, per il punto passa al più una retta parallela alla
retta data.
Si ricordi che l’esistenza della parallela è un teorema della
geometriaassoluta (Proposizione 31 del primo libro degli Elementi).
La proposizioneprecedente afferma quindi che la parallela per un
punto a una retta, che giàsappiamo esistere, è unica.
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I) Dal V postulato segue l’unicità della
parallela.Dimostrazione. Siano r una retta e P un punto esterno ad
essa. Sia PQ unatrasversale qualsiasi e α l’angolo che essa forma
con r. Delle rette passantiper P al più una può formare con PQ
(dalla parte di α) un angolo γ tale cheα + γ = 2 retti (figura 1).
Tutte le altre, per il V postulato, incontrano r, percui per P
passa al più una retta parallela a r.
II) Dall’unicità della parallela segue il V
postulato.Dimostrazione. Siano r e s due rette che, tagliate dalla
trasversale t,formino due angoli α e β tali che α + β < 2 retti
(vedi sempre la figura 1).Sia PR la retta per P che forma con PQ un
angolo γ tale che α + γ = 2 retti.PR risulta distinta da r (poiché
γ > β) e risulta parallela a r per laproposizione 28 di Euclide.
Dall’unicità della parallela segue allora che snon può essere
parallela a r e che di conseguenza incontra r come richiestodal V
postulato.
A titolo di esercizio si dimostri l’equivalenza con l’unicità
della parallela (equindi con il V postulato) delle seguenti
proposizioni attribuibili a Proclo:1) Se una retta incontra una di
due rette parallele, allora incontra anche
l’altra.2) Due rette parallele a una terza sono parallele fra
loro.3) Se una retta è parallela a una seconda retta e quest’ultima
è parallela a
una terza retta, allora la prima retta è parallela alla terza
(transitivitàdel parallelismo).
4) Due rette secanti sono divergenti (ossia i segmenti di
perpendicolareabbassati dai punti di una sull’altra ad essa secante
aumentano oltreogni limite) mentre due rette parallele mantengono
distanza finita(ossia superiormente limitata).
Prima di proseguire osserviamo che tra le proposizioni
equivalenti al Vpostulato vi è un suo caso particolare, detto
postulato dell’obliqua:
Una perpendicolare e un’obliqua a una stessa retta si
incontranodalla parte in cui l’obliqua forma con la retta un angolo
acuto.
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È evidente che dal V postulato segue il postulato dell’obliqua
che necostituisce il caso particolare quando uno dei due angoli
formati dalle retter e s con la trasversale t è retto (figura
2).
La dimostrazione che dal postulato dell’obliqua segue il V
postulato èpiù sottile. La proponiamo come esempio dell’attenzione
che occorreprestare quando si deve ragionare nella geometria
assoluta. Per dimostrareil V postulato, consideriamo due rette r e
s che, tagliate dalla trasversale t,formano due angoli α e β la cui
somma è minore di 2 retti (figura 3).Dobbiamo dimostrare che r e s
si incontrano. Almeno uno dei due angoli αe β è acuto; sia esso α .
Se abbassiamo da B la perpendicolare h su r, ilpiede C cade al di
sopra di t. A questo punto, per concludere che r e s siincontrano,
si può osservare che r e s sono rispettivamente perpendicolare
eobliqua alla retta h. Occorre però, senza lasciarsi influenzare
dalla figura,dimostrare che s è effettivamente obliqua rispetto a
h, ossia che l’angolo δè acuto. A tal fine si consideri la retta u
che forma con t l’angolo γ tale cheα + γ = 2 retti. Dato che per
ipotesi α + β < 2 retti, β < γ. Va ora osservatoche u è
parallela a r (per la proposizione 28 di Euclide). Dato che r
èperpendicolare a h e non incontra u, u non può essere obliqua
rispetto a h(altrimenti u e r si incontrerebbero per il postulato
dell’obliqua) e quindi èad essa perpendicolare; ma allora δ,
essendo minore di un angolo retto, èacuto come si voleva
dimostrare.
Il V postulato e la somma degli angoli di un poligonoNel
precedente intervento abbiamo visto (Proposizione 32 degli
Elementi) che dal V postulato segue che la somma degli angoli
interni di untriangolo è due retti (S = 2R).
Si può dimostrare che vale anche il viceversa:(a) Se S = 2R,
allora vale il V postulatoper cui, la proposizione S = 2R è
equivalente al V postulato.
Valgono poi, nella geometria assoluta, i due seguenti
teoremi:(b) Se la somma degli angoli di un triangolo è minore,
uguale, o
maggiore di 2 retti in un solo triangolo, lo stesso avviene in
ognitriangolo.
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Dato un triangolo qualsiasi, la somma dei suoi angoli interni
non può cheessere o minore, o uguale, o maggiore di due retti. Il
teorema afferma checiò che si verifica in un triangolo si verifica
in tutti i triangoli. Quindi, o intutti i triangoli S < 2R, o in
tutti i triangoli S = 2R , o in tutti i triangoliS > 2R.(c) La
somma degli angoli di un triangolo non è maggiore di 2 angoli
retti (S ≤ 2R).Questo teorema afferma che il terzo dei casi
precedenti non si può
realizzare: in geometria assoluta si può escludere che la somma
degli angolidi un triangolo sia maggiore di 2 retti; quindi, o in
tutti i triangoliS < 2R, o in tutti i triangoli S = 2R.
In geometria euclidea la somma degli angoli di tutti i triangoli
è 2 retti,di tutti i quadrilateri è 4 retti, di tutti i pentagoni è
6 retti, di tutti gli esagoniè 8 retti, e così via. Ciascuna di
queste proposizioni è equivalente al Vpostulato. Vediamolo per i
quadrilateri:
Se vi è un quadrilatero con somma degli angoli interni 4 retti,
alloravale il V postulato.
Dimostrazione. Sia ABCD un quadrilatero con S = 4R (figura
4).
Dividiamolo in due triangoli ABC e ADC mediante la diagonale AC.
Lasomma degli angoli dei due triangoli è evidentemente uguale a
quella delquadrilatero ossia a 4R. Ne segue che la somma degli
angoli di ciascuno deidue è 2R. Infatti, se la somma degli angoli
di uno dei due fosse inferiore a2R, nell’altro dovrebbe essere
superiore a 2R, contro quanto stabilito in (c).Dal fatto che in un
triangolo S = 2R, segue, per la (b), che S = 2R in tutti itriangoli
e quindi, per la (a), che vale il V postulato.
Dato che ogni poligono può essere scomposto in triangoli, si
procede inmodo analogo nel caso dei pentagoni, o degli esagoni, e
così via.
Il V postulato e la similitudineIl matematico inglese John
Wallis (1616-1703) dedusse il V postulato
dalla seguente proposizione:Dato un qualsiasi triangolo se ne
può costruire un altro ad esso simile(cioè con gli stessi angoli)
di lato assegnato.
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Siano r e s due rette che formino con la trasversale t due
angoli α e β la cuisomma sia minore di 2R (figura 5). Dobbiamo
dimostrare che r e s siincontrano. Preso su s un punto C
trasportiamo s in modo che formi con tsempre l’angolo β fino a che
B coincida con A: il punto C si troverà nellaposizione D a sinistra
di r. Durante il movimento il punto C dovrà essersitrovato su r
nella posizione E; sia F la posizione corrispondente di B.
Il triangolo AFE ha due angoli uguali a α e β. Costruendo, per
laproposizione di Wallis, su AB il triangolo simile a AFE, il terzo
vertice deltriangolo è il punto cercato d’intersezione di r e
s.
Il risultato di Wallis può essere perfezionato nel modo
seguente:Se esistono due triangoli simili non uguali, allora vale
il V postulato.
Dimostrazione. Se ABC e A ′B′C′ sono i triangoli aventi α = α′ ,
β = β′,γ = γ′, sia, ad esempio, AB > A′B′ (figura 6).
-
6
Si prenda su AB il punto B″, tale che AB″ = A′B′. Sia C″ il
punto di AC taleche AC″ = A′C′. Dall’uguaglianza dei triangoli
B″AC″ e B′A′C′ (I criterio diuguaglianza), segue che AB″C″ = β′ =
β, per cui il punto C″ deve esserenecessariamente interno ad AC,
poiché BC e B″C″ sono parallele per laproposizione 28 di Euclide. A
questo punto basta osservare che nelquadrilatero BCC″B″ la somma
degli angoli interni è 4 retti (poiché dueangoli sono supplementari
degli altri due) per concludere, in base a quantovisto nel
paragrafo precedente, che vale il V postulato.
Il V postulato e le rette equidistantiDa Proclo si apprende che
Posidonio (II secolo a.C.) riuscì a dimostrare
il V postulato assumendo come definizione di rette parallele la
seguente:«Si dicono parallele due rette equidistanti». Questo
risultato appare a primavista risolutivo, in quanto sembra
comportare solo il cambiamento di unadefinizione e nel definire si
può agire con una certa libertà. In realtà le cosenon stanno così:
quando si congiungono due o più proprietà bisognaaccertare che esse
siano compatibili, altrimenti la definizione è priva direferente
(ad esempio non esiste alcun “cerchio con quattro angoli
retti”,dato che “essere cerchio” e “avere quattro angoli retti”
sono proprietàincompatibili). Prima di definire “parallele” due
rette equidistanti occorrestabilire che “essere retta” e “essere il
luogo dei punti equidistanti da unaretta” sono compatibili; in
altre parole bisogna aver dimostrato laproposizione:
Il luogo dei punti equidistanti da una retta è una retta.In
geometria euclidea tale proposizione si dimostra facilmente, ma qui
sista ragionando nell’ambito della geometria assoluta:
Posidonio,proponendo la nuova definizione di parallele per ottenere
come teorema ilV postulato, assumeva implicitamente la proposizione
precedente che,come si può dimostrare, è equivalente al V
postulato. Per vederlopremettiamo una considerazione relativa ad
una figura, detta quadrilaterobirettangolo isoscele, della quale ci
serviremo anche in seguito.
Su una base AB si tracciano due segmenti uguali AD e BC
perpendicolariad AB e si unisce C con D (figura 7):
Si ottiene un rettangolo? Bisogna stare attenti prima di
rispondere. Datoche siamo abituati a ragionare nella geometria
euclidea saremmo tentati a
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7
rispondere affermativamente. Ma qui stiamo ragionando nella
geometriaassoluta e occorre essere cauti vedendo cosa si può
dedurre con le premessea nostra disposizione.I triangoli rettangoli
DAB e CBA sono uguali per il primo criterio diuguaglianza, per cui
DB = AC. Ne segue che sono uguali, per il terzocriterio, i
triangoli ADC e BDC. Sono quindi uguali gli angoli in C e in Ddel
quadrilatero. Non si può però concludere che tali angoli sono
retti.Anzi, come già sappiamo, supporre che C e D siano retti
equivale adaffermare che la somma degli angoli di ABCD è 4 retti, e
quindi che vale ilV postulato. Osserviamo ancora che, se si suppone
che AB = CD, allorasono uguali, per il terzo criterio, i triangoli
DAB e CDA e pertanto l’angoloin D è retto, per cui ABCD è un
rettangolo e vale il V postulato.
Supponiamo ora che esistano tre punti allineati A, B e C
equidistanti dauna retta r (figura 8): i tre segmenti A H, BK e CL
di perpendicolareabbassati da A, B e C su r sono uguali.
I quadrilateri AHKB, BKLC e AHLC sono birettangoli isosceli, per
cui sonouguali i quattro angoli in A, B e C. Dato che per ipotesi i
punti A, B e Csono allineati, l’angolo in B è piatto e i quattro
angoli sono retti. Ne segueche i quadrilateri birettangoli isosceli
sono rettangoli, e dall’esistenza direttangoli, come si è visto,
segue il V postulato.
In definitiva, basta ammettere che esistano tre punti allineati
equidistantida una retta per poter dimostrare il V postulato.
Il V postulato e il teorema di PitagoraConsideriamo un triangolo
ABC e siano M e N i punti medi dei lati AB e
AC (figura 9).
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8
Dai vertici A, B, C abbassiamo le perpendicolari AH, BK e C L
sullacongiungente i punti medi M e N . I triangoli rettangoli AHM e
B K M,avendo uguali l’ipotenusa e un angolo acuto sono uguali, e
analogamentesono uguali i triangoli rettangoli AHN e CLN. Ne segue
che BK = AH = CLe che M N è metà di KL . Si osservi ora che il
quadrilatero KBCL èbirettangolo isoscele sulla base KL e che la
somma dei suoi angoli in B e Cè uguale alla somma degli angoli del
triangolo dato ABC.
Ciò premesso consideriamo la proposizione:La congiungente i
punti medi di due lati di un triangolo è metà del terzolato.
Essa esprime un noto teorema di geometria euclidea, ossia si
dimostrautilizzando il V postulato1. Vale anche il viceversa, ossia
da essa segue il Vpostulato. Infatti, applicandola al triangolo
ABC, si ha BC = 2MN, e quindiBC = KL. Per quanto osservato nel
paragrafo precedente, ne segue cheKBCL è un rettangolo e quindi che
vale il V postulato.
Supponiamo ora che il triangolo ABC sia rettangolo in A e
indichiamocon a, b, c le misure dell’ipotenusa BC e dei cateti AB e
A C (e quindirisultano b/2 e c/2 quelle dei segmenti AM e AN) e con
d la misura di MN.Se si applica il teorema di Pitagora ai triangoli
rettangoli ABC e AMN siottiene:
a2 = b2 + c2
d2 = b2
4 + c2
4
Dalle due formule segue a2 = 4d2 e quindi a = 2d, ossia BC =
2MN. Comesi è appena visto, da questa relazione segue il V
postulato.
1 Una dimostrazione segue facilmente da quanto precede: se vale
il V postulato, S = 2R,per cui gli angoli uguali in B e C di KBCL
sono retti. Ma allora KBCL è un rettangolo,per cui BC = KL; ma KL =
2MN e quindi BC = 2MN.
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9
In definitiva, non solo il teorema di Pitagora segue dal V
postulato, ma èequivalente ad esso, ossia lo si potrebbe assumere
come postulato al suoposto e l’insieme dei teoremi resterebbe
inalterato.
ConclusioneAbbiamo visto varie proposizioni equivalenti al V
postulato, ma ve ne
sono numerose altre, tra cui, ad esempio:Un angolo inscritto in
una semicirconferenza è retto.L’angolo al centro di una
circonferenza è doppio del corrispondenteangolo alla
circonferenza.Per tre punti non allineati passa sempre una
circonferenza.Le tre altezze di un qualsiasi triangolo passano per
uno stesso punto.I tre assi dei lati di un qualsiasi triangolo
passano per uno stesso punto.Abbiamo constatato quanto numerosi
siano i teoremi della geometria
euclidea che sono equivalenti al V postulato. Quest’ultimo
regola ilcomportamento di due rette tagliate da una trasversale e
tuttavia èequivalente a proposizioni relative alla somma degli
angoli dei triangoli edei poligoni, agli angoli inscritti in una
semicirconferenza, al teorema diPitagora (che è relativo
all’equivalenza di quadrati), all’esistenzadell’ortocentro e del
circocentro di un triangolo, è il presupposto dell’interateoria
euclidea della similitudine (senza il V postulato non si
puòdimostrare che esistano poligoni simili che non siano
uguali).
La storia dei tentativi di dimostrazione del V postulato rivela
come ilrisultato sembrasse sempre più vicino; tuttavia, alla fine,
risultava che laconclusione era ottenuta facendo appello a una
nuova proposizione cherisultava equivalente al V postulato stesso.
Una svolta avvenne all’iniziodell’Ottocento, quando in alcuni
studiosi cominciò a maturare laconvinzione che il V postulato fosse
indimostrabile nella geometriaassoluta. Di questi eventi ci
occuperemo nei prossimi interventi.
-
1
LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE FRA CULTURA,STORIA E DIDATTICA DELLA
MATEMATICA
Dario Palladino(Università di Genova)
Terza parteSaccheri e le prime proprietà della geometria
iperbolica
PremessaNei due articoli precedenti, esaminando vari tentativi
di dimostrazione
del V postulato, abbiamo determinato molteplici proposizioni ad
essoequivalenti. Si è poi accennato al fatto che, all’inizio
dell’Ottocento, inalcuni studiosi maturò la convinzione che il V
postulato fosseindimostrabile nell’ambito della geometria assoluta.
In seguito taleconvinzione poté essere provata in modo rigoroso.
Ciò significa che, se siaggiunge agli assiomi della geometria
assoluta la negazione del Vpostulato, si ottiene una teoria
coerente, detta geometria iperbolica, laquale costituisce una delle
due geometrie non euclidee. Prima di esaminarealcune
caratteristiche della geometria iperbolica e come si è pervenuti
allasua accettazione, ci soffermiamo brevemente, per ragioni sia
storiche chedidattiche, su uno dei più approfonditi tentativi di
dimostrazione del Vpostulato, vale a dire quello condotto da
Gerolamo Saccheri (1667-1733).
L’opera di SaccheriL’interesse del tentativo di dimostrazione
del V postulato da parte di
Saccheri (Euclides ab omni naevo vindicatus, 1733) sta nel fatto
che ilgesuita ligure intraprese una strategia argomentativa basata
su una forma direductio ad absurdum riferita ai quadrilateri
birettangoli isosceli, ossia aiquadrilateri già precedentemente
introdotti, detti anche quadrilateri diSaccheri, con due angoli
retti e due lati uguali, disposti come in figura 1:
Si dimostra facilmente (vedi anche il nostro precedente
intervento) cheĈ = D̂ . Inoltre, se si uniscono i punti medi M e N
dei lati CD e AB, MN èperpendicolare ai lati CD e AB (figura
2):
-
2
Infatti, i triangoli rettangoli DAN e CBN sono uguali (per il I
criterio diuguaglianza), e quindi ND = NC, per cui sono uguali (per
il III criterio diuguaglianza) i triangoli NMD e NMC .
Dall’uguaglianza degli angoliadiacenti NM̂D e NM̂C segue che sono
entrambi retti. In modo analogo(unendo M con A e B) si dimostra che
sono retti gli angoli MN̂A e MN̂B.
A questo punto Saccheri enuncia le tre possibili ipotesi
relative allanatura degli angoli in C e D:
Ĉ = D̂ = acuto (ipotesi dell’angolo acuto)Ĉ = D̂ = retto
(ipotesi dell’angolo retto)Ĉ = D̂ = ottuso (ipotesi dell’angolo
ottuso)
e dimostra varie proprietà valide a seconda di quale delle tre
ipotesi sirealizza. Osserviamo subito che, se si ricorda quanto
visto nel precedenteintervento a proposito della figura 9, le tre
ipotesi di Saccheri equivalgonoa supporre che la somma degli angoli
di un triangolo sia, rispettivamente,minore, uguale o maggiore di
due angoli retti. La strategia di Sacchericonsiste nel dimostrare
che assumendo o l’ipotesi dell’angolo acuto oquella dell’angolo
ottuso si perviene ad una contraddizione. Con ciòrimarrebbe
dimostrato che vale l’ipotesi dell’angolo retto, ossia che
iquadrilateri birettangoli isosceli sono rettangoli, e, come si è
visto,dall’esistenza di rettangoli segue il V postulato.
Prima di descrivere la struttura dell’opera di Saccheri, vediamo
la suaterza proposizione, che, probabilmente, è il primo teorema di
geometrianon euclidea apparso nella storia della matematica:
Il lato CD è maggiore, uguale, o minore di AB a seconda che
valgal’ipotesi dell’angolo acuto, retto, ottuso.
Trattiamo il caso dell’ipotesi dell’angolo acuto (figura 3).Si
vuole dimostrare che DC > AB. A tal fine dimostriamo, per
assurdo, chenon può essere né DC = AB, né DC < AB.Se fosse DC =
AB, sarebbe anche DM = A N e quindi, per quanto giàdimostrato, il
quadrilatero ANMD risulterebbe birettangolo isoscele sullabase MN,
per cui gli angoli in A e in D sarebbero uguali. Ma ciò è
assurdoperché A è retto per costruzione e D, per ipotesi, è
acuto.
-
3
Se fosse DC < AB, sarebbe anche MD < AN. Preso su AN il
punto E taleche NE = MD, il quadrilatero DMNE risulterebbe
birettangolo isoscelesulla base MN , per cui MD̂E = DÊN . Ma ciò è
assurdo perché MD̂E ,essendo parte dell’angolo acuto MD̂A , è acuto
e l’angolo DÊN , essendoesterno al triangolo rettangolo DAE, per
la Proposizione 16 di Euclide èmaggiore dell’angolo retto DÂN , e
quindi ottuso.
Il lettore completi la dimostrazione trattando i casi relativi
alle ipotesidell’angolo retto e dell’angolo ottuso.
Indipendentemente dal contenutospecifico di questa proposizione è
interessante osservare che abbiamodovuto ragionare supponendo che
gli angoli in C e D del quadrilateroABCD non fossero retti,
contrariamente a quanto risulta dalla figura. In casicome questo
può rivelarsi utile tracciare delle figure
opportunamente“deformate” nelle quali appaiano più evidenti le
ipotesi che si stannoassumendo. Ad esempio, nel caso del
quadrilatero birettangolo isoscele, sipossono rappresentare le tre
ipotesi dell’angolo acuto, retto, ottuso nelmodo seguente:
nel quale sono “visibili” gli angoli superiori acuti, retti,
ottusi e le relazioniDC > AB, DC = AB, DC < AB ora
dimostrate. Questo espediente si rivelerànecessario quando dovremo
fare le figure delle geometrie non euclidee.All’obiezione che sorge
spontanea: «in queste figure i segmenti non sonopiù rettilinei, ma
curvi!», va risposto nel modo seguente: come già i
-
4
matematici greci sottolineavano con forza, non è tracciando una
figura chesi dimostra un teorema, ma le figure hanno soltanto una
funzione ausiliaria,ossia compendiare e visualizzare le
informazioni rilevanti. In ogni caso, aparte questo aspetto che
potrebbe essere ulteriormente approfondito, inquesta sede è
significativo il fatto che le due figure relative
all’ipotesidell’angolo acuto e dell’angolo ottuso corrispondono
proprio alle situazionidelle geometrie non euclidee, e sono
tracciate così per facilitare non solol’intuizione, ma anche le
dimostrazioni nelle nuove geometrie. La loro“stranezza” fa anche
capire da cosa fossero ispirati i bimillenari tentativi
didimostrazione del V postulato: far vedere che quelle figure non
sono solo“bizzarre”, ma logicamente assurde. Riuscire a dimostrare
il V postulatosignificherebbe al tempo stesso dimostrare che gli
angoli in C e D deiquadrilateri birettangoli isosceli sono retti e
che le altre due ipotesi sonoimpossibili perché in contraddizione
con gli assiomi della geometriaassoluta: di conseguenza l’unica
geometria coerente risulterebbe quellaeuclidea (e non vi sarebbe
spazio per le geometrie non euclidee). Comeabbiamo più volte
anticipato la storia è andata diversamente.
Nell’opera di Saccheri sono presenti altre proposizioni sulle
qualiriflettere come abbiamo fatto a proposito della terza. In
questa sededobbiamo limitarci a una panoramica schematica, che ci
condurràcomunque ai primi elementi della geometria iperbolica.
La confutazione dell’ipotesi dell’angolo ottusoNella prime
proposizioni della sua opera Saccheri dimostra proprietà dei
quadrilateri e dei triangoli nelle tre ipotesi e ottiene alcuni
interessantirisultati: in primo luogo, le sue ipotesi dell’angolo
acuto, retto, ottuso sonomutuamente esclusive, ossia l’ipotesi che
si verifica in un quadrilaterobirettangolo isoscele si verifica in
tutti gli altri quadrilateri birettangoliisosceli. Inoltre,
dimostra quanto già abbiamo anticipato circa i nessi fra lesue tre
ipotesi e la somma S degli angoli di un triangolo: S è
minore,uguale, maggiore di due retti a seconda che valga l’ipotesi
dell’angoloacuto, retto, ottuso (e viceversa). Unendo i due
risultati si ha:1) Se la somma degli angoli di un triangolo è
minore, uguale, o maggiore
di 2 retti in un solo triangolo, lo stesso avviene in ogni
triangolo.Dopo qualche altra proposizione Saccheri perviene a
dimostrare che:Nell’ipotesi dell’angolo retto e nell’ipotesi
dell’angolo ottuso unaperpendicolare e un’obliqua a una stessa
retta si incontrano.
Si ricordi che “una perpendicolare e un’obliqua a una stessa
retta siincontrano” non è altro che il postulato dell’obliqua, che
abbiamo vistoessere una forma equivalente del V postulato. In
sostanza, la proposizioneprecedente può essere spezzata nelle due
seguenti:
Nell’ipotesi dell’angolo retto vale il V postulato.Nell’ipotesi
dell’angolo ottuso vale il V postulato.
Tenuto conto di quanto precede, la prima si può esprimere come
segue:2) Se S = 2R, allora vale il V postulato.
-
5
Con ciò è provato che l’ipotesi dell’angolo retto conduce
all’usualegeometria euclidea. Per quanto riguarda la seconda si
presti attenzione acosa comporta: dall’ipotesi dell’angolo ottuso
segue il V postulato; ma dalV postulato segue che vale l’ipotesi
dell’angolo retto, e quindi che non valequella dell’angolo ottuso.
Nella Proposizione 14 Saccheri può quindiconcludere: «L’ipotesi
dell’angolo ottuso è completamente falsa, perchédistrugge se
stessa». Con ciò il gesuita ligure ha completato la prima
metàdell’impresa che si era prefisso. Si noti, per inciso, che, con
la confutazionedell’ipotesi dell’angolo ottuso, è stabilito che:3)
La somma degli angoli di un triangolo non è maggiore di 2 angoli
retti.1
La presunta confutazione dell’ipotesi dell’angolo acutoGiunto a
questo punto Saccheri tenta di “distruggere” anche l’ipotesi
dell’angolo acuto e dimostra molte proprietà che valgono in tale
ipotesi conl’obiettivo di trovarvi una contraddizione. Egli si
concentraprevalentemente su come si comportano le rette
nell’ipotesi dell’angoloacuto. Dato che quanto ottiene non sono
altro che le proprietà delle rettenella geometria iperbolica, ci
soffermiamo su di esse, illustrandole in modofruibile anche da
studenti liceali.
Nell’ipotesi dell’angolo acuto non vale il V postulato, e quindi
nemmenol’unicità della parallela. Ciò significa che, dati una retta
r e un punto Pesterno ad essa, per il punto passano almeno due
rette che non intersecanor. Ne segue che vi sono infinite rette
passanti per P che non intersecano r(almeno tutte quelle comprese
fra le due che abbiamo supposto esservi). Lerette per P possono
allora essere divise in due classi: le secanti (cheuniscono P con
un punto di r) e le non secanti (parallele a r) (figura 5).
Èopportuno introdurre subito la nomenclatura tipica della
geometriaiperbolica (ovviamente assente in Saccheri): si dicono
rette parallele a rpassanti per P le rette che sono gli elementi di
separazione fra le secanti ele non secanti e che risultano non
secanti (le rette m e n in figura 5).Con questa nomenclatura, vi
sono esattamente due rette passanti per P eparallele a r. Le altre
non secanti vengono dette iperparallele a r per P. Ledue rette m e
n sono le parallele a r nei suoi due versi, ossia il parallelismoè
sempre relativo a uno dei due versi della retta r.
1 Al lettore attento non sarà sfuggito che i tre risultati
finora evidenziati di Sacchericoincidono con le proposizioni che,
nel precedente intervento, avevamo attribuito aLegendre. La realtà
è che Saccheri li ottenne prima, ma la sua opera fu dimenticata e
furiscoperta solo alla fine dell’Ottocento e, per quanto ne
sappiamo, non giocò alcun ruolosignificativo sulle vicende relative
alla scoperta delle geometrie non euclidee. Se oradiamo ad essa
notevole risalto è perché consente di pervenire con gradualità alle
operedei fondatori delle geometrie non euclidee. Legendre ottenne i
tre risultati in mododiretto (senza ricorrere ai quadrilateri
birettangoli isosceli) e senza conoscere Saccheri:il modo
storicamente più corretto è chiamarli teoremi di
Saccheri-Legendre.
-
6
Riassumiamo schematicamente le proprietà principali delle
rette.
a) Rette secantiSi può dimostrare che due rette secanti r e s
divergono indefinitamente a
partire dal loro punto di intersezione. La differenza che si
registra nellageometria iperbolica (ossia nell’ipotesi dell’angolo
acuto) rispetto allageometria euclidea (ossia all’ipotesi
dell’angolo retto) è che la proiezionedi una retta sull’altra non è
l’intera retta, ossia le perpendicolari a r ad unacerta distanza da
P cessano di intersecare s e la prima che non interseca s(la h di
figura 6) è parallela (secondo la definizione precedente) a s:
laproiezione ortogonale di s su r è il segmento (aperto) KH avente
P comepunto medio:
b) Rette parallelePremettiamo alcune considerazioni alle quali
va prestata particolare
attenzione. Consideriamo in figura 7 due rette come m e r della
figura 5 (o
-
7
s e h della figura 6): m è per definizione la parallela a r
passante per Possia la prima delle rette per P che non incontrano r
a destra:
Se da un punto Q di m abbassiamo la perpendicolare QK su r, si
puòdimostrare che m è anche la parallela a r passante per Q (ossia
le rette comela s di figura 7 incontrano r). E lo stesso avviene se
consideriamo il puntoR. In definitiva m è parallela a r rispetto a
tutti i suoi punti. Si noti che ciònon è ovvio come nella geometria
euclidea in quanto le parallele non sonopiù definite solo come
rette che non s’incontrano, ma come elementi diseparazione (anzi,
non si è definito “le rette m e r sono parallele se...”, ma“m è
parallela a r verso destra se...”).
Per questa ragione non è immediato concludere che, se m è
parallela a r,allora anche r è parallela a m , ossia la proprietà
simmetrica delparallelismo. Per poterlo fare bisogna dimostrare
che, preso un punto su r(ad esempio H), tutte le rette per H come
la t incontrano m (ossia che r è laprima fra le rette per H che non
incontrano m ). Ebbene, ciò si puòeffettivamente dimostrare e
quindi il parallelismo è una relazionesimmetrica (e quindi d’ora in
poi si può dire, come in geometria euclidea,“siano m e r due rette
parallele in un verso...”).
Ancora più articolato è dimostrare che due rette parallele a una
terzanello stesso verso sono parallele fra loro in quel verso, e
dedurne laproprietà transitiva del parallelismo.
Nelle precedenti figure 6 e 7 abbiamo tracciato le rette come
avremmofatto in geometria euclidea. D’altra parte, se prolungassimo
m, questafinirebbe per incontrare r, mentre essa è non secante.
Vediamo allora come si possono tracciare due rette parallele r e
s perevidenziare le proprietà che possiedono nel piano iperbolico
(figura 8). Inprimo luogo si può dimostrare che, nel verso di
parallelismo, le retteparallele si avvicinano sempre di più senza
mai incontrarsi, ossia hanno,come si usa dire, un comportamento
asintotico (avviene cioè tra le due rettequello che, in geometria
euclidea, si verifica tra un’iperbole e il suoasintoto). Inoltre,
nel verso opposto a quello di parallelismo, le rette r e sdivergono
indefinitamente, ma in modo analogo a quanto già visto aproposito
delle rette secanti, non tutte le perpendicolari a una qualsiasi
diesse incontrano l’altra, e ve ne è una (la h di figura 8), che è
la prima chenon incontra s, e quindi è parallela a s nell’altro
verso di s.
-
8
Contrariamente a quanto avviene in geometria euclidea, se si
proiettaortogonalmente s su r non si ottiene l’intera r ma una sua
semiretta (infigura 8 quella di origine H e verso destra)
Si noti quindi che, per far risaltare nella figura le proprietà
enunciate,abbiamo dovuto tracciare s “curva”, come un ramo di
iperbole. Nulla vietadi rappresentare “curva” r e “dritta” s (il
parallelismo ha la proprietàsimmetrica), o entrambe “curve”. È
l’esperienza che può aiutare a tracciarele figure in modo che
risalti quanto si desidera, ma il lettore tenga presenteanche nel
seguito che esse possono dare solo una visione parziale(ovviamente
anche in geometria iperbolica “tutte le rette sono uguali” e nonve
sono alcune “più dritte” di altre).
c) Rette iperparalleleLe rette iperparallele sono rette che non
s’incontrano e tuttavia non sono
parallele (in figura 5 tutte le rette comprese fra m e n sono
iperparallele ar). Si può dimostrare che due rette iperparallele r
e s hanno una (e unasola) perpendicolare comune la quale stacca su
di esse il segmento diminima distanza. A partire da tale
perpendicolare comune le distanzeaumentano indefinitamente in
entrambi i versi e, come nei casi precedenti,le perpendicolari
innalzate ad esempio su r, ad un certo punto nonincontrano s. La
situazione è descritta in figura 9 in cui PH è il segmento diminima
distanza (o, se si vuole “democraticamente” non tracciare r
“dritta”e s “curva”, in figura 10): la proiezione ortogonale di s
su r è il segmentoKL avente H come punto medio:
-
9
ConclusioneRiprendiamo ora il discorso su Saccheri, interrotto
nel momento in cui,
confutata l’ipotesi dell’angolo ottuso, il gesuita ligure
iniziava a confutareanche quella dell’angolo acuto. Senza entrare
in troppi dettagli, Saccheridimostrò come si comportano le rette
nell’ipotesi dell’angolo acuto, e, inparticolare, che esistono
rette che hanno un comportamento asintotico(ossia le rette
“parallele” della figura 8). Egli enuncia allora la Proposizione33:
«L’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa, perché ripugna
allanatura della linea retta». Se si confronta con l’enunciato
della Proposizione14, balza evidente che Saccheri non dice
«distrugge se stessa», ossia chenon si trova di fronte a una vera e
propria contraddizione, ma a qualcosa dicontrario all’intuizione, e
ciò non può costituire affatto, dal punto di vistalogico, la
“confutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto”.
In definitiva, nell’opera di Saccheri troviamo i primi teoremi
dellageometria iperbolica, seppur dimostrati al fine di ottenere
una prova dellasua contraddittorietà.
A questo punto si può riprendere il filo storico segnalando le
tappe dellasvolta avvenuta all’inizio dell’Ottocento: alcuni
studiosi maturarono la
-
10
convinzione che la geometria che si ottiene negando il V
postulato, ossia lageometria iperbolica, relativa all’ipotesi
dell’angolo acuto di Saccheri, nonfosse contraddittoria. Si
potrebbero citare le opere dei precursori dellegeometrie non
euclidee (F.K. Schweikart (1780-1857), F.A. Taurinus(1794-1874)),
soffermarsi sulle lettere e sui contributi di K.F. Gauss
(1777-1855) e narrare le vicende dei due veri e propri “fondatori”
della geometriaiperbolica, Nikolaj Ivanovic̆ Lobac̆ evskij
(1792-1856) e János Bolyai(1802-1860). Non riteniamo tuttavia
necessario in questa sede esporrequesti aspetti storici, ampiamente
trattati, oltre che nei volumi già citati, neitesti di storia della
matematica. Può invece essere opportuno far rilevare idue problemi
che rimanevano aperti.
In primo luogo, come emerge anche da quanto esposto in
precedenza, lageometria iperbolica si presenta alquanto “strana” e
complessa, e quindinon appare sufficiente un atto di “fede” nella
sua coerenza. In altri termini,la maggior parte dei matematici
hanno continuato a lungo a ritenere cheprima o poi qualcuno sarebbe
riuscito a pervenire all’obiettivo fallito daSaccheri, vale a dire
a confutare rigorosamente l’ipotesi dell’angolo acuto.
In secondo luogo, anche ammessa la coerenza della geometria
iperbolica,quale può essere il ruolo di una teoria che, come
testimoniano le figuretracciate in precedenza (e quelle che vedremo
nel prossimo intervento),sembrano prive di una qualsiasi
applicazione alla realtà dello spazio? Senell’esperienza è vera la
geometria euclidea, quella iperbolica è falsa equindi che senso ha
accettare una teoria falsa?
Questi problemi saranno ripresi nei prossimi interventi.
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LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE FRA CULTURA,STORIA E DIDATTICA DELLA
MATEMATICA
Dario Palladino(Università di Genova)
Quarta parteLa geometria iperbolica e la sua coerenza
PremessaNel precedente intervento, commentando l’opera di
Saccheri, abbiamo
avuto modo di illustrare il comportamento delle rette nella
geometriaiperbolica. Ci proponiamo ora di esaminare qualche altra
proprietà delpiano iperbolico. Ci serviremo spesso del fatto che in
geometria iperbolicavale non solo la negazione del V postulato, ma
anche la negazione di tuttele proposizioni ad esso equivalenti che
abbiamo incontrato in precedenza.Angolo di parallelismo e triangoli
aperti
Riprendiamo in esame in figura 1 la situazione tipica della
geometriaiperbolica in cui, dati nel piano una retta r e un punto
P, per il puntopassano esattamente due rette m e n parallele a r
nei suoi due versi. Talirette, che separano le secanti dalle
iperparallele, formano con PH dueangoli acuti uguali, detti angoli
di parallelismo di P rispetto a r.
Si può dimostrare che l’ampiezza α dell’angolo di parallelismo è
funzionedella lunghezza p del segmento PH (ossia, se si considera
un’altra retta s eun punto Q tale che il segmento di perpendicolare
QK abbassato da Q su ssia uguale a PH, allora l’angolo di
parallelismo di Q rispetto a s è uguale aquello di P rispetto a r).
Inoltre, si può dimostrare che, al diminuire di p,l’angolo di
parallelismo cresce tendendo all’angolo retto se p tende a
zero,mentre, al crescere di p, l’angolo di parallelismo diminuisce
tendendo azero al tendere di p all’infinito (figura 2). L’angolo α
assume quindi tutti ivalori compresi (strettamente) fra zero e
l’angolo retto. Si può dire che, piùP è vicino a r, più si
assottiglia il fascio delle iperparallele a r per P (cheperò in
ogni caso è sempre infinito) e aumenta quello delle secanti
e,viceversa, più P è lontano da r più aumenta il fascio delle
iperparallele e siassottiglia quello delle secanti.
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È importante rilevare che, se P tende ad H, l’angolo di
parallelismo αtende all’angolo retto R. Ciò significa che la
differenza fra R e α divieneminore di un qualsiasi valore
prefissato, piccolo a piacere. Questa proprietàsi può esprimere
dicendo che “in zone piccole del piano iperbolico vale lageometria
euclidea”. Le figure della geometria iperbolica hanno proprietàche,
diminuendo le distanze, tendono a coincidere con quelle
dellageometria euclidea. Ciò consente di considerare da una diversa
angolazionel’applicabilità della geometria iperbolica allo spazio
fisico. Nelle figuredella nostra esperienza quotidiana sembra
valida la geometria euclidea. Sipuò comunque ipotizzare che nel
nostro spazio valga la geometriaiperbolica, e che le figure con le
quali abbiamo a che fare siano quelle“piccole” in cui non si può
sperimentalmente registrare una differenza frale due
geometrie1.Triangoli aperti
Le dimostrazioni delle proprietà dell’angolo di parallelismo e
di moltealtre si basano sulla considerazione di figure tipiche
della geometriaiperbolica, dette triangoli aperti, costituite da un
segmento AB (lato finito)
1 Chiariamo ulteriormente questo importante aspetto. Quando
tracciamo un quadrilaterobirettangolo isoscele, i due angoli non
retti per ipotesi ci appaiono anch’essi retti. Ma èchiaro che non
possiamo percepire o misurare una differenza di, ad esempio,
unmilionesimo di grado. In altri termini, tali angoli potrebbero
essere acuti, maindistinguibili sperimentalmente da angoli retti.
Il punto è che l’espressione “zonepiccole” non è quantificabile in
base a considerazioni geometriche. Le figure “strane”con segmenti e
rette “curvi” che abbiamo già incontrato e che vedremo più
avantipotrebbero essere realistiche “su vasta scala”. Queste
considerazioni, che non hanno lapretesa di essere esaustive e sulle
quali torneremo nel prossimo intervento, dovrebberocomunque essere
sufficienti per convincere che non si può liquidare la
geometriaiperbolica sulla base della sua “inapplicabilità”: come a
livello atomico valgono leggifisiche diverse da quelle classiche,
così la geometria delle grandi distanze potrebbeessere diversa da
quella che ci appare nelle piccole.
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3
e da due semirette AC e BD di origini rispettivamente A e B e
parallele fraloro che formano con AB gli angoli α e β (figura
3).
I triangoli aperti della geometria iperbolica godono di molte
delleproprietà dei triangoli della geometria euclidea. Ad esempio:
“La sommadei due angoli interni del triangolo aperto è minore di
due retti (α + β < 2R)e un angolo esterno è maggiore dell’angolo
interno non adiacente ad esso(β < γ)”; “Se due triangoli aperti
hanno uguale il lato finito (AB = EF) euno dei due angoli (α = ε),
allora hanno uguale anche l’altro (β = ϕ)”; “Sedue triangoli aperti
hanno uguali i due angoli (α = ε e β = ϕ), allora hannouguale il
lato finito (AB = EF)”.
Ricollegandoci a quest’ultimo teorema, ricordiamo che in
geometriaiperbolica non esistono triangoli simili che non siano
anche uguali. Ciòsignifica che, se due triangoli hanno uguali i tre
angoli, allora hanno ugualianche i tre lati. Pertanto, in geometria
iperbolica sono valide delle relazionitra segmenti e angoli non
presenti in geometria euclidea: dati i tre angoli diun triangolo si
possono determinare i lati, e, dati i due angoli di untriangolo
aperto, si può determinare il lato finito. Queste relazioni (che
sistudiano nella trigonometria iperbolica) sono troppo complesse
per esseretrattate a livello di scuola secondaria. Tuttavia, i
nessi fra i segmenti e gliangoli caratteristici della nuova
geometria possono essere evidenziati,almeno a livello qualitativo,
in riferimento a quanto prima esposto aproposito dell’angolo di
parallelismo. Se si fissa un valore dell’angolo diparallelismo α,
resta determinata la lunghezza p del segmento PH, ossiadella
distanza da una retta alla quale corrisponde un angolo di
parallelismouguale ad α. Anche questa, almeno a prima vista,
rientra fra le “stranezze”della geometria iperbolica: alla nostra
mentalità euclidea segmenti e angoliappaiono grandezze di natura
differente. Gli angoli hanno la caratteristicadi essere tutti
confrontabili con l’angolo giro e, infatti, si può assumerecome
unità di misura il grado (trecentosessantesima parte dell’angolo
giro).Per quanto riguarda i segmenti, invece, non vi è un segmento
diriferimento, tanto è vero che le unità di misura delle lunghezze
sono fissate
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in modo convenzionale2. Questa differenza non esiste più in
geometriaiperbolica dove, ad esempio, si può fissare come unità di
misura deisegmenti il segmento PH cui corrisponde un angolo di
parallelismo di 45°.
Triangoli iperbolici e triangolo limiteDiamo ora qualche cenno
ad alcune proprietà dei triangoli della
geometria iperbolica. Molte di esse possono essere già desunte
da quantoabbiamo esposto finora in questo e nei precedenti
articoli.
In primo luogo la somma degli angoli di un triangolo è minore di
dueretti e varia da triangolo a triangolo. Si può dimostrare che
esistonotriangoli la cui somma degli angoli interni assume un
valore qualsiasicompreso fra zero e due retti. Per illustrare come
ciò possa accadereconsideriamo un triangolo equilatero e vediamo
cosa succede all’aumentaredel lato (figura 4).
Per quanto detto in precedenza, più il triangolo è “piccolo”,
più assomigliaa un triangolo euclideo, per cui i suoi angoli hanno
valore prossimo a 60°(e la somma degli angoli interni tende a
180°). Più il lato aumenta, piùl’angolo diminuisce (e nella figura,
per rendere visibile questa circostanza,abbiamo “incurvato” i
lati). L’angolo diviene sempre più piccolo e tende azero e il
triangolo si approssima sempre di più alla figura formata dalle
trerette r, s e t parallele a due a due in un verso e detta
triangolo limite. Insostanza, anche se i lati aumentano
indefinitamente, l’area del triangolo,pur crescendo, non aumenta
indefinitamente, ma è superiormente limitatada quella del triangolo
limite.
2 Per essere più chiari, a Parigi vi è il “metro campione” di
riferimento, ma non vi èalcuna necessità di predisporre un
“campione” per misurare gli angoli.
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Questa importante circostanza può essere dimostrata con un
sempliceragionamento. In geometria iperbolica, come si è detto, la
somma S degliangoli di un triangolo è minore di 2R. Si definisce
difetto angolare di untriangolo la differenza d = 2R – S. Si
dimostra facilmente che il difettoangolare gode della proprietà
additiva: se un triangolo è diviso in duetriangoli da una
trasversale, il suo difetto angolare è la somma dei difettiangolari
d1 e d2 dei due triangoli componenti. Infatti (figura 5):
essendo:d = 2R – α – β – γ d1 = 2R – α1 – β – δ1 d2 = 2R – α2 –
γ – δ2
e tenendo conto che α = α1 + α2 e δ1 + δ2 = 2R, si ha:d1 + d2 =
2R – α1 – β – δ1 + 2R – α2 – γ – δ2
= 4R – α – β – γ – 2R = 2R – α – β – γ = d.L’additività del
difetto angolare ha come conseguenza che in geometria
iperbolica l’area A di un triangolo è proporzionale al difetto
angolare; dettak2 la costante di proporzionalità, si ha:
A = k2.(2R – α – β – γ).Se ora si osserva che, per definizione,
il difetto angolare è superiormente
limitato (d ≤ 2R), ne segue che lo è anche l’area dei triangoli.
A differenzadi quanto accade in geometria euclidea, in geometria
iperbolica l’area deitriangoli non cresce a piacere, ma è
superiormente limitata (e l’estremosuperiore è k2.2R, pari all’area
dei triangoli limite).
Inoltre, partendo da un triangolo di difetto d e sfruttando
l’additività deldifetto angolare, è facile determinare un triangolo
di difetto angolaremaggiore, e poi uno di difetto ancora maggiore,
fino a che il difetto siapprossima (dal basso) a 2R, e quindi con
la somma degli angoli interni chetende a zero.
Quanto esposto può essere esteso al caso dei poligoni. Vediamo
cosacapita a proposito dei quadrati. In geometria iperbolica un
quadrato èdefinito come un quadrilatero con i quattro lati uguali e
i quattro angoliuguali (e gli angoli evidentemente non sono retti).
Per tracciare dei quadratibasta considerare due rette
perpendicolari e unire quattro punti equidistantidal loro punto di
intersezione (figura 6).
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Più il lato è corto, più il quadrato tende a quello euclideo con
quattro angoliretti. Al crescere del lato l’angolo del quadrato
diminuisce tendendo a zero.Il quadrato limite è costituito dalle
quattro rette parallele alle retteperpendicolari iniziali. Detto α
l’angolo del quadrato, il suo difettoangolare è 4R – 4α e l’area
risulta k2.(4R – 4α ). L’area dei quadrati èsuperiormente limitata
da k2.4R , che è l’area del quadrato limite3.
Osserviamo ancora che, a differenza di quanto avviene in
geometriaeuclidea in cui il rapporto fra la diagonale e il lato di
un quadrato è costantee uguale a 2 , in geometria iperbolica tale
rapporto non è affatto costante,ma variabile. Più precisamente,
tale rapporto tende a 2 quando il lato delquadrato tende a zero (in
zone “piccole” del piano iperbolico vale lageometria euclidea) e
diminuisce al crescere del lato. Quando il lato tendeall’infinito
il rapporto tende a 1 (come emerge dalla figura 6, diagonale elato
tendono a divenire linee rette e quindi il loro rapporto converge a
1).Pertanto, il rapporto fra diagonale e lato di un quadrato assume
tutti i valoricompresi (strettamente) fra 1 e 2 . Dato che fra 1 e
2 vi sono infinitinumeri razionali, vi sono infiniti quadrati in
cui la diagonale ècommensurabile col lato (ad esempio vi sono
quadrati in cui la diagonale è4/3 oppure 5/4 del lato).
Quanto finora esposto dovrebbe essere sufficiente a illustrare
che lageometria iperbolica non è un miscuglio di “stranezze”, ma
una vera epropria teoria geometrica, più complessa della geometria
euclidea dato chein essa le figure usuali hanno un comportamento
più “variabile”. Altri
3 Se si ricorda che il limite superiore dell’area dei triangoli
è k2.2R , si può concludereche, in geometria iperbolica, vi sono
dei quadrati (quelli con area compresa fra k2.2R ek2.4R) che non
sono contenuti in alcun triangolo.
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aspetti potrebbero essere trattati o accennati. Ad esempio: in
geometriaiperbolica il luogo dei punti equidistanti da una retta
non è una retta, ed èuna nuova linea, detta iperciclo, con
interessanti proprietà geometriche.
La coerenza della geometria iperbolica e il metodo dei
modelliBisogna ora dedicare un certo spazio al problema della
coerenza della
geometria iperbolica. Il fatto che alcuni studiosi avessero
maturato nellaprima metà dell’Ottocento la convinzione di tale
coerenza non implica chequesta loro opinione potesse essere
facilmente condivisa. I precursori e ifondatori della geometria
iperbolica, tra l’altro, erano figure di secondopiano nel mondo
matematico.
Una svolta si registrò con la pubblicazione postuma
dell’epistolario diGauss, nel quale emergeva come uno dei massimi
matematici di tutti itempi, pur non avendo pubblicato niente
sull’argomento, avesse sviluppatoin modo notevole la geometria
iperbolica e fosse convinto della suacoerenza. D’altra parte, una
cosa è essere convinti della coerenza di unateoria, ben altra cosa
è ritenerla una teoria matematica legittima, dotata diquei
requisiti di verità assoluta che fino ad allora accompagnavano
lediscipline matematiche rendendole lo strumento principale per
lacomprensione del mondo. L’accettazione delle geometrie non
euclidee4avvenne in modo storicamente complesso ed è opportuno
limitarsi adalcune considerazioni di carattere generale.
Di fatto, nella seconda metà dell’Ottocento alcuni studiosi di
primopiano trovarono delle significative applicazioni matematiche
dellageometrie non euclidee: E. Beltrami (1835-1899) alla
geometriadifferenziale delle superfici, F. Klein (1848-1925) alla
geometria proiettivae H. Poincaré (1854-1912) alla teoria delle
funzioni di variabile complessa.In seguito, con l’affermarsi della
concezione moderna dell’assiomatica,queste applicazioni furono
rielaborate come veri e propri “modelli” dellegeometrie euclidee e
il problema della loro coerenza fu risolto in mododefinitivo.
Tralasciando le considerazioni storiche e ritornando agli
aspetti didatticiè bene sottolineare come il problema della
coerenza fosse un problemanuovo e di natura peculiare. In
precedenza abbiamo rilevato come al suoapparire la geometria
iperbolica non avesse destato particolare interesse.Molti
ritenevano che, prima o poi, qualcuno avrebbe trovato in essa
unacontraddizione. In precedenza abbiamo visto come Saccheri
avesseconfutato “l’ipotesi dell’angolo ottuso”, mancando però
l’obiettivo diconfutare “l’ipotesi dell’angolo acuto” (ossia la
geometria iperbolica).Come si può essere sicuri che qualcuno non
riesca dove Saccheri avevafallito? Si noti la “dissimmetria” delle
due situazioni: per “confutare”un’ipotesi basta esibire la
dimostrazione che da essa segue unacontraddizione; per dimostrare
che un’ipotesi “non è confutabile” bisogna
4 Come vedremo nel prossimo intervento la geometria iperbolica
fu affiancata dall’altrageometria non euclidea, la geometria
ellittica, e per questo si può parlare al plurale digeometrie non
euclidee.
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far vedere che da essa non potrà mai seguire una
contraddizione.Evidentemente il secondo problema è di natura assai
diversa dal primo, inquanto il suo “oggetto” sono tutte le
possibili conseguenze dell’ipotesi(anche quelle non ancora
escogitate). Il problema della coerenza è “nuovo”poiché, secondo la
concezione classica dell’assiomatica, gli assiomidovevano essere
“veri di per sé”: deducendo logicamente da proposizionivere si
ottengono sempre proposizioni vere, e quindi non si può ottenereuna
contraddizione (che è una proposizione falsa). Ma, nel caso
dellageometria iperbolica, chi si sentirebbe di sostenere che è
“vera”? Ebbene, ilmetodo dei modelli consiste proprio in questo:
far vedere che, a propositodi certi enti, gli assiomi di una teoria
sono veri. Per la geometria iperbolicatali enti si possono
rinvenire all’interno della stessa geometria euclidea, eper questo
si parla di “modelli euclidei della geometria iperbolica”.
Il modello di KleinSia Σ una circonferenza euclidea. Chiamiamo
I-punti e I-rette i punti e le
rette della geometria iperbolica. Interpretiamo gli I-punti nei
punti euclideiinterni a Σ e le I-rette nelle corde di Σ (estremi
esclusi). Diciamo che un I-punto P appartiene a una I-retta r se e
solo se il punto euclideo associato aP appartiene alla corda di Σ
associata a r. In questa interpretazione la figura1 assume
l’aspetto di figura 7. Si vede immediatamente che nel “modello”è
vero l’assioma “Per due I-punti passa una ed una sola I-retta” (in
quantovi è una ed una sola corda che unisce due punti interni a una
circonferenza)e che non vale l’unicità della parallela (dati un
punto interno a Σ e unacorda non passante per il punto, vi sono
infinite corde che passano per ilpunto e non incontrano la corda
data). In figura sono tracciate le I-parallelem e n a r passanti
per P le quali risultano gli elementi di separazione fra
leI-secanti (quali a e b) e le I-iperparallele (quali s e t).
Si può provare rigorosamente che, interpretando in modo
opportuno lerelazioni di uguaglianza tra segmenti e angoli, tutti
gli assiomi della
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geometria iperbolica sono veri nel modello. Quindi, se vi fosse
unacontraddizione nella geometria iperbolica, questa stessa
contraddizionerisulterebbe dimostrabile a proposito degli enti del
modello, ossia, indefinitiva, sarebbe una contraddizione nella
stessa geometria euclidea: se lageometria euclidea è coerente,
allora lo è anche la geometria iperbolica.
Il modello di Klein consente di visualizzare facilmente le rette
secanti,parallele e iperparallele. Tuttavia, dal punto di vista
didattico, presenta duedifetti. Il primo è che le I-rette sono
interpretate in segmenti aperti (corde)di lunghezza (euclidea)
finita variabile e minore del diametro di Σ. Datoche le rette della
geometria iperbolica sono tutte “uguali” fra loro e dilunghezza
infinita, bisogna introdurre una “metrica” opportuna checonsenta di
misurare i segmenti in modo che siano rispettate le relazionidella
geometria iperbolica. Il secondo è che un analogo discorso vale
pergli angoli: ad esempio l’I-triangolo PAB di figura 7 coincide
con untriangolo euclideo interno a Σ e quindi, dato che la I-somma
degli angolideve essere minore di due retti, la I-misura degli
angoli deve essere diversada quella euclidea. In sintesi, nel
modello di Klein non si “vedono” isegmenti e gli angoli uguali.
Il modello di PoincaréNel modello di Poincaré si elimina il
secondo dei difetti del modello di
Klein interpretando le I-rette in modo alquanto più complesso,
maconsentendo di realizzare una rappresentazione più simile a
quella dellefigure tracciate in precedenza per illustrare le
proprietà della geometriaiperbolica. Come prima, interpretiamo gli
I-punti nei punti interni a unacirconferenza euclidea Σ.
Interpretiamo poi le I-rette nei diametri di Σ enegli archi di
circonferenza ortogonali a Σ. La figura 8 è la corrispettiva
nelmodello di Poincaré della figura 7 del modello di Klein.
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Nel modello di Poincaré le rette sono rappresentate da linee
curve e gliangoli si misurano come in geometria euclidea (l’angolo
tra due curve in unpunto è per definizione l’angolo fra le tangenti
alle curve nel punto) equindi, ad esempio, è “visibile” come
nell’I-triangolo PAB la somma degliangoli interni sia minore di due
retti. In figura 9 sono rappresentati triangolivia via più “grandi”
e TRS è un I-triangolo limite (tale figura corrispondealla figura 4
precedente). In figura 10 è rappresentato un
quadrilaterobirettangolo isoscele la cui base è sul diametro di
Σ.
Rinviando ai testi già citati per ulteriori dettagli
(soprattutto per quantoriguarda il tracciamento delle figure nel
modello di Poincaré) ribadiamoche, come per il modello di Klein, si
può dimostrare che nel modello diPoincaré valgono tutti gli assiomi
della geometria iperbolica.
In conclusione, la geometria iperbolica, che si fonda sulla
negazione delV postulato, è coerente (se lo è la geometria
euclidea; ma questo non è maistato messo in dubbio). Pertanto: il V
postulato è indimostrabile nellageometria assoluta: se il V
postulato fosse dimostrabile non potrebbeesistere un modello, come
quelli di Klein e Poincaré, in cui sono veri gliassiomi della
geometria assoluta e il V postulato falso.
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LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE FRA CULTURA,STORIA E DIDATTICA DELLA
MATEMATICA
Dario Palladino(Università di Genova)
Quinta parteLa geometria ellittica e considerazioni
conclusive
PremessaRiassumiamo sinteticamente quanto è finora emerso dai
nostri precedenti
interventi sulle geometrie non euclidee. Secondo i canoni della
concezioneclassica (aristotelica) dell’assiomatica, i principi di
una teoria scientificadevono essere “evidenti”. Ebbene, il V
postulato degli Elementi di Euclidenon è stato ritenuto avere tale
requisito necessario per essere assunto tra leproposizioni
primitive (e, come abbiamo documentato, questa sembraessere stata
l’opinione dello stesso Euclide). Per questa ragione,
moltimatematici hanno cercato di dimostrarlo a partire dai restanti
assiomi, ossianell’ambito della geometria assoluta. Nell’Ottocento,
visto il fallimento ditali molteplici tentativi, è lentamente
maturata la convinzione che il Vpostulato fosse indimostrabile. Che
le cose stiano effettivamente così èormai assodato: i “modelli
euclidei” della geometria iperbolica assicuranoal contempo
l’indimostrabilità del V postulato nella geometria assoluta e
lacoerenza (relativa alla geometria euclidea) della geometria
iperbolica. Diquest’ultima abbiamo esaminato alcune
caratteristiche, in sostanza quantoci è parso sufficiente per far
vedere che si tratta di una vera e propria“nuova” teoria
geometrica.
È giunto il momento di rivolgerci all’altra geometria non
euclidea, ossiaalla geometria ellittica. Segnaliamo subito che
questa solleva, per ragioniche emergeranno nel seguito, problemi
ancora più ardui della geometriaiperbolica. Suggeriamo quindi un
percorso che capovolge quello intrapresoper quest’ultima, e in cui
i “modelli” vengono ad avere un ruolo prioritario;per rendere il
discorso didatticamente più semplice, faremo precedere
latrattazione della geometria ellittica da quella di un’altra
geometria ad essastrettamente affine, detta geometria sferica.
La geometria sfericaOsserviamo subito che le geometrie sferica
ed ellittica corrispondono
all’ipotesi dell’angolo ottuso di Saccheri e sono caratterizzate
dall’assioma,detto spesso, per ragioni storiche sulle quali
possiamo sorvolare, assioma diRiemann, in base al quale: «Tutte le
coppie di rette si intersecano», oppure:«Non esistono rette
parallele». In esse valgono teoremi quali “La sommadegli angoli
interni di un triangolo è maggiore di due retti”; “In
unquadrilatero ABCD birettangolo in A e B e isoscele (AD = BC), gli
angoli inC e D sono ottusi e CD < AB”; “L’angolo inscritto in
una semicircon-ferenza è ottuso”.
Come si possono conciliare queste proprietà col fatto che, come
si èvisto, si può confutare l’ipotesi dell’angolo ottuso? Nella
geometriaassoluta si può dimostrare che esistono rette parallele
(Proposizione 31
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degli Elementi di Euclide) e che la somma degli angoli di un
triangolo nonpuò superare due retti (Teorema di Saccheri-Legendre).
Pertanto, se siaggiunge l’assioma di Riemann o l’ipotesi
dell’angolo ottuso agli assiomidella geometria assoluta si ottiene
una teoria contraddittoria. Se si vuolecostruire una geometria
coerente nella quale si assume l’assioma diRiemann occorre
modificare, oltre al V postulato, qualche altro assiomadella
geometria assoluta1. D’altra parte, stabilire a priori quali
modificheoperare, auspicabilmente nel minor numero possibile, è
impresa assaiardua: se la geometria iperbolica si ottiene
semplicemente sostituendo nellageometria euclidea il V postulato
con la sua negazione, le geometrie sfericaed ellittica hanno un
sistema di assiomi più complesso. Tuttavia, se siadopera
opportunamente il metodo dei modelli, si può aggirare l’ostacolo
epresentare le nuove geometrie con molta naturalezza.
Vediamo prima la geometria sferica. Come è noto, noi viviamo su
unasuperficie che possiamo assimilare a una sfera. Supponiamo di
agirerestando sopra la superficie della sfera e, per ora, in una
porzione nontroppo vasta di essa, tale da non contenere due punti
diametralmenteopposti. Siano A e B due punti qualsiasi e supponiamo
di voler andare da Aa B percorrendo il tragitto più breve
possibile. Si può dimostrare che lalinea di minima distanza è
l’arco di circonferenza massima ottenutaintersecando la sfera col
piano passante per A, B e per il centro O dellasfera (figura 1).
Questi archi di circonferenza massima rivestono, per gliabitanti
sulla superficie, il ruolo dei segmenti della geometria euclidea.
Adesempio, ABC e PAB sono “triangoli” i cui lati sono archi di
circonferenzemassime.
In figura 2 è rappresentato un quadrilatero birettangolo
isoscele: gliangoli in A e B sono retti in quanto i meridiani sono
perpendicolariall’equatore e gli archi AD e CB sono uguali. In
figura 1 è evidente come la
1 Non si deve essere più in grado di poter dimostrare la
Proposizione 16 degli Elementidi Euclide dalla quale segue
l’esistenza di rette parallele, ossia la Proposizione 31.
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somma degli angoli interni del “triangolo” PAB sia maggiore di
due retti(in quanto sono già retti i due angoli in A e in B). Si
noti anche che,contrariamente a quanto avviene in geometria
euclidea, le due“perpendicolari” alla “retta” r in A e B si
intersecano in P. Nel quadrilaterobirettangolo isoscele di figura 2
appare chiaramente che gli angoli in C e Dsono ottusi e che il lato
CD è minore del lato AB2.
Sulla sfera, quindi, si “realizza” l’ipotesi dell’angolo ottuso,
la quale nonpuò quindi essere di per sé fonte di contraddizioni.
Pertanto, essa è incontraddizione con uno o più assiomi della
geometria assoluta. Avendopresente il modello della sfera, non è
difficile vedere quali. Se guardiamol’intera sfera balza evidente
che le “rette” circonferenze massime, adifferenza delle rette
euclidee, (a) sono linee chiuse e (b) per due puntiestremi di un
diametro della sfera passano infinite “rette” (per due
puntidiametralmente opposti come i poli passano infiniti
meridiani). Laproprietà (b) va contro uno degli assiomi
fondamentali della geometria diEuclide: «Per due punti distinti
passa una ed una sola retta». Per quantoriguarda la (a), essa viola
l’infinità della retta e il fatto che la retta euclideaè una linea
aperta. A proposito di quest’ultimo punto si può
coglierel’occasione per segnalare che Euclide non ha messo fra i
postulati alcuneproposizioni che di fatto ha impiegato negli
Elementi, tra cui ad esempio:«Dati tre punti di una retta, ve ne è
uno ed uno solo che sta fra gli altridue»3. Come è evidente dalla
figura 3, nessuno dei tre punti A, B e C della“retta” r “sta fra”
gli altri due, nel senso che, partendo da uno qualsiasi diessi, si
può raggiungere uno degli altri due restando sulla “retta” e
senzapassare per il terzo punto:
2 Si noti che l’arco CD non è un arco di parallelo. I paralleli
sono circonferenze dellageometria sferica, in quanto luogo di punti
equidistanti dal polo, e non sono le linee diminima distanza
(geodetiche) che sulla superficie corrispondono alle “rette”.3
Questo e altri “difetti” di Euclide, non collegati con la questione
del V postulato, sonostati riconosciuti solo nell’Ottocento. Non ci
soffermiamo su di essi, limitandoci asegnalare che è per questa
ragione che attualmente come sistema di assiomi per lageometria
euclidea si fa solitamente riferimento a quello dei Fondamenti
dellageometria di David Hilbert (1862-1943).
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In altre parole, sono violati quelli che, nelle trattazioni
assiomatiche piùrecenti, sono detti assiomi di ordinamento.
Lasciando cadere gli assiomi euclidei che non sono soddisfatti
esostituendoli opportunamente, si ottiene la geometria sferica, di
cui, comedice il nome, la superficie della sfera è un “modello”
(interpretando le“rette” con le circonferenze massime). In
particolare, è verificato l’assiomadi Riemann in quanto due “rette”
qualsiasi si intersecano sempre, per cuinon esistono rette
“parallele”. Tra i teoremi della geometria sferica,facilmente
visualizzabili nel modello, vi sono i seguenti: “Tutte le
rettehanno la stessa lunghezza finita”; “Il piano ha area finita”,
“Tutte leperpendicolari a una stessa retta si incontrano in due
punti”; “La sommadegli angoli di un triangolo è maggiore di due
retti”. Si noti anche chevalgono due proprietà che abbiamo già
incontrato a proposito dellageometria iperbolica e che, in questo
contesto, hanno un’interpretazione piùimmediata: “In zone piccole
del piano sferico vale la geometria euclidea”(come dimostrano le
difficoltà incontrate nell’accettazione del fatto che laterra non è
piatta, una “piccola” porzione di sfera non è distinguibile da
unpiano) e, inoltre, “I segmenti hanno, al pari degli angoli,
un’unità di misuranaturale” (l’intera retta è come un angolo
giro)4. Un teorema ben noto digeometria della sfera è che l’area A
di un “triangolo” di angoli α, β e γ èdata dalla formula A = k2 .(α
+ β + γ – 2R) che si può leggere, in analogiacon la corrispettiva
formula della geometria iperbolica: “L’area di untriangolo è
proporzionale al suo eccesso angolare”. Potremmo
facilmentecontinuare questa lista (ad esempio, ai criteri di
uguaglianza dei triedricorrispondono altrettanti criteri di
uguaglianza fra i “triangoli sferici”, tracui, come in geometria
iperbolica, “Se due triangoli hanno uguali gliangoli, allora sono
uguali”), ma non lo riteniamo necessario in quanto, insostanza, la
geometria sferica corrisponde alla geometria euclidea dellasfera.
Lo spazio che le abbiamo dedicato è per pervenire in modo
piùnaturale all’altra vera e propria geometria non euclidea, ossia
allageometria ellittica.
La geometria ellitticaNella geometria ellittica si vuole
conservare l’assioma euclideo secondo
cui: «Per due punti distinti passa una ed una sola retta».
L’idea è laseguente: per due punti di una sfera passa una e un sola
circonferenzamassima a meno che essi non siano diametralmente
opposti. Riduciamoallora la sfera a una semisfera (eliminando cosi
i punti diametralmenteopposti a quelli della semisfera). Rimangono
allora punti diametralmenteopposti solo sulla circonferenza Γ che
delimita la semisfera. Imponiamoallora che i punti diametralmente
opposti di tale circonferenza coincidanoin un unico punto, siano in
sostanza “lo stesso punto” (figura 4).
4 Come emerge dalla figura 1, si può adottare come misura di un
“segmento”, qualel’arco BC, la misura del corrispettivo angolo α al
centro della sfera.
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Ci si convince facilmente che, dati due punti qualsiasi della
semisfera, peressi passa una sola “retta” (ossia una sola
semicirconferenza massima), e lostesso avviene sia se uno dei due
punti è una “coppia” di puntidiametralmente opposti della
circonferenza Γ che delimita la semisfera, siase entrambi sono
“coppie” di tali punti (e in questo caso la “retta” è propriola
circonferenza Γ). Come per la geometria sferica è soddisfatto
l’assiomadi Riemann5 e, inoltre, le “rette” sono linee chiuse: se,
a