1 TRENTINO SVILUPPO spa COMUN GENERAL DE FASCIA Riqualificarsi nella continuità: le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di Fassa. Inchiesta per l’elaborazione del documento preliminare di programmazione. settembre 2012 a cura di Sergio Remi
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Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa
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TRENTINO SVILUPPO spa
COMUN GENERAL DE FASCIA
Riqualificarsi nella continuità:
le dinamiche evolutive del
distretto turistico della val di Fassa.
Inchiesta per l’elaborazione del documento preliminare di programmazione.
settembre 2012
a cura di Sergio Remi
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Sommario
1. Dalla quantità alla qualità: i nodi della transizione. ...................................................................................... 4
2. Ripensare il territorio .................................................................................................................................. 11
3. Le carenze d’infrastrutture e di servizi pubblici. ......................................................................................... 17
4. Le esigenze di riequilibrio della struttura ricettiva ...................................................................................... 26
5. La ricettività alberghiera: tra elementi di crisi ed esigenze di rinnovata competitività .............................. 31
6. Professionalità e imprenditorialità nel settore turistico ............................................................................. 41
7. L’offerta extralberghiera e la questione delle seconde case ....................................................................... 50
8. La casa per i residenti .................................................................................................................................. 58
9. Lo sci come motore dello sviluppo .............................................................................................................. 63
10. Il distretto turistico globale ....................................................................................................................... 73
11. La piattaforma turistica delle Dolomiti ...................................................................................................... 79
12. Un’offerta turistica global service ............................................................................................................. 93
13. Per una maggiore integrazione (e diversificazione) dell’economia locale .............................................. 106
13.1 Zootecnia e gestione del territorio .................................................................................................... 109
Ancora oggi, in un contesto di profondi mutamenti socio economici (che, hanno coinvolto la produ-
zione, il lavoro, il welfare) l’offerta del “bene casa” continua a rimanere ancorata ai vecchi schemi
dell’abitazione di proprietà, della rendita immobiliare, di offerte abitative relativamente standardiz-
zate. L’attuale crisi ha evidenziato alcune criticità di questo modello d’offerta, come la mancanza di
fiducia nel mercato, una frenata nei consumi per le famiglie e la difficoltà di accesso al credito. Ma
la crisi è anche una grande opportunità per riconfigurare il rapporto tra domanda e offerta nel
settore dell’abitazione, sia turistica, sia residenziale. Il settore è, infatti, sempre più esposto a una
pressione competitiva e a una domanda che dall’esterno lo sollecita all’evoluzione, chiedendogli di
fornire prodotti dotati di prestazioni nuove, di funzionalità migliori, di maggiore valore. Lo stesso
settore delle costruzioni presente in Valle, può dare all’innovazione contributi rilevanti, se lo si con-
cepisce come catalizzatore di una serie d’innovazioni per la casa, per l’ambiente, per la persona; è
un settore a potenziale alto tasso d’innovazione se solo si pensa alle questioni dei nuovi materiali,
della personalizzazione, dell’abitazione come servizio, della gestione dei mercati immobiliari e fi-
nanziari di tipo più evoluto. L’investimento immobiliare si avvicinerà sempre di più a una logica di
tipo reddituale e non più patrimoniale, come accadeva in passato.
Come già evidenziato in apertura di paragrafo, dalle interviste emerge chiaramente la com-
plessità del problema della residenzialità in Valle. Un problema che può essere affrontata solo
con interventi capaci d’integrare azioni di riqualificazione dell’offerta extralberghiera, politi-
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che di regolazione del mercato immobiliare e interventi di riqualificazione edilizia e urbanisti-
ca.
L’idea motrice che emerge da molteplici attori intervistati, è quella d’impostare le politiche urbani-
stiche della Valle sulla valorizzazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, uni-
tamente ad un investimento sui temi della sostenibilità ambientale e sociale dell'abitare. L'in-
tervento sul patrimonio esistente, relativo sia al consistente patrimonio di edilizia turistico residen-
ziale in cattivo stato di conservazione, sia alla riconversione di strutture alberghiere dismesse, si do-
vrà imporre, nei prossimi anni, come un mercato di riferimento importante.
I campi in cui si esercitano le funzioni regolative dell’Ente locale sono molteplici, ma lo spazio oggi
più importante è occupato proprio dall’insieme d’interventi sul patrimonio fisico esistente, riassu-
mibile nella nozione di riqualificazione urbana, in particolare riguardante gli insediamenti turisti-
ci di scarsa qualità edilizia realizzati negli anni ’60 e ’70, e il recupero dei centri e dei nuclei storici
e a una loro valorizzazione sul piano abitativo, commerciale (i centri commerciali naturali) e della
fruizione turistica culturale. E’ in questo contesto di rinnovo urbano che trova collocazione uno dei
principali motori della ripresa, ovvero la riqualificazione del patrimonio abitativo esistente.
Molti analisti del settore delle costruzioni individuano per la riqualificazione un ruolo di traino nel
nuovo ciclo edilizio. La domanda che si rivolge al settore delle costruzioni si è progressivamente
orientata su una richiesta crescente di attività di manutenzione, sia ordinaria, sia straordinaria,
che ha, negli ultimi anni, superato il livello della nuova produzione e rispetto al quale serve una ri-
definizione di modelli di offerta innovativi come il facility management e global service che incre-
menterà i settori delle manutenzioni e delle installazioni che coinvolgono in particolare la piccola
impresa.
Oggi comincia a profilarsi una domanda di residenzialità profondamente diversa rispetto agli stan-
dard consolidati che hanno caratterizzato i precedenti cicli edilizi. E’ proprio in aree come la val di
Fassa che può prendere progressivamente forma una rinnovata cultura della manutenzione (centri
storici, vecchi nuclei, paesaggi) e nuove forme di ospitalità turistica diffusa capaci di rispondere a
una rinnovata domanda di fruizione e residenzialità turistica più consapevole e attenta ai valori am-
bientali, culturali dei territori visitati. La qualità del costruito, sia come recupero di valori architet-
tonici, storici, urbanistici, sia come nuove realizzazioni capaci di inserirsi nel contesto, è parte inte-
grante di questa nuova offerta turistica.
I driver del cambiamento su cui puntare nei prossimi anni per ridisegnare il mercato delle abita-
zioni turistiche e residenziali in val di Fassa, sono:
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• la sostenibilità sociale: una fascia di popolazione giovane sempre più ampia, non è in grado di
accedere all’attuale offerta del mercato e origina una domanda di social housing, a cui il mercato
delle costruzioni deve dare risposta secondo logiche di collaborazione tra pubblico e privato;
• la sostenibilità ambientale: l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale sono i nuovi e-
lementi innovativi a cui il mercato della casa deve rispondere nel breve termine;
• il nodo delle risorse: il mercato evolve sempre più rapidamente verso modelli di partenariato
pubblico-privato, sviluppando forme d’investimento integrate che richiedono nuove conoscenze
economiche e finanziarie: gli operatori del settore delle costruzioni dovranno essere in grado di
portare capacità ideativa, tecnica, finanziaria e gestionale dialogando con interlocutori pubblici
in grado di crescere sullo stesso piano;
• l'intreccio tra costruzioni e servizi: l'attenzione del mercato si sposta progressivamente dal me-
ro piano della costruzione a quello della manutenzione e della gestione: la filiera delle costruzio-
ni e quella dei servizi dovranno crescere in maniera integrata, grazie agli strumenti del facility
management e del global service, che negli ultimi anni hanno già portato notevoli vantaggi al si-
stema delle imprese edili.
9. Lo sci come motore dello sviluppo
Il turismo della neve è senz'altro un segmento di giovane età nel più grande settore dell'industria le-
gata al tempo libero. Malgrado la giovane età, il settore è considerato dagli analisti un settore matu-
ro. Un settore che ha assunto una sua prima configurazione tra gli anni '50 e '60, che si è fortemente
sviluppato negli anni '70 e '80 mostrando un vero e proprio boom ma la cui crescita ha cominciato a
mostrare evidenti segni di rallentamento già nel corso degli anni '90.
In gran parte delle località sciistiche, nel corso dell’ultimo decennio, si è manifestata una crescita
non superiore all'uno o due per cento l'anno e le previsioni degli esperti indicano per i prossimi anni
una stagnazione della domanda. Peraltro le dimensioni di tale mercato sono divenute assai rilevanti.
Pur non essendoci statistiche ufficiali e precise sul settore, si stima che le attività collegate agli sport
invernali muovano annualmente in Europa un business di circa venti miliardi di euro con un'offerta
che riguarda dieci Paesi e oltre mille stazioni che dispongono di qualcosa come 10-11 milioni di let-
ti turistici, con quattro Paesi leader (Francia, Austria, Svizzera e Italia). Dal lato della domanda, es-
sa a livello europeo interessa in modo significativo quindici Paesi (cui stanno aggiungendosi da
qualche stagione alcune nuove realtà, soprattutto provenienti dai Paesi dell'Est) da cui si muovono
annualmente tra i 35 e i 40 milioni tra sciatori, snowborder e, in minima parte, accompagnatori non
sciatori. Questo quadro evidenzia dunque un settore che si trova all'apice del suo ciclo di vita, in
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fase di piena maturità e che al suo interno nei prossimi anni vivrà quei processi tipici di tutti i settori
che si trovano in tale fase.
In primis, su mercati di grandi dimensioni, ma a crescita pressoché ferma, tende a incrementarsi con
vigore la concorrenza: le imprese, infatti, sono fatte per crescere e crescere in un mercato fermo si-
gnifica dover sottrarre clientela e quota di mercato ai propri concorrenti. L'esito di tale ina-
sprimento della concorrenza porterà con sé vincitori e vinti con la conseguenza probabile di vedere
sparire, nei prossimi 10-20 anni, molti degli attuali competitor.
Un secondo effetto, in parte legato al primo, sarà l'aumento delle dimensioni medie delle imprese
del settore. Ciò non significa aumento delle dimensioni dei domaines skiables; significa che assiste-
remo a forme di concentrazione dell'offerta, che si produrrà attraverso processi d’integrazione o-
rizzontale tra imprese che gestiscono stazioni mediante joint-ventures, fusioni e acquisizioni tra
di esse. Il tutto per raggiungere quelle dimensioni in grado di consentire quelle economie di scala
necessarie ad affrontare in modo più idoneo le sfide competitive di cui si parlava innanzi.
Un terzo processo importante si verifica dal lato dell'offerta del prodotto. Le stazioni sciistiche non
possono più giocare, per essere competitive, soltanto la carta della qualità delle piste e degli impian-
ti di risalita. La clientela, sempre più internazionale, confronta il mix complessivo di servizi che è
messo a sua disposizione dalla località nel pre-sci (accessibilità, accoglienza, ricettività) e nel dopo-
sci e sceglierà. Ciò comporta, in Europa, una grande capacità del management delle imprese che ge-
stiscono i comprensori sciistici, di fare intreccio e integrazione con le altre componenti dell'of-
ferta delle località, assumendosi, ove necessario, ruoli di leadership nella gestione strategica
della destinazione.
Un quarto processo che, di fatto, ha già mostrato i suoi effetti nel corso dell'ultimo decennio, è la
netta divaricazione tra offerta di stazioni di carattere esclusivamente locale (in generale di pic-
cole dimensioni) e stazioni operanti sul mercato globale. Le prime sono probabilmente destinate a
specializzarsi su poche e precise funzioni (per esempio la formazione di base dei piccoli sciatori),
badando all'equilibrio economico di gestione e ricorrendo a forme di partnership con le ammini-
strazioni pubbliche locali per quanto attiene al finanziamento degli investimenti.
Per le altre - quelle esposte alla concorrenza internazionale - il successo o per lo meno la tenuta sa-
ranno sanciti dal mercato, dall’abilità di mettere a frutto i propri vantaggi competitivi, dalla capacità
di anticipare i concorrenti, comprendendo in anticipo i processi di trasformazione a cui complessi-
vamente va incontro il settore.
Si tratta di trasformazioni estremamente rilevanti che sono in larga parte da far risalire a fattori e-
sterni al settore turistico e che possono essere riassunte nei seguenti principali fenomeni:
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• Il clima sta mostrando significative evoluzioni. Nessuno ormai nega che ciò sia il problema di
prospettiva. Gli investimenti nell'innevamento programmato, iniziati timidamente negli anni '80,
oggi sono determinanti per la sopravvivenza economica di una stazione di dimensioni medio
grandi. Ma, se anni or sono gli impianti per produrre neve difficilmente arrivavano ai 2000 me-
tri oggi sono realizzati, in certi casi, anche al di sopra dei 2500 metri. Inoltre, tali apparecchiatu-
re garantiscono la produzione di neve solo a partire da certe temperature. Se oltre a non nevicare
aumenterà progressivamente la temperatura dell'aria, anche tale rimedio rischierà di essere
un'arma spuntata. E stazioni con poca neve o con neve di scarsa qualità saranno abbandonate
dalla clientela perché in difetto proprio della materia prima.
• Le modificazioni di gusti e di abitudini tra i consumatori sono un altro fattore di trasforma-
zione. Vacanze più brevi, ancorché più frequenti e con più qualità intrinseca, sono un elemento
che deve indurre a ripensare offerta e organizzazione della stazione. Se le settimane bianche so-
no in calo e sono in crescita i tre o quattro giorni, bisogna adeguare a questo i prodotti, i servizi
e le tariffe. Se nella settimana di vacanza si riduce lo spazio di domanda dell'attività sciistico
sportiva a vantaggio di altre (la visita dei luoghi, della loro offerta culturale, gastronomica o
quant'altro) vanno progettate e offerte nuove soluzioni che di tutto ciò tengano conto. Non farlo
significa consegnare parte dei propri clienti a chi lo farà.
• Connessa alle modificazioni delle abitudini non va dimenticata la concorrenza oggi esercitata
sulla domanda dai viaggi invernali nei paesi caldi. E' una concorrenza significativa che gioca,
oltre che sul fascino del viaggio e dell'esotico, anche su aspetti di competitività economica. Ai
tropici paghi il pacchetto organizzato e puoi partire con una modesta borsa da viaggio. Per la
settimana di sci (oltre all'incognita meteo che ai tropici di norma è assente) devi essere equipag-
giato con un costoso abbigliamento tecnico sportivo e con tutti gli accessori del caso (guanti,
occhiali, doposci, ecc.). Per una famiglia media con due bambini e che non scia che una setti-
mana l'anno, ciò può significare un costo che, comparato a quello della vacanza inverno al sole,
è insostenibile. Anche per questo si adeguerà forse l'offerta di servizi: il noleggio sci e scarponi
si potenzierà, si qualificherà e probabilmente si svilupperanno forme di noleggio dell'abbiglia-
mento tecnico (tute, pantaloni, giacche a vento, guanti).
• Un'ulteriore variabile esogena al settore da non trascurare è l'andamento demografico nei pae-
si europei. Dai dati Eurostat emerge in tutta la sua chiarezza (e in parte problematicità) il pro-
gressivo invecchiamento della popolazione. In Europa, nell’arco di venti anni (1990-2010) la
quota di persone oltre i 65 anni ha fatto un balzo dal 13,7% al 17,4%. In particolare il numero
delle persone di età compresa fra 65 e 79 anni è aumentato significativamente dal 2000 in avanti
e il trend rimarrà tale fin verso il 2060, quadro si prevede che gli over 65 costituiranno il 30%
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della popolazione europea. Il dato è ancora più forte se si scinde il saldo demografico in naturale
e migratorio. Si può verificare come il saldo totale positivo - ma di per sé già insufficiente - è ta-
le solo in quanto fortemente sostenuto dal fenomeno migratorio. E’ comunque difficile ritenere
che per cultura, tradizioni, interessi e livello di consumi, tra gli immigrati vi possa essere la stes-
sa aliquota di potenziali sciatori che c'è tra gli autoctoni.
• Altra importante variabile esterna è data dallo sviluppo accelerato delle nuove tecnologie
dell'informazione e della comunicazione. Straordinarie potenzialità si offrono alle imprese tu-
ristiche per comunicare e per gestire i rapporti con la clientela ma al tempo stesso la vetrina
dell'offerta mondiale si spalanca nelle case di tutti i potenziali clienti. Confronto tra tariffe, tra
comprensori, informazioni in tempo reale su innevamento e condizioni meteo (le già mitiche
web-cam, telecamere costantemente collegate dalle quali vedere, via internet e in tempo reale, la
situazione della stazione), servizi di prenotazione e vendita. Non esserci su questa svolta tecnica
e culturale rischia di significare la marginalizzazione di una stazione seppur dotata di un buon
comprensorio e di una certa notorietà.
La val di Fassa ha tutte le caratteristiche per ambire a restare, nel medio e lungo termine, nel club
delle migliori destinazioni alpine per lo sci. Ciò però potrà avvenire se la Valle avrà la capacità di
interpretare e adeguarsi tempestivamente i grandi processi di cambiamento in essere, sia dal lato
della domanda, sia da quello dell'offerta. Splendidi comprensori, con innovativi impianti di risalita
ed eccellenti piste da discesa purtroppo non garantiscono la sopravvivenza. Sono condizioni neces-
sarie ma non sufficienti.
“Per il momento lo sci funziona ma temo che non darà grandi prospettive di crescita nel futuro. In
Europa, già prima della caduta del muro di Berlino, c’era già un calo di circa il 20% di sciatori
all’interno della Comunità europea. Successivamente abbiamo avuto un grosso incremento da par-
te di polacchi, cechi, ungheresi, molti russi nell’alta valle. Per cui, questi nuovi flussi sono riusciti
a compensare il calo che abbiamo avuto di sciatori italiani e tedeschi, però per il futuro non si sa.
Ho sentito dire che in Polonia e in Cecoslovacchia si stanno organizzando per creare un loro cir-
cuito sciistico. E’ evidente che noi abbiamo un valore aggiunto rispetto all’Est, abbiamo innanzitut-
to le bellezze naturali. I monti Tatra non hanno gli stessi paesaggi delle Dolomiti e poi non hanno il
sole che abbiamo noi, e questo li attrae molto, perché sciare a febbraio da noi con giornate piene
di sole, non si può comparare. Rispetto ai competitori interni c’è da dire che noi non abbiamo la
stessa copertura rispetto la val Badia e la val Gardena, soprattutto perché loro hanno meno posti
letto, poi hanno una tradizione di marketing sciistico molto più forte del nostro, con le coppe del
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mondo di sci, quindi il loro marchio è molto più incisivo rispetto al nostro e questo ci ha lasciato
un po’ indietro. Abbiamo la Marcialonga, che è nata da noi, non ce l’ha portata nessuno, ma nel
complesso abbiamo meno eventi rispetto ad altre località. Siamo un po’ la cenerentola e l’abbiamo
fatto presente nell’accordo di programma con la Provincia. C’è poi da sottolineare i cambiamenti
nei modelli di fruizione. Sull’offerta invernale, a Natale il 30% scia, l’altro 70% gira per il paese,
oppure fa escursioni. Con le settimane bianche, il rapporto s’inverte. C’è anche un innalzamento
dell’età della popolazione, per cui dobbiamo cercare di creare una montagna attrattiva indipen-
dentemente dallo sci. L’aria è buona, ci sono dei bei paesaggi, si mangia bene, si fa wellness.
Dobbiamo pensare in quest’ottica d’evoluzione e bisogna organizzare l’offerta sul territorio. Co-
munque c’è già l’APT, i maestri di sci stessi organizzano anche altre cose, ci sono gli accompagna-
tori di territorio, qualcosa si sta muovendo”. Cristina Donei Procuradora CgF
“Il comprensorio dolomitico è stato creato dagli esercenti più di trent’anni fa. Gli esercenti si ren-
devano conto che gli sciatori non si accontentava più di una valle. Il biglietto unico era considerato
il sistema migliore per togliere i confini e far spaziare gli sciatori tra le diverse valli dolomitiche.
All’inizio è stato facile perché alla costituzione di Dolomiti Superski è seguito un periodo di svilup-
po molto forte, era il periodo di boom dello sci, a cui sono seguiti periodi più difficili, come quello
attuale. Le prime difficoltà si sono manifestate già alla fine degli anni 80 con i periodi di carenza di
neve che ci hanno costretto ad attrezzarci con gli impianti d’innevamento. Questo ha scardinato i
bilanci. Per mantenere i ricavi abbiamo dovuto investire molto di più e gestirci la produzione di
neve che è molto costosa. C’è circa un 30% di differenza. Il principale fattore di difficoltà è da ri-
condurre senz’altro alle condizioni climatiche. Noi non abbiamo paura di perdere innevamento nel
breve periodo, certo dobbiamo puntare di più sull’innevamento artificiale e sulle aree in quota. Bi-
sogna fare la neve in poco tempo. Oggi, se c’è una settimana di freddo, dobbiamo usare quella,
perché non sappiamo se le condizioni climatiche adatte all’innevamento si ripeteranno nel corso
della stagione. E questo aumenta fortemente i costi. In un anno difficile come questo, gli stessi al-
bergatori hanno riconosciuto che più di quello che abbiamo fatto non potevamo fare, abbiamo sal-
vato l’inizio stagione facendo le acrobazie con la produzione di neve e siamo riusciti ad aprire la
stagione sciistica per tempo. Se non aprivamo, non veniva nessuno. Finito il boom degli anni ‘80, il
numero degli sciatori si è stabilizzato. E’ stato però necessario cominciare a fare del marketing.
Una volta il cliente ci cadeva in braccio, adesso non è più così. Si sono sviluppate altre zone e c’è
una concorrenza molto maggiore. Le attività di promozione, che una volta non esistevano, oggi so-
no assolutamente necessarie. Il settore dello sci continua a tirare, di questo ne siamo tutti convinti,
lo sciatore continua a spendere per farsi una bella vacanza sulla neve. Certo oggi i consumatori
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sono molto più attenti. La diffusione di previsioni meteo sempre più attendibili fa in modo che la
gente non rischia più. Se decide spendere lo fa avendo la certezza di avere piste praticali e in buone
condizioni. Per questo noi dobbiamo essere affidabili sul servizio che diamo. Il fatto che lo sci con-
tinua a tirare è confermato dal fatto che dove c’è la neve è stata fatta una buona stagione. A Nord
delle Alpi hanno avuto una buona stagione, la stessa Val d’Aosta ha avuto neve e una buona sta-
gione. Al fattore climatico si è poi sovrapposta la crisi mondiale. La sentiamo più quest’anno, che
non gli anni passati. I turisti non rinunciano alla vacanza sugli sci, magari risparmiano sui costi
del ristorante, ma la passione per lo sci continua a essere forte. Quest’anno la gente è chiaramente
un po’ spaventata e cerca di spendere il meno possibile. Non abbiamo ancora i dati stagionali defi-
nitivi e spero che quelli provvisori siano modificati nel periodo di Pasqua. Posso antipare che
all’interno del comprensorio Super Ski Dolomiti, ci sono forti differenze tra una zona e l’altra. Il
fattore meteo incide comunque senz’altro più della crisi. Questo dimostra che lo sci rimane il moto-
re della vacanza invernale, non è con le ciaspole che si riempiono gli alberghi, neanche con lo sci
da fondo. Poi i congressi non esistono più, quindi lo sci rimane l’unica motivazione. Se l’anno
prossimo ci sarà più neve, senz’altro ci sarà anche una ripresa”. Sandro Lazzeri Presidente Do-
lomiti Superski
“Quest’inverno per la prima volta i conti sono in rosso. L’anno scorso è stato un gran bell’inverno,
a gennaio abbiamo fatto + 8% rispetto all’anno precedente. Quest’anno abbiamo fatto -4% rispetto
lo scorso anno. L’estate scorsa è stata positiva, è stata una buona estate, nonostante fossimo già in
piena crisi finanziaria globale. Quest’anno paghiamo una serie di fattori, prima di tutto il meteo,
ha nevicato in tutta Italia tranne che qua, poi l’incertezza delle misure introdotte dal Governo
Monti. Si è trattato di una serie di fattori che hanno inciso negativamente sulla stagione invernale.
In inverno abbiamo differenziato molto la clientela. Quest’anno abbiamo un aumento ulteriore de-
gli stranieri, l’anno scorso erano il 32% sul totale, penso che quest’anno arriveremo sicuramente
anche oltre al 35% di stranieri, i russi sono in continua crescita, anche i polacchi, un po’ incre-
mentano anche i tedeschi, questo ci da una mano a differenziare l’offerta. L’inverno scorso il 18%
erano i polacchi, il 16% i russi e il 15% i tedeschi: si è quindi stravolta la leadership tedesca.
Quest’anno prevarranno i russi. Il calo dei tedeschi un po’ è dovuto a problemi economici, una
volta con il marco avevano un cambio molto favorevole. I clienti che venivano per due settimane
adesso ne fanno una. Dalla Germania vengono a fare anche il week end lungo, prima non esisteva.
Gli stranieri vengono molto anche per le nostre bellezze naturali, perché se hanno scelto per le loro
vacanze invernali la val di Fassa che è il loro primo mercato europeo, evidentemente gli piace co-
me location. Poi è chiaro che se riesci a far conoscere anche l’ospitalità, la qualità enogastronomi-
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ca, il wellness, probabilmente fidelizzi anche loro. Bisogna stare attenti al mercato, alla richiesta
delle famiglie alle bellezze naturali che non ci mancano, nell’ottica generale di riuscire a comple-
tare un po’ tutte le opere che ci mancano, che danno sicuramente qualità, le circonvallazioni a-
vremmo dovuto già terminarle, però bisogna guardare a un discorso di qualità dell’offerta turisti-
ca, vivibilità della valle, sostenibilità”. Enzo Iori Presidente APT
“Fino a quindici anni fa c’erano due mercati, l’Italia e la Germania, gli stranieri erano i tedeschi.
Si è esaurito un po’ il fenomeno della motivazione forte dello sci in Germania, al tempo stesso
nell’Est e nel Nord Europa lo sci è diventato di tendenza. Così abbiamo cercato di coltivare questa
tendenza, siamo arrivati primi sul mercato russo. Ci siamo avvicinati ai russi quando nessuno pen-
sava a questo tipo di flusso turistico. Come Dolomiti Superski siamo andati in Russia sedici anni fa
a proporre le nostre montagne. La val di Fassa ha saputo curare meglio degli altri le relazioni con
i tour operator, da due siamo passati a quindici tour operator operanti in val di Fassa. Fino a
qualche anno fa, sul tavolo del marketing di Dolomiti Superski, quando con la val Gardena e la val
Badia parlavamo di polacchi, cechi e russi, loro non ne volevano sapere di questi flussi, perché
pensavano gli rovinassero la clientela tedesca, oggi non gli bastano più i tedeschi e hanno anche
loro un turismo dai paesi dell’Est. Anche sul mercato russo c’è stata un’evoluzione. I primi anni le
provenienze erano solo dalle grandi città, Mosca, San Pietroburgo, e con una clientela di alto livel-
lo, solo quattro stelle. Adesso con il proliferare dell’intermediazione e di internet anche il mercato
russo si è massificato, tutto il paese ha più opportunità, anche a livello più basso, ti arrivano anche
dalla Siberia. Una delle cose negative di questi flussi dell’Est è la mancanza di una forte motiva-
zione per lo sci. Questi fanno migliaia di chilometri per venire qua e nel giro di una settimana, un
giorno lo passano a Venezia, un giorno in via Montenapoleone a Milano, un giorno a Bolzano o a
Innsbruck, non è più il cliente top per investire sullo sci. L’idea di essere così vicini a Venezia, li
attira. E questo, rispetto a un indirizzo d’offerta che preveda un ritorno degli investimenti, porta
qualche scompenso. Il mercato russo penso che durerà ancora nel medio lungo termine. Chiara-
mente ai russi è difficile parlare della cultura ladina, loro hanno dei modelli preconcetti sull’Italia.
Quando vanno al ristorante, difficilmente il maitre è capace di proporgli il Teroldego, per il solo
fatto che siamo in Tentino, loro conoscono il Barolo, il Chianti, guardano il prezzo e lo ordinano
perché si sentono rassicurati dal nome conosciuto e dall’alto costo. Sembrano quasi dei luoghi co-
muni, però sono fatti così. Cambiando i flussi turistici, sono cambiate anche le motivazioni della
vacanza. Per adesso siamo ancora ancorati a un modello di offerta sciistica, perché abbiamo inve-
stito molto, d’altra parte ci chiediamo quanto durerà questa grande attrazione. Il sistema rigido
d’offerta sta già mostrando alcune crepe: penso al sistema skipass, al pagamento anticipato delle
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giornate sciistiche, alle settimane bianche che vanno dal sabato al sabato successivo. E’ un sistema
che fino ad oggi ha avuto successo, che ha dato la possibilità di fare gli investimenti. Però la socie-
tà sta cambiando e anche il nostro modello d’offerta dovrebbe adeguarsi. Abbiamo avuto un gran-
de successo e oggi facciamo fatica a proporre una carta valore diversa, con cui uno può scegliere
quando andare a sciare, senza vincoli. Non c’è flessibilità si fa fatica a pensare ad altre soluzioni,
che possono coprire comunque i posti letto”. Andrea Weiss Direttore ApT
“A prescindere dalla crisi, il vero dato è che in inverno abbiamo perso gli italiani. Se andiamo a
vedere i dati di Canazei ci accorgiamo che il mercato per quasi il 70% è fatto di stranieri, quando
fino a dieci anni fa gli stranieri erano tra il 15-20%. Se però allo stesso tempo faccio un giro in Au-
stria, vedo che ci sono tanti sciatori italiani, quindi non è la crisi che blocca gli italiani, fanno altre
scelte perché hanno altre esigenze, che evidentemente noi non siamo più in grado di soddisfare”.
Silvano Ploner Giornalista
“Il futuro impiantistico della Valle di Fassa è conseguente a una visione di strategia turistica di ca-
rattere generale. Sono preoccupato per il futuro del turismo in val di Fassa, perché vediamo che i
mercati tradizionali europei che sono stati i nostri partner commerciali per decenni, in particolare i
tedeschi, incominciano a non andare più a sciare. Hanno trovato altre forme di turismo. Di conse-
guenza abbiamo dovuto andare a trovarci clientela altrove e si tratta di una clientela che non si af-
feziona alla località, è una clientela che viene per curiosità per un anno e poi non la vediamo più.
Mentre la clientela tedesca e italiana era una clientela fidelizzata, che dava certezze. Questa volati-
lità dei mercati è per noi una grossa preoccupazione: ora abbiamo i cechi, i polacchi, i russi,
quando questi mercati saranno esauriti dove andiamo a cercarci altra clientela? Cina, India? Io ho
parlato con esperti del mercato cinese: in primo luogo è troppo lontano, poi le abitudini dei cinesi
sono talmente diverse dalle nostre che bisogna trovare il modo per organizzargli tutto. E’ come se
noi andassimo in Cina, se non troviamo qualcuno che ci organizza tutto, siamo spaesati. Può darsi
che la Cina sia un mercato per il futuro, ma è un mercato molto diverso da quello a cui siamo abi-
tuati, in cui ci vogliono agenzie internazionali che organizzano il flusso nei minimi dettagli. I russi,
da parte loro, stanno sviluppando diverse località sciistiche nel Caucaso, oltre a tutto con le Olim-
piadi che avranno un altr’anno, è ipotizzabile un calo dei russi nel medio periodo. Il russo è un cli-
ente che viene più che altro per curiosità, per vedere le Dolomiti, per vedere come si scia, ma non è
un cliente che si affeziona alla località. Io ho passato tutta l’evoluzione dello sci, dagli anni 60 in
poi. Sono stato due volte in Giappone, nel 75 e nel 79, avevano venti milioni di sciatori, adesso gli
sciatori giapponesi si sono ridotti a meno di dieci milioni. Sono stato anche negli Stati Uniti con
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l’Alitalia per fare promozione alle Dolomiti. Abbiamo avuto un flusso turistico dall’America, ma
adesso sono quasi spariti. I francesi sono talmente nazionalistici che non si può fare affidamento,
gli olandesi sono una buona clientela solo che numericamente non sono tanti, stessa cosa gli scan-
dinavi. Gli inglesi sono un problema, perché spesso sono giovani spacca tutto. Sono pessimista sul
futuro del turismo invernale. Le alternative dello sci da fondo o delle ciaspole sono nicchie di mer-
cato che non riusciranno a riempire i nostri 60 mila posti letto”. Fiorenzo Peratoner SIC
“I turisti tedeschi sono diminuiti perché in parte in Germania non scia più nessuno, non hanno at-
leti di punta e questo è sintomatico. Se andassimo a fare delle indagini uscirebbe che i tedeschi che
sciano oggi, rispetto agli anni 70, sono drasticamente diminuiti. Poi comunque tutto l’arco alpino
va a fare promozione in Germania perché sono quelli che hanno più soldi. Nell’arco degli ultimi
vent’anni le località che fanno offerta turistica invernale sono decuplicate, creando una grande
concorrenza. Poi i flussi turistici tedeschi sono molto canalizzati perché i grossi tour operator tede-
schi hanno fatto fortissimi investimenti in giro per il mondo e quindi la clientela tedesca la portano
a Sharm el sheik. Sono invece cresciuti i turisti dell’est, in particolare i polacchi che sono venuti
perché era una domanda in espansione e perché da noi hanno trovato un buon rapporto qualità
prezzo. Costiamo un po’ meno della val Gardena e delle altre località top, dell’Austria, e anche
della Svizzera. Mentre fino a cinque anni fa chi comprava lo skipass doveva sciare dieci ore al
giorno, oggi non lo fanno più perché gli impianti sono più veloci e non ci sono più code. Arrivati
alle 13.00, sono stanchi quindi ci si mette a far qualcos’altro. Poi magari non si compra più tanto il
settimanale ma il giornaliero, in modo che se un giorno non va di sciare si va a fare una gita, c’è
già questa tendenza. Quindi all’interno di questi ragionamenti, più sviluppi proposte alternative più
hai spazio, le ciaspole, lo shopping, gli aspetti naturalistici, l’enogastronomia”. Riccardo France-
schetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.
“Da qualche stagione il settore degli impianti a fune vive un momento abbastanza difficile. Fatta
eccezione per la società che è attestata sul carosello sciistico Sella Ronda, le altre società fanno fa-
tica, non tanto a gestire l’ordinarietà, ma a vedersi in prospettiva. Che cosa faremo in futuro? Do-
vremo fare rinnovi tecnici degli impianti, dovremo proporre all’ospite un prodotto nuovo, periodi-
camente dovremo offrire un servizio nuovo per rimanere competitivi. Una volta eravamo in pochi,
c’erano le Dolomiti, la val di Fassa, la val Gardena, la val Badia, e poi sono arrivate stazioni pic-
cole che però si sono attrezzate con l’innevamento artificiale, o nuove stazioni sorte dal nulla che
hanno un altro target, propongono la settimana bianca a basso costo e intercettano una fascia im-
portante di ospiti. Dobbiamo stare attenti a non sederci sugli allori pensando che la val di Fassa
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sarà l’ultima ad andare in crisi, per le tante specificità, per l’appeal naturalistico eccezionale.
Dobbiamo stare attenti ad altri concorrenti che magari non offrono gli stessi scenari, però offrono
lo skipass a dieci euro, il settimanale a cinquanta euro con la colazione e il posto letto. Se
l’obiettivo è sciare ci dobbiamo confrontare con tante condizioni. C’è stato poi un accorciamento
del periodo di vacanza, il giornaliero e lo skipass di sei giorni che erano i nostri cavalli di battaglia
hanno avuto una contrazione. Mentre ha avuto un’espansione lo skipass da tre o quattro giorni, il
week end lungo. Evidentemente tanta gente si prende il giovedì e il venerdì e riparte la domenica,
vuoi per ragioni economiche, anche di lavoro, di tempo, di famiglia. Quest’inverno ci siamo accorti
che qualche conto non tornava, nel senso che arrivava un gruppo con 300 russi e compravano 150
skipass. E gli altri, magari anziani che non sciano, affittano il pullman per andare a Venezia o a
Bolzano. E’ un fenomeno che quest’anno si è verificato, non è da vedere in assoluto come fenomeno
negativo, però bisogna chiedersi come mai se una volta la motivazione di vacanza al 95% era lo
sci, ora è forse all’80%. Ci sono altre attività, il nordic walking, le ciaspole su cui dobbiamo lavo-
rare”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a fune val di Fassa e Carezza
“Lo sci ha avuto il boom con i grossi campioni, da Thoeni a Tomba. Siccome lo sci è molto influen-
zato da chi eccelle, se noi abbiamo dei discreti atleti sono convinto che lo sci può ancora attrarre.
Con questo non voglio dire che se non avessimo gli atleti, lo sci crollerebbe. Guai se non fosse così
perché il nostro turismo di peso è quello invernale legato allo sci. Ho visto che a Moena, a Lusia
stanno allestendo una pista per il solo snowboard che è un’attività sportiva sempre in crescita, co-
me in estate prende molto piede la mountain bike. A Pozza abbiamo un piccolo centro fondo, è poi
il caso di prevedere dei percorsi per le ciaspole. L’APT va spesso all’estero a fare promozione e di
questo sono convinto che ne beneficiano un po’tutti. Se una volta si prenotava da una stagione
all’altra, oggi grazie a internet prenoti da un giorno all’altro, puoi cogliere le opportunità de last
minute, hai la possibilità di vedere e controllare tutto, quindi anche i periodi di vacanza sulla neve
si sono fatti più frammentati, è difficile sapere in anticipo come andrà la stagione”. Tullio della
Giacoma Sindaco di Pozza di Fassa e Assessore CgF
“Quando noi abbiamo cominciato ad analizzare l’intensità di sciata, è stato curioso scoprire che
l’italiano ha una intensità di sciata pari a circa quattro ore, che vuol dire 9 o 10 piste. Anche lo
sciatore tedesco ha un comportamento simile all’italiano, magari a metà pista si ferma a prendere
il sole. Il turista dell’est ha un’intensità molto più alta e scia sfruttando lo skipass per tutto il gior-
no, dall’apertura alla chiusura degli impianti. E’ evidente che dal punto di vista degli impianti è la
stessa cosa, perché tanto uno spende per il giornaliero lo stesso importo anche se scia in modo più
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o meno blando, ma dal punto di vista di tutto quello che c’è di contorno, a cominciare dalla risto-
razione, il target degli italiani e dei tedeschi è molto più interessante perché sulle piste spende di
più per tutta una serie di servizi. Il dato invernale ci dice che la Russia è al terzo posto con il 10%
di arrivi, che è tantissimo rispetto a una zona che non ne ha mai avuti, però non puoi dire che sono
tutti russi, gli italiani sono 7 su 10. Quindi secondo me il fatto che ci sia questa necessità di dover
sempre andare a cercare chissà quali mercati e chissà dove, invece di curarti il tuo mercato di
prossimità, tra l’altro ricco, non è giustificata. Noi dobbiamo guardare a un’area ricca, qual è
quella del Nord Italia e della Baviera, fino alla zona sopra Stoccarda. Il problema è che rispetto a
questo target, da tre o quattro anni, noi siamo battuti dall’Alto Adige. Io comincerei a chiedermi se
tutta la promozione fatta nei paesi dell’Est abbia un senso e se non sia invece il caso di investire
per recuperare quote sul mercato di prossimità. E’ difficile fidelizzare un russo, non è detto che
venga tutti gli anni, solitamente provano una volta, poi vanno da un’altra parte. Oggi dire di anda-
re a fare promozione a Milano, sembra quasi una bestemmia. Se non vuoi andare a mettere un ga-
zebo in Piazza Duomo perché può sembrare superato, lavora con il web, trova altre forme intelli-
genti di promozione. Ma anche su questo siamo impreparati. C’è una sorta di sudditanza culturale
rispetto a operatori che gestiscono le prenotazioni on line, penso a Booking.com. I nostri alberga-
tori non si rendono conto che affidandosi a questi operatori stanno introducendo un cavallo di Tro-
ia nelle loro aziende. Questi operatori fanno accordi gratuiti con gli alberghi perché, per loro il
business viene dopo, nel momento delle provvigioni. Secondo me dobbiamo lavorare molto sui mer-
cati di prossimità e sulla capacità degli albergatori e delle Apt di gestire in proprio il web marke-
ting comprese le prenotazioni on line e i social network. L’altro tema è la gestione del marchio, sia
la val Fassa, sia il Garda, in virtù del fatto che sono i marchi più forti del turismo Trentino, hanno
questa tendenza a giocare da soli. Ma più vai lontano sui mercati, più è sensato fare un gioco di
squadra con la tua destinazione di appartenenza, oppure mettiti a giocare seriamente con l’Alto
Adige, valorizzando le Dolomiti”. Gianfranco Betta Osservatorio Provinciale sul Turismo.
10. Il distretto turistico globale
Il processo d’apertura dei mercati ha fatto della Valle di Fassa un distretto turistico globale in for-
te competizione con altre destinazioni turistiche, non solo alpine. Globalizzazione, per la val di Fas-
sa, ha significato l’apertura ai mercati extraeuropei e un ruolo crescente svolto dai tour operator in-
ternazionali. Tale processo ha però anche evidenziato un problema irrisolto di governo dei flussi
turistici.
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Come sottolineato dalle citazioni riportate nel precedente capitolo, la caratteristica dominante dei
nuovi flussi turistici provenienti dall’Est è l’estrema variabilità: sono flussi itineranti, difficilmente
fidelizzabili, che ricercano nella località cose diverse e difficilmente codificabili. L’identità della
valle e l’attività sciistica perdono la loro specificità per diluirsi in un ambito più vasto in cui, le Do-
lomiti, Venezia, lo shopping della moda milanese, il sole, i marchi affermati dell’enogastronomia
nazionale, divengono un unico grande fattore d’attrazione, all’interno della destinazione Italia. Con
l’apertura dei mercati i flussi si sono fatti mobili, incostanti, addirittura effimeri, la condizione dello
spazio in cui si vive e si lavora è sempre più quello dell’incertezza. I nuovi sciatori provenienti da
paesi dell’Est non sono considerati una clientela stabile e affidabile su cui costruire un nuovo e du-
raturo sistema locale d’offerta. Perseguire una strategia d’adeguamento dell’offerta alla domanda al
fine di renderla fedele alla località - come fino ad oggi è stato fatto con la tradizionale clientela ita-
liana e tedesca - non appare più un’opzione strategica.
Allo stato attuale in val di Fassa coesistono molteplici canali promozionali e di penetrazione dei
mercati esteri e tutti gli attori, chi più chi meno, sono in grado di sfruttarli. Alcuni (rari) grossi o-
peratori riescono a costruire strategie comunicative complesse, riuscendo in questo modo ad affer-
mare i propri marchi aziendali sul mercato internazionale. I moltissimi operatori più piccoli cercano
di massimizzare risorse scarse, ma non sempre riescono a costruire una strategia matura in grado di
portare a risultati soddisfacenti.
L’allungamento delle reti di mercato e il venir meno di un rapporto di fidelizzazione tra l’operatore
e il turista ha indotto, in molte strutture, un crescente ricorso all’intermediazione come strumento
in grado di attivare significativi flussi turistici, ma che, di fatto, ha spostato al di fuori dell’area - a
livello internazionale - il baricentro della creazione del valore e del controllo del mercato. Nei nuovi
modelli di business del turismo internazionale, le imprese di piccola e media dimensione come
quelle della val di Fassa, fanno fatica a presidiare il processo di produzione del valore all’interno di
filiere che, essendo diventate globali, si estendono molto al di là del loro controllo diretto, mettendo
quasi sempre in campo operatori di grande dimensione, dotati di un potere contrattuale non confron-
tabile con il nostro.
Il ricorso all’intermediazione dei grandi tour operator internazionali ha degli indubbi vantaggi. In
primo luogo il vantaggio promozionale costituito dalla diffusione dell’offerta attraverso le agenzie
dettaglianti sparse nel mondo. Spesso il cliente straniero si sente maggiormente tutelato nel prenota-
re tramite la propria agenzia di fiducia. In alcuni casi i tour operator che dispongono anche della
proprietà degli aerei possono proporre dei pacchetti, comprensivi di tranfert, molto convenienti. Nel
caso dei turisti russi è necessario ottenere dei visti turistici che sono rilasciati dalle ambasciate tra-
mite gli stessi tour operator.
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D’altro canto i più importanti tour operator che operano a livello mondiale sono in grado
d’orientare i flussi di domanda su alcuni mercati anziché su altri, escludendo di fatto alcune zone
dai propri circuiti. Non sempre è possibile superare questa difficoltà recuperando un contatto diretto
con il consumatore finale. Anche nel mercato mondiale dell’intermediazione turistica si assiste oggi
a significativi processi di concentrazione che nei fatti creano regimi di monopolio, come il caso di
Hotelplan Holding che ha acquistato nel 2007 il tour operator Ascent Travel, leader in Russia per i
viaggi turistici invernali, con una quota di mercato del 20%.
Gli stessi contratti di allotment mettono l’albergatore - già impegnato a pagare significative provvi-
gioni - in situazioni di debolezza contrattuale. A fronte dell’obbligo dell’albergatore di vincolare le
camere, non esiste alcuna garanzia di vendita da parte del tour operator. Raramente vengono versati
degli acconti. L’albergatore rientra nella disponibilità delle camere non occupate dal tour operator
(la cosiddetta release) con scadenza a ridosso della data d’arrivo ed è quindi impossibilitato a ricol-
locare le camere sul mercato. Nel caso di annullamenti delle prenotazioni gli indennizzi sono ridotti
o inesistenti. In caso di necessità di camere da parte dell’albergatore, il blocco di vendita, anche se
comunicato con il dovuto anticipo, difficilmente è accettato dal tour operator.
Il necessario e crescente ricorso all’intermediazione richiede quindi che i singoli operatori non siano
lasciati soli, ma che vi sia un ruolo degli attori collettivi, in primo luogo l’Associazione albergatori
e l’Apt, nell’assistere i piccoli e medi operatori nella negoziazione con i tour operator e nella defi-
nizione di linee guida contrattuali in grado di tutelarli maggiormente. Inoltre, in un periodo di crisi
come quello attuale, il ricorso all’intermediazione, richiede ai piccoli operatori, un’approfondita co-
noscenza delle dinamiche del mercato turistico internazionale, spesso caratterizzato da situazioni di
crisi o addirittura fallimento dei principali operatori dell’intermediazione.
I grandi numeri del turismo fassano sono fatti da una moltitudine di medi e piccoli operatori. Questi,
pur non avendo le risorse e le conoscenze sufficienti per operare una strategia comunicativa com-
piuta ed efficace, costituiscono un’importante massa critica d’offerta. Questa massa critica va oggi
maggiormente organizzata. E’ oggi necessario fornire agli operatori risorse comunicativa alte, strut-
ture e strumenti di direct marketing, adeguate a un mercato che si è fatto globale e a cui questi ope-
ratori oggi non possono o non sono in grado d’accedere.
“Io credo che in questo momento in valle, il 98% delle transazioni commerciali attraverso internet,
con le relative provvigioni, sia in mano a operatori esterni, per cui agenzie di viaggi, tour operator,
operatori internet. Se è vero che le provvigioni variano dal 18 al 25% del valore della prenotazio-
ne, possiamo capire quale sia la forza economica che esce da questo tipo di gestione. Allora, io ca-
pisco che siamo in un mondo globale e che un’azienda come booking.com non sarà mai creata da
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un imprenditore della val di Fassa, ma forse potremmo mettere in piedi dei sistemi di filtraggio che
ci possono fare risparmiare 3 punti su quei 25, che si trasformano poi in milioni di euro”. Franco
Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF
“Molta clientela è oggi mediata dalle agenzie. Le agenzie quando gestiscono mille posti letto, tre-
mila persone in una stagione invernale, chiaramente t’impongono le loro condizioni. L’agenzia
chiede la scontistica sia agli alberghi, sia agli impianti, dal 15 al 25% agli alberghi, dall’8 al 10%
agli impianti. Quindi anche questi buchi che ora ci troviamo sono dati dalla presenza di una forte
intermediazione turistica, che va bene perché in un certo senso è comoda, senza troppa fatica si
riesce a riempire migliaia di posti letto, però la componente intermediata è ballerina, se l’anno
prossimo in un'altra destinazione gli fanno una condizione appena migliore spostano in blocco mil-
le posti letto. Un anno portano i turisti in val di Fassa, un anno a Campiglio, un altr’anno chissà
dove. Cosa che succede molto meno in Val Badia dove c’è più un orientamento alla gestione indivi-
duale dell’ospite, quindi l’albergatore contatta direttamente l’ospite, lo lega e lo fidelizza. Da noi
ci sono anche alcuni albergatori che prendono valigetta e depliant e promuovono per conto proprio
la loro struttura, però sono casi rari. Un grosso ruolo l’ha avuto l’APT con il mercato russo che
dopo la Germania è il mercato più forte, e questo si è concretizzato con un’operazione di marketing
a cura dell’APT che è andata direttamente sul posto”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio
impianti a fune Val di Fassa e Carezza
“L’unica struttura imprenditoriale fassana che ha una strategia propria di penetrazione dei merca-
ti internazionali è la Unionhotels. E’ una catena d’alberghi gestita da due sorelle e un fratello, tutti
laureati. Hanno fatto un discorso molto forte d’internazionalizzazione, sulla Russia oltre che in al-
tre zone. Si tratta di una gestione molto improntata alla managerialità. Chiaramente è un modello
più industriale che famigliare, in questo si differenziano molto dal resto dell’offerta alberghiera
della val di Fassa”. Mariano Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF
“Imprenditori fassani che si occupano d’intermediazione non ce ne sono. Ci sono stati in passato,
fino a inizio 2000, dei consorzi. A Moena avevamo la Moena Welcome, che riuniva albergatori, im-
piantisti, maestri di sci. Andavamo a cercarci la clientela in giro per il mondo nelle varie fiere. Il
problema è che i costi della commercializzazione sono altissimi. Siamo stati in piedi per una decina
di anni, abbiamo avuto anche dei risultati mediamente positivi, poi la situazione è diventata eco-
nomicamente insostenibile. L’intermediazione turistica è un mercato difficile, sono saltati una ma-
rea di tour operator, si salva solo chi lavora sulle nicchie. C’è Eden Viaggi che ha una struttura
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enorme e credo Alpitour, ma gli altri sono satelliti che durano pochi anni e rischiano di lasciare
dei buchi. O magari ci sono quelli che stanno in piedi a danno degli albergatori, con delle tariffe
insostenibili. Ti propongono un albergo a tre stelle a trenta euro al giorno per la mezza pensione.
Potrebbe andare bene per un albergo che ha cento camere, che le gestisce in parte direttamente e
in parte con un’offerta low cost, ma le nostre aziende con le trenta camere, non possono fare questo
tipo di discorso”.Enzo Cocciardi Albergatore Moena
“ Il tema dell’intermediazione turistica è un altro tema grosso e delicato che tendiamo a subire e
non a governare, come tante altre località turistiche. Quando si muove un tour operator e riesce a
fare determinati numeri subisci le sue scelte. La debolezza è che tu devi riempire i 60 mila posti let-
to e quindi non hai strumenti di negoziazione. Ho sentito degli operatori dell’alta valle che mi han-
no detto: quest’inverno è andata veramente male, ci sono due agenzie russe che mi fanno il filo da
due o tre anni, ho sempre resistito, l’anno prossimo gli do l’albergo e ci pensano loro a riempirme-
lo. Stiamo già subendo l’offerta delle agenzie e se l’economia continua ad andare male la subiremo
sempre di più”. Gianni Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti
Super Ski.
“I flussi turistici della val di Fassa ormai sono gestiti dalle agenzie, dai grandi tour operator inter-
nazionali, noi riusciamo a incidere su questi flussi in minima parte, con attività promozionali istitu-
zionali o dei singoli operatori con internet. Negli ’60 e ’70 c’era una maggiore capacità di gestione
dei flussi, ma le cose erano più semplici, i flussi erano più contenuti, non avevi bisogno di riempire
le grandi strutture, quindi bastava partecipare alle fiere in Germania o in Italia per portare turisti
tedeschi e italiani, che sono i migliori, convivono bene assieme. Oggi la situazione è molto più
complessa, la dimensione è diventata industriale, quindi hai bisogno di intermediari”. Renzo Va-
lentini Sindaco di Campitello e Assessore CgF
“I nostri albergatori erano abituati a gestirsi la propria clientela al di fuori delle agenzie di viag-
gio, poi hanno dovuto per forza affidarsi alle agenzie internazionali, perché gran parte di quelli che
vengono da lontano, lo fanno attraverso le agenzie. Ormai i nostri albergatori hanno questo pro-
blema di dover dare una consistente percentuale per l’intermediazione a questi tour operator inter-
nazionali. Si tratta di agenzie polacche, ceche, danesi. C’è un’agenzia danese molto forte in alta
val di Fassa. Il problema è anche che queste agenzie che portano una consistente fetta di clientela,
hanno bisogno di servizi in loco, come gli ski bus per trasferire gli sciatori e su questi servizi siamo
molto carenti. Fiorenzo Peratoner SIC
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“Molti alberghi si affidano alle agenzie d’intermediazione, specialmente con i russi anche per un
discorso di transfert, di permessi di soggiorno, di visti. Gli alberghi che si rivolgono alle agenzie
sono soprattutto quelli più grandi perché pensano di avere maggiori garanzie di copertura. Non
tutti possono permettersi di lavorare solo con i clienti privati, senza commissioni. Governare in
proprio i flussi turistici sarebbe comunque difficile, perché devi essere radicato nei mercati, in Rus-
sia, in Polonia, in Danimarca. Dovresti avere gli uffici a Copenaghen o a San Pietroburgo. Negli
anni ‘80, tramite Dolomiti Superski si era provato ad aprire una specie di grosso tour operator lo-
cale che si chiamava Dolomiti Supertour, era andato anche a New York, ma non ha funzionato.
Qualche anno fa era stato aperto un ufficio anche a Milano ma ha chiuso, perché sono costi enor-
mi. Non dico che va bene tutto, però in materia di flussi turistici devi adattarti e prendere quello
che viene. Anche perché, con i posti letto che abbiamo, non ci si può permettere di scartare qualcu-
no. Adesso per l’estate faremo una grossa promozione sulla Germania, un bell’investimento anche
legato ai giocatori del Bayern, della Baviera. Sulla Russia e sulla Danimarca non abbiamo fatto
grossi investimenti. Abbiamo sempre speso di più per la Germania e per l’Italia”. Enzo Iori Presi-
dente APT
“Noi i flussi turistici internazionali attualmente li subiamo, non siamo in grado di determinarli.
Anni fa diversi consorzi di albergatori della valle avevano provato a fare iniziative promozionali e
d’incoming, ma è stato un fallimento. Quando è sorta l’APT, io ho fatto una grossa battaglia per-
ché fosse una struttura d’organizzazione, promozione e vendita, ma i risultati sono stati parziali.
Oggi siamo costretti a subire i flussi a trenta euro che ci vengono imposti dalle agenzie”. Celestino
Lasagna Presidente Associazione Albergatori della val di Fassa
“La qualificazione della clientela è un obiettivo importante, perché una clientela qualificata è an-
che più stabile. Però il problema è che i flussi turistici non si governano, possiamo solo attrezzarci
al meglio per riceverli. In questo momento non possiamo permetterci di fare gli schizzinosi, biso-
gna accogliere tutti. C’è chiaramente da parte nostra una strategia di promozione. Abbiamo dovuto
imparare a fare marketing, una volta non lo facevamo, ci abbiamo messo tempo, non era il nostro
mestiere, non ne eravamo capaci. Dolomiti Superski faceva al massimo qualche inserzione pubbli-
citaria, adesso abbiamo un ufficio marketing, abbiamo un bel sito con la visione in 3D del nostro
comprensorio. Stiamo investendo sul mobile e sui social network. Inoltre, ogni valle del compren-
sorio ha un suo orticello, sia nazionale, sia estero, e quindi ogni valle fa il suo marketing, con la
sua APT. Dolomiti Superski fa marketing generale, in modo tale da servire a tutti, senza privilegia-
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re alcuna specifica realtà. In collaborazione con i consorzi turistici locali organizziamo anche mis-
sioni all’estero, eventi promozionali. Ci abbiamo messo molto a costruire questa collaborazione
con i vari consorzi turistici locali, ma è stato necessario. Anche perché Dolomiti Superski cosa
vende? Lo sciatore non deve prenotare lo skipass, viene qua e se lo compra. L’unica cosa che pos-
siamo vendere è l’immagine, il marchio di un territorio. Come Dolomiti Superski non possiamo
vendere pacchetti, vendere le camere e i posti letto. Quando andavamo fuori da soli a fare promo-
zioni, spesso i buyers internazionali ci chiedevano le camere, noi rispondevamo che non potevamo
venderle. Allora ci dicevano, ma cosa siete venuti a fare?” Sandro Lazzeri Presidente Dolomiti
Superski
Nessuno al momento appare in grado di definire con forza un brand di territorio in grado di
stare al passo con una competizione che si è fatta globale. Un prodotto turistico - per quanto qua-
lificato come quello della val di Fassa - non necessariamente costituisce un brand riconosciuto a li-
vello globale. Un brand è un prodotto riconosciuto come leader a livello del proprio mercato inter-
nazionale di riferimento. Sono brand globali la Sicilia, la Toscana, le Dolomiti, il Garda, Roma,
Venezia, la lirica, molti vini e prodotti gastronomici del made in Italy. La strategia competitiva in
cui è inserita la val di Fassa è ancora giocata tra localismi: trentini, altoatesini e veneti. Costruire
un sistema di piattaforma territoriale in cui la rete degli operatori - e dei territori - converga
verso un’azione promozionale congiunta su unico brand effettivamente riconosciuto sul mer-
cato turistico globale, - qual è quello delle Dolomiti - potrebbe essere un importante obiettivo
strategico. In tal senso sono già emerse alcune opportunità e strategie, anche se il percorso si
presenta ancora problematico e irto d’ostacoli.
11. La piattaforma turistica delle Dolomiti
Come in tutti i sistemi locali fondati sulla piccola dimensione d’impresa - che caratterizzano
l’economia distrettuale del nostro Paese - anche in val di Fassa le imprese sono proliferate in modo
spontaneo, approfittando (gratuitamente) dei fattori territoriali che ne garantivano la competitività
(qualità paesaggio, saperi contestuali che si andavano lentamente formando, reti di collaborazione
più o meno formalizzate, flussi turistici spontanei). Il sistema locale è cresciuto su legami “deboli”
lasciando spazio alle singole imprenditorialità. Nella nuova economia globale tutti questi fattori - di
crescita imprenditoriale e di competizione sul mercato - non sono più sufficienti.
Il sistema d’offerta locale deve fare, e rapidamente, i conti con il gap di competitività che ha accu-
mulato negli ultimi dieci anni, soprattutto a causa della presenza, sempre più estesa e agguerrita, dei
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tanti competitori low cost che fanno parte del nostro mondo di oggi e che faranno inevitabilmente
parte del nostro mondo di domani. Per fare questo, la gratuità dei fattori competitivi territoriali non
basta più. Per reggere la sfida della globalizzazione, le imprese devono oggi effettuare un investi-
mento cognitivo nella creazione di nuove competenze distintive a carattere fortemente specializzato
e un investimento relazionale all’interno e all’esterno del sistema locale. Si tratta di situazioni che
suggeriscono il delinearsi di un’impresa turistica che gioca il proprio ruolo nella modernizzazione
su tre dimensione: comunità, territorio e mondo. Un’impresa che, appunto, incorpora nuove forme
di responsabilità verso la comunità locale, che punta a competere valorizzando gli elementi materia-
li e immateriali di un territorio, che incorpora simboli e visioni culturali capaci di essere riconosciu-
ti nell’economia mondo. In questo contesto, la crescita delle reti, intese come forme stabili di col-
laborazione tra attori economici dotati di competenze diverse e complementari, è una tendenza
destinata ad affermarsi sempre di più, trasformando i modelli di business delle imprese e sollecitan-
do i territori a valorizzare le proprie vocazioni e specializzazioni nel contesto della concorrenza
globale, sempre più presente e pressante.
La competizione nella globalizzazione non si gioca tra singole imprese, ma tra territori orga-
nizzati in reti. Il territorio - specialmente nel settore turistico - rappresenta l’ambiente strategico,
dove le imprese selezionano le risorse che gli servono per competere, sia interne, sia esterne, al ci-
clo produttivo. Il territorio, la sua immagine sul mercato internazionale, l’efficienza delle sue infra-
strutture, dei suoi servizi, ma ancor più le sue relazioni sociali (la fiducia tra gli attori, le competen-
ze disponibili a livello locale, i rapporti di fornitura e di cooperazione) sono oggi importanti fattori
di produzione, alla stessa stregua del capitale e del lavoro.
Le piccole imprese turistiche (ma anche artigiane, agricole, di servizio) che caratterizzano
l’economia della val di Fassa possono operare in modo moderno e competitivo nella misura in cui
trovano il modo di partecipare a reti territoriali più grandi, evitando di rimanere isolate. In tal sen-
so, le imprese hanno un grande bisogno di essere "messe in rete" da qualche meta-
organizzatore, (amministrazioni locali, associazioni di categoria, autonomie funzionali, soggetti che
gestiscono le reti materiali e immateriali, enti di formazione, centri servizi, agenzie di promozio-
ne),ossia da soggetti che ordinano l'ambiente in cui operano le imprese, rendendolo adatto alle loro
esigenze. C’è bisogno di soggetti che costruiscono le reti di filiera, le reti territoriali, le reti di pro-
mozione e marketing, le reti di sperimentazione e propagazione di nuovi modi di produrre e di ven-
dere.
I territori che cercano di attrarre e condizionare i flussi turistici si trovano a essere in concorrenza
tra loro. Una concorrenza che è più forte e drammatica di quella che riguarda le imprese manifattu-
riere che con un po’ d’ingegno possono sempre spostarsi andando a scegliere i luoghi e i flussi che
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li collegano con lo sviluppo. Ma i territori – e le economie turistiche a essi collegate – non possono
farlo. Gli attori collettivi che rappresentano il territorio e le istituzioni che lo governano non
possono sottrarsi alla responsabilità di affrontare la concorrenza tra territori portando avanti
un proprio disegno pro-attivo, che valorizza gli interessi e la capacità differenziali delle co-
munità rappresentate.
“ In val di Fassa non siamo ancora riusciti a fare un tavolo di lavoro, di confronto fra tutte le strut-
ture più importanti della valle: gli albergatori, l’APT, la banca, gli impianti a fune, il caseificio, il
consorzio elettrico, la cooperativa, ecc. Quando ci troviamo, nascono degli spunti, delle belle idee,
ma poi ci perdiamo e ognuno di noi va per la sua strada. Dobbiamo fare un tavolo di lavoro per-
manente per pensare al futuro della Valle, per lavorare tutti insieme nella stessa direzione. Se non
facciamo questo, ognuno farà il proprio pezzo senza coordinarsi con gli altri, di conseguenza ci
troviamo spiazzati. Se invece riuscissimo a creare un coordinamento tra le società radicate e im-
portanti che ci sono sul territorio, sarebbe più facile riuscire a coinvolgere tutta comunità in pro-
getti condivisi di sviluppo. Dovrebbe essere il Comun general a convocare e coordinare questo ta-
volo di lavoro e quest’intervista capita a proposito per sollecitare un’iniziativa in tale direzione”.
Luca Giongo Direttore Fassa Coop
“Il problema della val di Fassa sta nella mancanza d’unione, c’è poca coesione. Siamo la realtà
economica più grande del Trentino ma siamo fatti di singoli pezzi d’interessi frammentati. Basti
pensare che noi siamo, o almeno eravamo, il più grande comprensorio sciistico ma non abbiamo la
coppa del mondo, e se ne parlava già dieci anni fa quando io ero nel consiglio di amministrazione
dell’APT. Dove c’è da unirsi noi ci separiamo, questo è un segnale d’allarme per dire che c’è un
malessere di fondo, dovuto alla mancanza di una guida”. Elio Liberatore Presidente APSP Fassa.
La ragione per cui è bene che un’amministrazione locale – assieme agli altri attori collettivi - si oc-
cupi attivamente di reti d’imprese, rimanda alla nuova identità del territorio che si è venuta a creare
nel rapporto tra luoghi e flussi. Oggi la competizione si gioca nel rapporto tra luoghi (i nostri ter-
ritori, le nostre comunità, le nostre economie) e i flussi della globalizzazione (di persone, di merci,
d’investimenti, d’informazioni, di culture). L’esigenza è guardare verso un modello di sviluppo in
cui appare necessario l’accompagnamento del territorio dalla dimensione locale a quella globale,
mitigando contemporaneamente l’impatto dell’economia dei flussi sui luoghi e sul loro capitale na-
turale, umano, tecnico, sociale e simbolico. In questo senso, anche la politica si deve mettere in gio-
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co: è evidente, infatti, la necessità di andare oltre alle consuete forme di governo del territorio e del-
lo sviluppo per meglio potersi confrontare con le nuove sfide e i nuovi obiettivi del territorio.
Nella globalizzazione, oltre che le specificità del contesto locale, assumono un ruolo centrale i sog-
getti che governano i flussi, trasferendoli da un luogo all’altro del pianeta, oppure creando quelle
“porte di sistema” che collegano l’economia del luogo con l’economia dei flussi. Oggi in val di
Fassa il rapporto con la globalizzazione – il rapporto tra la località e i flussi turistici internazionali –
è fortemente mediato dalle agenzie d’intermediazione – che trasferiscono i flussi turistici da un luo-
go all’altro del pianeta - mentre ancora deboli, o comunque scarsamente strutturate, sono le “porte
di sistema" che partendo dal locale lo collegano con il globale.
Il nostro “capitalismo di territorio” fatto di tanti piccoli imprenditori, ha bisogno di fare alleanza
con il moderno “capitalismo delle reti” costituito da quegli tutti quegli attori locali che producono
e gestiscono i beni competitivi del territorio e, in quanto tali, sono in grado di connettere
l’economia locale alla simultaneità del globale.
Figura 3 Esemplificazione schematica del rapporto esistente tra i luoghi, il capitalismo di territo-
rio, il capitalismo delle reti e lo spazio competitivo globale
Le reti e le funzioni pregiate che danno competitività al territorio sono come ovvio le reti fisiche: le
infrastrutture dei trasporti, le utilities come energia, acqua e servizi di trasporto, le fiere dove si rap-
presentano i territori e le loro qualità produttive, le reti digitali e satellitari. Si tratta però anche di
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reti immateriali, come le fabbriche del capitale umano e della conoscenza, le istituzioni formative;
i servizi collettivi, compresi quelli pubblici, le reti della creatività, del linguaggio e della comunica-
zione al servizio dell’impresa; le reti della finanza e dell’intermediazione di denaro; i brand territo-
riali che danno identità e personalità alle offerte locali.
Il concetto di “capitalismo delle reti” si affianca al concetto di “piattaforma territoriale” che in-
tende alludere a un significato spaziale che vada oltre il paradigma del glocale. Tra locale e globale
prendono forma spazi intermedi in cui si sperimentano accordi e alleanze territoriali finalizzate
a realizzare economie di scala nella produzione di servizi e beni competitivi comuni. La piatta-
forma territoriale è, in estrema sintesi, un sistema economico che pur connettendosi alla rete dei
flussi globali mantiene nel contempo una dimensione locale che investe in genere un’area territoria-
le di raggio relativamente ampio, nella quale convergono diverse soggettività titolari di funzioni
pregiate. In realtà, la piattaforma è da concepire come un’entità territoriale che più delle dimensioni
fisico-geografiche considera le funzioni strategiche legate alla conoscenza come condizione della
nuova economia. La piattaforma, in sostanza, ricerca complementarietà che non derivano da inter-
dipendenze legate alla compresenza fisica delle imprese su un’area territoriale relativamente circo-
scritta; le complementarietà derivano piuttosto da specializzazioni che si avvalgono del più elevato
contenuto di conoscenza che è richiesto alle nuove produzioni per competere nello scenario interna-
zionale. Sono quindi complementarietà tutte da ricercare, e – perché no – anche da costruire,
nient’affatto scontate né tanto meno date fin dall’inizio.
Il mutato scenario competitivo globale impone nuove logiche di organizzazione dello spazio sociale
ed economico tali da mettere in discussione il significato tradizionalmente attribuito al concetto
d’identità territoriale, non più frutto soltanto di processi di radicamento locale, ma legata a uno
spazio di rappresentazione i cui confini tendono a diluirsi e dilatarsi in una dimensione più ampia.
Questo significa, in altre parole, che la struttura sociale di un territorio non è più incentrata sul-
la comunità naturale locale bensì sulla geocomunità territoriale, ossia su quella dimensione dello
spazio sociale che è consapevolmente perseguita, “voluta” dagli attori socioeconomici e politici di
un territorio.
“Noi dovremmo riuscire a mettere insieme un’idea di destinazione dolomitica, che attualmente non
esiste, perché attorno alle Dolomiti siamo competitori. Questo modello bisogna costruirlo perché
non nascerà da solo. Dobbiamo mettere in campo progetti e alleanze, costruire qualcosa insieme,
se vogliamo che nasca questa idea. Esperienze come Dolomiti Superski dimostrano che qualche
volta siamo capaci di fare rete, quando c’è reciprocità di convenienza”. Andrea Weiss Direttore
ApT
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A livello locale già si sente l’esigenza di costruire una strategia d’area vasta finalizzata a rafforzare i
fattori di competitività all’interno del comprensorio dolomitico. In tale direzione può, infatti, essere
ricondotto il confronto che si è aperto tra territori trentini nell’ambito della “Rete Dolomitica”.
Comun General de Fascia, Comunità territoriale della val di Fiemme e Comunità di Primiero rap-
presentano, insieme, una parte importante del Trentino dolomitico nord orientale. Sono realtà istitu-
zionali (politiche, amministrative) che hanno avviato un processo "costituente" e stanno raggiun-
gendo gradualmente obiettivi significativi. Con la “Rete dolomitica” queste tre Comunità vogliono
sperimentare una nuova modalità di lavoro, di partecipazione e di progettazione. Si tratta di un pro-
getto che avrà un'articolazione di carattere pluriennale, valorizzando le peculiarità, le esperienze e le
risorse che ogni territorio vorrà mettere a fattor comune.
“L’idea della Rete dolomitica è stata concepita delle tre Comunità di Fassa Fiemme e Primiero. E’
importante fare vedere alle nostre popolazioni che si lavora in rete, con la possibilità di confron-
tarsi e anche di trasferire tra di noi delle buone prassi. Abbiamo intenzione di fare incontri periodi-
ci, fare question time di confronto con la popolazione, senza cose troppo istituzionali che la gente
non capirebbe. Il progetto è finalizzato a cercare di fare sintesi su temi e sfide che l’attuazione del-
la Riforma istituzionale propone a ciascun territorio, individuando approcci condivisi a problemi
che spesso necessitano di soluzioni originali. Abbiamo condiviso che la prima grande sfida è di tipo
culturale e si traduce nella necessità di promuovere nei nostri territori la conoscenza della storia e
dell’ambiente, intesi come elementi indispensabili per rafforzare il senso d’appartenenza e in defi-
nitiva l’identità propria di ciascuna valle. E’ nata così l’iniziativa Incontri tra comunità organizza-
ta con il supporto del Museo storico del Trentino. Le tre Comunità stanno oggi meditando di trova-
re altri temi in cui condividere metodi e percorsi”. Cristina Donei Procuradora CgF
Il recente riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità, da parte dell’Unesco, è
in grado di rafforzare questa strategia comunicativa, allargando la rete a livello sovra provinciale.
La sfida consiste nel mettere in campo azioni per la valorizzazione della natura e della salvaguardia
delle Dolomiti attivando ogni forma e opportunità di turismo e di sviluppo responsabile. Essere tito-
lari del marchio Unesco permetterà anche di valorizzare ulteriormente le eccellenze della zona che
sono l'ospitalità, la gastronomia e i servizi per il turista.
“Il riconoscimento Unesco è un rafforzamento molto importante in termini d’immagine e attrattivi-
tà turistica, che ci obbliga a ragionare di contenuti. Non possiamo essere riconosciuti come patri-
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monio dell’umanità e poi proporre ai turisti la viabilità intasata, le code agli impianti, la mancanza
d’identità. Bisogna riempire di contenuti il marchio Unesco. Dobbiamo essere consapevoli che og-
gi più di ieri, il brand per competere sui mercati turistici internazionali è quello delle Dolomiti, è
inutile pensare di vendere la val di Fassa o Pozza di Fassa. A livello internazionale o si vendono le
Dolomiti o niente. In parte è già così, perché il turismo invernale è tutto guidato da Dolomiti Su-
perski, il resto è contorno. Il mio auspicio, è che la filosofia di rete che è stata alla base di Dolomiti
Superski, ma anche la sua capacità di organizzazione, possa finalmente trasferirsi anche su un pia-
no che non è semplicemente quello economico, ma in una logica di sistema che coinvolga vari a-
spetti della realtà sociale ed economica al di sopra dei confini di provincie e regioni”. Fabio
Chiocchetti Direttore Istituto Cultura Ladina
“Qui in Trentino con l’importante intuizione della Rete dolomitica siamo riusciti a costruire questa
piccola rete tra Fiemme, Fassa, Primiero. Ora dobbiamo uscire dai confini provinciali e allargare
l’alleanza all’intero comprensorio dolomitico. Il riconoscimento dell’Unesco è in tal senso una
grossa opportunità. La strategia di un’identità comune possiamo costruirla con la rete delle riserve
naturali, con un modello di mobilità sostenibile su ferrovia, anche Confindustria di Belluno sta
scegliendo questo percorso. La mobilità sostenibile è un ancoraggio forte per l’identità dolomitica,
anche in termini d’immagine e promozione turistica. C’è l’esigenza di mettere in comune dei servi-
zi, ma non solo con i comuni confinanti, dobbiamo coinvolgere anche lo Zoldano che non confina
con noi. Se mi perdo lo Zoldano con Pieve di Cadore, mi perdo i centri culturali. Il problema è che
all’interno di Dolomiti ci sono territori con esigenze e strategie di sviluppo molto diverse: ci sono
territori dotati di autonomia, altri no; ci sono offerte turistiche differenti; ci sono aree forti e aree
marginali. Abbiamo la val Gardena e la val Badia in cui è possibile fare turismo di qualità, la val
di Fassa che è costretta a competere sulla quantità, poi abbiamo il Bellunese con Cortina e con il
resto del territorio abbandonato da Venezia. Il problema è che abbiamo una Provincia di Belluno
commissariata e una Regione Veneto con cui non si riesce a discutere di montagna. Trento e Bol-
zano, in virtù della loro autonomia continueranno a essere lette dagli altri territori, come le aree
del privilegio. Noi dobbiamo costruire un’autonomia della solidarietà tra i territori alpini. Se Do-
lomiti Superski può essere il motore turistico ed economico che tiene assieme questo territorio, ab-
biamo anche bisogno di un motore politico. Trento e Bolzano non possono guardare solo a Nord, ci
devono essere reti e strategie trasversali tra territori alpini. La stessa Fondazione Dolomiti Unesco
si scontra con difficoltà legate alla partecipazione. Qui non abbiamo una popolazione abituata alla
partecipazione. La Provincia di Belluno, quando è partito il progetto Dolomiti Unesco, ha coinvol-
to tutti i 36 comuni, 34 erano favorevoli e 2 contrari. Sempre in provincia di Belluno il CAI ha
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promosso una serie d’incontri che hanno coinvolto più di tre mila persone. La voglia di capire le
specificità dei vari territori, il bellunese la dimostra qui, invece, non riusciamo ad attivare questo
interesse, da noi nessun Comune ha discusso di quest’opportunità, abbiamo fatto solo qualche con-
vegno sul paesaggio. Abbiamo bisogno di spiegare alla gente le opportunità culturali di Dolomiti
Unesco. Alla prossima riunione dei soci sostenitori dobbiamo aprire alla partecipazione, recupe-
rando quello che non è stato fatto negli ultimi due o tre anni. Se non apri alla partecipazione, coin-
volgendo anche gli operatori turistici, Dolomiti Unesco resterà solo un logo sulla carta intestata di
qualche albergo”. Luigi Casanova Cipra
“L’Unesco deve diventare veramente un veicolo di promozione delle Dolomiti. Questo però si scon-
tra con i localismi. Quando è venuto il giornalista Francesco Marino della RAI di Torino, alla se-
rata organizzata nell’ambito della Rete Dolomitica, lo ha detto chiaramente: guardate che noi non
veniamo a sciare in val di Fassa o in Primiero, ma veniamo a sciare nelle Dolomiti. Dovremo tro-
vare il modo di valorizzare al massimo la vetrina globale fornita dall’Unesco. Questo non significa
non poter valorizzare le diversità all’interno del contesto dolomitico: Cortina è diversa dalla val di
Fassa, le dolomiti di Pordenone o di Belluno sono diverse dalle dolomiti del Brenta. Già quando
lavoravo alla Magnifica Comunità di Fiemme mi sarebbe piaciuto creare un percorso partendo da
queste realtà di comunità storiche, ritornare a essere viandanti attraverso le magnifiche comunità,
le regole cadorine e ampezzane. Sono nostre specificità che possono essere apprezzate e che vanno
fatte conoscere. Ci sono delle cose di cui noi stessi non conosciamo il valore e che persone che
vengono da altri mondi sono in grado di apprezzare. Questo servirebbe anche a noi, per rafforzare
l’identità ladina, il nostro essere comunità dolomitica. Nei secoli scorsi le comunità delle Alpi era-
no tutte uguali, che si chiamassero Consortele, Regole, Magnifiche Comunità. I paesi e i localismi
turistici sono venuti dopo. Sarebbe bello poter recuperare queste dimensioni trasversali in nome
della difesa del territorio e dell’identità delle popolazioni di montagna. La magnifica Comunità di
Fiemme che è un patrimonio inalienabile, indivisibile, imprescrittibile ha consentito di preservare
il nostro patrimonio ambientale. La legge degli usi civici del ’27 mirava a eliminare tutte queste
cose, l’avevano fatta guardando al modello dell’Agro Pontino, alle bonifiche di Mussolini. Queste
proprietà indivise e molto estese ostacolavano la lottizzazione e la speculazione. Qui siamo riusciti
a mantenere queste proprietà collettive. Dobbiamo recuperare questo valore, farlo percepire prima
di tutto alla popolazione locale. Dobbiamo capire che non possiamo omologare la nostra offerta,
non possiamo essere uguali a Rimini, alle Canarie o alle Maldive. Vedere i gonfiabili sulle piste
non è ammissibile in un ambiente come il nostro. Purtroppo, attualmente il discorso Unesco è avul-
so dalla popolazione, non abbiamo ancora capito quali ricadute può avere questo discorso. Quan-
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do è venuto il verificatore è rimasto favorevolmente impressionato dal fatto che la gente vive in
questi ambienti. Bisogna anche quindi capire cosa significa tutela, se è solo vincolo significa impe-
dire alla gente di vivere in questi ambienti. E’ da poco che è stata costituita la Fondazione Dolomi-
ti Unesco, immagino che tra qualche tempo ci verranno a proporre qualcosa. Non so se noi siamo
in grado di proporre una strategia. Abbiamo difficoltà tra comuni, figuriamoci tra provincie”.
Bruno Sommariva Segretario CgF
“Su Dolomiti Unesco ne sappiamo poco, potrebbe essere un’importante bandiera di promozione, in
fondo se siamo conosciuti nel mondo, è merito delle Dolomiti. Ma anche su questo vedo che c’è
molto snobismo, ad esempio nel confronto del Bellunese che è la zona dolomitica più grande e forse
anche la più bella. Sono considerati un po’ come i parenti poveri. Ci invidiano perché non hanno i
nostri mezzi di promozione turistica. In questo, c’è un dato culturale, una voglia di chiusura locali-
stica, un’incapacità di condivisione. Siamo molto filo tedeschi, ammiriamo la Gardena, la Badia, e
prestiamo poca attenzione al Bellunese. E’ anche un dato storico, fino agli anni ’60 e ’70, nono-
stante la val di Fassa fosse un’area povera, dal bellunese venivano da noi a lavorare a segare i bo-
schi, erano più poveri di noi. Li chiamavano Canalin, perché venivano da Canale d’Agordo. Era
un modo per dire sei un poveraccio. A nostra volta noi emigravamo nel Tirolo tedesco, a Merano,
dove andavamo a fare i muratori e gli imbianchini. Sono retaggi culturali che rimangono, anche se
oggi le cose sono cambiate. Credo che comunque con l’area dolomitica dovremmo fare un discorso
comune di promozione turistica. La stessa cosa dovremmo farla con Venezia, che è la porta turisti-
ca più importante. Anche per l’aeroporto con cui non siamo collegati”. Annalisa Zorzi Insegnante
“ Attorno alle Dolomiti c’è anche un problema di rapporto tra comunità ladine. La comunità ladi-
na rivolta a Bolzano è diventata Sud tirolese, la parte ladina rivolta a Trento, ovvero noi, non sa
bene dove stare. I ladini del Sella, trentini e veneti, sono considerati dai ladini altoatesini come dei
ladini di serie B, perché hanno un’identità annacquata, si sono lasciati troppo influenzare
dall’Italia. In realtà si tratta di un pregiudizio antistorico perché il ladino è una lingua latina. E’
semmai vero il contrario: è il ladino gardenese e badiotto a essersi contaminato con la lingua tede-
sca. Sulle comunità ladine c’è stato storicamente un dividi et impera che ha funzionato, non c’è
un’identità politica e amministrativa. La Provincia di Trento perlomeno ha avuto la capacità di
guardare alle comunità del Sella, ha pensato a tutelare questa lingua, perlomeno nella sua forma
scritta. A livello culturale ci sono stati momenti abbastanza difficili, si litigava a chi era più ladino
degli altri, succede ancora, anche tra istituti ladini. Poi c’è questa Istituzione che è l’Unione Gene-
rale dei ladini delle Dolomiti che dovrebbe raccogliere tutti i ladini. Politicamente non ne è in gra-
do perché a livello amministrativo le provincie di Trento e di Bolzano si avvicinano in modo diver-
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so alle minoranze ladine: la Provincia di Trento ha rispetto della minoranza e non la politicizza, la
provincia di Bolzano rende politico ciò che dovrebbe essere culturale e quindi impedisce il contatto
e la condivisione con le altre comunità. I ladini altoatesini pensano di bastare a se stessi. La nor-
mativa più lungimirante e di avanguardia in tema di minoranze è quella trentina. Un’alleanza sulle
strategie economiche, turistiche, promozionali, potrebbe essere la strada giusta per superare le
tensioni che attualmente ci sono a livello culturale, facendo rete economica. Se in fondo guardiamo
bene, l’unica realtà sovra locale che fa rete tra le comunità latine è una rete economica: Dolomiti
Superski. Se riuscissimo ad avere una gestione della cultura ladina, nel senso di tutto il Sella, come
quella del Dolomiti Superski, avremmo risolto molti nostri problemi. Il problema è che la cultura
nell’immediato non porta soldi e quindi non aggrega. Forse bisognerebbe convincere Dolomiti Su-
perski a mettere la bandiera ladina nel suo logo”. Sabrina Rasom responsabile progetti culturali
del comprensorio ladino Fassa
“Bisogna capire se, con l’opportunità del marchio Unesco, tra le varie comunità ladine, tra i loca-
lismi turistici, ci sarà l’interesse a promuovere le Dolomiti come marchio di destinazione turistica.
Attualmente non mi pare. Noi abbiamo la farfalla, gli altoatesini hanno la coccinella, ognuno va
sul mercato internazionale per proprio conto. L’identità ladina non è in grado di tenere assieme
una comunità al di là dei confini provinciali. Le quattro valli ladine sono uniche al mondo per pa-
trimonio ambientale e per identità, ma economicamente e amministrativamente sono divise, se non
addirittura in concorrenza tra loro. Non dobbiamo rinunciare alla nostra identità e ai nostri inte-
ressi di fassani, ma dobbiamo aprirci. Il nuovo turista russo ha una domanda se vogliamo standar-
dizzata, lui non viene in val di Fassa, viene in Italia, viene sulle Dolomiti, per lui la val di Fassa, le
Dolomiti e Venezia fanno parte di un’unica immagine. Sta a noi mostrargli le nostre specificità.
Siamo noi a fare la differenza, a caratterizzare la nostra offerta, è importante che ognuno di noi si
senta parte di questo territorio”. Teresa Lorenz Referente giovani
“Le Dolomiti sono state riconosciute patrimonio dell’umanità, non per la loro bellezza, ma per mo-
tivi geologici. Partendo da questo dato, la SIC ha investito in un progetto importante chiedendo a
dei geologi di fare delle iniziative con della cartellonistica, serate informative e dei corsi di forma-
zione sulla geologia. D'altronde qui il turismo nasce nell’800, grazie ai geologi, il primo turismo è
geologico, gli alpinisti sono arrivati dopo. Nel 1819 si è tenuto un convegno a Predazzo con gli in-
terventi dei più grandi geologi europei”. Cesare Bernard Presidente Consei General
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Come sottolineato in diverse interviste, Dolomiti Superski è attualmente l’unica realtà economica
capace di fare rete all’interno del comprensorio dolomitico. Dolomiti Superski è oggi il consorzio
più imitato - senza successo - da altre località sciistiche. I complessi austriaci hanno cercato di co-
piare questo sistema, ma risultano essere soltanto una somma di località. Il successo del consorzio è
tale da avere indotto -come in tanti altri casi d’eccellenza aziendale- un processo d’identificazione
tra il brand aziendale e quello del prodotto (in questo caso della località).
“Dolomiti Superski ha ormai 38 anni e penso sia ancora il futuro dello sviluppo turistico della zo-
na. E stato un modello di successo che molti, in altre aree, cercano di copiare. A volte capita che ci
siano giornalisti che ci telefonano per parlare di Dolomiti. Non sanno neppure che Dolomiti Super-
ski è un consorzio d’impiantisti. Noi rappresentiamo le Dolomiti per interposta persona. Questa è
una semplificazione eccessiva, perché la nostra è una realtà turistica complessa, fatta di tanti enti e
di tanti operatori”. Sandro Lazzeri Presidente Dolomiti Superski.
Dolomiti Superski rappresenta attualmente l’unica “porta di sistema”, espressione della co-
munità dolomitica, capace di collegare le economie locali ai flussi turistici globali. E’ proprio il
successo dimostrato da questo modello di rete a livello sovra locale a indurre diversi interlocutori a
portare Dolomiti Superski come esempio per l’attuazione di strategie coalizionali più vaste
nell’ambito del comprensorio dolomitico.
“Questo momento di crisi ci deve servire per fare alleanze, sinergie, consorzi, perché quando vedi
che far promozione costa, se ci si mette insieme, si può fare meglio. Sicuramente è più riconoscibile
il marchio Dolomiti rispetto ai singoli paesi o alle singole valli. Già lo vediamo a livello di Dolomi-
ti Superski con gli spot che fanno per promuovere Dolomiti patrimonio dell’Unesco”. Giorgio De
Luca artigiano e responsabile Skiteam
“Dolomiti Superski è stata una grande innovazione, è stata l’unica vera alleanza interladina che si
sia mai creata. Perché hanno capito che o si guadagna tutti o si perde tutti. Per tutto il resto non è
così. Gli enti e gli operatori devono capire che la collaborazione è uno snodo fondamentale del no-
stro sviluppo e si devono muovere di conseguenza”. Silvano Ploner Giornalista
“Dolomiti Superski è il modello su cui dobbiamo lavorare. Sono tre regioni, cinque provincie, 130
società consorziate in 12 consorzi di Valle. Al di sopra c’è il Feder Consorzio, la cui missione è
vendere uno skipass univoco e gestire le problematiche che ci sono sui dodici consorzi relativamen-
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te all’offerta sciistica. Già oggi Dolomiti Superski fa un’importante azione di marketing sui mercati
internazionale e il marchio veicolato non è la val di Fassa, ma sono le Dolomiti. Chi ha disegnato
questa struttura già nel 1974, è stato molto lungimirante. E’ un modello che andrebbe il più possi-
bile valorizzato. E’ la dimostrazione che facendo rete, facendo sistema, le cose funzionano.”Gianni
Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti Superski.
“Dolomiti Superski è al momento l’unica struttura che tiene assieme le valli ladine e la realtà do-
lomitica, potrebbe essere un’importante strumento per promuovere le località delle Dolomiti a li-
vello internazionale. Il problema è che il Trentino non lo vuole. Il Trentino vuole valorizzare solo il
Trentino. Noi lo diciamo spesso all’Assessore: dobbiamo promuovere le Dolomiti che sono un pa-
trimonio unico. Il marchio Trentino vuole prevalere su tutti. Se andassimo fuori con il marchio Do-
lomiti superski ci sarebbero grossi vantaggi, promuovendo chiaramente anche il marchio val di
Fassa che ha un suo appeal importante”. Celestino Lasagna Presidente Associazione Albergatori
della val di Fassa
Dolomiti Superski deve la sua fortuna alla connettività d’impianti e piste, resa possibile dalle carat-
teristiche naturali della zona. La gestione di questa complementarità “naturale” diventa il core busi-
ness della rete costruita sotto forma di una federazione che raggruppa 12 consorzi di valle, anche se
gli investimenti negli impianti continuano a essere decisi direttamente dai diversi partner della rete.
Dolomiti Superski presenta una struttura a rete perché, anche se la forma è consortile, il servizio al
cliente e il tipo di rapporto con il mercato sono diversi: ciascun socio aggiunge qualcosa in più al
proprio servizio, ed esiste una vivace concorrenza tra vicini. I servizi offerti dagli impiantisti asso-
ciati a Dolomiti Superski sono più complementari che concorrenti, ma la forte concorrenza sulla
qualità del servizio rappresenta un fattore molto positivo in quanto aumenta la qualità generale e
contribuisce a essere più appetibili per i clienti. Dolomiti Superski non assicura alla rete una regia
dirigistica, ma fornisce un servizio ai soci che ne ricavano vantaggi, potendo sfruttare la comple-
mentarità dei diversi tratti della rete di sciovie collegate: i ricavi (come i biglietti) affluiscono al
centro della rete e poi vengono ripartiti con vari criteri. E questo consente alla Federazione e ai con-
sorzi di esercitare un’opera d’indirizzo e di moral suasion, nei confronti dei singoli nodi della rete,
senza minacciare la loro autonomia.
L’intuizione da cui nasce la rete è l’aver adottato il punto di vista del cliente finale - lo sciatore - che
apprezza molto di più la sua esperienza sportiva o paesaggistica se riesce a muoversi nell’ambiente
alpino passando da una pista all’altra, senza interruzioni e senza ripetizioni. Per ottenere questo ri-
sultato è stato necessario unire in una trama unitaria un insieme d’impianti di risalita e trasferimento
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che erano nati separatamente, fornendo un servizio unitario allo sciatore con una serie d’iniziative
che derivano dall’esistenza della rete: il biglietto unico; l’allungamento del periodo di validità; il
completamento dei collegamenti tra una pista e l’altra, prevedendo anche nuove piste di discesa e
nuovi impianti di risalita nei diversi versanti della stessa montagna. Oggi con un unico skipass è
possibile utilizzare 460 impianti di risalita dislocati in 12 valli che consentono di percorrere 1.200
chilometri di piste.
Come evidenziato nei precedenti capitoli, la forza propulsiva del modello di business adottato ini-
zialmente dalla rete sta comunque diminuendo. Per due ragioni: lo sfruttamento delle complementa-
rità (tra le piste) disponibili è andato abbastanza avanti da realizzare tutte le opere più facilmente
operabili; i concorrenti si stanno attrezzando per vendere la stessa formula o anche per sottrarre gli
users allo sci, dirottandoli verso altre mete (i mari del Sud, altri sport, altri modi di usare il tempo
libero ecc.). Il gruppo dirigente del Consorzio è cosciente di essere arrivato a un momento difficile
nel ciclo di vita della rete. In questi casi, si cerca – com’è ovvio – di razionalizzare il modello di bu-
siness esistente, eliminando alcuni degli inconvenienti registrati sin qui (tecnologia degli impianti,
riduzione delle code, garanzie d’innevamento, ecc.), o allargando il servizio a bisogni potenziali an-
cora poco serviti (passeggiate in quota in estate, attrazioni a valle per chi non scia e per la famiglia
dello sciatore).
Tuttavia, concentrare l’attenzione sulla manutenzione dell’esistente può in qualche caso allontanare
una prospettiva più ambiziosa: quella di far ripartire il ciclo cambiando qualche elemento sostanzia-
le del modello di business. E re-inventando in questo modo la rete. Ad esempio, si può pensare di
spostare il focus dell’attenzione dallo sciatore (user obbligato per chi gestisce un impianto di risali-
ta), alla sua famiglia (che comprende familiari e bambini che magari non sciano); e da questa a un
pubblico che frequenta la montagna per motivi che solo marginalmente hanno a che fare con lo sci.
Naturalmente, questo pubblico è interessato più che alle piste da sci ai servizi e divertimenti che si
possono trovare in fondovalle, presso gli alberghi e nelle comunità di montagna, d’inverno e
d’estate, senza distinzione. Ovviamente si tratta di un campo diverso da quello tipico fino ad oggi
del consorzio per cui, fino ad oggi, è apparso saggio mantenere una rigida divisione dei ruoli e delle
competenze all’interno della filiera turistica. Impiantisti, albergatori, ristoratori, commercianti, isti-
tuzioni del fondovalle svolgono - più o meno bene - il loro ruolo senza interferire nelle competenze
degli altri soggetti che compongono la filiera. Il risultato è che il collegamento tra impianti e alber-
ghi è stato fino a oggi semplicemente di posizione. Anche se non esiste un legame diretto, gli alber-
gatori hanno comunque interesse che la zona in cui si trova l’albergo migliori la sua attrattiva: è la
somma delle professionalità di tutti, a favorire il successo dell’area. Se gli albergatori tengono basso
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il livello delle loro strutture non riempiono gli alberghi e anche gli impiantisti sono danneggiati; vi-
ceversa, se i gestori degli impianti trascurano la qualità delle piste, gli alberghi non si riempiono.
Per il futuro, la logica della rete suggerisce una risposta diversa: se il cliente ha un bisogno com-
plesso, che fa capo ad attività differenti ma interdipendenti, la risposta da dare è quella del global
service. Si uniscono le competenze (ecco la rete più vasta) fino a poter offrire al cliente un prodot-
to/servizio complesso, portatore di significati condivisi, che la rete gli può offrire grazie alla com-
plementarità delle competenze coinvolte.
E’ a questo punto che la rete - nata dagli impianti di risalita - può incontrare un’idea motrice (la
nuova fruizione turistica dell’ambiente montano) assai più grande, che può fornirgli le eccedenze
cognitive necessarie per andare oltre l’orizzonte delle preesistenze. E’ un processo difficile, ma for-
se qualcosa s’innescherà su questo terreno: la cosa dipende anche, in qualche misura,
dall’attenzione che il soggetto pubblico vorrà prestare a temi del genere.
“La definizione si rete ben si adatta a Dolomiti Superski. Essere una rete, non significa solo essere
la sommatoria di tante piccole realtà locali, ma è il nostro vero fattore competitivo. Il turismo è una
filiera: gli impiantisti s’interessano degli impianti, gli albergatori degli alberghi, i commercianti
fanno il loro lavoro. Sono attività complementari in cui un settore tira l’altro, creando un circolo
virtuoso, il cliente è di tutti e tutti insieme gestiamo il cliente. In questa filiera turistica noi siamo
l’impresa motivante, quella trainante, perché i turisti in inverno vengono qua per sciare. Però non
abbiamo la leadership della filiera, gli alberghi muovono un giro d’affari molto più grosso del no-
stro. Se andiamo in crisi noi, va in crisi tutto il sistema, cosi come se non funziona tutta la filiera, ci
rimettiamo anche noi. L’offerta di servizi di maggiore qualità è un compito che spetta a tutti gli o-
peratori. Questo è un compito che noi impiantisti abbiamo affrontato eliminando le code, aumen-
tando il confort degli impianti, garantendo l’innevamento, il resto lo devono fare gli alberghi, i
commercianti, le amministrazioni locali, i paesi. Noi abbiamo ancora i paesi, a differenza di alcune
stazioni francesi che sono tutte artificiali. Il turista apprezza i paesi: il centro storico, l’arredo ur-
bano, il commercio, hanno una loro funzione attrattiva molto importante. Noi, come Dolomiti Su-
perski, dobbiamo fare bene il nostro lavoro d’impiantisti, essere appetibili per il servizio che of-
friamo, poi ogni operatore presidia il proprio settore e nessuno si sogna d’interferire. Chiaramente
c’è collaborazione anche perché mangiamo tutti lo stesso pane. A volte però questa collaborazione
purtroppo viene meno, come nei periodi di fine stagione, perché gli alberghi chiudono prima degli
impianti e questo è un problema. E’ stata una soddisfazione avere il riconoscimento Unesco, anche
se è sempre difficile trovare un equilibrio. Alcuni operatori temono nuovi vincoli, probabilmente si
riuscirà a trovare un compromesso. Al momento non siamo ancora riusciti a utilizzare il marchio
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Dolomiti Unesco come uno strumento di promozione e di marketing. Le diverse realtà del compren-
sorio fanno ancora fatica a riconoscersi sotto un unico marchio Dolomiti“. Sandro Lazzeri Presi-
dente Dolomiti Superski
“Penso che difficilmente Dolomiti Superski possa essere il soggetto di promozione turistica della
piattaforma dolomitica. Abbiamo tentato più volte di farlo, ma gli albergatori, non vogliono essere
gestiti da Dolomiti Superski. Il settore degli alberghi è numericamente e economicamente molto più
forte di quello impiantistico. Superski Dolomiti gestisce 300 milioni di euro, ma se mettiamo insie-
me tutti gli alberghi delle Dolomiti, il giro d’affari è almeno cinque volte superiore. Abbiamo speso
un sacco di soldi in attività promozionali. Avevamo fatto anche un sito internet in cui c’era la pos-
sibilità di acquistare direttamente i posti letto, ma il presidente degli albergatori dell’Alto Adige mi
aveva fatto una telefonata arrabbiatissimo dicendomi: voi pensate agli impianti che agli alberghi ci
pensiamo noi. Questo è successo quindici anni fa, ora vanno tutti su booking.com. Evidentemente
preferiscono farsi gestire i flussi da un tour operator straniero, piuttosto che da noi. Dolomiti Su-
perski ha già un bel budget pubblicitario che è attorno a due milioni e 300 mila euro, che sommato
alle contribuzioni delle APT fa una bella base promozionale. Però anche con queste cifre non si ar-
riva dappertutto. Presentarsi sul mercato tedesco con 500 mila euro non è niente. Ce lo dicono loro
stessi, è inutile che veniate qua a proporre un’azione promozionale con gli spiccioli, o venite qua
con un investimento di alcuni milioni di euro, oppure è inutile. Abbiamo fatto alcune azioni promo-
zionali con la provincia di Trento e con quella di Bolzano, meno con il Veneto perché non ci veniva
dietro. Siamo andati assieme sui diversi mercati, abbiamo contributo finanziariamente a diverse a-
zioni promozionali con buon esito, ma non è un’azione globale. Il problema è anche politico, le
provincie di Trento, Bolzano e Belluno sono state in grado di mettere in piedi la Fondazione Dolo-
miti Unesco, però il passo successivo, che è quello promozionale, non riescono a farlo, hanno giu-
sto messo i cartelloni. Poi abbiamo due provincie autonome forti che economicamente stanno bene,
Belluno sta molto peggio. Quando si tratta di spartirsi gli oneri diventa un problema. C’è una di-
versità di vedute tra Trento, Bolzano e Belluno. Dove andiamo a cercare la clientela? Su quali
mercati spingere? L’Alto Adige spinge sul mercato tedesco, Trento è d’accordo ,mentre Belluno
punta sul mercato italiano”. Fiorenzo Peratoner SIC
12. Un’offerta turistica global service
L’apertura dei mercati ha portato con sé una maggiore articolazione dei comportamenti e delle
attese dei turisti, rispetto ai quali il contesto locale cerca di reagire con strategie di adeguamento
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dell’offerta, non ancora pienamente compiute. Se i fattori che determinano l’attrattività del contesto
possono rimanere costanti – in particolare l’attività sciistica svolta in un contesto di grande pregio
paesaggistico - la mutazione dell’ambiente competitivo impone alla località una strategia di destina-
tion management che aiuti ad affrontare il cambiamento, in particolare per quanto riguarda la cre-
scente segmentazione della domanda turistica. Dal racconto fatto dai testimoni privilegiati, emergo-
no diverse direzioni d’evoluzione della domanda turistica. Chiaramente le stagioni, invernale ed e-
stiva, presentano caratteristiche diverse, anche se attualmente è la domanda invernale a definire il
modello organizzativo della destinazione.
Come abbiamo già avuto l’opportunità di sottolineare, la domanda invernale è caratterizzata dalla
significativa presenza di turisti stranieri con un crescente ruolo dei paesi dell’Est: è una domanda
abbastanza codificata (la motivazione è lo sci) che presta un’attenzione marginale alle altre peculia-
rità del contesto locale (ambiente, cultura, gastronomia, tradizioni). E’ una domanda itinerante e
non fidelizzata (secondo alcuni non fidelizzabile), che concepisce la destinazione montana inserita
nel contesto Italia (si viene perché c’è il sole, si fa visita a Venezia o sul Garda, si fa shopping nei
negozi della moda a Milano). A prevalere, oltre all’attività sportiva, è la voglia di svago e di diver-
timento (a volte con degli eccessi). E’ una domanda fatta di numeri (gli unici in grado di riempire i
60mila posti letto) quindi abbastanza massificata e più facilmente organizzabile sugli standard omo-
logati del turismo internazionale. Gli operatori locali sono consapevoli dei rischi connessi a questo
turismo di massa, in particolare per ciò che concerne l’abbassamento dei prezzi per mantenere co-
stanti i livelli di arrivi e presenze. La strategia auspicata sarebbe quella di rendere più esclusiva la
località, puntando su flussi di maggiore qualità, ma tale strategia si scontra con la necessità di riem-
pire i 60mila posti letto esistenti e con una carenza di servizi pubblici e reti infrastrutturali.
Diverso è il caso del turismo estivo, dove a prevalere sono i tradizionali ospiti italiani e tedeschi.
L’approccio del turista alla località è, in questo caso, molto più personalizzato. E’ un turista che ge-
neralmente rifugge l’offerta standardizzata e massificata e che va alla ricerca di esperienze date dal
rapporto con la natura, la cultura, la gastronomia. Il relax, il benessere e l’attività sportiva nella na-
tura, sono le principali motivazioni della vacanza. E’ un turismo fatto in buona parte di nicchie, ed è
in tale ambito che cominciano a svilupparsi iniziative di diversificazione dell’offerta turistica (agri-
turismo, gastronomia, esperienze nella natura, offerte culturali) in grado di intercettare diversi seg-
menti di domanda e valorizzare ulteriori competenze distintive del contesto locale. Il filo conduttore
che unisce e qualifica queste iniziative di diversificazione dell’offerta turistica è la valorizzazione
della qualità e della diversità a fronte di processi di omologazione. Se da un lato, infatti, il fe-
nomeno della globalizzazione e dell’adeguamento dell’offerta locale ai caratteri di una domanda in-
ternazionale tende ad appiattire le differenze, proponendo modelli mediani che non appartengono a
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nessuno e generano inevitabilmente mediocrità, dall’altro lato si va diffondendo una domanda e
un’offerta di nuove soluzioni che vanno nella direzione della ricerca e della diffusione
dell’eccellenza, senza farne necessariamente un fenomeno di élite, ma proponendolo come fatto cul-
turale e in quanto tale universale. Il cliente è oggi sempre più alla ricerca di sensazioni, emozioni,
relazioni umane, esperienze sul piano culturale. Ecco che allora affermare le proprie tradizioni, riaf-
fermare la propria identità locale e qualità ambientale è il mezzo che consente al territorio di trovare
un corretto spazio in una dimensione turistica che non sia omologata (nei confronti del turista, del
visitatore, del consumatore) e omologante (nei confronti della comunità locale).
L’offerta turistica della val di Fassa si trova oggi nella necessità, solo apparentemente con-
traddittoria, di fare un “passo avanti” e di fare “un passo indietro”:
• Il passo avanti riguarda la necessità di strutturare la propria offerta entro i canoni degli standard
internazionali, adeguando la propria dotazione d’infrastrutture e servizi, riqualificando la pro-
pria offerta ricettiva e dotandosi di quegli strumenti di marketing oggi necessari per competere
sul mercato globale.
• Il passo indentro riguarda la necessità di recuperare la dimensione identitaria di territorio. La
sfida che oggi attende il territorio è davvero quella di “ricordare il futuro”. Si tratta di valoriz-
zare quelle competenze distintive e originali che sempre più ruolo ha nell’intercettare una do-
manda nuova e diversamente segmentata, i cui flussi sono sempre più influenzati da fattori ine-
renti alla qualità e dagli elementi di ordine culturale, edonistico e ambientale. La vacanza tende
sempre più a essere coniugata con qualche forma di impegno, sia esso intellettuale, culturale,
sportivo, formativo, etc.
Se la domanda del turista (non importa se invernale o estivo) si fa sempre più complessa e diversifi-
cata, è l’offerta che deve essere in grado di recepire e tradurre questa complessità in prodotti e ser-
vizi che appaghino quanto possibile questi bisogni e desideri. L’obiettivo è unire e integrare di-
verse competenze per offrire al cliente un prodotto complesso, concepito in una logica di glo-
bal service. Chiusa l’era dell’egemonia del turismo di massa, generalista e monoculturale, si apre
una fase nuova, non di transizione al post-industriale, ma di reinvenzione di un’economia del terzia-
rio del turismo, da intendersi nel senso più ampio. In una parola, non più il turismo ma i turismi.
I turisti, lungi dall’essere folla indifferenziata, tendono, infatti, ad aggregarsi per stili e gusti corri-
spondenti ad altrettanti flussi culturali, dotati di senso e significato, che consentono il reciproco ri-
conoscimento come parte della medesima comunità (del sentire, del gusto, dello sport, della natura,
della cultura, del benessere, ecc.). Il cliente non è più solo un fruitore di servizi
d’intrattenimento, ma è anche un produttore di segnali e di tendenze di consumo che vanno
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colte e trattate come informazioni strategiche da immettere nel sistema dell’offerta. È eviden-
te come un simile paradigma porti verso la progressiva segmentazione di un “mercato di massa”, in
una “massa di mercati” composta da una moltitudine di nicchie. Da ultimo anello della catena del
valore, l’utente-cliente, con la sua domanda eterogenea e diversificata, si colloca oggi a monte
della nuova filiera produttiva. I suoi desideri, i suoi bisogni, (non solo materiali), generano una
ragnatela del valore che incorpora a sé una molteplicità di nuove funzioni e specializzazioni che
scoprano questi bisogni, li analizzino, li codifichino e, infine, li soddisfino.
“La val di Fassa in questi anni ha vissuto su uno sviluppo turistico prettamente invernale. La com-
ponente estiva è un completamento, ma il vero core business è sempre stato la stagione invernale.
Sicuramente penso che in futuro vada potenziata di più l’offerta estiva anche per valorizzare i con-
tenuti del patrimonio dell’Unesco. Dovremmo forse ripensare a una forma di turismo più rivolta ad
accompagnare l’ospite verso le bellezze naturali che la val di Fassa può offrire, fare da mediatore
culturale. La potenzialità estiva è sotto gli occhi di tutti, si tratta di capire dove vogliamo andare,
cosa vogliamo iniziare a sviluppare, i temi geologici, la flora, la fauna, le escursioni. Senza dimen-
ticare l’aspetto invernale che ovviamente è determinante. Ci sono anche opportunità che riguarda-
no il termalismo: c’è l’Antico bagno di Pozza, ci sono un paio di fonti a Canazei ma di portata mo-
desta, poi c’è una fonte termale con acque sulfuree al Contrin, in Marmolada, in un contesto am-
bientale bellissimo. Il termalismo consentirebbe di destagionalizzare la nostra offerta turistica”.
Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a fune val di Fassa e Carezza
“Dobbiamo costruire un turismo più forte, capace di rispondere alle utenze turistiche più esigenti.
Dobbiamo anche diversificare la nostra offerta turistica e di territorio, quindi va benissimo investi-
re sulle nostre tradizioni, sulle nostre specificità ambientali, su una gastronomia di qualità sui no-
stri prodotti tipici. Per far questo dobbiamo avere la capacità di fare sistema, cosa che attualmente
non abbiamo”. Luigi Casanova Cipra
Una politica di valorizzazione dell’offerta turistica passa attraverso un processo d’integrazione, in
sostanza, il territorio deve iniziare a promuovere se stesso nella sua complessità: il territorio, il pro-
dotto tipico locale, il ristorante, l’albergo, l’artigianato tradizionale, l’offerta culturale, la pratica
sportiva, la manutenzione e la fruizione dell’ambiente, sono un unico prodotto e come tale va ven-
duto. Allo stesso modo, l’integrazione dell’offerta deve essere accompagnata da un’integrazione tra
funzioni, infittendo e dando forma organizzata alla divisione del lavoro tra attori locali e loro inter-
locutori esterni. L’obiettivo strategico è quello di rispondere alla complessità del mercato turistico,
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in modo da soddisfare le aspettative e le esigenze di diversi segmenti di turisti e al contempo le di-
verse richieste formulate dal turista fidelizzato, che ricerca esperienze sempre nuove.
Leggendo la situazione in chiave di marketing strategico, si può affermare che la destinazione si
trova in una situazione in cui la possibilità di rivitalizzare l’offerta dipende dalla capacità di svi-
luppare un’offerta complementare a quella esistente. È necessario, quindi, un ampliamento del
portafoglio prodotti che consenta di affiancare a quelli tradizionali, frutto di un processo path de-
pendance, prodotti innovativi in grado di suscitare l’interesse – e la disponibilità alla spesa – del
mercato tradizionale di riferimento, e di nuovi segmenti di domanda.
“La val di Fassa deve lavorare per ideare nuove offerte turistiche capaci di soddisfare diverse tipo-
logie di turisti. Qui siamo abituati troppo bene con lo sci e non facciamo grandi sforzi di creatività.
La tendenza è avere sempre più gente che non scia, c’è un processo di diversificazione della do-
manda turistica: una volta si viene per sciare, un’altra volta per camminare, anche in inverno. Si
cerca di più il relax, il rapporto con la montagna. Comunque qualche offerta alternativa comincia
a vedersi. Ad esempio, alla malga San Nicolò d’inverno fanno ristorazione, si sale con le ciaspole e
poi si può scendere con lo slittino, sono esperienze molto apprezzare dal turista, la possibilità di fa-
re qualcosa di diverso. Nel mio albergo siamo riusciti a destagionalizzare: a Giugno e Luglio, or-
mai da quindici anni ho molti inglesi che vengono qua per le farfalle. Anch’io non lo sapevo, me
l’hanno spiegato questi turisti inglesi, ma le Dolomiti sono uno dei posti migliori al mondo per ve-
dere le farfalle, ci sono 250 tipi diversi di farfalle. Questi turisti inglesi si portano la trappola e al
mattino alle 6.30 sono lì a vedere quello che hanno catturato, poi la sera fanno il meeting per con-
frontare le diverse tipologie di farfalle che hanno visto. Questi inglesi stanno da me almeno un paio
di settimane. E’ un turismo molto specializzato, intermediato da un tour operator che si chiama Na-
tur Trek, con numeri ridotti, ma per il mio piccolo albergo vanno bene. E’ vero che il turismo è og-
gi fatto di nicchie, dovresti avere la capacità d’intercettare le nicchie più grosse come la mountain
bike, il trekking”. Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT
“Quando parliamo di riequilibrio dell’offerta turistica, parliamo di due aspetti: c’è un aspetto le-
gato alla modernità dei servizi e accanto, ma non è in contrapposizione, c’è la valorizzazione della
storia, della cultura, attraverso il bello che abbiamo e che va tutelato. Modernità dei servizi e valo-
rizzazione dell’identità sono le due cose vanno portate avanti insieme. Dobbiamo lavorare sia con i
russi che vengono qua per sciare, sia con gli inglesi che vengono qua per vedere le farfalle. Abbia-
mo la possibilità di farlo, con gli uni e con gli altri. Dobbiamo farlo attraverso una maggiore spe-
cializzazione delle strutture ricettive. Ma prima ancora, dobbiamo lavorare sulla qualità del siste-
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ma complessivo, poi l’imprenditore in base alla sua sensibilità si specializzerà su una cosa o
sull’altra”. Francesco Cocciardi Albergatore di Moena
A fronte di una domanda turistica sempre più esigente, anche in val di Fassa cominciano a svilup-
parsi iniziative di diversificazione dell’offerta in grado d’intercettare diversi segmenti di domanda
puntando sulla valorizzazione di beni locali non riproducibili ma quotabili nell’economia mondo
come tipicità del made in Italy. E’ ad esempio il caso dell’agriturismo e dell’offerta gastronomica
in cui si sono fatte strada risorse di professionalità prima sconosciute. Certo, le dimensioni
dell’offerta sono ancora ridotte, ma intanto insieme al flusso turistico anche l’offerta si è evoluta nel
senso della diversificazione e dell’affinamento.
“Fino ad oggi siamo uno dei pochi agriturismi della val di Fassa, adesso ne stanno aprendo altri.
Nell’attività sono coinvolte anche le mie due figlie oltre al marito che gestisce l’attività zootecnica.
Per gestire l’agriturismo ho fatto molti corsi: con Accademia d’impresa ho fatto corsi di marketing
turistico, con San Michele corsi sulle erbe officinali, ora ho l’autorizzazione per la preparazione e
vendita di tisane. Poi ho fatto corsi di cucina con l’associazione Agritur, anche se devo dire che su
questo sono assistita da mio fratello che è uno chef stellato. Ho fatto corsi di marketing di prodotti
tipici con Sant’Orsola. Per fare un agriturismo non ci si può improvvisare. All’inizio è stato diffici-
le, eravamo circondati dall’incomprensione ma oggi siamo molto soddisfatti. La banca è stata la
prima a prenderci per matti. Dopo un anno sono però venuti a farci i complimenti perché non si
aspettavano un risultato del genere. Oggi siamo alla terza stagione. Abbiamo impostato tutto sul
biologico, anche la casa è realizzata in legno con criteri di sostenibilità edilizia. Gli ospiti apprez-
zano molto il fatto di abitare in una casa in legno, ha un’abitabilità eccezionale ed è molto confor-
tevole. Inoltre abbiamo molti vantaggi sul risparmio energetico e questo ci consente di tenere aper-
to tutto l’anno. Abbiamo otto camere aperte tutto l’anno. La gente si stupisce del fatto che siamo
aperti anche fuori stagione, ma possiamo farlo perché abbiamo bassi costi di gestione. A settembre
e ottobre arrivano americani, inglesi, spagnoli, tedeschi. Anche a novembre nei week end riusciamo
a riempire almeno cinque camere. Nonostante la crisi e la mancanza di neve quest’inverno io ho
avuto l’agriturismo pieno e questo perché cerco sempre di offrirgli un’alternativa. La gente oggi
vuole cose semplici e genuine. Io gli presento sempre i prodotti e piatti, gli illustro formaggi del ca-
seificio e tutti i nostri ospiti prima di andarsene passano al caseificio a comprare i formaggi. Ab-
biamo una clientela ormai affezionata, dicono che sentono l’esigenza di venire da noi per rigene-
rarsi e questo fa piacere. Abbiamo fatto anche un piccolo centro wellness con sauna, bagno turco,
centro relax. Gli accendo le candele profumate, gli offro le tisane che facciamo. C’è poi l’attività
zootecnica con venticinque mucche, conferiamo il latte al caseificio di Pera. Abbiamo pecore di
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razza tingola, tipica di questa zona. Abbiamo cavalli e asini. I maiali, per cui offriamo la nostra
carne ai turisti, il macellaio di Vigo ci fa lo speck e le luganighe. Abbiamo galline e tacchini coni-
gli. Abbiamo un grosso orto, qualche albero da frutto. Facciamo le nostre marmellate. Prendiamo
il burro di malga. Con la sola agricoltura non potremmo vivere, per cui l’agriturismo è
un’importante integrazione. Da noi manca una vera integrazione tra agricoltura e turismo. Io cre-
do che anche in val di Fassa ci sia spazio per un turismo diverso, legato all’agricoltura,
all’ambiente, alle tradizioni. Noi lavoriamo divinamente con i tedeschi che apprezzano queste cose.
Il turista tedesco, se sta bene, si affeziona e ritorna sempre. Ho già prenotazioni per tutta l’estate, a
partire da giugno e sono quasi tutti tedeschi. La val di Fassa dovrebbe ricominciare a investire sul
turista tedesco. Su un turista di qualità. Non possiamo continuare a cercare la quantità svendendo
le nostre strutture. Io non mi sono mai dovuta svendere, e vi assicuro che non faccio prezzi bassi”.
Monica Weiss titolare agriturismo
“ In val di Fassa stanno nascendo iniziative molto importanti, che nessuno conosce. Si sta creando
un’economia nuova attorno ai temi dell’agricoltura, al circuito di produzione agroalimentare, che
è anche abbastanza esclusiva, per via della qualità dei prodotti e chiaramente anche del prezzo. I
prodotti tipici potrebbero essere una strada importante per lo sviluppo della val di Fassa. Solo che
la gente del posto ci crede ancora poco. Questa scarsa attenzione per i prodotti tipici è frutto della
nostra storia recente. Prima anche da noi ogni famiglia aveva un paio di vacche il maiale, l’orto,
poi, negli anni ‘60 sono state sfasciate tutte le stalle per creare alberghi, l’agricoltura è stata com-
pletamente abbandonata e tutti si sono buttati sul turismo. Oggi fortunatamente vedo un ritorno
all’agricoltura, ci sono giovani, che fanno cose molto interessanti. Con il mio ristorante lavoro
molto bene con questi ragazzi che mi portano di tutto: il latte fresco, i conigli, mi allevano dei vitel-
li, gli agnelli, i capretti, mi fanno le forme di formaggio direttamente loro. Ci sono poi gli ortaggi,
tutti da agricoltura biologica. Noi stessi, come ristorante ci coltiviamo un orto per avere sempre
prodotti freschi e di qualità. Poi naturalmente lavoro anche con la val di Gresta, ma sempre con
prodotti biologici. Con alcuni di questi ragazzi stiamo proponendo piatti fatti con i prodotti del bo-
sco: dai piccoli frutti, ai funghi, ma anche i muschi, i licheni, i fiori, le erbe, le radici che crescono
nei nostri boschi. Una volta nei boschi si raccoglieva di tutto, questa è una cultura che è andata
persa e che noi stiamo recuperando. Facciamo incontri con i botanici per capire quali erbe posso-
no essere valorizzate in cucina. Portiamo nel piatto cose che sono nostre e devo dire che tra i miei
clienti sono molto apprezzate. In Trentino c’è tutto un movimento di persone che sta proponendo
un’offerta gastronomica nuova e originale, fatta con prodotti della montagna che sono di nicchia o
completamente sconosciuti. Io le conosco tutte perché partecipiamo assieme a eventi a livello na-
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zionale, come “Identità golose” che si fa a Milano. Tutte le realtà trentine che fanno gastronomia
di qualità si muovono assieme alle varie manifestazioni, c’è Alessandro Gilmozzi del ristorante al
Molin di Cavalese, c’è Noris Cunaccia di Primitivizia, c’e Mieli di Thun, qui in Valle c’è Stefano
Ghetta dell’Hotel Gran Mugon, è un giovane albergatore locale che si è messo a fare alta ristora-
zione. Si cerca di lavorare e fare le cose assieme. Io sono spesso in giro per presentare la mia cuci-
na. Alla fine di marzo faremo una rassegna gastronomica in cui quattro ristoranti collegati a Slow
Food presentano la cucina delle Valli Ladine. Sono manifestazioni che portano molta gente da fuo-
ri. Sempre alla fine di marzo sarò a Vinitaly con Alessandro Gilmozzi. Ad aprile faremo una mani-
festazione a Trento con i vignaioli trentini, dove faremo show cooking. Sarebbe molto importante
creare eventi gastronomici qui in Valle. Le risorse ci sarebbero. Pensa che nel ‘95 abbiamo avuto
una recensione sull’Herald Tribune di San Francisco perché a Moena, paese di duemila abitanti,
c’erano due ristoranti con la stella Michelin: eravamo noi e il ristorante Sanoalce che poi ha chiu-
so. Dobbiamo renderci tutti conto che oggi i turisti cercano esperienze nuove e autentiche e la cu-
cina è un mezzo che ti consente di imparare cose nuove. Purtroppo da noi le offerte sono ancora in
gran parte costruite, omologate. Tra gli alberghi c’è oggi una concorrenza spietata, tutta giocata
sul prezzo, non hanno i margini per produrre una ristorazione tipica, originale. Abbiamo perso i
nostri valori. Oggi i turisti preferiscono andare a mangiare in una malga vera, con a fianco la
mucca, piuttosto che nel super ristorante che trovano anche a Milano. Ci vuole un po’ più di vita
vera.” Paolo Donei Ristorante Malga Panna
Come tutti sappiamo, le produzioni agroalimentari rivestono un ruolo di particolare rilievo per il
nostro Paese, non solo dal punto di vista economico. Secondo comparto, dopo il metalmeccanico,
per entità del valore aggiunto, l’agroalimentare contribuisce in modo determinante a definire
l’immagine del Made in Italy nel mondo, con crescenti sinergie con lo sviluppo turistico, e ben rap-
presenta il mosaico delle molteplici realtà territoriali che compongono l’identità culturale nazionale.
Il radicamento nel territorio costituisce l’elemento distintivo nella varietà della produzione alimen-
tare italiana e al tempo stesso la più importante risorsa per fronteggiare, con la qualità e la specifici-
tà della gamma, la crescente globalizzazione dei mercati che ci vedrebbe senz’altro soccombere in
materia di costi. Il 70 per cento delle produzioni agroalimentari tradizionali italiane è espressione
di sistemi territoriali marginali – in particolare montani e collinari – dove svolge un ruolo insostitu-
ibile di presidio del territorio a partire da un bacino di conoscenze e di varietà produttive che costi-
tuisce, in questi ambiti, una parte di assoluto rilievo dell’identità delle comunità locali. Conservare e
valorizzare le metodiche tradizionali di lavorazione significa disegnare un futuro per quei contesti
locali di grande pregio.
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Un’offerta fortemente caratterizzata sul fronte della tipicità è del resto in grado di rispondere più ef-
ficacemente alle tendenze emergenti nel consumo che premiano la ricerca del gusto, della genui-
nità, del valore nutrizionale. Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi sono almeno tre
milioni e mezzo all’anno in Italia le presenze straniere determinate dal turismo eno-gastronomico,
un flusso di fascia alta che potrebbe essere maggiormente attirato nelle aree oggi a rischio di abban-
dono, con ricadute di grande rilievo per la qualità dello sviluppo locale. Sempre secondo una recen-
te indagine di Coldiretti, il souvenir enogastronomico tipico del luogo di vacanza è il preferito dai
quindici milioni di italiani e dagli stranieri che hanno trascorso le festività natalizie del 2009 in Ita-
lia. Una tendenza in rapido sviluppo favorita – si legge nell’indagine Coldiretti – dal moltiplicarsi
delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si è verificata nei principali luoghi di villeg-
giatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, feste e mercatini di ogni tipo. Il turismo eno-
gastronomico vale, infatti, – continua la Coldiretti – cinque miliardi di euro e si conferma il vero
motore della vacanza made in Italy. Su tali tendenze la val di Fassa comincia solo ora a investire:
significativi, e in tendenziale crescita, appaiono i flussi di turisti che acquistato direttamente i pro-
dotti caseari locali presso gli spacci dei locali caseifici.
“Il formaggio di punta del nostro caseificio è il Cuor di Fassa, poi facciamo il Grana trentino, di-
rettamente per i nostri negozi. Poi c’è il Mezzano trentino. Riguardo al Puzzone di Moena è stata
presentata la DOP al ministero, quando avremo il riconoscimento da Bruxelles potremo produrre
una percentuale di Puzzone, assieme a Fiemme e Primiero. Noi abbiamo ristrutturato un po’ tutto
l’impianto del caseificio, raccogliamo questi trenta mila quintali di latte che vengono trasformati in
formaggio. Per la commercializzazione abbiamo tre negozi in val di Fassa che commercializzano
direttamente una buona parte del prodotto, soprattutto nei mesi turistici, abbiamo poi il consorzio
di secondo grado, il Concast, che commercializza il resto. Quando saranno stati avviati tutti i ne-
gozi che abbiamo in programma, si pensa di poter arrivare a fornire quasi il 50% del fatturato dal
negozio, vendendo direttamente ai turisti. Gli alberghi della val di Fassa potrebbero usare un po’
di più i nostri prodotti. Come caseificio facciamo un fatturato di poco più di 2milioni e il fatturato
derivato direttamente dagli alberghi è circa il 3%. A noi basterebbe che l’albergo ci mandasse il
cliente. Abbiamo iniziato ad avere delle collaborazioni con alcuni alberghi, che ci mandano i turisti
allo spaccio, poi ci sono quelli che ti chiedono anche d’organizzare delle degustazioni da loro in
albergo. Gli alberghi quando fanno delle cene particolari, usano i nostri prodotti trentini. Adesso
abbiamo un progetto con il comune di Soraga per rimettere in piedi una malga e fare un po’ di tra-
sformazione, se non altro per un’immagine turistica, saranno 150 quintali di latte con cui fare lì il
burro di montagna e la tosella. Qui in val di Fassa dobbiamo imparare a promuovere maggiormen-
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te le nostre produzioni alimentari. A Cavalese, a Predazzo e in Primiero fanno delle manifestazioni
turistiche importanti legate alla zootecnia. Sono andato a vedere la desmontegada del Primiero e
sono rimasto veramente impressionato, era pieno di turisti. Dopo avere visto tutta la manifestazio-
ne, la sfilata, sono andato a fare un giro a Fiera di Primiero: non si poteva neanche entrare nei ne-
gozi, c’erano i banchetti dappertutto, un indotto incredibile”. Elio Brunel Allevatore
Il gusto e la ricerca della qualità e della tipicità sono solo un aspetto della ricerca di una migliore
qualità della vita e di una conseguente offerta turistica. L’attenzione per la buona tavola si allarga
alla qualità dell’accoglienza, dei servizi, del tessuto urbano, a valori culturali e ambientali, a ritmi di
vita più lenti e quindi più umani. Recuperare gli edifici e i centri storici, mantenere la qualità del
paesaggio agricolo, rivitalizzare le relazioni interpersonali di paese e di borgata, pedonalizzare i
centri storici, produrre alimenti senza l’apporto della chimica e dell’ingegneria genetica, salvaguar-
dare le tradizioni locali, valorizzare le botteghe artigiane e i ristoranti con prodotti e ricette del terri-
torio, riservare al turista un’ospitalità “calda” e diffusa, realizzare nelle scuole programmi di educa-
zione al gusto, all’estetica, all’ospitalità, sono tutte azioni essenziali se si vuole fondare la strategia
di sviluppo del territorio sulla valorizzazione delle differenze e della qualità della vita.
“Dovremmo avere una maggiore coscienza, un maggiore attaccamento alla nostra terra. Esserne
più orgogliosi. Dobbiamo recuperare la nostra identità. Nei paesi fanno i parcheggi e distruggono
gli orti. Può sembrare banale, ma i turisti apprezzano anche gli orti, i paesi più autentici e vivibili.
La valle dovrebbe cominciare a diversificare la propria offerta turistica, puntare maggiormente
sulla qualità, avere meno stanze e più servizi. Dovremmo anche diversificare la nostra economia,
investire ad esempio sulla zootecnia. Vedo che in Alto Adige continuano a permanere piccole attivi-
tà zootecniche, c’è un senso di maggiore autenticità della montagna, ma non so se da noi sia possi-
bile, se sia sostenibile sul piano economico. A molti sembrerebbe di tornare indietro. Non so se da
noi sia però possibile perseguire una strategia del piccolo è bello, nel tempo abbiamo fatto grossi
investimenti e oggi ci vogliono i flussi per sostenere questi investimenti. Le stesse aperture fuori
stagione devono comunque essere sostenute da flussi adeguati che ti consentono di coprire i costi di
gestione di queste grosse strutture. Per cui nei periodi di scarsa affluenza turistica tutti chiudono
ed è la morte civile. Bisognerebbe poi finire la ciclabile, non è un investimento eccessivo. Bisogne-
rebbe puntare maggiormente sull’arrampicata. Anche la geologia delle dolomiti la sfruttiamo poco,
culturalmente non sfruttiamo bene le nostre potenzialità”. Annalisa Zorzi Insegnante
“E’ vero che da noi c’è un turismo di massa, però è anche vero che negli ultimi anni c’è un turismo
sempre più acculturato, che chiede, che vuole conoscere. Il turista che viene in estate o in bassa
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stagione è molto diverso. E’ un turista attento. La crescita culturale sta diventando una delle moti-
vazioni delle vacanze, per cui sempre più i turisti chiedono, vogliono comprendere, vogliono cono-
scere, l’ambiente, il cibo, la storia. Questi turisti quando tornano da una passeggiata non guardano
la televisione, ma si siedono e vogliono parlare e tu, operatore o semplice abitante della valle, devi
fornirgli delle risposte, delle spiegazioni”. Sabrina Rasom responsabile progetti culturali del
comprensorio ladino Fassa
L’offerta culturale di una destinazione è diventata una variabile competitiva strategica, che pre-
suppone la capacità di coniugare arte e storia, e ambedue con le bellezze paesaggistiche e con tutte
le tipicità locali. Il marketing culturale è diventato un importante elemento di competizione tra lo-
calità turistiche ed emerge l’importanza di quelli che sono definiti, in senso lato, “eventi”, momenti
in grado di mixare sapientemente cultura e forme d’intrattenimento. Gli eventi, siano essi concerti,
mostre, festival, dibattiti culturali, manifestazioni sportive, o una contaminazione di tutte questi e-
lementi, riescono - seppure per un periodo limitato di tempo - a caratterizzare in maniera fortissima
una località. Riuscire a caratterizzare il proprio territorio per mezzo di alcuni grandi eventi sta di-
ventando sempre più importante. In un territorio, in cui le diverse località agiscono in un contesto di
collaborazione, riuscire a ospitare un evento dalla forte caratterizzazione potrebbe permettere di di-
ventare la località di successo della stagione.
“ Negli ultimi anni è cresciuto un grosso interesse alle forme d’offerta culturale. Bisognerebbe por-
tare in valle degli eventi culturali alti, non soltanto il coro alpino. Ci vorrebbe molta più regia in
valle e molto più coordinamento. Io ho visto che ogni comitato manifestazioni organizza il suo pro-
gramma, ma quando c’è da fare insieme c’è molta difficoltà. In ambito ecclesiale da due anni ab-
biamo organizzato una rassegna che si chiama Ispirazione d’estate, abbiamo organizzato dieci e-
venti di tipo culturale religioso, chiamando a parlare dei Cardinali. Quest’anno abbiamo fatto un
incontro sui cattolici e la politica con il Presidente Lorenzo Dellai e Padre Bartolomeo Sorge. La
cultura è oggi un importante fattore di richiamo, basta pensare a eventi come Cortina Incontra. Il
problema è che qui da noi tutto ciò che è cultura è lasciato al volontariato, ad eccezione
dell’Istituto culturale ladino. Tutto quello che è, ad esempio, la nostra cultura ladina dovrebbe es-
sere molto più evidenziato dalla nostra proposta turistica, è la nostra specificità che ci distingue
dalle altre destinazioni. Ci sono comunque dei progetti interessanti, come la passeggiata di Re
Laurino che è stata organizzata dalla zona del Gardeccia. Alcuni gestori dei rifugi si sono messi
assieme con l’Istituto culturale ladino per fare ogni settimana un’iniziativa che parte da Vigo, dal
museo, poi salgono con la funivia, fanno il sentiero delle leggende, dove c’è chi racconta le leggen-
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de, fondamentalmente ai ragazzi ma anche agli adulti, e poi arrivano a Gardeccia. E’ una sinergia
molto interessante. Queste sono le diversificazioni che dovremmo attuare, sul piano del turismo
culturale”. Cesare Bernard Presidente Consei General
“La nostra offerta culturale è molto carente, è indietro anche rispetto alle valli vicine, sia Fiemme,
sia Primiero, dove fanno delle stagioni musicali interessanti. Qui ci si accontenta di quello che ha
inventato brillantemente la Provincia con i Suoni delle Dolomiti, che è cosa buonissima, però tutto
sommato ci sarebbe una vasta fascia di potenzialità, dove poter presentare delle iniziative culturali,
degli eventi sia musicali, sia d’intrattenimento, per rendere vivibili e godibili questi luoghi. Abbia-
mo località stupende, dove poter organizzare eventi, come ad esempio la chiesa di Santa Giuliana
che è un posto d’incanto, per la musica sarebbe strepitoso: ci sono questi angeli musicanti sul sof-
fitto che sembra che suonino per te, c’è un affresco con un Padre Eterno con tre facce, che è visita-
ta da gente che viene apposta dalla Germania, perché è uno dei pochi casi sopravvissuti alla con-
troriforma. Al momento sono organizzate cose sporadiche, anche di pregio, che però a livello loca-
le non sono capite, non sono valorizzate. Due anni fa, ad esempio, è stato organizzato il Dolomiti
ski jazz. Credo che dopo Umbria Jazz, sia stata la seconda o la terza manifestazione in quanto a
prestigio. Sono venuti musicisti dal profilo nazionale e internazionale che si sono cimentati per uni-
re il jazz con le tematiche della cultura ladina, rivista in chiave critica, disincantata. E’ stato un
evento di una certa importanza, da cui la val Fassa si è poi tirata fuori, perché costava troppo.
Nell’offerta d’intrattenimento si è diffusa quest’abitudine di organizzare tutto dentro gli alberghi,
ma si tratta di roba a livello di karaoke. Questi alberghi diventano come i villaggi turistici da cui la
gente non esce, non dico per andare al concerto, ma neppure per bere una birra. Allora le piazze a
cosa servono?” Fabio Chiocchetti Direttore Istituto Cultura Ladina
La stessa economia della manutenzione diviene centrale per i territori che devono le potenzialità
del loro sviluppo al fatto di essere ecologicamente attrattivi. La capacità di produrre esperienze, par-
tendo dalle specificità locali, è un obiettivo che pone il territorio e la sua manutenzione al centro di
una sempre maggiore attenzione e che rimanda al ragionare su cosa significhi oggi l’agricoltura di
montagna e la dimensione ecologica del bene territorio. Recuperare gli elementi distintivi del terri-
torio significa anche valorizzare gli elementi caratteristici del paesaggio e sperimentare nuovi
modelli di turismo sostenibile. Su tali temi, le esperienze e il dibattito che si è sviluppato a livello
locale, riguardano in particolare due luoghi emblematici delle Dolomiti: la Marmolada e il Cati-
naccio. In entrambi gli ambiti è stato avviato un percorso si ripensamento critico sui modelli d’uso
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della montagna che vedono, ancora oggi, il contrapporsi delle esigenze di sviluppo degli impianti di
risalita e delle esigenze di tutela di eccellenze naturalistiche.
“Dal punto di vista del turismo naturalistico un esperimento importante sarebbe quello della Mar-
molada. Tra i luoghi da riqualificare, secondo me la Marmolada andrebbe rilanciata in maniera
alternativa. Sulla Marmolada c’è un progetto della Provincia con l’Università di Trento per un tu-
rismo di nicchia. La Marmolada è l’unica montagna che è conosciuta per il nome, non come Dolo-
miti, ma direttamente come Marmolada. E’ stata protagonista per la storia dell’alpinismo, della
prima guerra mondiale, per la geologia, per gli aspetti naturalistici è un ambiente unico. E per
questo la Marmolada dovrebbe essere il punto da cui ripartire per un ragionamento di turismo so-
stenibile”. Cesare Bernard Presidente Consei General
“La Marmolada è un contesto ambientale particolarmente delicato ed è un simbolo non opportu-
namente valorizzato. Su quest’area ci sono due strategie di sviluppo molto differenti. Io ritengo che
dovremmo garantire l’accesso ai piedi della Marmolada, ma da lì in poi l’approccio dovrebbe es-
sere di rispetto totale. Se vogliamo essere un po’ brutali, la montagna va vista a tre livelli, fino a
una certa quota deve poter arrivare chiunque, perché questo fa parte ormai del sistema turistico. Ai
piedi della montagna, o comunque sul passo devi permettere di fare avvicinare le persone nel mag-
gior numero possibile. Noi siamo particolarmente carenti su questo livello, perché l’unica modalità
d’accesso è attualmente l’auto. Poi c’è una mezza montagna che deve essere attrezzata perché pos-
sa essere usufruita dall’escursionista, da chi ha una media capacità, quindi puoi avere gli impianti
che esistono già, magari più leggeri. Poi c’è l’alta quota che deve essere libera, ci dovrebbe andare
solo chi ama veramente la montagna”. Francesco Cocciardi Albergatore Moena
“ La Cordanza del Ciadenac è stata un’importante esperienza di sviluppo dal basso che ha visto il
coinvolgimento di amministrazioni e operatori locali. Abbiamo fatto un percorso di partecipazione
simile a quello che il Comun General sta facendo per elaborare il piano territoriale. E’ stata elabo-
rata una strategia di sviluppo incentrata sulla manutenzione del patrimonio naturale e culturale
dell’area, sulla qualità dei servizi, su forme di turismo sostenibile, sul sostegno e l’inserimento di
nuove attività agricole. Ora questa esperienza coalizionale è ferma perché non c’è ancora stato un
suo riconoscimento istituzionale. L’ipotesi su cui stiamo lavorando con la Provincia è l’inserimento
dell’area nella rete delle riserve naturali, questo ci consentirebbe di portare avanti importanti pro-
gettualità. Al di la della forma giuridica che assumerà la Cordanza, il piano di sviluppo del Cati-
naccio dovrà poi essere integrato nei piani regolatori comunali di Vigo e di Pozza e nel Piano ter-
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ritoriale della Comunità. Nell’ultima riunione che abbiamo fatto con il dirigente della Provincia
che gestisce tutta la rete delle riserve e i parchi, ho detto che la Cordanza del Catinaccio, potrebbe
essere un modello di sviluppo partecipato valido anche per altre aree della val di Fassa. Penso alla
Marmolada e in particolare alla val San Nicolò che dal punto di vista delle bellezze e della geolo-
gia è in assoluto una delle valli più interessanti delle Dolomiti. Il problema è che, mentre nella
Cordanza del Catinaccio sono state coinvolte cinquanta persone, cioè le proprietà private, in val
San Nicolò gli operatori da coinvolgere saranno ottocento, con interessi molto diversi e contrastan-
ti. Per la Marmolada, la Provincia ha già fatto degli studi di progetto che hanno il limite di essere
calati dall’alto. Più di una volta ho suggerito al sindaco di Canazei di partire dal basso, di chiama-
te tutti gli operatori interessati al Passo Fedaia per vedere quali sono le oggettive esigenze di svi-
luppo. Personalmente ritengo che sia impensabile fare un mega impianto da 40 milioni di euro che
arriva in cima a Punta Rocca per una situazione di massimo 250 posti letto al Fedaia. Non credo
sia necessario un investimento così sproporzionato. Ma questo succede perché gli operatori non
hanno mai parlato tra di loro, si sono riuniti e ognuno si è limitato a chiedere il massimo, senza
chiarire chi metteva i soldi”. Andrea Weiss Consigliere CgF
13. Per una maggiore integrazione (e diversificazione) dell’economia loca-
le
L’esigenza d’elaborare un’offerta turistica diversificata si scontra con l’eccessivo grado di specia-
lizzazione dell’economia locale. Commercio, agricoltura, artigianato, per debolezze intrinseche o
per le caratteristiche del modello d’offerta turistica dominante (in quest’ambito le motivazioni forni-
te dagli attori intervistati divergono), difficilmente riescono a svolgere un ruolo complementare e
d’integrazione dell’offerta turistica. Secondo diversi attori intervistati, un’azione prioritaria dovreb-
be essere quella di promuovere una diversificazione dell’economia locale migliorando
l’integrazione tra il turismo e gli altri settori economici presenti in Valle.
“Un problema che in val di Fassa non è ancora stato affrontato è l’integrazione delle risorse che ci
sono sul territorio. Abbiamo investito in impianti, in infrastrutture, in alberghi, ma non abbiamo
investito nel mettere in rete i vari operatori del territorio: il contadino che gestisce il territorio, in-
teso come bene comune, l’artigiano che fa manutenzione. Abbiamo un’agricoltura che è povera, ma
è di grandissima qualità e sicuramente non è ancora opportunamente integrata nella valle. Ognuno
va per conto suo. Non riusciamo a offrire il territorio per quello che è, questo vale per
l’agricoltura, per l’artigianato, per la cultura, per l’arte, per tutte quelle cose che rimangono
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nell’emozione del turista. Una maggiore integrazione dell’economia locale è secondo me uno degli
obiettivi prioritari che dobbiamo porci”. Luciano Braito Direttore Cassa Rurale
Il circuito d’offerta turistica, in particolare nella sua versione invernale (che è quella detta l’assetto
organizzativo della località), si concentra nella ricettività, nell’attività sciistica, nella ristorazione e
in attività complementari (divertimento, wellness, ecc.) spesso svolte nell’ambito degli stessi alber-
ghi. Al di fuori del circuito alberghiero s’individua una carenza d’offerta territoriale che alcuni
attori attribuiscono a una specifica volontà di concentrazione dell’offerta – e quindi del business –
da parte degli albergatori e altri attori imputano a una carenza d’imprenditorialità nei settori com-
plementari.
“Sostenere che gli albergatori vogliono tenere i turisti dentro l’albergo è una critica miope. E’
chiaro che le cose nascono lì dove mancano. Se in una località ci fossero dei servizi di qualità, se ci
fosse il piacere degli ospiti a frequentarli, a quel punto chi ha un albergo non ha più nessun inte-
resse a dare quei servizi d’intrattenimento che l’ospite può trovare in paese. Ma quando l’ospite
questi servizi non li trova, si crea una sorta di compensazione che all’albergatore costa.
L’albergatore, non si diverte a farlo, anche se spesso si deve adeguare a un modello d’offerta do-
minante, in Alto Adige, vediamo strutture di un certo livello che garantiscono all’ospite una serie di
servizi. E’ il sistema turismo che adesso lo richiede, che poi ci siano degli eccessi è normale”.
Francesco Cocciardi Albergatore Moena
In particolare il commercio è accusato di non essere in grado di rivitalizzare i centri storici e di non
sapere intercettare i gusti del turismo affluente, sia per quanto riguarda l’offerta di prodotti locali,
(particolarmente apprezzati dalla clientela italiana), sia per quanto riguarda l’offerta dei marchi af-
fermati del Made in Italy, (particolarmente apprezzati dai turisti dell’Est).
“Nella nostra offerta commerciale non c’è fantasia, vendono tutti le stesse cose: attrezzature spor-
tive e scarponi. Ci mancano negozi di qualità, dove un turismo internazione con possibilità di spesa
potrebbe trovare i grandi marchi e le griffe del made in Italy. Io soffro quando vedo i clienti russi
che con i pullman me li portano a Milano o Venezia a far spese e tornano con borsoni di acquisti.
E’ tutta ricchezza che se ne va dalla Valle”. Celestino Lasagna Presidente Associazione Alberga-
tori della val di Fassa
Ancora deboli sono anche le integrazioni tra il settore primario e il settore turistico. Ciò è chia-
ramente da imputare alle debolezze intrinseche dell’agricoltura in Valle. Ma anche estendendo il
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bacino d’approvvigionamento a livello provinciale, gran parte dell’economia turistica locale - per
questioni di costo e di disponibilità di prodotti - predilige i canali di approvvigionamento Ho.re.ca.
(Hotel, Restaurant, Catering) a scapito della tipicità dell’offerta gastronomica trentina.
“Noi albergatori ci sforziamo, anche perché i prodotti trentini comportano una spesa più alta. Se io
vado a comprare i formaggi del Veneto spendo di meno. Comunque noi albergatori ci stiamo impe-
gnando per valorizzare le nostre tipicità locali e trentine. Attualmente siamo quaranta alberghi i-
scritti alla strada del formaggio della Valle di Fassa, ci siamo imposti un regolamento per cui sui
nostri vassoi ci sono almeno tre o quattro formaggi locali. Però nessuno ci viene incontro, la logica
è gli albergatori hanno i soldi e quindi li facciamo spendere, senza nessuna logica promozionale o
commerciale. Non capiscono che anche noi abbiamo dei problemi a far quadrare i conti. Se poi le
vai a vedere nei negozi trova miele del Veneto e carni della Lombardia. L’agricoltura è un settore
da rivitalizzare. Io sarei anche disponibile a riportare le vacche nei paesi, per questo tipo di di-
scorso siamo assolutamente aperti. Mi piacerebbe ad esempio vedere i distributori di latte fresco
nei paesi. Ci sono ottimi agricoltori che hanno fatto bellissimi agriturismi. Non è vero che gli agri-
turismi sono in concorrenza con gli alberghi, anzi per certi versi sono complementari. Le malghe
potrebbero essere una importante risorsa turistica”. Celestino Lasagna Presidente Associazione
Albergatori della val di Fassa
“Se la competizione si gioca al ribasso sul prezzo, devi andare necessariamente a comprare il pro-
dotto che costa meno, sei costretto in questa spirale. In Valle abbiamo comunque albergatori che
non solo comprano il formaggio locale che costa di più, ma fanno anche degustazioni, valorizzano
questa scelta a favore della qualità e dell’ospitalità. Quando mi confronto con gli albergatori, gli
dico che devono dire al turista che il prezzo che chiedono è dovuto alla qualità offerta, perché vo-
gliono far star bene l’ospite, mettergli nel piatto cose buone. C’è comunque una sperequazione tra i
numeri e i prodotti, come in tutto il Trentino, però qua è particolarmente evidente. Negli alberghi
non c’è il latte di produzione locale perché sarebbe ridicolo l’apporto di latte fresco rispetto ai
consumi. Il latte raccolto da noi va tutto al caseificio. Il latte fresco che compriamo in val di Fassa
è il latte Mila. Mi sembra anche un po’ forzato questo discorso dei prodotti trentini perché se an-
diamo a vedere l’offerta di prodotti in tutto il Trentino, se veramente si riuscisse a organizzare
un’ospitalità che preveda anche un utilizzo massiccio di prodotti trentini, saremmo in difficoltà,
perché non ne avremmo a sufficienza”. Andrea Weiss Consigliere CdF
109
“Negli alberghi la ristorazione è migliorata molto, sono rimasti in pochi quelli che ti fanno le fet-
tuccine con i pomodori, si comincia a proporre i prodotti tipici trentini, il problema è che questi
prodotti non li trovi, devi andarteli a cercare. Non c’è uno dei nostri caseifici che passa negli al-
berghi a proporti i loro prodotti. Gli albergatori ormai sono abituati bene, con i fornitori che gli
portano le cose in albergo. Adesso uno dei caseifici ha fatto l’accordo con la FassaCoop. Gli stessi
prodotti trentini, fai fatica a trovarli, mentre i prodotti altoatesini hanno una rete di distribuzione
fantastica. Siamo più vicini a Bolzano che non a Trento e per gli altoatesini la val di Fassa è un
mercato molto appetibile. Il latte è quello della Mila, hanno una forte rete distributiva, quelli di
Latte Trento non li vedi. Il paradosso sono le mele che vengono dalla Spagna. Va un po’ meglio
con i vini trentini. D’altronde se gli alberghi sono costretti a fare certi prezzi non possono compra-
re cose che costano”. Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT
“I prodotti locali interessano prevalente i turisti italiani e tedeschi, ai polacchi e ai russi non inte-
ressano. I turisti polacchi e russi funzionano sulla quantità perché gli piace mangiare e special-
mente bere, ma non sono molto attenti alla qualità. Vanno alla Fassa Coop e si comprano litri di
wodka, ma non comprano certo un pezzo di speck. Gli stessi spacci del caseificio lavorano preva-
lente in estate con i turisti italiani e tedeschi, in inverno lavorano poco. Avevo provato a mettere il
distributore di latte fresco a Fassa Coop, era stato molto apprezzato dai turisti, in luglio e agosto
arrivavo a vendere anche 100 litri al giorno, ma fuori stagione se vendevo 20 litri al giorno andava
bene, quindi non era sostenibile sul piano economico. Io produco anche miele e vedo un crescente
interesse degli alberghi per il mio prodotto locale. Ho iniziato una collaborazione con Fassa Coop
che fa per il mio miele delle etichette particolari, con saluti dall’albergo tal dei tali. Queste cose
sono apprezzate dai turisti”. Filippo Rasom giovane allevatore e apicoltore
13.1 Zootecnia e gestione del territorio
L’agricoltura è stata considerata per decenni il retaggio di un’economia di sussistenza che non po-
teva certo convivere con la modernità dell’emergente economia turistica. La domanda di aree edifi-
cabili ha portato alla contrazione dei terreni destinati all’agricoltura e a una rapida conversione delle
attività agricole in attività turistiche. Ancora oggi, la convivenza tra turismo e piccola attività
zootecnica presenta aspetti problematici. Le stalle vicino ai paesi e l’odore del letame distribuito
sui prati sono considerate incompatibili con un’offerta turistica di qualità.
“In realtà non è solo un problema di cattivi odori o d’ipotetico disturbo per i turisti, c’è anche una
questione d’interessi. Quando come Amministrazione cerchiamo di favorire l’insediamento di
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un’azienda agricola, ci troviamo spesso di fronte all’opposizione dei confinanti, perché chiaramen-
te l’azienda agricola va a condizionare il circostante. Chi ha terreni, che magari sono ancora agri-
coli, spera sempre che un domani possano diventare edificabili, quindi si preferisce non avere
l’azienda agricola intorno”. Roberto Pellegrini Sindaco di Soraga e Assessore CdF
E’ comunque nell’agricoltura, più che in altri settori, che cominciano a intravedersi i segnali
di una possibile diversificazione e maggiore integrazione dell’economia locale. A partire dal
2000 si rilevano nuovi investimenti da parte di giovani agricoltori. Aumenta la consapevolezza del
ruolo svolto dell’agricoltura nella valorizzazione dei prodotti locali. Crescono le interdipendenze tra
produzione primaria e offerta gastronomica di alta qualità. E’ ormai riconosciuto il ruolo che
l’agricoltura svolge nella manutenzione del territorio. Crescono le iniziative che portano il turista a
contatto con la natura e con l’agricoltura di montagna.
Il ricambio generazionale nel settore agricolo – e specificamente zootecnico- è stato fortemente
sostenuto dall’Amministrazione provinciale, sia attraverso l’erogazione di finanziamenti, sia tramite
il sostegno fornito allo sviluppo di attività complementari (agriturismo, ecc.) in grado d’integrare
significativamente il reddito d’impresa. In gran parte si tratta di giovani che recuperano tradizioni
famigliari, (in molte aziende c’è una convivenza generazionale), ma c’è stata anche qualche nuova
iniziativa imprenditoriale. Questo investimento di giovani nel settore: ha creato un nuovo clima im-
prenditoriale (gran parte di loro è diplomato all’istituto di San Michele); ha contribuito a rinnovare
l’immagine e il ruolo sociale dell’allevatore, (non più considerata una professione residuale e poco
attrattiva, come accadeva nel recente passato); ha contribuito a invertire il processo di progressivo
abbandono della zootecnia di montagna. La microimpresa agricola è oggi coinvolta in un processo
di modernizzazione che porta progressivamente l’agricoltura di montagna ad affrancarsi da
un’immagine di comparto marginale, dall’osservazione territoriale di quanto accade nel mondo del-
le microimprese agricole, se ne ricava un’immagine tutt’altro che statica o regressiva.
Le politiche finalizzate al rafforzamento delle reti dell’intraprendere non possono non riconoscere il
carattere multifunzionale svolto dall’attività agricola. Per la montagna si può fare politica di svi-
luppo solo integrando i diversi settori economici, riconoscendo il ruolo che l’agricoltura svolge nel-
la salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente rurale, promovendo le connessioni con il turismo,
l’integrazione con l’artigianato e il commercio. In questo contesto, particolare rilevanza assumono
le nuove funzioni dell’agricoltura, non più legate alle necessità di auto-approvvigionamento, ma alla
capacità di generare redditi nel complesso dell’economia e delle famiglie, nelle potenzialità specifi-
che del settore in termini di efficienza economica e nelle capacità di produzione di quei beni pubbli-
ci che sono sempre più richiesti.
111
“Fino al 2000 in val di Fassa la zootecnia stava morendo, poi con le politiche dell’Unione Europe-
a, con i contributi per gli sfalci, con i compensativi, c’è stata una ripresa, con nuovi investimenti, le
stalle nuove e, ultimamente, anche il caseificio. Quindi, a partire dal 2000 ci siamo attivati nella
ristrutturazione di tutto il settore zootecnico della val di Fassa, ora bisogna fare un passo da gigan-
te per recuperare il tempo perso. Tutti gli investimenti fatti, e quelli in corso, sono in mano a dei
giovani, questo vuol dire avere il territorio curato per i prossimi trenta o quarant’anni. Oggi l’80%
del latte del caseificio è prodotto da aziende agricole di giovani. Sono 38 aziende con circa mille
capi da latte, poi c’è un’azienda agricola appena costruita, Malga Luc, è l’unica che fa carne che
usano per il loro agriturismo. Si ricominciano a vedere le malghe attive, le mucche al pascolo, i
prati ben falciati, e questo garantisce un’immagine del territorio curato, che porta il turismo e in-
dotto. Le nostre aziende sono tutte dimensionate su 40-45 uba però su 35 ettari di terreno, non co-
me in certe parti, dove succede che alcuni hanno 30 ettari e 200 vacche. Questo consente d’avere
un ottimo rapporto tra zootecnia e territorio”. Elio Brunel allevatore
“Io stesso ho cominciato da zero, ho fatto San Michele, poi ho lavorato al caseificio, nel 2006 ho
cominciato a fare progetti e nel 2008 ho aperto la stalla. Mio papa che lavorava sugli impianti, a-
veva dei terreni di mio nonno, è quindi saltata una generazione. Da li ho cominciato. Oggi ho una
stalla con una trentina di vacche da latte, più la rimonta e ho anche un’apicoltura con un’ottantina
di arnie. Quello di cui abbiamo bisogno in val di Fassa è una maggiore coesione tra settori econo-
mici. Se non c’è il turismo tutto si ferma, però è anche vero che il turismo ha bisogno
dell’artigianato e dell’agricoltura per fare manutenzione di tutto il sistema. Fino a poco tempo fa
l’agricoltura in val di Fassa non era molto considerata, era il retaggio di una vecchia economia,
assolutamente marginale, una cosa che allo sviluppo turistico non serviva, anzi in alcuni casi era
un impaccio allo sviluppo turistico, per la disponibilità di terreni, per lo smaltimento dei liquami,
gli odori. La gente del posto non è più abituata alla presenza dell’attività zootecnica, molti si la-
mentano dell’odore del letame. Lo smaltimento dei liquami, chi ha le vasche e riesce a passare
l’inverno lo fa due volte all’anno sui prati: in aprile e in ottobre. Ultimamente lo portiamo sulle pi-
ste da sci per l’inerbimento. Ci vorrebbero regole di convivenza. In Alto Adige in tutte le località la
zootecnia convive benissimo con il turismo. Anzi, la zootecnia fa parte del paesaggio e
dell’attrattività turistica di una località. L’APT organizza visite nella mia azienda con un accom-
pagnare di territorio che porta dei turisti: per i bambini vedere i vitelli e le vacche è una cosa bel-
lissima. Oggi, in val di Fassa le cose stanno cambiando, hanno capito che è l’agricoltura che fa
manutenzione del territorio. Si sono resi conto che non basta più offrire chilometri di piste, mega
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alberghi e posti letto, ma ci vuole un paesaggio e un ambiente attrattivo. Hanno sempre più impor-
tanza i prodotti locali, che differenziano la tua offerta da quelle di altre località turistiche. Fino al
2000 sembrava che l’agricoltura dovesse sparire dalla val di Fassa, oggi si è rimessa in moto, gra-
zie alla presenza di giovani e anche grazie agli incentivi della Provincia”. Filippo Rasom giovane
allevatore e apicoltore
“La val di Fassa è il territorio trentino in cui ci sono gli allevatori più giovani. Abbiamo 38 aziende
e 1050 capi. Negli ultimi anni il settore è cresciuto tanto. Sicuramente c’è ancora spazio per nuove
attività zootecniche, anche perché gli allevatori sono i primi custodi del territorio. Sarebbe impor-
tante recuperare tante aree al pascolo, che oggi sono fatte di bosco Si è persa l’usanza di tenere
una linea del bosco. Il bosco è ormai ai margini dei paesi, se noi andiamo a vedere delle fotografie
d’inizio 900, il bosco arrivava a mezza costa. Tenere una linea del bosco ti da un’immagine subito
diversa del paese, perché ti da aria, ti da respiro, un impatto esteticamente migliore rispetto a quel-
lo che si vede oggi. Già la val di Fassa è stretta, se lasci crescere il bosco fino agli argini
dell’Avisio non ti resta più niente. Questo ti consentirebbe anche di recuperare spazio per la fiena-
gione. Dire poi che le mucche in paese danno fastidio ai turisti è una stupidaggine colossale. Se-
condo me ogni albergatore, ogni affittacamere, dovrebbe comprare una mucca da regalare a un al-
levatore, tutti dovrebbero capire l’importanza di questo settore. Se tu arrivi a Corvara da Campo-
longo, la prima cosa che vedi sono le mucche al pascolo e questo ti da subito la sensazione di arri-
vare in un paese alpino. Se tu vai in Svizzera, è normale che le mucche siano in paese, invece da
noi d’estate dobbiamo nascondere le mucche a Ciampac o in val Giumella”. Silvano Ploner gior-
nalista
La quasi totalità delle aziende zootecniche è orientata verso la produzione di latte e il principale
introito deriva dalla vendita del latte vaccino. Il latte prodotto (compreso quello munto in periodo di
alpeggio) è conferita ai locali caseifici che producono formaggi freschi e stagionati. Questa specia-
lizzazione zootecnica dell’agricoltura locale è dovuta al fatto che gran parte del territorio giace tra i
1000 e i 2000 m. s.l.m., le colture praticabili sono quasi unicamente rappresentate dai prati e dai
pascoli e quindi l’allevamento del bestiame rappresenta la principale forma di sfruttamento econo-
mico razionale del territorio.
Il fondovalle, lasciato libero dalle edificazioni, presenta terreni fertili con superfici a prato, utiliz-
zate per produrre le scorte invernali di fieno dalle aziende zootecniche. Nelle superfici foraggere di
fondovalle il numero di tagli l’anno varia da uno a tre (in qualche caso, quattro), secondo
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l’andamento climatico e la tipologia di prato, così come molto variabile è la produttività in termini
qualitativi.
Risalendo di quota il pascolamento si estende all’interno di aree prevalentemente forestali in cui la
copertura erbacea e arborea possono essere compresenti in proporzioni diverse; i pascoli con sola
copertura erbacea tipicamente si localizzano alle quote maggiori. Tali pascoli di mezza montagna
sono quelli più soggetti a inselvatichimento e necessitano di azioni di manutenzione e di bonifica da
parte delle aziende zootecniche.
Alle quote maggiori si collocano gli alpeggi che potrebbero svolgere un ruolo maggiore nel sistema
economico e ambientale dell’area. Dal punto di vista ambientale i pascoli d’alpe sono degli ecosi-
stemi stabilizzati per l’instaurarsi di un equilibrio tra risorse naturali e presenza degli animali
d’allevamento nella stagione vegetativa, garantendo una serie di funzioni ambientali quali: la regi-
mazione delle acque, il contenimento dei rischi d’incendio e di valanghe e la salvaguardia della bio-
diversità. Con particolare riferimento alla biodiversità, la gestione a basso impatto dei terreni con-
tribuisce all’equilibrio, nel rapporto uomo-ambiente, in grado di garantire condizioni favorevoli alle
specie animali e vegetali tipiche della montagna alpina. Il pascolamento esplica, infatti, effetti favo-
revoli sia sulla fauna selvatica, che si avvantaggia della disponibilità di foraggio e dell’azione di
contenimento delle essenze arbustive, sia sulla flora attraverso l’attività di selezione tra le diverse
specie vegetali e la limitazione della flora invadente: rododendri, calluna e mirtilli. I rischi di de-
gradazione indotti dal pascolamento sono invece d’intensità leggera, anche se talora su porzioni di
superfici considerevoli. Soprattutto nelle aree pascolate a maggior pendenza, il sentieramento è evi-
dente ma in genere non è così intenso da alterare la produzione di biomassa in modo importante.
Sono invece presenti aree sottoutilizzate evidenziate dalla comparsa di copertura arbustiva che de-
notano una contrazione dei carichi di bestiame.
Nel corso dei primi anni ’90 si era evidenziata una significativa tendenza all’abbandono della prati-
ca dell’alpeggio, elemento tradizionalmente distintivo della zootecnia montana, che ha determinato
la dismissione di alcune malghe e la comparsa di segnali di compromissione dell’ambiente e del pa-
esaggio causati dall’incuria. Per far fronte all’emergere di queste problematiche l’amministrazione
provinciale di Trento ha attivato una serie di misure (finanziate con i Fondi Strutturali dell’U.E. at-
traverso il PSR) finalizzate a invertire tale tendenza. Gli interventi messi in atto dalla pubblica am-
ministrazione, insieme alle nuove opportunità di reddito legate allo sviluppo dell’agriturismo e della
vendita diretta dei prodotti, sembrano aver sortito l’effetto desiderato; nell’ultimo decennio il nume-
ro di capi monticati è in continua crescita. Le aziende locali hanno, infatti, nella monticazione estiva
uno dei fattori strategici di redditività.
114
La razione invernale con cui sono alimentati gli animali è costituita sostanzialmente da fieno e da
mangimi, mentre nel periodo primaverile ed estivo il fieno è sostituito da erba verde (falciata o pa-
scolata). Generalmente gli animali sono lasciati pascolare, dopo aver fatto il primo taglio sui prati-
pascoli contigui al centro aziendale, prima del trasferimento in alpeggio e al ritorno dalle malghe
sulle stesse superfici se il ricaccio dopo l’ultimo taglio è sufficiente. Il pascolamento sulle superfici
foraggere aziendali, nel periodo post-alpeggio, consente sia il rinettamento del cotico prima del ri-
poso invernale che la concimazione attraverso la dispersione delle deiezioni. La fertilizzazione delle
foraggere è effettuata esclusivamente con l’impiego di concimi organici anche perché i costi per
l’acquisto non sarebbero compensati dall’aumento di produttività. Alcune aziende, considerata
l’esiguità delle superfici foraggere facilmente accessibili, non raggiungono l’autosufficienza ali-
mentare e acquista all’esterno una quota di foraggi (sostanzialmente fieno). Non manca chi, tra gli
intervistati, ha fatto notare come a causa dell’aumento del prezzo del fieno, negli ultimi due o tre
anni le aziende hanno ricominciato a usare con maggiore intensità i pascoli di mezza montagna.
Sempre di provenienza extra-aziendale sono gli alimenti semplici (mais, fiocchi di cereali, ecc.) e i
mangimi utilizzati per integrare la razione sia invernale, sia estiva.
Nel periodo estivo (orientativamente dal 15 giugno al 15 settembre) gli animali sono monticati in
malghe di alta quota; la durata del periodo d’alpeggio è ovviamente variabile e dipende
dall’andamento climatico dell’annata. Complessivamente gli alpeggi sono caricati per 80-110 giorni
l’anno non solo con vacche da latte, ma anche con altre tipologie di bestiame (bovini da carne, e-
quini e ovi-caprini). L’attività in alpeggio trova importanti connessioni con l’attività turistica, in
primo luogo attraverso forme di ospitalità rurale fatte prevalentemente di ristorazione e vendita di
prodotti locali.
“Io ricordo che negli anni 90 la zootecnia era ormai ridotta al lumicino. Invece ora abbiamo il
nuovo caseificio, con allevatori tutti giovani. Quindi c’è stato un ritorno, tra l’altro mi sembra che
buona parte di questi giovani non vengano neanche da famiglie di zootecnici. A me questo rende
orgoglioso. Mi ha reso veramente felice, perché rimanere soli non è bello. Sembra che quest’anno
costruiscano una nuova stalla, qui sotto il campo sportivo di Vigo di Fassa, con progetto approva-
to, un’altra qui a Tamion di Fassa. Da quasi zero si sta recuperando. Pensa che per tagliare i cam-
pi delle zone piane qui, prima di Campitello, venivano dall’Alto Adige. Quindi i prati, anche non di
pendio, erano abbandonati. Adesso la gente del posto si sta riprendendo il territorio. Noi in totale
abbiamo 140 animali, nella nostra zona siamo una delle stalle più grosse stalle. Abbiamo i prati,
una parte a Moena, una parte lungo la valle di San Pellegrino, poi facciamo una ventina di ettari
nella zona del passo San Pellegrino, lì facciamo il 60-65% della produzione di fieno, il resto lo
115
compriamo fuori in pianura, soprattutto la medica che da noi manca. L’alpeggio lo facciamo da i-
nizio giugno fino a settembre, a 2000 metri, nella malga del comune di Moena dove facciamo anche
agriturismo. Non abbiamo camere, facciamo solo ristorazione e vendita di prodotti tipici. I nostri
clienti sono per lo più italiani, vendiamo un po’ di formaggio del nostro caseificio, il latte possiamo
somministrarlo al bicchiere. La zootecnia nel nostro territorio deve essere legata al turismo, non
possiamo pensare di fare competizione con la zootecnia di pianura, dobbiamo fare un prodotto di
nicchia che sia remunerato bene. Dai nostri formaggi dobbiamo ricavare molto di più. Una vera
sinergia tra turismo e agricoltura purtroppo da noi deve ancora arrivare. Si lamentano quando
vedono spargere il liquame sui prati, ma quando invece vedono un giovane che taglia tutti i pendii
impervi, che falcia tutti i prati, nessuno dice che fa un lavoro eccezionale, recuperando tutti quei
prati che erano stati abbandonati per anni”. Luigi De Francesco Allevatore.
“Le stalle grosse fanno un po’ di pascolo in fondovalle, da fine maggio a metà giugno, poi vanno in
montagna fino al 20 settembre, quando ritornano dall’alpeggio le manze e le vitelle si lasciano in
qualche prato fino ai Santi. Io sono fortunato perché ho una stalla con 10-12 ettari di terreno, pa-
recchi in proprietà, alcuni in affitto, e allora quando gli animali ritornano dall’alpeggio stanno sui
prati di fondovalle. Non tutti possono farlo perché come si sa in Trentino le proprietà sono molto
frammentate e allora molti hanno una stalla con pochi metri attorno. Io ho tutto il fieno che mi ser-
ve, chiaramente per integrare la razione devo comprare un po’ d’erba medica, ma è normale. Nel
caseificio produciamo circa l’80% del formaggio con foraggio locale e questo è importante perché
esprime dei sapori particolari. Questo è un territorio sfruttato forse al 60%, abbiamo dei prati au-
toctoni di erbe, magari in alcune parti sono seminati e concimati, però sempre con il letame, non
c’è apporto di chimica. In val di Fassa la maggior parte delle malghe sono di proprietà dei comuni
o delle Asuc. Molte malghe sono già state ristrutturate. In totale ci saranno una ventina di malghe,
tutte monticate. Una parte sono le bestie della valle, poi vengono anche animali dall’Alto Adige, lo-
ro hanno poche malghe e quindi le prendono in affitto da noi. Comunque spazio ce n’è. Nel fondo-
valle le stalle sono distribuite abbastanza bene. Non è come a Predazzo o a Tonadico, dove sono
tutte concentrate. Sono i comuni con gli albergatori che non vogliono più le stalle nei paesi, allora
le nuove strutture sono realizzate ai bordi dei paesi, dove c’è ancora territorio e non danno fastidio
a nessuno. Adesso si sta vedendo di fare un biodigestore, in modo di produrre un po’ di energia. Il
Comun General e l’Istituto agrario di San Michele hanno trovato in Austria un sistema che utilizza
solo il letame. All’inizio l’idea era di utilizzare anche i rifiuti organici dagli alberghi, ma per la ve-
rità sono stato io a frenare su questo, dicendo: cosa spargiamo poi sui prati, le immondizie? An-
diamo a rovinare tutto. Il biodigestore è considerato un’opportunità economica e poi consente di
116
abbattere un po’ gli odori che si sviluppano, specialmente in primavera. Ci vorrebbe una migliore
gestione dei terreni di fondovalle e mezza montagna. Se lei guarda in certi paesi come Soraga, c’è
un bel territorio, con un bel rapporto con i contadini, è molto ben curato. Ci sono altri territori che
soffrono, con i boschi che avanzano, bisognerebbe consentire ai contadini di fare pulizia, di rimet-
tere a posto il territorio. Ci vuole un progetto, che consenta di superare il problema della frammen-
tazione delle proprietà, la possibilità di prendere in affitto i terreni, almeno per dieci anni, con con-
tributi per poterli sistemare e tenere falciati. Questo problema però sembra non tanto capito dalla
politica”. Elio Brunel Allevatore
“Tornando indietro, a dieci anni fa, nell’agricoltura sembrava la disfatta, poi ci sono stati gli in-
centivi, i ragazzi sono andati alla scuola agraria di San Michele, adesso abbiamo aziende giovani,
con tecnologie nuove, il caseificio. Questa è stata una volontà di non so chi, ci saranno state anche
agevolazioni, comunque è stato un ricambio generazionale completamente innovativo nell’arco di
dieci anni. Questi sono segnali positivi che vanno coordinati e su cui bisogna continuare a investi-
re. Ci vuole una politica di gestione del territorio, bisogna ripristinare i pascoli, da noi il bosco a-
vanza del 20% l’anno. Mettendo le bestie asciutte nel loro posto, le vacche da latte in malghe esi-
stenti, attualmente quasi tutte ristrutturate, la malga Giumella, la malga Monzoni, la malga Contri-
na, ecc. Io nel mio piccolo, sia per essere a capo di un impianto funiviario, sia come presidente di
usi civici di un paese che comprende tutta la zona del Catinaccio, Gardeccia, e la val Giumella,
presto grande attenzione nei confronti degli agricoltori. Facciamo portare il letame sulle piste da
sci per avere un riciclo delle sementi, per non avere un’erba artificiale ma sempre naturale. Stiamo
ripristinando una zona a Gardeccia, facciamo un cambio di coltura, è un progetto che gestiamo noi
proprietari Asuc, con un ragazzo che ha un’azienda agricola e la forestale che svolge un ruolo di
supporto tecnico”.Claudio Bernard imprenditore, presidente consorzio impianti
“Nel piccolo comune di Vigo abbiamo contato 230 orti. L’aspetto contadino deve avere sul territo-
rio una forte caratterizzazione. Ad esempio Gardeccia è riuscita a recuperare più cultura locale,
più identità da quando da due anni ci sono le vacche. Per quarant’anni non ci sono state né pecore
né mucche. Da due anni c’è questo contadino che chiede di poter pascolare le mucche e di potersi
fare un domani il suo agriturismo. Credo che dobbiamo spalancare queste strade”. Alfredo Weiss
Consigliere CdF
“Per questioni climatiche e d’altitudine la zootecnia è l’unica attività agricola sostenibile in val di
Fassa. Ci vogliono gli strumenti urbanistici per renderla più efficiente, coltivando i fondovalle. Ci
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vorrebbero più stalle, più piccole e più prati. Il piano urbanistico provinciale, con le aree agricole
di pregio un poco ci ha aiutato. La Forestale sta lavorando in questo senso. La linea è recuperare
più superfici prative possibili, che però vanno coltivate e non abbandonate ai noccioli. Abbiamo la
necessità di liberare i paesi dalle fasce boscate giovani che si sono formate di recente, ma qui il
problema è che queste aree sono quasi tutte private. Dobbiamo trovare strumenti urbanistici che
consentano alle Amministrazioni d’indurre i proprietari a intervenire dove è necessario, facendo
prativo. L’alleato migliore che possiamo avere è il contadino, che ha interesse ad avere superfici
foraggere, se però riusciamo a superare la logica del contadino industriale. La manutenzione del
bosco è un tema centrale. Noi abbiamo una struttura boschiva in continua mutazione, positiva. I
servizi forestali stanno rafforzando una struttura boschiva che abbiamo ereditato dall’Impero Au-
stroungarico che ci ha lasciato boschi deboli, magari belli, ma la natura non deve essere bella, de-
ve essere forte ed è forte più la si lascia evolvere autonomamente. I boschi vanno puliti dai rifiuti,
ma i residui naturali dei boschi non sono rifiuti, sono fertilità. Avendo boschi di conifere abbiamo
l’esigenza di far rimanere una buona parte della fertilità sul sedime. Anche in alta quota abbiamo
bisogno di un recupero intensivo dei pascoli. Qui c’è ancora qualche remora da parte della fore-
stale, sono ancora molto legati al vincolo idrogeologico del ’23, dove si sottolinea il ruolo che le
piante hanno nello stabilizzare il suolo, cosa giustissima, però oggi possiamo evolverci, non siamo
più nelle condizioni di rischio idrogeologico che sono state alla base dell’alluvione del ’66, il bosco
oggi si è evoluto ed è in grado di garantire la stabilità dei suoli. Oggi è necessario superare la con-
cezione del vincolo idrogeologico, lo manteniamo nelle aree che presentano situazioni di rischio,
però i pascoli d’alta quota vanno recuperati. E’ necessario non solo per le mucche che devono pa-
scolare, ma anche per la fauna selvatica: il capriolo, il gallo forcello, la pernice, ha bisogno di
spazi aperti. Gli stessi agricoltori dovrebbero estirpare le piantine che invadono il pascolo, ma
spesso non lo fanno. Attualmente c’è un uso dell’alpeggio anche con animali importati, in partico-
lare dalla provincia di Bolzano, una volta venivano anche i padovani, ma oggi si dirigono più verso
il Brenta e la zona del Chiese. Poi abbiamo bisogno di pascoli per cavalli, perché disturbano le
mucche, hanno esigenze di pascolamento diverse. Dobbiamo avere aree per le capre, per le manze
e per i cavalli, anche per evitare conflitti tra contadini. L’allevamento dei cavalli si sta diffondendo
molto, un po’ perché hanno i contributi per lo sfalcio, ma direi più per passione. Chi mette in piedi
un agriturismo, solitamente prende dei cavalli. La cosa si è sviluppata in val di Fiemme ma ora sta
prendendo piede anche in val di Fassa: a Vigo c’è una bella colonia di cavalli, a Soraga stanno av-
viando un agriturismo con dei cavalli. L’attività di trasformazione del latte di capra è ancora debo-
le, ma si sta riprendendo con una certa forza, anche qui ci sono dei giovani allevatori. In Fassa ci
sono circa 180 capre, mentre in Fiemme sono già 1.500. Sono piccoli contadini che tengono gruppi
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di dieci capre, fanno qualche capretto da carne, e poi il latte che portano al caseificio. Per me il
formaggio di capra di Campitello è più buono di quello di Cavalese, ma diciamo che è una questio-
ne di gusto personale”. Luigi Casanova Cipra
Nonostante, in val di Fassa vi sia una relativa scarsità di animali e una disponibilità teorica di pasco-
li, fattori quali la concentrazione delle stalle nei terreni di fondovalle, le difficoltà di accesso alle a-
ree foraggere economicamente sfruttabili e i problemi relativi allo smaltimento dei liquami zootec-
nici, evidenziano come - al di là del teorico equilibrio UBA/Ha – vi sia la necessità di una più ra-
zionale valorizzazione delle risorse foraggere della valle, perseguendo una più razionale di-
stribuzione dell’attività zootecnica sul territorio e incentivando le azioni di bonifica realizzate
dalle imprese in aree in cui sia possibile lo sfalcio meccanizzato.
“ Qua in val di Fassa potremmo puntare a una maggiore autosufficienza foraggera, ci sono tanti
territori che non sono utilizzati e andrebbero bonificati. Sotto Vigo ci sono dei prati impaludati su
cui basterebbe fare una semplice bonifica. L’alimentazione delle mie vacche la faccio con il forag-
gio dei miei prati, però non sono sufficienti, quindi importo erba medica da Verona. Abbiamo gli
alpeggi dove vanno le vacche in asciutta, le manze e le vitelle, poi ci sono alpeggi anche per le vac-
che da latte. Certi comuni hanno malghe belle con il pascolo ben tenuto. Qua a Vigo abbiamo
qualche problema sul pascolo che non è molto sicuro, è frammentato. Sul recupero del bosco, biso-
gna discutere con la forestale. Se un prato supera una certa percentuale di copertura, è immedia-
tamente classificato come bosco. In Trentino che comanda è la Forestale: sono loro che decidono
non i Sindaci. I pascoli sono di proprietà comunale e sono gestite dalla Società Malghe e Pascoli di
Vigo. La società è fatta dai contadini di Vigo. Su tutte e due le malghe abbiamo degli agriturismi, a
Costalunga e al Vaiel, con le stalle. Le strutture sono buone. Le attività agricole andrebbero mag-
giormente promosse, ma sull’insediamento di nuove aziende non c’è una linea chiara da parte delle
stesse Amministrazioni. Ogni comune ha il suo criterio: a Vigo per costruire una stalla c’è il lotto
minimo di 1500 mq di terreno disponibile, a Pozza di 15.000 mq. Vai da un’esagerazione all’altra.
In certi comuni lasciano che il contadino iscritto in seconda possa costruire, in altri comuni questo
non è possibile. In val di Fassa ci sono giovani che vorrebbero fare una stalla, ma non puoi certo
chiedergli di acquistare 15.000 mq di terreno. In fondo sarebbe anche abbastanza semplice, baste-
rebbe individuare aree agricole sui piani regolatori, non occorrono grandi estensioni, bisogna poi
far costruire vasche dei liquami, grandi abbastanza da passare l’inverno e l’estate e distribuire il
letame sui prati fuori stagione”. Filippo Rasom giovane allevatore e apicoltore
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13.2 Artigianato
A fine 2011 in val di Fassa erano attive 303 Imprese Artigiane (dati Albo) con una contrazione del
5% rispetto al dato 2008, preso a riferimento come anno in cui, anche a livello provinciale, si sono
registrati i primi segnali della crisi economica. Si tratta chiaramente di microimprese, con un nume-
ro medio di quasi tre addetti per impresa. A fine 2011 sono 899 gli addetti che operano
nell’artigianato fassano. Le maggiori concentrazioni d’imprese artigiane si rilevano dei comuni di
Pozza di Fassa e Moena.
Figura 4 Distribuzione territoriale delle imprese artigiane
Fonte: Rapporto 2011 sull’andamento dell’artigianato provinciale – Associazioni artigiani e piccole imprese della provincia di Trento
Come già riportato nel capitolo introduttivo, il 28,7 % delle imprese artigiane (87 su 303) del Co-
mun General de Fascia opera direttamente nel settore dell’edilizia. Allo stesso settore di attività so-
no riconducibili anche le imprese operanti nel settore dell’impiantistica (idraulici, elettricisti, ecc.) e
del legno. Questi sono, dopo quello edile, i due settori maggiormente rappresentati nel Comun Ge-
neral, rispettivamente con il 16,8 % e il 15,2 % del totale delle imprese artigiane. È quindi possibile
affermare che circa il 60 % delle imprese artigiane del Comun General de Fascia opera, più o meno
direttamente, nel settore dell’attività edilizia.
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Tabella 2: Imprese artigiane in val di Fassa
Fonte: Rapporto 2011 sull’andamento dell’artigianato provinciale – Associazioni artigiani e piccole imprese della provincia di Trento
Uno degli elementi di debolezza del comparto artigianale fassano è senz’altro la perifericità della
valle, che non consente significativi sbocchi al di fuori di un mercato prettamente locale, a cui si
aggiungono problematiche relative alla disponibilità di aree. E’ a fronte in tale contesto che si sono
sviluppate forti integrazioni con la vicina val di Fiemme, sia per quanto riguarda la localizzazione
d’imprese, sia per quanto riguarda la fornitura di servizi.
“E’ difficile immaginare una diversificazione della nostra economia nel settore manifatturiero. Tut-
te le attività artigianali hanno grosse difficoltà, anche perché siamo in fondo a una valle, le impre-
se non riescono a cercarsi mercati alternativi, per cui sono costrette a vivere di quel po’ di mercato
che gli dà la valle, e in particolare che gli dà il turismo. La val di Fiemme, che ha realtà imprendi-
toriali come Felicetti, Eurostandard, è già più vicina all’autostrada, da noi non potrebbero nascere
simili aziende. C’è qualche ditta un po’ grossa a Moena, ma salendo la valle è già difficile fare sta-
re in piedi una ditta da idraulico o elettricista”. Fiorenzo Peratoner SIC
“La val di Fassa e la val di Fiemme sono due realtà distanti solo venti chilometri ma se vai in val
di Fiemme, vedi che c’è un’economia molto più diversificata e integrata della nostra. Ci sono sette
o otto aziende di una certa dimensione, che esportano: la Sportiva, Eurostandard, Felicetti. Nono-
stante i costi che hanno per problemi di logistica, riescono a lavorare con l’esterno e mantengono
il legame con il loro territorio. La val di Fiemme è una realtà vicinissima alla nostra ma comple-
tamente diversa, perché loro vivono anche di turismo, mentre noi viviamo solo di turismo”. Clau-
dio Bernard imprenditore, presidente consorzio impianti
“Le imprese edili da noi sono piccole imprese artigiane. Molte vengono anche da fuori,in partico-
lare dalla valle di Fiemme. La mattina presto vedi le code dei furgoni degli artigiani che comincia-
121
no a Predazzo e salgono in Valle, fanno manutenzioni, arredi, impianti”. Mariano Cloch Sindaco
Canazei Vice Procurador CgF
“Un’impresa artigiana in val di Fassa ha una serie di gap competitivi. Primo la logistica, il territo-
rio va preservato a scopi turistici, quindi hai difficoltà in termini di costi già per acquisire dei ter-
reni dove svolgere la tua attività. Gli stessi metri quadri di laboratorio ti costano tre volte tanto che
in altri territori. Ci sono i piani urbanistici che, giustamente, ti danno delle indicazioni di qualità
dell’edificato, per cui per lavorare non devi farti un capannone ma una casa. Rispetto ad un mio
concorrente della Valsugana ho un gap concorrenziale in termini di costi, estremamente difficolto-
so da colmare. In secondo luogo c’è la stagionalità. A differenza di altre zone, noi dobbiamo neces-
sariamente ragionare in termini di stagionalità, alla rovescia rispetto a quella turistica, quindi con
maggiori costi. Terzo il personale, quando hai i due terzi della popolazione impiegata nel settore
turistico, te ne rimane solo un terzo da cui attingere per il resto”. Francesco Dellantonio, artigia-
no e amministratore del Comune di Soraga
“Si fa fatica a ospitare attività artigianali di una certa dimensione, per un problema di disponibili-
tà di suolo. E’ per questo che le nostre imprese più importanti si portano verso la val di Fiemme:
Rasom, che è un’impresa della val di Fassa, ha dovuto spostarsi verso Fiemme per avere la logisti-
ca giusta e una centralità che gli consentisse di lavorare su tutta la provincia. Sembra che adesso a
Pozza si possa partire con un’area artigianale dove mettere dentro 10-12 artigiani, per cui andia-
mo a soddisfare abbastanza bene la richiesta che c’è attualmente in valle. A Vigo sembrava doves-
se partire un’area, però non si è riusciti a trovare il numero di artigiani sufficiente. E’ un periodo
in cui non tutti hanno il coraggio di fare certi tipi d’investimento”. Massimo De Bertol Presidente
Associazioni Artigiani della val di Fassa
Se la perifericità della Valle e le carenze logistiche possono spiegare la scarsa presenza di attività
manifatturiere, difficilmente tali dati possono giustificare la carenza di attività di servizio. Trovan-
doci in un comprensorio turistico appaiono inspiegabilmente contenute le attività artigianali in quei
settori che possono svolgere un importante ruolo di supporto all’economia turistica come ad esem-
pio: il settore alimentare (14 imprese), quello del benessere (28 imprese) e quello dei trasporti (18
imprese). Tali dati sottolineano, ancora una volta, la scarsa integrazione del tessuto economico loca-
le ed evidenziamo come l’artigianato, assieme ad altri comparti economici, rappresenti un settore di
risulta in un contesto tradizionalmente vocato al turismo.
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“Il turismo fa da volano a tutta l’economia della valle. Tutti gli altri settori sono complementari
all’economia turistica. C’è quindi un problema di approccio culturale, gli artigiani, gli agricoltori,
i commercianti ne sono consapevoli, viceversa l’operatore turistico fa molta fatica a collocarsi
all’interno di un ragionamento complessivo di filiera economica di valle, perché giustamente ognu-
no guarda al proprio particolare. Quindi il discorso culturale è proprio far capire a chi sta
all’inizio della filiera l’importanza di chi sta dietro e svolge ruoli di servizio e fornitura. Dico que-
sto perché tutti i settori che stanno dietro all’economia turistica hanno molte difficoltà. Sembra
scontato che, essendo in una valle ricca, non ci sia difficoltà a lavorare. Questo può forse essere
vero per un impiantista: un idraulico possibilmente me lo trovo vicino casa. Per tutto l’altro mondo
dell’impresa, compreso quello agricolo, la difficoltà è che dovresti essere concorrenziale con il re-
sto del mondo, nonostante le difficoltà aggiunte che si hanno stando qui, in una valle periferica
come la nostra”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga
Ancora una volta la scarsa integrazione della filiera produttiva locale trova due contrapposti ele-
menti di spiegazione: da un lato la carenza di adeguati servizi (e in sostanza d’imprenditorialità) sul
territorio; dall’altra la scarsa propensione del settore turistico a fare filiera produttiva a livello loca-
le. Come avviene per i prodotti agro alimentari, le reti di fornitura di servizi alberghieri raramente
coinvolgono imprese locali per rivolgersi prevalentemente all’esterno dell’area, principalmente Alto
Adige e Veneto, ma anche la vicina val di Fiemme. Solo nel campo dei servizi informatici sono stati
segnalati casi di una timida crescita imprenditoriale a livello locale, dopo un lungo periodo in cui
anche questi servizi erano acquisiti all’esterno della Valle e dello stesso Trentino. Per servizi fon-
damentali come, ad esempio quelli di lavanderia per gli alberghi, la mancanza di un’adeguata offer-
ta locale costringe gli alberghi a rivolgersi alla vicina val di Fiemme. Manca anche un artigianato
artistico che, al pari della vicina val Gardena, sia in grado di arricchire l’offerta turistica locale.
“La nostra filiera turistica ha delle nicchie imprenditoriali che sono scoperte, per cui ci si rivolge
fuori valle. Questo avviene anche a livello artigiano, ad esempio, non abbiamo una lavanderia fino
a Cavalese, tutti i giorni vengono furgoni avanti e indietro per prendere la biancheria degli alber-
ghi”. Gianni Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti Super Ski.
“Quante pasticcerie di qualità ci sono in val di Fassa? Forse un paio. Questo non è normale in una
località che dovrebbe essere la culla dell’accoglienza turistica. Mancano gelaterie di un certo tipo,
dove ci si possa sedere per mangiare un buon gelato. Un cliente che va in un albergo a 4 stelle vuo-
le trovare altri locali dello stesso livello. Se un po’ alla volta l’offerta alberghiera cresce di qualità,
123
anche le altre attività sul territorio lo devono fare. A Moena fino agli anni fine 70-80 c’erano i mi-
gliori locali, tutti locali di un certo livello che abbiamo perso. Oggi tutti pensano alla quantità e so-
lo pochi investono sulla qualità”. Francesco Cocciardi Albergatore Moena
“Qui in valle non esiste alcun laboratorio artigianale che faccia dei prodotti tipici. I prodotti che
sono venduti come tipici andiamo a prenderli in Lombardia, Piemonte, Veneto. Il turista sarebbe
assolutamente propenso a spendere un euro in più se sapesse che ciò che compra è un prodotto del-
la val di Fassa. Ma fino ad oggi non siamo riusciti a creare una filiera di prodotti locali”. Franco
Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF
“Ho un’azienda dolciaria, qui in val di Fassa, d’estate produciamo pasticceria fresca che vendia-
mo nei nostri punti vendita, in inverno produciamo i grostoli che vendiamo in tutto il Nord Italia,
arriviamo a vendere fino alla Toscana. La quota di mercato a livello locale è di appena il 5%. Co-
me sempre, non si è mai profeti in patria”. Fausto Castelnuovo, Sindaco di Mazzin e Assessore
GgF
“Il nostro artigianato è a servizio delle imprese del turismo, ma si tratta essenzialmente d’imprese
edili che fanno manutenzioni negli alberghi, impiantisti. Una volta noi eravamo ricchi anche di la-
vorazione del legno, un artigianato artistico che abbiamo totalmente perso”. Alfredo Weiss Consi-
gliere CdF
“La soluzione non è quella di portare altra economia, ma imparare a valorizzare quello che ab-
biamo. In val Gardena hanno sviluppato l’economia della scultura in legno, perfettamente compa-
tibile con quella turistica. Noi ce la siamo fatta scappare perché forse non siamo stati furbi abba-
stanza. La val Gardena veniva in val di Fassa a comprare le sculture in legno per poi commerciar-
le da loro.” Cesare Bernard Presidente Consei General
“Anche fuori dalla gastronomia, nella nostra valle ci sono comunque artigiani che sono dei veri ar-
tisti, a cui dovremmo dare visibilità perché nessuno li conosce. C’è uno scultore a Moena che è
bravissimo, produce sculture in legno particolari, fa porta cote particolari, sono recipienti dove si
bagna la pietra per affilare la falce. Io le espongo nel mio ristorante, ora stiamo facendo una spe-
cie di catalogo, assieme a Felicetti, il pastificio della val di Fiemme. Dobbiamo fare sinergia tra tu-
rismo, ristoratori, artigiani locali, per valorizzare la nostra cultura. Le potenzialità sarebbero ve-
ramente molte.” Paolo Donei Malga Panna
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Nonostante la presenza d’imprese specializzate nella costruzione di case in legno come Rasom e
Pollam, e la presenza d’importanti risorse forestali, in val di Fassa non si è sviluppata una significa-
tiva filiera di valorizzazione della risorsa legno.
“Il nostro è un ottimo legno. Il più bello sarà quello della val di Fiemme, ma il legno della val di
Fassa ha la pasta migliore. Più si sale di quota più la pianta cresce lentamente e più la pasta è mi-
gliore. Il problema del nostro legno sono i nodi che lo rendono poco adatto ad alcune lavorazioni.
Noi come Asuc, il legno lo vendiamo abbastanza bene alle segherie che lo lavorano e poi lo vendo-
no. La vendita va ad annate. Quest’anno è andata molto bene, altre volte abbiamo fatto fatica per
la concorrenza del legname di provenienza dall’Austria e dalla Germania, dagli schianti ma anche
da piani di sfruttamento più ampi e vasti, perché loro hanno boschi dove possono entrate con i
macchinari, e invece di 110 euro al mc lo vendevano a 60-70 euro. Però il nostro legname è vendu-
to sempre molto bene”. Rinaldo De Berlol Insegnante e Ispettore VV.FF
“Sopra i 1000 metri, abbiamo un 70% di legno pregiato e 30% da imballo. Abbiamo delle segherie,
ma vendiamo tutto il segato all’esterno ad aziende in val di Fiemme e anche in val di Non. In valle
non ci sono delle produzioni di travi lamellari, ci sono aziende con lavorazioni come i balconi,
qualche mobilificio e abbiamo aziende che producono case in legno, come Pollam e come Rasom
che però adesso si è spostata in val di Fiemme. Sulla filiera del legno non ci possiamo sicuramente
confrontare con la parte bolzanina o con la stessa val di Fiemme”. Claudio Bernard imprenditore,
presidente consorzio impianti
L’unica vera e forte integrazione tra turismo e artigianato, la troviamo nel settore edile. Nel
recente passato il consistente afflusso di turisti nella località ha dato un forte impulso allo sviluppo
dell’edilizia turistica: alberghi, strutture commerciali, case per le vacanze. Oggi i ridotti livelli di
produzione edilizia, riconducibili a politiche urbanistiche provinciali e alla crisi finanziaria globale,
pongono importanti interrogativi sullo sviluppo del settore. L’edilizia è fortemente legata agli an-
damenti del settore turistico e questo sembra aver messo, (fino ad oggi), il settore edile al riparo dal-
la crisi, perlomeno per ciò che riguarda le piccole attività di manutenzione.
“Dai dati che abbiamo noi finora le imprese edili non hanno particolarmente sofferto la crisi, per-
ché da noi i lavori si trascinano tempo. Con la stagionalità turistica i lavori nell’edilizia durano più
di due anni, un albergo si ristruttura fuori stagione quindi è una cosa infinita. I lavori fino all’anno
125
scorso ci sono stati. Il problema semmai lo vedo da qui in avanti perché purtroppo oggi non c’è
molto lavoro. Questo poi dipende dal tipo di lavorazioni, le nostre imprese edili sono piccole, sono
impegnate in attività di manutenzione e per queste il lavoro continua a esserci perché comunque,
sia le famiglie, sia gli alberghi, certi lavori continuano a farli. Quello che manca oggi è il grande
investimento da venti appartamenti o l’albergo da diecimila metri cubi o i due centri salute
all’anno che si facevano in passato. Però la manutenzione ordinaria e straordinaria continua a es-
serci e questo consente alle nostre piccole imprese di lavorare”. Luciano Braito Direttore Cassa
Rurale
“ Non ci lamentiamo, per certi aspetti la val di Fassa è un’isola felice. Io sono idraulico, ho una
ditta mia. Si sente un po’ la crisi però non più di tanto. La monocultura turistica ci ha portato tanto
benessere negli anni passati. La crisi che c’è adesso c’è stata anche nel periodo 85-89 in cui c’è
stato un crollo immobiliare. Queste crisi fanno anche un po’ di selezione, chi lavora bene non si
preoccupa. I nostri clienti sono un po’ tutti: gli alberghi, il privato, il pubblico. Per riuscire a lavo-
rare durante tutto l’arco dell’anno devi adattarti e fare un po’ di tutto. L’attività come la nostra
non ha la cassa edile, per cui devi aver da fare anche durante l’inverno e allora fai manutenzioni o
finisci dei lavori sospesi. Con gli alberghi fai lavori brevi fuori stagione, poi durante la stagione
devi fornire un servizio d’assistenza 24 ore su 24”. Giorgio De Luca Artigiano e responsabile Ski-
team
“Gli artigiani impiantisti hanno un loro mondo a parte perché con 60mila posti letto turistici c’è
sempre un gran lavoro d’assistenza, manutenzione, riqualificazione. In questo momento a soffrire
sono le aziende più grosse, perché si erano attrezzate con manodopera esterna, extracomunitaria,
si trovano in difficoltà perché la struttura organizzativa, era dimensionata per un certo tipo di la-
vori che oggi cominciano a calare”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Co-
mune di Soraga
“Se il turismo va bene, va bene anche l’artigianato. Difatti quest’anno abbiamo sentito un primo
sintomo di flessione proprio perché c’è stata la flessione nel turismo. Come pianificazione possia-
mo dire che ci associamo a quello che prevedono anche gli albergatori perché alla fine lavoriamo
con loro in sinergia, a differenza magari di qualche altro comprensorio dove l’artigianato lavora a
riflesso dell’industria. Siamo tra quei comprensori trentini in cui l’artigianato ha avvertito il calo,
ma non la crisi. Poi in realtà non si sa bene se questo calo nell’edilizia è dato dalla crisi o è
l’effetto della Legge Gilmozzi. Fino a Natale non si poteva parlare di sofferenza perché tutti lavo-
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ravano bene, le previsioni erano buone. Poi nel giro di due mesi si sono bloccate le lavorazioni
principali, gli investimenti più grossi. Dobbiamo vedere se dopo Pasqua la stagione avrà una ri-
presa”. Massimo De Bertol Presidente Associazioni Artigiani della val di Fassa
Se da un lato, la piccola dimensione d’impresa consente a gran parte delle imprese fassane di opera-
re con flessibilità sul mercato della manutenzione edilizia, lo stesso carattere dimensionale rap-
presenta un limite quando di tratta d’intercettare gli appalti e le commesse di maggiore di-
mensione. Anche la costituzione di reti o raggruppamenti temporanei d’impresa si presenta com-
plessa, per la mancanza di soggetti locali in grado d’assumere il ruolo di general contractor.
“Bisognerebbe rivedere il sistema degli appalti pubblici giocati sul massimo ribasso. Se c’è un can-
tiere grosso ti chiedono di fare l’offerta e t’impongono ribassi insostenibili. Le imprese che vengo-
no da fuori fanno questi ribassi ma poi non rispettano quello che c’è scritto sui capitolati. Il para-
dosso è che imprese esterne che hanno dei contenziosi con i comuni, vincono comunque nuovi ap-
palti”. Giorgio De Luca Artigiano e responsabile Skiteam
“Noi stiamo finendo una grossa piscina: abbiamo dovuto cercarci fuori le ditte capaci di gestire un
grosso appalto. Le nostre ditte locali sono piccole, possono quindi essere solo coinvolte solo come
subappaltatori di queste ditte esterne più grosse. Fiorenzo Peratoner SIC
“Da noi è piuttosto difficile creare consorzi e reti d’impresa per accedere agli appalti, perché ci
vuole necessariamente un capofila con la struttura che riesce a gestire i vari specialisti. Qui non
c’è nessun’impresa in grado di svolgere il ruolo di general contractor. Per piccole imprese come le
nostre è molto difficoltoso partecipare agli appalti, perché andare sulle offerte al massimo ribasso
si arriva sempre a casa con le ossa rotte. Il discorso dell’offerta più vantaggiosa ha dei costi pre-
paratori non sostenibili per aziende come le nostre, devi rischiare di spendere 20 o 30mila euro
presso dei tecnici per farti fare il fascicolo d’offerta. Comunque, mi sembra che ultimamente tra le
imprese ci sia una maggiore propensione a fare sistema e questo è senz’altro dovuto anche alla si-
tuazione di crisi. L’Ente pubblico dovrebbe incentivare la creazione di una rete tra le imprese loca-
li del settore”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga
Oltre al supporto alla creazione di reti d’impresa, l’idea, emersa da molteplici attori intervistati è
quella d’impostare la politica edilizia della Valle sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esi-
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stente, unitamente ad un investimento sui temi della sostenibilità ambientale e sociale dell'abita-
re.
“Bisogna sicuramente puntare innanzitutto sulla riqualificazione dell’esistente. In particolare, la
ristrutturazione e manutenzione delle aziende alberghiere è strategica per puntare a un turismo di
maggiore qualità. In tale ambito è anche fondamentale investire sui temi del risparmio energetico e
dell’edilizia sostenibile. Ci sono imprese come Pollam e Rasom che già investono su questi temi, so
che erano entrate anche nel progetto Sofie. C’è un’esigenza di formazione e sistemi di certificazio-
ne con protocolli più semplici per consentire la qualificazione anche del piccolo artigiano”. Fran-
cesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga
“Dobbiamo aiutare questa imprenditoria che opera in particolare nel settore edile, investendo su
un progetto forte di riqualificazione edilizia. Questo è un tema strategico per la Valle. Nel giro di
pochi anni dovremmo recuperare tutto il grande patrimonio delle seconde case costruite negli anni
60 e 70 che versa in gran parte in uno stato di degrado. Dobbiamo preparare le nostre imprese sui
temi della sostenibilità e del risparmio energetico. Gli stessi alberghi sono stati in gran parte rin-
novati, ma un albergatore non sta mai fermo, deve continuare a qualificare e innovare le proprie
strutture, e anche questo è un’importante ambito di specializzazione e qualificazione per le nostre
imprese artigiane”. Luigi Casanova Cipra
“Un progetto di riqualificazione del nostro patrimonio edilizio e alberghiero è oggi irrinunciabile.
Gli alberghi costruiti negli anni 70 sono un colabrodo in termini energetici, ma anche per ridare un
po’ d’impulso all’edilizia e al settore dell’artigianato. Questo progetto andrebbe però incentivato
anche con un po’ di contributi pubblici, perché tanti albergatori si trovano in difficoltà a ristruttu-
rare la propria azienda, hanno già mutui di 15-20 anni. Dovrebbe comunque essere sicuramente
una priorità del piano territoriale di Valle”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a
fune val di Fassa e Carezza
“Dobbiamo lavorare tanto sul recupero del patrimonio edilizio esistente, dal punto di vista urbani-
stico. Creando anche strutture compatibili con l’ambiente, in legno, di classe energetica migliora-
ta. Quello delle politiche che favoriscono la riqualificazione energetica delle grandi strutture sia
pubbliche, sia private è un discorso certamente proponibile. Oggi l’energia costa tanto, il riscal-
damento e l’energia sono i costi più alti che abbiamo come albergatori”. Riccardo Franceschetti
Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.
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“Nell’edilizia stiamo vivendo un momento un po’ particolare. Parlando con gli artigiani comincia-
no a emergere situazioni di sofferenza, cosa che non c’era mai stata in valle. L’edilizia ha
un’importanza enorme nella nostra economia locale e temo che avremo un ridimensionamento del
settore. Non è un momento facile. I temi della riqualificazione e dell’edilizia sostenibile sono
senz’altro una strategia per affrontare la crisi del settore. Ma anche alle imprese è richiesto un
maggiore impegno. Se guardi a imprese di successo come Rasom vedi che il discorso vincente non
è soltanto il fatto di fare un’edilizia sostenibile. Rasom non vende solo una casa, vende un prodotto
finito, completo d’impiantistica, di progettazione, di servizi di manutenzione. Penso che le nostre
aziende edili potrebbero riuscire a fare lo stesso nel mattone, consorziandosi, alleandosi, non ven-
dendo più solo i muri o l’impianto, ma riuscendo a vendere un prodotto, che è un prodotto innova-
tivo, certificato, qualificato, che se gestito bene da anche dei margini più alti.” Franco Lorenz
Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF
Lo slogan di una rinnovata politica edilizia in val di Fassa potrebbe essere “meno metri cubi co-
struiti ma più intelligenza per metro cubo costruito, o ancor meglio, recuperato”. La sostenibilità
edilizia, il risparmio energetico, la riqualificazione e manutenzione del patrimonio esistente,
s’imporranno, nei prossimi anni, come un mercato di riferimento importante, anche per un oggettivo
problema di contenimento del consumo di suoli che, in una realtà come quella della val di Fassa,
rappresenta un dato estremamente sensibile.
E’ proprio in territori come la val di Fassa che possono prendere progressivamente forma una rin-
novata cultura di gestione del territorio (centri storici, vecchi nuclei, paesaggi), e nuovi modelli di
ospitalità turistica capaci di rispondere a una rinnovata domanda di fruizione più consapevole e at-
tenta ai valori ambientali, culturali della località. La qualità del costruito, sia come recupero di valo-
ri architettonici, storici, urbanistici, sia come nuove realizzazioni capaci d’inserirsi nel contesto, è
parte integrante di una rinnovata offerta turistica. Non va, inoltre, trascurata una domanda di abita-
zioni da parte dei residenti, che non trova, al momento, risposte in un'offerta economicamente alla
loro portata. La qualità del processo e del prodotto edilizio in chiave di sostenibilità, sia am-
bientale, sia sociale, diventano le discriminanti del nuovo ciclo immobiliare, e quindi della
competitività delle imprese.
Alle imprese del settore è oggi chiesto un salto di qualità che va sostenuto dall’ente pubblico e dalle
rappresentanze del settore, promuovendo logiche di filiera, azioni formative, sistemi di certificazio-
ne delle imprese e dei prodotti edilizi. Le imprese devono superare il tradizionale modello “costrui-
sci, vendi e fuggi”, per elaborare modelli di business orientati a elaborare nuove soluzioni residen-
ziali e alla gestione degli edifici lungo tutto il loro ciclo di vita. Le prospettive di questo comparto
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sono potenzialmente enormi; è richiesto, tuttavia, un grande impegno sia agli imprenditori, chiamati
a gestire operazioni più complesse (anche dal punto di vista progettuale e finanziario), sia alle pub-
bliche amministrazioni, cui s’impone uno scatto in termini di semplificazione, di omogeneizzazione
dei regolamenti edilizi comunali, di rapidità decisionale.
L’Ente pubblico può svolgere un ruolo strategico nel consolidamento della filiera edile locale.
In un settore quale quello delle costruzioni, in cui il tessuto imprenditoriale è fortemente polverizza-
to, è l’Ente pubblico a svolgere il vero ruolo di capofila. E’, infatti, l’Ente pubblico che svolge il
ruolo di regolatore (attraverso la pianificazione urbanistica, le norme e la fiscalità locale), che con-
diziona lo sviluppo del mercato (nel suo ruolo di committente di opere pubbliche e di edilizia resi-
denziale convenzionata), che promuove l’innovazione nel settore (attraverso norme, incentivi, si-
stemi di certificazione e garanzia). Vista la crescente riduzione delle risorse di cui dispongono le
Amministrazioni pubbliche è, inoltre, evidente che il partenariato pubblico - privato rappresenti una
strada obbligata per promuovere operazioni di riqualificazione del tessuto edilizio e sociale. Gli
stessi processi di revisione del sistema degli appalti, sempre più orientati al superamento dei criteri
del massimo ribasso, prevedono da parte degli enti appaltanti la capacità di valutare l’offerta eco-
nomicamente più vantaggiosa con criteri di valutazione che riguardano il prezzo, ma anche la quali-
tà, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il servizio
post-vendita, l’assistenza tecnica, il costo di utilizzazione e manutenzione, il termine di consegna,
ecc. Vi è poi la necessità di alleggerire le imprese dagli oneri finanziari legati alla mancanza di li-
quidità conseguente ai ritardi di pagamento che si riflettono lungo tutta la catena del subappalto e
che determina una tendenza, negli appalti pubblici, di stipulare contratti separati per le diverse lavo-
razioni, forniture, installazioni, con singole imprese specializzate.
In edilizia il vero problema non è l’attitudine delle imprese a cooperare tra di loro – sui cantieri già
lo fanno - quanto piuttosto favorire una forma più strutturata delle reti d’impresa, in modo da
abilitare gli investimenti in beni collettivi, consentire l’accesso a commesse di maggiore entità, o
ancora di progettare operazioni di portata superiore a quelle normalmente condotte. La filiera edili-
zia oggi non può più essere ricondotta al semplice rapporto tra general contractor e imprese specia-
lizzate. Sono necessarie competenze capaci di affrontare un mercato in cui sono sempre più sfumati
confini tra pubblico e privato e tra lavori e servizi e in cui l’impresa di costruzione è sempre più
chiamata a svolgere un ruolo a monte – promozione, innovazione e finanzia - e a valle – servizio,
gestione e manutenzione – del processo edilizio. E per questo che un progetto di consolidamento
di una filiera locale delle costruzioni deve anche coinvolgere i progettisti locali che spingono le
imprese ad adottare nuove soluzioni abitative e tecnologiche. Il rapporto tra impresa di costruzione
e progettista è ancora troppo spesso limitato alla mera fornitura del progetto, ma la nuova articola-
130
zione della domanda edilizia e la sempre maggiore assunzione di ruolo da parte dei committenti
stanno modificando anche il ruolo e la posizione dei progettisti. Da un lato, al progettista viene
sempre più chiesto di svolgere il ruolo d’integratore tra i saperi e le funzioni sempre più complesse
che caratterizzano il processo edilizio. Dall’altro lato, al progettista è sempre più chiesto di essere
interprete della domanda: di avere la capacità di cogliere i fenomeni emergenti espressi dalla società
e trasformarli in prodotti di architettura in grado di rispondere ai nuovi bisogni dell’abitare.
14. Investire su persone, famiglie e comunità.
I confini settoriali del turismo sono di difficile identificazione per il fatto che alcuni settori (com-
mercio, trasporti, intrattenimento, servizi sociali, ecc..), pur contribuendo in modo significativo al
prodotto turistico, sono rivolti anche alla comunità dei residenti. Da più parti si lamenta il fatto che,
durante il lungo periodo di crescita del fenomeno turistico, in val di Fassa si è forse troppo pensato
ai servizi per il turista e troppo poco a chi abita la Valle. La percezione non riguarda tanto i servizi
pubblici (scuola, sanità, assistenza sociale) il cui livello è dai più giudicato abbastanza soddisfacen-
te, ma la vita stessa della comunità. La stagionalità turistica con il suo alternarsi di periodi di apertu-
ra e periodi di chiusura dà origine a una sorta di “intermittenza esistenziale”: una costante e repenti-
na variazione del modello sociale di riferimento. Al troppo pieno si sostituisce il troppo vuoto (e vi-
ceversa), in un disequilibrio che non si manifesta solo nei modelli di fruizione del territorio (dalla
congestione, alla desertificazione) ma anche nei modelli di vita dei singoli e delle famiglie (stagio-
nalità del lavoro, occasioni di socialità, accessibilità ai servizi). Decenni di sviluppo turistico inten-
sivo hanno messo in secondo piano la dimensione della comunità e oggi ci s’interroga sulla tenuta
del tessuto sociale e sulla stessa continuità del modello imprenditoriale. Emerge forte una voglia
di “normalità” negli assetti di sviluppo economico e sociale: l’esigenza d’investire sulla comunità a
prescindere dal turismo.
“Dovremmo rivolgere una maggiore attenzione alla nostra comunità, non pensare solo al turismo.
Dobbiamo partire dal concetto che se tu stai bene, stanno bene anche i tuoi ospiti. Lo vediamo an-
che noi quando andiamo in giro: se una cosa è troppo artificiale, non ci piace e forse oggi la val di
Fassa è un po’ troppo artificiale. La monocultura turistica non fa bene alla convivenza sociale.
Tutto il lavoro è concentrato in pochi periodi dell’anno, nei periodi di scarsa presenza turistica c’è
poca socialità. Le famiglie hanno poca vita sociale o perché devono lavorare troppo in alcuni pe-
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riodi, o perché mancano occasioni di socialità in altri periodi. Quando chiudono gli alberghi, si ri-
trovano soli, poche amicizie, poca vita sociale, poco volontariato. I giovani sono trascurati, hanno
tanto benessere materiale, ma poche attenzioni. Questo provoca anche patologie sociali come l’uso
di alcol e di sostanze: c’è stato recentemente un episodio di violenza che ha avuto come protagoni-
sti ragazzi di ottime famiglie. Questi sono campanelli di allarme. Si tende a far finta di non vedere
certe problematiche. I genitori pensano che la scuola possa risolvere tutti i loro problemi, ma que-
sto non è possibile. Anche gli anziani hanno sempre meno ruolo nella famiglia. Tutti lavorano e
quindi c’è meno spazio per l’assistenza famigliare”. Annalisa Zorzi insegnante
“Da noi c’è una grande cultura del lavoro, facciamo tutti il doppio lavoro, l’albergatore è anche
maestro di sci. Per cui tutto questo impegno sul lavoro va a scapito della vita di comunità. Gli stes-
si giovani sono poco attratti dal volontariato e questo è colpa dei genitori, che spesso per primi non
partecipano alla vita della comunità. C’è stata una caduta di valori, di coesione sociale. Una volta
l’insegnante, il parroco, lo stesso sindaco, erano dei riferimenti per la comunità. Oggi non è più
cosi. La stessa Chiesa fa quello che può, se il parroco è giovane, riesce ancora ad aggregare i gio-
vani, se invece è anzianotto, come lo sono tanti, fa quello che può, e questa è una grande perdita di
valore comunitario”. Renzo Valentini Sindaco di Campitello
“I nostri giovani sono figli della loro epoca, vengono da una ricchezza eccessiva, non hanno dovu-
to fare fatica per ottenere qualcosa, soprattutto la generazione dai quarant’anni in giù. La nostra
economia è un tirare a campare. Tutti bene o male possono procurarsi un reddito, ma spesso sono
vite di basso profilo. Non voglio generalizzare, abbiamo tantissimi bravi giovani che studiano e
s’impegnano, però ci sono stati un paio d’eventi che danno da pensare: alcuni giovani che hanno
picchiato un turista inglese e poi una decina di ragazzi che hanno dato fuoco alla palestra di Cam-
pitello. L’alcol è una sostanza molto diffusa anche per una questione di legittimazione sociale. A
me fa paura vedere quanto bevono i giovani. Questi problemi esistono in Valle e sono dovuti alla
mancanza di punti di riferimento, di valori importanti per cui vale la pena d’impegnarsi. Sono po-
chi i giovani che si occupano di politica, di società, di volontariato e noi adulti non riusciamo a
proporre dei modelli positivi. Manca la generazione dei quarantenni che sia in grado di proporre
qualcosa ai ventenni, è un discorso a cascata. Fino a dieci anni fa il mondo del volontariato era il
nostro fiore all’occhiello, adesso è in enorme crisi, qualsiasi tipo di volontariato: ecclesiale, civile,
croce rossa, pompieri un po’ di meno, quello sportivo che regge solo quando c’è il premio. Io mi
accorgo che quando si parla di valori, per esempio sul mondo del volontariato, i giovani sono sen-
sibili, però vanno seguiti con una progettualità. Se c’è da impegnarsi su qualcosa per una stagione
132
che dà il suo frutto, riesci a coinvolgerli. Però tutte le attività che richiedono un impegno costante,
quotidiano, come la Croce rossa o i pompieri sono in crisi. La stessa Chiesa fino a vent’anni fa era
un luogo d’aggregazione, poi sono nati altri luoghi di aggregazione legati più che altro ai Pub, a
compagnie strane. Forse sono troppo negativo nell’esporre la situazione, ma queste sono le cose
che più mi preme cambiare. In questo momento a Fassa manca la capacità di valorizzare le idee,
mancano persone che s’impegnano con i giovani, che siano capaci di porsi come punto di riferi-
mento. Io ho molta ammirazione per quel che ha fatto un mio collega insegnante di religione Mi-
chele Malfar che oggi è vicesindaco di Cavalese, lui è vent’anni che lavora sui giovani e le fami-
glie. Ha fatto un centro giovani, ha avviato importanti progetti. Da noi c’è Silvano Ploner, il gior-
nalista, che ha fatto un interessante progetto di giornalismo nella scuola. C’è Tomas Zulian, anche
lui insegnante, che ha fatto rinascere gli ultras del Fassa Hochey, la squadra in serie A che stava
scadendo, erano quattro ragazzini di 14 anni che urlavano e insultavano tutti. Lui si è preso
l’impegno e adesso c’è questo bel gruppo di 20 ragazzi in serie A. Abbiamo poche persone di que-
sto genere. Non per trovare scuse, dalle persone non dipende tutto, ma dalla rete delle persone sì, e
ci vogliono le persone che fanno le cose, che abbiano le idee. Poi c’è il livello istituzionale su cui
impegnarsi. Abbiamo la Consulta sulla famiglia che però è allo stato iniziale. Come Comun Gene-
ral abbiamo istituito un nuovo organismo, il Consei general per l’educazion e la formazion, fatto da
persone provenienti dalla scuola ma anche dal territorio che ha l’obiettivo di dire dove vogliamo
arrivare, su che tipo di formazione vogliamo puntare. Sono convinto che nella fase attuale siamo in
un guado importante, siamo in un momento in cui cominciano a manifestasi segnali di crisi sia a
livello economico, sia a livello sociale. E quindi importante fermarsi, riflettere e decidere come ri-
partire”. Cesare Bernard Presidente Consei General.
Considerando i dati a livello provinciale, le dotazioni funzionali relative al settore della pubblica
amministrazione appaiono, nel complesso, molto al di sotto della media: è presente solo una sede
periferica dell’Agenzia del lavoro a Pozza di Fassa. Per quanto riguarda il settore istruzione, la do-
tazione è inferiore alla media provinciale. Le scuole elementari risultano abbastanza diffuse (solo
Mazzin e Campitello gravitano sui comuni vicini), mentre la scuola media è presente a Moena, Poz-
za e Vigo di Fassa. L’offerta per la formazione secondaria si concentra invece a Pozza di Fassa, do-
ve sono presenti un centro di formazione professionale e un Istituto superiore d’arte, che ospita uno
Ski College. Anche il livello delle strutture sanitarie risulta inferiore alla media provinciale. I ser-
vizi presenti (punto prelievi e guardia medica) sono a Pozza di Fassa. Le farmacie risultano più dif-
fuse, mentre gli ambulatori di base si trovano a Canazei, Moena e Pozza. La dotazione di servizi
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culturali e del tempo libero è, nell’insieme, superiore alla media provinciale. Le strutture sono
prevalentemente presenti nei centri di Canazei, Moena e Vigo di Fassa.
“Tra Fiemme e Fassa, le scuole fortunatamente ci sono. Abbiamo però, bisogno di asili nido per-
ché oggi le famiglie per tirare avanti hanno bisogno di due stipendi e non riescono a tirare su un
figlio senza un minimo d’assistenza. Non riescono a comprarsi una casa, figurati se riescono ad al-
levare un figlio. Non si può sempre contare sui nonni. Abbiamo ancora la fortuna di essere una
piccola comunità dove ancora la famiglia è un sostegno importante, ma anche da noi sta entrando
in crisi, perché l’assistenza è tutta buttata sulle spalle delle famiglie. Una prima esigenza è quindi
aiutare le giovani coppie: c’è bisogno di servizi alla famiglia. C’è poi un discorso di tutela della
salute più efficiente di quella attuale. Abbiamo una popolazione sempre più anziana e un forte tasso
di traumatologia anche per il tipo di vita che si fa qui, molto sportiva e all’aperto. Bisogna chiude-
re la filiera dell’ortopedia, da pronto soccorso fino alla riabilitazione, se no le lungodegenze ven-
gono scaricate ancora una volta sulle famiglie. Nelle nostre strutture ospedaliere, penso a Cavale-
se, abbiamo un forte tourn over di medici che vengono da fuori e che va risolto. Sono bravi medici,
ma non hanno conoscenza del territorio, delle persone, manca il rapporto con i medici di base. Tut-
ta la questione sanitaria andrebbe rivista, con maggiore energia e anche con maggiore autonomia
di programmazione. Il dato dolente è l’assistenza sociale, ormai i nostri uffici non riescono più a
rispondere alle esigenze delle persone: mancano soldi e manca personale. Ci sono forme di disa-
gio, basta pensare all’alcolismo, ma anche al disagio psichico. Se ci facciamo dare i dati del disa-
gio psichico da centro d’igiene mentale di Cavalese, sia in Fiemme, sia in Fassa, abbiamo le più
alte percentuali del Trentino di ricoverati rispetto alla popolazione. Abbiamo gli stessi dati della
val di Sole, che non a caso è un’altra area periferica. Le persone che ricorrono al servizio sono
sempre di più e sempre più giovani. Dobbiamo quindi pensare a un piano di servizi per la gente del
posto, e non solo per i turisti. Fino ad oggi abbiamo pensano molto ai servizi per i turisti, trascu-
rando la gente del posto. Oggi la politica deve farsi carico di questo problema. Dobbiamo investire
sulla nostra popolazione se vogliamo impedire processi d’omologazione, d’abbandono, di fuga dei
giovani, se no finiremo con lo svendere il nostro territorio e lo stesso benessere costruito dalle ge-
nerazioni precedenti”. Luigi Casanova Cipra
“Gli asili nido sono senz’altro una forte esigenza della nostra comunità. Penso in particolare alle
tagesmutter che potrebbero essere un’efficiente soluzione ai problemi della Valle. A Canazei ab-
biamo una ragazza che gestisce un tagesmutter, laureata in pedagogia. Per l’apertura dei tage-
smutter abbiamo delle difficoltà, dobbiamo appoggiarci a una cooperativa di Trento, bisogna fare
134
800 ore di formazione. Come Fassa e Fiemme abbiamo quindi chiesto di fare un corso qua, senza
dovere andare a Trento. C’è poi il problema degli anziani, non solo la casa di riposo, ma dei centri
di aggregazione che solo qualche comune possiede. I giovani fino ai diciott’anni, se vogliono impe-
gnarsi in qualche associazione di volontariato piuttosto che nello sport, non c’è che l’imbarazzo
della scelta. Le mamme si fanno in quattro per portare i figli a destra e sinistra, al calcio,
all’hochey, allo sci, alla danza. A Canazei c’è il cinema, anche a Moena ci sarà. Dopo i vent’anni,
molti studiano all’università fuori della Valle, però quando rientrano durante il fuori stagione per
loro, è un po’ dura. Solo a Moena c’è un bel centro giovani con un animatore in gamba”. Mariano
Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF
Nelle interviste realizzate sul territorio, il tema della coesione sociale è emerso trasversalmente in
tutte le considerazioni sui problemi e sulle opportunità di sviluppo della Valle. E’ stato evidenziato
come un accettabile grado di coesione sociale intesa come dotazione di beni relazionali, virtù
civiche, capacità di gestione e valorizzazione dei beni comuni, costituisce non solo un patrimo-
nio delle forme di convivenza, ma anche un fattore di competitività del tessuto economico.
Dalla coesione sociale dipende, infatti, un contesto particolarmente gradevole e accogliente, attratti-
vo per persone e investimenti. I meccanismi di coesione sociale, d’identità e di vivacità della cultura
locale, sono la precondizione essenziale per sviluppare offerte e competenze distintive e nel deter-
minare, di conseguenza, l’efficienza e lo sviluppo del sistema locale. Prendersi cura della propria
comunità significa anche impegnarsi affinché il territorio sia un posto dove vivere bene, dove trova-
re spazi, tempi di vita e servizi, adeguati alle esigenze delle persone (residenti e turisti) e alle emer-
genti necessità di una società in rapida trasformazione. Per far questo non è sufficiente intervenire
sui meccanismi di spesa e sull’organizzazione della domanda e dell’offerta di servizi sociali, ma bi-
sogna ricercare nuove forme di flessibilità nell’ambito di una visione più integrata e complessiva
che riguarda l’organizzazione sociale e il territorio.
Si sente forte l’esigenza di mettere al centro dell’azione politica della Comunità di Valle tre ri-
sorse che sono alla base dello sviluppo: le persone, le famiglie e la comunità. Sono queste le ri-
sorse su cui maggiormente si concentrano le contraddizioni di una modernizzazione incompiuta e
da cui ripartire per fare società adeguata ai tempi.
Le persone vivono oggi un diffuso senso d’insicurezza. Le trasformazioni sociali ed economiche
connesse alle incertezze dell’attuale fase di crisi hanno indebolito quelle sicurezze e quelle garanzie
che tutti davano per acquisite rispetto a temi fondamentali quali sono: il lavoro, il risparmio, il futu-
ro dei figli, la casa, le forme si convivenza. Specialmente in un settore come quello turistico,
l’attività economica propriamente intesa si confonde con la vita personale e da questa in certa misu-
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ra finisce per dipendere. In tale contesto il welfare assume la funzione di “risorsa abilitante” che
consente alle persone di rispondere efficacemente alle esigenze produttive perché i servizi di welfa-
re danno loro un retroterra adeguato alla copertura dei loro bisogni di base. La casa, la scuola, la
mobilità, la salute, la qualità della vita, la previdenza e l’assistenza, il rischio di un reddito che spes-
so non può essere dato per sicuro, ma che non può lasciare scoperta la famiglia che su di esso conta,
sono problemi che intersecano la vita lavorativa di ogni persona. Emergono nuove esigenze sociali
e si amplia la sfera d’azione del welfare arrivando a comprendere: le nuove forme dei lavori ancora
prive di tutele, le dimensioni d’impresa ancora prive di ammortizzatori sociali, ma anche le fasce
del ceto medio messe in difficoltà dagli andamenti del costo dei mutui, dai crescenti oneri familiari
per assistere gli anziani e i malati, dagli investimenti necessari per garantire un’adeguata istruzione
ai figli e dai tempi sempre più lunghi per l’inserimento di questi ultimi nel mondo del lavoro. La vi-
ta sociale trova sempre meno sponde su cui appoggiarsi per assorbire il rischio diffuso, che ciascuno
avverte come proprio e personale. Compito della politica è ricostruire queste sponde.
“Il problema è che siamo arrivati a un punto in cui, per parlare d’economia, bisogna prima di tutto
parlare della persona, perché senza le persone l’economia non va avanti. Il mondo economico è
sempre fatto di persone: è lo star bene delle persone che produce economia. La crisi del nostro
modello d’offerta dipende anche da questo. Siamo cresciuti su meccanismi di autosfruttamento e
questo produce patologie sociali. La val di Fassa si accende l’8 dicembre e si spegne a Pasqua, si
riaccende un po’in estate e si spegne di nuovo a settembre. Fuori stagione ognuno va a curarsi. I
medici di base ci dicono che a livello di adulti c’è un alto consumo di psicofarmaci. Basta guardare
il numero d’interventi presso il centro di salute mentale per capire che questa è una società in sof-
ferenza. Con i giovani c’è il problema dell’alcolismo: se a livello nazionale s’inizia a bere a 11-12
anni, in Trentino a 11, in val di Fassa s’inizia a 10 anni. Mi dicono che aumentano le separazioni,
le famiglie entrano in sofferenza. I giovani non ne vogliono sapere di portare avanti le aziende di
famiglia, cercano altri modelli. L’imprenditorialità è scesa a zero perché nessuno vuole più ri-
schiare. Tra i giovani c’è la rincorsa a un posto fisso che non esiste più, per cui ci si adatta. Fin
quando lo stipendio stagionale regge, il lavoro nero, l’assegno di disoccupazione, uno vive in pace,
pur di non dover combattere una vita con i propri genitori. Lo stesso anziano, oggi ha problemi
molto alti di salute, molto più gravi che in passato. Le cause sono lo stress, gli abusi di farmaci. Gli
anziani continuano a lavorare fino alla fine. Mio suocero, a settant’anni, si alza alle sette del mat-
tino e finisce di lavorare a mezzanotte. E non puoi fermarlo. Mia suocera che ha 78 anni,
quest’anno che sua figlia ha preso un rifugio, lavora in rifugio dalle sette del mattino alle diciotto.
Un anziano che lavora, non appena si ferma per qualche problema, scoppia. Ma è normale. C’è poi
136
l’ipocrisia di non volere farsi aiutare, di nascondere i problemi. E allora si tende a tenere l’anziano
in casa fino all’ultimo momento, però quell’ultimo momento può provocare dei danni in famiglia.
Ricordo un mio coetaneo che diceva che non avrebbe mai portato sua madre alla casa di riposo,
però alla fine hanno dovuto ricoverare d’urgenza sua moglie con un grave esaurimento di depres-
sione. Per tanti anni ci sono stati tanti soldi per tutti, fino a quando l’economia cresceva, nessuno
badava a queste problematiche, ma ora ci si comincia a interrogare”. Elio Liberatore Presidente
APSP Fassa.
La rete parentale storicamente ha sopperito alle carenze del sistema pubblico, ricoprendo il ruolo di
risorsa implicita del welfare. Tuttavia, gli attuali processi demografici e sociali, indeboliscono que-
sto ruolo tradizionale della famiglia e rendono più urgenti misure politiche direttamente orientate al
nucleo familiare come tale. Nonostante il diffuso riconoscimento della famiglia quale valore da di-
fendere, l’istituzione familiare è raramente considerata come un soggetto sociale, diretto destinata-
rio (ma anche erogatore) di servizi di welfare. La stessa politica sociale per la famiglia è considerata
come un sottoprodotto delle altre politiche sociali. Lo scarso sviluppo delle politiche familiari è in
parte riconducibile all’ottimismo con cui si è sempre guardato alle reti di solidarietà familiare e ge-
nerazionale (in netta prevalenza femminili), che rappresentano ancora un puntello essenziale a so-
stegno dei compiti di riproduzione sociale e di cura svolti dalla famiglia. La maggiore partecipazio-
ne delle donne al mondo del lavoro consente oggi alle famiglie il cumulo di più redditi e quindi un
tenore di vita economicamente migliore, ma allo stesso tempo le donne continuano ad accollarsi le
maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari, indipendentemente dal regime di wel-
fare e dalle specifiche politiche familiari e per l’infanzia adottate a livello politico. L’esigenza è di
garantire la partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma perché ciò avvenga, è necessario un
progressivo avvicinamento tra politiche per il lavoro e quelle per la famiglia, partendo dal pre-
supposto che i livelli di offerta di lavoro sono direttamente influenzati dalle condizioni con cui sono
gestiti i rapporti familiari. La possibilità di trovare un equilibrio soddisfacente tra lavoro e famiglia
non dipende, infatti, solo dalle opportunità di accesso al mercato del lavoro: un ruolo altrettanto im-
portante assumono le politiche che, in diversa forma e misura, sono rivolte alle famiglie sia in quali-
tà di fruitori, sia di erogatori di servizi sociali.
Svariati processi di cambiamento sociale ed economico hanno, inoltre, portato alla (ri)scoperta della
comunità come luogo d’effettiva accumulazione di risorse (beni comuni) funzionali allo sviluppo
della stessa comunità. In val di Fassa, come nel resto delle valli trentine, lo sviluppo sociale ed eco-
nomico si è tradizionalmente fondato su meccanismi cooperativi e mutualistici di gestione dei beni
comuni, dove la manutenzione del territorio era garantita dalle antiche regole degli usi civici e dove
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l’economia era infrastrutturata da micro autonomie funzionali d’uso collettivo. Un’attitudine ad au-
to-organizzarsi attorno ai propri bisogni che dava luogo a istituzioni di comunità come sono ad e-
sempio, ancora oggi, i vigili del fuoco volontari o il consorzio elettrico comunale. Mutue, coopera-
tive, leghe e associazioni condividevano un obiettivo fondamentale: fornire beni e servizi al minor
costo possibile, per servire l’interesse reciproco dei membri della comunità e, in senso più ampio,
garantire un servizio d’interesse comune che lo Stato era ancora lungi dall’assicurare. Oggi, a fronte
della crisi del Welfare State e dei modelli fordisti di organizzazione del lavoro tali meccanismi ri-
tornano di grande attualità. Accanto alla tradizionale offerta di welfare pubblico - in parte depoten-
ziata – assumono un ruolo le proposte, le iniziative di altri modi di rispondere a vecchi e nuovi bi-
sogni sociali. Attraverso il mutualismo, le associazioni di volontariato, il terzo settore, le cooperati-
ve, le persone riscoprono l’esigenza di dare una risposta auto-organizzata ai propri bisogni. Il rin-
novato clima di coesione sociale ed economica, necessario per affrontare le sfide della modernità
sostenibile può nascere solo “dal basso” stimolando le energie creative e cooperative delle persone,
promuovendo l’integrazione tra welfare e imprenditorialità (tra comunità di cura e comunità opero-
se)2 e valorizzando le specificità dei territori. Allo stesso modo tornano ad assumere centralità – in
un’ottica di sviluppo locale - quelle risorse della comunità che generalmente sfuggono alla regola-
zione pubblica o del mercato. Tali beni comuni hanno natura diversa, ma tutti svolgono un ruolo
strategico nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Tra essi possiamo ricomprendere beni:
• di tipo ambientale, (aria, acqua, suolo, paesaggio, foreste, biodiversità….);
• di tipo territoriale (posizionamento, spazi e infrastrutture di tipo materiale e immateriale);
• di tipo culturale (tradizioni, patrimonio storico artistico, stili di vita, livelli di scolarizzazione…);
• di tipo economico (specializzazioni produttive, saperi contestuali, nuovi lavori, creatività, inno-
vazioni, reti e filiere);
• di tipo sociale (coesione, fiducia, identità, reputazione, sicurezza, servizi, associazionismo, vo-
lontariato, ecc.).
La sfida della programmazione nelle Comunità di Valle è la capacità di trasformare questi beni co-
muni in quelli che possono essere definiti beni competitivi territoriali, che la comunità locale ha a
disposizione per ridefinire le proprie dinamiche di sviluppo. Perché ciò avvenga, sono necessari
modelli di riproduzione e valorizzazione dei beni comuni fondati sull’intelligenza auto organizza-
trice dei diretti interessati, ovvero delle comunità che sono direttamente interessate al buon fun-
zionamento della risorsa e al suo miglioramento in quantità e qualità. E’ solo in tale ottica che è
perseguibile un modello di sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile (sul piano ambientale, so-
2 Aldo Bonomi “Sotto la pelle dello Stato: rancore, cura, operosità” Feltrinelli 2010
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ciale, economico) non nasce, infatti, da un limite esterno posto allo sviluppo, ma dalla capacità di
autoregolazione dello sviluppo stesso da parte dei soggetti che sono interessati a migliorare la pro-
pria qualità della vita e il proprio benessere.
15. Quali possibili indirizzi per il Documento preliminare
15.1 Le strategie vocazionali della Val di Fassa
Come sottolineato nell’allegato E al Piano Urbanistico provinciale le specifiche condizioni della
Valle di Fassa suggeriscono di porre particolare attenzione e di dare specifico impulso alle strategie
vocazionali orientate a:
• integrare le politiche di sviluppo turistico, legate in particolare ai poli sciistici, con gli altri setto-
ri economici, al fine di valorizzare le risorse culturali, ambientali e paesaggistiche secondo mo-
delli di allargamento delle stagioni turistiche;
• perseguire un uso sostenibile delle risorse forestali e montane, ricercando l'adeguata connessio-
ne tra attività produttive e territorio;
• perseguire lo sviluppo ordinato degli insediamenti, al fine del mantenimento dell'identità del ter-
ritorio;
• organizzare la gerarchia delle reti infrastrutturali, incrementando l'intermodalità e il potenzia-
mento del trasporto pubblico, per risolvere gli inconvenienti dovuti alle punte di flusso turistico;
• perseguire un’equilibrata ed efficiente distribuzione dei poli per servizi e terziario, per un'utenza
dimensionalmente variabile in relazioni ai flussi turistici.
Tali indirizzi e strategie vocazionali hanno trovato una conferma, e una più approfondita articola-
zione, in quanto emerso dal percorso di ricerca-azione svolto a livello locale. Un tentativo di sin-
tesi del racconto fatto dagli attori locali (integrato con alcuni documenti di programmazione già ela-
borati dal Comun General3) porta a individuare i temi (e possibili indirizzi di pianificazione) ripor-
3 - Criteri e indirizzi generali per la definizione delle politiche di bilancio, integrati con le linee programmatiche per i primi cinque anni del Comun General de Fascia (24/11/2010) - Piano Sociale di Comunità (26/03/2012) - “Fascia tel davegnir” Accordo di programma tra il Comun General de Fascia e la Provincia Autonoma di Trento
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tati nei seguenti paragrafi, che potranno essere posti alla base del documento preliminare di pro-
grammazione e del conseguente processo di concertazione e confronto pubblico.
15.2 Infrastrutture e mobilità
Il Comun General de Fascia, pur non avendo specifiche competenze in materia di viabilità e mobili-
tà, ritiene questa materia d’importanza strategicamente fondamentale per lo sviluppo socio econo-
mico della Valle. Per questo ha ritenuto opportuno procedere all’individuazione di alcuni obiettivi
di carattere generale volti soprattutto a evidenziare problemi, criticità e possibili soluzioni, da pro-
porre e concertare con la Provincia ma anche con gli enti territoriali confinati.
Per ciò che concerne la mobilità interna, sono già state messe in campo esperienze positive che il
Comun general s’impegna a valorizzare anche in futuro. Vanno citati in questo senso il sistema di
mobilità invernale (Skibus) e il progetto del Panoramapass (skipass e mezzi pubblici) molto apprez-
zati e in continua crescita.
Il sistema di collegamenti in, tra e fuori valle rappresenta una delle criticità e delle grandi sfide per
il futuro della val di Fassa. In questo contesto deve essere approfondito e studiato un sistema di mo-
bilità pubblica alternativa sull’asse di Valle implementando il servizio attuale e favorendo le con-
nessioni anche con la vicina Valle di Fiemme. Da questo punto di vista è importante condividere le
iniziative che stanno prendendo forma in Fiemme per l’avvento dei mondiali di sci nordico del
2013. Studiando soluzioni che favoriscano l’uso di mezzi sempre meno inquinanti e con nuove tec-
nologie (metano, elettrici e ibridi), favorendo anche la realizzazione di stazioni di approvvigiona-
mento con le nuove fonti energetiche.
Va posta molta attenzione alle iniziative di mobilità verso la valle di Fassa a partire dal progetto
“Metroland” della PAT che potrebbe dare importanti soluzioni. Anche il progetto dell’Associazione
“Transdolomites” va discusso e approfondito per capire se all’interno di entrambe le ipotesi vi sia
una reale possibilità di creare un collegamento ferroviario della val di Fassa con la città di Trento.
Nell’ottica della mobilità alternativa e della sostenibilità si ritiene che gli impianti a fune possano
giocare un ruolo di primaria importanza. I grossi investimenti realizzati dall’imprenditoria impianti-
stica della Valle sono una risorsa importante da mettere in gioco. E’ sempre più importante la fun-
zione degli impianti di risalita anche sotto il profilo della mobilità e degli accessi ai principali passi
dolomitici. Per questo si ritiene strategica la programmazione di queste infrastrutture non solo in
chiave turistica. Infine vanno coordinati gli interventi e favorita la connessione e il collegamento
140
impiantistico tra le diverse zone della Valle (Alba – Belvedere; Buffaure – Catinaccio; Moena – So-
raga – Passo di Costalunga; Moena – San Pellegrino).
Altro tema molto discusso in questi ultimi anni è legato alla limitazione degli accessi sui passi do-
lomitici soprattutto dalla parte altoatesina. Si ritiene indispensabile giungere a una proposta con-
giunta tra le comunità ladine magari affrontando la questione anche all’interno del tavolo della “Lia
di Comuns Ladins”.
Sul piano della viabilità interna ed esterna alla Valle si sottolineano le seguenti esigenze:
• il necessario completamento delle varianti stradali ai paesi da Soraga a Canazei, dopo la positiva
esperienza di Moena va chiesto che esse siano programmate e inserite nel piano pluriennale del-
le opere stradali della PAT.
• la progettazione di una proposta congiunta a livello di valle per la viabilità delle vallate periferi-
che (Val Duron, Contrin, Monzoni – San Nicolò, Gardeccia, Fuchiade ecc.).
• attivarsi nelle sedi competenti per sollecitare opere di miglioramento della S.S. n. 241 che colle-
ga la val di Fassa con Bolzano e il potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico fra la val di
Fassa e il capoluogo altoatesino attraverso il Passo di Costalunga e la val d’Ega.
15.3 Riqualificazione del patrimonio edilizio
Lo sviluppo turistico dei decenni recenti ha profondamente modificato l’economia e l’assetto terri-
toriale della Valle, inducendo crescita demografica e una poderosa produzione edilizia. Il sistema
insediativo tradizionale è stato modificato pesantemente, con l’abbandono delle attività agricole e la
crescita dell’edificato attorno ai vecchi centri, anche con iniziative di grande dimensione avulse dal
contesto locale. Nel fondo valle, lungo l’asse viario principale, si è creata una conurbazione lineare
che, per numerosi mesi dell’anno, appare disabitata e che rende, in molti casi, irriconoscibili i nuclei
originari.
In particolare, è ai complessi edilizi risalenti agli anni ’60 e ’70 che si deve in gran parte l’enorme
sproporzione oggi esistente tra gli alloggi dei censiti e le seconde case. Il tasso elevato di seconde
case costituisce un fattore rilevante d’alterazione sia del mercato turistico (sbilanciamento verso una
ricettività non imprenditoriale, decadimento qualitativo dell’offerta turistica), sia del mercato im-
mobiliare (alti valori immobiliari, difficoltà per i residenti nell’accesso alla prima casa, alti costi di
realizzazione e gestione di servizi e infrastrutture).
Si tratta di un patrimonio edilizio non utilizzato per gran parte dell’anno e che spesso versa in stato
di degrado. Analoghe situazioni di abbandono e degrado sono rilevabili in diversi insediamenti al-
berghieri e residence che, in anni recenti, hanno cessato l’attività.
141
A fronte di politiche provinciali che hanno posto un freno a un’ulteriore espansione della residen-
zialità turistica e che stanno fortemente incentivando i temi della sostenibilità ambientale e sociale
dell’abitare, a livello di Comun general si presenta l’opportunità di un ambizioso programma di ri-
qualificazione del tessuto urbano e adeguamento del consistente patrimonio edilizio esistente a cri-
teri di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica. I temi della riqualificazione, gestione e con-
duzione ecosostenibile del patrimonio edilizio stanno assumendo sempre di più il ruolo di priorità
dominante nel mercato immobiliare. Nei prossimi anni costituiranno il segmento più dinamico
dell’intero mercato edilizio.
L’Ente pubblico può incidere significativamente su tale mercato operando sulle leve a sua disposi-
zione: è, infatti, l’ente locale che svolge il ruolo di regolatore (attraverso la pianificazione urbanisti-
ca, le norme e i regolamenti edilizi comunali che vanno omogeneizzati e la fiscalità locale), che
condiziona lo sviluppo del mercato (nel suo ruolo di committente di opere pubbliche e di edilizia
residenziale convenzionata), che promuove l’innovazione nel settore edilizio e immobiliare (attra-
verso norme, incentivi, sistemi di certificazione e garanzia).
15.3 La ricettività turistica extralberghiera
Nel racconto fatto dai testimoni privilegiati intervistati, è stato evidenziato come, questo complesso
tema delle seconde case, possa essere affrontata solo con interventi capaci d’integrare: politiche di
regolazione del mercato immobiliare, interventi di riqualificazione urbanistica, ma anche azioni di
riqualificazione dell’offerta extralberghiera. Vi è, infatti, da evidenziare come una significativa quo-
ta di seconde case presenti in Valle sia di proprietà di residenti. Tali seconde case sono immesse sul
mercato turistico e costituisco un importante fonte d’integrazione del reddito per molte famiglie del-
la Valle. Sono circa 2.544 le seconde case dei residenti immesse sul mercato turistico e complessi-
vamente costituiscono circa il 20% dell’offerta di posti letto turistici a livello locale.
Come più volte evidenziato nel corso delle interviste, la forte disponibilità ricettiva presente in Val-
le da fattore di competitività sembra oggi tramutarsi in un limite allo sviluppo della località.
L’esigenza di riempire un cosi alto numero di posti letto, la frammentane dell’offerta, una domanda
con minore disponibilità di spesa, determinano una concorrenza interna al sistema locale. Gli opera-
tori, sia delle strutture certificate, sia degli alloggi privati, rischiano di innescare una pericolosa spi-
rale competitiva fondata sulla riduzione dei prezzi e una conseguente minore qualità dell’offerta.
Per il bene delle attività esistenti e della redditività che l’intero sistema economico fassano si aspet-
ta dal turismo, andrebbe fatto un ragionamento di selettività e di specializzazione dell’offerta, in
particolare nel settore extralberghiero. Tale segmento di offerta è molto importante per la val di
Fassa, già caratterizzata dalla carenza di modelli d’ospitalità diffusa quali sono gli agriturismi e i
142
Bed & Breakfast. Ma è proprio la ricettività extralberghiera a soffrire maggiormente dell’aumentato
clima competitivo non disponendo di efficienti strumenti di qualificazione, promozione e commer-
cializzazione. A fronte delle crescenti difficoltà di riempire i propri posti letto, sono molte le struttu-
re private lasciate vuote, anche durante le stagioni turistiche, contribuendo a una generalizzata per-
cezione di abbandono. La minore redditività determina una contrazione degli investimenti e delle
stesse attività di manutenzione degli immobili. Gli operatori e i proprietari sono costretti a rastrella-
re target di clientela sempre più marginali e si dequalifica lo stesso rapporto con l’ospite: prenota-
zioni non garantite, prezzi discordanti da quelli indicati in un primo tempo, alloggi non corrispon-
denti alla descrizione, servizi assenti. Nel comparto degli alloggi privati cresce la quota di mercato
sommerso, al di fuori di qualsiasi forma di controllo statistico e amministrativo. In particolare, è dif-
ficile verificare da parte delle amministrazioni locali lo stato e le condizioni igieniche delle unità a-
bitative utilizzate a fini turistici.
Senza adeguate politiche di governo della residenzialità turistica e di riqualificazione dell’offerta
extra alberghiera è inevitabile che, in breve tempo, una quota rilevante di alloggi vada fuori merca-
to. Per affrontare tali problematiche è necessario un ruolo attivo dei soggetti locali che hanno re-
sponsabilità amministrative e promozionali e che possono intervenire con azioni volte all’emersione
dell’offerta nell’extralberghiero e con politiche di carattere urbanistico e di fiscalità locale. Bisogna
introdurre elementi di competizione che facciano uscire progressivamente dal mercato i soggetti
meno attrezzati, quelli che sopravvivono solo perché oggi il mercato si presenta opaco. Bisogna par-
tire dalla trasparenza dell’offerta e da sistemi di garanzia per il turista. Anche nel settore extralber-
ghiero, così com’è avvenuto nel settore alberghiero, vanno introdotti standard minimi di qualità e
garanzia, a tal fine uno strumento importante potrebbe essere il “Progetto Genziane” introdotto a li-
vello provinciale. Non ultima, è anche l’opportunità di immettere una quota di questo patrimonio
immobiliare sul mercato della prima casa.
15.4 La prima casa per i residenti
Lo sviluppo del settore turistico in val di Fassa ha coinciso - come in altre località turistiche - con lo
sviluppo del settore delle costruzioni: per i turisti la domanda di loisir e di accesso ad amenities pa-
esaggistiche e ambientali si è intrecciata con le opportunità d’investimento in un bene immobiliare.
Tale domanda turistica ha determinato un aumento del consumo di suolo in aree ambientali di pre-
gio e un aumento dei valori immobiliari con conseguenti difficoltà di accesso al mercato della casa
da parte della popolazione residente.
Come evidenziato dalle interviste, le amministrazioni locali hanno fino ad oggi affrontato il pro-
blema della prima casa destinando lotti di terreno a uso residenziale, favorendo la costituzione di
143
cooperative edilizie e, dove possibile, promuovendo il riuso del patrimonio edilizio esistente vinco-
landolo a prima abitazione. Si tratta di politiche che, al momento, hanno consentito di fornire rispo-
ste puntuali e parziali, che però non sono state in grado d’incidere significativamente sui meccani-
smi di rendita immobiliare che ancora oggi limitano l’accesso alla prima casa.
La stessa edilizia residenziale pubblica è stata finora gestita della Provincia. Il trasferimento al Co-
mun general di tale competenza dovrà essere accompagnato dalla predisposizione di programmi
d’intervento e linee d’indirizzo per il dimensionamento dell’edilizia pubblica e agevolata. L’edilizia
pubblica residenziale rappresenta comunque anch’essa una risposta parziale al problema casa.
L’attuale situazione di crisi internazione - generata proprio dallo scoppio della bolla immobiliare -
unitamente a fattori di pressione sul fronte demografico, sociale ed economico sta oggi profonda-
mente modificando i termini del problema casa, dimostrando come la rigidità di un’offerta tutta ba-
sata sulla casa in proprietà, risulta accrescere le situazioni di disagio abitativo. Ancora oggi, in un
contesto di profondi mutamenti socio-economici (che, hanno coinvolto la produzione, il lavoro, il
welfare) l’offerta del “bene casa” continua a rimanere ancorata ai vecchi schemi dell’abitazione di
proprietà, della rendita immobiliare, di offerte abitative relativamente standardizzate. A fronte di ta-
le rigidità dell’offerta, si assiste oggi a un’evoluzione della domanda d’abitazione, espressa non solo
dalle fasce più deboli della popolazione, ma anche da una fascia sempre più vasta di ceto medio che
con la crisi si è impoverito e ha sempre maggiori difficoltà ad accedere al mercato della casa, senza
comunque possedere i parametri che consentono l’accesso ai programmi di edilizia pubblica resi-
denziale. Si pensi, ad esempio, alle giovani copie di lavoratori precari e alle loro famiglie che hanno
sempre maggiori difficoltà nel sostenerli nell’acquisto della prima casa.
Tali mutamenti socio-economici suggeriscono l’opportunità d’incentrare le politiche della casa
sull’affitto, piuttosto che sulla casa in proprietà, enfatizzando il ruolo dell’abitazione come servizio.
In tale direzione vanno ad esempio le recenti politiche di social housing - avviate anche a livello
provinciale - che in virtù della loro capacità d’integrare gli aspetti di sostenibilità ambientale, eco-
nomica e sociale possono rappresentare un’efficace risposta al problema della prima casa in aree a
forte tensione abitativa, qual è appunto la val di Fassa.
15.5. La valorizzazione dei paesi
Un processo di valorizzazione e diversificazione dell’offerta turistica in val di Fassa deve necessa-
riamente passare per un processo di riqualificazione, non solo del patrimonio edilizio esistente, ma
anche del tessuto urbano. Le interviste condotte nell’ambito della presente indagine hanno bene e-
videnziato come gli aspetti di vivibilità, di servizio e di percezione del tessuto urbano rappresentino
144
oggi le principali problematiche della località. Nei periodi di maggior afflusso turistico gli ospiti ri-
trovano l’affollamento, il traffico, il rumore, l’inquinamento che hanno lasciato in città, in una sorta
di trasposizione dei modelli di vita cittadina in montagna.
La specializzazione spinta dell’offerta turistica sulla monocultura dello sci, in una logica che può
essere definita industriale - incentrata su una logistica spersonalizzata dei flussi turistici -, rischia di
livellare quegli elementi culturali e di qualità sociale e ambientale che creano turismo. Nel periodo
di forte crescita del fenomeno turistico tali aspetti sono stati in parte trascurati ma oggi vanno recu-
perati in considerazione del fatto che assumono un ruolo importate nel completamento delle offerte
della località e nel fornire risposta ai bisogni di un’importante quota di turisti non interessati alla
pratica dello sci. L’esigenza è sviluppare un sistema articolato ma integrato di offerte capaci
d’intercettare una domanda sempre più segmentata e sempre più alla ricerca di elementi di autentici-
tà, di quei ritmi di vita più lenti, e quindi più umani, che ci si attende dal soggiorno in una località di
montagna.
La qualità di vita nei paesi è un aspetto fondamentale dell’offerta turistica. La montagna è per defi-
nizione un luogo di soddisfacimento di bisogni post acquisitivi, di ambiente, di benessere, di cultu-
ra, di relazioni sociali. La montagna si presta a essere un luogo di produzione di cultura e socialità,
sia per la ricchezza di ambienti e contenitori che possono fare da scenario a questi eventi, (centri
storici, edifici di valore storico), sia per la ricchezza del tessuto di relazioni sociali. Ma l’offerta che
la montagna è in grado di produrre va infrastrutturata, articolata, integrata, confezionata, resa fruibi-
le al turista e a chi vive in questi luoghi. La qualità dei paesi, la rivitalizzazione delle relazioni so-
ciali, l’incremento di offerte di consumo culturale, l’accesso ai servizi, devono essere tra gli obietti-
vi primari del piano territoriale di comunità.
I progetti di circonvallazioni e parcheggi sono oggi un’importante occasione per togliere il traffico
dai paesi ma tali progetti devono essere integrati con una serie articolata d’interventi. Recuperare e
riservare ai pedoni i centri storici; curare l’arredo urbano; valorizzare elementi tipici della vita di
paese come possono essere gli orti e i giardini privati; valorizzare le botteghe artigiane, i negozi e i
ristoranti con i prodotti del territorio; valorizzare gli spazi pubblici, sia all’aperto, sia al chiuso; rea-
lizzare le piste ciclabili; ampliare gli orari d’apertura dei servizi commerciali, di musei e bibliote-
che; riservare al turismo un’ospitalità “calda”; realizzare nelle scuole programmi di educazione al
gusto, all’estetica e all’ospitalità; sono tutti programmi che le amministrazioni pubbliche devono at-
tuare se si vuole fondare la strategia di sviluppo del territorio sulla valorizzazione delle differenze e
della qualità.
145
15.6 Tutela e valorizzazione del territorio agricolo
Gli alti livelli di consumo di suolo rappresentano oggi una delle principali problematiche per la pro-
grammazione urbanistica. Tali problematiche sono particolarmente evidenti in un territorio montano
come quello fassano, dove la scarsità di suolo edificabile nei fondovalle produce conflittualità tra i
diversi modelli d’uso del territorio: agricoltura, residenza, turismo, infrastrutture, insediamenti pro-
duttivi. Come evidenziato nei punti precedenti, le politiche edilizie in val di Fassa andrebbero indi-
rizzate alla riqualificazione e al riuso del consistente patrimonio edilizio esistente, riducendo al mi-
nimo le nuove espansioni urbanistiche e destinando i suoli di fondovalle all’attività agricola. Tale
politica trova quattro fondamentali motivazioni. La prima è l’effettiva carenza di suoli lasciati liberi
dalle urbanizzazioni. La seconda riguarda la percezione del contesto paesaggistico in un’area di
grande pregio ambientale e a forte vocazione turistica. La terza riguarda la valorizzazione
dell’attività agricola in un’ottica di diversificazione e maggiore integrazione dell’economia di Valle.
La quarta motivazione riguarda il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo che l’agricoltura
svolge nella manutenzione del territorio montano.
L’agricoltura in val di Fassa è stata considerata per decenni il retaggio di un’economia di sussisten-
za che non poteva certo convivere con la modernità dell’emergente economia turistica. La domanda
di aree edificabili ha portato alla contrazione dei terreni destinati all’agricoltura e a una rapida con-
versione delle attività agricole in attività turistiche. Nonostante ciò, a partire dal 2000, si rileva
un’inversione di tendenza, grazie a nuovi investimenti da parte di giovani agricoltori. Il ricambio
generazionale nel settore agricolo, specificamente zootecnico, è stato fortemente sostenuto
dall’Amministrazione provinciale, sia attraverso l’erogazione di finanziamenti, sia tramite il soste-
gno fornito allo sviluppo di attività complementari (agriturismo, ecc.) in grado d’integrare significa-
tivamente il reddito d’impresa. La specializzazione zootecnica dell’agricoltura locale è dovuta al
fatto che la gran parte del territorio giace tra i 1000 e i 2000 m. s.l.m., le colture praticabili sono
quasi unicamente rappresentate dai prati e dai pascoli e quindi l’allevamento del bestiame rappre-
senta la principale forma di sfruttamento economico razionale del territorio. Il fondovalle, lasciato
libero dalle edificazioni, presenta terreni fertili con superfici a prato, utilizzate per produrre le scorte
invernali di fieno dalle aziende zootecniche. Tali caratteri evidenziano l’opportunità di specifiche
politiche orientate al sostegno dell’attività zootecnica, in particolare rispetto alla valorizzazione e
gestione dei suoli nel fondovalle. In tale ottica le politiche territoriali del Comun general dovrebbe-
ro essere dirette a favorire l’insediamento di nuove aziende agricole, a perseguire una più razionale
sfruttamento delle risorse foraggere del territorio, a incentivare le azioni di bonifica realizzate dalle
146
imprese in aree in cui sia possibile lo sfalcio meccanizzato e a perseguire una razionale distribuzio-
ne dei liquami sui terreni al di fuori dei periodi di maggiore presenza turistica.
15.7 L’uso sostenibile delle risorse forestali e montane
L’economia della manutenzione diviene centrale per i territori che devono le potenzialità del loro
sviluppo al fatto di essere ecologicamente attrattivi. La capacità di produrre turismo partendo dalle
specificità locali, è un obiettivo che pone il territorio e la sua manutenzione al centro di una sempre
maggiore attenzione e che rimanda al ragionare su cosa significhi oggi l’agricoltura di montagna e
la dimensione ecologica del bene territorio. Gli aspetti di gestione del territorio non riguardano solo
le aree di fondovalle, ma si allargano agli ambiti forestali e montani.
Anche rispetto a tali ambiti l’agricoltura svolge un essenziale ruolo di manutenzione del territorio.
Risalendo di quota il pascolamento si estende all’interno di aree prevalentemente forestali in cui la
copertura erbacea e arborea possono essere compresenti in proporzioni diverse. Tali pascoli di mez-
za montagna sono quelli più soggetti a inselvatichimento. La superficie forestale è estesa ed è rile-
vante la quota di proprietà privata. Negli ultimi decenni il bosco si è espanso arrivando a lambire le
aree di fondovalle, diversi attori nel corso delle interviste hanno sottolineato l’opportunità di ristabi-
lire la “linea del bosco” attraverso accordi con i proprietari dei terreni e l’azione di manutenzione e
di bonifica svolta delle aziende zootecniche locali. La stessa filiera foresta legno è debole e richiede
azioni forti di rilancio al fine di valorizzare le funzioni economiche ma anche il ruolo del bosco per
l’identità locale, la salvaguardia del paesaggio e dell’ecosistema, le funzioni turistiche.
Alle quote maggiori si collocano gli alpeggi che potrebbero svolgere un ruolo maggiore nel sistema
economico e ambientale dell’area. Dal punto di vista ambientale i pascoli d’alpe sono degli ecosi-
stemi stabilizzati per l’instaurarsi di un equilibrio tra risorse naturali e presenza degli animali
d’allevamento nella stagione vegetativa, garantendo una serie di funzioni ambientali quali: la regi-
mazione delle acque, il contenimento dei rischi d’incendio e di valanghe e la salvaguardia della bio-
diversità. Nel corso dei primi anni ’90 si era evidenziata una significativa tendenza all’abbandono
della pratica dell’alpeggio che ha determinato la dismissione di alcune malghe e la comparsa di se-
gnali di compromissione dell’ambiente e del paesaggio causati dall’incuria. Per far fronte
all’emergere di queste problematiche l’amministrazione provinciale di Trento ha attivato una serie
di misure (finanziate con i Fondi Strutturali dell’U.E. attraverso il PSR) finalizzate a invertire tale
tendenza. Gli interventi messi in atto dalla pubblica amministrazione, insieme alle nuove opportuni-
tà di reddito legate allo sviluppo dell’agriturismo e della vendita diretta dei prodotti dell’alpeggio,
sembrano aver sortito l’effetto desiderato: nell’ultimo decennio il numero di capi monticati è in con-
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tinua crescita dimostrando come le aziende zootecniche locali abbiano nella monticazione estiva
uno dei fattori strategici di redditività.
Chiaramente il tema della manutenzione del territorio non può essere totalmente delegato all’ancora
debole struttura agricola locale, ma chiama in causa interventi di più vasta portata. Recuperare gli
elementi distintivi del territorio significa anche valorizzare gli elementi caratteristici del paesaggio e
sperimentare nuovi modelli di turismo sostenibile. Su tali temi, le esperienze e il dibattito che si è
sviluppato a livello locale, riguardano in particolare due luoghi emblematici delle Dolomiti: la
Marmolada e il Catinaccio. In entrambi gli ambiti è stato avviato un percorso si ripensamento criti-
co sui modelli d’uso dell’alta montagna. E’ in particolare l’esperienza della Cordanza del Ciadenac
a costituire un modello di buone pratiche nella gestione delle terre alte, da replicare in altri contesti
d’analoga valenza ambientale.
Va infine citata l’opportunità costituita delle “Reti di Riserve” previste dalla Legge provinciale
11/07 per valorizzare al meglio il patrimonio provinciale di biodiversità attraverso una gestione de-
centrata, tramite le comunità locali. A seguito di specifici accordi di programma con la Provincia
autonoma di Trento i Comuni o le Comunità di Valle possono assumere la competenza gestionale
dei siti di Natura 2000 in ossequio al principio della “sussidiarietà responsabile”. Sotto la regia
complessiva della Provincia, che rimane garante della conservazione e dei processi autorizzativi nei
confronti dell’U.E., le Reti di riserve potranno più agevolmente elaborare piani di gestione integrati,
in cui le politiche di conservazione dialoghino con l’agricoltura e il turismo, attivando poi le azioni
di tutela attiva e i progetti di valorizzazione socio-economica compatibile basati sui servizi ecosi-
stemici di Natura 2000. A questo fine il progetto, tra le azioni dimostrative, contempla
l’elaborazione di specifici progetti di sviluppo locale integrato.
15.8 La competitività del sistema turistico
Il recente processo d’apertura dei mercati ha fatto della Valle di Fassa un “distretto turistico globa-
lizzato”, ponendola al centro di nuovi flussi turistici internazionali e in concorrenza con nuove de-
stinazioni, non necessariamente montane. La val di Fassa si trova oggi a dover fronteggiare una
molteplicità di scenari competitivi riguardanti sia i paesi di provenienza dei turisti, sia le motivazio-
ni della vacanza. Le Dolomiti continuano a essere un eccezionale fattore d’attrazione, come lo sono
le eccellenti strutture sciistiche dell’area. Da più parti però ci si chiede se l’attività sciistica, pratica-
ta in un contesto ambientale unico al mondo, sia sufficiente a definire l’identità della località e con-
tinuare a garantire i flussi turistici del passato. Le statistiche su arrivi e presenze in questo momento
non aiutano a dare una risposta a questi quesiti. I costanti trend di crescita dei decenni trascorsi,
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nell’ultima stagione invernale hanno subito una battuta d’arresto. Gli attori locali s’interrogano
(fornendo risposte diverse) se questo sia un dato contingente, dovuto alle condizioni climatiche e
alla crisi finanziaria globale, o se sia il segnale di un’inversione di tendenza. Al di là del dato stati-
stico, esiste comunque la percezione diffusa di una crescente difficoltà a stare sul mercato con
l’attuale modello d’offerta. L’esigenza di riempire il considerevole numero di posti letto, al fine di
remunerare gli investimenti effettuati e far fronte ai mutui bancari, impone alle aziende alberghiere
strategie d’offerta low cost e la necessità di affidarsi ad agenzie internazionali che organizzano
l’incoming alberghiero trattenendo consistenti quote di valore per l’intermediazione. La concorren-
za delle vicine località altoatesine e austriache erodono quote di mercato, con particolare riferimen-
to ai flussi pregiati del turismo italiano e tedesco. Le imprese alberghiere locali stanno poi vivendo
un delicato momento di ricambio generazionale che ha già comportato la chiusura di alcune aziende
o la loro cessione a operatori esterni alla valle. Tutto questo costituisce un serio motivo di preoccu-
pazione per gli operatori locali. La riflessione sugli errori del passato porta a interrogarsi sul futuro
assetto della Valle, alla ricerca di una difficile mediazione tra una pur sempre necessaria gestione
dei flussi quantitativi, (che richiede altri investimenti e trasformazioni territoriali), e una riqualifica-
zione e diversificazione del sistema d’offerta, che però al momento si presenta dagli esiti incerti.
“Riqualificare nella continuità” appare essere la parola d’ordine su cui convergono le strategie degli
attori locali. Emerge l’esigenza di una programmazione che, attraverso il coinvolgimento degli ope-
ratori, sia un grado di perseguire un corretto e indispensabile equilibrio tra potenzialità sciistiche,
potenzialità ricettive e dotazione di servizi e infrastrutture. Accanto a ciò emerge l’esigenza di avvi-
are un progressivo processo di diversificazione, sperimentando nuovi segmenti d’offerta turistica. Il
tutto in una logica di salvaguardia e valorizzazione delle peculiarità ambientali e sociali del contesto
e della qualità dell’offerta turistica.
15.8.1 La piattaforma turistica delle Dolomiti e il riconoscimento dell’Unesco
Globalizzazione, per la val di Fassa, ha significato l’apertura ai mercati extraeuropei e un ruolo cre-
scente svolto dai tour operator internazionali. Tale processo ha però anche evidenziato un problema
irrisolto di governo dei flussi turistici. Con l’apertura dei mercati i flussi si sono fatti mobili, inco-
stanti, addirittura effimeri, la condizione dello spazio in cui si vive e si lavora è sempre più quello
dell’incertezza. I nuovi sciatori provenienti da paesi dell’Est non sono considerati una clientela sta-
bile e affidabile su cui costruire un nuovo e duraturo sistema locale d’offerta. Perseguire una strate-
gia d’adeguamento dell’offerta alla domanda, al fine di renderla fedele alla località come fino ad
oggi è stato fatto con la tradizionale clientela italiana e tedesca, non appare più un’opzione strategi-
ca.
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Allo stato attuale in val di Fassa coesistono molteplici canali promozionali e di penetrazione dei
mercati esteri e tutti gli attori, chi più chi meno, sono in grado di sfruttarli. Alcuni (rari) grossi ope-
ratori riescono a costruire strategie comunicative complesse, riuscendo in questo modo ad affermare
i propri marchi aziendali sul mercato internazionale. I moltissimi operatori più piccoli cercano di
massimizzare risorse scarse, ma non sempre riescono a costruire una strategia matura in grado di
portare a risultati soddisfacenti.
L’allungamento delle reti di mercato e il venir meno di un rapporto di fidelizzazione tra l’operatore
e il turista ha indotto, in molte strutture, un crescente ricorso all’intermediazione come strumento in
grado di attivare significativi flussi turistici ma che, di fatto, ha spostato al di fuori dell’area - a li-
vello internazionale - il baricentro della creazione del valore e del controllo del mercato. Nei nuovi
modelli di business del turismo internazionale le imprese di piccola e media dimensione, come
quelle della val di Fassa, fanno fatica a presidiare il processo di produzione del valore all’interno di
filiere che, essendo diventate globali, si estendono molto al di là del loro controllo diretto, mettendo
quasi sempre in campo operatori di grande dimensione, dotati di un potere contrattuale non confron-
tabile con quello dei piccoli operatori locali. Il necessario e crescente ricorso all’intermediazione ri-
chiede quindi che i singoli operatori non siano lasciati soli, ma che vi sia un ruolo degli attori collet-
tivi, in primo luogo l’Associazione albergatori e l’Apt, nell’assistere i piccoli e medi operatori nella
negoziazione con i tour operator e nella definizione di linee guida contrattuali in grado di tutelarli
maggiormente. E’ oggi necessario fornire agli operatori risorse comunicativa alte, strutture e stru-
menti di direct marketing, adeguate a un mercato che si è fatto globale, e a cui questi operatori oggi
non possono o non sono in grado d’accedere.
Nessuna strategia promozionale al momento appare inoltre in grado di definire con forza un brand
di territorio capace di stare al passo con una competizione che si è fatta globale. Un prodotto turisti-
co - per quanto qualificato come quello della val di Fassa - non necessariamente costituisce un
brand riconosciuto a livello globale. La stessa strategia competitiva in cui è inserita la val di Fassa è
ancora oggi giocata tra localismi: trentini, altoatesini e veneti. A fronte di tale situazione, risulta og-
gi strategico costruire un sistema di “piattaforma territoriale” in cui la rete degli operatori e dei terri-
tori converga verso un’azione promozionale congiunta su l’unico brand effettivamente riconosciuto
sul mercato turistico globale, qual è quello delle Dolomiti.
A livello locale già si sente l’esigenza di costruire una strategia d’area vasta finalizzata a rafforzare i
fattori di competitività all’interno del comprensorio dolomitico. In tale direzione può, infatti, essere
ricondotto il confronto aperto tra territori trentini nell’ambito della “Rete Dolomitica”. Il recente ri-
conoscimento dell’Unesco delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità, è in grado di rafforzare
tale strategia comunicativa, allargando la rete degli operatori e dei territori a livello sovra provincia-
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le. La sfida consiste nel mettere in campo azioni per la valorizzazione della natura e della salva-
guardia delle Dolomiti attivando ogni forma e opportunità di turismo e di sviluppo responsabile.
L’opportunità costituta dal riconoscimento Unesco va in tal senso valorizzata, incrementando le ini-
ziative d’informazione e partecipazione della cittadinanza.
Le iniziative istituzionali, politiche e culturali volte a fare rete all’interno della piattaforma turistica
delle Dolomiti costituiscono comunque solo un tassello di una strategia comunicativa e promozio-
nale d’area vasta. Un’efficiente strategia di promozione a livello internazionale ha bisogno anche di
reti di carattere economico. Il nostro “capitalismo di territorio” fatto di tanti piccoli operatori ha bi-
sogno di fare alleanza con il moderno “capitalismo delle reti” capace di connettere l’economia loca-
le alla simultaneità del globale. Come sottolineato in diverse interviste, Dolomiti Superski è attual-
mente l’unica realtà economica capace di fare rete all’interno del comprensorio dolomitico. Se Do-
lomiti superski sia il soggetto adatto a svolgere un’azione promozionale di area vasta, in grado di
canalizzare e gestire i flussi turistici a livello locale, è ancora presto per dirlo. E’ comunque a tale
modello di rete economica, capace di tenere assieme e valorizzare i diversi localismi, che bisogna
fare riferimento per consentire alla località d’affrontare la complessità dei mercati globali.
15.8.2 La qualificazione dell’imprenditorialità turistica
I forti investimenti nel costante processo di qualificazione delle strutture alberghiere hanno indotto
una diffusa condizione d’indebitamento delle aziende che oggi sono alla ricerca di una redditività
degli investimenti, perseguendo (o subendo) anche i modelli d’offerta low cost. La piccola dimen-
sione di gran parte delle imprese alberghiere, gli alti investimenti che si sono resi necessari per of-
frire servizi di maggiore qualità e i minori margini di redditività, inducono uno stato di crisi del set-
tore cui si cerca di far fronte con proposte di creazione di reti d’impresa e di maggiore specializza-
zione degli esercizi su flussi turistici diversificati.
Diverse sono anche le situazioni di crisi aziendale conclamate per le quali ci si attende interventi i-
stituzionali analoghi a quelli adottati, a livello provinciale, per le industrie manifatturiere in crisi al
fine di prevenire acquisizioni da parte di soggetti economici esterni alla valle.
Tali problematiche sono il frutto di uno sviluppo per certi versi impetuoso e spontaneistico che,
all’interno di gran parte delle strutture, non è stato accompagnato da un processo di adeguata pro-
fessionalizzazione e crescita imprenditoriale. Formazione, successione imprenditoriale e competen-
ze coinvolte nel processo produttivo, appaiono oggi ulteriori nodi evolutivi del comparto e
dell’intera economia locale.
In particolare, il momento della successione nella proprietà e nella conduzione d’impresa rappresen-
ta oggi una fase cruciale nella vita delle imprese alberghiere fassane. Il problema in molti casi è in-
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dividuare a chi passare il testimone della gestione aziendale: le doti dei fondatori non sono imme-
diatamente trasmissibili ai figli, e una quota rilevante di questi ha altre vocazioni o non è disponibi-
le a replicare i sacrifici dei padri.
In un contesto territoriale, caratterizzato da un tessuto diffuso di piccole e medie realtà alberghiere,
il passaggio di testimone al vertice di molte imprese assume valore di fenomeno plurale, in quanto,
(dopo la fase di crescita che ha coinvolto la prima generazione d’imprenditori), avviene contestual-
mente in un elevato numero d’imprese. L’impresa appartiene certamente alla famiglia del fondatore,
ma in senso lato appartiene anche a chi vi lavora, alla comunità che l’accoglie, a quelli che gli an-
glosassoni chiamano gli stakeholder, i portatori d’interesse nei riguardi dei suoi destini e delle sue
prestazioni economiche e sociali. Una volta uscito dal chiuso della famiglia, il problema della suc-
cessione diventa quello della continuità di un modello imprenditoriale diffuso e assume una dimen-
sione sia economica, sia sociale, che interessa l’intera comunità. Da più parti emerge l’esigenza di
un progetto capace di porre in termini innovativi il tema della successione imprenditoriale nelle
strutture alberghiere della valle, visto non in termini traumatici, ma nei termini di una dinamica evo-
lutiva dell’economia locale. La continuità delle imprese va vista anche nella prospettiva degli attori
istituzionali ed economici della Valle che possono fornire idee e risorse e strumenti, anche quando
la famiglia non sia più in grado di assicurare alternative al fondatore. Alleanze tra imprese, scambio
d’esperienze tra famiglie, forme evolute di finanziamento, “patti di famiglia” per affrontare gli a-
spetti giuridici e finanziari che la successione comporta, apertura alle competenze professionali e-
sterne alla famiglia: sono tutti strumenti che possono in tal senso dare buoni risultati.
Oltre alla successione imprenditoriale il tessuto alberghiero locale esprime anche un più generale
problema di competenze e disponibilità di manodopera qualificata. Nell’ultimo decennio il mercato
del lavoro nel settore turistico alberghiero sembra essersi caratterizzato per l’aggravarsi di alcune
problematiche, in particolare per quanto riguarda l’impiego di manodopera. A essere entrato in crisi
è un modello imprenditoriale a gestione familiare in cui la divisione dei compiti aziendali è poco
formalizzata. Alla crescente disaffezione delle giovani generazioni per l’attività turistica, si affianca
la crescente necessità di ricorrere a manodopera proveniente da fuori valle, chiamata spesso a svol-
gere funzioni in rapporto diretto con l’utenza senza una specifica competenza su quelle che sono le
peculiarità del contesto locale. Il risultato di tale processo evolutivo è l’elevato turnover del perso-
nale, con basso impiego di manodopera locale specializzata e un alto impiego di manodopera immi-
grata a bassa qualificazione.
L’esigenza di personale e servizi qualificati si manifesta anche all’esterno dell’azienda alberghiera e
coinvolge l’intero settore turistico della valle. La dispersione delle risorse umane locali in settori
non attinenti l’offerta turistica è una tendenza che in val di Fassa deve essere invertita, anche se è
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verosimile affermare che l’appeal di professioni tipicamente stagionali e generalmente poco quali-
ficate tenda a essere sempre meno convincente nei confronti della forza lavoro giovanile che punta
certamente a un’occupazione stabile, garantita e maggiormente qualificata. Di contro va anche evi-
denziato come il turismo, proprio per il suo carattere immateriale e simbolico, richieda professiona-
lità sempre più complesse e qualificate fondate sulla comunicazione, il marketing a livello interna-
zionale, l’intrattenimento, la generazione di esperienze ed emozioni. Si tratta di un mercato fatto di
cultura e creatività in cui i giovani possono trovare qualificate occasioni d’occupazione e auto im-
prenditorialità. La gestione del sistema turistico, culturale, ambientale ha bisogno di nuove profes-