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Corso di Laurea in Matematica – Università di Bari
A.A. 2016–2017
Le dispense del corso diIstituzioni di Analisi Superiore n.
1
Prof. Enrico Jannelli
Prof. Lorenzo D’Ambrosio
Argomenti:
Il teorema di Severini–Egoroff . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . 1
Alcune proprietà dell’integrale di Lebesgue . . . . . . . . . .
. . . 2
Gli spazi Hs(T ) e Hs(TN ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . 5
L’indice di un circuito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . 12
Funzioni armoniche e loro proprietà . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . 17
Programma del corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . 26
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Il teorema di Severini–Egoroff
Com’è noto dall’analisi elementare, la convergenza uniforme di
una successione difunzioni implica la convergenza puntuale. In
questa sezione presentiamo un teorema chesi occupa, in un certo
senso, dell’implicazione inversa.
Definiamo, preliminarmente, cosa vuol dire che una successione
di funzioni misurabilia valori complessi fn, definite su uno spazio
di misura X con misura µ, converge quasiuniformemente verso una
funzione f : X → C.Definizione – Diremo che fn converge quasi
uniformemente a f se, per ogni ε > 0, esisteun insieme
misurabile Eε ⊂ X, con µ(Eε) < ε, tale che fn → f uniformemente
in E
cε .
Osserviamo innanzitutto che, se fn → f quasi uniformemente,
allora fn → f quasiovunque. Infatti, per ogni k ∈ N esiste Ek tale
che µ(Ek) < 1k e fn → f uniformemente suEck; pertanto, se x̄ ∈ X
è un punto in cui fn(x̄) 6→ f(x̄), necessariamente x̄ ∈ Ek ∀k,
ovvero
x̄ ∈ E = ∩kEk, e la nostra asserzione segue dall’osservare che
µ(E) = lim
kµ(Ek) = 0.
Il teorema che segue afferma che, se µ(X)
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Alcune proprietà dell’integrale di Lebesgue
La prima proposizione di questa sezione riguarda una proprietà
dell’integrale di Le-besgue, nota come “assoluta continuità
dell’integrale”:
Proposizione 1 – Sia (X,M, µ) uno spazio di misura, e f ∈ L1(µ).
Allora
(1) ∀ε > 0 ∃ δ > 0 :∫A
|f | dµ < ε ∀A ∈M tale che µ(A) < δ .
Dim.
Fissiamo ε > 0 e, per ogni n ∈ N, definiamo fn come la
troncata al livello n–simo di f ;più precisamente, poniamo
fn(x) =
{f(x) |f(x)| ≤ n;n f(x)|f(x)| |f(x)| > n.
La successione |f − fn| converge a zero q.o. in X, ed è
dominata da |f |, cioè |f − fn| ≤ |f |;per il teorema della
convergenza dominata
∫X|f − fn| dµ → 0, e quindi ∃n ∈ N tale che∫
X|f − fn| dµ < 12ε; a maggior ragione,
∫A|f − fn| dµ < 12ε per ogni insieme misurabile
A ⊂ X.Scegliamo ora δ =
ε
2n, e sia A un qualsiasi insieme misurabile di X tale che µ(A)
< δ.
Si ha ∫A
|f | dµ ≤∫A
|f − fn| dµ+∫A
|fn| dµ <1
2ε+ µ(A)n < ε
In sostanza, la proposizione precedente asserisce che, se f ∈
L1, l’integrale di |f |,ristretto a insiemi di misura
opportunamente piccola, è piccolo. Qualcosa di simile accadeanche
“all’infinito”, ovvero integrando la funzione su insiemi che siano
complementari diinsiemi opportunamente grandi, ma di misura
finita:
Proposizione 2 – Sia (X,M, µ) uno spazio di misura, e f ∈ L1(µ).
Allora
(2) ∀ε > 0 ∃B ∈M : µ(B) 1
n}
e osserviamo che ciascun An è un insieme misurabile di misura
finita, dato che∫X
|f | dµ ≥∫An
|f | dµ ≥ µ(An)n
.
2
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Poiché χAn |f | → |f |, dal teorema della convergenza dominata
segue che∫An
|f | dµ =∫X
χAn |f | dµ→∫X
|f | dµ
e quindi ∫Acn
|f | dµ→ 0 .
Pertanto, fissato ε > 0, esiste n tale che∫Acn
|f | dµ < ε ;
e la tesi della proposizione si ottiene scegliendo B = An
La prossima definizione riguarda una famiglia di funzioni fα che
verificano (1) e (2)uniformemente rispetto a α:
Definizione 1 – Sia (X,M, µ) uno spazio di misura. Una famiglia
di funzioni integrabilifα : X → C si dice equiintegrabile se
verifica le due condizioni seguenti:
∀ε > 0 ∃ δ > 0 :∫A
|fα| dµ < ε ∀A ∈M tale che µ(A) < δ e ∀α ;
∀ε > 0 ∃B : µ(B) 0, e sia δ = δ(ε) > 0 tale che
(3)
∫A
|fn| dµ < ε ∀A : µ(A) < δ, ∀n .
3
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Esiste un insieme B di misura finita tale che∫Bc|fn| dµ < ε
∀n
e quindi, per il lemma di Fatou, ∫Bc|f | dµ ≤ ε .
Essendo B di misura finita, vale in B il teorema di
Severini–Egoroff. Pertanto, esisteC ⊂ B tale che µ(B \ C) < δ e
fn → f uniformemente in C. Dalla (3) risulta∫
B\C|fn| dµ < ε ∀n
e dal lemma di Fatou si ottiene ∫B\C|f | dµ ≤ ε .
Pertanto∫X
|fn − f | dµ =∫C
|fn − f | dµ+∫B\C|fn − f | dµ+
∫Bc|fn − f | dµ ≤∫
C
|fn − f | dµ+∫B\C|fn| dµ+
∫B\C|f | dµ+
∫Bc|fn| dµ+
∫Bc|f | dµ ≤∫
C
|fn − f | dµ+ 4ε .
Essendo µ(C)
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Gli spazi Hs(T ) e Hs(TN)
Come di consueto, indicheremo con T la circonferenza unitaria {z
: |z| = 1}. Il cambiodi variabile z = eit, t ∈ [−π, π] permette di
identificare le funzioni F : T → C come funzioniperiodiche f : R→ C
2π–periodiche, ovvero
F (z) = F (eit) = f(t) .
Indicheremo ancora con dx la misura di Lebesgue divisa per 2π.
Gli spazi Lp(T ) sonodefiniti nel modo usuale:
Lp(T ) ={F : T → C misurabili : ‖F‖p =
(∫ π−π|f(x)|p dx
)1/p
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Definizione 1 – Sia f ∈ L2(T ). Se la successione nf̃(n) ∈ l2,
la funzione f si dicedebolmente derivabile, e la funzione di L2(T
)
f ′(x) =
∞∑n=−∞
inf̃(n)einx (nel senso di L2(T ))
prende il nome di derivata debole di f(x).
Ovviamente, non tutte le funzioni f ∈ L2(T ) risultano
debolmente derivabili, perchèin generale la condizione nf̃(n) ∈ l2
non è soddisfatta. Inoltre, le nostre considerazioniprecedenti
mostrano che, se f ∈ C1(T ), allora f è debolmente derivabile e la
sua derivatadebole coincide con la sua derivata in senso
classico.
Le funzioni di L2(T ) debolmente derivabili costituiscono un
sottospazio di L2(T ) moltoimportante, che indicheremo col simbolo
H1(T ). Lo spazio H1(T ) fa parte di una famigliadi spazi
denominati spazi di Sobolev .
Possiamo dotare H1(T ) di una nuova norma, differente da quella
di L2(T ), che perogni f tenga conto sia di f , sia di f ′. Questa
nuova norma è indotta da un prodottoscalare; precisamente,
definiamo
(1) 〈f, g〉H1(T ) = 〈f, g〉L2(T ) + 〈f ′, g′〉L2(T )
da cui otteniamo
‖f‖2H1(T ) = ‖f‖2L2(T ) + ‖f
′‖2L2(T ) =∫ π−π|f(t)|2 dt+
∫ π−π|f ′(t)|2 dt .
Utilizzando le identità di Bessel e Parseval per f, g e f ′, g′
e tenendo conto dellarelazione f̃ ′(n) = inf̃(n), g̃′(n) = ing̃(n),
otteniamo
(2)
〈f, g〉H1(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2)f̃(n)g̃(n) ;
‖f‖2H1(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2)|f̃(n)|2 .
È immediato riconoscere, a questo punto, che H1(T ), dotato del
prodotto scalaredefinito dalla (1), è uno spazio di Hilbert:
infatti dalla (2) segue che H1(T ) è isomorfo aL2(Z, µ), dove µ è
la misura che, nel punto n, vale (1 + n2).
Vale, inoltre, la seguente
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Proposizione 1 – Le funzioni
(3) un(x) =
{1
(1 + n2)1/2einx
}n∈Z
costituiscono un sistema ortonormale massimale in H1(T ).
Dim.
Dalla definizione di prodotto scalare in H1(T ) discende
immediatamente che il sistema (3)è ortonormale; per mostrare che
è massimale, dobbiamo far vedere che la serie
∞∑n=−∞
f̂(n)un(x)
converge a f(x) nel senso di H1(T ), dove con f̂(n) abbiamo
indicato i coefficienti di Fourierdi f rispetto al sistema
ortonormale (3), e cioè
(4)
f̂(n) = 〈f, un〉H1(T ) =∫ π−π
f(t)
(1 + n2)1/2e−int dt+
∫ π−π
f ′(t)
(1 + n2)1/2(−in)e−int dt =
=
∫ π−π
f(t)
(1 + n2)1/2e−int dt+
∫ π−π
f(t)
(1 + n2)1/2n2e−int dt =
=
∫ π−π
f(t)(1 + n2)1/2 e−int dt = (1 + n2)1/2f̃(n) .
Allora, posto
sN (x) =∑|n|≤N
f̂(n)un(x) =∑|n|≤N
f̃(n)einx
si ha, usando l’identità di Bessel in L2(T ),
‖f − sN‖2H1(T ) = ‖f − sN‖2L2(T ) + ‖f
′ − s′N‖2L2(T ) =∑|n|>N
(1 + n2)|f̃(n)|2 .
Ma, dalla (2), abbiamo che l’espressione∑|n|>N
(1 + n2)|f̃(n)|2
è il resto N–simo di una serie convergente, e dunque può
essere reso arbitrariamente piccolopurchè N sia sufficientemente
grande. Ciò mostra che sN → f in H1(T ), e quindi il sistema(3) è
massimale
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Il concetto di derivata debole si può estendere, ovviamente, a
qualsiasi ordine diderivazione: ad esempio, se f ′ è a sua volta
debolmente derivabile, chiameremo f ′′ la suaderivata debole. In
analogia a quanto visto sinora, definiremo Hk(T ) come il
sottospaziodi L2(T ) costituito dalle funzioni debolmente
derivabili k volte. Esso risulta uno spazio diHilbert se dotato del
prodotto scalare (e della relativa norma)
(5)〈f, g〉Hk(T ) = 〈f, g〉L2(T ) + 〈f ′, g′〉L2(T ) + . . .+ 〈f
(k), g(k)〉L2(T )
‖f‖2Hk(T ) = ‖f‖2L2(T ) + ‖f
′‖2L2(T ) + . . .+ ‖f(k)‖2L2(T )
mentre le relazioni analoghe a quelle espresse dalla (2)
sono
〈f, g〉Hk(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2 + n4 + . . .+ n2k)f̃(n)g̃(n) ;
‖f‖2Hk(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2 + n4 + . . .+ n2k)|f̃(n)|2 .
Osserviamo che, fissato k, esiste una costante positiva Ck tale
che
Ck(1 + n2)k ≤ (1 + n2 + n4 + . . .+ n2k) ≤ (1 + n2)k ;
pertanto, per ogni k ∈ N, è possibile definire un’altra norma,
equivalente a quella indottadal prodotto scalare (5) ed essa stessa
indotta da un prodotto scalare; precisamente, si puòporre
(6)
(f, g)Hk(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2)kf̃(n)g̃(n) ;
‖|f‖|2Hk(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2)k|f̃(n)|2 .
È dunque perfettamente equivalente dotare Hk(T ) di norma e
prodotto scalare definitida (5) o da (6). Le relazioni (6), però,
hanno il vantaggio di poter essere estese al caso diun esponente s
numero reale positivo al posto di k ∈ N. Diamo pertanto la
seguente
Definizione 2 – Sia s ≥ 0. Definiamo
Hs(T ) ={f ∈ L2(T ) : (1 + n2)s/2f̃(n) ∈ l2
}.
Ovviamente H0(T ) ≡ L2(T ), e s′ < s =⇒ Hs(T ) ⊂ Hs′(T ).
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Lo spazio Hs(T ) è dotato di prodotto scalare e di norma
definiti, per analogia con la(6), nel modo seguente:
(7)
〈f, g〉Hs(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2)sf̃(n)g̃(n) ;
‖f‖2Hs(T ) =∞∑
n=−∞(1 + n2)s|f̃(n)|2 .
Anche in questo caso è immediato riconoscere che Hs(T ) è uno
spazio di Hilbert:infatti dalla (7) segue che Hs(T ) è isomorfo a
l2s = L
2(Z, µs), dove µs è la misura che, nelpunto n, vale (1 +
n2)s.
Inoltre, analogamente a quanto visto nella proposizione 1, le
funzioni{1
(1 + n2)s/2einx
}n∈Z
costituiscono un sistema ortonormale massimale in Hs(T ).
Diamo ora un teorema di immersione di Sobolev per gli spazi Hs(T
).
Teorema 1 – Sia s > 1/2. Allora Hs(T ) ⊂ C(T ), ed esiste Cs
1/2, la successione1
(1 + n2)s/2appartiene a l2; anche la successione
(1 + n2)s/2f̃(n) appartiene a l2, per definizione di Hs(T ).
Pertanto la successione dei
coefficienti f̃(n) appartiene a l1, ovvero
∞∑n=−∞
|f̃(n)|
-
‖f‖∞ ≤∞∑
n=−∞|f̃(n)| ≤
≤
[ ∞∑n=−∞
(1
(1 + n2)s/2
)2]1/2 [ ∞∑n=−∞
((1 + n2)s/2|f̃(n)|
)2]1/2=
= Cs‖f‖Hs
Corollario 1 – Sia k ∈ N, e s > k + 1/2. Allora Hs(T ) ⊂ Ck(T
), ed esiste Cs
-
Definizione 3 – Sia s ≥ 0. Definiamo
Hs(TN ) ={f ∈ L2(TN ) : (1 + |h|2)s/2f̃(h) ∈ L2(ZN , µ)
}.
Ovviamente H0(TN ) ≡ L2(TN ), e s′ < s =⇒ Hs(TN ) ⊂ Hs′(TN
).Lo spazio Hs(TN ) è dotato di prodotto scalare nel modo
seguente:
(1) 〈f, g〉Hs(TN ) =∑h∈ZN
(1 + |h|2)sf̃(h)g̃(h) .
In perfetta analogia con il caso unidimensionale, Hs(TN ) è uno
spazio di Hilbert, e unsistema ortonormale massimale in Hs(TN ) è
dato da{
1
(1 + |h|2)s/2eih·x
}h∈ZN
.
Osserviamo, inoltre, che f ∈ Hs(TN ) =⇒ ∂if ∈ Hs−1(TN ).
Il teorema 1, un teorema di immersione, si estende facilmente al
caso N qualsiasi;occorre però prestare attenzione al fatto che
l’esponente oltre il quale si ha immersione inC(TN ) dipende da N
:
Teorema 2 – Sia s > N/2. Allora Hs(TN ) ⊂ C(T ), ed esiste Cs
N , ovvero s > N/2, che è appunto l’ipotesi del teorema
Corollario 2 – Sia k ∈ N, e s > k +N/2. Allora Hs(TN ) ⊂
Ck(TN ), ed esiste Cs
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L’indice di un circuito
In questa sezione esamineremo i concetti topologici di omotopia
e omologia che hannoparticolare importanza per il teorema di
Cauchy.
Ricordiamo che un cammino in C è, per definizione,
un’applicazione di classe C1 atratti da [a, b] a valori in C; γ si
dice circuito (o cammino chiuso) se γ(a) = γ(b). In tuttii casi,
l’immagine γ([a, b]), denotata con γ∗, prende il nome di sostegno
del cammino (odel circuito) γ.
Per definizione, l’indice di un punto z ∈ C \ γ∗ rispetto a un
circuito γ è il numero
Indγ(z) =1
2πi
∫γ
1
ξ − zdξ =
1
2πi
∫ ba
γ′(s)
γ(s)− zds.
È noto che Indγ(z) è un numero intero, che corrisponde, in
valore assoluto, al numerodi volte in cui il circuito γ “si
avvolge” intorno a z; il segno dell’indice è positivo
sel’avvolgimento avviene in senso antiorario e negativo
altrimenti.
Diamo ora la definizione di circuiti omologhi e omótopi.
Definizione 1 – Sia Ω un aperto di C, e siano γ0, γ1 due
circuiti in Ω. Diremo che γ0 eγ1 sono omologhi in Ω se
Indγ0(z) = Indγ1(z) ∀z 6∈ Ω.
Definizione 2 – Sia Ω una regione di C, e siano γ0, γ1 : [0, 1]
→ Ω due circuiti in Ω.Diremo che γ0 e γ1 sono omótopi in Ω se
esiste un’applicazione continua H : [0, 1]×[0, 1]→Ω tale che:
(1)H(·, t) è un circuito ∀t ∈ [0, 1],H(s, 0) = γ0(s), H(s, 1) =
γ1(s) ∀ s ∈ [0, 1].
H prende il nome di omotopia in Ω da γ0 a γ1. Inoltre un
circuito γ : [0, 1] → Ω si diceomotopo a zero in Ω quando esso è
omótopo in Ω a un punto.
Se poniamo γt(s) = H(s, t), allora la (1) definisce una famiglia
a un parametro dicircuiti γt in Ω, che congiunge γ0 a γ1.
Intuitivamente questo significa che γ0 può esseredeformato con
continuità, rimanendo entro Ω, in γ1.
I due concetti di omologia e omotopia sono messi in relazione
dal teorema dell’indiceper circuiti omótopi, al quale occorre
premettere il seguente
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Lemma 1 – Siano γ0, γ1 : [a, b]→ C due circuiti, e sia α ∈ C.
Supponiamo che
(2) |γ1(s)− γ0(s)| < |α− γ0(s)| ∀ s ∈ [a, b].
Allora Indγ1(α) = Indγ0(α).
Dim.
Osserviamo, innanzitutto, che dalla (2) segue che α 6∈ γ∗0∪γ∗1 ,
e dunque ha senso considerarel’indice di α rispetto a γ0 e a
γ1.
Consideriamo il circuito
γ =γ1 − αγ0 − α
.
Risulta
γ′
γ=
γ′1γ1 − α
− γ′0
γ0 − αe, inoltre,
|1− γ| =∣∣∣∣1− γ1 − αγ0 − α
∣∣∣∣ = ∣∣∣∣γ0 − γ1γ0 − α∣∣∣∣ < 1,
il che significa che γ∗ ⊂ D(1, 1), e quindi Indγ(0) = 0. Ma
allora
0 = Indγ(0) =1
2πi
∫ ba
γ′(s)
γ(s)ds =
1
2πi
∫ ba
γ′1(s)
γ1(s)− αds− 1
2πi
∫ ba
γ′0(s)
γ0(s)− αds =
= Indγ1(α)− Indγ0(α)
Teorema 1 – Sia Ω una regione di C, e siano Γ0,Γ1 : [0, 1] → Ω
due circuiti omótopi inΩ. Allora Γ0 e Γ1 sono omologhi in Ω.
Dim.
Sia α 6∈ Ω e sia H(s, t) : [0, 1] × [0, 1] → Ω un’omotopia tra
Γ0 e Γ1 in Ω. In virtù dellacompattezza dell’immagine di H(s, t),
esiste ε > 0 tale che
(3) |H(s, t)− α| > ε ∀ (s, t) ∈ [0, 1]× [0, 1] .
Inoltre, essendo H uniformemente continua (teorema di Cantor),
esiste δ > 0 tale che
(4) |H(s1, t1)−H(s2, t2)| < ε ∀ (s1, t1), (s2, t2) ∈ [0, 1]×
[0, 1] : |s2 − s1|+ |t2 − t1| < δ .
Dividiamo l’intervallo [0, 1] mediante una partizione 0 = t0
< t1 < . . . < tn = 1, in modoche ti−ti−1 < δ, e
poniamo γk(s) = H(s, tk). Ovviamente, γ0 = Γ0 e γn = Γ1.
Utilizzandola (3) e la (4), si ha che
|γ1(s)− γ0(s)| = |H(s, t1)−H(s, t0)| < ε < |α− γ0(s)| ∀ s
∈ [0, 1];
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pertanto, dal lemma 1 segue che
Indγ1(α) = Indγ0(α).
Analogamente
|γ2(s)− γ1(s)| = |H(s, t2)−H(s, t1)| < ε < |α− γ1(s)| ∀ s
∈ [0, 1]
e quindi
Indγ2(α) = Indγ1(α) = Indγ0(α).
Iterando questo procedimento si ottiene la tesi
Il teorema 1 permette, dunque, di scegliere il circuito più
idoneo, dal punto di vistadei calcoli, per calcolare una
circuitazione di una funzione olomorfa f(z); in altre parole,se
f(z) è una funzione olomorfa in una regione Ω, γ è una circuito
in Ω e si vuole calcolare∫γf(z) dz, si può sostituire γ con una
qualsiasi altro circuito γ1 in Ω, purché omótopo a
γ entro Ω, e calcolare∫γ1f(z) dz, che, in virtù del teorema 1 e
del teorema di Cauchy,
risulterà uguale a∫γf(z) dz.
È importante sottolineare che il concetto di omotopia dipende,
oltre che dai circuiti,anche dall’aperto Ω in cui i circuiti hanno
sostegno; ad esempio, in C tutti i circuiti sonoomótopi tra loro.
Molti altri aperti godono di questa importante proprietà, per la
qualeconviene fornire la seguente
Definizione 3 – Una regione Ω si dice semplicemente connessa se
tutti i circuiti in Ω sonoomótopi tra loro.
Equivalentemente, possiamo dire che un aperto Ω è semplicemente
connesso se è con-nesso e se tutti i circuiti sono omótopi a un
punto (e quindi a tutti i punti) di Ω.
Osserviamo che un aperto Ω convesso è semplicemente connesso:
infatti, se γ è uncircuito in Ω e se z0 ∈ Ω, allora la funzione
H(s, t) = (1− t)γ(s) + tz0 è un’omotopia tra γe z0. Per altro, ci
sono aperti semplicemente connessi che non sono convessi: ad
esempio,il piano complesso C privato della semiretta dei reali
positivi.
L’importanza degli aperti semplicemente connessi risiede nel
fatto che, se Ω è sem-plicemente connesso, tutte le circuitazioni
delle funzioni olomorfe in Ω sono nulle, il cheequivale a dire che,
data f(z) olomorfa in Ω, esiste in Ω (unica a meno di costanti
addi-tive) una primitiva F (z) di f(z); inoltre, in un aperto Ω
semplicemente connesso è sempreverificata l’ipotesi IndΓ(α) = 0
per ogni ciclo Γ in Ω e per ogni α 6∈ Ω, pertanto vale laformula
integrale di Cauchy .
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Il principio del massimo modulo
Denotiamo con H(Ω) l’insieme dell funzioni olomorfe in un aperto
Ω di C. Il principiodel massimo modulo afferma che, se Ω è una
regione e f ∈ H(Ω), allora |f | non ammettepunti di massimo
relativo in Ω.
Premettiamo i seguenti due lemmi.
Lemma 1 – Sia Ω una regione di C e f ∈ H(Ω) tale che |f | è
costante in Ω. Allora f ècostante in Ω.
Dim.
Sia |f | ≡M ∈ R in Ω. Supponiamo M 6= 0. Posto u = Re f , v = Im
f , allora si ha
u2(x, y) + v2(x, y) = M2 ∀(x, y) ∈ Ω ⊂ R2,
da cui, differenziando,
(1) uux + vvx = 0, uuy + vvy = 0 in Ω.
Usando le equazioni di Cauchy-Riemann dalle (1) si deduce
(2) uux − vuy = 0, uuy + vux = 0 in Ω.
Moltiplicando la prima delle (2) per u e la seconda per v e
sommando si ha
0 = u2ux + v2ux = M
2ux in Ω,
ovvero
(3) ux = vy = 0 in Ω.
Analogamente, moltiplicando ora la prima delle (2) per u e la
seconda per v e sottraendo,segue 0 = −v2uy − u2uy = −M2uy, da
cui
(4) uy = −vx = 0 in Ω.
Combinando la (3) e la (4) si deduce ∇u = ∇v = 0 in Ω, pertanto,
poiché Ω è connesso, ue v sono costanti in Ω.
Lemma 2 – Sia Ω ⊂ C un aperto, f ∈ H(Ω) e D(a,R) ⊂ Ω. Allora
f(a) =1
2π
∫ 2π0
f(a+Reit)dt.
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Dim.
Sia γ la circonferenza orientata positivamente di centro a e
raggio R, ovvero γ : t ∈[0, 2π] 7→ a+Reit. Dalla formula integrale
di Cauchy si ha
f(a) =1
2πi
∫γ
f(ξ)
ξ − adξ =
1
2πi
∫ 2π0
f(a+Reit)
ReitRieitdt.
Il lemma 2 mostra che, se il disco |z − a| ≤ R è contenuto
nell’insieme di analiticitàdi una funzione, allora il valore della
funzione in a è uguale alla media dei sui valori
sullacirconferenza di centro a e raggio R. Vediamo ora come dal
lemma 2 segue il principio delmassimo modulo.
Teorema 1 – Sia Ω ⊂ C una regione, f ∈ H(Ω) e D(a,R) ⊂ Ω.
Allora
(5) |f(a)| ≤ maxt∈[0,2π]
|f(a+Reit)|.
Inoltre, se nella (5) vale l’uguaglianza, allora f è costante
in Ω.
Dim.
Dal lemma 2 si deduce immediatamente la disuguaglianza (5).
Supponiamo ora che nella(5) valga l’uguaglianza e si ponga M =
maxz∈D(a,R) |f(z)|. Allora esiste z0 ∈ D(a,R) taleche M = |f(z0)|
(se il massimo è assunto sul bordo, basta prendere z0 = a). Sia r
> 0 taleche D(z0, r) ⊂ D(a,R). Per ogni r′ ∈ (0, r), utilizzando
il lemma 2, si ha
M = |f(z0)| ≤1
2π
∫ 2π0
|f(z0 + r′eit)|,
da cui
1
2π
∫ 2π0
(|f(z0 + r′eit)| −M
)dt ≥ 0.
Ma, essendo la funzione integranda non positiva, deve essere
|f(z0 + r′eit)| = M ∀t ∈ [0, 2π], ∀r′ ∈ (0, r),
ovvero
|f(z)| = M ∀z ∈ D(z0, r).
Dal lemma 1 segue che f è costante in D(z0, r). Ricordando che
una funzione olomorfain una regione è determinata dai suoi valori
in un qualsiasi insieme che abbia un punto diaccumulazione in Ω, si
deduce che f è costante in Ω.
16
-
Corollario 1 – Sia Ω una regione di C e f ∈ H(Ω). Allora f è
costante in Ω oppure |f |non ammette punti di massimo relativo in
Ω.
Dim.
Sia a ∈ Ω. Se f non è costante in Ω, dal teorema 1 segue che
ciascun intorno di a contieneun punto b tale che |f(a)| <
|f(b)|.
Corollario 2 – Sia Ω una regione limitata di C e f ∈ H(Ω)∩C(Ω).
Allora maxz∈Ω |f(z)| =maxz∈∂Ω |f(z)|.
Dim.
Per il corollario 1 se f non è costante in Ω allora |f | non ha
punti di massimo relativo inΩ, quindi il massimo di |f | su Ω è
assunto sulla frontiera ∂Ω.
Il teorema 1, applicato alla funzione 1f , fornisce il seguente
risultato, noto come prin-cipio del minimo modulo.
Teorema 2 – Sia Ω ⊂ C una regione, f ∈ H(Ω) e D(a,R) ⊂ Ω tale
che f(z) 6= 0 inD(a,R). Allora
(6) |f(a)| ≥ mint∈[0,2π]
|f(a+Reit)|.
Inoltre, se nella (6) vale l’uguaglianza, allora f è costante
in Ω.
Dim.
Se mint∈[0,2π] |f(a + Reit)| = 0 la (6) è verificata.
Supponiamo f(z) 6= 0 in D(a,R). Percontinuità esiste R′ > R
tale che D(a,R′) ⊂ Ω e f(z) 6= 0 in D(a,R′). Allora risulta1f ∈
H(D(a,R
′)). Possiamo pertanto applicare il teorema 1 alla funzione 1f
:
1
|f(a)|≤ maxt∈[0,2π]
1
|f(a+Reit)|=
1
mint∈[0,2π] |f(a+Reit)|.
Infine, se nella (6) vale l’uguaglianza, allora
1
|f(a)|= maxt∈[0,2π]
1
|f(a+Reit)|.
Dal teorema 1 segue che 1f è costante in D(a,R′), e quindi f è
costante in Ω.
Infine, si hanno gli analoghi dei corollari 1 e 2.
Corollario 3 – Sia Ω una regione di C e f ∈ H(Ω) tale che f(z)
6= 0 in Ω. Allora f ècostante in Ω oppure |f | non ammette punti
di minimo relativo in Ω.
Corollario 4 – Sia Ω una regione limitata di C e f ∈ H(Ω) ∩ C(Ω)
tale che f(z) 6= 0 inΩ. Allora minz∈Ω |f(z)| = minz∈∂Ω |f(z)|.
17
-
Funzioni armoniche e loro proprietà
Definizione 1 – Sia Ω ⊂ RN insieme aperto e u ∈ C2(Ω). Diremo
che u ∈ C2(Ω) èarmonica se
∆u =N∑i=1
∂2u
∂x2i= div(∇u) = 0
In particolare se Ω ⊂ R2 è un insieme aperto, u ∈ C2(Ω) è
armonica se per ogni(x, y) ∈ Ω uxx(x, y) + uyy(x, y) = 0.
Proposizione 2 – Sia Ω ⊂ C aperto ed f ∈ H(Ω). Allora la parte
reale e la parteimmaginaria di f sono funzioni armoniche in Ω.
Dim.
Posto f = u+ iv con u, v : Ω→ R, dalle condizioni (CR), ossia ux
= vy e uy = −vx in Ω,otteniamo che
∆u = uxx + uyy = (vy)x + (−vx)y = vyx − vxy = 0.
Ossia u è armonica. Analogamente, l’armonicità di v
Vale il viceversa come specificato dal seguente
Teorema 3 – Sia Ω ⊂ R2 aperto semplicemente connesso. Sia u ∈
C2(Ω) armonica alloraesiste v ∈ C2(Ω) armonica tale che f = u + iv
∈ H(Ω). Inoltre tale v è unica a meno dicostanti additive.
La funzione v prevista dal precedente teorema si chiama armonica
coniugata di u.
Osservazione 4 – Il teorema precedente continua a valere
invertendo il ruolo di u e v.È immediato verificare che se v è
l’armonica coniugata di u allora la armonica coniu-
gata di v è −u.Le funzioni armoniche definite in aperti di R2
sono, localmente, tutte e sole le parti
reali di funzioni olomorfe.
Corollario 5 – Sia Ω ⊂ R2 aperto e u ∈ C2(Ω) armonica. Allora u
è analitica.
Dim.
[Corollario 5] Sia u ∈ C2(Ω) armonica e sia B ⊂ Ω una palla.
Essendo B semplicementeconnesso, esiste f ∈ H(B) tale che u = Re f
. Pertanto dall’analiticità di f discendel’analiticità della sua
parte reale u in B. data la genericità di B si ha la tesi
Dim.
[Teorema 3] Poniamo h = ux − iuy. h è di classe C1 e valgono le
(CR):
(ux)x = uxx = −uyy = (−uy)y e (ux)y = uxy = −(−uy)x.
Pertanto h ∈ H(Ω). Essendo Ω semplicemente connesso h è dotata
di primitiva H = U+iVe H ′ = Ux + iVx = Ux − iUy = h = ux − iuy.
Ossia ux = Ux e uy = Uy, cioè ∇u = ∇U .
18
-
Essendo Ω connesso, abbiamo che u = U + c per un’opportuna
costante c. Ponendof = H + c abbiamo la tesi.
L’unicità segue dal fatto che se f1 = u+ iv1 ed f2 = u+ iv2
soddisfano la tesi, alloraf1 − f2 è olomorfa a valori immaginari e
pertanto è costante
La semplice connessione è essenziale. Infatti la funzione u =
ln(x2 +y2) è armonica inR2 \{0} ma non esiste alcuna funzione
olomorfa f in C∗ tale che Re f = u. (lo si dimostri).
Definizione 6 – Sia Ω ⊂ R2 aperto. Diremo che u ∈ C(Ω) ha la
proprietà del valor medioo MVP se per ogni P ∈ Ω e r > 0 tale
che B(P, r) ⊂ Ω, risulta
(1) u(P ) = "
∫B(P,r)
u(y)dy =1
|B(P, r)|
∫B(P,r)
u(y)dy .
Si dimostra che u è armonica se e solo se gode della MVP. Noi
ci limiteremo a di-mostrarlo per funzioni di classe C2 definite in
aperti di R2.
Proposizione 7 – Sia Ω ⊂ R2 aperto e u ∈ C(Ω). u soddisfa (MVP)
se e solo se per ogniP ∈ Ω e r > 0 tale che B(P, r) ⊂ Ω
risulta
u(P ) = "
∫∂B(P,r)
u(s)ds =1
2πr
∫∂B(P,r)
u(s)ds.
Dim.
Supponiamo che u soddisfi (MVP); allora, usando le coordinate
radiali, abbiamo
πr2u(P ) =
∫B(P,r)
u(y)dy =
∫ r0
∫ 2π0
ρu(ρ, θ)dρdθ.
Derivando rispetto a r otteniamo
(2) 2πru(P ) =
∫ 2π0
ρu(ρ, θ)dρdθ =
∫∂B(P,r)
u(s)ds .
Viceversa, integrando rispetto ad r la (2) otteniamo la (1)
Definizione 8 – Sia Ω ⊂ RN aperto e u ∈ C(Ω). Diremo che u è
superarmonica se
−∆u(x) ≥ 0 ∀x ∈ Ω.
Diremo che u è subarmonica se −u è superarmonica, ossia se
∆u(x) ≥ 0 ∀x ∈ Ω.
19
-
Teorema 9 – Sia Ω ⊂ R2 aperto e u ∈ C2(Ω). Sono equivalenti:1. u
è subarmonica [risp. superarmonica]
2. per ogni P ∈ Ω e r > 0 tale che B(P, r) ⊂ Ω risulta
(3) u(P ) ≤ "∫
∂B(P,r)
u(s)ds [risp. ≥],
3. per ogni P ∈ Ω e r > 0 tale che B(P, r) ⊂ Ω risulta
(4) u(P ) ≤ "∫
B(P,r)
u(y)dy [risp. ≥].
In particolare u è armonica se e solo se soddifsa (MVP).
Dim.
Dimostriamo gli asserti nel caso in cui u è subarmonica.
1.⇒ 2.Per semplicità supponiamo P = 0. Sia R > 0 tale che
B(0, R) ⊂ Ω. Per ogni
0 < r < R risulta
0 ≤∫
B(0,r)
∆u =
∫B(0,r)
div(∇u) =∫
∂B(0,r)
∂u
∂ν(s)ds =
2π∫0
r∂u
∂r(r, θ)dθ .
Pertanto, per ogni 0 < r < R risulta
2π∫0
∂u
∂r(r, θ)dθ ≥ 0,
che integrata rispetto ad r ∈ [0, R], produce
0 ≤R∫
0
dr
2π∫0
∂u
∂r(r, θ)dθ =
2π∫0
dθ
R∫0
∂u
∂r(r, θ)dr =
2π∫0
(u(R, θ)− u(0))dθ =2π∫0
u(R, θ)dθ − 2πu(0)
Ossia
(5) u(0) ≤ 12π
2π∫0
u(R, θ)dθ = "
∫∂B(0,R)
u(s)ds .
Quindi la (3) è provata.
2.⇒ 3.
20
-
Con le stesse notazioni della precedente implicazione, per
provare la (4) è sufficienteintegrare rispetto a r la (3):
R∫0
2πru(0)dr ≤R∫
0
r dr
2π∫0
u(r, θ)dθ
da cui
πR2u(0) ≤∫
B(0,R)
u(y)dy , ovvero u(0) ≤ "∫
B(P,r)
u(y)dy
2.⇒ 3.Per provare questa implicazione ci serviremo del Teorema
10, dovuto a Pizzetti, che
riveste un interesse in sè. Supponiamo valida la relazione (6),
che dimostreremo successi-vamente. Se u soddisfa la (4) allora
basta passare al limite nella formula di Pizzetti (6)per ottenere
che ∆u(P ) ≥ 0, cioè u è subarmonica
Teorema 10 (Pizzetti) – Sia Ω ⊂ R2 aperto e u ∈ C2(Ω). Per ogni
P ∈ Ω risulta
(6)1
8∆u(P ) = lim
r→0
1
r2
("
∫B(P,r)
u(η)dη − u(P ))
Dim.
Per semplicità sia P = 0. Poniamo η = (x, y). Usando la formula
di Taylor abbiamo che
(7) u(η) = u(0) + (∇u(0), η) + 12Hu(0)(η, η) + g(η)
dove Hu è la matrice Hessiana di u calcolata in 0 e g una
funzione infinitesima di ordinesuperore a 2 in 0, cioè
limη→0
g(η)
|η|2= 0.
Per integrare u(η) in B = B(0, r) basta integrare ogni addendo
della (7). Essendou(0) costante in B risulta
"
∫B
u(0)dη = u(0).
Tenendo conto del fatto che le funzioni x ed y sono dispari su B
abbiamo
"
∫B
(∇u(0), η)dη = 1πr2
∫B
(ux(0)x+ uy(0)y)dxdy =
=1
πr2
(ux(0)
∫B
xdxdy + uy(0)
∫B
ydxdy)
= 0 .
21
-
Infine, se Hu(0) individua la matrice (aij)1≤i,j≤2, allora
Hu(0)(η, η) = a11x2 + a22y
2 +2a12xy. Tenendo presente che la funzione xy è dispari
rispetto ad ognuno degli assi coor-dinati (quindi l’integrale su B
si annulla), che per ragioni di simmetria
∫Bx2 =
∫By2 e la
definizione della matrice a, abbiamo che
"
∫B
Hu(0)(η, η)dη = a11 "
∫B
x2dxdy + a22 "
∫B
y2dxdy = ∆u(0) "
∫B
x2dxdy .
Pertanto, calcolando
"
∫B
x2dxdy =1
πr2
∫B
x2dxdy =1
πr2
r∫0
ρ dρ
2π∫0
ρ2 cos2 θdθ =r2
4
perveniamo alla
1
r2
("
∫B
u(η)dη − u(0))
=1
8∆u(0) +
1
r2"
∫B
g(η)dη .
Per concludere la dimostrazione è sufficiente far vedere
che
limr→0
1
r2"
∫B
g(η)dη = 0 ;
quest’ultima relazione è lasciata al lettore come esercizio
Corollario 11 – Sia u ∈ C2(Ω). Allora u è armonica se e solo
se
limr→0
1
r2
("
∫B(x,r)
u− u(x))
= 0 .
Osservazione 12 – Dal teorema di Pizzetti segue che, cos̀ı come
la super[sub]armonicitàsono condizioni locali, anche le relazioni
(3) e (4), di fatto, sono locali: basta che sianoverificate per
raggi r > 0 sufficientemente piccoli affinché la proprietà
valga per tutti iraggi r per cui B(P,R) ⊂ Ω.
Osservazione 13 – Il teorema di Pizzetti è valido anche in
dimensioni superiori; precisa-mente, se u ∈ C2(Ω) con Ω ⊂ RN
aperto, allora vale la seguente formula di rappresen-tazione:
1
c(N)∆u(P ) = lim
r→0
1
r2
("
∫B(P,r)
u(η)dη − u(P ))
dove c(N) è una costante positiva che dipende dalla sola
dimensione N .
22
-
È possibile dimostrare che le funzioni continue per cui vale
(MVP) di fatto sonopiù regolari, sono C2 e quindi sono armoniche.
Enunciamo senza dimostrarlo il seguenteteorema
Teorema 14 – Sia u ∈ C(Ω) e soddisfi (MVP). Allora u ∈ C2(Ω) ed
è armonica.
Utilizzando la caratterizzazione delle funzioni armoniche
attraverso la loro media èsemplice dimostrare il seguente classico
risultato:
Teorema 15 (Teorema di Liouville per funzioni positive) – Se u ∈
C(RN ) soddisfa(MVP) ed è non negativa, allora è costante.
Dim.
Siano ξ, η ∈ RN e poniamo δ = |ξ − η|; sia inoltre r > 0.
Poiché u ≥ 0 abbiamo che∫B(ξ,r)
u(y)dy ≤∫
B(η,r+δ)
u(y) dy
e pertanto, poiché vale (MVP), per ogni r > 0 si ha che
u(ξ) =1
|B(ξ, r)|
∫B(ξ,r)
u(y) dy ≤ 1|B(ξ, r)
∫B(η,r+δ)
u(y) dy =
=|B(η, r + δ)||B(ξ, r)
1
|B(η, r + δ)|
∫B(η,r+δ)
u(y) dy = (r + δ
r)Nu(η) .
Facendo tendere r → +∞ si ha che u(ξ) ≤ u(η). Invertendo il
ruolo di η e ξ abbiamo cheu(ξ) = u(η), da cui la tesi
Dal precedente teorema si deduce il classico teorema di
Liouville per funzioni positive:
Teorema 16 (Liouville) – Se u ∈ C2(R2) è una funzione non
negativa e armonica, allorau è costante.
Teorema 17 (Disuguaglianza di Harnack) – Sia Ω ⊂ R2 aperto e u ∈
C(Ω) nonnegativa che soddisfi la (MVP). Siano R, r > 0, x0 ∈ Ω
tali che B(x0, r +R) ⊂ Ω. Alloraesiste C indipendente da u tale che
per ogni ξ, η ∈ B(x0, R) risulta
u(ξ) ≤ Cu(η)
con C = (1 + 2Rr )2. In particolare
u(ξ) ≤ 9u(η)
per ogni ξ, η ∈ B(x0, R) ⊂ B(x0, 2R) ⊂ Ω.
23
-
Dim.
Ragionando come nella dimostrazione del teorema di Liouville si
trova che
u(ξ) ≤ (r + δr
)2u(η) ≤ (r + 2Rr
)2u(η)
Teorema 18 (di Liouville in R2 \ {0}) – Sia u ∈ C2(R2 \ {0})
armonica. Se u ≥ 0allora u è costante.
Dim.
Consideriamo la funzione v : R2 → R definita come composizione
di ez : C ≡ R2 → R2\{0}e u, ossia v(x, y) = u(ez) = u(ex cos y, ex,
sin y). La funzione v è non negativa e armonicain R2, come è
facile verificare. Per il teorema di Liouville 16 si ha che v è
costante e quindiu è costante
La dimostrazione del precedente teorema si basa sulla proprietà
più generale che se uè una funzione armonica in un dominio di R2
ed f olomorfa, allora u ◦ f , se ben posta, èarmonica.
I teoremi di Liouville 15 e 16 in realtà sono validi in tutte
le dimensioni, mentreteorema 18 non‘e più vero in dimensioni
superori a 2: in RN la funzione |x|2−N è positivae armonica in RN
\ {0}. Inoltre, anche in dimensione N = 2 il teorema 18 cessa di
esserevero se, al posto di un singolo punto, si toglie un “buco”,
nel senso che esistono funzioniarmoniche positive in R2\B(0, r). Ad
esempio la funzione log(x2+y2) è positiva e armonicain R2 \B(0,
1).
Teorema 19 (Principio di massimo per funzioni
sub/super/armoniche) –Sia Ω ⊂ R2 aperto connesso e u ∈ C2(Ω) non
costante. Se u è subarmonica [risp. super-armonica] allora u non
ha punti di massimo [risp. minimo] relativi interni ad Ω.
In particolare, se u è armonica non costante, allora u non ha
punti di massimo o diminimo relativi in Ω.
Dim.
Supponiamo che u sia superarmonica. Sia x0 punto di minimo
relativo ossia m = u(x0) ≤u(x) per x ∈ B(x0, r) ⊂ Ω. Usando la
superarmonicità di u:
m = u(x0) ≥ "∫
B(x0,r)
u(x) dx ≥ "∫
B(x0,r)
mdx = m
Quindi,∫B(x0,r)
(u(x)−m)dx = 0, che con la disuguaglianza u(x) ≥ m dà luogo
all’identitàu(x) = m in B(x0, r). Pertanto l’insieme A = u
−1(m) è aperto. Ma esso è anche chiusoper la continuità di u,
e quindi coincide con tutto Ω; questo vuol dire che u è
costante
È il caso di rimarcare che, nella precedente dimostrazione,
l’ipotesi di connessione di Ω hasvolto un ruolo importante.
24
-
Corollario 20 – Sia Ω ⊂ R2 aperto connesso limitato e u ∈ C2(Ω)
∪ C(Ω). Se u èsubarmonica [risp. superarmonica] allora
maxx∈Ω
u(x) = maxy∈∂Ω
u(y) [risp. minx∈Ω
u(x) = miny∈∂Ω
u(y)]
Vediamo ora come i precedenti risultati si riverberano sulle
funzioni olomorfe.
Teorema 21 (Teorema della media per funzioni olomorfe) – Siano Ω
⊂ C aperto,z0 ∈ Ω e r > 0 tali che D(z0, r) ⊂ Ω. Allora, se f ∈
H(Ω), risulta
f(z0) = "
∫D(z0,r)
f(x, y) dxdy =1
2π
2π∫0
f(z0 + reiθ) dθ
Dim.
Essendo f olomorfa in Ω, risulta f = u+ iv con u e v armoniche.
Pertanto:
f(z0) = u(z0) + iv(z0) = "
∫D(z0,r)
u(x, y) dxdy + i "
∫D(z0,r)
v(x, y) dxdy = "
∫D(z0,r)
f(x, y)dxdy.
L’altra uguaglianza si dimostra in modo del tutto analogo
Teorema 22 – Sia f olomorfa intera, cioè: f ∈ H(C). Se f(C) è
contenuto in unsemispazio, allora f è costante.
Dim.
Senza ledere la generalità del teorema, possiamo sempre
supporre che f(C) sia contenutonel semispazio dei complessi con
parte reale positiva, ossia Re f ≥ 0. In tal caso u = Re fè una
funzione armonica non negativa su tutto il piano, quindi per il
teorema di Liouville16 u è costante. Questo implica (attraverso le
condizioni (CR)) che anche l’armonicaconiugata di u è costante,
quindi f è costante
In modo analogo, e facendo riferimento al Teorema 18, si prova
il seguente
Teorema 23 – Sia P un punto del piano complesso ed f ∈ H(C \
{P}). Se il codominiodi f è contenuto in un semispazio, allora f
è costante.
Teorema 24 (Principio di massimo modulo) – Sia Ω ⊂ C aperto
connesso, e f ∈H(Ω). La funzione |f | ha un punto di massimo
relativo interno se e solo se f è costante.
Per dimostrare il teorema 24, proviamo dapprima i seguenti
lemmi:
Lemma 25 – Sia Ω ⊂ C aperto connesso f ∈ H(Ω). Se |f | è
costante allora f è costante.
Dim.
Sia M = |f(z)| per ogni z ∈ Ω. Posto f = u + iv, si ha: u2(x, y)
+ v2(x, y) = M2.Derivando due volte rispetto a x e poi a y
otteniamo
2u2x + 2uuxx + 2v2x + 2vvxx = 0, 2u
2y + 2uuyy + 2v
2y + 2vvyy = 0.
25
-
Sommando le due precedenti relazioni ed usando l’armonicità di
u e v abbiamo che
0 = u2x + u2y + u∆u+ v
2x + v
2y + v∆v = u
2x + u
2y + v
2x + v
2y,
ossia u e v sono costanti
Lemma 26 – Sia Ω ⊂ C aperto f ∈ H(Ω). Allora la funzione |f |2 :
Ω→ R è subarmonica.
Dim.
Posto f = u+ iv e g = |f |2 = u2 + v2, si ha che g ∈ C2(Ω) ed è
subarmonica; infatti
∆g(x, y) = ∂x (2uux + vvx) + ∂y (2uuy + vvy) = 2(u2x + u
2y + u∆u+ v
2x + v
2y + v∆v) =
= u2x + u2y + v
2x + v
2y ≥ 0
Dim. del principio di massimo moduloSia z0 un punto di massimo
relativo per |f |, e quindi anche per |f |2. La funzione |f |2
è
subarmonica; allora, dal teorema 19 segue che, per il principio
di massimo, essa è costante.La tesi segue quindi dal Lemma 25
Corollario 27 – Sia f ∈ H(D(z0, r)). Se f non è costante allora
esiste z ∈ D(z0, r) taleche |f(z)| > |f(z0)|.
Teorema 28 (Principio di minimo modulo) – Sia f ∈ H(D(z0, r)).
Se f non ècostante e f(z0) 6= 0, allora esiste z ∈ D(z0, r) tale
che |f(z)| < |f(z0)|.
Dim.
Se f(z0) 6= 0 allora esiste 0 < s < r tale che f(z) 6= 0
per z ∈ D(z0, s). Quindi 1/f èolomorfa in D(z0, s). Per il
precedente corollario si ha che esiste z ∈ D(z0, r) tale che
1|f(z)| >
1|f(z0)| , da cui la tesi
Corollario 29 – Sia Ω ⊂ C aperto connesso, f ∈ H(Ω) non costante
e mai nulla. Allora|f | non ha punti di minimo e di massimo
relativi.
Corollario 30 – Sia Ω ⊂ C aperto connesso limitato ed f ∈
H(Ω)∪C(Ω); allora, maxΩ|f | =
max∂Ω|f |. Inoltre, se f non si annulla, min
Ω|f | = min
∂Ω|f |.
26
-
Istituzioni di Analisi Superiore n. 1
Programma svolto nell’a.a. 2016–2017
titolare: prof. Enrico Jannelli
collabora: prof. Lorenzo D’Ambrosio
Analisi reale
1. Teoria della misura e dell’integrazione astratta: σ–algebre,
insiemi misurabili,funzioni misurabili – proprietà elementari
della misura – integrazione di funzioni positivee di funzioni a
valori complessi – proprietà di convergenza per successioni di
integrali:teoremi di Beppo Levi, di Fatou, di Lebesgue – serie di
integrali – completamento di unamisura – teorema di
Severini–Egoroff – teorema di passaggio al limite di Vitali.
2. Misura di Lebesgue in RN : pluriintervalli, misura esterna di
Lebesgue, misurainterna di Lebesgue – insiemi misurabili secondo
Lebesgue – esistenza di insiemi non misu-rabili secondo Lebesgue in
Rn – misure boreliane invarianti per traslazione – misura
diLebesgue e applicazioni lineari: l’interpretazione geometrica del
determinante di una ma-trice.
3. Gli spazi Lp: disuguaglianze di Jensen, di Hölder e di
Minkowsky – completezza deglispazi Lp(µ) – proprietà di
continuità delle funzioni misurabili in Rk: il teorema di Lusin–
proprietà di densità negli spazi Lp(Rk) delle funzioni continue a
supporto compatto –C0(Rk) come completamento in norma uniforme di
Cc(Rk).4. Teoria elementare degli spazi di Hilbert: definizione,
disuguaglianza di Schwarz,disuguaglianza triangolare – teorema di
minima norma per convessi chiusi – teorema deiproiettori ortogonali
– problema della migliore approssimazione – insiemi
ortonormali,caratterizzazione degli insiemi ortonormali massimali,
esistenza di insiemi ortonormali mas-simali – identità di Bessel,
identità di Parseval, isomorfismo tra H e l2(A) – lo spazio L2(T
)e le serie di Fourier – gli spazi Hs(T ) e Hs(Tn), e relativi
teoremi di immersione in C(T ),C(Tn) – teorema di rappresentazione
di Riesz dei funzionali su uno spazio di Hilbert.
Analisi complessa
5. Introduzione alla teoria delle funzioni olomorfe:
derivabilità in senso comp-lesso: proprietà, interpretazione
geometrica – olomorfia e differenziabilità – equazioni
diCauchy–Riemann e corollari – alcune funzioni elementari: funzione
esponenziale, funzionitrigonometriche, funzioni polidrome e loro
selezioni, funzione logaritmo, funzione potenza– curve, cammini e
circuiti – richiami sulle forme differenziali – omotopia – semplice
con-nessione – relazioni tra chiusura ed esattezza di una forma
differenziale – integrazione difunzionmi complesse su cammini –
primitive di funzioni complesse – forme differenzialiassociate a
una funzione olomorfa – caratterizzazione dell’esistenza di
primitive – seriedi potenze complesse: raggio di convergenza,
convergenza uniforme, teorema di Cauchy–Hadamard – test di
Abel–Dirichlet – teorema di Abel – prodotto alla Cauchy –
funzionianalitiche – analiticità dell’integrale di Cauchy.
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6. Teorema di Cauchy e analiticità delle funzioni olomorfe:
teorema di Goursat– esistenza di primitive locali – formula
integrale di Cauchy – analiticità delle funzioniolomorfe – teorema
di Morera – formula di Cauchy per le derivate – stime di Cauchy per
lederivate – teorema fondamentale dell’algebra – teorema di
Liouville per funzioni olomorfelimitate e sue generalizzazioni –
teorema di Morera–Weierstrass – applicazioni al calcolodi
integrali.
7. Teorema degli zeri e funzioni armoniche: teorema degli zeri
di una funzioneolomorfa e corollari – unicità del prolungamento
analitico – caratterizzazione dell’analiticitàdi funzioni di
variabile reale – funzioni olomorfe e funzioni armoniche –
proprietà delvalor medio – formula di Pizzetti – caratterizzazione
delle funzioni sub-armoniche e super-armoniche attraverso il loro
valor medio – teorema di Liouville per funzioni positive e
sueestensioni – principio di massimo per funzioni sub-armoniche –
teorema della media perfunzioni olomorfe – principio del massimo
modulo, principio del minimo modulo.
8. Teorema dei residui e applicazioni: singolarità isolate –
serie di Laurent – teoremasulla sviluppabilità in serie di Laurent
– classificazione delle singolarità isolate e loro
carat-terizzazioni – il teorema di Picard (enunciato) – definizione
di residuo – calcolo del residuoin un polo – definizione di indice
di un punto rispetto a un circuito – teorema dell’indice –teorema
dei residui – teorema di Cauchy (caso generale) – lemma di Jordan –
applicazionial calcolo di integrali, serie ed equazioni alle
differenze – funzioni meromorfe – teoremadell’indice logaritmico –
teorema di Rouché e corollari – teorema dell’applicazione aperta–
teorema dell’invertibilità locale.
Testi consigliati
Per tutto il programma:
W. RUDIN – Analisi reale e complessa – Ed. Boringhieri
Per la sola costruzione della misura di Lebesgue in Rk:
N. FUSCO, P. MARCELLINI & C. SBORDONE – Analisi Matematica
due –Ed. Liguori
Per l’analisi complessa è utile consultare
G. GILARDI – Analisi 3 – Ed. Mc Graw-Hill
S. LANG – Complex Analysis – Ed. Springer–Verlag
Si vedano, inoltre, le dispense del corso.
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