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PAOLO MARIA GILBERTO MAINO Università Cattolica di Milano LE CORREZIONI DI CORTESIANELLE RASSETTATURE FIORENTINE DEL DECAMERON 1. Un po’ di storia: le coordinate delle rassettature fiorentine del Decameron. Dopo la messa all’Indice del Decameron, o meglio dopo che il Concilio e l’Inquisizione impongono che il capolavoro di Boccaccio per essere ristampato debba prima essere emendato ovvero corretto di tutto ciò che sia offensivo nei confronti della Chiesa Cattolica e contrario in particolare alla morale della nuova chiesa controriformata, varie voci dalla Toscana e da Firenze si alzano per avere l’esclusiva di tale opera di ‘rassettatura’. Si tratta infatti di una questione non solo letteraria ma anche – e forse soprattutto per alcuni – politica (il prestigio del duca o meglio del granduca Cosimo prima e di suo figlio Francesco poi) ed economica (il Decameron, come i tanti studi di Richardson e Trovato tra gli altri hanno ben documentato, 1 è un vero e proprio best-seller e la possibilità di larghi guadagni per editori e stampatori pare di fatto cosa certa nel momento in cui se ne acquisisse l’esclusiva. Su questo basti citare gli studi di Brown e Carter sui maneggi dei Giunti e di Salviati stesso per ottenere il diritto a pubblicare la seconda edizione rassettata). 2 1 Sull’opera di correzione ed emendazione nelle stampe cinquecentesche del capolavoro di Boccaccio è utile consultare RICHARDSON 1990 e TROVATO 1991. 2 BROWN 1957 e CARTER 1986.
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Le correzioni 'di cortesia' nelle rassettature fiorentine del Decameron

Feb 21, 2023

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PAOLO MARIA GILBERTO MAINO

Università Cattolica di Milano

LE CORREZIONI ‘DI CORTESIA’ NELLE RASSETTATURE

FIORENTINE DEL DECAMERON

1. Un po’ di storia: le coordinate delle rassettature fiorentinedel Decameron.

Dopo la messa all’Indice del Decameron, o meglio dopo che ilConcilio e l’Inquisizione impongono che il capolavoro diBoccaccio per essere ristampato debba prima essere emendatoovvero corretto di tutto ciò che sia offensivo nei confrontidella Chiesa Cattolica e contrario in particolare alla moraledella nuova chiesa controriformata, varie voci dalla Toscana eda Firenze si alzano per avere l’esclusiva di tale opera di‘rassettatura’. Si tratta infatti di una questione non sololetteraria ma anche – e forse soprattutto per alcuni – politica(il prestigio del duca o meglio del granduca Cosimo prima edi suo figlio Francesco poi) ed economica (il Decameron, comei tanti studi di Richardson e Trovato tra gli altri hanno bendocumentato,1 è un vero e proprio best-seller e la possibilità dilarghi guadagni per editori e stampatori pare di fatto cosacerta nel momento in cui se ne acquisisse l’esclusiva. Suquesto basti citare gli studi di Brown e Carter sui maneggi deiGiunti e di Salviati stesso per ottenere il diritto a pubblicare laseconda edizione rassettata).2

1 Sull’opera di correzione ed emendazione nelle stampe cinquecentesche delcapolavoro di Boccaccio è utile consultare RICHARDSON 1990 e TROVATO

1991.2 BROWN 1957 e CARTER 1986.

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Firenze grazie al granduca ottiene quindi dalla SantaSede il diritto a curare e stampare l’edizione rassettata, ma iltutto deve avvenire sotto l’ingombrante egida e sotto ilcontinuo controllo del Tribunale dell’Inquisizione. Nel 1570sono scelti a Firenze degli studiosi per curare la primaedizione emendata: si tratta dei cosiddetti Deputati fiorentiniche vengono guidati dall’acume filologico e linguistico diVincenzo Borghini. Le cartelle laurenziane e l’edizione criticadelle Annotazioni dei Deputati curate da Chiecchi cirestituiscono dalle vive parole dei Deputati stessi il lentolavorio per strappare alla Chiesa di Roma l’autorizzazione asalvare più parti del Decameron possibili.3

L’edizione viene alla luce nel 1573 ma si rivela ungrande insuccesso editoriale perché non soddisfa né ifiorentini, che giudicano negativamente l’eccessiva censura,né l’Inquisizione, che la considera invece troppo blanda.

Questo insuccesso apre la strada alla seconda edizionerassettata questa volta non opera di uno staff ma di un solostudioso: Lionardo Salviati. Formatosi negli anni precedentitra Firenze e Roma Salviati ha come centro della sua rifles-sione teorica la lingua e il lessico con l’obiettivo – esplicitatofin dal 1564 quando a venticinque anni pronuncia davantiall’Accademia fiorentina l’Orazione in lode della fiorentinafavella – di mostrare la superiorità del volgare fiorentino nonsolo sulle altre parlate regionali italiane ma anche sulle lingueclassiche (Greco e soprattutto Latino). 4 Curare la nuova

3 CHIECCHI 1992; Annotazioni e discorsi sul ‘Decameron’ 2001.4 Su Salviati e le sue vicende personali è imprescindibile partire daidettagliati lavori di Peter M. Brown che è tornato a più ripresesull’argomento e l’ha poi presentato in una ricca e anche avvincentebiografia: BROWN 1974.

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edizione rassettata per Salviati costituisce quindi il banco diprova e il culmine del suo lavoro filologico e linguistico perdefinire le caratteristiche del volgare fiorentino. Come ancheBorghini, infatti, Salviati ha avuto modo di consultarenumerosi manoscritti del XIV secolo e ha potuto cosìconoscere la lingua del Trecento, di quel secolo d’oro dovetutti parlavano bene.5

Il testo che Salviati dà alle stampe nel 1582 si presentacon interventi ben più decisi rispetto al sapiente bisturi deiDeputati, ma ha dalla sua una attenzione tipograficamaggiore. Non soltanto Salviati indica con degli asterischi lesezioni omesse, ma anche le parole o le frasi riscritte diproprio pugno da Salviati si presentano con carattere tondorispetto al carattere corsivo del testo di Boccaccio. L’opera dicensura è poi completata da una fitta serie di glosseparatestuali che hanno il compito di guidare il lettore alla verainterpretazione del testo in un senso fortemente moralistico.

Paradossalmente i tanti difetti delle scelte di Salviati,fastidiose e insopportabili per gli occhi e le orecchie di noimoderni (e che segnarono nei secoli successivi il destino diSalviati, tacciato di essere il pubblico assassino di Boccaccio ederiso da vari studiosi tra cui Foscolo) ne decretarono ilsuccesso tra i contemporanei. L’edizione rassettata di Salviaticonobbe infatti almeno 10 ristampe nel giro di cinquant’anni econtribuì ad aumentare la fama del Decameron anche per ilgusto del proibito che il testo di Salviati nascondeva.6

5 Sugli studi dei manoscritti trecenteschi svolti da Borghini e Salviati sipossono qui ricordare due studi, BORGHINI 1995 e un mio recenteapprofondimento attualmente in revisione per la pubblicazione per larivista «StEFI» (MAINO i.c.s.).6 A proposito del successo editoriale dell’edizione rassettata di Salviati siveda PARODI 1969.

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2. Cosa correggere? Materie di fede e pratiche amorose.

Negli anni Ottanta del Novecento tre studiosi si sonooccupati da vicino delle correzioni e degli interventi censori alDecameron delle edizioni rassettate del Cinquecento (oltre alledue fiorentine si deve ricordare anche quella curata da Groto).Si tratta di Raul Mordenti, che si è soffermato sul tema in duesuccessivi interventi del 1982, e Chiecchi e Troisio che hannoproposto un confronto tra queste edizioni nel testo Ildecameron sequestrato nel 1984. 7 Passati un po’ di anni daquesti studi e sostenuti anche da rinnovate ricerche sullepratiche filologiche e linguistiche sottese alle due edizionicensurate, si può ora provare a presentare non solo le ombrema anche le luci, ormai sempre più condivise, delle scelteattuate dai Deputati prima e da Salviati poi.8

Il punto di partenza per comprendere il perché dellanecessità dell’opera di emendazione del capolavoro diBoccaccio è la lettura di un passo dell’Indice del 1564:

Boccaccii Decades seu novellae centum, quamdiuexpurgatae ab iis, quibus res Patres commiserunt, nonprodierint.

A questa indicazione aggiungiamo l’obbligo perqualsiasi libro a stampa di essere esaminato dal Maestro del

7 CHIECCHI – TROISIO 1984 e MORDENTI 1982a e 1982b.8 Tra i più recenti interventi pubblicati se ne possono ricordare due diBelloni e Maino contenuti nel volume degli Atti del convegno organizzatodall’Accademia della Crusca e dall’Associazione per la Storia della LinguaItaliana nel 2012 a Padova e Venezia in occasione del quarto centenariodalla pubblicazione del primo vocabolario della Crusca: BELLONI 2013 eMAINO 2013.

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Sacro Palazzo o da vicari del vescovo nelle varie diocesi e ilfatto che sul frontespizio debba apparire chiara l’approva-zione dell’autorità ecclesiastica (il cosiddetto imprimatur).L’Index del 1564 costituisce un modello replicato poi in tantisuccessivi indici come quello spagnolo del 1583 in cui siproibisce la diffusione e la stampa di Decameron pre-1572, cioèprima dell’edizione dei Deputati e di Salviati.

Ma quali sono gli oggetti da censurare? Di fattopossiamo ascriverli a due ambiti: da un lato tutto ciò cheriguarda la chiesa e la vita religiosa in generale sia per quelloche è materia di fede (quindi anche la concezione della Fortu-na e della Natura) sia soprattutto per quello che è ritenutooffensivo o denigratorio nei confronti di uomini di fede (preti,frati, monaci, suore, papi, vescovi...); dall’altro la materiaamorosa soprattutto per quello che riguarda l’atto sessuale.

È indubbio quindi che vedendoli nel loro aspettofenomenico più macroscopico gli interventi censorii diBorghini e Salviati si piegano a questa pesante scure con ledebite distinzioni visto che i Deputati agiscono con piùdelicatezza («dolcemente dissimulando») mentre Salviati conpiù decisione e nettezza anche in punti che non parrebberonecessitare di alcuna censura.

Prima di passare ad una presentazione sistematica dellepratiche di mitigazione e di sostituzione tramite eufemismi èbene mostrare con un esempio in cosa consistano i tipiciinterventi correttori e censori attuati nelle rassettaturefiorentine.

Questo è l’esordio della narrazione di Dioneo nellanovella quarta della prima giornata nel Decameron così come

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si può leggere nel codice Mannelli consultato sia da Borghinisia da Salviati:9

Fu in Lunigiana paese non molto da questo lontano unomonistero già di santità e di monaci più copioso cheoggi non è, nel quale tra gli altri era un monaco giovane,il vigore del quale né la freschezza né i digiuni né levigilie potevano macerare.10

Il testo che si legge nel Decameron del 1573 è invece:

Fu in Parigi un collegio già di dottrina, et di scolari piùcopioso, che oggi non è, nel quale tra gli altri era ungiovane, il vigore del quale, né la freschezza, né lefatiche degli studij, né le vigilie potevano macerare.

Infine l’edizione di Salviati così presenta il brano:

Fu in Lunigiana, paese non molto da questo lontano(secondo, che ancora hoggi raccontano gli huomini dellacontrada) ne’ primi tempi della falsa religione, un tempio, disantità, secondo quella lor legge, e di sacerdoti piu copiosoche poi non fu: nel quale, tra gli altri giovani, che sotto lacustodia d’un vecchio sacerdote s’ammaestravano ne’sacrificij di quella Dea, n’era uno, il vigore del quale, né la

9 Come è noto, Borghini (seguito poi da Salviati) definisce «Ottimo» il Laur.Plut 42.1 noto appunto come codice Mannelli e lo considera, giustamente,copiato da un manoscritto autografo di Boccaccio (che però come da tempodimostrato non è il codice berlinese Hamilton 90; cfr. BRANCA – RICCI 1962 epiù recentemente FIORILLA 2011.10 Per la resa grafica dei manoscritti e delle stampe si è scelto di sciogliere leforme contratte (per, ser e l’indicazione del titulus per la nasale geminata) esi è inoltre inserita l’accentazione equiparandola all’uso moderno.

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freschezza, né gli esercizij, né le fatiche potevanomacerare.11

Se Borghini sposta la vicenda a Parigi in un contestolaico, Salviati la porta in un passato pre-cristiano dove puòparlare di sacerdoti e templi non cristiani, ma nel dubbiosostituisce anche le parole digiuni (> esercizij) e vigilie (> fatiche)che potevano generare facili richiami a pratiche di penitenzacristiane. Quindi e in sintesi le tipiche modalità di intervento(e stravolgimento) censorio possono essere ridotte a due: lospostamento in un contesto laico, soluzione usata più voltedai Deputati; oppure la creazione di una nuovaambientazione della novella in un mondo pagano omusulmano (come nel caso del monastero che diventa unserraglio nella novella di Masetto), strada frequentementebattuta da Salviati.

11 Nel riprodurre le stampe del Cinquecento si indica in carattere corsivoquello che si presenta in originale con carattere di stampa differente perdichiarare al lettore l’intervento censorio e di riscrittura. Come già detto inprecedenza la cura della resa tipografica costituisce uno degli elementi a cuipiù tenne Lionardo Salviati. Su questo si vedano BERTOLI 1998 e il recentesaggio di BERNARDI – PULSONI 2011. Questi, infine, sono i riferimentibibliografici della due edizioni rassettate: Il Decameron di Messer GiovanniBoccacci Cittadino Fiorentino. Ricorretto in Roma, et Emendato secondo l’ordinedel Sacro Conc. di Trento, et riscontrato in Firenze con Testi Antichi & alla suavera lezione ridotto da’ Deputati di lor Alt. Ser., Firenze, Giunti 1573 (=Decameron 1573); Il Decameron di Messer Giovanni Boccacci Cittadin Fiorentinodi nuovo ristampato e riscontrato in Firenze con testi antichi, & alla sua veralezione ridotto dal Cavalier Lionardo Salviati, deputato dal Serenissimo Gran Ducadi Toscana, con permissione de’ Superiori & Privilegi di tutti i Principi, eRepubbliche. Seconda Editione, Firenze, Giunti, 1582 (= Decameron 1582).

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3. Dentro le correzioni nelle rassettature fiorentine

Oltre a interventi così plateali come quelli appenapresentati tra le righe delle rassettature del Decameron sipossono leggere, però, altre modalità più ‘delicate’ dicorrezione. Queste correzioni possono rientrare in quell’usodell’eufemismo e della sfumatura lessicale che può consentirea volte di parlare pubblicamente di ciò che è percepito comeluogo di tabù culturali afferenti normalmente la sfera religiosae sessuale.12 In particolare se ne possono riconoscere di duetipi.

Il primo tipo riguarda tutti quei casi in cui i Deputati e/oSalviati non stravolgono o eliminano un passo del testo diBoccaccio ma semplicemente sfumano l’espressionerendendola più accettabile (o semplicemente accettabile).Questo gruppo di interventi hanno come termine non tantoun lettore generico quanto il tribunale dell’Inquisizione e ilcontrollo della Chiesa in generale e sono utili a capire i temipercepiti come sensibili e suscettibili di libere e quindi forseerronee interpretazioni.

Il secondo tipo, invece, concerne le formuleeufemistiche o di cortesia inserite da Boccaccio stesso nelDecameron (basti pensare ai cento modi diversi con cuiBoccaccio indica l’atto sessuale nello specifico o le variepratiche amorose in generale oppure l’uso di perifrasi legateall’ambito di fede o il chiamare in causa santi con uno scoponon tanto dissacratorio nei confronti dei santi stessi quanto

12 Sull’uso dell’eufemismo e al contrario sull’uso di espressioni esplicitepercepite come volgari appare qui utile ricordare l’opera di Nora Galli de’Paratesi e in particolare la sua monografia: GALLI DE’ PARATESI 1969; e, inparticolare sul lessico erotico, TOSCAN 1981.

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per giochi allusivi spesso di tipo linguistico): come sicomportano i Deputati e Salviati rispetto a queste formulespesso di uso metaforico e quindi percepibili come ‘questioneletteraria’? Lasciano il testo e riescono a farlo sopravviverecome espressione di una libertà letteraria che non pregiudicaalcuna verità di fede oppure intervengono a tagliare ecambiare anche in questo caso?

3.1. La pratica della mitigazione nelle rassettature fiorentine.

Una parola che non si può generalmente leggere senzarischiare di cadere nel peccato di ‘pronunciare il nome di Dioinvano’ è «Cristo». Eppure si tratta di un richiamo che èspontaneo in tante formule del parlato popolare. Per duevolte, ad esempio, lo sciocco Calandrino se ne serve conintenti esclamativi ed iperbolici: a IX 5, a proposito dellaNiccolosa di cui si è invaghito, così afferma: «Io la fregherei aCristo di così fatte cose, non che a Filippo [ovvero il maritodella Niccolosa]» (17) e poco oltre con simili obiettiviCalandrino esclama «per lo verace corpo di Cristo» (36). IDeputati nel primo caso scrivono «io la fregherei a presso chinon dissi di così fatte cose» e omettono la seconda espressioneperché è un pronunciare invano il nome di Dio; Salviatirisolve in modo analogo entrambi i passi: «io la fregherrei anon so chi mi dire di così fatte cose» e «per lo corpo, ch’io non vodire» 13 . A VIII 6. 21 l’espressione pronunciata sempre da

13 Si può aggiungere che simile locuzione di cortesia si trova anche nellecommedie di Salviati: ad esempio ne La Spina, atto V, sc. 2, si legge labattuta del personaggio Gozzo servo di Ghibellino «Voi mi fareste darl’anima a presso ch’io nol dissi». La Spina, successiva al Granchio, è unacommedia in prosa della seconda metà degli anni Sessanta del ’500, ma saràpubblicata a stampa per la prima volta postuma solo nel 1592.

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Calandrino «al corpo di Dio» è questa volta omessa daSalviati ed invece sostituita dai Deputati con un’altraespressione proverbiale legata sempre all’area semantica dellareligione ma percepita come non offensiva «in buona fè».

Simile scelta si può riscontrare anche nell’esordio dellaprima novella dell’ottava giornata. Nel testo non censurato silegge «Se così ha disposto Idio che io debba alla presentegiornata con la mia novella dar cominciamento, e el mi piace»,in Borghini la formula mitigata prevede un passivo imper-sonale «Se così è disposto che io debba...», nel testo di Salviatitroviamo invece «Se così ha disposto chi può che io debba...».

Un ultimo interessante esempio è un passaggio dellasesta novella della sesta giornata: «Voi dovete sapere, che iBaronci furon fatti da domenedio al tempo, che egli avevacominciato d’apparare ad dipignere: ma gli altri huominifuron fatti, poscia che Domendio seppe dipignere». I Deputatisostituiscono Domendio con la Natura: «Voi dovete sapere,che i Baronci furon fatti dalla Natura al tempo, che ellahaveva cominciato d’apparare a dipignere: ma gli altrihuomini furon fatti, poscia che seppe dipignere»; Salviatiimmiserisce il tutto rendendo l’espressione impersonale edeliminando il riferimento ad una presunta divinità Naturacome principio separato da Dio: «Voi dovete sapere, che iBaronci furon fatti al tempo, che s’era cominciato d’apparare adipingere: ma gli altri huomini furon fatti, poscia che si seppedipingere».

Anche un semplice aggettivo come «celestiali» puòandare incontro a forme di lenizione come nell’espressione (IV2. 20) «Io vi diceva bene frate Alberto che le mie bellezze erancelestiali» che si trasforma nel Decameron del 1573 in «bellezze[…] senza pari».

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Sul destino ultraterreno dell’uomo – tema attorno alquale si muovono tanti motivi di contrasto dogmatico traCattolici e Protestanti in quel giro di anni – non sonoaccettabili per Salviati affermazioni perentorie che pretendanodi anticipare o comprendere il giudizio divino: nella novelladell’Andriuola la serva così si rivolge alla povera donna perdissuaderla dal suicidio dopo che ha appena visto Gabriottomorire: «tu n’andresti in Inferno, là dove io son certa che lasua anima non è andata». Salviati sfuma in «credo che la suaanima non sia andata».

Ma anche il campo della ‘beatitudine’ o della ‘santità’ èun terreno infido in cui è meglio non addentrarsi: a VIII 7. 6 loscolare che si innamora della bella Elena stima «colui potersibeato chiamare al quale idio gratia facesse lei potere ignudanelle braccia tenere»; per i Deputati il testo diventa «coluipotersi avventurato chiamare, il quale lei potesse ignuda nellebraccia tenere», mentre in Salviati (che cerca sempre disalvare più parole ed espressioni possibili dell’originale)14 silegge «colui potersi bene avventurato chiamare, al qualegrazia si facesse, lei potere ignuda nelle braccia tenere». Nonpiù beato ma bene avventurato e la grazia di Dio diventa solo unagenerica grazia.

Tornando a Bruno e Buffalmacco che accompagnanosempre Calandrino si può citare un passo in cui Buffalmaccorecita la parte dell’adirato ed esclama «Io fo boto all’alto Diodi Pasignano» (il riferimento è alla rappresentazione di DioPadre sulla facciata della chiesa di Pasignano che il bolognesemastro Simone non poteva conoscere): i Deputati scrivono

14 Su questo atteggiamento di salvaguardia della lingua del Boccaccio siveda MAINO 2013.

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solo «Io fo boto a Dio» mentre Salviati riduce ulteriormente in«io fo boto».

Quindi l’azione di generalizzare e/o mitigare consente,rispetto a possibili nodi critici in materia di fede, di passareattraverso il controllo censorio.

Un altro sistema di attenuazione è l’uso di sinonimi ditipo metonimico: la «fede» di I 6. 4 (novella totalmente censu-rata dai Deputati) diventa in Salviati «dirittura» e il «difetto difede» (I 6. 5) un semplice «difetto d’intenzione»; in altri casiSalviati preferisce usare la litote come ad esempio per il verbo«digiunare» che nella novella di Frate Puccio (III 4. 28) diventa«non mangiare la sera»: l’azione rimane la stessa, ma si togliecosì un esplicito riferimento a pratiche ascetiche cristiane.

Possono rientrare nei casi di mitigazione anche quelleespressioni percepite come troppo esplicite forse anche perchésottendono un originale biblico: costituisce, in questo caso, unsintetico esempio della prassi salviatiana il trattamento delpasso di III 2. 16 «più volte carnalmente la reina cognobbe»riferito allo scudiero che giace con la moglie del relongobardo Autari. Il verbo ‘conoscere’ che ricordal’espressione evangelica «virum non cognosco» è cosìmodificato nella seconda rassettatura fiorentina: «per buonospazio con la Reina si dimorò». È un caso prezioso rispetto alpercorso che si sta presentando perché la novella in questionenon subisce alcun taglio o intervento censorio nell’edizionedei Deputati in quanto pur raccontando di una beffa dairisvolti morali discutibili non riguarda alcun uomo di fede.Salviati che pur interviene all’inizio con un ammonimento nelparatesto («Imparino i mariti e le mogli a guardarsi dalleinsidie de’ lor famigli») conserva la novella integra conl’eccezione di questo breve passo. Salviati non cancella quindila notte d’amore e nello specifico l’atto sessuale (senza il quale

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la novella non potrebbe nemmeno continuare del resto) matoglie le espressioni ‘forti’ «carnalmente» e «cognobbe»preferendo espressioni presenti in altri passi del Decameron(«per un buono spazio» si trova riferito al tempo del piaceresessuale anche ad esempio nella novella di Anichino a VII 7.38 in un passo che Salviati non censura).

Un altro esempio, infine, di lenizione di unaaffermazione che questa volta coinvolge anche i Deputati è ilpasso di IX 2. 18 «impossibile essere il potersi dagli stimolidella carne difendere»: per Borghini impossibile diventamalagevole mentre per Salviati difficile in una sorta di climaxdiscendente in cui si salva il libero arbitrio della volontàdell’uomo che deve far fronte alla tentazione di un desideriodisordinato.

3.2. Il trattamento delle formule di cortesia o dei fantasiositraslati in materia sessuale.

Con questi ultimi esempi si è entrati nel campo dellatematica amorosa. Nel caso delle espressioni per indicarel’esperienza amorosa è indubitabile che il testo di Boccaccio sicaratterizzi per una «straordinaria (rispetto alle consuetudinidi metà Trecento) ricerca di varietas nel raccontarla» in uncontinuo sforzo di evitare «sia la banalizzazione sia laripetizione» che si concretizza in una «felice disponibilitàmetaforica per mettere a testo l’atto sessuale» e in «un’ancorpiù inesauribile capacità di variare i modi allusivi e glieufemismi, tanto che molto raramente Boccaccio impiega piùvolte le sue invenzioni».15

15 Così commenta Amedeo Quondam in una recente edizione del Decameron(Decameron 2013: 1753-1754).

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Quindi sono due le strade che percorre Boccaccio perintrodurre nelle novelle il rapporto amoroso: la descrizionemetaforica o iperbolica e l’allusione spesso in chiaveeufemistica.

Per la prima categoria le scelte delle due rassettaturemostrano atteggiamenti differenti da parte degli editori.Borghini e i Deputati tendono per quello che è possibile alasciare le espressioni anche forti od esplicite (una volta cheesse non siano più riferite ad esempio ad uomini di chiesa)mentre Salviati anche dove ha sostituito i laici agli ecclesiasticinormalmente elimina quello che può essere ritenuto sconcio ecomunque non rispettoso di una morale controllata nella sferaprivata e sentimentale (anche basci ed abbracciari fanno fatica asuperare il taglio di Salviati e spesso diventano generici diletticome a IV, intr. 31).

Anche in questo caso vale la pena presentare gli esempipiù significativi al proposito.

Una volta che «Donno Gianni» diventa un semplice«Gianni» e quindi il contesto della novella è divenuto esclusi-vamente laico, Borghini lascia l’espressione «Era già l’umidoradicale per lo quale tutte le piante s’appiccano venuto» (IX10. 20) mentre Salviati elimina l’intero passo. Ma gli esempi intal senso sono molti: Salviati, prendendo in considerazionesolo la novella quarta della quinta giornata, eliminaespressioni come «faccendo cantar l’usignuolo» (29); «presoloper quella cosa, che voi tra gli uomini più vi vergognate dinominare» (30); «si rabbracciarono insieme, e non essendo piùche sei miglia camminati la notte, altre due, anzi che silevassero, ne camminarono». Anche l’allusione alla omoses-sualità di Pietro di Vinciolo da parte di sua moglie («Questodolente abbandona me per volere con le sue disonestà andarein zoccoli per l’asciutto, e io m’ingegnerò di portare altrui in

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nave per lo piovoso», V 10. 9) è tolta da Salviati chesemplicemente lascia «Questo dolente abbandona me * e iom’ingegnerò di portare altrui in nave per lo piovoso»: laseconda immagine metaforica è conservata ma perde granparte del suo impatto a causa dell’omissione della prima.

Gli eufemismi, invece, come dilettarsi, dimorare per lungospazio, prendere piacere, diletto, sollazzarsi, trastullarsi, ritrovarsicon letizia, aver dimestichezza sono generalmente accettati tantodai Deputati quanto da Salviati (e si è anzi già notato comenel caso della novella dello scudiero del re Agilulfo Salviatistesso recuperi proprio uno di questi eufemismi per sostituireespressioni più esplicite). Si può, infine, citare in conclusioneun solo esempio: nel finale della novella di Tedaldo si legge«senza più turbarsi, discretamente operando, lungamentegoderono del loro amore. Dio faccia noi goder del nostro».Salviati (che prima ha però inserito un matrimonio riparatore)e i Deputati lasciano l’espressione goderono del loro amore, maomettono l’augurio finale della novellatrice Emilia aicompagni della lieta brigata.

4. Conclusioni.

Nel percorso svolto si è quindi cercato sinteticamente dipresentare il modus riscribendi ed emendandi dei Deputati e diSalviati e in particolare rispetto alle riscritture si è cercato dimettere in luce quali siano stati i criteri adottati per compieredolorose scelte di censura. È corretto definirle ‘dolorose’perché in simili termini sia Borghini nelle cartelle laurenzianesia Salviati in alcune lettere rivendicano il fatto che quello chesi è salvato del capolavoro di Boccaccio è merito loro mentre il

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resto è un atto dovuto per renderlo di nuovo pubblicabile equindi leggibile al più ampio numero di persone.16

Si può però aggiungere un’ultima considerazione. Lavicenda della censura del Decameron fatto imposto e anche difatto inutile dal punto di vista teologico trattandosi di un testoletterario (e nel Concilio non tutti i cardinali si schieraronocosì convinti a favore della messa all’indice del ‘Centonovelle’proprio sottolineando la natura letteraria del testo)17 ha avutouno strano e contradditorio risultato: la nascita consapevole estrutturata (e ulteriori indagini anche sulla giuntina del 1527potrebbero aggiungere altri tasselli importanti) della filologiasul e del Decameron. La necessità di ritrovare la vera lezionedel testo sembra una sorta di risarcimento che i Deputatiprima e Salviati poi perseguono a fronte della censura cosìdura e violenta. Inoltre, quando, trent’anni dopo, larassettatura salviatiana, sarà stampata la prima edizione delVocabolario della Crusca il Decameron di Boccaccio svolgeràcome noto un ruolo fondamentale tra i citati, ma come ha bencominciato a dimostrare Durante, 18 gli accademici dellaCrusca non presero in considerazione solo il Decameroncensurato ma anche quello pre-concilio così approfondi-tamente studiato da Borghini e Salviati soprattutto tra le cartedel Mannelli e le pagine della giuntina del 1527.

16 «quell’acquisto che s’è recuperato, si dee riconoscere dall’opera mia: equel che ci ha di spiacevole è fuor d’ogni mia colpa, e s’è tollerato per minormale»: così, ad esempio, scrive Salviati al granduca Francesco I in unalettera datata 2 marzo 1584 mostrando quindi di mirare, dove non siapossibile salvare il testo nella sua interezza e pienezza letteraria, a recuperareil maggior numero di espressioni e modi di dire del miglior secolo,muovendosi così sulla linea varchiana di una distinzione tra lingua e stile.17 Si veda al proposito COLOMBO 2006.18 cfr. DURANTE 2002.