ISSN: 2038-7296 POLIS Working Papers [Online] Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS POLIS Working Papers n. 221 July 2015 Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni Atti del convegno svolto il 23/03/2015 Piera Maria Vipiana and Matteo Timo UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
164
Embed
Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e ...polis.unipmn.it/pubbl/RePEc/uca/ucapdv/polis0221.pdf · misura, nuove modalità per l'affidamento degli appalti ² come la
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
ISSN: 2038-7296POLIS Working Papers
[Online]
Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLISInstitute of Public Policy and Public Choice – POLIS
POLIS Working Papers n. 221
July 2015
Le direttive UE del 2014 in tema diappalti pubblici e concessioni
Atti del convegno svolto il 23/03/2015
Piera Maria Vipiana and Matteo Timo
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA
Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
I
LE DIRETTIVE UE DEL 2014 IN TEMA DI APPALTI
PUBBLICI E CONCESSIONI
Atti del convegno svoltosi il 23 marzo 2015 ad Alessandria, presso il
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e
3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento
delle direttive europee del 2014 ............................................................................ 142
1
PARTE PRIMA
RELAZIONI
3
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Piergiorgio Alberti
(Università degli Studi di Genova)
Un sentito ringraziamento, innanzitutto, alla prof. Piera Vipiana che ha organizzato il
Convegno e che ci ha portato il saluto dell'Università che ci ospita.
Per parte mia, non intendo sottrarre tempo ai relatori e mi limiterò, quindi, ad alcune,
brevi considerazioni introduttive.
Il nuovo pacchetto di direttive, pur fissando un insieme di regole comuni, consente ai
Paesi dell'Unione di dotarsi di ulteriori strumenti volti, da un lato, a favorire una maggiore
apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici e, dall'altro lato, a far sì che le
amministrazioni aggiudicatrici dispongano di una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei modelli
più adeguati a soddisfare le proprie, specifiche esigenze.
In effetti le nuove direttive, proprio per il fatto di attribuire a tali amministrazioni una
notevole autonomia nella scelta delle procedure finalizzate all'affidamento degli appalti pubblici e
delle concessioni, costituisce un approccio alla disciplina di settore assai diverso dal contesto
normativo italiano, nel quale, mediante una regolamentazione molto puntuale, si è voluto limitare
la discrezionalità delle stazioni appaltanti (soprattutto con l'intento di prevenire fenomeni di
corruzione o di infiltrazioni criminali).
Tuttavia, com'è noto, una siffatta regolamentazione ha prodotto notevoli incentivi al
contenzioso, senza ottenere significativi risultati in termini di efficacia ed efficienza. Assai spesso,
l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti è stata rallentata da controversie originate dal presunto,
mancato rispetto di questioni meramente formali che, frequentemente, non incidono sugli aspetti
sostanziali dell'affidamento, con grave danno anche per la finanza pubblica.
4
L'orientamento del legislatore europeo, volto ad allargare e a privilegiare, in una qualche
misura, nuove modalità per l'affidamento degli appalti — come la procedura competitiva con
negoziazione (che affianca il dialogo competitivo) e i partenariati per l'innovazione — impone un
cambio di passo anche al nostro legislatore.
Le nuove direttive ritengono, infatti, che soprattutto negli appalti complessi e innovativi,
le amministrazioni debbano disporre di procedure flessibili, da svolgere in più fasi, mediante un
"dialogo" o una negoziazione con i concorrenti, così da individuare la soluzione e i mezzi più
idonei a soddisfare, nel miglior modo possibile, le necessità delle amministrazioni stesse, ossia
l'interesse pubblico.
Il nostro ordinamento, finora "ingessato" al rispetto delle tradizionali procedure formali,
deve quindi operare una profonda rimeditazione della fase dell'evidenza pubblica.
In effetti, a fronte del rischio di essere chiamato a rispondere per danno erariale, il
pubblico funzionario tenderà a privilegiare la scelta di una procedura concorsuale maggiormente
rigida e formale — autolimitando, di fatto, il proprio spazio di apprezzamento discrezionale —
piuttosto che modelli più efficienti, ma forieri di possibili ripercussioni in termini di responsabilità
Com'è stato anche recentemente osservato1, la situazione potrebbe essere superata
mediante l'introduzione di un sistema di incentivazione che consenta di "premiare" le scelte
virtuose dei funzionari.
Perché ciò possa avvenire, occorre al contempo riconsiderare la natura stessa della fase di
formazione del contratto, non già come una semplice sequenza procedimentale volta
all'erogazione di una spesa gravante sull'Erario, bensì come una vera e propria operazione
commerciale, che necessita dell'utilizzo di schemi contrattuali più liberi, che prevedano anche
ipotesi di negoziazione e rinegoziazione con il privato.
Si tratta, in altri termini, dell'interessante tema della riferibilità all'Amministrazione della
sfera dell'autonomia negoziale (intesa in senso civilistico) e del rapporto tra quest'ultima e
l'evidenza pubblica (configurata, invece, in senso tradizionale, come rigida sequenza di atti
amministrativi).
Mi fermo qui.
Invito, ora, i relatori della sessione mattutina a svolgere i loro interventi, cominciando
dalla stessa prof. Vipiana.
1 V., in particolare: C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l'aggiudicazione, in Giorn.
Dir. Amm., 12/2014, 1145; M. CAFAGNO, Flessibilità e negoziazione. Riflessioni sull'affidamento dei
contratti complessi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2013, 1019
5
IL RECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA
DELLA NORMATIVA ITALIANA
IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI
Piera Maria Vipiana
(Università degli Studi
del Piemonte Orientale)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I profili di criticità del panorama normativo italiano
in tema di appalti pubblici e concessioni. – 3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni. –
4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo.
1. Premessa
Ringrazio il collega prof. Alberti per la densa introduzione, ricca di spunti interessanti
per il prosieguo dei lavori di questa giornata, che si incentra sull’esame di tre recenti direttive
europee: la direttiva 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva
2014/24 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE) e la direttiva 2014/25
sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti
e dei servizi postali (che abroga la direttiva 2004/17/CE).
È un’iniziativa2 che vede coinvolti una serie di illustri relatori – ai quali sono molto
grata, sia a titolo personale, sia a nome del Dipartimento –, noti proprio per le loro specifiche
competenze in materia di diritto degli appalti pubblici: a seconda dei casi, si tratta di
professori universitari che sono anche affermati avvocati, di magistrati amministrativi che
hanno al loro attivo un’ampia produzione scientifica ed esperienze di docenza, nonché di
avvocati amministrativisti che hanno pubblicato intensamente e hanno tenuto corsi anche a
livello universitario.
Il convegno è articolato, innanzi tutto, in tre relazioni che recano altrettanti commenti
sui profili più salienti ed innovativi delle tre direttive citate. Seguiranno alcune relazioni che
2 Rivolta sia agli studenti dei corsi in materie giuridiche dell’Università del Piemonte Orientale, sia al
pubblico, ed in particolare agli avvocati.
6
prenderanno in esame aspetti particolarmente interessanti in materia, scelti per la loro
rilevanza, senza alcuna pretesa di esaustività3: il partenariato pubblico privato; il campo di
applicazione oggettivo delle direttive appalti, con particolare riguardo alla nozione di appalto;
la disciplina del cosiddetto “in house providing”, nonché dei rinnovi e delle proroghe. In
seguito sono previsti alcuni interventi programmati che, qualora non potessero svolgersi per
ragioni di tempo, troveranno collocazione nella veste di comunicazioni nell’ambito della
pubblicazione degli atti del convegno. La presidenza della sessione mattutina spetta al prof.
Alberti, il quale ha anche introdotto la giornata, mentre al prof. Pericu sono riservate, oltre
alla presidenza della sessione pomeridiana, le conclusioni.
2. I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti
pubblici e concessioni
L'approvazione delle tre direttive in esame è intervenuta a fronte di un panorama
normativo italiano che presenta forti criticità. In effetti, tale panorama risulta caratterizzato
perlomeno da quattro fattori.
Per un verso, la complessità, la scarsa chiarezza e, in taluni casi, la lacunosità di tale
normativa. Massimo Severo Giannini descrisse la condizione legislativa dei lavori pubblici,
alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in termini di "enigmistica giuridica"4: in
sostanza, ad un massimo di legislazione, affastellata sulla legge base del 1865, corrispondeva
un massimo di inefficienza e di illegalità5. Non sembra affatto che, al momento, dopo
decenni, la situazione sia migliorata: anzi, probabilmente si può riscontrare addirittura un
peggioramento a livello di drafting normativo nel settore in considerazione.
Per un altro verso, la normativa in materia di appalti e concessioni è caratterizzata in
Italia da una formazione alluvionale, perché, nonostante l'esistenza di un articolato codice dei
contratti pubblici che ha solo nove anni, continua ad interessare la materia una pletora di
disposizioni continuamente introdotte in prevalenza da decreti legge, convertiti in legge 3 Visto il carattere innovativo delle direttive de quibus, che si evince dalla lettura di R. Caranta - D.D.
Cosmin, La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2014,
5, 493 ss. 4 V. inoltre il Rapporto Giannini (Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello Stato,
trasmesso alle Camere dal Ministro per la funzione pubblica Massimo Severo Giannini il 16 novembre
1979), 3.6. 5 P. Mantini, Il dilemma di Sunstein ed il nuovo diritto europeo degli appalti, in www.giustamm.it.
7
sovente con modificazioni ed integrazioni rilevanti. Si pensi ai decreti legge 133/2014 (c.d.
sblocca Italia), 90/2014 (Semplificazione delle pubbliche amministrazioni), 66/2014
(Spending review 3)6. Siffatta produzione normativa, che si connota altresì per essere fondata
su una (più o meno evidente) urgenza, ha continuato ad aver luogo anche dopo l'avvento delle
tre direttive in esame e sebbene la strada maestra da seguire in materia sia ormai quella del
recepimento delle direttive e della riforma del disciplina di cui al codice dei contratti.
Per un verso ulteriore, e conseguentemente, in materia si riscontra la formazione di un
ampio contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa. In effetti, come ha ricordato il
Presidente del Consiglio di Stato Giovannini nella sua relazione alla cerimonia di
inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 del Consiglio di Stato7, nell’anno 2014 si è avuto
un consistente aumento dei ricorsi proposti dinanzi ai diversi organi della giustizia
amministrativa, sia in primo grado dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali, sia in grado
di appello dinanzi al Consiglio di Stato, e tale aumento ha riguardato, in particolare, proprio la
materia degli appalti. Non è solo il fenomeno quantitativo quello che interessa, ma anche
quello qualitativo: fra l’altro, proprio in tale materia si nota, ogni anno, un elevato numero di
pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che non di rado incontrano
l'interesse della dottrina.
Per un altro verso ancora, il contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, sebbene
ampio, potrebbe esserlo ancora di più, se uno scoraggiamento non provenisse dalla normativa
che rende molto oneroso l'accesso alla giustizia amministrativa in materia di appalti. Molto
recentemente Franco Gaetano Scoca ha scritto: “la particolare severità dei costi economici,
necessari ed eventuali, previsti per le controversie in materia di appalti pubblici” trova
spiegazione soltanto alla stregua di una delle misure di politica giudiziaria, insieme alla
riduzione dei termini per ricorrere e alla speciale disposizione sulla sinteticità degli atti
processuali, in quanto dirette “a rendere più gravoso chiedere al giudice amministrativo di
verificare la legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti”. Nella specie, ha
6 L’approvazione e la pubblicazione della nuova direttiva comunitaria sugli appalti n°2014/24/UE, che
dovrà essere recepita dagli Stati Membri dell’UE entro i prossimi due anni, costituisce una buona
opportunità per una revisione globale del quadro normativo del settore dei lavori pubblici, oramai
frammentato da una serie di interventi legislativi, con leggi omnibus, che hanno privato sia il codice
dei contratti che il regolamento di attuazione della loro identità originaria (“Primo Contributo per la
definizione di un nuovo quadro normativo per il settore dei lavori pubblici, in recepimento della
direttiva n°2014/24/UE”. Documento condiviso dal Tavolo Tecnico “Lavori Pubblici” della RPT,
nella seduta del 7 Gennaio 2015, in www.giustamm.it). 7 La relazione si può leggere, fra l’altro, sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
8
ritenuto “miope (o di comodo)” la visione che intenda concentrare nella sola sede penale la
verifica legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti, “perché non sempre la
illegittima ed ingiusta aggiudicazione si colora di riflessi penali”8. Scoca ha pertanto criticato
la disciplina attuale in materia di costi del processo amministrativo, ritenendo che essa
costituisca un serio ostacolo all'accesso alla giustizia, con tutte le conseguenze che ne possono
derivare sulla piano della legittimità costituzionale, comunitaria e internazionale9.
3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni
A proposito del recepimento delle direttive, il Consiglio dei Ministri del 29 agosto
2014, su proposta del Presidente e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha
approvato un disegno di legge delega al Governo per l’attuazione delle tre direttive attuandole
in un sistema più ampio e variegato mediante la compilazione di un Codice dei contratti e
delle concessioni pubbliche. Presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stata
istituita una Commissione di studio sul recepimento delle direttive europee in esame10
.
Pertanto si è messa in moto la macchina per il recepimento delle direttive e, al
contempo, per la riforma integrale della normativa in materia.
Il disegno normativo di ampio respiro è stato già ultimato ed è divenuto operante in
Gran Bretagna, con "The Public Contracts Regulations 2015", testo che include le
disposizioni di recepimento della direttiva sui contratti pubblici (part 2 - rules implementing
the public contracts directive). La rapidità dell'iter di approvazione del testo non è andato a
detrimento della necessità di rispettare le istanze partecipative: tale iter, infatti, ha incluso le
consultazioni di una pluralità di soggetti, che è avvenuta già sulla base dei progetti di
direttiva.
Ovviamente sarebbe interessante prendere in esame questo testo – potrebbe essere
un'idea per giovani studiosi –, così come le altre normative di recepimento delle direttive,
adottate da altri Stati.
8 F. G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza e ostacolo all'accesso, in Dir. Proc.
Amm., 2014, fasc. 4, 1414 ss., § 13. 9 Ibidem.
10 Successivamente al convegno dei quale si raccolgono gli atti in queste pagine, il Senato della
Repubblica, il 18 giugno 2015, ha approvato il disegno di legge al quale si fa riferimento nel testo: la
parola spetta quindi ora alla Camera dei Deputati.
9
In effetti, come è stato illustrato un recente saggio, l’idea di un diritto transnazionale
amministrativo trova uno dei suoi terreni più fertili proprio nell’analisi del diritto dei contratti
pubblici e degli accordi tra pubblico e privato11
. Quindi l'esame delle tre direttive costituisce
occasione per una profonda riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e
concessioni nell'ottica della globalizzazione in materia12
.
Dal punto di vista contenutistico le direttive de quibus presentano indubbiamente
profili altamente innovativi, come le relazioni che seguiranno avranno modo di porre in
evidenza. In particolare, Piergiorgio Alberti ci ha appena illustrato, in modo acuto ed
esaustivo, che tali direttive prevedono, rispetto al quadro normativo precedente, una maggiore
apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici ed una maggiore flessibilità, per le
amministrazioni aggiudicatrici, nell'utilizzo dei modelli più adeguati a soddisfare le proprie
esigenze specifiche.
4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo
I problemi connessi con tale riforma, che trae spunto dalla necessità di attuare le
direttive, sono vari. In questa sede non ne sarebbe possibile una trattazione puntuale, che
presupporrebbe un’analisi compiuta di tutte le previsioni delle tre direttive: tuttavia qualche
cenno sembra illustrabile.
In primo luogo – ed in stretta correlazione con il tema del recepimento – si tratta di
distinguere, nell'ambito delle direttive, le disposizioni cogenti e quelle non cogenti e decidere
se procedere alla trasposizione anche di queste ultime.
In secondo luogo, nel calibrare la disciplina italiana di prossima introduzione, occorre
prendere posizione, ovviamente nell'ambito di quanto è consentito dalle direttive, tra
un'alternativa di fondo: la normazione a maglie larghe, vale a dire che consenta un’ampia
liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche amministrazioni
(stazioni appaltanti), vincolandole però al rispetto di principi generali cogenti; oppure una
11
S. W. Schill, Transnational Legal Approaches to Administrative Law: Conceptualizing Public
Contracts in Globalization, in Riv. Trim. Dir. pubbl., 2104, n. 1. 12
In tema cfr. V. H. Caroli Casavola, La globalizzazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni,
Milano, Giuffrè, 2012.
10
normazione a maglie strette, ossia rigida, che contempli procedure e moduli standardizzati e
riduca la discrezionalità amministrativa13
.
A sua volta, l'affinamento normativo dovrebbe passare attraverso il coordinamento
puntuale con normative connesse: fra l’altro, con la disciplina del codice del processo
amministrativo relativa al rito in materia di appalti e, in primis, con quella in tema di
prevenzione e contrasto della corruzione e con quella sulla trasparenza e sull'accesso. A
quest'ultimo riguardo evidente è la stretta correlazione tra il modo in cui sono formulate le
disposizioni in materia di appalti e la facilità di trovare il modo per realizzare fenomeni di
corruzione o di maladministration in genere.
Infine la normativa in tema di appalti e concessioni non può andar esente dalla
considerazione di profili specifici o settoriali, da più punti di vista: o in base ai soggetti (ad
esempio, gli enti locali) oppure per ambito oggettivo (si pensi al tema del Green Public
Procurement o a quello delle attività portuali14
).
13
In proposito, sembra molto utile rileggere le considerazioni di P. Mantini, Il dilemma ..., cit.: "… ci
sono due modi per realizzare la semplificazione normativa e amministrativa. Il primo modo è
costituito da un’ampia liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche
amministrazioni (stazioni appaltanti) che però sono vincolate al rispetto di principi generali cogenti
(principio di efficienza e di efficacia, principio di imparzialità, principio di concorrenza, principio di
trasparenza ecc.). Questo approccio, appena sommariamente descritto, presuppone un forte grado di
competenza tecnica e di accountability delle stazioni appaltanti che sono, per usare un’espressione
classica nel diritto amministrativo, più libere nei modi ma vincolate nei fini, godendo di una più ampia
discrezionalità e di maggiori obblighi di risultato. Il secondo modo possibile è invece quello della più
rigida normazione, attraverso procedure e moduli standardizzati, la riduzione del numero delle norme,
lo sviluppo di modelli informatizzati a livello nazionale, con ciò riducendo la discrezionalità
amministrativa e l’autonomia degli enti locali". 14
Con specifico riferimento alle direttive 23 e 25 v. S. M. Carbone - L. Schiano di Pepe, Competition,
safety, security and environmental concerns in the emerging ports policy of the European Union, in
Dir. commercio internaz., 2014, n. 4, 839 ss. e spec. 842 ss.
11
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE, RELATIVA AGLI APPALTI NEI
SETTORI ORDINARI
Raffaello Gisondi
(T.A.R. Toscana)
SOMMARIO: 1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e
dei compiti della UE. - 2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle
procedure negoziate. - 3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione. - 4. Principali novità in
tema di cause di esclusione.
1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei compiti
della UE
Per comprendere meglio le novità apportate dalla nuova direttiva comunitaria sugli
appalti ordinari di lavori, servizi e forniture dobbiamo farci una domanda: perché a distanza
quasi di dieci anni dall’ultimo intervento normativo la UE ha emanato un nuovo pacchetto di
direttive che innova profondamente la disciplina europea sulle procedure relative
all’aggiudicazione delle commesse pubbliche?
Nel 2004 l’Unione aveva compiuto un grosso sforzo di sistemazione ed
organizzazione della materia unificando le discipline relative agli appalti di lavori di forniture
e di servizi in un unico testo normativo e inquadrando i vari settori delle commesse pubbliche
in una cornice di regole e principi unitari.
12
Si trattava, quindi, di un corpus normativo costruito per durare e che, invece, dopo un
lasso di tempo relativamente breve è stato interamente abrogato e sostituito da un intervento
altrettanto importante che si propone di apportare innovazioni profonde nel comparto delle
procedure di affidamento.
I motivi per cui la UE ha deciso di superare in toto il precedente assetto sono vari.
Sicuramente v’è stata la volontà di dare veste normativa a temi di importantissimo
rilievo dei quali, in precedenza, si era occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia o la
Commissione nei suoi documenti interpretativi. Si tratta di questioni spesso fondamentali al
fine di stabilire il campo di applicazione delle procedure di affidamento come la precisazione
della nozione di appalto, la rilevanza delle forme di cooperazione fra enti pubblici, gli
affidamenti in house etc.
Tuttavia, questa, pur importante, opera di aggiornamento normativo non spiega di per
sé i più profondi elementi di novità delle nuove direttive il cui fondamento sta nell’esigenza di
adeguare il settore degli appalti pubblici alle nuove strategie che la UE si è prefissa di
perseguire.
Sappiamo che lo scopo che ha caratterizzato la Comunità europea sin dalla sua nascita
è stato quello della creazione di un mercato comune. Nel sistema degli appalti pubblici ciò ha
comportato la elaborazione di regole volte ad assicurare a tutte le imprese appartenenti agli
stati della UE la possibilità di concorrere su un piano di parità rispetto agli operatori nazionali
nel conseguimento delle commesse pubbliche.
Oggi, tuttavia, benché la creazione di un mercato unico costituisca ancora un obiettivo
fondamentale della UE, non si può più affermare che esso esaurisca i compiti della Comunità
europea in quanto la promozione della concorrenza deve coniugarsi con le esigenze di uno
sviluppo sostenibile dal punto di vista ambiente e della crescita economica ed occupazionale
(art. 3 del Trattato istitutivo).
Le finalità di crescita economica ed occupazionale, in particolare, hanno assunto un
ruolo strategico con la crisi economica che ha colpito molti degli Stati europei e si è
riverberata anche sulla tenuta complessiva della UE minandone la stabilità monetaria.
In quest’ottica la Commissione ha messo a punto nel 2010 un programma decennale
per la crescita e l’occupazione – la cosiddetta “Strategia Europa 2020” – che mira a
promuovere una crescita intelligente, sostenibile dal punto di vista ambientale e solidale in
quanto volta a anche al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale.
13
Gli obiettivi della Strategia Europa 2020, in particolare, riguardano l’occupazione,
l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo, riduzione delle emissioni di gas serra,
aumento della soddisfazione di bisogni energetici attraverso le fonti rinnovabili, i risparmi
energetici da conseguirsi attraverso un aumento dell’efficienza energetica dei prodotti, lotta
alla povertà all’emarginazione e contrasto al fenomeno dell’abbandono scolastico.
Le nuove direttive si inseriscono a pieno titolo nell’ambito di tale programma.
Gran parte dei contenuti innovativi che le caratterizzano risultano, infatti, ispirati ad
una visione che concepisce le procedure di selezione dei contraenti non più solo come
strumenti di trasparenza volti alla creazione del mercato unico ma anche come leva per la
crescita economica e un uso più efficiente delle risorse pubbliche.
Grande attenzione è stata data al rapporto fra spesa e risultati.
Uno dei problemi che la Commissione ha riscontrato sulla scorta delle consultazioni
effettuate è, infatti, quello delle inefficienze provocate dalla eccessiva rigidità delle procedure
di gara che non consentirebbero alle amministrazioni di modulare il processo di scelta del
contraente in modo da ottenere il prodotto più confacente alle proprie esigenze e migliore
sotto il rapporto qualità prezzo.
Di qui la scelta di rendere più flessibili procedure e criteri di selezione del contraente
attribuendo alle amministrazioni aggiudicatrici maggiori poteri di negoziazione e di
modulazione dei criteri di aggiudicazione.
Le procedure negoziali tendono, così, a divenire moduli ordinari di scelta del
contraente tutte le volte che la stazione appaltante non possa o non voglia definire a priori le
caratteristiche del prodotto che intende acquistare ed intenda avvalersi a tale scopo degli
apporti che il mercato può fornirgli.
Con riguardo ai criteri di aggiudicazione la direttiva guarda con sfavore al criterio
finanziario del prezzo più basso (che, anzi, nominalmente è stato eliminato) e tende a
sostituirlo con quello economico del costo che tiene conto degli oneri economici che deve
sostenere l’amministrazione per mantenere e per smaltire un determinato prodotto durante il
suo ciclo di vita.
Sono stati, inoltre, introdotti nell’ambito dei parametri di scelta della offerta
economicamente più vantaggiosa criteri che consentono di valorizzare non solo l’interesse
specifico dell’amministrazione ma anche i costi ed i benefici sociali che possono derivare
dalla preferenza accordata ad un certo prodotto, tenuto conto non solo delle sue caratteristiche
14
oggettive ma anche del suo processo produttivo (possono, ad, esempio, essere privilegiati
certi processi produttivi per il fatto che comportino l’impiego di soggetti appartenenti a
categorie disagiate).
Si tratta di un’impostazione molto innovativa rispetto a quella che caratterizzava gli
esordi di queste procedure.
Altro capitolo importante della direttiva, importantissimo nel nostro Paese, è
l’attenzione che è stata data a quei fenomeni anticoncorrenziali che non sono correlati alle
irregolarità formali o procedurali, ma a comportamenti scorretti che operano, di regola, sotto
traccia: conflitti di interesse, cartelli fra le imprese offerenti, fino ad arrivare a veri e propri
comportamenti di carattere corruttivo.
Si tratta di patologie che non sono correlati con il carattere formale che, muovendo da
un approccio amministrativistico, siamo abituati ad attribuire al procedimento di evidenza
pubblica, ma non per questo meno idonei a falsare il gioco della concorrenza.
L’Unione si è data carico di affrontare, anche se non sempre in modo efficace, questa
tipologia di problematiche introducendo nuove cause di esclusione e prevedendo, in
determinate ipotesi, anche la possibilità dell’amministrazione aggiudicatrice di risolvere
contratti che si si siano formati sotto l’influenza di questo genere di fenomeni.
Nel prosieguo della relazione verranno approfonditi i temi cui si è sopra accennato con
particolare riferimento alle procedure ed ai criteri di aggiudicazione ed alle cause di
esclusione.
2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle procedure
negoziate
La direttiva amplia sia la tipologia delle procedure negoziate sia le ipotesi in cui le
amministrazioni possono avvalersene.
Tale scelta si pone in controtendenza rispetto alla preferenza accordata in passato alle
procedure aperte e ristrette che, riducendo gli ambiti di discrezionalità della p.a. nelle
selezione dell’offerta, venivano considerate più rispondenti ai principi di imparzialità e
trasparenza.
15
Per il vero già la direttiva n. 18 del 2004 aveva affiancato alle classiche procedure
negoziate con bando e senza bando quella del dialogo competitivo.
Tale procedura (simile al nostro “vecchio” appalto concorso) derogava al principio
della separazione fra la fase di progettazione (dove si determina l’oggetto del contratto sotto il
profilo tecnico) e quella della gara, consentendo e alle amministrazioni di rivolgersi
direttamente al mercato non solo per acquisire offerte relative ad un prodotto già
compiutamente individuato ma anche per elaborare, attraverso un dialogo con soggetti
particolarmente qualificati, la soluzione progettuale più conforme alle proprie esigenze.
Il Codice dei contratti aveva precisato i presupposti per ricorrere a tale procedura
circoscrivendone l’esperimento ad appalti di elevatissima complessità, per i quali l’apporto
creativo e progettuale dei concorrenti risultava indispensabile fin dalla fase ideativa
dell’intervento ed aveva imposto alla p.a. l’onere di dar conto della sussistenza di tali
circostanze nella motivazione della determina o delibera a contrarre.
Il dialogo competitivo restava, quindi, una procedura negoziata esperibile in casi
limitati e non metteva in discussione il primato delle procedure aperte e ristrette rispetto a
quelle negoziate.
La nuova direttiva erige lo schema di fondo che stava alla base del dialogo
competitivo a modello generale delle procedure negoziate con bando.
Tale modello si articola ora nei tre schemi procedurali del dialogo competitivo (art.
30), della procedura competitiva con negoziazione (art. 29) e del partenariato per
l’innovazione (art. 31) i quali hanno come comune denominatore quello la collaborazione
partecipata fra p.a. e privati nella definizione delle caratteristiche dell’offerta.
Il ricorso a queste procedure negoziate è reso possibile dalla direttiva non solo nei casi
in cui le caratteristiche oggettive delle prestazioni o dei prodotti richiesti non consentano
all’amministrazione di definirne compiutamente l’oggetto (ad. es. prestazioni intellettuali,
operazioni giuridico finanziarie complesse, progetti, innovativi etc.) ma anche nelle ipotesi in
cui essa non abbia soluzioni immediatamente disponibili per soddisfare le proprie esigenze
(art. 26).
Quando la conoscenza tecnica del prodotto è particolarmente bassa la procedura più
indicata sarà allora il dialogo competitivo (art. 30) il cui esperimento presuppone solo
l’indicazione delle esigenze da soddisfare, di certi requisiti minimi e dei criteri di
aggiudicazione.
16
Quando, invece, vi è un livello di conoscenza superiore ma non tale da definire tutte le
specifiche del prodotto lo strumento sarà quello della procedura competitiva con negoziazione
(art. 32) che presuppone un indicazione delle caratteristiche richieste delle forniture, dei
servizi e dei lavori da appaltare.
Nei casi in cui si tratti di acquisire prodotti innovativi che non sono ordinariamente
reperibili sul mercato la procedura negoziata assumerà le forme del partenariato per
l’innovazione (art. 31).
Le novità rispetto al passato stanno, quindi, nello stesso modo di concepire la
procedura negoziata che viene considerata come una forma di confronto partenariale plurimo
finalizzato a definire il contenuto dell’offerta, nonché nel fatto che il ricorso alle procedure
negoziate non sembra più essere limitato ad ipotesi tassative ed eccezionali ma viene a
dipendere da una scelta ampiamente discrezionale della p.a. in ordine alla definizione delle
caratteristiche tecniche del prodotto da acquistare prima della gara o attraverso la gara stessa.
All’ampliarsi degli spazi applicativi delle procedure negoziate corrisponde una loro
più specifica disciplina finalizzata a garantire la realizzazione dei principi di pubblicità,
trasparenza e parità di trattamento.
Innanzitutto risulta sempre necessaria la pubblicazione di un bando.
La procedura risulta poi articolata in tre fasi: 1) prequalifica; 2) la negoziazione; 3)
fase della gara nella quale avviene la selezione dell’offerta migliore.
Di queste tre fasi la più complessa è sicuramente la seconda perché è quella che
prevede un confronto diretto fra amministrazione ed imprese non basato su regole prestabilite.
La direttiva prevede che la flessibilità che connota questa fase debba essere
controbilanciata da obblighi di trasparenza quali:
- assicurare a tutti i partecipanti la conoscenza delle informazioni necessarie a
precisare le condizioni della propria offerta via via che l’amministrazione nel corso della
procedura si forma un’idea più precisa di ciò che intende acquisire o come quello;
- attenersi ai criteri previsti dal bando nelle eventuale riduzione del numero delle
imprese ammesse a continuare la negoziazione nel corso della procedura.
Sono facilmente intuibili i problemi applicativi di queste disposizioni.
La stessa Commissione UE dimostra di esserne consapevole affermando nel Libro
verde del 2011 che i possibili vantaggi derivanti da una maggiore flessibilità e dalla
potenziale semplificazione devono essere ponderati con i maggiori rischi di favoritismi e, più
17
in generale, di decisioni eccessivamente soggettive derivanti dalla più ampia discrezionalità di
cui godono le amministrazioni aggiudicatrici nella procedura negoziata.
I problemi paventati dalla Commissiono sono particolarmente acuiti nella situazione
italiana caratterizzata da un pericolo sempre incombente di corruzione e da una non sempre
adeguata preparazione (soprattutto economica) dei funzionari che conducono le procedure.
Il fatto che il progetto venga via via elaborato in sede di gara attraverso il confronto
con gli operatori richiede, infatti, la capacità di assumere in quella sede decisioni di altissima
competenza tecnica che fino ad oggi sono state compiute nella fase di progettazione.
In difetto di un adeguato controllo sulle scelte progettuali che i nuovi modelli di
procedura negoziata comportano vi è il rischio di accettare soluzioni che potrebbero poi
comportare costi imprevisti o necessità di varianti nel corso della fase di esecuzione15
.
Tuttavia, senza adeguate professionalità sarà molto difficile per le amministrazioni
valutare tutte le implicazioni delle soluzioni progettuali proposte e non è detto che il
confronto fra una pluralità di soluzioni sia sufficiente a scongiurare i rischi connessi con
questa impostazione.
A ciò si aggiunga che in non pochi casi (specie ove si tratti di appalti di lavori) lo
svolgimento della fase negoziata della gara secondo i dettami della direttiva comporterà anche
la necessità di effettuare durante il corso della stessa scelte che esulano le competenze
strettamente tecniche demandate alla commissione in quanto comportanti una valutazione di
rispondenza al pubblico interesse di una delle soluzioni progettuali proposte nel corso del
negoziato; scelte che dovranno essere demandate agli organi di indirizzo politico16
.
3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione
Molte sono le novità introdotte dalla direttiva anche sotto questo fondamentale aspetto
delle procedure di gara.
Il precedente sistema basato sui due criteri della offerta economicamente più
vantaggiosa e il prezzo più basso viene superato.
15
Le note vicende relative al ricorso da parte di certe amministrazioni locali ai contratti derivati di
swap per ristrutturare i propri debiti dovrebbero costituire un monito da tenere in attenta
considerazione. 16
Come già la giurisprudenza ha affermato a proposito della procedura di project financinng (TAR
Sardegna, 1783/2008).
18
Il criterio unico ora è quello della offerta economicamente più vantaggiosa la quale,
tuttavia, può assumere diverse configurazioni.
Il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa può, infatti, articolarsi in tre
modi:
a) può basarsi sul criterio del prezzo;
b) su quello del costo;
c) oppure nella combinazione di uno dei due suddetti criteri con la valutazione di
aspetti qualitativi (rapporto qualità/prezzo). Combinazione che può anche risolversi
nell’apprezzamento dei soli aspetti qualitativi a prezzo o costo fissi.
Il criterio del prezzo più basso, quindi, non scompare ma costituisce una delle
modalità in cui può articolarsi l’offerta economicamente più vantaggiosa, salva la possibilità
per gli stati membri di vietare l’utilizzo del prezzo o del costo come unici criteri di
aggiudicazione o di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici
o a determinati tipi di appalto.
La direttiva dedica una particolare attenzione al criterio del costo.
Tale criterio, in particolare, tiene conto non solo dell’esborso finanziario che la p.a.
deve effettuare per acquistare il prodotto ma dei costi di utilizzo che esso comporta nel corso
di tutto il suo ciclo di vita come quelli di manutenzione, di trasporto, di funzionamento
(consumi di energia), di smaltimento (una volta esaurito il ciclo).
Fra i costi da computare nella valutazione di convenienza vi sono anche quelli
riferibili alle cd. “esternalità ambientali” (come le emissioni di gas effetto serra) a condizione,
però, che sussistano sistemi oggettivi e riconosciuti per determinare il loro valore monetario
(parrebbe che a livello europeo una metodologia approvata per la quantificazione dei suddetti
costi riguardi solo i veicoli a motore).
Ancor più innovativi sono poi gli aspetti concernenti la valutazione dei profili
qualitativi dell’offerta.
Le novità al riguardo sono essenzialmente tre.
La prima consiste nella valorizzazione delle caratteristiche “sociali” e “ambientali”
dell’offerta.
Viene quindi superato il concetto di convenienza puramente economica potendo la p.a.
dare la prevalenza anche ad offerte che, benché più costose, realizzino obiettivi di carattere
19
sociale Questo in coerenza con le finalità della direttiva di valorizzare il mercato delle
commesse pubbliche anche in una chiave sociale ed ecologica.
Correlata alla prima è anche la seconda novità in tema di offerta economicamente più
vantaggiosa che consiste nella possibilità di apprezzare anche profili che non attengono alla
prestazione che costituisce l’oggetto dell’appalto.
Il collegamento con l’oggetto dell’appalto può, infatti, non essere immediato e diretto
e riguardare anche il processo produttivo, soprattutto ove ciò si leghi a criteri di valutazione di
carattere sociale.
Il considerando n. 99 della Direttiva afferma in proposito che “possono essere oggetto
dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione dell’appalto anche misure intese
alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi, alla promozione
dell’integrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili nel
personale incaricato dell’esecuzione dell’appalto o alla formazione riguardante le competenze
richieste per l’appalto, purché riguardino i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto”.
“Tali criteri o condizioni potrebbero riferirsi, tra l’altro, all’assunzione di disoccupati di lunga
durata, all’attuazione di azioni di formazione per disoccupati o giovani nel corso
dell’esecuzione dell’appalto da aggiudicare. Nelle specifiche tecniche le amministrazioni
aggiudicatrici possono prevedere requisiti di natura sociale che caratterizzano direttamente il
prodotto o servizio in questione, quali l’accessibilità per persone con disabilità o la
progettazione adeguata per tutti gli utenti”.
Nel considerando n. 97 si legge che i criteri e le condizioni riguardanti tale processo di
produzione o fornitura possono ad esempio consistere nel fatto che la fabbricazione dei
prodotti acquistati non comporti l’uso di sostanze tossiche o che i servizi acquistati siano
forniti usando macchine efficienti dal punto di vista energetico. Vi rientrano anche criteri di
aggiudicazione o condizioni di esecuzione dell’appalto riguardanti la fornitura o
l’utilizzazione di prodotti del commercio equo nel corso dell’esecuzione dell’appalto.
Il collegamento dei criteri di valutazione dell’offerta con l’oggetto dell’appalto
rappresenta, quindi, un limite blando che vale solo ad escludere dall’ambito della procedura di
aggiudicazione la valutazione di criteri e condizioni riguardanti la politica generale
dell’impresa nella misura in cui essa non interessi il processo specifico di produzione del bene
acquisito.
20
La terza novità in tema di criteri di aggiudicazione consiste nel superamento della
regola relativa alla distinzione fra requisiti di qualificazione e criteri di valutazione delle
offerte che la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia aveva introdotto.
I requisiti soggettivi dell’operatore economico che partecipi alla gara, come
l’organizzazione e l’esperienza professionale del personale incaricato di eseguire l’appalto,
possono ora giocare non solo come elementi qualificazione dei contraenti idonei ma anche
come elementi da valutare nell’ambito degli aspetti qualitativi dell’offerta.
4. Principali novità in tema di cause di esclusione
La direttiva prevede un ampliamento delle ipotesi che costituiscono cause di
esclusione sia facoltative che obbligatorie dalle procedure.
Fra le ipotesi di esclusione obbligatoria sono ora incluse anche le condanne definitive
per reati di terrorismo e lavoro minorile.
Molto più rilevanti sono, però, le novità che riguardano le esclusioni facoltative.
Fra queste viene inclusa l’ipotesi in cui la impresa offerente non abbia osservato le
normative ambientali e sociali inerenti l’esecuzione dell’appalto. Questo in coerenza con
l’impronta ambientale e sociale che la direttiva ha inteso attribuire alla disciplina comunitaria
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Occorre sottolineare che la direttiva non considera necessario che la condotta
dell’impresa sia prevista come fattispecie di reato e che lo stesso debba essere accertato da
una sentenza del giudice penale.
Dico questo perché nel nostro ordinamento interno le cause che determinano il venir
meno della moralità professionale dell’impresa corrispondono ad ipotesi delittuose
penalmente accertate. Tali ipotesi possono comprendere sicuramente la violazione di
normative ambientali e sociali (ad es. sicurezza sul lavoro) ma ciò avviene solo se si tratta di
violazioni penalmente sanzionate rispetto alle quali sia intervenuta una sentenza.
La direttiva 24/2014 ritiene, invece, rilevante solo l’interesse protetto dalla norma
(ambiente, protezione sociale di alcune categorie) e non richiede, quindi, la configurazione
penalistica della condotta (l’esclusione del resto non è una sanzione accessoria ma un mezzo
di tutela dell’interesse pubblico).
21
Dovrebbe, quindi, essere sufficiente ad integrare la causa di esclusione anche la
commissione di un illecito amministrativo (che presumibilmente dovrà risultare accertato con
provvedimento divenuto inoppugnabile).
A questo proposito occorre sottolineare come sia nella direttiva sia nel nostro
ordinamento interno manca l’indicazione dei mezzi di pubblicità con cui la irrogazione delle
predette sanzioni dovrebbe essere resa nota alle stazioni appaltanti.
L’art. 60 comma 2 della direttiva prevede che le stazioni appaltanti al fine di provare
la regolarità contributiva, previdenziale e l’assenza di procedure concorsuali, debbano
considerare sufficiente la produzione di certificati rilasciati da autorità pubbliche ove ciò sia
previsto dalle legislazioni degli stati membri.
Nulla, però, è detto sui mezzi con cui possono essere accertate le violazioni
amministrative diverse da quelle anzidette (norme, ambientali, sociali, antitrust etc.).
Per rendere effettivo il sistema occorrerebbe, quindi, prevedere nella normativa di
recepimento l’obbligo delle amministrazioni che irrogano le sanzioni per le violazioni
costituenti cause di esclusione di effettuare la comunicazione alla autorità anticorruzione ai
fini dell’inserimento nella bancata dati nazionale dei contratti pubblici (AVCPass) prevista
dall’art. 6 bis del D.Lgs 163/2006.
In difetto di tale previsione le dichiarazioni effettuate dalle imprese di non essere
incorse in violazione di obblighi attinenti la legislazione ambientale, sociale o del lavoro,
difficilmente potranno essere verificabili al di fuori dei casi in cui la normativa abbia un
rilievo penalistico e vi sia stata sentenza di condanna annotata sul casellario giudiziario (ciò
potrà avvenire solo episodicamente).
Fra le cause di esclusione facoltative la direttiva include situazioni obiettive di
incompatibilità o ipotesi di comportamenti fraudolenti che potrebbero falsare il risultato della
procedura quali, ad esempio, il conflitto di interessi in cui si trova un amministratore o un
funzionario pubblico rispetto all’impresa partecipante, l’aver prestato una consulenza relativa
all’oggetto dell’appalto, il tentativo di influenzare indebitamente il procedimento decisionale
dell’amministrazione aggiudicatrice o di ottenere informazioni confidenziali, gli accordi fra
operatori tesi a falsare la concorrenza (partecipazioni pilotate dirette ad influenzare le medie,
spartizioni del mercato etc.).
22
Il riconoscimento che il meccanismo della concorrenza può essere falsato non solo
dalla mancata osservanza delle procedure ma anche da comportamenti o situazioni non
emergenti alla luce del sole è sicuramente un fatto positivo.
L’impressione è, tuttavia, che la UE abbia preso coscienza del problema ma non sia
riuscita ad elaborare rimedi sufficientemente efficaci.
Non solo per la generosità con cui la direttiva ammette, in alcuni di questi casi,
soluzioni alternative alla esclusione ma anche e soprattutto perché conflitti di interessi,
collusioni e comportamenti scorretti (fino alla vera e propria corruzione) emergono
solitamente in un momento successivo alla aggiudicazione a seguito di indagini di autorità
penali o amministrative.
L’esclusione dalla gara non appare quindi una misura sufficiente a contrastare la
portata anticoncorrenziale di tali comportamenti, essendo necessari strumenti che
intervengano nella fase successiva alla stipulazione del contratto.
Su questo tema, tuttavia, si riscontrano gravi lacune sia nella stessa direttiva che nel
nostro diritto interno.
La disciplina della risoluzione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell’art. 73 della
direttiva appare, infatti, troppo timida nella parte in cui prevede che l’amministrazione possa
disporre la risoluzione del contratto solo in caso di successiva scoperta circa la sussistenza di
cause obbligatorie di esclusione non rilevate in corso di gara.
Si tratta di una disciplina del tutto insufficiente perché non copre i casi in cui si scopra
ex post che l’aggiudicazione è stata falsata da corruzione o altri comportamenti collusivi o
fraudolenti accertati successivamente (anche se la direttiva spazio alla adozione di soluzioni
più rigorose da parte dei singoli Stati che, specialmente nel caso italiano, appaiono assai
auspicabili).
Vero è che, in tali, ipotesi l’amministrazione potrebbe fare ricorso all’autotutela,
tuttavia, l’incoercibilità della procedura di annullamento d’ufficio lascia scoperto il problema
di quali possano essere gli strumenti di tutela delle posizioni soggettive lese dai
comportamenti scorretti (corruzione, accordi anti concorrenziali, conflitto di interessi etc.)
non conosciuti né conoscibili al momento della aggiudicazione (problema che, come evidente,
non viene risolto dalla sanzione del commissariamento dell’impresa che il legislatore interno
ha introdotto a seguito delle note vicende dell’Expo di Milano).
23
Altro aspetto da sottolineare e la flessibilità che la direttiva attribuisce alla disciplina
delle cause di esclusione la quale che si traduce soprattutto nella possibilità concessa
all’impresa di sanare la situazione che dovrebbe dar luogo ad esclusione adottando apposite
misure.
Il secondo paragrafo del comma 6 dell’art. 57 della direttiva prevede che tali misure
debbano consistere:
- nel risarcimento o dell’impegno a risarcire qualunque danno causato dal reato o
dall’illecito;
- nell’aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente
con le autorità investigative
- nell’aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi
al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (il considerando n. 102 parla, in
proposito, di rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel
comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale,
nell’attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di
audit interno per verificare la conformità e nell’adozione di norme interne di responsabilità e
di risarcimento).
La direttiva non chiarisce se tali misure siano cumulative o anche solo una di esse
possa essere sufficiente a ripristinare l’affidabilità dell’offerente.
E’ dubbio, tuttavia, che si possa prescindere dal risarcimento del danno atteso che tale
misura serve ad eliminare l’indebito vantaggio che l’impresa ha conseguito attraverso il
mancato rispetto delle normative ambientali e sociali.
Di nuovo la applicazione della direttiva chiama in causa il problema dell’elevato tasso
di discrezionalità che viene attribuito alle stazioni appaltanti anche in situazioni delicatissime
come quelle di condanna per corruzione o per reati di tipo mafioso.
Sotto questo profilo, al fine di evitare inaccettabili disparità di trattamento, dovrebbe
essere tenuto in attenta considerazione il suggerimento contenuto nel considerando 102 di
demandare ad autorità diverse dalla stazione appaltante siffatto ordine di valutazioni.
Altra novità di rilievo che la direttiva prevede a proposito delle cause di esclusione è la
disciplina del periodo della loro durata (art. 57 paragrafo 7) la cui determinazione è
demandata alle legislazioni nazionali.
24
Il comma 7 prevede, però, che se il periodo di esclusione non è stato fissato con
sentenza definitiva, non può superare i cinque anni dalla data della condanna con sentenza
definitiva nei casi di esclusioni obbligatorie e i tre anni dalla data del fatto in questione nei
casi di esclusioni facoltative.
Si tratta di una disciplina che, come è stato osservato dai primi commentatori, appare
incongrua in quanto consente di reimmettere l’impresa nel mercato delle commesse pubbliche
anche nel caso in cui la condanna penale abbia una durata superiore a cinque anni e nel
momento della offerta sia ancora in corso.
25
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE RELATIVA AGLI APPALTI NEI
SETTORI SPECIALI
Roberto Invernizzi
(Foro di Lecco)
SOMMARIO: 1. Generalità. – 2. Le prospettive del recepimento. – 3. Note
sull’ambito soggettivo applicativo. – 4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva
2014/25/Ue rispetto alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. – 4.1 In
generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del mercato. – 4.2 Le
procedure: il dialogo competitivo. – 4.3 Le procedure. La procedura negoziata con previa
indizione di gara: deficit di competitività nei settori speciali? – 4.4 I criteri di selezione ed
esclusione dei concorrenti. – 5. Conclusioni.
1. Generalità
Primo commento alla direttiva 2014/25/Ue che si impone è quello del rilievo della sua
stessa esistenza.
In sede di varo delle direttive 2014/17/Ce e 2004/18/Ce fu infatti prospettata la
possibilità che in sede di loro successiva revisione fosse cassata la distinzione di regole fra
appalti nei settori ordinari e in quelli speciali, a favore se non dell’identità totale di regole,
quanto meno a favore di una direttiva organica imperniata su di un ceppo di regole comuni e
con un limitato insieme di regole specifiche per i settori speciali.
Questa notazione che si impone all’evidenza nella lettura comparata dei testi delle
direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue detta, per inciso, l’impostazione di questa esposizione, che
26
muoverà dalla verifica della giustificazione – pur con sempre più forte consonanza di regole –
della permanente distinzione formale fra le discipline dei due settori, per passare alla ratio
della necessità di una disciplina degli appalti nei contratti speciali, alla valutazione su come
gli elementi rivenienti dalla direttiva 2014/25/Ue si prospettino ai fini del suo recepimento,
alla valutazione di alcuni profili di distinzione fra le discipline ordinaria e speciale.
L’opzione formale è restata quella della separazione in due testi normativi distinti
(direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue). Nella sostanza le due direttive accentuano le
convergenze di disciplina, proseguendo con coerenza il trend di progressivo avvicinamento
delle discipline già segnato dalle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce, da ultimo, e dalle
direttive 1992/50/Cee, 1993/36/Ce, 1993/37/Ce, da un lato, e 1993/38/Ce, dall’altro.
La distinzione formale predetta non consente ancora di reputare chiusa la marcia
partita all’epoca in cui l’affidamento di determinati appalti era tout-court sottratta alle regole
concorrenziali di matrice comunitaria, passata per l’avvento dell’era dei c.d. settori esclusi (in
concreto, a dispetto della dicitura ora detta, inclusi nel perimetro degli appalti regolati da
norme comunitarie), sino all’odierna età dei settori speciali.
Le ragioni variamente addotte in origine per la sottrazione degli appalti (esclusi) dei
soggetti aggiudicatori operanti in determinati settori alle regole comunitarie della
concorrenza, e indi per l’applicazione attenuata di esse, sono state varie: da vere o presunte
ragioni di peculiarità tecnologica dei beni e servizi da acquisire, alla pertinenza di quegli
appalti alle aree dei servizi di interesse generale; dai condizionamenti derivanti sui soggetti
assegnanti – formalmente pubblici o privati – dalle regole del diritto pubblico, al fatto che
quei settori sono stati storicamente pionieri nell’esperienza di partenariati (quando ancora non
si chiamavano così) pubblico-privati con impieghi di capitali misti; dall’esistenza di
particolari esigenze regolatorie sui mercati di riferimento, all’esistenza di politiche
marcatamente diverse entro i diversi Stati membri. E così via.
Ma questi settori sono effettivamente ancora “speciali”?
Un abbozzo di risposta si dà a due livelli: uno di tipo materiale e l’altro di tipo
normativo, direttamente facente capo, come si vedrà, alla direttiva 2014/25/Ue.
Vediamo il dato materiale. Uno studio commissionato dalla Commissione dell’Unione
europea nel 201117
evidenzia alcuni dati significativi:
17
PWC Public Procurement in Europe – Cost and effectiveness, 2011.
27
a. gli affidamenti ai sensi della direttiva settori speciali (allora la 2004/17/Ce)
rappresentavano per numero il 10% di tutti quelli affidati in base alle due direttive
2004/17/Ce e 2004/18/Ce;
b. in termini di valore percentuale rispetto al complesso degli affidamenti
effettuati tramite le due direttive, quelli ex direttiva 2004/17/Ce erano però il 17% del totale;
c. il valore medio dell’affidamento ex direttiva 2004/17/Ce era di 5,9 milioni di €,
contro i 2,8 milioni di € del contratto medio ex direttiva 2004/18/Ce.
Può riflettersi sul fatto che queste distinzioni sono state in parte frutto della stessa
disciplina diversa (direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) per i due ambiti. Ma è indubbio che il
dato materiale additi a una situazione per alcuni versi di tangibile differenza per i due contesti,
tale da non fare di per sé reputare irragionevole una persistente, per quanto assottigliata,
differenza di disciplina fra le due specie di affidamenti.
Non sembra estranea a questi dati sostanziali di fondo la motivazione formale della
direttiva 2014/25/Ue espressa dal suo considerando (1), in base al quale l’analisi dell’impatto
applicativo delle direttive precedenti dimostra “opportuno mantenere norme riguardanti gli
appalti degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di
trasporto e servizi postali, in quanto le autorità nazionali continuano a essere in grado di
influenzare il comportamento di questi enti, anche attraverso la partecipazione al loro
capitale sociale o l’inserimento di propri rappresentanti nei loro organi amministrativi,
direttivi o di vigilanza.”, anche considerato che “Un ulteriore motivo che spinge a continuare
a regolare normativamente gli appalti pubblici in questi settori è costituito dalla natura
chiusa dei mercati in cui agiscono gli enti in tali settori, data l’esistenza di diritti speciali o
esclusivi concessi dagli Stati membri in materia di alimentazione, fornitura o gestione delle
reti per erogare il servizio pertinente.”.
In altri termini, la permanente necessità di un insieme di regole (speciali) che assicuri
la competitività degli affidamenti nei settori speciali dipende dal fatto che per quanto per lo
più costituiti in forma privatistica gli appaltanti operano tuttora sotto pesante controllo e
influenza pubblica (con spendita, perciò, in linea di principio di quella che resta una risorsa
pubblica) e dal fatto che i soggetti assegnanti sono spesso titolari di diritti speciali, agendo
quindi in mercati non soggetti ab origine a regole concorrenziali pure.
In relazione a questo duplice ordine di considerazioni ciò che emerge con una certa
evidenza dal (sotto questo profilo senz’altro) condivisibile considerando è la necessità che
28
assegnanti così connotati debbano operare contrattualmente con norme competitive tese a fare
sì che il mercato recuperi in termini di efficienza quanto può essere ab origine perso a causa
dell’interferenza del potere pubblico in attività imprenditoriali formalmente private, ovvero a
causa delle logiche non concorrenziali degli affidamenti di talune delle concessioni o diritti
che abilitano a operare nei settori speciali.
Ciò detto, è assai meno evidente e persuasivo l’argomento che il considerando
predetto vorrebbe spendere a favore (non tanto della necessità che detti appaltanti si
assoggettino alla regole della competizione nella scelta dei propri contraenti, quanto) del fatto
che sia a tutt’oggi giustificata una disciplina peculiare (sebbene sempre meno differente da
quella odierna) degli affidamenti nei settori speciali.
Sotto questo profilo, vale forse un’esigenza sostanziale, formalmente non espressa nel
considerando, ma tuttavia oggettivamente evidente in molte delle attività “speciali” in
questione. Si tratta, anzitutto, del fatto che ben più che nei settori ordinari (con la progressiva
assunzione di rilievo dell’organismo di diritto pubblico18
) i soggetti assegnanti operano in
forma giuridica privata, addirittura della “impresa pubblica”19
, dal che sorge la tendenziale
necessità – pur sempre più ristretta – di poter operare con regole più flessibili di quelle
ordinarie. Il che, in secondo luogo, appare poter assumere maggior pregnanza considerato che
in molti dei settori speciali gli assegnanti nazionali debbono interloquire con soggetti
imprenditoriali sovra nazionali organizzati in forme marcatamente imprenditoriali per poter
reggere il passo con i quali sono necessarie regole contrattualistiche più flessibili di quelle
ordinarie.
È chiaro, per inciso, che la duplice (specie l’ultima) esigenza ora detta può addursi sia
per giustificare la permanenza di una formalmente diversa disciplina fra i due settori, sia per
modulare, in sede di dettatura della disciplina di recepimento relativa ai settori speciali, la
scelta di introdurre o meno tutti i vincoli procedimentali che le direttive lasciano in alcuni
punti alla discrezionalità dello Stato membro se recepire o meno.
Trattando di recepimento preme per inciso una nota sul recente assunto del Consiglio
di Stato in sede consultiva20
in tema di affidamenti in-house, in forza della non ancora
18
Per il quale l’art. 3 paragrafo 4 della direttiva 2014/25/Ue conferma la definizione ordinaria. 19
Definita ex art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2014/25/Ue come la “impresa su cui le amministrazioni
aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne
sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria o in virtù di norme che disciplinano
l’impresa in questione.”. 20
Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298; ibidem, 22 aprile 2015, n. 1178.
29
recepita direttiva 2014/25/Ue che esso ritiene ex se applicabile poiché “dettagliata”, con
notevole e apprezzabile slancio europeista, ma forse al di là della regola per cui l’applicazione
diretta di una direttiva esige pur sempre che, oltre che chiara e precisa nel testo, essa sia
“suscettibile di applicazione immediata, [e] dunque non condizionata ad alcun provvedimento
formale dell’autorità nazionale.”21
come sono quelli di recepimento, sino a che il relativo
termine non sia scaduto. Prima di reputare direttamente applicabili norme della direttiva
2014/25/Ue necessita quanto meno che il relativo termine vada a scadenza e che frattanto
entro esso non sia intervenuto il recepimento a opera dello Stato membro22
.
2. Le prospettive del recepimento
La notazione appena espressa conduce al tema delle prospettive del recepimento delle
disposizioni sui settori speciali.
L’esame del disegno di legge governativo per la legge-delega ai fini del recepimento
delle direttive presentato lo scorso novembre e quello dei lavori parlamentari disponibili,
conferma un’assoluta identità di principi e criteri direttivi in vista del recepimento delle tre
direttive.
Ciò è consono alla spinta verso un’ulteriore omogeneizzazione delle discipline
(almeno sugli appalti), ma non sta ovviamente a significare che – anche in relazione a istituti
(molti) disciplinati identicamente dalle direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue ci si debbano
attendere discipline interne identiche per i due ambiti.
Le peculiarità messe in luce in chiusura del paragrafo precedente rendono
perfettamente possibile che, pur a parità di principi e criteri di recepimento formalmente
identici, il recepimento non sia identico nei due settori, specie in relazione alla possibilità per
il legislatore del recepimento di modulare per esempio le clausole rispetto alle quali esso
acceda o meno agli ambiti di discrezionalità lasciati dal legislatore europeo. Come si
21
G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012, 169. Corte di Giustizia delle Comunità
europee: 8 aprile 1976 in causa 43/75; 5 aprile 1979 in causa 148/78; 19 gennaio 1982, in causa 8/81;
5 ottobre 2004, in causa C-397-403/01. 22
Per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione – riferita al settore dei contratti pubblici -
dell’ampiezza degli effetti delle direttive dettagliate non ancora recepite, e per la messa a fuoco di
come rispetto a esse si pongano il tema della interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto a
quello europeo e del significato e dei limiti dello stand still europeo, si veda Consiglio di Stato, Sez.
VI, 26 maggio 2015, n. 2660.
30
accennava, una tendenziale minor introduzione di vincoli sarebbe consona alla pur fortemente
ridotte peculiarità riconosciute ai settori speciali.
Sotto questi profili anche il divieto di gold-plating che sia secondo il diritto
dell’Unione sia secondo i principi e direttive in corso di elaborazione per la legge-delega
rappresenta uno dei fili conduttori dell’operazione di recepimento, può declinarsi
differentemente con riferimento allo specifico recepimento delle disposizioni afferenti ai
settori speciali.
3. Note sull’ambito soggettivo applicativo
È confermata la tradizionale impostazione che vede la direttiva per i settori speciali
applicabile all’esito di una duplice valutazione di tipo soggettivo e oggettivo. Occorre, in altri
termini, che si tratti di soggetti con peculiari caratteristiche soggettive, e che operino nel
campo di svolgimento di determinate attività. Il meccanismo è più complesso di quello di cui
alla direttiva sui settori ordinari, che vede definito il proprio campo di applicazione in linea di
principio sulla scorta della qualificazione come latamente pubblico del soggetto assegnante.
Il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della direttiva 2014/25/Ue indica in tal senso
quali enti aggiudicatori:
a. le amministrazioni aggiudicatrici e le imprese pubbliche operanti nei settori speciali;
b. i soggetti che, pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche
operano nei settori speciali in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dal potere pubblico
tramite disposizioni legislative o amministrative aventi l’effetto di riservare a uno o più
soggetti le attività nei settori esclusi, e di incidere [ovviamente in negativo] sulla possibilità
di altri enti di esercitare tale attività.
In relazione a quest’ultima classe soggettiva, il secondo comma del paragrafo 3
dell’art. 4 della direttiva specifica non ricorrere l’ipotesi dei diritti speciali o esclusivi con
riferimento al caso in cui la concessione della posizione corrispondente all’esercizio del
diritto speciale o esclusivo sia stata assegnata “in virtù di una procedura in base alla quale è
stata assicurata una pubblicità adeguata”.
31
In questi casi (enti aggiudicatori diversi da amministrazioni aggiudicatrici o imprese
pubbliche titolari di esclusive affidate con modalità competitive) la direttiva 2014/25/Ue non
si applica.
La ratio sottostante appare legata a quella che connota in generale il sistema della
disciplina europea del sistema di appalti e concessioni latamente pubbliche e in specie il
sistema degli appalti nei settori speciali. Le norme pro competitive volgono in genere a fare sì
che soggetti assegnanti in oggettive posizioni di preminenza (dovute alla soggettività pubblica
e/o alla titolarità di posizioni di esclusiva ottenute in modo non competitivo) operino in
maniera non discriminante e perciò efficiente sia a livello di funzionalità del sistema-
ordinamento sia a livello di allocazione delle risorse (più efficiente spendita di una risorsa
latamente pubblica).
Nel caso specificamente in esame l’evidente presunzione della direttiva è che il
soggetto che si sia aggiudicato in modo competitivo l’esclusiva attività in uno dei settori
speciali sia spinto dalla forza delle cose a non comportarsi in maniera discriminatoria nella
sede dei suoi acquisti. Detto altrimenti, se esso ha dovuto compiere sforzi tecnico-economici
per aggiudicarsi l’esclusiva in esito a una procedura competitiva (nella quale ha dovuto
misurarsi con offerte omologhe e concorrenti) la presunzione è che esso non abbia più riserve
di risorse per permettersi poi affidamenti non guidati da una rigorosa ricerca dell’efficienza
(in termini di minori costi e di soluzioni tecniche più vantaggiose).
Il tema in questione è delicato anche per la sua contiguità al campo degli aiuti di Stato
(artt. 107 e ss. TFUE), dovendosi indagare con particolare severità la effettiva natura
competitiva e concorrenziale della procedura all’origine dell’assegnazione dell’esclusiva in
questione.
32
4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto alle regole
ordinarie: le tipologie di procedure di affidamento e i criteri di aggiudicazione
4.1. In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del
mercato
La direttiva 2014/25/Ue assume profili di forte parallelismo con la direttiva
2014/24/Ue in relazione a una serie di istituti innovativi introdottine, nonché in merito alla
parimenti innovativa strutturazione dei criteri di aggiudicazione.
Quanto a questi ultimi gli artt. 67 e 68 della direttiva 2014/24/Ue sono ricalcati dagli
artt. 82 e 83 della direttiva 2014/25/Ue. Anche nei settori speciali è, quindi, accolta
l’evoluzione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa verso il concetto della
considerazione del fattore prezzo e del costo, anche nella proiezione della considerazione del
ciclo di vita dei beni o servizi acquisiti, nonché con l’esasperazione della considerazione delle
componenti tecniche di offerta che può oggi condurre ad affidamenti a prezzo bloccato nei
quali la competizione venga a vertere sulle sole componenti tecnico-qualitative di offerta.
Anche nei settori speciali si completa perciò quel ribaltamento di prospettiva che sul terreno
nazionale si misura nel percorso dalla assoluta o quasi preminenza del criterio del prezzo più
basso in testi come i rr.dd. 2440/1923 e 827/1924 (ma anche nelle prime formulazioni della l.
109/1994 …), attraverso il riconoscimento23
tendenziale di una legittima combinazione di
fattori, sino all’odierno ribaltamento di prospettiva predetto.
Ancora, le direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sono parallele nell’accogliere la
disciplina dei sondaggi preliminari di mercato sottoforma delle consultazioni preliminari di
mercato e della connessa disciplina della partecipazione precedente di candidati e offerenti
(artt. 40 e 41 direttiva 2014/24/Ue e artt. 58 e 59 direttiva 2014/25/Ue). Si tratta di profili
rilevanti, in precedenza a torto negletti – fatto salvo rispetto al dialogo tecnico di all’ottavo
considerando motivazionale della direttiva 2004/18/Ce e a un paio di sentenze della CGUE,
positivi perché apportatori di chiarezza nella fase dell’impostazione delle procedure, ove per
23
Es. in taluni filoni giurisprudenziali degli anni ’90 che ancora argomentavano – per la verità in
assenza sostanziale di agganci già nelle direttive dell’epoca – la necessità di quanto meno accordare al
fattore economico la preminenza (più della metà del punteggio assegnabile) su quello tecnico-
qualitativo.
33
eccellenza possono annidarsi le distorsioni che il successivo svolgimento della gara nel
pedissequo rispetto delle (distorsive) regole di essa non fa che perpetuare.
Parimenti analoga (art. 48 direttiva 2014/25/Ue e art. 30 direttiva 2014/24/Ue) è la
conferma dello strumento del dialogo competitivo già noto alle direttive precedenti, al fine di
elaborare soluzioni non ben chiare neppure all’assegnante a base della procedura, ma
suscettibili di trovare nel mercato la base per la soddisfazione di esigenze dell’assegnante che
il dialogo stesso concorre a porre a fuoco.
E, ancora, è comune ai due testi la forte novità costituita dai partenariati per
l’innovazione (artt. 31 direttiva 2014/24/Ue e art. 49 direttiva 2014/25/Ue), con il loro
fondamentale obiettivo di promuovere l’innovazione nel rapporto fra assegnante e operatori
economici, in vista anzitutto dell’innovazione stessa prima ancora per che l’assegnazione di
un determinato contratto.
Bisogna però sottolineare che questa tendenziale comunanza (fra le due direttive) di
strumenti innovativi si cala in contesti diversi nei due corpora, con il risultato indiretto di
accentuare i gradi di discrezionalità e libertà operativa degli assegnanti operanti nei settori
speciali rispetto a quelli operanti nei settori ordinari.
4.2. Le procedure: il dialogo competitivo
Proprio quanto all’in apparenza identicamente disciplinato dialogo competitivo nei
due ambiti – settori esclusi e settori ordinari - occorre registrare anzitutto che la direttiva
2014/24/Ue si preoccupa con apposite disposizioni (art. 26 paragrafo 4, “Scelta delle
procedure”) di disciplinare casi e modi di legittimo impiego della procedura. Ciò rimarca la
preoccupazione – latente nel sistema – che le procedure più innovative e per loro natura più
flessibili (si tratta di esplorare i limiti di soluzioni tecnico-economiche di mercato in rapporto
a esigenze innovative degli assegnanti) siano quelle che, se non adeguatamente presidiate,
possono aprire all’arbitrio la porta delle procedure. Onde, per i settori ordinari sono dettati
parametri-guida normativi volti a normalizzare il ricorso a quelle procedure e, di
conseguenza, a permettere un miglior controllo anche giurisdizionale, sul loro impiego da
parte degli assegnanti.
34
In relazione al dialogo competitivo nei settori speciali, l’art. 44 direttiva 2014/25/Ue,
in apparenza omologo all’art. 26 direttiva 2014/24/Ue, stando alla rispettiva identica rubrica
(Scelta delle procedure), manca della specificazione di casi e modi nei quali debba applicarsi
il dialogo competitivo. Possiamo concludere che la scelta in proposito possa essere arbitraria?
Di certo no. Criteri generali come quello di proporzionalità e ragionevolezza escludono
l’arbitrio. È immaginabile a livello sistematico - quanto meno entro certi limiti24
- la
possibilità di appoggiare sull’analogia le valutazioni in tema di legittimo impiego del dialogo
competitivo nei settori speciali.
Tuttavia, la mancanza di detta prescrizione di indirizzo sull’uso del dialogo
competitivo ha l’indubbio effetto di rendere più flessibile – a discrezione, non ad arbitrio,
dell’assegnante – la procedura con riferimento ai settori speciali. Con conferma delle
rivendicate esigenze di fondo che tuttora (primo considerando motivazionale della direttiva
2014/25/Ue) ne vogliono preservare specificità di presupposti applicativi e disciplina
applicabile.
4.3. Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara: deficit di
competitività nei settori speciali?
Una duplice apparente dissonanza rispetto al principio dell’accentuato parallelismo di
strumenti fra le due direttive si lega:
a. al mantenimento nella direttiva 2014/25/Ue della figura – che era nella direttiva
2004/18/Ce ed emergeva dalla direttiva 2004/17/Ce – della procedura negoziata con previa
pubblicazione di bando (o indizione di gara);
b. all’assenza dalla direttiva 2014/25/Ue della peculiare figura innovativa costituita nei
settori ordinari dalla Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue;
c. al corollario del superamento nella direttiva 2014/24/Ue della figura (già nella
direttiva 2004/18/Ue) della procedura negoziata previa pubblicazione di bando.
24
Resta significativo che il legislatore europeo non abbia voluto nella direttiva 2014/25/Ue la formula
che nella direttiva 2014/24/Ue delimita l’applicazione del dialogo competitivo, ma di certo da ciò non
può trarsi un divieto di ricorso allo strumento analogico per valutarne la congruità applicativa anche
nel campo dei settori speciali.
35
La lettura approssimativa di questa combinazione di innovazioni farebbe percepire un
deficit di competitività nella disciplina dei settori speciali rispetto a quella dei settori ordinari.
Colpisce in specie la formale assenza dalla direttiva 2014/25/Ue dello strumento della
procedura competitiva con negoziazione, giustamente salutata come una fra le maggiori
novità apportate dalla direttiva 2014/24/Ue nel settori ordinari.
Al di là dei dati formali stanno però quelli sostanziali, che possiamo affrontare a
partire dalla tematica della procedura negoziata con previa indizione di gara ex art. 47
direttiva 2014/25/Ue.
Ciò posto, facciamo un passo indietro al regime delle direttive 2004/17/Ce e
2004/18/Ce. Esse prevedevano entrambe lo strumento della procedura negoziata previa
pubblicazione di bando, ma a parità di nomen la disciplina era piuttosto differente.
Anzitutto, l’art. 30 della direttiva 2004/18/Ce vincolava l’utilizzo dello strumento a
casi nei quali ricorressero presupposti particolari.
Per converso, il legislatore dei settori speciali (direttiva 2004/17/Ce) dettava una
disciplina minimale, essenzialmente per differenza – entro l’art. 40 – rispetto al caso della
procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando. Per il resto le pochissime regole
dettate erano di taglio assolutamente generale (invito simultaneo a presentare offerta,
selezione di offerte e candidati sulla scorta di quanto anticipato dall’avviso o bando della
procedura).
Si apriva, così, nei settori speciali, un terreno amplissimo per l’uso della procedura
negoziata previa pubblicazione di bando. Legittimata la quale (art. 40 direttiva 2004/17/Ue)
veniva a profilarsi un ampio spazio discrezionale afferente sia all’an del ricorso alla
negoziazione, sia ai contenuti e alle modalità di questa, con sostanziale libertà – nei limiti
della proporzionalità, della ragionevolezza, della tutela della par condicio e della trasparenza
– per l’assegnante nella strutturazione di fasi e modi della negoziazione, in relazione alle
oggettive esigenze presentate dal quid di volta in volta oggetto di assegnazione25
. Anche le
25
Così, in relazione all’art. 220 d.lgs. 163/2006, basato sull’art. 40 della direttiva 2004/17/Ce, è
osservato che 1.“Una prima e appariscente particolarità propria della disciplina recata dall’art. 220
(e mutuata dalla disciplina previgente), integrante una differenza sostanziale rispetto al regime
ordinario, riguarda la discrezionalità di cui è investita la stazione appaltante nel prescegliere l’una
piuttosto che l’altra procedura di affidamento: e infatti l’art. 220 – diversamente dall’art. 56 – non
assoggetta la facoltà di aggiudicazione a mezzo di procedura negoziata previo bando a rigide e
tassative condizioni, ma anzi ne attua una completa parificazione alle altre metodologie,
tradizionalmente ritenute maggiormente garantistiche della concorrenza e della parità di accesso
degli operatori economici. Ne consegue che alle stazioni appaltanti è lasciata la piena discrezionalità
36
schematiche minimali richieste di contenuto del bando a base della procedura dettate
dall’apposito allegato alla direttiva non intaccavano, ma solo regolavano, quest’ampia
possibilità, contrapposta ai ben più ristretti margini di impiego della procedura negoziata
previo bando nei settori ordinari ex direttiva 2004/18/Ce26
27
.
Per inciso, il disegno di questo ambito di discrezionalità è uno dei fattori all’origine
del censimento, nel 2011, della procedura negoziata previa pubblicazione di bando come la
procedura standard di aggiudicazione degli appalti nei settori speciali28
.
E oggi?
di acquisire i lavori, i servizi o le forniture sempre e comunque secondo questa procedura, senza
neppure la necessità di un’analitica motivazione” (C. CACCIAVILLANI–G. BERTO, sub art. 220, in
Commentario al codice dei contratti pubblici, diretto da G. F. FERRARI–G. MORBIDELLI, Milano,
2013, 189-190). In termini analoghi: “Gli enti aggiudicatori dei settori speciali possono utilizzare
procedure aperte, ristrette, negoziate previo bando, e dialogo competitivo. Non sono stabiliti limiti per
la procedura negoziata previo bando, che è dunque alternativa a quella aperta e a quella ristretta
(art. 220, codice)” (R. DE NICTOLIS, Manuale dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture, Roma, 2010, 906). 26
“Quel che interessa nella presente sede è evidenziare come nei settori speciali, contrariamente a
quello che accade nei settori cc. dd. classici, il legislatore nazionale considera tutte le procedure di
scelta, purché precedute dalla pubblicazione di avviso di gara, come assolutamente alternative tra
loro, nel senso che gli enti aggiudicatori obbligati al rispetto della disciplina di cui alla Parte III del
Codice possono ricorrere alternativamente ad una procedura aperta, ristretta, negoziata o al dialogo
competitivo previa pubblicazione di bando per l’individuazione del soggetto con cui stipulare il
contratto, senza alcuna limitazione o preferenza tra esse, fatte salve le ipotesi – tassativamente
individuate dall’art. 221 – in cui possono avvalersi anche delle procedure negoziate senza indizione di
gara.” (R. GAROFOLI–G. FERRARI, sub art. 220, in Codice degli appalti pubblici, Roma, 2010, 1972). 27
infatti, la struttura di fondo dei due articoli: così come l’art. 45 Direttiva n. 18 prevedeva una
contrapposizione fra cause di esclusione “obbligatorie” (paragrafo 1) e cause di esclusione
“facoltative” (paragrafo 2), così il nuovo art. 57 Direttiva n. 24 dispone, ricorrendo le ipotesi
di cui al primo paragrafo, che «le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore
economico dalla partecipazione […]» e, verificandosi le evenienze di cui al paragrafo 4, che
«le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere […]» riproponendo, in tal modo, la
distinzione fra cause di esclusione obbligatorie e facoltative.
Tuttavia, si ha ragione di credere che il medesimo paragrafo 4 dell’art. 57 consenta che
gli Stati membri, ricorrendo le stesse ipotesi di esclusione facoltativa, impongano alla stazione
appaltante l’esclusione del concorrente, così equiparando le cause facoltative a quelle
obbligatorie167
: la nuova Direttiva appare allora più precisa della precedente, il cui art. 45 si
limitava all’elencazione delle ipotesi riferibili alle due tipologie di esclusione, senza precisare
la possibilità per lo Stato membro di rendere vincolante la causa di esclusione facoltativa.
La maggiore analiticità dell’art. 57 si percepisce anche nella previsione di un’apposita
“micro disciplina” della causa di esclusione inerente alla violazione della normativa tributaria
e previdenziale: appositamente, il paragrafo 2 introduce l’obbligatorietà dell’esclusione
dell’operatore economico che non abbia «ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di
imposte o contributi previdenziali» qualora tale inottemperanza sia stata accertata con
provvedimento vincolante e definitivo in conformità alla legislazione vigente del paese di
stabilimento dell’operatore o del paese di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice.
La disciplina specifica sull’esclusione per il mancato pagamento di imposte e di
mancato versamento di contributi previdenziali, assume particolare valenza se letta in
raffronto con il primo paragrafo dello stesso articolo 57: infatti, mentre quest’ultimo richiede
espressamente che la condanna – rilevante ai fini dell’esclusione obbligatoria – sia stata
pronunciata con sentenza passata in giudicato, il paragrafo secondo al secondo comma
introduce un quid pluris, prevedendo una fattispecie di esclusione facoltativa (ma che può
diventare obbligatoria su previsione dello Stato membro) qualora l’amministrazione
aggiudicatrice abbia a propria disposizione mezzi adeguati per provare l’inadempimento.
166
C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l’aggiudicazione, in Gior. dir. amm., 2014,
12, pp. 1141 ss. 167
Scelta, peraltro, seguita dal legislatore italiano nel recepimento della precedente direttiva
2004/18/CE.
140
In altri termini, mentre la causa di esclusione obbligatoria del paragrafo 1 richiede
sempre l’accertamento con efficacia di cosa giudicata, la causa si esclusione di cui al
paragrafo 2 richiede la definitività dell’accertamento solo per l’esclusione obbligatoria, ma
permette – al secondo comma – di giungere all’esclusione facoltativa (rectius obbligatoria su
scelta dello Stato membro) per gli stessi motivi sulla scorta dell’apprezzamento ad opera
della stazione appaltante di qualunque adeguato mezzo: ad avviso di scrive, si tratta di una
disposizione sulla quale il legislatore nazionale dovrà, in sede di recepimento, fornire
opportune precisazioni, atteso che non solo gli stessi motivi possono condurre
simultaneamente all’esclusione obbligatoria e a quella facoltativa, ma anche che l’operatore
economico potrebbe trovarsi a giustificare il proprio operato in una materia, quale quella
tributaria, nella quale il nostro ordinamento appronta rigide garanzie amministrativo-
procedimentali e giurisdizionali a tutela del contribuente168
.
Tali considerazioni si fanno maggiormente stringenti alla luce della tradizione italiana
di assimilare le previsioni di esclusione nell’unica categoria delle cause obbligatorie: una
conferma di questa scelta legislativa interna condurrebbe sempre all’obbligatorietà
dell’esclusione del partecipante qualora la stazione appaltante ritenga dimostrabile
l’inottemperanza al pagamento di imposte o contributi previdenziali senza che sia necessaria
l’intermediazione delle amministrazioni e dell’autorità giudiziaria preposta a tale
accertamento.
In ogni caso, un limite a tali disposizioni si desume dallo stesso paragrafo 2169
, il quale
all’ultimo comma dispone l’inapplicabilità dei due periodi precedenti qualora l’operatore
abbia adempiuto o si sia impegnato al versamento: in ogni caso, all’accertamento della
fattispecie di cui al secondo comma del paragrafo 2 dovrebbe riconoscersi sempre un’ampia
possibilità di soccorso istruttorio alla stazione appaltante al fine di mettere l’operatore
economico nella condizione di dimostrare il rispetto della normativa fiscale e previdenziale170
.
168
Garanzie tipiche di un sistema incentrato sulla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. 169
Anche il successivo paragrafo 3, comma 2, invita gli Stati membri ad evitare la sanzione
dell’esclusione, in virtù del principio di proporzionalità, qualora le somme non versate siano esigue
ovvero nei casi in cui l’operatore economico non avrebbe potuto ottemperare prima della formulazione
della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta. 170
Un’interpretazione del genere peraltro risulta coerente con il sempre maggior spazio che la
legislazione tributaria riconosce al contraddittorio endoprocedimentale fra Pubblica amministrazione e
contribuente nella formazione dell’atto di accertamento fiscale.
141
Ulteriori innovazioni rilevabili nel testo dell’art. 57 attengono, in primo luogo, alla
previsione – al paragrafo 3 – di una disciplina maggiormente dettagliata171
della possibilità di
derogare in via eccezionale alle cause di esclusione obbligatorie e a quelle del paragrafo 2,
qualora sussistano «esigenze imperative connesse ad un interesse generale», fra le quali, per
tabulas, sono annoverate la tutela dell’ambiente172
e la salute pubblica.
Con maggiore rigore l’art. 57, Direttiva n. 24, estende a tutte le fasi della procedura la
doverosità – ovvero la possibilità ove prevista – di esclusione dell’operatore che si trovi in
una delle condizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 4.
Di verso opposto sono, invece, le previsioni di cui al paragrafo 6, le quali introducono
le cosiddette “self-cleaning measures”173
manifestamente ispirate al principio di massima
partecipazione alla procedura di aggiudicazione. Il favor partecipationis espresso dalla norma
in esame consente di superare il dato formale della presenza di una pertinente causa di
esclusione (anche quando la stessa derivi da una pronuncia di condanna penalmente rilevante
e munita dell’efficacia della res iudicata174
, a meno che nei confronti dell’operatore non sia
stata pronunciata una sentenza definitiva, che ai sensi del comma 3, paragrafo 6, lo escluda
espressamente dalla partecipazione agli appalti), ammettendo la partecipazione, qualora
l’operatore sufficientemente dimostri la sua affidabilità.
La disposizione costituisce qualcosa in più del semplice principio di collaborazione
procedimentale o del dovere di soccorso istruttorio175
, in quanto non è volta all’eliminazione
di errori o carenze meramente formali che impediscono all’amministrazione di verificare la
reale sussistenza dei requisiti richiesti: infatti, il paragrafo 6 concerne casi in cui l’operatore
non dispone dei requisiti generali di partecipazione in quanto rientra nelle situazioni
disciplinate dai paragrafi 1 e 4 (rispettivamente cause di esclusione obbligatorie e facoltative).
171
L’art. 45 della Direttiva 2004/14/CE si limitava, al paragrafo 1, a statuire la possibilità per gli Stati
membri di preveder deroghe per esigenze imperative di interesse generale. 172
La previsione di deroghe alle cause di esclusione obbligatorie al fine di tutelare aspetti sociali ed
ambientali rientra nella più ampia volontà, espressa dal legislatore europeo nelle Direttive del 2014, di
affiancare alle regole pro-competitive e concorrenziali anche la garanzia di determinati standard
ambientali e sociali in linea con la strategia “Europa 2020”. In proposito, si vedano H.C. CASAVOLA,
op. cit. e N. TORCHIO, op. cit. 173
C. LACAVA, op. cit. e F. DI CRISTINA, La prevenzione dell’illegalità e l’interazione tra le
amministrazioni, in Gior. dir. amm., 2014, 12, pp. 1160 ss., il quale parla di «ravvedimento
procedimentale» (p. 1161). 174
Ciò si desume dal tenore letterale della disposizione che prevede l’applicazione della previsione del
paragrafo 6 a tutti gli operatori che si trovino nelle situazioni di cui ai precedenti paragrafi 1 e 4. 175
In tal senso si pone come ulteriore a quanto già previsto dalla normativa italiana agli artt. 38,
comma 2-bis e 46, commi 1 e 1-ter, c.c.p.
142
Tuttavia, il citato paragrafo si pone in un’ottica “supersostanziale”, permettendo all’aspirante
aggiudicatario di dimostrare di essersi redento dai motivi di esclusione, ancorché derivanti
dalla sanzione penale176
: in proposito, al comma 2, il paragrafo 6 esemplifica gli elementi di
“prova” a disposizione dell’operatore quali il risarcimento del danno, la collaborazione con
l’Autorità giudiziaria e l’adozione di provvedimenti volti alla prevenzione di futuri illeciti o
reati.
Il paragrafo da ultimo esaminato introduce, pertanto, un elemento di forte innovazione
nella regolamentazione delle cause di esclusione delle procedure di aggiudicazione che non
trova un omologo nel diritto interno e che, conseguentemente, dovrà essere recepito dal
legislatore delegato: la trasposizione dell’art. 57, Direttiva n. 24, nel diritto nazionale impone
dunque, da un lato, un ripensamento delle attuali previsioni concepite dal codice dei contratti
pubblici e, dall’altro lato, offre l’occasione per addivenire ad una complessiva semplificazione
e razionalizzazione della medesima normativa.
È opportuno, di conseguenza, mettere in risalto quelle complessità che il legislatore
delegato – si auspica – avrà l’opportunità di rimuovere.
3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento delle
direttive europee del 2014
In virtù delle disposizioni contenute nel codice dei contratti pubblici, la stazione
appaltante, in linea generale, può procedere ad escludere dalla gara un operatore economico
allorché il medesimo si riveli privo dei requisiti di ammissione e di partecipazione richiesti
dalle disposizioni di legge vigenti177
.
La disciplina italiana delle cause di esclusione, come è stato ricordato poco sopra, si
articola fondamentalmente in due disposizioni rinvenibili nel D.Lgs. 163/2006: le suddette
disposizioni sono l’art. 38, concernente i “requisiti di ordine generale”, e l’art. 46 oggi
rubricato “documenti e informazioni complementari – tassatività delle cause di esclusione”. 176
La Direttiva potrebbe, benché sotto il profilo economico, essere tramite di una interpretazione
estensiva dell’art. 27 Cost. e della funzione rieducativa della pena: pare, infatti, desumersi un
orientamento del Legislatore europeo a non rendere di per sé vincolante la sanzione penale quale causa
di esclusione, allorché l’operatore economico si sia sostanzialmente riabilitato. 177
L. DE GREGORIIS, A lo parlare agi mesura: potere di soccorso istruttorio e non tassatività del
principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare di appalto, in Foro amm., 2014, 9, pp.
2268 ss.
143
La prima delle due disposizioni indicate costituisce recepimento dell’art. 45, Direttiva
n. 2004/18/CE, e rappresenta la disposizione sulla quale il legislatore delegato dovrà
concentrarsi maggiormente al momento del recepimento dell’art. 57 della nuova Direttiva n.
24 del 2014.
In ordine alla disposizione in parola, possono, in linea generale, articolarsi alcune
osservazioni: a) in primo luogo, è doveroso ricordare che, nella compilazione dell’art. 38, il
legislatore del 2006178
ha optato per la redazione di un’unica elencazione di cause di
esclusione tutte qualificate come obbligatorie, nonostante l’art. 45 della Direttiva 18
prevedesse la distinzione fra ipotesi obbligatorie e facoltative. Benché la scelta normativa
italiana possa ricondursi alla volontà di ridurre al minimo la discrezionalità della Pubblica
amministrazione, tutelando in misura crescente sia la partecipazione degli operatori
economici, sia la stessa stazione appaltante dall’eventuale aggiudicazione a soggetto privo
delle opportune caratteristiche, occorre ribadire che anche la nuova direttiva del 2014
ripropone la distinzione – pur riconoscendo agli Stati membri la possibilità di tributare
valenza obbligatoria alle cause facoltative – fra carenze che comportano necessariamente
l’esclusione e quelle che non impongono tale conseguenza: peraltro, come riportato, il
legislatore delegato potrà rinnovare la scelta del 2006, ma tale scelta dovrà coordinarsi con la
pressante domanda di flessibilità formulata nella nuova direttiva e con la necessità di chiarire
definitivamente il rapporto fra unica elencazione e istituti della tassatività e del soccorso
istruttorio di cui si dirà poco oltre; b) si deve rimarcare, altresì, la presenza già nell’attuale art.
38 di strumenti di semplificazione quali le dichiarazioni sostitutive ex D.P.R. n. 445 del 28
dicembre 2000, previste dal comma 2, e gli strumenti sanatori di cui al recentissimo comma
2-bis179
.
La seconda delle disposizioni indicate, vale a dire l’art. 46 codice dei contratti
pubblici, permette di addentrarsi immediatamente nell’analisi dell’argomento che occupa
questo ultimo paragrafo e relativo agli aspetti problematici del combinato disposto degli artt.
38 e 46.
Preliminarmente non ci si può esimere da una considerazione inerente la tecnica
legislativa impiegata dal nostro legislatore: se, originariamente, in ognuno dei due articoli
poteva essere riconosciuta una regolamentazione autonoma ancorché coordinata, oggi
178
P.L. PELLEGRINO, Le procedure concorsuali nel codice dei contratti pubblici ex D.LG. 12 aprile
2006, n. 163, in Giur. merito, 2008, 6, pp. 1203 ss. 179
Del quale si tratterà nel proseguio del presente paragrafo.
144
l’impiego, quantomeno disinvolto, della decretazione d’urgenza impone una difficoltosa
operazione di esegesi delle norme, che indubbiamente si pone in contrasto con le finalità di
semplificazione amministrativa e normativa desumibili tanto dalla Direttiva n. 24, quanto dal
D.D.L. delega A.S. 1678/2014. Non a caso, nonostante due significativi interventi operati con
il cosiddetto “decreto sviluppo” del 2011180
e con il D.L. 90/2014181
- quest’ultimo, si ricordi,
intervenuto posteriormente alle nuove direttive – permangono ancora significativi dubbi
interpretativi in ordine a due profili: da un lato, il principio di tassatività; dall’altro lato, il
dovere di soccorso istruttorio.
A) Il cosiddetto “principio di tassatività delle cause di esclusione” è stato disciplinato
nel corpus dell’art. 46 codice dei contratti pubblici mediante l’inserimento di un comma 1-bis
ad opera dell’art. 4 del citato D.L. 70/2011. Il nuovo comma, ex lege qualificato come
principio di tassatività182
, dispone che la stazione appaltante debba procedere all’esclusione
nel caso in cui i candidati abbiano violato le prescrizioni previste dal codice degli appalti
medesimo, dal regolamento o da altre norme di legge, ovvero nel caso in cui si verifichino
circostanze tali da far ritenere violati i principi di segretezza e di corretta individuazione del
contenuto e della provenienza delle domande e delle offerte. Con regola innovativa, il comma
1-bis dispone, altresì, che i bandi e le lettere di invito non possano contenere ulteriori
previsioni a pena di esclusione e che, in ogni caso, eventuali previsioni di siffatto tenore sono
viziate di nullità.
La ratio sottesa a tale elaborazione normativa si identifica nella volontà, tipica della
tradizione italiana, di circoscrivere la discrezionalità della pubblica amministrazione nella
disciplina delle procedure concorsuali183
e, di converso, di eliminare la funzione di lex
specialis di gara riconosciuta al bando in grado precedentemente di prescrivere, a pena di
esclusione, requisiti e condizioni ulteriori a quelli voluti dalla legge: questo orientamento si
180
D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito in L. n. 106 del 12 luglio 2011, in proposito A. LEONI,
op. cit. 181
D.L. n. 90 del 24 giugno 2014 recante “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114, si
veda P. PROVENZANO, Brevi considerazioni a margine della disciplina sugli oneri dichiarativi ex art.
38 D.Lgs. 163/2006 contenuta nell’art. 39 del Decreto Legge n. 90/2014, in www.giustamm.it, 2014 e,
più in generale, M.A. SANDULLI, Il D.L. 24 giugno 2014 n. 90 e suoi effetti sulla giustizia
amministrativa. Osservazioni a primissima lettura, in www.federalismi.it, 2014, 14. 182
Il D.L. 70/2011 ha infatti provveduto alla sostituzione della rubrica dell’art. 46 c.c.p. inserendovi
l’esplicito riferimento al principio di tassatività. 183
P.L. PELLEGRINO, op. cit.
145
identifica nella concezione “classica” del diritto italiano degli appalti pubblici184
volto a
identificare nella normativa concorsuale lo strumento di tutela non tanto della concorrenza e
della partecipazione dei candidati, quanto espediente per impedire che la Pubblica
amministrazione, facendo massiccio ricorso alla propria discrezionalità, maldestramente
impieghi le risorse pubbliche o, addirittura, adotti comportamenti collusivi o corruttivi.
Come è stato efficacemente assodato in una delle relazioni di apertura del
convegno185
, l’adesione della Repubblica Italiana alla Comunità europea prima e all’Unione
successivamente ha imposto il superamento della normativa di contabilità pubblica degli anni
’20 del secolo scorso al fine del perseguimento dell’obiettivo di massima concorrenzialità
insito nel mercato unico: obiettivo, quest’ultimo, che oggi è affiancato dai più volte
annoverati fini di flessibilità, semplificazione, sostenibilità ed innovazione degli appalti.
La disposizione in esame dovrebbe, quindi, essere interpretata sì come delimitazione
della discrezionalità, ma orientandola al fine della tutela del favor partecipationis e
dell’esclusione quale extrema ratio – principio questo d’altra parte già studiato anche
nell’ordinamento interno186
– impedendo alla Stazione appaltante di usufruire della
discrezionalità per raggiungere scopi che non siano riconducibili all’individuazione
dell’offerente più qualificato.
Si deve, peraltro, precisare che il principio di tassatività, così come formulato dal
legislatore d’urgenza, è risultato di difficile applicazione, nonché di complicata integrazione
all’interno del sistema delle clausole di esclusione previsto dal codice degli appalti pubblici,
tanto che la Sesta Sezione del Consiglio di Stato187
ha ritenuto opportuno investire
l’Adunanza Plenaria di alcune questioni di diritto attinenti tanto all’ambito di applicazione
temporale quanto a quello oggettivo del principio in parola: in particolar modo, i quesiti
elaborati dalla Sezione remittente erano tesi a comprendere se alla nuova disciplina fosse
attribuibile valore retroattivo, quali fossero i rapporti con il dovere di soccorso di cui al primo
comma dello stesso articolo 46 c.c.p. e se le clausole esclusive della legge di gara, prive di
base normativa, fossero illegittime.
184
P. CERBO, La scelta del contraente negli appalti pubblici fra concorrenza e tutela della «dignità
umana», in Foro amm. TAR, 2010, 5, pp. 1875 ss. G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo,,
2013, pp. ss. 185
R. GISONDI, cit. 186
N. MACCABENI, L’esclusione dalla partecipazione alla gara come ultima ratio, in
www.giustamm.it. 187
Ordinanza n. 2681 del 17 maggio 2013 annotata da G. CAPUTI, Il soccorso istruttorio al vaglio
della Plenaria. “Una buona idea” ed una “chiara traiettoria”?, in www.giustamm.it, 2013
146
L’organo di vertice della giustizia amministrativa, nella nota pronuncia n. 9 del
2014188
, ha fornito significativi chiarimenti che non solo hanno permesso di superare le
incertezze che parevano desumersi dalle precedenti statuizioni della Plenaria medesima189
, ma
che possono fornire un utile supporto per il recepimento delle direttive del 2014.
L’Adunanza Plenaria, che in prima battuta ha escluso l’applicazione retroattiva della
tassatività, ha preso posizione nel senso di riconoscere al principio di tassatività un valore
“sostanziale”190
, riferibile all’attribuzione di rilevanza esclusivamente a quelle cause di
esclusione significative per gli interessi in gioco e inderogabili tanto per la stazione appaltante
quanto per il concorrente: si ricordi che la stessa Plenaria afferma che la suddetta rilevanza è
frutto del bilanciamento effettuato aprioristicamente e direttamente dal legislatore per il
tramite della legge e discende non solo dall’espressa previsione della pena dell’esclusione, ma
da qualsiasi prescrizione normativa di carattere imperativo imposta a pena di decadenza,
inammissibilità, irricevibilità e simili191
. Il Collegio, infine, giunge ad affermare che la
clausola del bando che introduca una clausola di esclusione innovativa non prevista dalla
normativa vigente è nulla e dunque disapplicabile autonomamente dalla stazione appaltante o,
successivamente, dal giudice.
I principi di diritto espressi dalla Plenaria ci permettono di formulare una
delimitazione dell’ambito di operatività delle clausole di esclusione nell’ordinamento italiano:
esse vengono circoscritte alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, permettendo una
identificazione della tassatività con il più generico principio della riserva di legge192
. Ne
consegue la neutralizzazione di qualsivoglia discrezionalità dell’amministrazione nella
disciplina delle cause di esclusione.
Richiamata la normativa vigente e la consolidata elaborazione giurisprudenziale193
,
occorre soffermarsi brevemente sulla compatibilità della normativa interna con il portato della
188
Adunanza Plenaria sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014: si ricorda che nella stessa sentenza la
Plenaria ha anche affrontato l’annosa questione del cosiddetti “ricorsi reciprocamente escludenti”; in
proposito si rinvia a L. FERRARA, L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale escludente. Un
errore di fondo?, in Gior. dir. amm., 2014, 10, pp. 918 ss. 189
In proposito, nonostante ripetuti interventi della Plenaria nel corso degli anni, permaneva una
significativa problematicità nell’applicazione della disciplina generale delle cause di esclusione: si
veda L. BERTONAZZI, Le sentenze della plenaria nn. 10 e 20 del 2012: alcune perplessità a prima
lettura, in www.giustamm.it, 2012. 190
Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.5. 191
Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.4. 192
DE GREGORIIS, cit. 193
Il dettato della Plenaria n. 9/2014 in ordine agli articoli 38 e 46 è ribadito dalle successive
Adunanze Plenarie nn. 16 del 30 luglio 2014 e 3 del 20 marzo 2015.
147
Direttiva n. 24 del 2014: quest’ultima – lo si desume dai numerosi riferimenti alle procedure
negoziate – pare richiedere agli Stati membri una maggiore fiducia nelle scelte
discrezionali194
e la predisposizione di un contesto normativo meno dettagliato195
, il quale
potrebbe identificarsi nella previsione di disposizioni legislative generali specificate da
provvedimenti vincolanti dell’Autorità di settore, alla quale potrebbe attribuirsi una autonoma
legittimazione a ricorrere all’Autorità giudiziaria – sul modello di quanto previsto per
l’AGCM dall’art. 21-bis, L. 287/1990 – avverso gli atti distortivi delle regole concorsuali196
.
In tale contesto, il principio di tassatività, se interpretato nella sua valenza sostanziale,
come assodato dalla Plenaria, non pare porsi in contrasto con le finalità dell’Unione europea,
ma richiederebbe al massimo uno sforzo chiarificatore del legislatore delegato in ordine ad
una più analitica individuazione delle cause di esclusione: ciò consentirebbe di evitare il
continuo ricorso all’analisi giurisprudenziale per identificare le disposizioni normative munite
di forza escludente, ma non esplicitamente indicate dalla legge.
Significativi dubbi sulla compatibilità con i principi della Direttiva n. 24 – almeno
nell’ottica della semplificazione normativa – emergono, invece, dal combinato disposto fra il
principio di tassatività e il dovere di soccorso, come di seguito sarà immediatamente esposto.
B) Il principio del soccorso istruttorio, disciplinato dall’art. 46 c.c.p., attiene,
fondamentalmente, alla disciplina delle conseguenze dell’omessa o irregolare produzione di
certificati, documenti e dichiarazioni nella procedura di gara197
: la finalità dell’istituto, almeno
nella sua configurazione generale, è tesa ad attribuire irrilevanza alle mere violazioni formali
della normativa concorsuale e a garantire la partecipazione alla gara dell’operatore che sia
incorso nella violazione medesima. Tuttavia, l’esegesi della norma in esame ha condotto a
diverse modalità applicative, le quali sono state influenzate dallo stratificarsi di interventi
normativi sull’originario art. 46 c.c.p.: in un primo momento, il già esaminato “decreto
sviluppo” del 2011 aggiungendo il comma 1-bis, ha previsto il principio di tassatività delle
cause di esclusione e, in un secondo momento, il D.L. 90/2014198
è intervenuto introducendo
194
P. SESTITO, op. cit. 195
Di divieto di “goldplanting” parla anche la relazione al D.D.L. delega A.S. 1678/2014, p. 3. 196
È quanto viene consigliato dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di
audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato della Repubblica il 18 febbraio 2015 in
sede di esame del D.D.L. delega A.S. 1678/2014, disponibile in www.anticorruzione.it. 197
A. LEONI, op. cit. 198
R. DE NICTOLIS, Le novità dell’estate 2014 in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture, in www.federalismi.it, 2014.
148
una disciplina di dettaglio del soccorso istruttorio, manipolando contestualmente gli artt. 38 e
46 c.c.p.
Una prima considerazione di ordine generale può nuovamente esporsi in riferimento
alla cattiva tecnica legislativa consistente nell’intervento ripetuto sulla normativa vigente
attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza. L’incertezza che scaturisce da una
siffatta metodologia è espressa in modo cristallino dalla disposizione in esame: il legislatore
d’urgenza ha alterato l’essenzialità della normativa originaria dell’art. 46 c.c.p. inserendovi in
successione i commi 1-bis e 1-ter. Emblematica è, peraltro, l’interpolazione del comma 1-ter
il quale, in forza del D.L. 90/2014, ha significativamente modificato la natura del soccorso
istruttorio quando, da un lato, questa era appena stata chiarita dall’Adunanza Plenaria n.
9/2014 e, dall’altro lato, erano già pendenti i termini per il recepimento della direttiva n. 24
del 2014.
Ciò esposto, occorre una sintetica disamina della natura del soccorso istruttorio con lo
scopo di chiarire la consistenza della normativa italiana all’indomani del recepimento delle
nuove direttive europee.
Come indicato poche righe più in alto, la disciplina italiana del soccorso istruttorio di
cui al primo comma dell’art. 46 c.c.p. e, conseguentemente, la sua interpretazione, sono state
sostanzialmente immutate sino al 2011, quando il D.L. n. 70 ha inserito nello stesso articolo
46 c.c.p. il principio di tassatività al nuovo comma 1-bis.
L’Adunanza Plenaria n. 9/2014199
, interrogata sui rapporti sussistenti fra i due
istituti200
, ha specificato la loro separatezza, pur rilevando che entrambi sono volti al
soddisfacimento di esigenze di certezza, speditezza e semplificazione dell’azione
amministrativa: tale interpretazione veniva rafforzata dal rilievo che il D.L.70/2011 si era
limitato all’inserimento di un nuovo comma senza novellare la restante parte dell’articolo.
La Plenaria201
addiveniva all’elaborazione di un principio di diritto che accoglieva la
tradizionale distinzione fra “regolarizzazione” e “integrazione”202
della documentazione di
gara: la prima consentita, a meno che l’adempimento non fosse previsto a pena di esclusione,
la seconda sempre vietata, risolvendosi in una violazione della par condicio dei concorrenti.
Peraltro, si osserva che la Plenaria, nell’elaborare il principio di diritto, pare ricondurre il
199
Paragrafo 7.4.5. 200
G. CAPUTI, op. cit. 201
Paragrafo 7.5. 202
M. MONTEDURO, Dichiarazioni non conformi a clausole del bando sanzionate con l’esclusione: il
labile “discrimen” tra «integrazione» e «modificazione», in Foro amm. TAR, 2007, 12, pp. 3667 ss.
149
divieto di integrazione alla espressa previsione della clausola escludente203
, lasciando aperta
la strada per un’interpretazione sostanziale che permetta l’integrazione ove la carenza
documentale sia ascrivibile a prescrizioni non comportanti l’esclusione.
Nonostante sia intercorso un breve lasso di tempo dalla pronuncia n. 9/2014, il
ragionamento della Plenaria deve oggi essere ampiamente rimodulato, in seguito al
sopraggiungere del D.L. 90/2014, sia in ordine alla separatezza fra tassatività e soccorso
istruttorio204
sia in merito alla distinzione fra regolarizzazione ed integrazione.
La “riforma” del 2014 ha proceduto, in primo luogo all’inserimento di un nuovo
comma 2-bis all’interno dell’art. 38205
, il quale si qualifica come previsione “speciale” di
soccorso istruttorio in ordine alle carenze degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive con i
quali il candidato attesta il possesso dei requisiti richiesti a pena di esclusione (ovviamente
“obbligatoria”). La specialità del comma 2-bis, rispetto alla previsione generale di cui all’art.
46 comma 1, si identifica in una sorta di “rivoluzione” del diritto italiano, ispirato fino a pochi
mesi prima (Plenaria n. 9/2014) alla netta distinzione fra regolarizzazione consentita ed
integrazione vietata. Il nuovo comma dell’art. 38, infatti, esplicitamente parla di «mancanza,
incompletezza, ed ogni altra irregolarità essenziale», alle quali consegue l’obbligo per il
concorrente di versare una sanzione pecuniaria e il dovere206
della stazione appaltante di
attivare il subprocedimento di soccorso, assegnando un termine al concorrente perché siano
«rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie». Dal tenore letterale della norma
emerge che non solo l’irregolarità della dichiarazione, ma anche la radicale mancanza possa
essere sanata: il concorrente – continua il medesimo comma 2-bis – potrà essere escluso solo
qualora non ottemperi alla produzione documentale entro i termini assegnati
dall’amministrazione. A queste regole si aggiunge, sempre nel comma 2-bis, la totale
203
Si legge infatti nel paragrafo 7.5. alla lettera a): «nelle procedure di gara disciplinate dal codice dei
contratti pubblici, il "potere di soccorso" sancito dall'art. 46, co.1, del medesimo codice (d.lgs. 12
aprile 2006, n. 163) - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare
certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai
requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire
interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la
produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa,
ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal
regolamento di esecuzione e dalle leggi statali». 204
Lo stretto legame fra la nuova disciplina del soccorso istruttorio e quella della tassatività è
evidenziata dalla Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., disponibile in
www.anticorruzione.it. 205
R. DE NICTOLIS, op. cit. 206
Doverosità riconosciuta dall’Adunanza Plenaria n. 16 del 30 luglio 2014.
150
irrilevanza delle irregolarità non essenziali e delle dichiarazioni non indispensabili, per le
quali è fatto divieto alla stazione appaltante di applicare alcuna sanzione pecuniaria o di
richiedere alcuna regolarizzazione.
Il comma in esame non si limita ad una procedimentalizzazione del soccorso
istruttorio, ma incide anche sulla disciplina dei requisiti di ordine generale, la carenza
documentale dei quali non potrà comportare l’esclusione automatica in conseguenza degli
accertamenti della stazione appaltante, ma sarà sempre subordinata, se essenziale,
all’esperimento del soccorso istruttorio.
Tuttavia, come rilevato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 16 del 30 luglio
2014, la scelta del legislatore d’urgenza potrebbe rivelarsi infelice nel momento in cui si
dovesse concretamente distinguere fra irregolarità “essenziale” e “non essenziale”: l’Autorità
Nazionale Anticorruzione207
, in proposito, ha chiarito che sarebbe essenziale ogni carenza,
mancanza o irregolarità che non consenta di stabilire se il singolo requisito contemplato dal
comma 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno da un certo soggetto.
Ciò nonostante, l’esegesi fornita dall’Autorità di settore pare permette una corretta
applicazione del “nuovo soccorso istruttorio” nei limiti dell’art. 38 c.c.p.: maggiori perplessità
potrebbero, invece, desumersi dalla generalizzazione della medesima disciplina, compiuta dal
D.L. 90/2014, con l’inserimento del comma 1-ter all’art. 46 c.c.p.
Non a caso, il legislatore delegato, nell’estendere il nuovo soccorso istruttorio alla
generalità delle carenze documentali desumibili dal codice dei contratti pubblici, non ha
ritenuto opportuno modificare né il primo né il comma 1-bis dello stesso articolo 46 c.c.p.: da
ciò si potrebbe desumere che il comma 1-ter si ponga in rapporto di genere a specie,
quantomeno, con il comma 1208
. Ne consegue che, al di fuori dalle ipotesi specificamente
207
Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., cit., p. 6. 208
In ordine, invero, al comma 1-bis e al principio di tassatività non paiono sussistere particolari
perplessità. La tassatività delle cause di esclusione continua ad essere interpretata così come statuito
dalla Plenaria nella sentenza n. 9 del 2014: ne consegue che solo le cause di esclusione desumibili
dalla legge possono ritenersi legittime, ma per la loro applicazione sarà necessario attivare, se le
relative irregolarità o carenze sono essenziali, il nuovo soccorso istruttorio, a maggior ragione per tutte
le cause di esclusione che disciplinate direttamente dall’art. 38 rientrano nel suo comma 2-bis.
Qualche incertezza, per il vero, potrebbe desumersi per tutte quelle cause di esclusione non esplicite
che sono desumibili (Ad. Pl. n. 9/2014) da prescrizioni imperative, le quali, non rientrando nell’art. 38
c.c.p., non potrebbero usufruire dei benefici del suo comma 2-bis: per queste ultime potrebbe profilarsi
un dubbio sull’applicabilità dell’art. 46, comma 1 oppure comma 1-ter c.c.p., anche se, con
un’interpretazione ispirata al principio di proporzionalità e di massima partecipazione, potrebbero
ritenersi assimilate alla cause ex art. 38 e dunque rientrare nel comma 1-ter dell’art. 46 avendo così più
numerose possibilità di sanatoria.
151
riconducibili all’art. 38 – il quale attualmente per tabulas prevede uno specifico soccorso
istruttorio – in tutte le altre eventualità non ci si potrebbe esimere da una interpretazione
conforme al disposto generale del primo comma dell’art. 46 c.c.p.
Il comma da ultimo citato prevede che le stazioni appaltanti, solo ove necessario,
provvedano a chiedere al concorrente di fornire chiarimenti – da cui la tradizionale
ammissione di sole regolarizzazioni – il contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni
presentati: dal tenore letterale del nuovo articolo 46, appare che il primo comma sia derogato
dal comma 1-ter, quantomeno per tutto quello che concerne le dichiarazioni presentate dal
concorrente e da soggetti terzi, posto che espressamente il medesimo comma 1-ter le
richiama. Se ne desume che ogni tipo di carenza o mancanza inerente alle dichiarazioni
richieste dalla normativa vigente potrà essere sanata, prima che si addivenga ad una
esclusione del concorrente.
Di più articolata complessità appare invece il riferimento del primo comma a
certificati e documenti che, invece, non sono annoverati nell’ultimo comma dell’art. 46 c.c.p.:
in questo caso, potrebbe profilarsi la soluzione di ritenerli in ogni caso sanabili qualora
dispongano del requisito di “elemento essenziale” (ex art. 38 comma 2-bis per il tramite
dell’art. 46, comma 1-ter); in caso contrario, almeno per una interpretazione strettamente
letterale, dovrebbero permanere nella disciplina del primo comma ed essere sanabili
esclusivamente mediante lo strumento della regolarizzazione.
Delineata per sommi capi la recente normativa nazionale, sono di tutta evidenza tanto i
fini perseguiti dal legislatore, quanto le difficoltà applicative.
Da un lato appare, infatti, palese l’intenzione del legislatore d’urgenza – come
riconosciuto dal giudice amministrativo e dall’Autorità di settore209
– di porre rimedio ad una
propensione eccessivamente formalistica del diritto italiano degli appalti e di perseguire
invece un approccio sensibilmente più sostanziale teso all’accertamento in concreto della
sussistenza dei requisiti di partecipazione. Elementi, questi, che sono in linea con le due
seguenti tendenze: in primo luogo, con i criteri cui si ispira in generale il procedimento
amministrativo italiano nell’ottica della collaborazione210
fra amministrazione (o meglio
responsabile del procedimento) e cives, ma anche di progressiva dequotazione, nella
209
Come esplicitamente affermato dalla Plenaria nelle due sentenze del 2014 che sono state
precedentemente citate e dall’A.N.AC. nelle Determinazione 1/2015. 210
S. TARULLO, Il responsabile del procedimento tra amministrazione solidale e collaborazione
procedimentale, in www.giustamm.it, 2009.
152
disciplina della legge generale sul procedimento amministrativo, del vizio formale sin dal
2005211
; in secondo luogo, con i principi della nuova Direttiva n. 24 del 2014 la quale impone
un minor peso agli aspetti formali212
, semplificando gli oneri a carico dell’operatore213
.
D’altra parte, l’intervento legislativo del 2014 sembra porsi in continuità con la
crescente complicazione della normativa italiana, proprio per gli aspetti interpretativi prima
evidenziati. Il legislatore delegato del recepimento dovrà quindi prendere coscienza
dell’allontanamento della Direttiva n. 24 non solo dalla teoria formalistica delle cause di
esclusione, ma anche dalla complessità normativa e amministrativa in genere, quali elementi
che si pongono in contrasto con il principio di concorrenza.
Non a caso, l’articolata disciplina italiana delle cause di esclusione dovrà essere
necessariamente confrontata con alcuni istituti radicalmente innovativi della Direttiva n. 24:
in primo luogo, la possibilità di sanare eventuali irregolarità senza riferimenti
l’assoggettamento a sanzione pecuniaria214
e, in secondo luogo, il già indicato “selfcleaning”
che, superando il mero diritto all’integrazione documentale, permette una concreta
dimostrazione dell’affidabilità dell’operatore anche in costanza di causa di esclusione.
211
In proposito R. CHIEPPA, Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo, in R. Chieppa
e R. Giovagnoli (a cura di), Manuale breve di diritto amministrativo, Milano, 2009, disponibile in
www.giustamm.it; 212
P. SESTITO, op. cit. 213
Chiaramente esemplifica questa tendenza la previsione del documento di gara unico europeo –
DGUE. 214
Art. 59, Direttiva 2014/24/UE, in proposito Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo
2015, in www.anticorruzuione.it.
153
Recent working papers
The complete list of working papers is can be found at http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis
*Economics Series **Political Theory and Law Al.Ex SeriesQ Quaderni CIVIS
2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni
2015 n.220 Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects oncooperation – An experimental test
2015 n.219 Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence
2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014
2014 n.217* Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria
2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014
2014 n.215 Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really less overconfident? - A preliminary test of different measures
2014 n.214* Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish. Cause e conseguenze di un paradigma
2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.4/2014
2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi
2013 n.211** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura .Case study: La valorizzazione della Cittadella di Alessandria e del sito storico di Marengo.
2013 n.210** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura
2013 n.209** Maria Bottigliero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie localiN.3/2013
2013 n.208** Joerg Luther, Piera Maria Vipiana Perpetua et. al.: Contributi in tema di semplificazione normativa e amministrativa
2013 n.207* Roberto Ippoliti: Efficienza giudiziaria e mercato forense
2013 n.206* Mario Ferrero: Extermination as a substitute for assimilation or deportation: an economic approach
2013 n.205* Tiziana Caliman and Alberto Cassone: The choice to enrol in a small university:A case study of Piemonte Orientale
2013 n.204* Magnus Carlsson, Luca Fumarco and Dan-Olof Rooth: Artifactual evidence of discrimination in correspondence studies? A replication of the Neumark method
2013 n.203** Daniel Bosioc et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.2/2013
2013 n.202* Davide Ticchi, Thierry Verdier and Andrea Vindigni: Democracy, Dictatorship and the Cultural Transmission of Political Values
2013 n.201** Giovanni Boggero et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.1/2013