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LE FONTI LETTERARIE DEL TANNHÄUSER DI WAGNER Daniel Raffini Introduzione Questo studio si propone di indagare il dramma Tannhäuser di Wagner cercando di individuare quali siano state le fonti leggendarie e letterarie che hanno portato alla grande fortuna del tema in Germania e nell’Europa intera. La leggenda di Tannhäuser si intreccia con leggende italiane e autori non solo tedeschi si sono occupati della storia del poeta e di Venere. Il tema in realtà affonda le sue radici addirittura in epoca antica. Il motivo dello smarrimento amoroso di un giovane di fronte alla statua di Venere risale alla tarda antichità 1 e un antico mito celtico narrava il soggiorno di un mortale nel regno di una dea. La mia analisi tuttavia considererà le fonti a partire dal Medioevo. Quando si parla di miti, leggende e temi è infatti quasi controproducente continuare ad andare a ritroso. La letteratura è fatta di influenze e ispirazioni a modelli e temi comuni. Per questo ritengo più utile che l’indagine delle fonti a un certo punto si fermi. E questo punto, nel nostro caso, sarà la nascita e lo sviluppo nel Medioevo delle leggende che confluiranno nell’opera di Wagner: quella di Tannhäuser e Venere e quella dei cantori sulla Wartburg. Un’analisi più dettagliata sarà riservata alla tradizione romantica tedesca e a quella medievale italiana. La prima è importante perché in essa troviamo le fonti più vicine a Wagner, mentre la seconda si mostra interessante per lo studio della formazione della leggenda e per dimostrare il suo carattere sovranazionale. Lo scopo è quello di fare luce sulla genesi di quello che fu, per ammissione dello stesso autore, il suo dramma più travagliato”, quello che subì più rielaborazioni e ripensamenti. Per questo motivo nella prima parte sarà riservato uno spazio 1 Cfr. Pseudo Luciano, Erotes 15.
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Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

Mar 29, 2023

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Page 1: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

LE FONTI LETTERARIE DEL TANNHÄUSER DI WAGNER

Daniel Raffini

Introduzione

Questo studio si propone di indagare il dramma Tannhäuser di Wagner cercando

di individuare quali siano state le fonti leggendarie e letterarie che hanno portato alla

grande fortuna del tema in Germania e nell’Europa intera. La leggenda di

Tannhäuser si intreccia con leggende italiane e autori non solo tedeschi si sono

occupati della storia del poeta e di Venere. Il tema in realtà affonda le sue radici

addirittura in epoca antica. Il motivo dello smarrimento amoroso di un giovane di

fronte alla statua di Venere risale alla tarda antichità1 e un antico mito celtico narrava

il soggiorno di un mortale nel regno di una dea. La mia analisi tuttavia considererà le

fonti a partire dal Medioevo. Quando si parla di miti, leggende e temi è infatti quasi

controproducente continuare ad andare a ritroso. La letteratura è fatta di influenze e

ispirazioni a modelli e temi comuni. Per questo ritengo più utile che l’indagine delle

fonti a un certo punto si fermi. E questo punto, nel nostro caso, sarà la nascita e lo

sviluppo nel Medioevo delle leggende che confluiranno nell’opera di Wagner: quella

di Tannhäuser e Venere e quella dei cantori sulla Wartburg. Un’analisi più dettagliata

sarà riservata alla tradizione romantica tedesca e a quella medievale italiana. La

prima è importante perché in essa troviamo le fonti più vicine a Wagner, mentre la

seconda si mostra interessante per lo studio della formazione della leggenda e per

dimostrare il suo carattere sovranazionale.

Lo scopo è quello di fare luce sulla genesi di quello che fu, per ammissione dello

stesso autore, il suo dramma più “travagliato”, quello che subì più rielaborazioni e

ripensamenti. Per questo motivo nella prima parte sarà riservato uno spazio

1 Cfr. Pseudo Luciano, Erotes 15.

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2

particolare alle varie versioni dell’opera. Ciò che verrà messo da parte nell’analisi

sarà invece l’aspetto musicale del dramma. In questo lavoro l’opera di Wagner sarà

trattata alla stregua di un poema e come tale possiamo considerarlo per il suo valore

letterario. D’altronde ogni libretto è un poema se viene spogliato della sua musica. E

con Wagner abbiamo il privilegio di avere un libretto scritto dal compositore stesso:

ciò rende questa operazione di spogliamento un po’ meno blasfema.

1. Presentazione dell’opera

1.1 L’importanza di Wagner

Per le innovazioni apportate nell’ambito della cultura tardo ottocentesca l’opera di

Richard Wagner è paragonabile a quella di pochi altri compositori. Le generazioni

successive, in particolare quella delle avanguardie, anche quando videro in lui solo

un compositore tardo-romantico da superare con tutta la tradizione che

rappresentava, non poterono fare a meno di rapportarsi al modello di dramma

musicale da lui ideato. Le innovazioni apportate da Wagner riguardano la musica, lo

spazio scenico e la drammaturgia. È notissima l’importanza che egli attribuiva ai suoi

libretti, tanto da scriverli in prima persona.

La più importante rivoluzione wagneriana è forse quella formale. La tradizione

operistica in lingua tedesca aveva avuto ottimi esponenti – basti pensare a Mozart,

Beethoven e Weber – ma si era inscritta perlopiù nel genere del Singspiel, una

rappresentazione caratterizzata dall’alternarsi di parola e musica. Con Wagner invece

abbiamo per la prima opera una vera opera in lingua tedesca totalmente cantata.

Legata indissolubilmente al nome di questo musicista è la nozione di opera d’arte

totale: un dramma in cui parola, musica e azione scenica si fondono per creare una

sintesi artistica perfetta.

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Wagner è un innovatore anche sotto il profilo musicale. Egli si inserisce in quel

movimento di progressiva saturazione del materiale che porterà all’inizio del XX

secolo all’abbandono del sistema tonale. I primi passi in questa direzione sono

compiuti da Wagner attraverso l’uso del Leitmotiv, un motivo musicale che viene

adattato al singolo personaggio o alla singola situazione emotiva e deve perciò essere

adattabile a qualsiasi contesto armonico. Per questo i Leitmotive sono caratterizzati

dal cromatismo, quel procedimento per la quale vengono usati tutti i gradi della scala

con toni e semitoni e non solo i gradi delle scale diatoniche tonali. L’altra tecnica

musicale per la quale Wagner è spesso ricordato è la melodia infinita: all’interno del

tessuto musicale wagneriano le melodie non si dispongono in successione ma si

sovrappongono aggiungendosi gradualmente l’una sull’altra.

Dal punto di vista contenutistico Wagner si rapporta a una materia fino ad allora

poco esplorata, anche se già riscoperta dalla generazione romantica, ossia la

mitologia germanica. Ma i miti che egli sceglie sono anche legati alla tradizione

cristiana e a quella classica. La scelta di una materia mitologica pone le vicende

raccontate da Wagner fuori dalla storia e il mito annulla lo scorrere del tempo.

All’inizio del Tannhäuser il protagonista dice a Venere: «Il tempo, ch’io ho qui

passato, io non lo so misurare. Giorni, mesi, per me non esistono più». Vedremo più

avanti come il soggiorno presso la dimora di Venere significhi per Wagner proprio

l’immergersi di Tannhäuser nella dimensione del mito.

L’ultima rivoluzione realizzata da Wagner è quella dello spazio scenico. Il nuovo

teatro da lui progettato e realizzato a Bayreuth, che prese il nome di Festsphielhaus,

prevede l’eliminazione delle luci in platea e il posizionamento dell’orchestra nella

buca, al fine di accresce l’immedesimazione del pubblico nello spettacolo. Questo

modello di edificio teatrale prese piede velocemente in Europa ed è lo stesso che

vediamo ancora realizzato nei nostri teatri. In pratica, dobbiamo a Wagner il modo di

fruizione del teatro e del cinema come lo intendiamo oggi. Il teatro smette di essere il

luogo del lusso e dell’incontro sociale – Wagner elimina anche i palchetti laterali – e

diventa solo il luogo della fruizione artistica. Dal punto di vista delle scenografie

Wagner non fu decisivo come in molti altri campi. Le scenografie impiegate per la

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rappresentazione dei suoi drammi restano realistiche, secondo i dettami dell’arte

della sua epoca, anche se le storie narrate suggeriscono ambientazioni fantastiche e

irreali. Le prime scenografie convincenti per i lavori wagneriani si ebbero solo agli

inizi del Novecento a opera dello scenografo Adolphe Appia.

Con questo breve quadro sulle innovazioni apportate da Wagner ci siamo fatti

l’idea di un’artista che si occupò di ogni aspetto della rappresentazione dei suoi

drammi. In questo Wagner è vicino a un altro grande personaggio della musica

ottocentesca, ossia quel Giuseppe Verdi che per molti altri aspetti fu suo rivale e

osteggiatore. Il fatto che persino Verdi alla fine dovette cedere all’arte wagneriana –

mi riferisco alle ultime opere del compositore di Busseto – è la dimostrazione di

come l’influenza di Wagner vada ben oltre la cerchia ristretta dei suoi ammiratori

ufficiali. Quella che Wagner intraprese è una vera rivoluzione estetica, i cui effetti

avranno ripercussioni a lungo termine nell’arte occidentale.

2.1 Argomento del Tannhäuser

Antefatto. Il cantore Tannhäuser, nonostante l’amore nascente per Elisabetta, ha

rotto con la società della Wartburg ed è fuggito sul Venusberg nel regno di Venere.

Atto primo. Presso Venere il cantore rimane prigioniero dei piaceri offerti dalla

dea dell’amore, ma le visioni non riescono a far scomparire del tutto il passato e

Tannhäuser chiede infine a Venere di tornare tra i mortali. La dea gli predice che al

suo ritorno nel mondo gli uomini lo scacceranno. Ma i moniti restano inascoltati

perché Tannhäuser vede la sua salvezza nella Madonna. Venere è costretta a lasciarlo

andare. Nella scena successiva Tannhäuser torna nel mondo dei mortali. Un giovane

pastore suona la cornamusa e intona un canto in onore di Frau Holda, ossia Venere.

Intanto passano di lì i pellegrini in cammino verso Roma. Subito dopo Tannhäuser

incontra la brigata del langravio, i suoi vecchi compagni, tra i quali c’è anche

Wolfram. Essi avevano ormai da tempo dato per disperso il compagno e, ritrovatolo,

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lo invitano a unirsi di nuovo a loro. Tannhäuser inizialmente rifiuta, ma si convince a

tornare sulla Wartburg quando gli viene ricordata Elisabetta, che lì lo aspetta.

Atto secondo. La notizia del ritorno di Tannhäuser spinge Elisabetta, dopo una

lunga assenza, a rientrare nella sala dei cantori sulla Wartburg. Wolfram accompagna

Tannhäuser nella sala e quando vede l’affetto che c’è fra Tannhäuser e Elisabetta

capisce che il suo amore per lei è senza speranza. Il ritorno di Tannhäuser è celebrato

con una grande festa, coronata dalla contesa tra i cantori. Il langravio propone un

argomento: esporre in una canzone l’essenza dell’amore. Il premio verrà scelto dal

vincitore e consegnato da Elisabetta. Wolfram è il primo a cantare ed esalta l’amore

quale vetta irraggiungibile e intangibile. Allora Tannhäuser, forse sotto l’effetto di un

incantesimo di Venere, si sente provocato a sostenere una la tesi opposta: è solo nel

piacere la vera essenza dell’amore. Questa dichiarazione di Tannhäuser provoca lo

scandalo generale. Egli si spinge fino a esaltare Venere e a consigliare ai cavalieri di

entrare nel regno del piacere del quale la dea è regina. I cavalieri, offesi, pretendono

la morte di Tannhäuser per l’oltraggio, ma Elisabetta, benché tradita nel suo amore,

lo difende. Acconsentendo alle suppliche di Elisabetta, il langravio indica a

Tannhäuser l’unica possibilità di espiazione: andare in pellegrinaggio a Roma e

chiedere il perdono al papa in persona. Tannhäuser parte con gli altri pellegrini.

Atto terzo. Elisabetta cerca invano Tannhäuser tra i pellegrini di ritorno da

Roma. Con una fervida preghiera alla Vergine Maria supplica di morire per espiare

le colpe di Tannhäuser e rifiuta l’aiuto di Wolfram. Quest’ultimo, oppresso dai

presagi, intona un malinconico canto alla stella della sera. Dopo il passaggio degli

altri pellegrini, compare Tannhäuser completamente distrutto. Al colmo della

disperazione egli confessa a Wolfram che il papa solo a lui ha negato l’assoluzione

dicendo che come il pastorale nella sua mano non sarebbe mai rinverdito, così

Tannhäuser non avrebbe mai ottenuto il perdono. Per questo Tannhäuser decide di

tornare da Venere e invoca la dea, che appare sulla scena. Il fascino di Venere

sembra avvincerlo, quando Wolfram gli ricorda di Elisabetta e l’incantesimo si

rompe, facendo scomparire Venere. Una musica funebre annuncia la morte di

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Elisabetta e Tannhäuser a sua volta muore. L’opera si chiude con l’entrata in scena

del pastorale rinverdito, segno dell’avvenuta redenzione.

1.3 Genesi e revisioni

Il Tannhäuser è, insieme all’Olandese volante e al Lohengrin, una delle tre opere

romantiche di Wagner. La stesura di queste tre opere si colloca negli anni Quaranta

dell’Ottocento ed è antecedente al grande progetto della tetralogia L’anello del

Nibelungo e alle opere maggiori della maturità: Tristano e Isotta, I maestri cantori di

Norimberga e Parsifal. Già nel 1841 a Parigi Wagner inizia a pensare un’opera dal

titolo Der Venusberg, ossia la montagna di Venere. Il titolo resterà questo quasi fino

alla prima rappresentazione, quando Wagner sarà convinto dall’editore di corte

Meser a cambiarlo a causa di alcuni scherzi e giochi di parole che a suo parere il

pubblico avrebbe potuto costruirvi sopra.2 L’interesse di Wagner per l’argomento si

accese alla lettura di un libro di leggende germaniche capitato per caso nelle sue

mani. L’idea prese la forma definitiva soltanto durante un soggiorno a Teplitz

nell’estate del 1842 e l’abbozzo dell’opera fu scritto interamente durante

un’escursione notturna allo Schreckenstein, la Roccia dell’Orrore, presso Aussig. Il

testo venne ultimato nel 1843 e la partitura nel 1845 e l’esecuzione avvenne il 19

ottobre di quell’anno a Dresda sotto la direzione dello stesso Wagner. La prima

esecuzione al di fuori del Regno di Sassonia ebbe luogo a Weimar, sotto i benevoli

auspici di Listz. Seguirono altre rappresentazioni dall’alterno successo.

Quella di Dresda non è tuttavia l’unica versione dell’opera che ci sia giunta. Fra

tutte le opere di Wagner, Tannhäuser è quella che ha subito il maggior numero di

modifiche e rielaborazioni, tanto che non è stata ancora raggiunta un’unità di pareri

su quale sia da considerare la versione definitiva. Già sotto la direzione di Wagner a

Dresda, il finale ebbe quattro varianti nelle diverse serate. Le perplessità per la

2 Cfr. R Wagner, Autobiografia, Milano 1983, p. 305.

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rappresentazione di Dresda erano destate, come Wagner ammetterà più tardi nella

sua Autobiografia, dall’incapacità dell’attore protagonista di rappresentare tutte le

implicazioni ideologiche presenti nel personaggio di Tannhäuser.

Quella che oggi è maggiormente rappresentata nei teatri è la cosiddetta alte

Fassung, cioè la versione antica. L’Ur-Tannhäuser, il Tannhäuser originario, da

quella versione si discosta nettamente sia dal punto di vista drammatico che

musicale. Esso si distingue per il fatto che nel finale non ricompaiono sulla scena né

Venere né la salma di Elisabetta. Era una conclusione poeticamente più raffinata e

stilizzata, tuttavia Wagner decise di rendere più espliciti i dettagli per accrescere

l’effetto visivo, in favore di un pubblico poco abile nello scorgere le sfumature.

Debussy, colui che della sfumatura fece la propria poetica musicale, dirà di non

tollerare in Wagner proprio questo «timore di non essere capito, che si appesantisce

necessariamente di noiose ripetizioni»3, nel quale il compositore francese vedeva un

tratto esplicitamente germanico. È dunque un’esigenza di chiarezza che spinge

Wagner a render visibile Venere nel finale, assegnandole anche dei versi da cantare,

e a introdurre sulla scena i giovani pellegrini che recano il pastorale rinverdito come

segno tangibile della redenzione. In occasione di una messa in scena del 1847

Wagner pose sulla scena anche la salma di Elisabetta e sostituì il coro dei pellegrini

con un coro di tutti i presenti sulla scena. Il coro dei giovani pellegrini sarà poi

reintrodotto, perché ritenuto drammaticamente necessario per rendere ancora più

chiara la redenzione. Quest’ultima modifica fece approdare il Tannhäuser a una

prima versione definitiva.

Ma le vicissitudini del dramma non finiscono qui. Quattordici anni dopo, l’opera

fu sottoposta a un’ulteriore e importantissima revisione. Nel 1861 Napoleone III

decise infatti di far mettere in scena all’Opéra di Parigi il Tannhäuser. L’opinione

pubblica parigina ritenne sconveniente che l’opera fosse priva di un balletto nel

secondo atto, come voleva la tradizione francese. Così fu chiesto a Wagner di

colmare questa lacuna e inserire un balletto. Questo era ovviamente impossibile, ma

3 Cit. in Guido Salvetti, La nascita del Novecento, Torino 1991.

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Wagner cercò comunque di accontentare il pubblico francese arricchendo la scena

del Venusberg. Su questa decisione influirono, probabilmente in modo decisivo,

anche fattori personali. Da molto tempo Wagner riteneva la scena del Venusberg il

punto debole del suo lavoro, perché non raggiungeva il risultato di mostrare la

contrapposizione tra il mondo di Venere e quello di Elisabetta come l’autore avrebbe

voluto. Già prima nel 1861 Wagner aveva ammesso in una lettera a Mathilde

Wesendonk:

All’epoca in cui scrissi Tannhäuser non ero in grado di realizzare pienamente ciò che in

quest’opera era necessario; mi sarebbe occorsa una ben maggiore maestria, che

conquistai solo dopo aver ideato poeticamente e musicalmente l’estrema trasfigurazione

di Isolde.4

Inoltre nella sua Autobiografia Wagner scriverà più tardi:

Nell’opera quella parte [la scena del Venusberg] era appena abbozzata: me ne resi conto

in seguito, quando mi accinsi a una revisione dell’opera per la rappresentazione che

ebbe luogo a Parigi, tanto che rifeci interamente la parte, riparando coscienziosamente a

ciò che avevo trascurato prima.5

Questi sono i motivi che spinsero Wagner a ridisegnare completamente il

Tannhäuser. L’esito fu quello che noi oggi chiamiamo Pariser Bearbeitung, cioè la

rielaborazione parigina. La scena del Venusberg nell’abbozzo originario della

versione parigina somiglia a una vera e propria pantomima coreografica con un

corteo di menadi, il sacrificio di un capro nero e l’apparizione di spiriti delle acque.

In luogo della corte d’amore della dea, con i suoi lievi piaceri dei sensi, è inserita

un’orgia sfrenata di demoni, piena di torrida sensualità, che raggiunge il culmine

nella tempesta orchestrale costruita sul Lustmotiv, il motivo del piacere sensuale.

Furono aggiunti anche due tableaux vivants raffiguranti il ratto d’Europa e Leda con

4 Lettera del 10 aprile 1860. 5 R. Wagner, Autobiografia, Milano 1983, p 309.

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il cigno, simboleggianti la potenza dell’amore carnale. Nella scena tra Venere e

Tannhäuser la scrittura musicale si fa più complicata e raffinata, l’accompagnamento

orchestrale s’intreccia alle voci dei cantanti e si moltiplicano gli effetti

contrappuntistici. Un altro mutamento sta nella tenzone dei cantori, dalla quale è

eliminato l’intervento di Walter e il dialogo si costituisce solo tra Tannhäuser e

Wolfram. La versione di Parigi mostra in quale stile Wagner avrebbe composto

Tannhäuser se l’avesse ideato nel 1861. I pezzi nuovi si contrappongono tuttavia a

quelli scritti precedentemente e, nonostante il loro valore, minano l’unità dell’opera.

È per questo che la maggior parte dei teatri ha preferito, e preferisce ancora, mettere

in scena la versione di Dresda, nonostante Wagner abbia riconosciuto nella

rielaborazione parigina l’unica versione accettabile di Tannhäuser. La conferma di

questa predilezione è che proprio la versione parigina, però in tedesco, è quella che

Wagner fece rappresentare a Monaco nel 1867 e a Vienna nel 1875.

1.4 Paganesimo, Cristianesimo e questione sociale

Prima di addentrarsi nell’analisi delle fonti, è opportuno definire il tema di fondo

e il filo conduttore dell’opera. Baudelaire ha scritto:

Tannhäuser rappresenta il conflitto tra due principi che hanno prescelto il cuore come

campo di battaglia, e questi principi sono la carne e lo spirito, l’inferno ed il cielo,

Sanata e Dio!6

Adorno, nel suo famoso saggio su Wagner, sostiene che nelle opere giovanili del

compositore è evidente il conflitto tra sessualità e ascesi7. Più tardi il dualismo

giungerà a una sintesi per mezzo della redenzione dei personaggi attraverso la morte.

Il conflitto rimarrà comunque una categoria portante anche nei lavori successivi.

6 Baudelaire, Richard Wagner et Tannhauser à Paris, in Oeuvres Complètes, Paris 1976, II p. 707 7 Cfr. Adorno, Wagner, Torino 2008, p. 8

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Nel Tannhäuser abbiamo un esempio di quella commistione tra mitologia ed

elementi cristiani che caratterizza molti libretti di Wagner. Qui più che di mitologia

germanica si tratta della tradizione pagana. La commistione tra le due tradizioni

appartiene d’altronde alla stessa leggenda di Tannhäuser, l’eroe cristiano che finisce

nelle brame di una delle dee pagane per eccellenza: Venere. Il merito di Wagner sta

nell’aver creato all’interno dell’opera precisi riferimenti per indicare questa

mescolanza. Molto chiaro è il passaggio nelle prime scene del primo atto: la prima

scena si configura – nonostante le diverse varianti – come una graziosa sfilata

pagana, che ci ricorda quasi le descrizioni delle feste e dei banchetti rinascimentali;

nella scena successiva Tannhäuser esordisce dicendo di aver sognato il suono delle

campane: è l’irruzione sulla scena del Cristianesimo. Le campane fungono da

richiamo per il cavaliere e torneranno anche più avanti nel testo. In questo momento

il Cristianesimo si sostituisce al Paganesimo e il protagonista decide di tornare nel

mondo. Il cavaliere resterà all’interno del Cristianesimo fino al momento della gara

dei cantori quando, in uno stato quasi di estasi, canterà la gloria dell’amore carnale,

scandalizzando il suo pubblico. È qui il vero scontro tra le due tradizioni e non a caso

è il momento centrale del dramma. Allo stesso tempo possiamo vedere in questo

punto lo scontro tra la storia e il mito. La storia è rappresentata dai cantori, che

simboleggiano il mondo, quel mondo che non può più accettare Tannhäuser dopo che

egli si è immerso nella dimensione mitica, quella del Venusberg. Scrive Adorno a tal

proposito:

I cavalieri, che han ricondotto il rinnegato Tannhäuser, contro la sua volontà, nel

cerchio dei loro costumi, vogliono ucciderlo, mossi da indignata virtù, per aver egli

dimostrato […] quanto il loro medio mondo superiore gli ha vietato di esperire.8

La contrapposizione tra i due mondi – quello mitico e quello storico, quello

pagano e quello cristiano – s’incarna nelle figure di Venere e di Elisabetta, che a una

8 Ibidem.

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prima analisi rappresentano rispettivamente l’amor sacro e l’amor profano. Lo

scontro non ha risoluzione e Tannhäuser non riesce a ottenere nemmeno il perdono

del papa. La forte carica religiosa dell’opera e la presenza del papa rientrano nel

recupero romantico del cattolicesimo, che possiamo vedere all’opera in un autore

come Novalis. Il Medioevo è rappresentato in tutti i suoi aspetti mistici, cavallereschi

e cortesi. Tuttavia la leggenda di Tannhäuser reca in sé un elemento di critica

antipapista nella contrapposizione tra la condanna papale e la misericordia divina.

Nel contesto dell’antica leggenda italiana da cui derivò quella tedesca, questo

particolare ha tutt’altro significato: la mancata assoluzione da parte del Papa, se non

dopo un miracolo apparentemente impossibile, costituiva un invito a riporre la

propria fede nella volontà divina. L’episodio assunse il suo carattere antipapale solo

nella Germania del Cinque-Seicento, all’epoca delle guerre di religione e della

riforma protestante. Su questa lettura luterana dell’episodio si formò la tradizione

romantica tedesca e dunque anche il dramma wagneriano.

Sappiamo tuttavia dai suoi stessi scritti, che all’autore interessava ben poco il

tema religioso. Scrive Wagner nella Comunicazione agli amici:

Come mi devono sembrare sciocchi ora quei critici […] che vogliono attribuire al mio

Tannhäuser un’inclinazione specificatamente cristiana, tesa con impotenza verso il

cielo! È il poema della loro propria incapacità che riconoscono solo nel poema di colui

che non possono proprio assolutamente capire.9

Il finale dell’opera dimostra come il compositore non si pronunciò mai in modo

definitivo su una questione religiosa molto importante: se Tannhäuser abbia ottenuto

la redenzione grazie alla preghiere e al sacrificio di Elisabetta o se la grazia sia

arrivata per suprema predestinazione. Questo sarebbe stato un nodo fondamentale da

sciogliere qualora l’autore avesse voluto prendere una netta posizione religiosa. Ma

Wagner non si interessò a chiarire la questione e spostò i termini del conflitto sul

piano sociale. Più che una dialettica tra peccato e redenzione, è messa in rilievo

9 R. Wagner, Una comunicazione ai miei amici, Pordenone 1983, p. 60

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l’estraneità dell’artista nei confronti della società. L’idea portata dall’artista,

rappresentata dal Venusberg, è costantemente rifiutata dalla società borghese. Quello

che si legge in filigrana è dunque il conflitto tra l’artista moderno e il mondo. In

questo senso Venere e Elisabetta non sono più due figure contrapposte. Tannhäuser

non vuole rinnegare Venere, ossia la dimensione artistica, ma soffre il fatto che essa

lo escluda dal rapporto con la realtà. Egli vuole essere un artista nella società ed

Elisabetta rappresenta questo tentativo di conciliare l’arte col mondo. Ma tale sintesi

può avvenire solo dopo la morte. Questo ci conduce a un altro punto nodale

dell’opera wagneriana: la redenzione.

Quello della redenzione è uno dei temi fondamentali della drammaturgia

wagneriana. Abbiamo detto che la redenzione di Tannhäuser può essere avvenuta

grazie all’amore di Elisabetta oppure per predestinazione. Rimango un dato di fatto

le morti di Elisabetta e di Tannhäuser: la salvezza viene dal sacrificio estremo, quello

della vita. Sappiamo che questa commistione tra amore, morte e redenzione è un

tema di molti lavori wagneriani. Tuttavia in quest’opera, una delle prime di Wagner,

la redenzione si configura come una semplice rivincita della cultura borghese e

cristiana sull’opera d’arte. La redenzione non arriva tramite un processo di

purificazione, ma appare nell’opera come un deus ex machina, grazie al generoso

sacrificio di Elisabetta verso un Tannhäuser che ormai non pensa più a salvarsi dal

peccato, ma solo a tornarvi per perdersi definitivamente. In seguito la redenzione

attraverso l’arte passerà per le mani dell’eroe, ma qui Tannhäuser non fa nulla di

eroico. Questo dramma è tuttavia utile per indagare il primo affacciarsi e lo sviluppo

del tema che finirà per essere il fine dell’arte di Wagner, la sua ragione e la

giustificazione per una scelta estetica. Il messaggio a cui si giunge è che l’arte porti

alla redenzione. Nella musica questo concetto sarà ripreso nell’interpretazione

adorniana dell’arte di Schönberg, a proposito del quale Adorno, nella Filosofia della

musica moderna, parlerà proprio di redenzione attraverso l’arte. Ma siamo in

tutt’altro contesto, poiché l’arte di Wagner non può certo definirsi moderna in senso

adorniano. Tuttavia la lettura sociale data dallo stesso Wagner lo lega di certo a un

filosofo che farà dell’elemento sociale il centro del proprio sistema. E allora

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possiamo spiegarci anche come mai Adorno dedicò un intero libro alla figura di un

compositore che in fin dei conti fa parte di quella borghesia tardo-ottocentesca che

non ha molto a che fare con una nozione novecentesca di modernità e con una

posizione politica principalmente socialista10. Anche Baudelaire, considerato da

molti l’iniziatore della modernità e il precursore di molta letteratura novecentesca,

non nasconderà il suo interesse per Wagner. Per non parlare poi del notissimo

connubio, finito in dissenso, con Nietzsche, un altro pensatore che possiamo

considerare pienamente novecentesco. Insomma nasce qualche dubbio sullo strano

rapporto tra tradizione e modernità che Wagner esprime nella sua arte. Di questo si

accorse Adorno, quando scrisse che «progresso e reazione nella musica wagneriana

non si lasciano separare come pecore da montoni, ma s’incrociano entrambi in quasi

inestricabile modo»11. Anche con il Tannhäuser Wagner vuole descrivere in fin dei

conti questa polarità. Si potrebbe approfondire questo punto, oppure indagare gli altri

spunti che ci offre un’opera come il Tannhäuser, ma lo scopo di questo lavoro è

quello di studiare le fonti letterarie ed è dunque opportuno ora entrare nel merito di

tale questione.

2. Le fonti

2.1 La leggenda di Tannhäuser

Prima di diventare il protagonista della famosa leggenda, Tannhäuser è stato un

personaggio storico e nella fattispecie un poeta. Non abbiamo molte notizie su di lui,

ma proviamo comunque a ricostruire la sua vita. Egli nacque intorno al 1205 da

nobile famiglia residente tra il salisburghese e la Baviera e morì probabilmente

intorno al 1268. La sua ultima poesia databile con certezza risale al 1266. Alcune

10 La posizione politica di Adorno non è in realtà così semplice da definire; si usa qui la categoria di socialismo in modo arbitrario al solo scopo di far comprendere in quale ambito si mosse il filosofo. 11 Adorno, Wagner, Milano 2008, p. 44.

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notizie, ritenute dai critici abbastanza attendibili, ci vengono dalle sue poesie. Il fatto

che nei suoi testi egli elenchi un gran numero di luoghi e città ci induce a pensare che

egli fosse un viaggiatore. Sembra che abbia partecipato alla crociata del 1228, anche

se quello che il poeta descrive è solo il suo soggiorno in Puglia in attesa di essere

imbarcato. Nel Codice Manessiano12, che riporta molte delle sue poesie, è ritratto

con l’abito dell’ordine teutonico. Egli fu anche cortigiano alla corte di Federico II

detto il bellicoso, l’ultimo dei Babenberg a regnare sull’Austria, dal quale ricevette

una casa a Vienna e alcuni feudi nella Bassa Austria. Nel suo consueto tono

scherzoso Tannhäuser descrive se stesso che, fino ad allora povero, entra nei suoi

nuovi feudi con un sacco vuoto e un servo che lo segue a piedi. Dopo aver perduto i

suoi beni, condusse vita d'avventure, vagando di corte in corte nella Germania e

probabilmente anche in Francia e in Italia. Infine sparì, senza lasciare tracce di sé.

Tannhäuser fu l’ultimo erede del Minnesang13, dal quale riprese gli elementi

dell’amor cortese e dell’elogio verso il proprio signore, temi ormai abbastanza

convenzionali. Nelle sue poesie troviamo però anche elementi nuovi, come l’amore

per l’enciclopedismo e una vena scherzosa e ironica che lo avvicina a una poesia più

realistica e aderente alla vita quotidiana.

Ma dov’è il collegamento tra questo poeta medievale e il personaggio

leggendario? C’è principalmente un aspetto che il Tannhäuser reale lasciò di sé

stesso all’interno della leggenda. Egli infatti in gioventù sperimentò i piaceri della

vita e anche le sue poesie sono spensierate e gioiose, ma andando avanti con gli anni

sentì sulla propria anima il peso del peccato. Ecco allora che nei suoi testi iniziarono

ad apparire preghiere e implorazioni di penitenza. Da questo tratto del personaggio

storico possiamo dedurre il carattere del protagonista della leggenda, che dopo

essersi immerso nel peccato ricerca il perdono. Se anche si voglia ammettere che il

Busslied, canto di penitenza, a lui attribuito non sia suo, questo dimostra come già

12 Questo importante manoscritto miniato, detto anche Codex Manesse, prende il nome dalla famiglia

che lo commissionò, i Manesse. Esso conserva la gran parte della poesia dei Minnesänger, fu scritto tra il 1304 e il 1340 ed è attualmente conservato nella Biblioteca dell’università di Heidelberg. 13 Genere di poesia amorosa sviluppatosi in Germania tra il XII e il XIV secolo.

Page 15: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

15

nel XIV secolo egli avesse assunto nella memoria dei suoi contemporanei il carattere

di peccatore penitente. Tannhäuser inoltre si lega alla tradizione del Minnesang, la

versione tedesca della lirica dei trovatori provenzali. Questo ci rimanda ai cantori

sulla Wartburg, la cui storia confluirà nel dramma di Wagner proprio insieme a

quella di Tannhäuser. Ma c’è dell’altro e ci viene dai testi del poeta: Il mito di Paride

e Venere ricorre ben quattro volte nelle poesie di Tannhäuser. Inoltre egli fu alla

corte di Federico II, che da molti osteggiatori era considerato alla stregua di un

Anticristo. Fu forse per questo che egli venne accostato all’elemento diabolico. In

alcune poesie attribuite più tardi allo stesso Tannhäuser, il poeta è prigioniero della

diavolessa Venere. Ma quando tali poesie furono scritte e attribuitegli è intuibile che

la leggenda fosse ormai formata.

Se dunque è certo che il personaggio storico abbia alcuni tratti in comune con

quello leggendario, non è stato tuttavia finora possibile individuare un momento

preciso nel quale si sia formata intorno a lui la leggenda del soggiorno nel Monte di

Venere. Probabilmente non c’è stato un momento preciso, ma è stato un processo

continuo messo in atto dalla fantasia popolare nel lasso di tempo che va dalla morte

del poeta alle prime attestazioni scritte che lo collocano sul Venusberg. La leggenda

narra che egli soggiornò per molti anni – il numero cambia nelle varie versioni –

sulla montagna di Venere e che successivamente, pentito, avesse compiuto un

pellegrinaggio a Roma, dove papa Urbano IV gli avrebbe rifiutato l'assoluzione fino

a che non sarebbe fiorito il pastorale che teneva in mano. Dopo tre giorni il pastorale

fiorisce, ma Tannhäuser, che si era sentito ormai condannato all’Inferno, aveva già

optato per un disperato ritorno fra le braccia della dea pagana.

Come per ogni storia tramandata oralmente le versioni sono molte e nessuna di

queste è quella definitiva. Probabilmente la nascita della leggenda è da collocare

intorno al XIV secolo. Essa presenta molti punti di contatto con le storie dei Monti

Sibillini presso Norcia, che nel 1420 Antoine de la Sale raccolse dalla viva voce del

popolo, ma che erano già affiorate nel romanzo Il Guerrin meschino di Andrea da

Barberino e saranno largamente diffuse durante il Rinascimento. Questo aspetto

verrà approfondito più avanti, per ora basti dire che è possibile che il soggiorno di

Page 16: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

16

Tannhäuser sul Monte di Venere derivi dal soggiorno di Guerrino, o di altri

personaggi, presso il Monte Sibilla. Non è tuttavia possibile desumere con certezza

da nessun testo come precisamente il personaggio di Tannhäuser abbia potuto

inserirsi nella leggenda, diventandone l'eroe. Possiamo formulare l’ipotesi che

qualche tedesco sceso in Italia sia stato talmente colpito dalla storia sentita sui Monti

Sibillini da trapiantarvi il proprio poeta. Abbiamo notizia durante il XIV secolo di

molti cavalieri tedeschi arrivati al seguito di Albornoz, di Luigi il Bavaro e di Enrico

VIII. Abbiamo poi una testimonianza di Papa Pio II, che in una lettera inviata nel

1441 dall’Austria al fratello Giorgio, evidenzia l’interesse germanico per una località

della penisola, in cui venivano praticate arti magiche per la presenza di divinità

ultraterrene: questa località era chiamata proprio Monte di Venere. Possiamo dunque

dare per certo che nel periodo di formazione della leggenda di Tannhäuser in area

tedesca fosse diffusa la leggenda italiana. Ma è anche possibile, come affermano

molti studiosi tedeschi, che la leggenda di Tannhäuser e Venere sia autoctona.

Sono queste le due ipotesi sull’origine della leggenda: alcuni ritengono che sia di

origine germanica, altri propendono per l’influenza e la contaminazione con la

leggenda italiana. Il problema non è probabilmente da porsi in questi termini, che

risultano un po’ riduttivi se consideriamo che la cultura medievale era molto più

cosmopolita di quanto ci si aspetterebbe. La questione meriterebbe una trattazione

più ampia, che tuttavia esula dal fine che ci siamo prefissi per questo lavoro. Si può

però pensare di rivedere le ipotesi sull’origine della leggenda da una prospettiva

diversa. Pensare che in fondo la tradizione italiana e quella tedesca possono essere

inserite in una unica grande tradizione europea. Forse si potrebbe così trovare un

modello originario, un archetipo – potremmo dire antropologico – sul quale poggiano

entrambe le tradizioni e dal quale esse hanno preso vita in ambiti geografici diversi,

per poi ritrovarsi nel corso della storia.

Gli studiosi che supportano l’origine germanica della leggenda trovano un loro

punto di forza nel fatto che la tradizione tedesca conosceva già da molto tempo la

leggenda del Venusberg, la mitica residenza della dea Venere. In questo luogo si

narrava che gli uomini potessero godere di tutti i piaceri mondani, quei piacere che il

Page 17: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

17

Cristianesimo aveva demonizzato. Si può facilmente immaginare quale miscela di

fascinazione e orrore potesse rappresentare un siffatto luogo nella cultura popolare.

Molti studiosi antichi e moderni si sono adoperati per dare una collocazione al

paradiso di Venere e molte regioni della Germania – e non solo – rivendicano l’onore

di ospitarlo. Anche escludendo i testi riguardanti Tannhäuser, nella letteratura dei

secoli XV e XVI troviamo infatti moltissime allusioni al Monte di Venere. Possiamo

dunque affermare che l’esistenza di questo luogo leggendario non si collega solo al

personaggio di Tannhäuser, ma vive nella cultura tedesca medievale e rinascimentale

di una propria autonomia. Il nome Venusberg non risale tuttavia al Medioevo, ma fa

la sua apparizione nel XV secolo. Viene menzionato per la prima volta da Johannes

Nider, frate domenicano autore di numerosi trattati religiosi, che si chiede se sia

possibile l’esistenza di un tale luogo. Nello stesso periodo però con la parola

Venusberg viene indicata in alcuni testi tedeschi anche la montagna dei Sibillini in

Italia e abbiamo già visto a tal riguardo la lettera di Papa Pio II al fratello. Anche

Felix Hammerlin nelle sue cronache parla della montagna italiana chiamandola

Venusberg. In uno dei manoscritti che riportano i cosiddetti Heldenhbücher, libri

degli eroi, appare per la prima volta la figura del cavaliere Eckart che davanti al

Venusberg ammonisce i cavalieri a non entrarvi. La montagna di Venere torna poi

nel poema Die Möhrin di Hermann von Sachsenheim, che per primo ci offre una

lunga descrizione del paradiso della dea. In questo periodo la leggenda ha grande

diffusione e molti si adoperano per trovare il Venusberg. Alcuni ritengono che si

trovi in Toscana. Il domenicano Felix Faber, autore di un resoconto di viaggio in

Terrasanta14, ipotizzò addirittura che il Venusberg si trovasse sull’isola di Cipro. Per

Sebastian Brant il Venusberg è uno dei tanti modi in cui si manifesta la follia umana

e rappresenta la seduzione della lussuria e l’inganno del diavolo15. È impossibile

citare tutti i luoghi in cui compare la mitica montagna di Venere. Possiamo però

14 F. Faber, Evagatorium in Terrae Sanctae, Arabiae et Egypt, 1483. 15 Cfr. S. Brant, Das Narrenschiff, 1494, cap. 13.

Page 18: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

18

affermare che da un certo momento in poi la leggenda del Venusberg risulta

indissolubilmente intrecciata a quella di Tannhäuser.

Alla figura della dea dell’amore è legata anche un’altra leggenda che ebbe vasta

diffusione nel Medioevo, anche prima di quella di Tannhäuser e del Venusberg: è la

storia dell’anello e della statua di Venere. La leggenda dell’anello di Venere

comparve in una cronaca in versi di William von Malmesbury del 1124: durante la

cerimonia nuziale lo sposo infila l’anello al dito di una statua di Venere e la dea va a

trovarlo nel suo letto nuziale strozzandolo con i propri abbracci. Della malia

esercitata da un’immagine marmorea di Venere su un giovane poeta tratta anche la

novella Das Marmorbild, ossia la statua di marmo, del 1819 di Joseph von

Eichendorff, che riprende anche elementi della tematica di Tannhäuser. Vedremo più

avanti che anche Heine mostrò interesse per questa storia nel saggio Gli spiriti

elementari. All’anello di Venere e alla visita mortale della statua rimanda anche la

Venus d’Ille del 1837 di Prosper Mérimée. Questa volta a interessarsi dell’argomento

è un autore francese. In questo racconto una statua di rame della dea, recante sul

piedistallo la scritta “Cave Amantem”, si innamora di un giovane che si sta per

sposare e tenta in tutti i modi di ostacolarne le nozze. Prima spezza la gamba di un

amico di lui, dopo ruba l’anello che il giovane aveva incautamente infilato al dito

della statua e alla fine lo uccide proprio la notte delle nozze, schiacciandolo con il

proprio peso. Il tema è ripreso anche nella letteratura inglese: è presente infatti in

alcune poesie di William Morris16 e nel poemetto Charmides (1881) di Oscar Wilde.

Con questi ultimi due autori siamo però già oltre l’opera di Wagner.

Compiamo ora un breve excursus sulla fortuna della leggenda di Tannhäuser dal

Rinascimento all’Ottocento, per capire a grandi linee quali siano state le tappe

percorse dalla storia prima di arrivare a Wagner. La prima fonte scritta tedesca, in cui

la leggenda di Tannhäuser appare ormai formata, risale al 1453 ed è il già citato

poema Die Möhrin di Hermann von Sachsenheim. In esso l’autore narra di avere

incontrato Tannhäuser a fianco di Venere nel cuore della montagna incantata. Hans

16 Scrittore inglese attivo negli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento.

Page 19: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

19

Sachs è autore di un Fastnachtspiel17 dal titolo Das hoffgesindt Veneris, i servi della

corte di Venere, del 1517, in cui varie figure sfilano davanti a Venere e ne restano

vittime; tra esse c’è anche Tannhäuser. Ma in queste opere la figura di Tannhäuser

appare solo di sfuggita. Dobbiamo attendere ancora per trovare la storia esposta in

modo completo, ossia con la fuga di Tannhäuser, il mancato perdono del papa e il

ritorno da Venere. La leggenda di Tannhäuser giunse alla sua piena vitalità nel

Volkslied. Le prime stampe sono del 1515 e avvengono prima su fogli singoli e solo

in seguito in volumi. La diffusione della leggenda fu rapida e vastissima e nel XVII

secolo è riportata da molti autori. Tra essi vanno ricordati almeno Kornmann18 e

Praetorius19, che offriranno materiale agli scrittori romantici. Durante il

Romanticismo la leggenda di Tannhäuser conobbe infatti una fortuna ancora più

vasta. Prima Arnim e Brentano e poi i fratelli Grimm ripresero la leggenda per

includerla nelle loro raccolte di canti popolari. Anche Ludwig Bechstein inserì la

leggenda nella sua raccolta di saghe germaniche. Già Tieck nel 1799 aveva

intrecciato, in uno dei racconti riuniti più tardi nel Phantasus, la leggenda di

Tannhäuser con quella del fido Eckart. Goethe, che fu grande estimatore dell’opera

di Arnim e Brentano, riconobbe nella vicenda di Tannhäuser “un grande motivo

cristiano-cattolico”. Emanuel Geibel e Friedrich von Sallet narrarono la leggenda in

alcune loro poesie, mentre Clemens Brentano meditò di trarne un libretto per la

musica di Weber. Heine trattò la materia nel saggio Gli spiriti elementari e scrisse

anche una propria versione della ballata medievale. Molti di questi autori saranno

approfonditi nel corso della trattazione, perché costituiscono le fonti dirette del

Tannhäuser wagneriano. Il dramma di Wagner si pone infatti alla fine di questa

lunga tradizione, che aveva visto la leggenda fiorire nella letteratura tedesca ed

europea.

17 Rappresentazione teatrale carnevalesca, in cui una serie di figure sfilano in corteo. 18 Kornmann, Mons Veneris, Frau Venus Berg, 1614. 19 Johannes Schulze (Pratetorius), Blocksberg Verrichtung, 1668.

Page 20: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

20

2.2. La leggenda dei cantori sulla Wartburg

L’altra leggenda che compare nel dramma di Wagner è quella della gara dei

cantori sulla Wartburg. Come nel caso di Tannhäuser, anche qui c’è un fondamento

storico, anche se abbastanza vago. La gara tra i cantori dovrebbe essere avvenuta tra

il 1205 e il 1208 nel castello della Wartburg, in Turingia, ma non abbiamo documenti

storici affidabili che confermino che l’episodio si avvenuto davvero. L’autore del

poema originario che tramanda la storia è ignoto. Probabilmente era un giullare di

Turingia, forse lo stesso cui dobbiamo il poema che narra la storia di Lohengrin.

Anche questa leggenda prese corpo nei Volksbücher, che l’hanno traghettata fino alle

soglie dell’età moderna. I poemi intorno alla gara dei cantori sono in realtà molti e

riflettono il grande fervore letterario che regnava alla corte del Langravio Hermann I

agli inizi del XIII secolo. Questi poemi ci sono pervenuti tramite i manoscritti nei

quali sono riportate la maggior parte delle canzoni del Medioevo tedesco. Una

raccolta di poemi lirici intitolati Der Sängerkrieg auf der Wartburg, scritta tra il 1240

e il 1260, fu tradotta in tedesco moderno e pubblicata da Karl Simrock nel 1858.

Questa pubblicazione nasce dopo il dramma di Wagner ma dimostra che il tema

godeva all’epoca di una nuova fortuna.

I cantori che sono citati nei testi sono personaggi sia storici, come Wolfram von

Eschenbach e Walther von der Vogelweide, che di fantasia, come Klingsor

d’Ungheria e Heinrich von Ofterdingen. Le versioni antiche, quelle del XIII secolo,

descrivono episodi specifici della gara come il Fürstenlob e la Rätselspiel. Nel

Fürstenlob, cioè l’elogio del principe, assistiamo a una contesa tra sei cantori20. Essi

sono chiamati a concorrere di fronte al principe e alla contessa su chi tra loro avrebbe

cantato nel modo migliore le lodi del signore. La pena per il perdente è la morte.

Heinrich von Ofterdingen è il più eloquente e attira così l’invidia dei suoi compagni,

che lo fanno cadere in un inganno che ne determina la condanna a morte. Ma

20 I loro nomi sono: Heinrich von Ofterdingen, Walther von der Vogelweide, Biterolf, Reinmar von

Zweter, Wolfram von Eschenbach e Heinrich Schreiber.

Page 21: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

21

Heinrich riesce a ottenere la protezione della contessa Sophia, nella quale

riconosciamo un prototipo di Elisabetta. Le pena viene sospesa per un anno, durante

il quale Heinrich si reca in Ungheria e chiede l’aiuto dello stregone Klingsor.

Heinrich e Klingsor tornano in Turingia per riprendere la contesa. Il Rätselspiel, la

gara degli indovinelli, è il successivo duello tra Wolfram von Eschenbach e il mago

Klingsor. Wolfram si dimostra capace ed eloquente e quando Klingsor chiama un

demone per continuare il duello, Wolfram inizia a cantare i misteri cristiani e il

demone non può più rispondere. Nella gara tra Wolfram e Klingsor gli interpreti

hanno visto lo scontro tra il laico illetterato, che si riconosce solo la tradizione

cristiana, e il dotto sapiente, rappresentante dell’emancipazione della scienza.

La leggenda della Wartburg e quella di Tannhäuser non hanno alcun legame tra

di loro per quanto riguarda l’origine e la materia narrativa. Wagner fu il primo a

fonderle con massima attenzione ai dettagli, basandosi sull’ipotesi di Lucas secondo

la quale Tannhäuser e Heinrich von Ofterdingen sarebbero la stessa persona.

L’ipotesi è contenuta nel saggio di Lucas Über der Wartburgkrieg (1838), di cui

Wagner era venuto a conoscenza grazie all’amico Lehr. Fu così che alla figura di

Tannhäuser si unirono le suggestioni della poesia fiorita intorno al motivo della gara

dei cantori sulla Wartburg. La fusione delle due leggende è suggerita forse anche da

un passo delle Sagen di Ludwig Bechstein (1836). Tuttavia lo stesso Wagner scrive

che l’idea dell’unione tra le due leggende gli era apparsa accennata già nel canto

popolare. L’intreccio dei due mondi leggendari fu ciò che colpì più di tutto Wagner e

che determinò la scelta dell’argomento.

Prima di Wagner la leggenda era stata ripresa da altri autori romantici. Già verso

la fine XVII secolo, Johann Jakob Bodmer in Wiederentdeckung des Mittelalters (La

riscoperta del Medioevo) ci offre un resoconto della gara dei cantori. Nel 1802 viene

pubblicato postumo il romanzo Heinrich von Ofterdingen di Novalis, in cui però non

è descritta la gara dei cantori. Il romanzo è infatti incompiuto e l’episodio avrebbe

dovuto trovare spazio nella seconda parte. La tenzone è invece descritta nelle opere:

Die Serapionsbrüder (1818) di Hoffmann, Der Sängerkrieg auf der Wartburg (1828)

del barone La Motte Fouquè e nelle Deutsche Sagen (1816) dei fratelli Grimm.

Page 22: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

22

Anche le arti figurative contribuirono a questa rinascita ottocentesca della leggenda,

che viene assunta nel Romanticismo a simbolo culturale germanico. Il pittore

austriaco Moritz von Schwind tra il 1854 e il 1856 dipinse nel castello della

Wartburg un ciclo di affreschi sulla gara dei cantori.

2.3 Parola d’autore

La ricerca delle fonti di un’opera di qualsiasi genere è un lavoro abbastanza

difficile e mai certo. Nel caso di Wagner tuttavia ci viene in aiuto l’autore stesso. Di

lui si dice che abbia scritto più parole che musica e in effetti il catalogo delle opere

letterarie wagneriane è vastissimo, nonostante egli abbia più volte dichiarato il

proprio odio per il mestiere dello scrittore. La maggior parte dei suoi scritti sono

opere speculative, in cui l’autore espone le proprie idee sull’arte musicale. Ci sono

poi i libretti dei suoi drammi, alcune novelle e molti articoli per riviste e giornali.

Abbiamo infine alcuni lavori autobiografici, tra cui spicca la sterminata autobiografia

e un ricco epistolario scambiato con vari personaggi della sua epoca. In questa

vastissima bibliografia ci sono, inevitabilmente, precisi riferimenti alle letture

compiute per la stesura di Tannhäuser e delle altre opere.

I testi che utilizzeremo per il nostro scopo sono: Eine Mitteilung an meine

Freunde (Una comunicazione agli amici) del 1851 e Mein Leben (Autobiografia)21,

scritta tra il 1865 e il 1880. Mentre il secondo testo non pone problematiche

particolari dal momento che il titolo non lascia dubbi riguardo l’argomento, per il

primo è necessario specificare di che genere si opera si tratti. È anch’esso un testo

per alcuni aspetti autobiografico, ma di carattere diverso rispetto alla successiva

Autobiografia. La Comunicazione agli amici fu scritta da Wagner durante l’esilio in

Svizzera con lo scopo di far conoscere agli amici la sua evoluzione artistica e

spirituale fino a quel momento. È una meditazione sulla propria arte letta attraverso

21 Per comodità queste opere nel capitolo saranno citate con il titolo italiano.

Page 23: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

23

la genesi delle sue prime opere. Tra le opere che Wagner aveva scritto prima di quel

1851 c’è anche il Tannhäuser e questo breve scritto nasce proprio come introduzione

all’edizione delle tre opere romantiche di Wagner. Appare chiaro allora che il testo

fornisce un’importante testimonianza nello studio delle fonti del dramma. Dalla

Comunicazione agli amici apprendiamo che l’opera in cui Wagner scoprì la figura di

Tannhäuser fu il racconto Der getreue Eckart und der Tannhäuser (1799) di Tieck.

La tenzone dei cantori pervenne invece alla sua fantasia attraverso la trasposizione

della leggenda effettuata da Hoffmann in Die Serapionsbrüder (1819). Ma non fu la

lettura di queste opere a colpire l’attenzione di Wagner: la fantasia del compositore si

accese quando rilesse quelle stesse storie nelle raccolte di racconti medievali. In

queste versioni egli colse lo spirito proprio della leggenda, quel puramente umano la

cui ricerca egli innalzerà a scopo della sua arte. Ecco allora che l’autore ci parla

dell’empatia profonda che provò per Tannhäuser. Riferendosi a questo personaggio

Wagner scrive: «Questa figura scaturiva dal profondo di me stesso». E ancora:

L’autentica e semplicissima figura umana verso la quale soltanto tendeva la mia

aspirazione più profonda mi era appena apparsa proprio sotto le sembianze di

Tannhäuser.22

È questa la scintilla che mette in moto l’ingegno dell’artista. Egli decide di

abbandonare il progetto di un dramma storico sulla figura di Manfred, figlio di

Federico II, che stava elaborando. È l’ennesimo scontro tra la storia e il mito in

Wagner, in cui il mito ha sempre la meglio. Nella Comunicazione agli amici il

definitivo rifiuto della storia rappresenta il più importante risultato teorico. Il rifiuto

del dramma storico spiega anche perché Wagner non si dilunghi troppo a parlare dei

drammi Rienzi e La Saracena o almeno perché non lo faccia in termini troppo

elogiativi. A questo punto dell’evoluzione artistica del compositore la decisione è

ormai stata presa: d’ora in poi i drammi di Wagner avranno soltanto soggetti mitici.

22 R. Wagner, Una comunicazione ai miei amici, Pordenone 1985, p. 51.

Page 24: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

24

C’è un altro elemento nella Comunicazione agli amici, questa volta prettamente

biografico, rilevante per la nostra indagine. Possiamo infatti ricostruire una piccola

geografia di paesaggi che colpì l’animo di Wagner. Egli dice che, durante il viaggio

da Parigi a Dresda, passò per la valle della Turingia dalla quale di scorge la Wartburg

sulla collina. La vista diretta del luogo che già aveva stimolato la sua fantasia negli

anni parigini attraverso le letture dovette contribuire nella decisione di portare avanti

quel soggetto, dal quale egli si sentiva attratto «in modo del tutto spontaneo e

istintivo»23. I luoghi hanno un ruolo fondamentale nella nascita del Tannhäuser.

Wagner racconta che la stesura dell’abbozzo avvenne durante una gita nei monti

della Boemia. Sappiamo che questa gita si svolse in un luogo fortemente evocativo,

simile a quei luoghi che si incontrano anche nella tradizione italiana dei Monti

Sibillini. Questo luogo è lo Schreckenstein, la Roccia dell’Orrore, presso Aussig. La

suggestione per i paesaggi costituisce un elemento tipicamente romantico ed è una

caratteristica ricorrente in Wagner. Nella stessa Comunicazione agli amici egli ci

offre un’immagine letteraria bellissima di sé stesso sulla cima di una montagna che

scruta il mondo al di sotto. È questa un’allegoria della posizione dell’artista del

mondo, che abbiamo detto essere tema centrale nel Tannhäuser. Inoltre è proprio

sulla cima di una montagna che Tannhäuser si smarrisce nel paradiso di Venere.

Questa immagine ci ricorda che Wagner in quegli anni di esilio in Svizzera non di

rado si concedeva gite in montagna, ma ci riporta alla mente anche Il viandante sul

mare di nebbia di Caspar David Friedrich.

L’altro testo nel quale Wagner parla delle fonti del Tannhäuser è

l’Autobiografia, scritta tra il 1865 e il 1880 in parte sotto dettatura alla moglie

Cosima. L’opera sarà pubblicata postuma solo nel 1911 e alcuni dubbi sono stati

sollevati dai critici su quanto la mano della moglie possa aver operato per mitigare

alcuni aspetti del carattere del marito. La prima sezione finisce con l’anno 1842,

Dobbiamo quindi presumere che con quella data Wagner ritenesse conclusa la prima

fase della propria produzione. Uno degli ultimi eventi riportati in quella sezione è

23 Ivi, p 52

Page 25: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

25

l’irruzione nella fantasia di Wagner di Tannhäuser, che lo induce ad abbandonare il

dramma storico su Manfred. Questo era già raccontato nella Comunicazione agli

amici. In effetti Wagner dice qui poco di nuovo rispetto alla Comunicazione agli

amici; anzi, leggendo il testo viene il dubbio che quando Wagner scrisse questa parte

dell’Autobiografia guardò proprio al vecchio scritto, per riportare alla mente eventi

che ormai erano abbastanza lontani nel tempo. Abbiamo però la conferma che

l’incontro con la vera tradizione popolare fu determinante. Scrive Wagner: «In quel

periodo un soggetto mi sedusse all’improvviso. L’avevo trovato in un libro popolare

sul Venusberg, che mi era capitato per caso tra le mani»24. Ma qui c’è un altro punto

importante: Wagner afferma di aver individuato per la prima volta un rapporto tra la

storia di Tannhäuser e quella della Wartburg proprio nella tradizione popolare. «Ciò

che fece cader la bilancia dalla parte del libro popolare fu il trovarvi Tannhäuser

messo in rapporto, sia pure fuggevolmente, con il torneo dei cantori alla

Wartburg»25. Wagner allora inizia a informarsi sul tema e si fa portare dall’amico

Lehr un bollettino annuale della “Società tedesca di Königsberg”, nel quale Lucas

parla della tenzone poetica sulla Wartburg e ne fornisce una versione in alto-tedesco.

Questo testo è l’ultima fonte che Wagner cita.

Dai testi di Wagner ricaviamo quindi alcuni dati utili. Abbiamo intanto due

autori che possiamo considerare come letture certe di Wagner: Tieck e Hoffmann.

Ma oltre a questi nomi desumiamo una nozione che dovremmo tenere presente

nell’andare avanti nello studio: nella scelta del tema ebbe un grande peso,

probabilmente maggiore di quello esercitato dagli autori moderni, la tradizione

popolare vera e propria.

24 R. Wagner, Autobiografia, Milano 1983, p. 219 25 Ivi, p. 220

Page 26: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

26

2.4 Le fonti dirette

Per fonti dirette si intendono quei testi che l’autore effettivamente conobbe e sui

quali basò il proprio lavoro. Abbiamo detto che le due leggende dalle quali nacque il

dramma di Wagner si perdono nella tradizione medievale. Questa tradizione di

presenta sotto forma prevalente orale; ma dobbiamo presumere che all’epoca di

Wagner, o comunque nel suo contesto sociale, la tradizione orale fosse ormai del

tutto svanita. È per questo che occorre, per capire veramente da dove sia nato il testo

che leggiamo, individuare quali siano stati i testi scritti, le opere letterarie, che

Wagner ebbe tra le mani e dalle quali la sua fantasia trasse lo spunto per il tema

dell’opera. Abbiamo detto che l’idea di scrivere un dramma sul tema del cavaliere

tedesco venne a Wagner dalla lettura di un libro di leggende germaniche, uno dei

tanti Volksbücher che circolavano in quel periodo e nei quali erano state codificate la

maggior parte delle leggende popolari tedesche. La tradizione dei Volksbücher si

diffonde in Germania nel XVI secolo, con la diffusione della stampa, ma già un

secolo prima ne troviamo alcuni precedenti in Francia e Inghilterra. Forse a causa del

suo essere un prodotto d’importazione, il Volksbuch accolse leggende e fiabe sia

tedesche che straniere. I temi dei testi codificati in queste raccolte erano tra i più vari,

come è varia la fantasia popolare. I canti della tradizione tedesca inseriti in queste

raccolte appartengono al genere del Volkslied, che era nato per evoluzione dalla lirica

cortese. Prima di essere raccolti questi componimenti circolavano su fogli volanti,

chiamati in tedesco Flugblätter. Gli autori dei Volkslieder sono perlopiù ignoti e i

racconti si perdono nella tradizione orale. Il Volkslied è infatti in origine il canto del

popolo lavoratore, che si affina più tardi attraverso l’utilizzo dello stile della lirica

cavalleresca. Il Volkslied mantiene tuttavia un carattere di naturalezza e spontaneità,

che è ciò che colpirà Wagner. Questa ingenuità dello stile deriva dal fatto che il verso

non debba rispettare un numero di sillabe prestabilite e che nel Volkslied il contenuto

coincida sempre con l’espressione, non c’è mai nulla di sottointeso o che va oltre il

testo.

Page 27: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

27

Non possiamo sapere con esattezza quale edizione dei canti popolari Wagner

ebbe tra le mani, ma è certo che in essa egli lesse la leggenda di Tannhäuser e quella

della gara dei cantori sulla Wartburg. Abbiamo già detto che ebbe grande presa su

Wagner anche la lettura del saggio Über der Wartburkrieg di Lukas (1938). Wagner

fu aiutato nelle ricerche sull’argomento anche da Johann Georg Theodor Graesse,

bibliotecario presso la corte di Sassonia a Dresda, che nel 1846 completerà il saggio

Die Sage vom Ritter Tannhäuser. Letture sia antiche che moderne accesero dunque

l’interesse del compositore sull’argomento. Il tema del cavaliere e del Venusberg

aveva avuto un’ampia fortuna in ambito tedesco durante il Romanticismo. È questa

tradizione, così vicina a Wagner, la fonte diretta primaria per il dramma. Alcuni di

questi autori, come abbiamo visto, sono citati direttamente da Wagner nella

Comunicazione agli amici e nell’Autobiografia. È tuttavia quasi impensabile che

Wagner non avesse letto l’intera produzione romantica tedesca sull’argomento nel

momento in cui si accinse a scrivere il libretto del Tannhäuser. Lo scopo di questo

capitolo è dunque quello di analizzare nel dettaglio questi testi, che sono quelli che ci

conducono direttamente all’oggetto del nostro interesse. L’analisi procederà in

ordine cronologico.

2.4.1 Ludwig Tieck

Il primo autore a essere preso in considerazione è Ludwig Tieck, che nel 1799

scrive il racconto Der getreue Eckart und der Tannhäuser (Il fido Eckart e

Tannhäuser), poi inserito nella raccolta Phantasus. Sappiamo già che questo

racconto costituì il primo incontro di Wagner con la figura di Tannhäuser. Ma

l’interesse di Wagner per l’argomento si accese solo alla lettura della leggenda nel

Volksbuch, nel quale il soggetto ha il suo originario carattere popolare. Wagner

individuò il motivo del mancato interesse destato in lui della novella di Tieck nel suo

carattere moderno, che produce una mescolanza di «misticismo e civetteria».

L’atteggiamento sprezzante nei confronti di Tieck conferma quanto Wagner dichiara

Page 28: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

28

nell’Autobiografia: dalle sue fonti romantiche egli trasse l’atmosfera generale di un

caratteristico medioevo tedesco, ma non le implicazioni più profonde. La sua ricerca

è volta verso l’uomo nella sua purezza, tale come può essere trovato solo nel mito. In

questo sta la fine commistione della tradizione romantica con la leggenda medievale

originaria.

La novella di Tieck si divide in due parti. La prima parte narra la storia del

cavaliere Eckart che, fedelissimo al granduca di Borgogna, si vede sospettato di

tradimento e scacciato dalla corte. Il granduca fa uccidere i figli di Eckart, che erano

andati a chiedere spiegazioni per l’allontanamento del padre. Eckart disperato

incontra nel bosco un vecchio, che gli racconta di aver perso i figli nella montagna di

Venere. Il vecchio gli parla di un musico, che con le sue note prende in trappola

chiunque le ascolti e le conduce in quel regno di perdizione. Durante una tempesta

Eckart si trova a dover soccorrere il granduca. In questo momento l’antica fedeltà

vince sul desiderio di vendetta: Eckart il fido porta in salvo l’uccisore dei suoi figli.

Quando il granduca scopre chi lo ha salvato, si pente delle proprie azioni e prima di

morire affida la custodia del propri figli a Eckart. Ma ecco apparire il musico che

attira verso il Venusberg i figli del granduca. Eckart allora si batte e muore

sacrificandosi. Da allora la leggenda narra che chi voglia recarsi presso il monte di

Venere sia persuaso a desistere dal fido Eckart, che aspetta all’ingresso della grotta.

La seconda parte della novella è ambientata quattrocento anni più tardi. È qui

che si parla di Tannhäuser, che dopo essere sparito per anni racconta all’amico

Federico la sua storia. Egli avrebbe ucciso il promesso sposo della sua amata Emma,

che sarebbe poi morta a sua volta. Tornato a casa Tannhäuser avrebbe poi assistito

alla morte dei genitori. In questa condizione di disperazione si era trovato a entrare

nel regno di Venere, dove avrebbe poi passato anni nella lussuria e nel peccato.

Tannhäuser dice a Federico che ora vuole andare a Roma per confessare il suo

peccato e chiedere il perdono del papa. Federico però dice a Tannhäuser che è stata

tutta una fantasia: Emma è in realtà la moglie di Federico stesso. Tannhäuser non

ottiene il perdono del papa e torna da Venere, ma prima passa da Federico e lo bacia.

Page 29: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

29

Emma viene trovata morta e Federico sparisce. Si dice infatti che chi è baciato da un

reduce del Venusberg sia a sua volta preso dalla malia irresistibile di Venere.

La storia che ci racconta Tieck è diversa da quella di Wagner. La leggenda è

ovviamente la stessa, ma i particolari cambiano. Tieck inserisce infatti un elemento

di dubbio e di mistero. Quello che sembra al lettore è che la storia di Tannhäuser sia

il racconto di un folle. In effetti se Emma è la moglie di Federico, Tannhäuser

assume tutti i connotati di un malato di mente, che ha confuso la fantasia con la

realtà. Il racconto leggendario ci mostra così la sua natura fantastica. È un processo

che, con un termine novecentesco, potremmo dire metatestuale e quindi tipicamente

moderno. Il mito svela la propria finzione e interrompe quella che il poeta inglese

Coleridge chiama suspension of disbelief, la sospensione dell’incredulità, l’elemento

necessario per la lettura di ogni racconto fantastico. È questo probabilmente che non

piacque a Wagner, che invece preferì la versione originaria, quella tramandata dalla

voce delle persone che credevano veramente che sulla montagna ci fosse il regno di

perdizione di Venere e che Tannhäuser vi avesse trovato la dannazione. Tieck

aggiunge insomma una nota di cinismo che a Wagner proprio non piace. E ancora

più tipicamente moderno è il velo di mistero che copre il finale. La visione di

Tannhäuser alla fine è realizzata: Emma muore e Federico, il suo sposo, scompare.

Nella vicenda che ci racconta Wagner invece il finale è ben chiaro. I personaggi

muoiono, ma non ci sono dubbi sulla loro morte, né sul destino che spetta alle loro

anime: il mito non prevede alcun mistero, tutto alla fine è chiarificato.

La figura di Eckart, che all’ingresso del Venusberg cerca di trattenere coloro che

vanno verso la perdizione, lascia qualche traccia nel Wolfram di Wagner. Il musico

che attira le anime nel Venusberg ci ricorda invece il pastore che intona il canto a

Venere, che Tannhäuser incontra uscendo dal Venusberg. La funzione dei due

personaggi è del tutto diversa e il pastore ha molto meno potere del musico di Tieck,

ma le due figure potrebbero essere imparentate.

Un’annotazione finale sul testo di Tieck. All’inizio della seconda parte del

racconto Tannhäuser parla di sé stesso in questi termini:

Page 30: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

30

A qualcuno, nel momento in cui nasce, è assegnato uno spirito perverso che durante la

vita lo angoscia e non lo lascia in pace finché non abbia raggiunto la meta della sua

malvagia predestinazione. Così accadde a me: tutto il corso della mia vita è soltanto la

pena continua del mio nascere. Il mio risveglio sarà solo l’Inferno.26

Questo passo ci dà lo spunto per accostare la figura di Tannhäuser a quella

dell’ebreo errante, che è il prototipo per il protagonista dell’Olandese volante e

indica l’impossibilità di trovare una collocazione nel mondo. Abbiamo già visto

come Wagner attribuisse al suo Tannhäuser una forte carica sociale, intendendo il

suo personaggio proprio come il simbolo della ricerca dell’artista di un ruolo nel

mondo. In questo Wagner potrebbe aver avuto qualche suggestione da Tieck. Per il

resto il racconto di Tieck, al di là degli aspetti puramente contenutistici, risulta

abbastanza estraneo dalla visione e alle idee wagneriane sull’arte.

2.4.2 Achim von Arnim e Clemens Brentano

Più vicina alla tradizione popolare e per questo più congeniale allo spirito

wagneriano è la versione della leggenda di Tannhäuser inserita nella raccolta Des

Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo) di Achim von Arnim e Clemens

Brentano, pubblicata in tre volumi tra il 1803 e il 1805. L’idea dei due scrittori fu

quella di riunire quei testi che circolavano in forma anonima e che documentavano la

tradizione popolare tedesca. Questo proposito si inserisce all’interno della ricerca

tipicamente romantica delle fondamenta della propria unità nazionale nel terreno

della storia e delle storie che il Medioevo ha tramandato. Il merito di Arnim e

Brentano fu quello di aver recuperato una gran quantità di testi che circolavano solo

in volantini e opuscoli o erano tramandati solo oralmente e che quindi rischiavano di

andare persi entro poco tempo. Ma i due poeti inserirono anche testi propri, riscritti a

partire dalle storie raccontate dalle leggende popolari. Nella lettera che diede inizio al

26 Tieck, Novalis, C. Brentano, Fiabe romantiche, Torino 1942, p. 84

Page 31: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

31

progetto per il Wunderhorn, Brentano scrive ad Arnim: «I migliori canti popolari

dovrebbero trovare qui una sistemazione definitiva, e altre poesie si potrebbero

comporre in aggiunta»27. Destò alcune critiche nei contemporanei il fatto che i due

scrittori decisero a volte di manipolare i testi secondo una sensibilità poetica

decisamente moderna. Lo stesso Brentano criticò di Arnim il carattere troppo

poeticizzato delle sue ricostruzioni dei testi popolari. La questione si inserisce nel

dibattito tra Naturpoesie (poesia naturale) e Kunstpoesie (poesia d’arte), che

sappiamo interessò anche Wagner, che scelse la poesia popolare.

Vale la pena tracciare brevemente la storia del genere della raccolta popolare tra

fine la fine del XVIII secolo e l’epoca romantica. Questi lavori risultarono infatti

grandi fonti di ispirazione per l’intera produzione wagneriana. Di questo genere di

raccolte fanno parte inoltre anche le Deutsche Sagen dei fratelli Grimm, di cui si

parlerà più avanti. La nuova attenzione verso la tradizione popolare viene

dall’Inghilterra, dove Thomas Percy nel 1765 aveva pubblicato la raccolta Reliquies

of Ancient English Poetry. In Germania i primi interessamenti si ebbero da parte di

Gottfried Bürger, che nel saggio Herzensausguss über Volkspoesie (Sfogo del cuore

sulla poesia popolare) aveva auspicato l’avvento di un “Percy tedesco”. Importante

anche il contributo di Goethe, che già nel 1771 aveva trascritto alcune ballate

alsaziane e che accolse con grande interesse e ammirazione il lavoro di Arnim e

Brentano. Nel 1773 Tieck curò una raccolta di Minnelieder (Canti medievali). Ma il

momento fondamentale è la pubblicazione da parte di Herder dei due volumi di

Volkslieder nel 1778-79. La raccolta di Herder fu di certo il modello principale per

Arnim e Brentano, anche se nel Wunderhorn manca l’intento di critica sociale. Tra

Herder e il Wunderhorn si pongono poi molti altri autori di raccolte di questo genere,

tra i quali si possono ricordare Bothe, Bodmer, Elwert, Eschenburg, Gräter e

Becker28.

27 Lettera del 15 febbraio 1805. 28 Ecco i titoli delle loro opere:

J. J. Bodmer, Altenglische und altschwäbische Balladen, 1781

A. Elwert, Ungedrukte Reste alten Gesang nebst Stücken nurer Dichtkunst, 1784

Page 32: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

32

Quello che ci interessa più da vicino è che all’interno del Wunderhorn è riportata

anche la Ballata di Tannhäuser. La fonte diretta di Arnim e Brentano è Praetorius,

che aveva trascritto la leggenda nel suo Blocksberg-Verrichtung del 1668. Il

componimento del Wunderhorn è piuttosto breve e assume quasi il carattere di una

favola con morale finale. Il ritmo è abbastanza serrato e si compone di un botta e

risposta, prima tra Venere e Tannhäuser e poi tra Tannhäuser e papa Urbano. La

storia di Tannhäuser assume nella versione di Arnim e Brentano il carattere

antipapale di cui abbiamo già parlato. Il finale infatti, a mo’ di morale, recita:

«Nessun prete dovrebbe mai fare questo, condurre l’uomo alla disperazione; se

costui vuole pentirsi e fare penitenza, che il peccato gli sia rimesso». Ma questo

carattere deriva dalle fonti che Arnim e Brentano utilizzarono ed è presente già nelle

prime versioni a stampa della leggenda nel XVI secolo.

Come nel libretto di Wagner, Venere prima di cedere alla richiesta di

Tannhäuser e lasciarlo andare via cerca di convincerlo a restare invitandolo a

condividere con lei le gioie dell’amore. Nella versione di Arnim e Brentano le

risposte di Tannhäuser risultano più dirette e anche abbastanza dure. Wagner

addolcisce questa durezza di modi probabilmente perché si rende conto che

Tannhäuser è ancora attratto dai piaceri di Venere anche nel momento in cui vi

rinuncia. Quello che spinge però Tannhäuser a fuggire dal Venusberg è la voglia di

libertà. Questo aspetto è spiegato chiaramente da Wagner, che carica il personaggio

di una profondità psicologica ben maggiore di quella che aveva nel canto popolare.

Wagner ci fa capire fino in fondo quello che muove l’animo di Tannhäuser, mentre

nel canto riportato da Arnim e Brentano possiamo solo supporlo. C’è un unico

accenno nel componimento del Wunderhorn che ci fa capire quanto Tannhäuser sia

combattuto, nelle parole: «Tannhäuser uscì dalla montagna, addolorato e pentito».

Possiamo dunque affermare di certo che l’episodio del dialogo tra Venere e

F. H. Bothe, Volkslieder nebst untermischten andern Stücken, 1795

Fr. D. Gräter, in Bragur. Zeitschrift für deutsche Volkskunde, 1791-1802 J. J. Eschenburg, Denkmäler altdeutscher Dichtkunst, 1799

R. Z. Becker, Mildheimisches Liederbuch, 1799

Page 33: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

33

Tannhäuser, nonostante Wagner se ne dichiarerà sempre insoddisfatto, risulta

drammaticamente ben strutturato e teso a darci l’immagine di un personaggio sempre

in bilico tra bene e male. Nel fare questo Wagner restò comunque fedele al suo

presupposto di rappresentare il puramente umano. Lo scandaglio psicologico non

arriva mai a quel carattere troppo moderno che Wagner aveva rifiutato in alcuni suoi

contemporanei.

2.4.3 Jacob e Wilhelm Grimm

La tappa successiva del nostro percorso è costituita dalla raccolta delle Deutsche

Sagen (Saghe germaniche) dei fratelli Grimm del 1816. In questa raccolta, come in

quella di Arnim e Brentano, è interessante notare la continuità con la tradizione del

Volksbücher, che costituiscono un’inesauribile fonte di materiali. I Grimm si

inseriscono nel dibattito tra Naturpoesie e Kunstpoesie: Jacob sosteneva una poesia

ingenua, vera e nata dal bisogno di fare poesia, mentre Wilhelm propendeva per una

poesia più mediata da poter pubblicare e diffondere anche tra un pubblico straniero.

Nelle Deutsche Sagen dei fratelli Grimm troviamo la leggenda di Tannhäuser,

quella dei cantori sulla Wartburg e quella di Lohengrin29. I fratelli Grimm

costituiscono dunque una fonte sia per quanto riguarda la leggenda di Tannhäuser

che per quella dei cantori. Il modo di raccontare dei Grimm non fa uso dei dialoghi,

che erano invece fondamentali nelle versioni popolari, in quella di Arnim e Brentano

e nel più tardo componimento di Heine, di cui si parlerà in seguito. Nonostante

questa diversa tecnica narrativa, notiamo una sostanziale equivalenza tra la versione

di Arnim e Brentano e quella del fratelli Grimm per quanto riguarda la storia di

Tannhäuser, tanto che appare anche la stessa sentenza antipapale nel finale.

Entrambe le versioni si rifanno probabilmente al medesimo modello. Dal punto di

29 Quella di Tannhäuser è la saga numero 171, quella dei cantori sulla Wartburg la numero 561 e

quella di Lohengrin la numero 542.

Page 34: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

34

vista contenutistico i fratelli Grimm non ci offrono quindi nessuna novità e non ne

offrirono nemmeno a Wagner. Notiamo, come nel caso di Arnim e Brentano, una

certa concisione, che Wagner abbandonerà per adattare la leggenda alla forma più

ampia del dramma musicale.

Più esteso è il capitolo delle Deutsche Sagen che riguarda la leggenda dei cantori

sulla Wartburg. Il testo è dedotto dai fratelli Grimm a partire da vari manoscritti, tra

cui il già citato Codice Manesse e il Codice di Jena. La storia si incentra sulla figura

di Heinrich nella prima parte e su quella di Klingsor nella seconda. Heinrich von

Ofterdingen perde per l’invidia dei compagni la sfida di canto ed è condannato a

morte, ma Sophia stende su di lui la sua ala protettrice e ottiene che la pena sia

rimandata di un anno. In questo anno Heinrich va in Ungheria presso il mago

Klingsor, che però è inizialmente presentato piuttosto come un maestro cantore.

L’aspetto magico e diabolico di Klingsor subentra nel momento in cui Heinrich si

ritrova come per incantesimo sulla Wartburg dalla sera alla mattina. Klingsor si

scontra con Wolfram e poi lascia spazio a uno dei propri diavoli. Ma Wolfram lo

vince facendo appello alla fede e alla parola divina. Si nota come le due parti siano

indipendenti l’una dall’altra, come era nelle versioni antiche. Nel finale infatti non

abbiamo delucidazioni sul destino di Heinrich. L’aspetto diabolico di Klingsor, che

sarà centrale in Hoffmann, appare qui solo poco per volta.

I fratelli Grimm offrirono insomma a Wagner, più che Arnim e Brentano, un

approccio diretto con la tradizione popolare e con i testi più antichi. Wagner si ispirò

alle loro saghe anche per altre opere, come I maestri cantori di Norimberga, il

Lohengrin e Parsifal, in cui torna la figura di Klingsor. Per l’ampiezza della materia

offerta e per l’approccio alla leggenda affine a quello wagneriano possiamo

considerare i fratelli Grimm, a differenza di Tieck, un modello positivo per Wagner.

Page 35: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

35

2.4.4 Ernst Theodor Amadeus Hoffmann

Hofmann costituisce una delle fonti principali di Wagner per la leggenda dei

cantori sulla Wartburg. L’episodio de La gara dei cantori (1818) è inserito nella

raccolta Die Serapionsbrüder (I confratelli di Serapione), pubblicata tra il 1819 e il

1821. Quest’opera costituisce un prodotto molto particolare, una sorta di Decameron

tedesco. Il modello per la struttura è quello del già citato Phantasus di Tieck e

l’occasione della sua stesura fu la richiesta fatta a Hoffmann da parte del suo editore

di raccogliere alcuni dei suoi racconti sparsi in un unico libro. L’autore esaudì la

richiesta e aggiunse anche molti materiali nuovi. I racconti sono inseriti in una

cornice costituita da un incontro tra vecchi amici che si riuniscono dopo dodici anni.

Il Serapione del titolo è un uomo che uno dei protagonisti, Cipriano, racconta di aver

incontrato in un bosco. Egli era stato un uomo di cultura e di mondo ma, indotto

dalla follia a credere di essere il martire Serapione di Alessandria, si era ritirato a vita

da eremita. La storia di Serapione è la prima novella della raccolta, ma il testo che ci

interessa è contenuto nella parte terza.

Il racconto di Hoffman si distanzia in molti particolari da quello dei fratelli

Grimm. Proviamo a farne un riassunto. La storia de La gara dei cantori è letta da

Cipriano, che afferma di aver scritto la novella ispirandosi a un libro di Johann

Christoph Wagenseil30. La narrazione si apre con l’immagine di un uomo che,

durante la notte dell'equinozio di primavera, legge davanti al camino un libro di

Wagenseil mentre fuori si scatena una tempesta. L’uomo si addormenta e sogna di

essere in un bosco. Qui incontra un gruppo di cavalieri intenti a cantare soavi

melodie. Appare allora proprio Wagenseil, vestito in abiti secenteschi, che spiega

all’uomo che quelli che ha visto sono i cantori della Wartburg e tra loro stavano il

30 Wagenseil, giurista e storico vissuto tra il 1633 e il 1705, aveva infatti aggiunto un’appendice alla

sua opera De sacri Romani imperii libera civitate Norimbergensi commentatio (1697), in cui

ripercorreva la storia della gara dei cantori. Hoffmann si ispirò inoltre, probabilmente, per la

descrizione della Wartburg, allo studio di J.C.S. Thorn Schloss Wartburg, ein Beitrag zur Kunde der Vorzeit (1815).

Page 36: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

36

langravio Ermanno di Turingia e la bellissima contessa Matilde. Wagenseil dice

anche che sta per iniziare una gara di canto tra i sei cantori, proprio lì nel bosco, e

invita l’uomo a seguirlo per assistervi. I maestri a turno cantano la loro canzone e

Matilde sta per premiare con la corona Wolfram, ma Heinrich si ribella perché non è

ancora stata ascoltata la sua canzone. La canzone di Heinrich è una lode a un signore

supremo e misterioso. Per la rabbia Ofterdingen pizzica con troppa forza le corde del

suo liuto fino a spezzarle. Il liuto si trasforma allora in un orrendo mostro, che alza in

aria Heinrich. Intanto gli altri cantori ascendono al cielo a bordo si alcune nuvole.

Qui si interrompe il sogno, ma Cipriano prosegue a raccontare la storia. Racconta che

presso la corte di Ermanno di Turingia spiccavano due cantori: Wolfram era un

cantore di successo, i cui canti erano limpidi e dolci, l’altro era Heinrich, anima

grande e tormentata. La sua poesia andava dritta al cuore, ma «nel suo canto si

inserivano certe brutte note stridenti che parevano salire dal fondo d’un animo

esacerbato»31. Heinrich ha infatti un segreto: il suo amore per Matilde. Matilde è

però innamorata di Wolfram, che tra l’altro mostra a Heinrich una forte amicizia. Il

cantore allora decide di andar via per sempre dalla Wartburg e si allontana nella

foresta. In una notte di luna piena in mezzo alla foresta mentre sta cantando una

bellissima canzone, vinto dalla nostalgia, una risata stridente lo interrompe. Un

individuo tutto nero e con una barba rossa appuntita gli dice che la sua canzone non

somiglia nemmeno lontanamente alla nobile arte del canto e gli descrive come essa

dovrebbe essere. Heinrich, colpito, chiede all’uomo di diventare suo maestro, ma

l’uomo lo manda dal maestro negromante Klingsor. Lo sconosciuto gli lascia un libro

dalla copertina rossa e con quel libretto Heinrich si reca da Klingsor e ne diventa

allievo. Intanto alla Wartburg Matilde continua a concedere i suoi favori a Wolfram,

il quale però è preoccupato della scomparsa dell’amico. Tutti lo danno per perduto,

quando Heinrich ritorna alla Wartburg e viene accolto festosamente. Egli sconfigge

Wolfram nel canto e conquista i favori di Matilde. Nel canto di Heinrich, Wolfram

riconosce però la forza oscura del male. Dice Wolfram a Heinrich: «Nella tua

31 E. T. A. Hoffmann, I confratelli di San Serapione, Torino 1969, p 255

Page 37: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

37

canzone c’era qualcosa di sinistro che mi ha fatto rabbrividire»32. Anche Matilde è

presa dalle forze del male, cambia completamente il suo atteggiamento verso i

cantori e addirittura lascia la Wartburg. Il fatto che Heinrich abbia studiato presso

Klingsor scatena l’ira del langravio, che indice una gara tra i cantori. Heinrich viene

questa volta battuto ed è spinto dalla rabbia a intonare una canzone nella quale

offende il langravio e le dame di corte. Questo scatena l’ira dei cantori, ma Heinrich

chiede o ottiene che la maestria dei cantori sia giudicata da Klingsor. Quando questi

giunge presso la Wartburg, Wolfram decide di conoscerlo e viene coinvolto in una

gara contro il maestro, riuscendo a vincendolo attraverso la purezza e l’ingenuità del

canto. Il negromante accetta la sconfitta ma decide di inviargli un certo Nasias, con

cui Wolfram dovrà gareggiare e fare attenzione a non perdere. Nasias, che è un

demonio, arriva e viene a sua volta vinto da Wolfram. Dopo un colloquio col

langravio, Klingsor rifiuta di giudicare la gara tra i cantori. Sarà il langravio stesso

con due consiglieri a farlo, secondo la volontà del popolo. Il perdente sarebbe stato

decapitato sul posto. La sorte sceglie Wolfram come sfidante di Heinrich. Wolfram

vince su Heinrich e vede apparire Matilde risanata dall’influenza del male. Heinrich

finito lo scontro sparisce prima di essere giustiziato e ci si rende conto che

probabilmente esso era solo un’ombra inviata da Klingsor. Nel finale Wolfram riceve

una lettera da Heinrich, che gli dice di essere rinsavito dal male che lo aveva colpito.

Wolfram è riuscito così a salvare l’amico e a ricongiungersi alla donna amata.

Nella storia raccontata da Hoffmann è evidente l’influenza del mito di Faust.

Importante a tal proposito è il discorso che fa Wolfram a Heinrich, quando gli dice

«Ho l’impressione, devo dirtelo francamente, che tu abbia comprato la tua maestria a

prezzo di tutte le gioie che vengono elargite soltanto agli animi infantilmente buoni e

devoti»33. Quello che Heinrich fa è a tutti gli effetti un patto con il diavolo.

L’elemento diabolico è presente anche nel Tannhäuser di Wagner, nel quale è

rappresentato da Venere. Inoltre durante la sua gara contro Wolfram, il demone

32 Ivi, p.268 33 Ibidem

Page 38: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

38

Nasias canta una canzone d’amore proprio sulle delizie del Monte di Venere. In quel

momento Wolfram viene preso da una visione in cui gli appare la dea dell’amore, ma

riesce a destarsi attraverso il ricordo di Matilde. Allo stesso modo, attraverso il

ricordo di Elisabetta nel finale del Tannhäuser di Wagner il protagonista viene

indotto a desistere dal tornare sul Venusberg.

Possiamo quindi osservare come la leggenda originaria dei cantori della

Wartburg tenda nelle rielaborazioni ottocentesche ad accogliere o ampliare questo

aspetto oscuro. Una tale attenzione al lato maligno può essere ricondotta senz’altro

alla temperie romantica. Anche nel racconto di Hoffmann troviamo quel carattere

troppo moderno e poco genuino che Wagner aveva criticato in Tieck. Esso si apre

infatti con un sogno di un uomo che si addormenta leggendo: in questo modo è

annullata la finzione fantastica. La razionalità cerca qui la sua giustificazione davanti

ad eventi che altrimenti non sarebbero spiegabili. Anche la forma in cui Hoffman

costituisce gli episodi prettamente fantastici risente di un’estetica moderna che poco

si accorda al canto popolare. Ma questa modernità, come nel caso del racconto di

Tieck, non annulla i punti di contatto con il libretto di Wagner. La gara dei cantori di

Hoffmann va infatti considerata una fonte primaria di Wagner per quanto riguarda la

leggenda della Wartburg.

Notiamo tra Hoffmann e Wagner una certa ridistribuzione nella valenza e nel

carattere dei personaggi. Heinrich è sostituito in Wagner da Tannhäuser, che da lui

deriva il carattere del cavaliere errante, che si perde nel bosco e perde sé stesso

attraverso un patto col diavolo, che lo porta alla rovina oltre che alla perdita della sua

anima. Di conseguenza Klingsor è rimpiazzato da Venere e in Matilde riconosciamo

invece i tratti di Elisabetta. Tuttavia mentre Elisabetta è sempre fedele a Tannhäuser

dall’inizio alla fine, Matilde si sente attratta da Heinrich solo nel momento in cui egli

è sotto il dominio del diavolo, al quale soccombe lei stessa. Possiamo quindi

presupporre anche che l’amore di lei facesse parte di un faustiano patto col diavolo di

Heinrich e che quindi la sua attrazione per Heinrich fosse indotta dalle potenze del

male. Il personaggio che sia in Hoffmann sia in Wagner mantiene il suo carattere

positivo è Wolfram. Egli è fedele all’amico, come Eckart era fedele al suo padrone, e

Page 39: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

39

come Eckart cerca di mantenere Heinrich/Tannhäuser lontano da male. Nella

versione di Hoffmann il suo ruolo risulta di certo più centrale. Egli è qui il vero

vincitore, colui che riesce materialmente a vincere le forze del male. In Wagner la

portata del personaggio di Wolfram risulta ridotta per far spazio a Tannhäuser. Infine

troviamo un altro slittamento. In Hoffmann Heinrich ama Matilde, che però

inizialmente ha occhi solo per Wolfram. Nel dramma di Wagner è invece Wolfram

ad amare non corrisposto Elisabetta, che ama Tannhäuser. Possiamo ancora notare

che Matilde in Hoffmann ha il ruolo di un vero oggetto del desiderio, mentre l’amore

di Wolfram per Elisabetta in Wagner è appena accennato e non influisce affatto sullo

sviluppo dell’azione.

Molti sono i punti di contatto tra Hoffmann e Wagner. Tra le altre cose, appare

evidente come le varie gare poetiche riportate da Hoffmann siamo confluite

nell’unica gara raccontata da Wagner. C’è infatti nel racconto di Hoffman un

particolare importante: la canzone su Venere cantata da Nasias e cantata anche da

Heinrich, o dalla sua ombra, nello scontro definitivo con Wolfram. Anche

Tannhäuser canterà durante quella gara fatale le lodi di Venere. Questo elemento fu

di certo accolto da Wagner attraverso la lettura di Hoffmann. È possibile inoltre che

lo stesso Hoffmann nello scrivere la storia tenne presente, oltre alla gara dei cantori,

anche la leggenda di Tannhäuser, della quale possiamo riconoscere molti tratti.

2.4.5 Heinrich Heine

La vera sorpresa nello studio delle fonti del Tannhäuser è il contributo che

sembra venire da Heine. Egli trattò la storia di Tannhäuser in più di un’occasione e

anzi essa risulta essere una delle sue tematiche ricorrenti. Stupisce che Wagner non

lo menzioni mai negli scritti nei quali parla della genesi del dramma. È comunque

certo che il compositore avesse letto Heine. Ci dà un piccolo indizio a tal proposito

lo stesso Heine, non senza una punta di polemica. Nella prefazione del 1954

all’edizione della pantomima La dea Diana scrive infatti: «La vicenda della mia

Page 40: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

40

pantomima, infatti, è già sostanzialmente contenuta nella terza parte del Salon, da cui

più di un maestro Barthel ha attinto parecchie pinte di mosto»34. L’allusione di Heine

sarebbe rivolta proprio a Wagner, che aveva desunto dal saggio Gli spiriti elementari

la vicenda del Tannhäuser e dalle Memorie del signor von Schnabelewopski quella

de L’olandese volante. In realtà quello che voglio dimostrare è che l’influenza di

Heine su Wagner va ben oltre i semplici contenuti leggendari, che d’altronde lo

stesso Heine ammette di aver desunto da altri autori e dalle raccolte popolari. Il

mondo poetico di Heine esercita una forte influenza sul pensiero di Wagner. Il punto

centrale di questa affinità spirituale tra i due artisti sta nell’attenzione al mito e nel

rapporto tra paganesimo e cristianesimo. Abbiamo già visto come in Wagner questi

siano temi centrali. Inoltre sia Wagner che Heine sono stati collocati dalla critica in

quel particolare momento della storia artistica ottocentesca che segna il passaggio dal

Romanticismo al Realismo borghese. Vedremo ora come Heine abbia affrontato le

questioni che poi saranno importanti per Wagner con grande originalità e con

risultati davvero interessanti.

Il testo più strettamente collegato alla vicenda di Tannhäuser è il saggio Gli

spiriti elementari, uscito per la prima volta nel 1837 nel terzo volume del Salon.

Ancora prima dell’apparizione di Tannhäuser, Heine affronta un tema che diventerà

centrale in Wagner, il rapporto tra paganesimo e cristianesimo. Heine racconta infatti

la storia dello scrittore Hinrich Kitzler che, scrivendo un’opera sulla perfezione del

Cristianesimo, è portato dallo studio dei testi a un sentimento opposto. Kitzler passa

dalla parte del paganesimo, ne rimpiange la distruzione e depreca la barbarie che ha

sostituito la perfezione classica. Questo porta lo scrittore a ripudiare il suo libro e a

gettarlo nel fuoco del camino. Quello che Kitzler rifiuta è l’iconoclastia dei primi

cristiani, quel loro scagliarsi contro i simboli del paganesimo, che sono anche i

simboli di un’epoca originaria e dorata della cultura che non tornerà più. Qui c’è

l’artista contro la società, contro il Cristianesimo che nega la dimensione della

34 H. Heine, Gli Dei in esilio, Milano 2000, p. 61

Page 41: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

41

bellezza e dell’arte. Questo ci ricorda da vicino l’interpretazione sociale che Wagner

darà del suo Tannhäuser.

La ragione della distruzione dei templi, spiega Heine, sta nel fatto che i cristiani

li ritengano le dimore dei demoni pagani. La colpa originaria dei cristiani agli occhi

di Heine nasce dal non aver rispettato un precetto semplice, espresso da Eschilo in

alcuni bellissimi versi del suo Agamennone: «Se si rispettano i templi e gli Dei dei

vinti, i vincitori si salveranno». Nel suo saggio Heine spiega:

La credenza popolare vuole che nelle rovine degli antichi templi continuino a dimorare

le vecchie divinità greche, le quali, tuttavia, con la vittoria di Cristo hanno perduto ogni

potere, sono diavoli malvagi che di giorno si tengono nascosti tra le civette e i rospi dei

ruderi tenebrosi del loro trascorso splendore, mentre la notte escono in leggiadre

sembianze per allettare e sedurre qualche viandante ingenuo o qualche giovanotto

temerario.35

Da qui alla leggenda della grotta di Venere il passo è davvero breve. Quello che

Heine descrive in queste righe non è altro che la leggenda di Venere e del Venusberg

e quel «giovanotto temerario» è Tannhäuser. Ed infatti il saggio si chiude proprio

con la ballata scritta da Heine sulla storia di Tannhäuser. Ma prima di arrivare a

questo, Heine ci offre qualche altro spunto interessante quando ci dice che i racconti

di cavalieri infatuati della dea pagana sono spesso ambientati in Italia. Questo

supporterebbe l’ipotesi sulla genesi italiana della leggenda tedesca, ma dobbiamo

ricordare che Heine è una fonte abbastanza tarda e non sappiamo quanto la sua

affermazione sia documentata. Quella sull’origine italiana potrebbe essere benissimo

una glossa che inserì per sentito dire o a partire dall’immaginario già ottocentesco di

un’Italia vista come la terra del mistero, oltre che il luogo dove il paganesimo

romano era fiorito. Dopo questo breve accenno Heine ci racconta la storia di un

giovane cavaliere che, invaghitosi della una statua di una dea pagana, va ogni giorno

a visitare i resti di un tempio, finché una sera non è invitato a cena da una donna

35 Ivi, p. 11

Page 42: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

42

misteriosa e sorprendentemente somigliante alla statua. Dopo la cena, il cavaliere si

addormenta tra le braccia della donna e fa un sogno: lei si è trasformata in un mostro,

al quale lui taglia la testa. La mattina seguente si sveglia vicino ai resti del tempio e

vede con orrore che la statua da lui amata giace a terra con la testa mozzata. Heine

riporta poi un’altra storia simile, quella del giovane che infila l’anello a una statua di

Venere e questa inizia a perseguitarlo nel suo letto nuziale. Allora interviene il prete

Palumnus, che libera il ragazzo dall’incantesimo ma tre giorni dopo è trovato morto.

Le due storie sono imparentate e si ricollegano entrambe alla figura della statua di

Venere, di cui si è già parlato. Heine, in questo come in altri casi, cita le proprie

fonti. Dice di aver letto la storia per la prima volta nel Mons Veneris (1614) di

Kornmann e in seguito nei Disquisitionum magicarum libri sex (1608) di Antoine del

Rio, il quale ipotizza un’origine iberica della leggenda. Tra gli autori moderni Heine

cita invece il barone von Eichendorff, autore della novella Das Marmorbild (1819) e

Willeband Alexis con Venus in Rom (1831). Negli stessi anni Prosper Mérimée,

come abbiamo visto, stava elaborando il soggetto nella novella La Vénus d’Ille

(1837). L’abbondanza di indicazioni bibliografiche ha fatto ritenere ad alcuni

studiosi che Wagner abbia approfondito la conoscenza sull’argomento proprio

partendo dal saggio di Heine, che sarebbe stato il punto di partenza per uno studio

della leggenda.

Dall’opera di Kornmann Heine desume anche la teoria degli spiriti elementari,

che dà il titolo al saggio. Essi altri non sarebbero che quegli dei che si sono visti

privati del loro potere dalla venuta di Cristo e che ora sopravvivono in vari modi.

Quali siano questi modi è detto da Heine in un altro bellissimo saggio: Gli dei in

esilio. Bisogna intanto dire che la forma usata dall’autore non è quella saggistica vera

e propria; il carattere leggendario delle storie riportate colora questi saggi di una forte

vena narrativa, che fa di essi una piacevolissima lettura. Lo dichiara lo stesso Heine

quando scrive di aver usato «la parola a tutti comprensibile […] lo stile sano, chiaro,

popolare!»36. Questo ci ricorda molto le scelte estetiche wagneriane più volte esposte

36 Ivi, p. 32

Page 43: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

43

in queste pagine. Ne Gli dei in esilio Heine parla di quelle leggende diffuse durante il

Medioevo delle quali sono protagonisti i vecchi dei pagani che, caduti dal loro trono

olimpico, si ritrovano a dover sopravvivere tra le insidie del mondo. E allora avremo

Apollo allevatore di bestiame, Marte soldato mercenario, Bacco che continua a

tenere le sue feste su isole segrete spaventando i barcaioli, Mercurio mercante di

denari e di anime, Nettuno che emerge dal mare ad ammonire i naviganti di

passaggio all’Equatore e infine Giove, il re degli dei, relegato a fare vita da eremita

in un’isola al Polo Nord. Quello del dio in esilio sarà un tema che avrà forte presa in

Wagner. Basti pensare al Wotan del Ring. Ci viene qui in aiuto ancora una volta

Adorno: uno degli ultimi capitoli del suo saggio porta il titolo Dio e mendicante. In

esso Adorno parla di come nella figura di Wotan possa vedersi un percorso di

decadenza dal grande Dio, temuto e rispettato, a un mendicante, che vaga per le

contrade offrendo la propria saggezza, ma senza più incutere alcun timore. È la

liberazione dell’uomo dal mito, che sappiamo essere un momento importante anche

nella filosofia di Adorno. Potrebbe esserci qui una contraddizione, si potrebbe

obiettare che Wagner aveva sempre difeso il mito. Tuttavia mostrare la caduta del

dio assume il significato di una nuova pietà verso quelle grandi culture del passato,

che dal suo podio di borghese Wagner non può più considerare attuali, ma che

innalza comunque sull’altare della propria arte.

Ma torniamo alla nostra questione. Abbiamo visto che le tematiche e le idee

poetiche di Heine coincidono con quelle di Wagner. Heine è però anche una fonte

diretta per il dramma di cui ci stiamo occupando. La parte finale del suo saggio sugli

Spiriti elementari affronta infatti proprio la leggenda di Tannhäuser e lo scritto si

chiude con un poemetto di Heine su questo soggetto. Nella descrizione della

leggenda da parte di Heine troviamo di nuovo il personaggio di Eckart, che

ammonisce contro i pericoli celati dal monte. Heine quindi ci narra la leggenda e poi

ci dice dove ha letto il canto popolare che la tramanda. La fonte primaria è ancora il

libro di Kornmann, ma Heine parla anche dell’opera Blocksberg-Verrichtung (1668)

di Praetorius, da cui la leggenda sarebbe arrivata nella raccolta di Arnim e Brentano.

Anche Heine, come in seguito Wagner, è colpito dalle «parole superbamente

Page 44: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

44

semplici, piene di una forza originaria»37 del canto popolare. Le versioni di questo

canto sono molte, ma Heine ne nomina qui un’altra che sarebbe pervenuta a lui

attraverso Bechstein, intitolata Il canto di Danhauser, che confluirà nella raccolta

Die Sagen von Eisenach und der Wartburg, dem Hörsselberg und Reinhardsbrumm

(1835). Anche questa versione fu molto probabilmente letta da Wagner e se non

viene trattata in modo più approfondito in questo lavoro è per la minore portata del

suo autore e perché in sostanza si pone sulla stessa linea della raccolta di Arnim e

Brentano e di quella dei Fratelli Grimm.

Il saggio Gli spiriti elementari si chiude dunque con la versione di Heine della

ballata di Tannhäuser, che era già apparsa nel Salon. Lo scopo della canzone,

dichiarato nella prima strofa, è quello di mettere in guardia i buoni cristiani dalle

astuzie di Satana. Il poemetto è diviso in tre parti. La prima di esse è formata dal

nucleo centrale delle ballate precedenti, che riguarda il dialogo tra Tannhäuser e

Venere. La novità della versione di Heine sta nelle altre due parti del poema. La

seconda è la confessione di Tannhäuser al papa Urbano, in cui il cavaliere dichiara

apertamente il suo amore smisurato e incontrastabile per Venere. Il tono è lirico e la

poesia tocca in questo punto delle vette altissime, è il momento più bello del poema.

Vale la pena riportare alcuni versi:

Io la amo, la amo con tutte le mie forze38

nulla può frenare il mio amore.

Esso è come una cascata impetuosa,

la cui forza nessun uomo può arginare.

Balza in avanti di roccia in roccia

romba e spumeggia ancora.

Si romperebbe il collo mille volte

pur di non rallentare il proprio corso.

Se il cielo sconfinato fosse mio,

37 Ivi, p. 22. 38 Si riferisce a Venere.

Page 45: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

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solo a lei lo donerei tutto,

le darei il sole, le darei la luna

le darei ogni stella che splende.

Io la amo, la amo con tutte le mie forze

come una fiamma che mi divora

è forse già questo il fuoco dell’inferno

che arde e brucia in eterno?

Sembra quasi che Tannhäuser, preso dalla foga della rievocazione della sua

amata, si sia dimenticato che sta parlando al papa per ottenere l’assoluzione.

Tannhäuser sta cantando le lodi del peccato e della lussuria davanti al vicario di

Cristo. Una volta ascoltate simili parole Urbano non può far altro che dichiararlo

dannato in eterno. Questa situazione ricorda quella che viene a crearsi quando il

Tannhäuser wagneriano canta le lodi dell’amore carnale durante la tenzone dei

cantori. Lo scandalo suscitato a queste parole nel papa e nei cavalieri della Wartburg

deve essere lo stesso. In entrambi i casi Tannhäuser sembra completamente preso

come in un incantesimo, un fascino irresistibile, che annulla la sua sfera razionale e

inibitoria. L’ultima parte del poema ha un tono completamente diverso: Tannhäuser,

incassato il rifiuto del papa, torna da Venere. La dea gli chiede di descriverle i luoghi

che ha visitato nel viaggio di ritorno da Roma e lui glieli elenca. In questa sezione

del componimento entra in gioco l’ironia di Heine. Attraverso un evidente

anacronismo il poeta si riferisce con salace sarcasmo ad eventi e personaggi a lui

contemporanei. Il poemetto si chiude così su questa nota ironica, dopo la grande

effusione lirica della seconda parte. D’altronde la commistione tra il registro lirico e

quello ironico è un ingrediente tipico della poesia di Heine.

Il personaggio di Tannhäuser appare infine in un altro testo che Heine scrive in

quegli anni, la pantomima La dea Diana. Nel primo quadro alcune ninfe stanno

danzando attorno alla statua della dea quando arriva Diana stessa inseguita da un

cavaliere, i due danzano assieme e arrivano anche Apollo e le Muse. Ci sono qui

molti elementi che abbiamo già incontrato: il cavaliere, la dea, la statua e la natura.

Page 46: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

46

Nel secondo quadro il cavaliere è nel suo castello con la moglie. Nel mezzo di un

ballo in maschera arriva Diana con Apollo e le Muse e dice al cavaliere di

raggiungerla sul monte di Venere. Ma all’ingresso del Venusberg il cavaliere è

sfidato a duello e ucciso da Eckart. Diana disperata lo porta da Venere, al cui fianco

sta l’amato Tannhäuser. Qui Apollo riesce a riportare in vita il cavaliere e la

pantomima si chiude tra scene di giubilo. Venere posa la propria ghirlanda di rose sul

capo di Diana, e quella di Tannhäuser sulla testa del cavaliere. Heine colloca nel

palazzo di Venere, come in una sorta di limbo dantesco, una serie di personaggi che

la credenza popolare ha relegato lì per la loro lussuria. Ci sono Elena, Cleopatra,

Giuditta, Ovidio, Alessandro Magno, Giulio Cesare, Artù e Goethe. Nella pantomima

dunque la figura di Tannhäuser fa solo una piccola apparizione, ma è evidente come

la storia di Diana e il cavaliere sia fortemente imparentata a quella di Venere e

Tannhäuser.

Riassumendo possiamo affermare che l’importanza di Heine per Wagner

consiste in tre elementi: prima di tutto il poemetto di Heine su Tannhäuser è fonte di

ispirazione per il dramma di Wagner; in secondo luogo Wagner condivide con Heine

l’interesse per il paganesimo destituito e per il mito; infine il saggio di Heine offrì a

Wagner una ricca bibliografia, che probabilmente fu il punto di partenza per

approfondire la materia.

2.5 La tradizione italiana: Venere e la Sibilla Appenninica

Abbiamo delineato quelle che sono probabilmente da considerare le fonti dirette

del dramma wagneriano. Certo è che il tema fu trattato da molti autori non solo in

Germania e non solo nell’Ottocento. Quelle prese in considerazione finora sono le

letture che Wagner non poteva non aver affrontato. È invece poco credibile che egli

conoscesse la tradizione italiana e quella francese in modo approfondito. È tuttavia di

particolare interesse anche questo filone, che ci sposta in un luogo diverso, i Monti i

Sibillini, e in un’epoca successiva, quella a cavallo tra Medioevo e Rinascimento.

Page 47: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

47

Questa tradizione ci consente di capire come all’inizio del Quattrocento la figura

leggendaria di Tannhäuser fosse già talmente consolidata da attraversare i confini

nazionali tedeschi e andarsi a innestare su una precedente tradizione italiana. Il

capitolo è volto proprio ad approfondire questo tema.

I monti Sibillini, al confine tra Marche ed Umbria, prendono il nome da una

montagna, il monte Sibilla, che riveste un ruolo importante nella cultura popolare del

luogo. Narra la leggenda che nella grotta posta sulla cima del monte vivesse la

Sibilla, figura fondamentale per ricollegarci al Tannhäuser. Nella zona sono tutt’ora

vive e tramandate molte leggende riguardo le fate, che sarebbero al servizio della

Sibilla. Si dice che tali fate scendano durante la notte nei paesi per ballare con i

giovani montanari, per poi far ritorno all’alba dalla Sibilla in cima alla montagna.

Questi racconti non sono collegati al nostro tema, ma dimostrano come quella

tradizione sia ancora viva e produca sempre nuovi risultati e ci ricordano come la

fantasia popolare sia una grande fucina di storie. Tali leggende interessarono ben

presto scrittori ed esploratori. La prima testimonianza scritta ci viene dal romanzo Il

Guerrin Meschino di Andrea da Barberino, scritto intorno al 1410 ma edito solo nella

seconda metà del secolo. L’episodio che ci interessa è contenuto nella Parte Quinta

dell’opera. Il Guerrino cerca la maga che dimora sul Monte Sibilla affinché essa gli

sveli, per mezzo delle sue doti profetiche, il nome dei suoi genitori. Un oste lo

accompagna al romitorio situato nei pressi della montagna. I romiti, ascoltate le sue

esigenze, gli consigliano il comportamento da tenere per non essere ingannato dalla

Sibilla e non perdere l’anima: egli deve tenere sempre in mente Gesù e non deve

assolutamente rimanere sulla montagna più di trecentosessantacinque giorni. Entrato

nella buia grotta, il Guerrino la percorre per molto tempo finché incontra Macco, un

peccatore trasformato in serpente. Più avanti trova una porta in ferro che lo

ammonisce di riuscirne entro un anno. Tre bellissime damigelle lo accolgono e lo

portano oltre un’altra porta che immette in un meraviglioso giardino. Nel loggiato

stanno altre magnifiche fanciulle, tra le quali spicca una ancora più bella vestita con

un abito decorato con oro e gemme. È la Sibilla, che gli mostra le ricchezze e gli fa

assaporare i frutti del suo paradiso. La Sibilla dà anche prova delle sue doti di

Page 48: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

48

veggente al Guerrino, senza però rivelargli l’identità dei suoi genitori. Il Guerrino,

irritato, esce dalla grotta senza aver saputo quello che tanto desiderava conoscere,

ossia la verità sulle sue origini. Tornato al romitorio, i monaci gli consigliano di

andare a chiedere perdono al papa. Recatosi a Roma, Guerrino ottiene il perdono.

Anche se Tannhäuser non ottiene il perdono del papa come Guerrino, notiamo già da

questo breve riassunto dei fatti che la storia raccontata da Andrea da Barberino è

praticamente la stessa del cavaliere tedesco, con minime differenze.

Negli stessi anni del resoconto di fantasia di Andrea da Barberino, abbiamo un

resoconto reale riguardo la grotta della Sibilla. Lo scrittore satirico Antoine de La

Sale, affascinato dalla leggenda, salì infatti fino alla Grotta della Sibilla nel maggio

del 1420, soggiornandovi qualche giorno. Da questa esperienza trasse la materia per

un racconto sulla Sibilla appenninica. L’episodio è narrato in Le Paradis de la Reine

Sibylle (1444), contenuto nel libro intitolato La Salade. Dopo la lunga risalita della

montagna, De la Sale racconta di essere arrivato nella grotta e riferisce di aver visto

nella prima camera alcuni sedili intagliati nella pietra, con molti nomi incisi come

quello di Thomin de Pons e di Her Hans Wanbrambourg. La presenza di queste

incisioni confermerebbe che alcuni cavalieri tedeschi erano arrivati alla grotta già

prima di quell’epoca. De la Sale, oltre ad aver visitato la grotta, raccolse anche le

leggende sulla Sibilla presso gli abitanti di quei luoghi e usò questo materiale per il

suo racconto.

La figura della Sibilla della leggenda ci ricorda molto da vicino quella di Venere.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a una figura diabolica di donna che risiede su

una montagna, dove trattiene con l’inganno giovani cavalieri. La storia di Venere-

Sibilla ci permette di compiere un viaggio tra letteratura e leggenda, tra l’Italia, la

Francia e la Germania, inserendo la storia di Tannhäuser in un contesto decisamente

europeo. Questo filone apre una serie di interrogativi che però si perdono nel passato

e offrono poco alla materia del nostro studio, ossia l’opera di Wagner. Abbiamo detto

che Venere rappresenta il polo del paganesimo, ma se ora la mettiamo in rapporto

alla Sibilla scopriamo che anche qui l’elemento cristiano e quello pagano risultano

intrecciarsi. Già nell’alto Medioevo la Sibilla entra nella liturgia ufficiale della

Page 49: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

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Chiesa come preannunciatrice della nascita di Cristo. Se ci spostiamo nella geografia

reale, quella dei Monti Sibillini, troveremo accanto alla grotta della Sibilla, dove si

riteneva che la profetessa vivesse, il lago di Pilato, uno dei personaggi di primo piano

dei Vangeli. Inoltre non possiamo ignorare che spesso nei pressi delle grotte delle

profetesse pagane siano sorte le grotte sedi di culto e di devozione cristiana: basti

pensare alla grotta si San Michele Arcangelo sul Gargano e a quella della Madonna

di Lourdes. Questo fenomeno rientra a pieno titolo nel processo di cristianizzazione

dei riti pagani più volte descritto dagli storici delle religioni e ci ricorda anche gli dei

esiliati di Heine. Nelle arti figurative la Sibilla come preannunciatrice di Cristo è un

tema che si ripete in moltissimi pittori, tra cui Michelangelo, Raffaello, Ghirlandaio e

Pinturicchio. Nel Pastore di Erma, risalente alla prima metà del II secolo d.C.,

abbiamo la prima menzione cristiana della Sibilla. San Giustino la cita qualche anno

dopo come autorità profetica, seguito dal suo discepolo Taziano l’Assiro e da Teofilo

di Antiochia. Ma il processo di cristianizzazione trova un intoppo quando le grotte

delle Sibille diventano, nella fantasia popolare, luoghi di perdizione e i loro abitanti

sono trasformati in demoni. La Sibilla Appenninica, ossia colei che confonderà i

propri tratti con quelli della Venere del Tannhäuser, non è tuttavia tra le profetesse

antiche e la sua grotta presso i monti Sibillini non è luogo di culto in epoca classica.

La leggenda della Sibilla Appenninica nasce dunque in ambito popolare durante il

Medioevo. Antoine de la Sale, come già ricordato, raccoglierà nel 1420 tale leggenda

dai racconti della popolazione locale, prima di compiere la sua spedizione presso la

Grotta della Sibilla. Questa Sibilla trova dunque i suoi natali nella fantasia del popolo

medievale. Fernand Desonay, che si è occupato approfonditamente della materia39,

ha proposto una derivazione di questa Sibilla dalla figura della Cibele, ma la tesi è

poco convincente. La Sibilla dei monti Sibillini è nella fantasia popolare una figura

dannata, una donna costretta fino al giudizio a dimorare in cima alla sua montagna.

In questo già possiamo notare i primi tratti che allontanano questa Sibilla dalle

Sibille cristiane, derivate dalla tradizione classica. Quello che manca ancora, e che

39 Cfr. Desonay, Le Paradis de la Reine Sibylle, Paris 1930

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deriva dalla tradizione germanica, è il carattere sensuale di questa figura. Se

aggiungiamo questo ingrediente ci accorgiamo di come la Sibilla Appenninica

finisca per coincidere con la Venere del Tannhäuser. Ma questa è più di una

semplice supposizione a posteriori. A dare ragione all’identificazione e a dimostrare

l’intrecciarsi già nel Medioevo delle due figure sono gli stessi testi italiani. Ne Il

Guerrin Meschino di Andrea da Barberino la Sibilla Appenninica svolge la stessa

funzione di Venere e ne ha tutti i caratteri. Il romanzo di Andrea da Barberino risale

agli inizi del XV secolo e dimostra quindi come la leggenda italiana e quella tedesca

risultassero sovrapposte già a quell’epoca. In Andrea da Barberino Sibilla/Venere ha

una caratteristica che però manca nelle fonti tedesche e che deriva dalla tradizione

classica e cristiana, cioè la profezia. La colpa della Sibilla Appenninica, scrive

Andrea da Barberino, è quella di essere stata invidiosa di Maria e di aver ritenuto di

essere più degna di diventare la madre di Cristo. In questo elemento troviamo quella

contrapposizione tra Venere e Maria che appare nel dramma di Wagner, ma non

sappiamo quanto il riferimento fosse consapevole. In Andrea da Barberino la Sibilla

che il protagonista del romanzo incontra ha sia il dono della profezia, caratteristica

della tradizione italiana classica e cristiana, sia il carattere della sensualità, innestato

attraverso la tradizione germanica di Venere. Indagando la personalità e l’opera

dell’autore del Guerrin Meschino, scopriamo che tutti i suoi romanzi altro non sono

se non trasposizioni di romanzi francesi, a volte andati perduti. Possiamo allora

ipotizzare la presenza di qualche fonte a noi ignota, che abbia portato nel romanzo di

Andrea da Barberino gli elementi del paradiso e del cavaliere gaudente forse

passando per la Francia. È una prova di questo passaggio intermedio francese, o

secondo altri critici svizzero, il fatto che nel romanzo di Antoine de la Sale

l’influenza del motivo germanico si fa ancora più palese. Qui il monte degli

Appennini è del tutto trasformato in un Venusberg e la Sibilla ha perso il suo

carattere profetico ed è soltanto la dea della voluttà.

Dalla tradizione italiana dunque Wagner riprese, quasi sicuramente

inconsapevolmente, una serie di elementi che abbiamo già visto intrecciarsi con le

leggende germaniche. In questo campo però dobbiamo arrenderci, almeno con la

Page 51: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

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documentazione attuale, a non avere delle certezze. Il fatto di chiudere questa ricerca

proprio con un momento irrisolto vuole ricordare che non si è voluto, né si sarebbe

potuto, esaurire un argomento così vasto, ma solo risolvere alcune questioni intorno

all’origine del dramma di Wagner.

Conclusioni

Quello trattato è un tema estremamente interessante, che permetterebbe di

sfruttare una serie di spunti ben più vasta di quella che qui è possibile approfondire.

Studiare le leggende ha sempre qualcosa di inesauribile ed estremamente

affascinante. L’aspetto più bello di questi studi è forse che essi uniscono il lavoro in

biblioteca al lavoro sul campo. Le leggende toccate sono però tante e sarebbero

potute diventare ancora di più. Ho cercato di non cedere troppo a queste spinte

centrifughe e a restare a quello che mi ero prefisso. Lo scopo, si è detto all’inizio, era

quello di individuare le fonti del dramma di Wagner. Abbiamo visto come il

compositore si sia rifatto a un materiale leggendario molto vasto e molto rielaborato

già nell’epoca in cui compose il suo dramma. Questo patrimonio popolare costituisce

una sua fonte importante in funzione della sua scelta estetica di voler trattare il

puramente umano, cioè una materia depurata dalle contingenze della storia e che

mostri l’uomo e i suoi sentimenti allo stato naturale. Ma entra qui in gioco uno dei

tipici conflitti wagneriani: nella sua natura di artista prevalentemente e fino in fondo

borghese egli non poté fare a meno di legarsi, volente o nolente, alla cultura a lui

contemporanea. Ecco allora che emergono le fonti moderne. C’è Tieck: anche se

Wagner ne rifiutò l’estetica, la sua opera gli era nota. C’è poi Heine, che ribadisco

essere a mio parere la fonte più importante. Se Tieck è una fonte rifiutata, Heine è la

fonte nascosta. In lui Wagner riprese l’attenzione per gli dei pagani e la liricità della

figura di Tannhäuser. Ci sono poi – come abbiamo visto – Hoffmann, Arnim e

Brentano e i fratelli Grimm. Questi sono stati gli autori trattati, ma – come si è forse

Page 52: Le fonti letterarie del Tannhäuser di Wagner

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dedotto – la ricerca sarebbe potuta essere estesa a tanti altri autori minori, che magari

avrebbero offerto altre sorprese anche alla luce della genesi del dramma wagneriano.

Quello che si è voluto dimostrare è come il Tannhäuser di Wagner sia la sintesi

di tanti elementi e tanti contributi, il canto del cigno di una lunghissima tradizione,

che affonda le sue radici nella storia della cultura europea. E forse allora Wagner può

dire davvero di aver raggiunto il puramente umano, avendo toccato con la sua storia

le fondamenta della cultura. Quello che si tocca nel dramma è il momento in cui

l’uomo prese coscienza di sé e si emancipò dalla condizione animale. Questo è il

momento fondamentale e originario di cui ci parla la vicenda di Tannhäuser, ciò da

cui ogni cosa è nata, quello che il mito prova a portare alla luce e spiegare. In fondo è

una domanda esistenziale, alla quale Wagner ha tentato di dare la sua risposta

attraverso la sua arte.