Le donne ai vertici della cosca La moglie e la figlia del defunto boss Di Falco gestivano il sodalizio e preparavano la vendetta Il controllo della ‘famiglia’ su tutti gli affari illeciti di Acerra L’accusa: la città è inesorabilmente asservita ai clan. Non si muove foglia senza il loro consenso di Francesco Parlato ACERRA - Donne di camorra quasi più feroci degli uomini, di chi ammazza. Le donne ancora più feroci degli uomini del clan. E’ lo scenario che è emerso nel corso di intercettazioni ambientali e telefoni- che che hanno portato all’arresto di 21 persone appartenenti al clan De Falco-Di Fiore di Acerra. Giovanna Terracciano , trentanove anni, ed Elvira De Falco, appena venti anni, rispettivamente moglie e figlia di Ciro De Falco (ucciso in un aggua- to il 26 ottobre 2006, ndr) dimostra- no “ferocia” in più occasioni. La mamma, infatti, non esita a esortare i componenti del commando di fuoco a “colpire in faccia la vitti- ma”, ossia Luigi Borzacchiello che fu effettivamente freddato con una gragnola di proiettili al volto. La figlia, invece, “cinica e incurante del dolore” per la morte del padre avvenuta poche ore prima, si affretta a stabilire il nuovo assetto criminale del territorio: “...Non è cambiato nulla - dice durante un’inter- cettazione - i soldi di mio padre li mangiamo sempre noi, Acerra è sempre di mio padre, lo devono capire questa gente”. L’impressionante carica di odio e di ranco- re mettono in evidenza quale sia l’unico obietti- vo a cui punti la ragazza: i proventi economici e i proventi illeciti conse- guiti attraverso l’attività di controllo del territo- rio. Una carica di odio che ispira tutto, e che il coordinatore della Dda di Napoli, Franco Roberti, definisce “impressionan- te”, soprattutto perchè “il primario e immediato obiettivo non è la vendetta, piutto- sto gli interessi economici”. Lo dimostrano le parole, intercettate, delle donne del clan De Falco-Di Fiore, decimato con 21 arresti. C’è poi la figlia del capo clan De Falco, Elvira. Poco importa se il padre era stato appena ammazzato in un agguato. Quello che contava, per lei, era rendere chiaro a tutti che il nuovo assetto criminale del territo- rio sarebbe stato comunque nelle mani della famiglia. Omicidi, agguati, anche il progetto di mettere a segno una strage per decimare il clan opposto. Un clan che, secondo quanto accertato dalla Dda di Napo- li, aveva l’assoluto dominio sulle attività illecite ad Acerra. L’indagi- ne partì a seguito dell’omicidio del capo clan Ciro De Falco, avvenuto ad Acerra nell’ottobre del 2006 e che scatenò una serie di risposte e di agguati contro il clan opposto a cui erano legati i componenti della famiglia Tedesco. Ieri l’operazione Congo - così chiamata dal nome del quartiere dominato dal clan - ha disarticolato il potente gruppo camorristico. In manette, infatti, sono finiti i reggenti del clan dal 2006: il figlio di Ciro De Falco, Impero, e il genero, Pasquale Di Fiore. Loro e l’intero clan, secondo l’accusa, avevano tentato di uccide- re Antonio Tedesco, altri esponenti del clan opposto: soprattutto aveva- no programmato una vera e propria strage, procurandosi tritolo da uti- lizzare con innesco comandato a distanza, contro i ‘nemici’; strage sventata grazie al lavoro della Squa- dra mobile di Napoli. Nonostante la morte del capo Ciro De Falco, e nonostante i cinquanta arresti dispo- sti in passato dalla stessa Procura di Napoli, il clan era stato capace immediatamente di riorganizzarsi. Ora mancano all’appello tre perso- ne: sono irreperibili, non sono state trovate. ACERRA (marces) - Una realtà crimina- le “avida ed invadente”, “infiltrata in ogni settore della vita produttiva della cit- tadina campana”, che ha “asservito alle loro esigenze” un intero territorio, a tal punto che “lo Stato è tenuto fuori”, “la giustizia è domestica ed amministrata dai camorristi”, e i cittadini onesti convivono ormai con una “rassegnata sfiducia che li spinge a cercare soddisfazione fuori dai commissariati e dalle caserme, convinti che una scelta alternativa garantirà un più sicuro e rapido riconoscimetno del loro diritto”. Sono parole che fanno male, quelle che il giudice per le indagini preliminari Antonella Terzi della seconda sezio- ne penale del tribunale di Napoli ferma nell’ordinan- za di custodia cautelare in carcere emessa contro capi e gregari, tali o presunti, dei clan De Falco-Di Fiore e Mariniello. Che lasciano intonti, sbalorditi, doloranti. Perché è difficile accettare che un intero comune sia diven- tato una sorta di “buco nero” senza che negli anni non si sia riusciti a fermare la “pervavisiva infiltrazione” della camorra. E perché a tratteggiare questo scenario è un esponente della legge che non può fare altro che constatare come Acerra sia “ine- sorabilmente” asservita ai clan, e che lì “non si muove foglia che essi non voglia- no”. Impossibile immaginare che ciò sia reale, eppure è così che stanno i fatti. Il boss pentito Giovanni Messina lo spiega bene nell’interrogatorio reso il tredici novembre scorso. La forza di una cosca la si vede dalla sua capacità di assoggettare il territorio, dal piegare imprenditori e com- mercianti alla propria volontà. E l’ex padrino del clan Piscopo-Gallucci offre un quadro impietoso della situazione: “Il sistema delle estorsioni sul territorio di Acerra è molto semplice: i piccoli com- mercianti, vale a dire i gestori di bar e di piccoli negozi sono esclusi dal pagamento di compendi estorsivi. Vi sono poi i titola- ri di fabbriche e supermercati, circa una trentina, che pagano tre volte l’anno, a seconda delle rispettive capacità economi- che. Accomunati a questi ultimi vi sono i piccoli padroncini, cioè coloro che lavora- no a cottimo nel settore edilizio. Vi sono infine gli imprenditori edili, grossi costrut- tori. Questi devono corrispondere una quota percentuale pari al 4% sull’importo dei lavori che realizzano, quota che viene corrisposta a rate mensilmente. Sui cantie- ri edilizi si impone anche la fornitura del materiale, che perlopoù viene fornita da Michelangelo Di Giore. Ai costruttori, specie a quelli che hanno realizzato opere nella zona industriale di Acerra, io perso- nalmente imponevo il servizio di trivella- zioni della ditta di Basile Domenico. Sem- pre agli imprenditori veniva imposto di assumere un guardiano dai clan. Altre imposizioni fatte agli imprenditori edili erano quelle di affidare lavori a piccole ditte da noi segnalate”. Ma non è tutto: Giovanni Messina parla anche din un altro business nel quale lui non si è mai cimen- tato. “Un altro sistema di guadagno era quello derivante dalla compravendita di terreni, sistema a cui io non ho mai preso parte. In pratica, si acquistava una per- centuale rispetto al prezzo di vendita sia dall’acquirente che dal compratore”. Non finisce qui. C’era ancora un altro mercato nel quale il clan Di Fiore-De Falco si era lanciato, entrando però in con- flitto con il gruppo rivale dei Mariniello. A parlarne stavolta è il pentito Domenico Delli Paoli nell’interrogatorio reso il 23 aprile dello scorso anno: “Dopo l’omici- dio di Ciro De Falco, il gruppo dei Mari- niello, di cui Luigi Borzac- chiello era uno dei più autorevoli portavoce, stava sottraendo ai Di Fiore sia il mercato dei latticini sia quello della raccolta dei residui ossei presso le varie macellerie della zona, raccolta che garanti- sce un sostanzioso guada- gno... Antonio Di Fiore, fratello di Pasquale, ha l’e- sclusiva della distribuzione dei latticini”. E’ una piovra la malavita acerrana. Le parole dei pentiti restituiscono “immagini di una camorra diffusa come un’erba infe- stante, di luoghi in cui sfuma il confine tra legalità ed illegalità, in cui è la criminalità ad accaparrarsi la massima fetta delle risorse patrimoniali, a strangolare le spo- radiche iniziative dei cittadini onesti, ad imporsi sistematicamente e perentoria- mente ogni qualvolta ci sia anche la lon- tana possibilità di un profitto”. LE INDAGINI “ Il giudice Terzi L’allarme La mala è infiltrata in ogni settore della vita produttiva dell’intera popolazione Lo Stato è tenuto fuori, la giustizia è domestica ed amministrata dai camorristi “ Il pentito Il collaboratore di giustizia Giovanni Messina ha rico- struito gli affari illeciti della cosca e come era gestito il racket delle estorsioni La consorte del ras assassinato esortava i killer del commando ad uccidere Borzacchiello centrandolo al volto SCACCO ALLA MALA In primo piano ACERRA (marces) - Non c’è in Cam- pania, una struttura delinquenziale, piccolo grande che sia, che non si identifichi con una zona della città. I Sarno sono quelli del rione De Gaspe- ri di Ponticelli, i Gionta di Torre Annunziata quelli di Palazzo Fienga, i Cuccaro quelli del corso Sirena a Barra. E i De Falco-Di Fiore sono quelli del “Congo”. Ma non solo nel senso che essi abitano al “Congo”. “Si può dire - scrive il giudice per le inda- gini preliminari Antonella Terzi della seconda sezione penale del tribunale di Napoli nell’ordinanza emessa ieri mat- tina contro i clan Di Fiore-De Falco e Mariniello - che essi sono il Congo. Tutto quanto accade nel quartiere rientra nel loro esclusivo ed ineludibi- le controllo. I piccoli criminali, estra- nei a contesti associativi, sono, dal canto loro, proni alle decisioni del clan, cui si rapportano con timorosa referenza e dal quale, senza reagire, ricevono sovente esemplari punizioni”. Ne sanno qualcosa un ladro e uno sfa- sciacarrozze finiti nel mirino dei camorristi. Il 23 aprile il pentito Domenico Delli Paoli racconta un aneddoto sulla violenza con la quale il gruppo reagiva agli ‘sgarr’ dei piccoli delinquenti: “In questi contesti si col- loca anche un tentato omicidio ai danni di tale Carmine Selvaggio, detto ‘o nuccio, un piccolo ladro di auto e di appartamento che si circonda di un gruppo di albanesi che lavora per lui. La sera del quarantaduesimo com- pleanno di Ciro De Falco, vennero a fare gli auguri Salvatore Nolano accompagnato da Gennaro Nuzzo, Pasquale Zito e altri. Al Nolano il De Falco disse di essere dispiaciuto con lui perché non riusciva a tenere a freno Selvaggio, che proprio in quei giorni aveva rubato una macchina di una persona vicina al De Falco pro- prio nella zona del Nolano. Il Nolano replicò che gli avrebbe dato immediata soddisfazione, facendo andare a spa- rare, quella sera stessa, al Selvaggio, il Nuzzo e lo Zito lì presente. Si seppe poi che l’azione non andò a buon fine perché il Selvaggio riuscì a scappare”. Dello stesso tenore è il racconto offer- to dal boss pentito Giovanni Messina sulla punizione inflitta dal clan allo sfasciacarrozza Luigi Allocca, che però ci rimise la vita. “Allocca - ha dichiarato il pentito il 13 novembre - gestiva uno sfasciacarrozze ma soprat- tutto si occupava di cosiddetti cavalli di ritorno. Gestiva un piccolo gruppo di ladruncoli provenienti dal rione Salicelle di Afragola che per suo conto operavano furti di autovetture che lui provvedeva a restituire dietro compen- so alle vittime. L’Allocca era uno molto spregiudicato, che non portava rispetto nemmeno per noi dei vari gruppi insediati sul territorio. Più volte è stato richiamato per i suoi atteggiamenti. Se noi del clan De Sena non lo abbiamo ucciso è perché c’era una parentela tra lui e una nostra per- sona. Non nego che in qualche occa- sione, anche da me, è stato picchiato. Ad uccidere Allocca sono stati sicura- mente Antonio Di Buono e Vincenzo Brucci”. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Delli Paoli e Messina IL RETROSCENA Non rispettavano le direttive dei clan: un carrozziere ucciso dai Di Buono, un ladro scampò ad un agguato dei De Falco Antonio Papa Pasquale Scudiero Vincenzo Papa Gennaro Tagliaferri Antonio Mariniello Vincenzo Schiavone Giovanna Terracciano Aniello Scudiero Vincenzo Terracciano Pasquale Di Fiore Elvira De Falco Impero De Falco Antonio Di Fiore Carmine Afelba Francesco Di Matteo Domenico Basile Sebastiano Franzese Erminio Crisci Antonio Lugesi CRONACHE di NAPOLI 16 Martedì 5 Febbraio 2008 pag16.qxd 04/02/2007 23.28 Pagina 1