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LAURA CASELLA Le «capitali» e il «rimanente del mondo»: un patrizio udinese e la circolazione delle idee nel primo Settecento Una lunga tradizione storiografica riconosce nella storia cittadina un tratto peculiare della storia italiana: per questo la città, le sue for- me di elaborazione culturale, oltre che quelle specifiche della sua po- litica e del suo governo, costituiscono elemento fondamentale della costruzione identitaria italiana e vengono chiamati in causa ad ac- compagnare, anche al di fuori del circoscritto ambito degli studi e della critica storica, la riflessione politica più attuale, rappresentano una chiave di lettura spesso richiamata a spiegare ancora il carattere della nostra vicenda nazionale 1 . Le pagine che seguono possono essere lette come un circoscritto contributo ad avvicinare questi temi da una prospettiva specifica. Propongono di portare l’attenzione su alcuni aspetti dell’orizzonte simbolico e culturale entro cui si vengono compiendo, tra Sei e Settecento, le operazioni di mitopoiesi cittadina, considerando con maggiore ampiezza le forme di costruzione identitaria che gli am- bienti culturali e letterari, compiono nei secoli tardo moderni. In questo tempo, a lungo considerato poco significativo, gravato dalla «crisi della coscienza europea», non ancora maturo per una espli- cita proposta riformista 2 , in un piccolo centro dello stato veneziano i 1 A commento del risultato elettorale dell’aprile 2006 M. Fioravanti ci ricorda che «Non esistono “due Italie” […]. Esiste invece un paese, come il nostro, che è dotato di una costituzione storica strutturata in senso fortemente plurale, a base corporati- va e municipale. E che per questa ragione storica di lungo periodo stenta in modo particolare a darsi un’identità politica comune». M. FIORAVANTI, Un paese alla ricerca della sua identità politica, intervento nel dibattito a più voci dedicato a Due o molte Italie?, a cura di M.S. Piretti, «Contemporanea», 10 (2007), 1, p. 104. 2 Circa una delle tematiche storiografiche più vivacemente discusse nella più recen- te stagione della ricerca storica, voglio ricordare G. SIGNOROTTO, Dall’Europa cattolica alla “crisi della coscienza europea”, in C. OSSOLA - M. VERGA, M.A. VISCEGLIA (a cura di), Religione, cultura e politica nell’Europa dell’età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, 30_Casella 24-10-2007 10:48 Pagina 639
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Apr 21, 2023

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Le «capitali» e il «rimanente del mondo»: un patrizio udinese e la circolazione delle idee nel primo Settecento

Una lunga tradizione storiografica riconosce nella storia cittadinaun tratto peculiare della storia italiana: per questo la città, le sue for-me di elaborazione culturale, oltre che quelle specifiche della sua po-litica e del suo governo, costituiscono elemento fondamentale dellacostruzione identitaria italiana e vengono chiamati in causa ad ac-compagnare, anche al di fuori del circoscritto ambito degli studi edella critica storica, la riflessione politica più attuale, rappresentanouna chiave di lettura spesso richiamata a spiegare ancora il caratteredella nostra vicenda nazionale1.

Le pagine che seguono possono essere lette come un circoscrittocontributo ad avvicinare questi temi da una prospettiva specifica.Propongono di portare l’attenzione su alcuni aspetti dell’orizzontesimbolico e culturale entro cui si vengono compiendo, tra Sei eSettecento, le operazioni di mitopoiesi cittadina, considerando conmaggiore ampiezza le forme di costruzione identitaria che gli am-bienti culturali e letterari, compiono nei secoli tardo moderni.

In questo tempo, a lungo considerato poco significativo, gravatodalla «crisi della coscienza europea», non ancora maturo per una espli-cita proposta riformista2, in un piccolo centro dello stato veneziano i

1 A commento del risultato elettorale dell’aprile 2006 M. Fioravanti ci ricorda che«Non esistono “due Italie” […]. Esiste invece un paese, come il nostro, che è dotatodi una costituzione storica strutturata in senso fortemente plurale, a base corporati-va e municipale. E che per questa ragione storica di lungo periodo stenta in modoparticolare a darsi un’identità politica comune». M. FIORAVANTI, Un paese alla ricercadella sua identità politica, intervento nel dibattito a più voci dedicato a Due o molteItalie?, a cura di M.S. Piretti, «Contemporanea», 10 (2007), 1, p. 104.2 Circa una delle tematiche storiografiche più vivacemente discusse nella più recen-te stagione della ricerca storica, voglio ricordare G. SIGNOROTTO, Dall’Europa cattolicaalla “crisi della coscienza europea”, in C. OSSOLA - M. VERGA, M.A. VISCEGLIA (a cura di),Religione, cultura e politica nell’Europa dell’età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici,

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segnali di un vivace milieu intellettuale e di qualificate operazioni di mi-topoiesi culturale mi sembrano per nulla trascurabili. Non si tratta sol-tanto di rilevare l’attenzione dedicata alla propria storia passata, sia la ri-cerca mitica delle origini – e qui l’esempio di Aquileia cristiana e roma-na è perno di ogni trattazione – o la ricerca delle altrettanto fonda-mentali tracce comunali e medievali3; si tratta anche di dare il dovutorisalto a quella rete di trame relazionali, di conoscenze testuali, di mu-tuazioni culturali, che dota quell’universo culturale di strumenti e mo-delli entro cui compiere la sua operazione di costruzione identitaria.Non sempre quest’ultima segue percorsi lineari; non sempre le geogra-fie politiche e quelle culturali si sovrappongono; non sempre i percorsiveneziani o imperiali che portano dritti al centro della Serenissima o aVienna costituiscono il riferimento più immediato per la nobiltà coltadel Friuli, come lo sono per i suoi interessi economici, per le carriere deisuoi appartenenti, per le strategie matrimoniali delle sue famiglie.

Da un lato, dunque, l’operazione creativa condotta sul passato, inuno scavo diacronico, attraverso gli strumenti dell’erudizione e del-l’antiquaria è uno dei due terreni su cui la cultura cittadina costruiscela sua legittimazione; l’altro è la forte propensione ad aprirsi alla piùavanzata cultura europea.

Partire dall’analisi di un piccolo caso, di un caso periferico –Udine nel primo Settecento – potrà servire a mostrare che il caratte-re di apertura e di scambio culturale, di dialogo intellettuale e di at-tenzione ad orizzonti più dilatati è tratto significativo e strutturale del-la cultura municipale italiana, anche della cultura di quella che puòessere ragionevolmente ritenuta, secondo innegabili parametri stori-co politici, una doppia periferia; periferia politica dello Stato vene-ziano – quella provincia della Terraferma veneta che è abitualmentedescritta dalla vulgata storiografica come fortemente segnata dallacultura nobiliare, oltre la sua realtà – e periferia culturale di un uni-

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Firenze, Olschki, 2003, pp. 231-249 e, tra i tanti contributi sul tema che ne compon-gono il coerente percorso di studio, C. MOZZARELLI, Settecento, antico regime e illumini-smo, in I. BOTTERI (a cura di), Revisioni e revisionismi. Storie e dibattiti sulla modernità inItalia, Brescia, Grafo, 2004, pp. 49-63. 3 L. CASELLA, Scritti sulla città, scritti sulla nobiltà. Tradizione e memoria civica a Udine nelSettecento, «Annali di storia moderna e contemporanea», 12 (2006), pp. 351-376 eEAD., Dare una storia alla città. Modelli storiografici e selezione del passato a Udine nelSettecento, in D. MONTANARI ( a cura di), Usi della storia e identità politiche (secc. XVIII-XIX), «Cheiron», 2 (2007), in corso di stampa.

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verso intellettuale che riconosce le sue capitali nei grandi centri del-la produzione e dello scambio culturale.

Così se, da un lato, letture strettamente ‘micropolitiche’ non aiu-tano a comprendere a fondo quanta circolazione di modelli e di ideeci sia stata e quale ruolo abbia svolto nella perpetuazione e nella con-divisione di un sistema culturale comune, per quanto, è ovvio dirlo,declinato e differenziato nelle sue coordinate regionali, dall’altro,l’applicazione di schemi di lettura ‘macroculturali’ rischia di oblite-rare completamente le differenze di scala e di velocità con cui realtàcittadine minori fanno i conti con la loro storia e la loro identità ur-bana. La cultura cittadina italiana viene così – fuori dal caso di Roma,universale ed eterna perché antica e cristiana – ad essere liquidatacome ‘municipale’, con l’evidente sottolineatura limitativa che se-manticamente contiene4. Circostanziate ricostruzioni degli ambientiintellettuali nelle città, come quelle condotte su alcuni centri mag-giori della penisola5 ma anche considerazioni sul carattere struttural-mente dialogico della cultura letteraria italiana, ad esempio, e sulsuo permanente scambio con la cultura europea6 credo possano in-dicare il percorso da intraprendere.

1. Niccolò Madrisio, patrizio e viaggiatore

Niccolò Madrisio è considerato un minore dell’ambiente intellettua-le friulano del primo Settecento, un nobile patrizio che compie il

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4 Questo mi sembra intendere C. Charles quando scrive: «Comme Paris, Rome estune ville à dimension universelle en raison des souvenirs de l’Empire romain et durayonnement international de la Papauté. Les autres villes italiennes, nées principa-lement du Moyen Âge, restent, elles, enfermées dans une culture municipale». Cfr.C. CHARLES, Pour une histoire culturelle et symbolique des capitales européennes, introduzio-ne a C. CHARLE - D. ROCHE (éds.), Capitales culturelles, capitales symboliques. Paris et lesepériences européennes, Paris, Publications de la Sorbonne, 2002, p. 12.5 Ne è un felice esempio il volume J. BOUTIER - B. MARIN - A. ROMANO (éds.), Naples,Rome, Florence. Une histoire comparée des milieux intellectuels italiens (XVIIe-XVIIIe siècles),Roma, école française de Rome, 2005. La ricerca avviata su Napoli, Roma e Firenzeintreccia efficacemente aspetti di storia intellettuale e di storia sociale nell’analisidelle fisionomie culturali di tre grandi città italiane. Dopo il fruttuoso esempio di ri-cerca su quelli ‘maggiori’, andrebbe estesa ora ai milieux intellettuali ‘minori’.6 Mi sembra questo uno dei pregi del bel libro di S. JOSSA, L’Italia letteraria, Bologna,Il Mulino, 2006.

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suo percorso intellettuale all’Università di Padova, addottorandosi,come molti del suo ceto e del suo tempo, in filosofia e in medicina.

La storiografia lo ha segnalato per aver genericamente contribui-to «a creare anche nel Friuli un clima favorevole a uno sforzo di or-ganizzazione e cooperazione nella ricerca erudita» per aver fondatoa Udine, nel 1704, la Colonia Giulia dell’Arcadia, per aver introdottoe promosso un giovane prelato, quel Giuseppe Bini, educatore diGian Rinaldo Carli e personaggio chiave nelle vicende della soppres-sione del Patriarcato di Aquileia a metà Settecento7. Al tempo stessonon si è mancato di sottolineare i limiti della sua produzione lettera-ria, la maggior parte della quale è comparsa alle stampe tutta nell’ar-co del secondo decennio del Settecento. Più corposa, anche se nonmemorabile, l’opera poetica; pochi gli scritti in prosa, per lo più di va-lore celebrativo e occasionale: l’elogio di qualche luogotenente ve-neto che parte dal Friuli alla fine del suo mandato, il panegirico diun patriarca mecenate8. Ma non sono tanto queste opere apologeti-che, di corto respiro, a consegnarlo allo sfondo di un paesaggio cul-turale ed erudito dove la scena è tenuta da illustri cultori di antiqua-ria come Gian Domenico Bertoli, da studiosi del calibro di BernardoMaria De Rubeis o Francesco Beretta, o dalle massime figure dell’e-rudizione del tempo, come Giusto Fontanini. È piuttosto l’essersiesposto deliberatamente a discutere di questioni inerenti il venetopreromano e specificamente della qualità metropolitica di Aquileiacon Scipione Maffei, confutando le tesi sostenute dal veronese inDell’antica condizion di Verona nelle pagine dell’Apologia per l’antico sta-to e condizione della famosa Aquileia, opera dedicata non casualmente alpatriarca Dioniso Dolfin che nel 1711 aveva fondato – e subito aper-

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7 Cfr. G. TREBBI, Il Friuli dal 1420 al 1797. La storia politica e sociale, Udine,Casamassima, 1998, da cui la citazione a p. 330. La figura di Niccolò Madrisio ha co-stituito l’oggetto di studio, qualche anno fa, di P. Cavan che gli ha dedicato un volu-me il quale ha avuto il merito di tracciarne una prima biografia letteraria, di com-piere uno scavo documentario e di portare un’attenzione diversa alla figura del let-terato udinese, senza staccarsi tuttavia dalla ricostruzione di un medaglione a trattianeddotico P. CAVAN, Niccolò Madrisio viaggiatore. Un gentiluomo udinese in Francia allacorte del Re Sole, Udine, Del Bianco, 1989.8 Esempio può essere Nella partenza dell’Ill.mo ed Ecc.mo signor Sebastiano Mocenigo dalsuo glorioso reggimento d’Udine, uficio dell’illustrissimo signor Niccolò Madrisio uno degl’il-lustrissimi signori deputati della stessa città, In Udine, per Gio. Domenico Murero,[1716].

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to al pubblico – la ricca Biblioteca arcivescovile e che, a questa, nel1731 aveva affiancato l’istituzione di un’Accademia di Scienze, subitodivenuta lo spazio culturale cittadino per eccellenza, dove ricerca eru-dita e riflessione intellettuale venivano avvicinando soggetti e tradi-zioni differenti. A questa fase più matura di sciabilità culturale citta-dina Madrisio, morto nel 1729, all’età di 73 anni, non parteciperà.

Una querelle quella con Maffei, in cui il prestigio e il credito di cuigodeva il veronese avevano sbilanciato inevitabilmente il giudizio delmondo intellettuale a favore delle argomentazioni di colui che in-cautamente Madrisio si è scelto come interlocutore9.

Potrebbe dunque bastare per lasciarlo al suo ruolo di figura mino-re di un parnaso provinciale. E ancor meno sembrerebbe il caso diprenderlo ad esempio di scambi intellettuali e interculturali comequelli che caratterizzano il mondo della Repubblica delle lettere di cuisono riconosciute glorie locali Fontanini o Bertoli, figure che nonpossono che offuscare per produzione letteraria e per contatti intrat-tenuti i minori quali Madrisio o Giacomo Gorgo e Romanello Manin,cui faremo cenno più avanti. Ma c’è un errore di prospettiva, una dis-torsione interpretativa provocata da una lettura troppo ravvicinata e inqualche misura autoreferenziale infatti, a diversamente guardare,Madrisio è tra le figure dell’ambiente culturale udinese del primo set-tecentesco che meglio rappresentano quell’istanza cosmopolita, quel-la necessità di dialogo con la cultura più ampia, quella propensioneallo scambio, anche se inevitabilmente sbilanciato, grazie al quale sideclinano istanze culturali locali e modelli europei. Infatti è uomo chepiuttosto per tempo, nei primissimi anni del Settecento, attraverso isuoi viaggi – e in particolare grazie al suo soggiorno a Parigi – intro-duce nello scenario culturale udinese una particolare attenzione allaproduzione culturale e al dibattito intellettuale europeo e francese inparticolare, molto prima dunque di quello più evidente e conosciutoche si avrà nella seconda metà del secolo.

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8 V. CONTICELLI, Il cardinale e la città: Strategie culturali e politiche nella committenza diDaniele Dolfin a Udine, Udine, Arti grafiche friulane, 1996; U. ROZZO (a cura di), NelFriuli del Settecento: biblioteche, accademie e libri, Udine, Arti grafiche friulane, 1996 e L.CASELLA, Romanello Manin nell’ambiente culturale del primo Settecento friulano: note su uo-mini e idee, in EAD. (a cura di), Le due nobiltà. Cultura nobiliare e società friulana nei“Dialoghi” di Romanello Manin (1726), Roma, Bulzoni, 1999, pp. 13-52.9 L’apologia viene pubblicata in Udine, presso Fongarino, 1721. Accenno alla con-troversia in CASELLA, Scritti sulla città, scritti sulla nobiltà, p. 359 e ss.

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Se allarghiamo lo sguardo dal contesto territoriale e dalla sua piùevidente gerarchia intellettuale e scorriamo qualche opera d’oltralpeche si occupa degli scambi intellettuali tra Francia e Italia a cavallo traSei e Settecento vediamo che Madrisio viene considerato sotto una di-versa, e migliore, luce.

Non solo in alcuni studi risalenti10, ma anche in recenti e impor-tanti saggi di sistemazione delle relazioni intellettuali in quei secoli11,Madrisio viene citato come curioso osservatore della cultura francesee particolarmente parigina, precoce informatore, autorevole media-tore tra le «capitali» della cultura e il «rimanente del mondo», comelui stesso definirà il compito che attende ogni uomo nobile che in-tenda qualificare sotto il profilo dell’impegno civile e religioso – ol-tre che direttamente culturale – la sua prerogativa cetuale.

Ma veniamo a Madrisio e al suo viaggio, per accennare successiva-mente alle altre figure di questo ambiente intellettuale cittadino e allasua poco valorizzata apertura alla cultura europea che invece sembraessere un tassello importante della sua interna elaborazione.

La sua biografia personale, la sua appartenenza familiare, la suastessa genealogia custodiscono le ragioni delle sue scelte.

Niccolò Madrisio si descrive «patrizio udinese»12. Appartiene allanobiltà cittadina e ne ricopre le più prestigiose cariche sedendo inConsiglio e poi tra i Deputati della città. È nipote, per parte di ma-dre, di Daniele Fabrizio, l’avvocato fiscale che a metà Seicento com-pila la Dissertazione sulli feudi giurisdizionali della Patria, un testo fonda-mentale per la politica antifeudale della città di Udine, capoluogonon pienamente accreditato in età moderna di un territorio struttu-ralmente segnato dalla presenza di molte e radicate giurisdizioni si-gnorili; un testo che nasce dalla volontà del governo veneziano di co-noscere il più intricato ambito feudale del suo stato di terraferma,

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10 A. BABEAU, Les voyageurs en France depuis la Renaissance jusqu’a la Révolution, Genève,Slatkine, 1970 (rist. anast dell’ed. Parigi, 1885); H. BEDARIDA - P. HAZARD, L’influencefrançaise en Italie au dix-huitième siècle, Paris, Les Belles Lettres, [1932].12 F. WAQUET, Le modèle français et l’Italie savante. Conscience de soi et perception de l’autredans la République des lettres (1660-1750), Roma, École française de Rome, 1989. 11 Poesie toscane di N.M. patrizio udinese con un saggio ancor di latine dedicate a […] car-dinale Giorgio Cornaro, vescovo di Padova, Padova, Manfè 1713.12 BABEAU, Les voyageurs en France depuis la Renaissance jusqu’a la Révolution, pp. 251-252.

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ma che viene a costituire un patrimonio testuale fondamentale nel-l’elaborazione della cultura e della coscienza cetuale della nobiltà cit-tadina nella sua opposizione ai privilegi feudali.

Anche la sua biografia intellettuale conferma il percorso formati-vo di un ideale rappresentante della nobiltà cittadina. E avrà una ri-levante importanza sui ‘modi’ e i ‘mezzi’ che Madrisio adotterà nellesue scelte di intervento intellettuale, primo fra tutti quello di scrive-re, a distanza di tempo la sua esperienza di viaggio.

2. Il viaggio di Niccolò Madrisio

«Les italiens voyageaient moins que les Anglais; et quoiqu’ils aientsubi plus que les Anglais l’influence française, ils ont moins écrit leursvoyages. Parmi ceux qui firent connaitre leurs impressions à leurscompatriotes, on peut citer Laffi, Gemelli Careri, Nicolo Madrizio. Cedernier est un patricien d’Udine, qui a jugé à propos d’écrire son vo-yage en vers»13.

L’opera di Madrisio Viaggi per l’Italia, Francia e Germania14, consi-derata una delle più interessanti testimonianze della letteratura diviaggio italiana sul Regno di Francia nei decenni tra Sei e Settecento,viene messa a confronto con le testimonianze di viaggio di italiani inquel torno di decenni: cronologicamente successiva a quelle del bo-lognese Domenico Laffi, e del calabrese Giovanni Francesco GemelliCareri15 ma anche alla più nota testimonianza di viaggio di Sebastiano

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13 In Venezia, appresso Gio. Gabbriello Hertz, 1718, (2 voll.). 14 Per le edizioni delle due opere: D. LAFFI, Viaggio in Ponente a San Giacomo di Galitiae Finisterrae, a cura di A. Sulai Capponi, Napoli, ESI, 1989, che si basa sulla terza edi-zione del viaggio del bolognese comparsa nel 1681 (Bologna, Pisarri). Il primo pel-legrinaggio a Compostela di Laffi risale però al 1666 e si ripeterà nel 1670, nel 1673e ancora successivamente. In questo racconta il suo passaggio per la Francia, limita-tamente alla parte meridionale però, dal Delfinato fino ai Pirenei; G.F. GEMELLI

CARERI, Viaggi per Europa, divisati in varie lettere familiari scritte al sig. consigl. AmatoDanio, In Napoli, presso Giuseppe Roselli, 1701. Si vedano anche le voci biografichedi E. RUSSO, Laffi, Domenico, in Dizionario biografico degli italiani (DBI), vol. LXIII,Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, pp. 56-58 e P. DORIA, Gemelli Careri,Giovanni Francesco, in DBI, vol. LIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999,pp. 42-45. BEDARIDA - HAZARD, L’influence française en Italie au dix-huitième siècle.15 È questo uno dei più noti testi seicenteschi di viaggiatori italiani in Francia, l’unicoche li rappresenti nell’antologia curata da J.M. GOULEMONT - P. LIDSKY - D. MASSEAU, Le

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voyage en France. Anthologie des voyageurs européens en France, du moyen âge à la fin del’Empire, Paris, Laffont, 1995, pp. 134-178. Presente in due sole copie manoscritteconservate a Bologna e Perugia, viene tradotto in francese nel 1905 in un’edizioneintrodotta e annotata a cura di A. VAUTIER, Voyage de France, mœurs et coutumes françai-ses, 1664-1665, Paris, Picard, 1905. Su questa edizione francese si basa ampiamente illavoro di W. BLUNT, Sebastiano. The Adventures of an Italian Priest, Sebastiano Locatelli, du-ring his Journey from Bologna to Paris and back 1664-1665, London, Barrie, 1956. In Italiaun’edizione del testo compare solo con la cura di L. Monga qualche decennio fa: S.LOCATELLI, Viaggio di Francia: costumi e qualità di quei paesi 1664-1665, a cura di L.Monga, Moncalieri, Centro interuniversitario di ricerche sul “Viaggio in Italia”, 1990.Si veda anche A. POITRINEAU, Un prêtre séculier italien en France au début du règne person-nel de Louis XIV. Le voyage du Bolonais Sébastien Locatelli (1664-1665), in La découverte dela France au XVIIe siècle, neuvième colloque de Marseille organisé par le CentreMéridional de Rencontres sur le XVIIe siècle, 25-28 janvier 1979, Paris, Éditions duCNRS, 1980, pp. 143-159. 16 Alcuni dati li fornisce D. ROCHE, Les livres de voyage à l’époque moderne, XVIe-XVIIIesiècle, «Revue de la Bibliothèque Nationale de France», 22 (2006), pp. 5-13, ma il temaè ampiamente trattato in ID., Humeurs vagabondes. De la circulation des hommes et de l’u-tilité des voyages, Paris, Fayard, 2003.17 Approfondiscono la scoperta della Francia nel XVII secolo attraverso una ricca ca-sistica di testimonianze di viaggio i saggi raccolti nel citato La découverte de la France.18 VAUTIER, Voyage de France, p. VII a cui si deve anche la sintetica descrizione delle ca-ratterizzazioni nazionali appena richiamate. Altrettanto stereotipate le considerazio-ni dei viaggiatori sui francesi. Un compendio esemplare lo offre Gio. FrancescoGemelli Careri: a un lungo elenco di ‘virtù’ – «sono eglino la più compiuta ed amo-revole gente del Mondo, e fra di loro e co’ forestieri; liberali e magnifici ove ci va delloro onore» – ne fa seguito un altro in cui vengono enumerati i ‘vizi’ tra cui «goderefuor di modo nelle novità» e soprattutto «quel che gli rende poco stimati da noiItaliani, ridono strabocchevolmente per ogni picciola occasione; stimandosi questascempiezza fra di essi une gayetè d’esprit». Cfr. GEMELLI CARERI, Viaggi per Europa, p. 233e ss.

Locatelli16. La Francia è, con l’Italia, una delle mete europee più vi-sitate nel XVII secolo17; particolarmente, nella seconda metà di esso,quando la civilisation française diviene modello per l’Europa e la cor-te di Luigi XIV, suo epicentro politico, si offrono all’interesse dei sa-vants così come di pellegrini in cammino verso mete religiose, di sem-plici curiosi, di uomini di chiesa o di diplomazia18. Diversi sono glisguardi dei viaggiatori, le loro prospettive di lettura, fatalmente ad-densate intorno ad una precoce costruzione di stereotipi ‘nazionali’compreso il loro ingessato corollario di pregiudizi: la pedante curio-sità dei tedeschi, interessati solo alle antichità e ai monumenti e in-differenti alla natura e all’uomo; lo snobismo degli inglesi, che di

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fronte a ciò che non è anglosassone esprimono giudizi severi chevanno dalla riprovazione alla scandalizzata denuncia; «les voyageursle plus nombreux et les plus clairvoyants sont les italiens»19. Ma lostesso ridottissimo numero di coloro che abbiamo appena ricordatoè sufficiente a rappresentare però un campionario e ci dimostra comegli stessi viaggiatori italiani si differenzino per prospettive e motiva-zioni: c’è lo sguardo devoto del pellegrino Laffi che, come quellodell’uomo di chiesa Locatelli, si sofferma volentieri su luoghi e aspet-ti della vita ecclesiastica francese; quest’ultimo condivide però conGemelli Careri una forte curiosità per i caratteri antropologici, i co-stumi sociali, il diverso equilibrio dei rapporti tra uomini e donne elo stupore ammirato per la libertà della condizione di queste20.

Le testimonianze di viaggio sono documenti usati a tutto tondodalle ricerche nell’ambito delle scienze umane21. Che si tratti di stu-diare la storia del territorio da una ‘prospettiva umanistica’22 o di av-vicinare la storia delle idee, ogni relazione di viaggio, assieme a quel-lo che descrive, parla della prospettiva dell’autore, dello sguardo concui va incontro a quella civiltà e alla sua tradizione. Si può portare l’at-tenzione sull’‘oggetto’ della descrizione (la Francia del XVII secolo,in questo caso), sul ‘soggetto’ che la compila (la sua nazionalità, la suaappartenenza cetuale, le intenzioni del suo viaggio) o insistere sulla

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19 Ibi, p. 179 e ss. dove si sofferma a lungo a descrivere quello che gli appare comeun diverso atteggiamento culturale verso l’amore, la gelosia e il rapporto con ledonne dei francesi e degli italiani: «né mariti né amanti sono in Italia ma parenti oguardiani». Anche Madrisio accennerà più volte alla libertà di cui godono le donnenella società francese: «le donne, che altrove stan ritirate, concorrendo qui in tuttele attieni e godendo d’un’intiera libertà, accrescon la folla». Cfr. N. MADRISIO, Letteraa Antonio Dragoni, Parigi, 13 giugno 1698, pubblicata in appendice a CAVAN, NiccolòMadrisio, p. 114.20 E. BIANCHI (a cura di), Geografie private. I resoconti di viaggio come lettura del territorio,Milano, Unicopli, 1985. 21 A questa è riconducibile la ripresa del tema del viaggio nella geografia italiana re-cente secondo G. SCARAMELLINI, La geografia dei viaggiatori. Raffigurazioni individuali eimmagini collettive nei resoconti di viaggio, Milano, Unicopli, 1993.22 Parla di «travellers who have in some way failed in their approach to the foreign.This failure is often located in an inhability to translate the foreign into appropria-te forms of language» Chloe Chard nell’Introduzione, in C. CHARD - H. LANGDON

(eds.), Transports: Travel, Pleasure, and Imaginative Geography, 1600-1830, New Haven-London, Yale University Press, 1996. Più pertinenti alla prospettiva che qui adottia-mo le considerazioni di Francesco Orlando su cui torneremo oltre.

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‘forma’ letteraria con cui restituisce la sua esperienza. Quello che in-teressa, ai nostri fini, è fissare l’attenzione sull’osservatore più chesull’oggetto osservato, guardare non tanto il cielo, piuttosto il dito dichi lo indica. Da questo punto di vista, non esiste ‘inadeguatezza’ nel-lo sguardo del viaggiatore, che decodifica ciò che incontra secondouna sua propria grammatica23.

Quello di Madrisio è il viaggio in un patrizio italiano, cittadino diuna piccola realtà provinciale verso la cultura. E se, in ragione dell’e-tà non più acerba del Madrisio vicino ormai alla quarantina, non pos-siamo rubricarlo tra i viaggi di formazione della giovane nobiltà del-le città italiane nell’Europa di quegli anni, così ben descritti da JeanBoutier, o come una delle tappe ormai pedagogicamente codificate«per l’educazione politica e militare, diplomatica e mondana» dellanobiltà della penisola, non possiamo tuttavia non rilevare che il viag-gio dell’udinese è comunque un viaggio di apprendimento, un per-corso consacrato soprattutto all’erudizione, ad avvicinare la cultu-ra24. Sono le stesse parole che inaugurano l’introduzione che ci indi-cano con quali intenzioni si avvicina al viaggio: «Uno de’ desideri piùvivi, ch’io abbia fin dalla cuna portati, e fin dalla fanciullezza nutridi,si è stato quello del viaggiare, e di passar dagli studi, ove ho menatabuona parte del viver mio, a scorrer co’ propri occhi qualche faccia-ta ancora di questo gran libro, che è il Mondo, esposto da Dio peristruire delle sue eterne grandezze l’innocente curiosità de’ morta-li»25. Il mondo è un libro: non è certo una metafora originale, ma elo-quente della prospettiva culturale del viaggiatore, che lo affronta conun bisogno di esperienza diretta che aggiunga alla conoscenza for-

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23 Ricco lo spaccato di casi proposto, e importanti le considerazioni svolte sulla fun-zione formativa del viaggio da J. BOUTIER, L’institution politique du gentilhomme. Le“Grand Tour” des jeunes nobles florentins en Europe, XVIIe-XVIIIe siècles, in Istituzioni e so-cietà in Toscana nell’età moderna, Atti delle giornate di studio dedicate a GiuseppePansini (Firenze, 4-5 dicembre 1992), vol. I, Roma, Ministero per i beni culturali eambientali - Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994, pp. 257-290. Sui percorsi dieducazione della nobiltà italiana si veda, da ultimo anche se focalizzato su un perio-do più tardo, E. BRAMBILLA, Selezione delle élites tra vecchi e nuovi luoghi di educazione (dafine Settecento all’età napoleonica), in G. TORTORELLI (a cura di), Educare la nobiltà,Bologna, Pendragon, 2005, pp. 11-41, da cui la citazione, p. 11.24 MADRISIO, Viaggi, p. 3.25 Cfr. «Journal des Savants», 1720, p. 485. Cfr. Anche VAUTIER, Voyage de France, p.VIII.

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matasi in lunghi anni sui libri di carta, il più ricco patrimonio forma-tivo che deriva da una partecipazione completa, intellettuale e senso-riale.

È il viaggio di un nobile colto e come tale viene segnalato dal«Journal des Savants» nel 1720, dopo che il libro è comparso a stam-pa: «Madrisio, venu en France en 1698 a raconté son voyage en versqu’il a commentés lui-même dans de longues notes où il étale souventune érudition assez lourde. C’etait un amateur de livres, qui admiraitfort les belles librairies de la rue Saint Jacques. Il s’intéressait à l’ar-chéologie et aux sciences exactes»26.

La prestigiosa gazzetta letteraria ne descrive anche la particolarestruttura del racconto, divisa tra récit di viaggio e espressione poetica,dove si alternano parti in versi seguite da parti in prosa: a quest’ulti-me Madrisio affida le sue descrizioni, considerazioni e commenti.«Ces voyages sont très-agréablement ecrits. L’Ouvrage est composéd’un texte, et de remarques. Le texte est en vers; c’est la relationmême des voyages de M. Madrisio; il est partagé comme en quattrechants. Les remarques sont en prose; elles reduisent à la mesure duvrai ce qui pourroit être trop enflé dans le Poëme. L’une et l’autrecomposition ont les beautés qui leur conviennent»27.

Dunque affida l’incantamento e l’enfasi alla poesia e all’altro stru-mento letterario, la prosa, affida la «mesure du vrai», in un’alternan-za e compenetrazione tra il bisogno di testimoniare e l’elaborazionecreativa attraverso cui più convenientemente esprimere la propriaesperienza sensoriale e intellettuale.

Non è nelle mie intenzioni né competenze soffermarmi sulla tipo-logia letteraria scelta da Madrisio per restituirci la sua esperienza28,

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26 «Journal des Savants», 1720, p. 485.27 Sulla tipologia letteraria dei racconti di viaggio in versi si può vedere il recentePoesie et voyage. De l’énoncé viatique à l’énoncé poétique. Études réunies et présentées a SophieLinon-Chipon, Véronique Magri-Mourges et Sarga Moussa, Mandelieu-La Napoule, Édi-tions La Mancha, 2002 e, in questa raccolta, più specificamente il saggio dedicato algenere letterario dei «viaggi in versi e in prosa» di J-D. CANDAUX, Voyager en vers et enprose: permanences et innovations d’un genre alle pp. 49-60 che stende un elenco delleopere degli emuli del Voyage di Chapelle et Bachaumont identificando una quaran-tina di testi prodotti nella letteratura francese tra la metà del Seicento e fineSettecento, a grandi linee tra il regno di Luigi XIV e il Direttorio.28 Il viaggio, in realtà, non è perfettamente databile, anche se viene compiuto nellaseconda metà degli anni Novanta del Seicento e abbiamo certezza del fatto che

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se non per sottolineare che non si tratta di un ‘giornale’ di viaggio, diuna annotazione simultanea agli avvenimenti raccontati bensì di unatrasposizione letteraria successiva delle sue memorie: i due elementi,l’elaborazione testuale successiva e forma letteraria scelta, sottolinea-no – e impongono di considerare come rilevanti – l’elaborazione delricordo e la volontaria e meditata selezione degli episodi.

Possiamo presumere che Madrisio avesse annotato durante il viag-gio le sue impressioni ma la genesi di questa opera non è chiaramentedesumibile dai documenti, lo stesso viaggio così come viene reso neidue tomi non sembra sia stato svolto tutto in un’unica esperienza:probabilmente andò più di una volta in Francia alla fine degli anninovanta del Seicento e nelle altre regioni del nord e centro Europaintorno ai primi del Settecento29. Ma solo in anni successivi al suo ri-torno ne decise la stesura definitiva e letterariamente compiuta.

Ci sono dunque diversi momenti nella redazione dell’opera di cuitenere conto e una scelta di elaborazione letteraria come la più con-veniente a restituire il racconto secondo la prospettiva del suo esten-sore. Vi è un tempo dell’esperienza e un tempo – e una lingua – del-la sua comunicazione fortemente qualificante per il senso dell’ope-razione stessa30; un rilevante lasso temporale di sedimentazione tral’esperienza del viaggio, la stesura e la pubblicazione di esso; tempoin cui Madrisio, fa notare P. Cavan, è accolto tra gli Arcadi e ne assi-mila la grammatica letteraria, i gusti e le inclinazioni culturali.

Ma il senso di questa operazione letteraria non è tutto interno auna lettura stilistica del testo. Quello che sembra contare è la volontàdi testimonianza – non solo letteraria, ma storica – che Madrisio in-tende fornire, inserendo la sua produzione in una tradizione intel-lettuale ben precisa. Il nesso tra esperienza di viaggio e percorso di

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Madrisio fosse in Francia quando nunzio veneziano in quel paese era M. Dolfin,dunque entro il 1698. Su questo cfr. CAVAN, Niccolò Madrisio, p. 24. 29 L’importanza della dimensione temporale nella stesura di un resoconto di viaggioè sottolineata da E. Kanceff che riprende quanto scrive B. Didier «colui che ritoccao anche soltanto ricopia il proprio diario […] opera un andirivieni fra tre momenti:quello del vissuto, quello della prima redazione e quello della redazione definitiva».Cfr. E. KANCEFF, I differenti aspetti del “diario di viaggio”, in BIANCHI (a cura di), Geografieprivate, p. 21.30 Tratti dall’antichità: Giulio Cesare che ha descritto il suo viaggio in Spagna;Trajano, la spedizione di Dacia; Severo ha scritto il suo giornale di Persia, Orazio ilsuo pellegrinaggio a Brindisi, etc. Cfr. MADRISIO,Viaggi, p. 000.

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erudizione è evidente infatti nella sequenza di auctoritates che lo stes-so Madrisio ricostruisce a partire dagli esempi della classicità, im-mancabile punto di partenza di ogni pretesa genealogica31, passandoper quelli che riconosce come riferimenti letterari più vicini al suomondo intellettuale32, per arrivare a coloro che, come fari, orientano– per modalità e finalità – la sua ricerca erudita.

La soddisfazione di stendere un resoconto di viaggio, una volta tor-nati, «può giustamente accordarsi a chi ha fatto qualche curioso cam-mino», scrive giustificando la sua scelta, confortato dal fatto che«l’applauso pubblico ha si pienamente approvata ne’ due celebri mo-naci della Congregazione di San Mauro Mabillone e Montfaucon, iquali intorno ai loro gravissimi studi ed a tant’opere insigni, ondehanno arricchita la Repubblica delle Lettere, non hanno ricusato far-ci parte delle loro osservazioni d’Italia nelle due opere fate espressa-mente per ciò, l’una intitolata Museum l’altra Diarium Italicum»33.

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31 «E nel nostro stesso idioma m’erano particolarmente restati infissi nella memoria lanavigazione di Carlo e d’Ubaldo nel Tasso, e ‘l giro del nostro gran Nazionale fra Cirodi Pers su le galere di Malta, col di cui esempio mi sono determinato a scrivere i mieiinnumeri disobbligati da rima, con che sono insieme venuto a schivar l’opposizionesolita farsi da’ Francesi ai nostri poemi ordinati in ottave, che essi chiamano lavoro aMusaico tessuto di molte e variamente intrecciate composizioni, difetti che noi potres-simo con tanto maggior fondamento rovesciar sulle tragedie e sulle Satire loro, nellequali questo stesso Musaico riesce minuto assai più siccome composto da soli due ver-si», ibi, p. 000. Segnalo solamente due questioni: la forma narrativa del resoconto diviaggio che Madrisio sceglie di adottare, che alterna poesia e prosa, è mutuata dunquedall’esempio del poeta friulano cinquecentesco, Ciro di Pers. Inoltre non si può trala-sciare di rilevare come Madrisio sia consapevole e perfettamente informato – e le pa-role di critica alla tradizione stilistica francese lo confermano – della questione che op-pone mos italicus e mos gallicus (come direbbero i giuristi) e che declina nel campo let-terario la più generale querelle tra antichi e moderni.32 Ibi, c. 5v. I riferimenti sono ovviamente a J. MABILLION - M. GERMAIN, Museum Italicum,Paris, 1687 e B. DE MONTFAUCON, Diarium italicum sive monumentorum veterum, bibliothe-carum, musaeorum etc.notitiae singulares in itinerario italico collectae, che compare alle stam-pe nel 1702 (Parisiis, apud Joannem Anisson), al ritorno del viaggio del monaco, ini-ziato nel 1698. Si veda ID., Voyage en Italie – Diarium italicum: un journal en miettes, edi-zione critica, studio e note di Anna Galliano, Geneve, Slatkine, 1987 (che offre peròuna bibliografia molto datata). Nella vasta bibliografia su questo tema, importanti ri-mangono le considerazioni circa l’influenza dei benedettini di Saint-Maure sull’eru-dizione italiana (e in particolare sul nesso tra cultura religiosa e rinnovamento deglistudi) svolte da E. RAIMONDI, I padri maurini e l’opera del Muratori, in ID., I lumi dell’eru-dizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano, Vita e pensiero, 1989, pp. 3-77. 33 Lettura tutta interna, questa, a una visione esclusivamente stilistico-letteraria, come

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Piuttosto che rilevare il nesso tra ascrizione all’Arcadia di Madrisioe stesura dei volumi dei Viaggi nella forma letteraria di cui abbiamodetto34, mi sembra che la consequenzialità più proficua sia da stabi-lirsi con la conoscenza che l’udinese fa dell’esperienza del viaggiodei due maurini in Italia, esempio che sembra dargli l’impulso a scri-vere. La stessa decisione di pubblicare il suo libro di viaggio derivadalla dipendenza da quel sistema culturale, dall’emulazione, dall’i-mitazione di quelle opere che rappresentavano la più avanzata siste-mazione delle proposte dell’erudizione cattolica a cui guardavaMadrisio, come tutti coloro che intendevano coniugare istanze reli-giose e ricerca storica, cattolicesimo e volontà di rinnovamento cul-turale35.

Liquidare questo atteggiamento come imitativo e passivo, un se-gno di inadeguatezza culturale, una sanzione definitiva di inattualitàdi uno spazio culturale e della sua proposta, significherebbe tuttavianon tenere in dovuto conto almeno due ordini di considerazioni. Ilprimo, inerente il generale discorso sulla forma imitativa come ripro-duttiva e creativa al tempo stesso della cultura di antico regime36; il se-condo, che riguarda il quadro complesso in cui si intrecciano istanzeculturali e socio-politiche quali quelle della nobiltà cittadina primosettecentesca e come queste vengano precisandosi, nel caso udinese,nella mediazione tra istanze culturali di tipo universalistico (per valo-re e diffusione) e dimensione locale della politica e della cultura.

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la intende Cavan quando scrive: «Ma tra l’epoca dei viaggi e la stampa è avvenuto unfatto importante: Madrisio è stato accolto tra gli Arcadi», cfr. CAVAN, Niccolò Madrisio,p. 26.34 MADRISIO, Viaggi, p. 000. Lo rileva anche WAQUET, Le modèle français et l’Italie savan-te, p. 131.35 Tema ormai ampiamente trattato e per cui si veda sempre: A. QUONDAM, La virtùdipinta. Noterelle e divagazioni (guazziane) intorno a Classicismo e “Institutio” in AnticoRegime, in G. PATRIZI (a cura di), Stefano Guazzo e la civil conversazione, Roma, Bulzoni,1990, pp. 227-395.36 La «straordinaria mobilità […] che portava i letterati italiani in giro per l’Europa,assumeva piuttosto i tratti di una sorta di Grand tour alla rovescia; un viaggio alle fon-ti del rinnovamento culturale europeo, alle quali ci si rivolgeva per un inevitabile ag-giornamento del proprio sapere, ultima risorsa per sottrarsi all’asfissia di un umane-simo ormai estenuato nel culto della propria inattuale eccellenza retorica», cfr. A.SCOTTO DI LUZIO, Il “Nuovo Giornale de’ Letterati d’Italia”: riscrittura della tradizione zenia-na ed impegno della cultura erudita, «Archivio di storia della cultura», 11 (1998), p. 15.

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Scrivere il viaggio allora significa dislocare un’esperienza di for-mazione intellettuale individuale e privata nella comunicazione di unpercorso di erudizione, significa trasformare un diario intimo in unlibro, significa occupare uno spazio nel mondo delle lettere e dunquepartecipare, secondo le codificate leggi di una grammatica letterariama anche etica, alla costruzione di un condiviso spazio culturale, si-gnifica marcare, nell’occupazione dello spazio letterario, anche unospazio della politica e dell’affermazione cetuale37.

In altre parole l’ingresso in Arcadia di Madrisio non serve solo agiustificare la cifra stilistica, quanto a segnalare, attraverso l’impegno‘accademico’, la sua partecipazione alla vita culturale – e per ciò stes-so politica – della città. Non è casuale che la maggior parte della suaproduzione (nel senso della comparsa a stampa delle sue opere) siconcentri in un decennio, tra gli anni dieci e venti del Settecento; cheintorno alle piccole opere d’occasione, che comunque parlano diquanto sia a contatto con gli episodi politico-amministrativi del mo-mento e di quale sia il suo ruolo sulla scena del prestigio locale, cre-scano i due lavori maggiori, l’Apologia e i Viaggi. Un viaggio nel pas-sato e uno nel presente; uno attraverso l’uso della storia, l’altro attra-verso l’uso della letteratura; uno intrapreso per accreditare la centra-lità politica della città rispetto al suo territorio, l’altro per accreditarela cultura del ceto di governo di quella stessa città nei confronti delgran mondo delle lettere. La partecipazione alla «composita rete del-la sociabilità intellettuale settecentesca» e «il ruolo centrale che la di-mensione letteraria continua sino all’ultimo a giocare nelle forme diautorappresentazione della “grande società degli spiriti” settecente-sca» diventano, sul terreno locale, presupposti per la creazione di unafisionomia civica e di una identità politica del ceto nobiliare cittadi-no: ‘cosmopolitismo’ e ‘cittadinanza’ sono facce qui della stessa me-daglia38.

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37 Ho usato le parole di L. SCUCCIMARRA, I confini del mondo. Storia del cosmopolitismodall’Antichità al Settecento, Bologna, Il Mulino, 2006, rispettivamente pp. 373, 372.Sulla vocazione ‘civica’ delle comunità di letterati e sulla letteratura come ‘forma’ deldiscorso politico, è da vedere JOSSA, L’Italia letteraria, in part. il cap. III «Res publica lit-teratorum».38 Notava già P. Cavan: «Dei Viaggi esiste un’unica edizione in due tomi. Nel primoMadrisio parla del suo viaggio in Francia: in 955 versi attraversa l’Italia settentrionale,varca il Moncenisio e si ferma a Lione; in altri 950 versi racconta della sua visita aParigi». Cfr. CAVAN, Niccolò Madrisio, p. 23. Sulla caratterizzazione culturale del viaggio

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Ma torniamo al Viaggio o, meglio, a quella parte di esso che ci in-teressa maggiormente. È il primo dei due volumi a contenere la de-scrizione dell’itinerario in Italia e in Francia e la predominanza dellepagine dedicate a Parigi ci convince ancora di più a circoscrivere l’e-sperienza di Madrisio in un percorso verso il centro della cultura39:«s’inseriscono relazioni di Città, di costumi di popoli, di palagi e di vil-le regali», avverte subito il frontespizio. Soprattutto nella descrizionedelle istituzioni culturali parigine e dello splendore dei luoghi del sa-pere della capitale, così come di quelli della sociabilità nobiliare eletteraria, si esprime lo sguardo di un patrizio, di un nobile cittadinocolto. Sono quelle dimensioni che nel letterato destano interesse,quelle che attirano la sua attenzione.

Il polo d’attrazione di Madrisio, l’abbiamo già detto, è certamenteParigi, che risulta senz’altro uno dei luoghi più ben restituiti nel suoracconto. Ma non è isolato il suo atteggiamento. Non solo uomini didiplomazia o di lettere, non solo uomini colti ma altrettanto coloroche arrivano poco preparati sul paese, che ne conoscono poco la lin-gua, si dimostrano tutti «impatients, surtout depuis la fin du XVIIesiécle, d’arriver à Paris»40.

La descrizione della capitale francese contiene tutta la meravigliae l’ammirazione di Madrisio per quello che definisce «il luogo piùaugusto di tutta la terra». Scrive, in una lettera ad Antonio Dragoni il13 giugno del 1698: «le scrivo da Parigi, ristretto di meraviglia, cittàin cui sta epilogato un floridissimo regno, metropoli della Francia pernon dire dell’Universo, reso poi ora superiore a se stesso per trovarsinel secolo della perfettione e sotto il reame più glorioso di tutti i mo-narchi»41.

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della nobiltà italiana in Francia, si veda ancora BOUTIER, L’institution politique du gen-tilhomme, p. 276 e ss. che riprende le parole di J. Revel «Le voyageur cultivé du XVIIesiècle, et ancore dans la première moitié du XVIIIe, que visitait-il? Des villes, des mo-numents témoins d’une histoire déjà constituée (la ‘‘grande histoire’’); il s’initiait auxœuvres d’art, découvrait les pratiques culturelles dominantes, apprenait à reconnaî-tre les formes de la sociabilitè des èlites».39 VAUTIER, Voyage de France, p. IX.40 MADRISIO, Lettera a Antonio Dragoni, pp. 111-114.41 Cfr. BABEAU, Les voyageurs en France, p. 00 a proposito di considerazioni che Madrisiosvolge sulla campagna che attraversa tra Lione e la capitale: «Veramente nel trattosopra accennato di Francia come la campagna è molto bella, e ben cultivata, così nonpuò negarsi, che le poche Città che s’incontrano, non siano in total declinazione e

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È dunque, come sarà, un viaggio nella civilisation, nelle struttureurbane e simboliche della socialità; è un viaggio che vuole essereun’analisi del potere e delle forme culturali di quella stagione dellapolitica – il regno di Luigi XIV – che ne è l’esaltazione, l’espressionepiù compiuta.

Le registrazioni relative al suo itinerario nel regno francese, le de-scrizioni dei territori che attraversa sono fortemente sbilanciate nel-l’osservazione delle tracce di storia culturale dei luoghi e nel segna-lare in maniera attenta ma altrettanto liquidatoria l’assenza di urba-nitas. «Contrariement à l’opinion générale, il ne trouve dans le villesprovinciales de la France rien qui réponde à la beauté et à la fertilitédes campagnes, et il s’en prend à Paris, qui attire toutes les richessesdu royaume, comme l’ancienne Rome attirait toutes celles del’Italie», scrive Babeau riprendendo le parole di Madrisio42.

Va detto che vi sono altri registri su cui il libro è costruito, altripiani di osservazione che catturano l’interesse del viaggiatore. Se nelcaso di altri stati europei che Madrisio attraversa nel corso del suo tour(le Fiandre e i territori tedeschi descritti nel secondo dei due volu-mi) la densità del racconto si avverte maggiormente nell’osservazionedello spazio, della natura, del segno dell’uomo sulla natura43, altret-

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ruinose e la cagion si è il passar che fan le persone nobili tosto ch’an adunato qual-che comodo, a stabilirsi in una delle due dette città e particolarmente in Parigi dovecolando le ricchezze lasciano per conseguenza esauste le mezzane Provincie. Quasitutta la Francia è impressa di questo delirio, che non sia ben impiegato quell’oro, chenon si spende in Parigi. Ad un somigliante stato ridusse altre volte l’Italia la gran-dezza esorbitante di Roma alla quale concorrevano i popoli da tutte le parti »,MADRISIO, Viaggi, vol. I, c. 132.42 La lunga descrizione delle dighe olandesi e l’osservazione del fenomeno delle ma-ree occupano molte pagine del secondo volume. Cfr. ibi, vol. II, pp. 000. Sul docu-mento di viaggio come testimonianza storico-spaziale, tema enorme nell’analisi del-la letteratura di viaggio, si vedano da ultimo le note L. MASCILLI MIGLIORINI, Scritturedi storia e memorie di viaggio, «Rivista storica italiana» («RSI»), 1 (2006), pp. 251-257.43 I molti passi in cui Madrisio accenna alla presenza di forestieri e viaggiatori, allacapacità di attrattiva culturale della città, alla mobilità dei savants che trovano qui ilprincipale polo di attrazione, non può che confermare quanto già messo in luce daD. ROCHE (éd.), La Ville promise. Mobilité et accueil à Paris, Paris, Fayard, 2000. Da guar-dare anche, sul tema del viaggio e dell’accoglienza, anche se focalizzato sul secondoSettecento, ID., Images de la ville, lumière de Paris, saggio introduttivo a Almanach pari-sien en faveur des étrangers et des personnes curieuses, Saint-Étienne, Pubblications del’Université de Saint-Étienne, 2001, pp. 7-32.

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tanto palese è come nel segmento francese la registrazione dei luo-ghi riguardi quasi esclusivamente quelli della socialità urbana e, pereccellenza, della capitale.

« Sono stordito dallo strepito di 20 milla carrozze […]. Sono ab-bagliato dalla luce di cotanto oro […]. Non ho ben ferma la testa,per non esser ancora avvezzo in questo gran mondo strabiliante». Lameraviglia che traspare dalla sua osservazione tocca ogni ambito del-la vita della città, dagli aspetti urbanistici anche se non architettoni-ci (sotto questo profilo lo stile italiano ai suoi occhi è insuperabile)alle connotazioni sociali del tessuto urbano. La metropoli francese èora centro indiscutibile del mondo, il numero degli abitanti, vicini almilione, è «accresciuto dagl’innumerabili forestieri che doppo lapace sono venuti per così dire ad inondare Parigi» e che affollano inparticolare «questo amplissimo suburbio di S. Germano, dove io abi-to, [il quale] è ormai divenuto il centro di Parigi». Torneremo oltresulla sua percezione della capitale francese come capitale culturaledell’Europa prima che come centro politico di un grande regno44.La diversa prospettiva con cui il nobile udinese guarda alla metropo-li francese è confermata dal fatto che nell’assenza della corte, ora aVersailles, la città non perde di interesse ai suoi occhi. La città esisteanche senza il re, esiste oltre il potere.

Solo qualche decennio avanti, poco prima della metà del secolo,Parigi non era stata registrata come tappa importante del percorsoeducativo del giovane cadetto inglese che Defoe descrive nelle sueMemorie di un cavaliere: «Non avevamo intenzione di stare a lungo aParigi, dove in verità, al di là della città in sé, non vi era molto da ve-dere». E più oltre spiegava meglio quali fossero gli effetti dell’assenzadella corte che in quel momento era stata trasferita nei pressi diLione, più vicino al campo su cui si trovavano Richelieu e l’esercito:«non vi era nulla da fare a Parigi, la corte appariva come la casa di uncittadino quando tutta la famiglia si è trasferita in campagna»45.

La città è letta come il luogo del potere e, nella fisica assenza diquesto, diventa un non luogo, essa stessa spazio dell’assenza. La città

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44 D. DEFOE, Memorie di un cavaliere, Milano, Mondadori, 1999, le citazioni rispettiva-mente alle pp. 19, 20.45 Il tema del sapere che, oltre a costituire patrimonio universale, diventa cifra dellacostruzione dell’immagine della città è molto ben trattato nel libro di S. VAN DAMME,Paris, capitale philosophique. De la Fronde à la Révolution, Paris, Odile Jacob, 2005.

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senza il re non basta, non contiene in sé quella qualificazione cultu-rale che, pur nella stretta mutualità con la politica, arriva però a tra-valicarla, ad affrancarsene fino a vivere di vita propria, fino a farla di-ventare simbolo della cultura universale46.

Il rapporto tra connotazione politica, economica e culturale dellacapitale è stabilito da Madrisio in un’altra operetta, una di quelle stan-dardizzate trattazioni apologetiche, all’apparenza di nessun interesseed originalità, che nasconde tuttavia elementi importanti della posi-zione del nostro autore quando scrive «le splendidezze più che rega-li della Corte di Francia non vengon esse unicamente offuscate dallaeccessiva luce della regal libreria e Parigi, avvezzo mai sempre ad am-mirar se medesimo e a passar nell’opinione comune per lo più vastoemporio dell’Universo, non è egli costretto a confessarsi minor di sestesso per ciò che riguarda i suoi copiosissimi libri»47. Come se la cul-tura e la mole di volumi e libri che si scrivono ma anche si stampanoe si conservano in quella città, o genericamente ne qualificano lospazio e lo scambio intellettuale, fosse separata e superiore connota-zione della stessa identità – e centralità – politica parigina, fosse pa-trimonio universale dell’erudizione. Qui l’accento è tutto sulla cultu-ra: i libri di Parigi sono più di Parigi stessa. Quindi non è solo il po-tere politico, o la centralità economica, a ‘fare’ la città ma è la cultu-ra che ne riassume il senso. Quale apologia migliore della civilitas po-litica e culturale assieme che connota la più recente nobiltà cittadi-na, il patriziato che sul sapere (oltre che sulla virtù) ha costruito la suaidentità? Il discorso culturale di Madrisio, e dei suoi contemporanei– quel nutrito e intellettualmente vivace gruppo di uomini che si ra-duneranno di lì a poco nell’Accademia dolfiniana – non è certo finea se stesso. Ben lontano dall’attività letteraria intesa come disimpe-gno, dagli svaghi arcadici, Madrisio ha una visione militante dellacultura e delle sue forme, una sua visione che ruota sul perno dellacultura come forma di partecipazione civile.

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46 Orazione all’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Dionigi Delfino Patriarca di Aquilejain rendimento di grazie per la sontuosa Libreria da lui aperta in Udine a pubblico e perpetuocommodo della sua Diocesi. Detta da Niccolò Madrisio e dedicata all’Illustrissimo etEccellentissimo sig. Cavalier Luigi Pisani Procurator di San Marco, e riformatore dello Studiodi Padova, In Venezia, appresso Gio. Gabbriello Ertz, 1711, p. 13.47 S. MAFFEI, Epistolario (1700-1755), a cura di C. Garibotto, vol. I, lettera a PaoloGagliardi, Firenze 10 maggio 1721, n. 324, Milano, Giuffrè, 1955, p. 389.

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La stessa controversia con Maffei era approdata ad una diminutioscientifica dell’opera dell’udinese perché palesemente compilata sul-la spinta di un’urgenza politica. Il veronese sottolineava infatti, nonsenza una nota di autocompiacimento scientifico, che Madrisio si eraapplicato a discutere la dignità metropolitica dell’antica Aquileia persostenere la dignità metropolitica di Udine, stabilita sua erede nellateleologia storica, in quel processo di accreditamento di quest’ultimaquale ‘capitale’ della provincia friulana, processo che dalla metà delCinquecento la vedeva impegnata a ridiscutere gli assetti istituzionalidella rappresentanza della provincia. Dunque a dividerli era stata, se-condo Maffei, una questione fondamentale per lo statuto dello stu-dioso: «egli professa di aver per scopo l’onore di quella, che ci si im-magina esser sua patria, ed io la verità».

3. «La letteratura in glorioso fidecommisso de’ posteri»

Abbiamo detto che la vivacità dell’ambiente intellettuale udinese deiprimi decenni del Settecento trova nel mecenatismo del PatriarcaDolfin un’occasione di amplificazione sociale, di potenziamento delrinnovamento culturale e un esempio importante di promozionedell’erudizione cattolica. Toccherà al Madrisio il compito di rappre-sentare all’alto prelato la riconoscenza del mondo colto cittadino perla scelta di fondare e rendere fruibile la ricca biblioteca arcivescovile.L’Orazione rivolta al patriarca è dedicata ad Alvise Pisani, Procuratoredi San Marco e riformatore dello Studio di Padova, «la più celebreuniversità d’Italia», personaggio importante che di lì a qualche de-cennio coronerà la sua luminosa carriera diventando doge. Dunqueun altro ‘protettore’ degli studi, che gli offre la possibilità di stabilireun parallelo tra le due figure. Dionisio Dolfin è un «eroe somiglian-tissimo a voi», scrive nella dedica e prosegue costruendo altre analo-gie tra i due. L’uno ha promosso l’erudizione di una Provincia, l’al-tro con la sua carica aveva guidato un ateneo a cui quella stessa pro-vincia aveva dato studenti e professori di statura primaria. «Scopriretenel vivente Patriarca d’Aquileia il novo Procurator di San Marco, ri-conoscerete in quest’idea de Prelati l’esemplare de’ Senatori, nelgran Dionigi Delfino il gran Luigi Pisani». Il Dolfin guida una Diocesi«così piena di popolo, si vasta di limiti, si diversa di costumi, e di lin-gua», il Pisani è ugualmente ‘cosmopolita’ perché questo richiamo –gli si rivolge così Madrisio – «vi rinnoverà alla memoria le universali

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acclamazioni, che accolsero il vostro ritorno dalle famose ambascieriedi Parigi, e di Londra e che poco fa accompagnarono il vostro me-morabile ingresso alla Dignità Procuratoria»48.

Se l’importanza delle sistemazioni paratestuali, e tra esse di quelleaffidate alle pagine dedicatorie, è stata segnalata e discussa, e se diesse se ne è evidenziata la «struttura retorica che risponde a regoleprecise», tra cui palese la «celebrazione delle virtù e del prestigio deldedicatario stesso», che nasconde appena la necessità per l’autore diaccreditarsi nei confronti del potere, va comunque sottolineato an-cora qualche aspetto della dedica del Madrisio49. Appare evidente, in-fatti, che dedicare al Procuratore di San Marco l’Orazione al Dolfin èun evidente volontà, sempre significativa nell’orizzonte di Madrisio,di stringere autorità statale e autorità sacra. Farlo sottolineando di en-trambi i personaggi il carattere ‘cosmopolita’, vero o presunto, dellaloro azione culturale, è ancora una volta indicativo delle prospettiveintellettuali dell’autore, della sua volontà di connettere politica, reli-gione e cultura in una visione consapevole della più qualificata di-mensione culturale contemporanea.

Al tempo stesso è evidente il suo essere portavoce di un ambiente:«vengo col cuore aperto di tutti i miei Cittadini, con la voce concor-de delle Accademie, e della letteratura udinese», scrive semprenell’Orazione50. Per questo gruppo di uomini ‘di lettere’, il valore del-l’operazione culturale del Dolfin stava tutto nelle modalità del suo in-tervento. Egli fondando la Biblioteca aveva «adorna[to] la Città cheabitiamo, segnala[to] l’età che viviamo», dunque il grande vantaggioche ne era derivato alla città era aumentato dal fatto di essere testi-moniato in forme proprie e convenienti allo spirito del tempo, allasua temperie culturale.

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48 Orazione, p. non numerate della Dedica. 49 Si vedano M.A. TERZOLI (a cura di), I margini del libro. Indagine teorica e storica sui te-sti di dedica, Atti del Convegno internazionale di studi, Basilea, 21-23 novembre 2002,Padova, Antenore, 2004 e le considerazioni a partire da questo risultato di G.RICUPERATI, La lettera dedicatoria e i suoi problemi nel tempo e nello spazio, «RSI», 2 (2003),pp. 552-568 e quelle di L. BRAIDA La doppia storicità del paratesto, «RSI», 1 (2006), pp.241-250 (ma per questo aspetto partic. p. 246, da cui le citazioni, e ss.) che discuteM. SANTORO - M.G. TAVONI, I dintorni del testo: approccio alle periferie del libro, Atti delConvegno internazionale, Roma, 15-17 novembre 2004, 2 voll., Roma, Edizionidell’Ateneo, 2005.50 Orazione, p. 4.

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Il rinnovamento erudito sta al centro del discorso dell’udinese,quando affronta chiaramente il tema del rapporto tra fede e culturae afferma: «non ho alcuna difficoltà d’asserire esser queste doppo lecose sacre e appartenenti alla religione il capitale appunto più sacro,che possano aver le città, mentre servendo all’acquisto e all’amordelle lettere v’introducono in consequenza una prossima disposizio-ne alle morali virtù tanto necessarie al mantenimento d’unPubblico»51. Virtù morali e erudizione, rettitudine cristiana e esplo-razione del sapere, sono alleate nella costruzione di uno spazio ‘pub-blico’ di civiltà. Gli esempi, a ben vedere, li offre la stessa tradizioneculturale della Chiesa e a Madrisio basta riprenderli, ordinandoli nel-la giusta prospettiva. La tradizione si costruisce sui testi – «Una dellepiù crude maniere che escogitasse l’Apostata Giuliano per affliggerla Cristianità de’ suoi tempi fu il privarla del tutto de’ libri e lo strap-pargli a forza di mano ogni carta della saggia antichità» – ma si forti-fica nell’essere continuamente alimentata, nella ricerca e nello scavo,nell’apertura, nella comparazione, sembra voler suggerire Madrisioquando utilizza come esempio proprio uno dei padri della Chiesa:«Io non posso perciò prestar fede a ciò, che pretendono alcuni, cheSan Tommaso abbia detto, colui solo “incamminar bene i suoi studi,il quale più di un libro non legge, a più d’un maestro non si deter-mina. Non operò già di siffatta maniera egli stesso […] che seppetutto lo scibile, così lesse tutto il leggibile”» 52.

Nella cultura quindi va riconosciuta la declinazione più efficacedel dettato cristiano e se, nel rispetto inevitabile delle gerarchie au-toritative del cosmo di antico regime, la cultura segue la religione, altempo stesso precede la politica, ne rappresenta il necessario fonda-mento, l’insopprimibile presupposto: «L’Universo più culto s’accor-di a stabilir che le lettere siano il nerbo maggiore de’ Governi e a ri-conoscere il sapere per quel lume sovrano».

È dunque sul terreno del sapere che va costruita l’efficacia dei va-lori cristiani e, al tempo stesso, delle virtù civiche. È questo comunetratto della migliore cultura religiosa e della migliore cultura politica– di cui il Dolfin e Pisani sono qui facili simboli – a costituire per ilnostro autore l’elemento produttore di senso. Quello che ordina gli

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51 Ibi, p. 7.52 Ibi, rispettivamente pp. 8, 16.

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spazi della cultura europea, che pur stabilendo gerarchie di grandez-za e importanza, al tempo stesso unifica e connette in un linguaggioe in una riconoscibilità comune e condivisa gli uomini di lettere.

I luoghi del sapere per eccellenza sono le biblioteche che nel te-sto passa in rassegna: dalle collezioni librarie dell’antichità, al medie-vale dono del Bessarione, a quelle delle grandi corti europee – quel-la spagnola, viennese, francese – alle maggiori italiane, di Milano, diNapoli, delle corti estensi e farnesiane, alla rinomata laurenziana, che«perpetua la Dittatura alle lettere, e all’auspicio degli studi d’Italia».Dunque, «con l’esempio delle Capitali del Mondo è andato confor-mandosi il rimanente del Mondo in maniera che non è più città nemediocre ne grande che non conservi nelle pubbliche sale questi pre-ziosi depositi». Ma le collezioni devono essere pubbliche, appunto.Soltanto l’impegno delle istituzioni ecclesiastiche e statali deve assol-vere al compito di tramandare «la letteratura in glorioso fidecom-misso de’ posteri» e può trasformare la biblioteca nella «parte più es-senziale delle Città»53, rendendo patrimonio più ampiamente condi-viso – dunque pubblico – quel bene che le collezioni private destina-no all’accrescimento di pochi.

Qui sta la differenza tra biblioteche private e pubbliche. Le primesono particolari di una famiglia, a volte di una sola persona, e «pocoo nulla si diffonde fuori di loro, hanno una vita breve e effimera e ap-pena son nate a volte periscono e terminano sovente con la vita di co-lui che le adunò»54. Le biblioteche pubbliche rappresentano inveceun «universale beneficio comune a Cittadini di ogni condizione e etài quali nel valersene si danno e ricevono a gara gli esempi, di dura-zione in oltre si lunga, che tramandando a guisa delle Fenici non in-vecchiano se non per ringiovenire, ad imitazione del Sole non dechi-nano se non per risorgere»55.

Le biblioteche private avevano tuttavia svolto un’importante fun-zione di traino culturale nella città, avevano sostenuto la costituzione

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53 Ibi, p. 13.54 Della biblioteca di Madrisio conosciamo un inventario desunto da una registrazio-ne patrimoniale della famiglia a metà Settecento. Cfr. P. CAVAN, Allibramento Madrisiodel 1762: gusti dei lettori eruditi nel Friuli del Settecento, in P.C. IOLY ZORATTINI - A.M.CAPRONI (a cura di), Memor fui dierum antiquorum. Studi in memoria di Luigi De Biasio,Udine, Campanotto, 1995, pp. 51-67.55 Orazione, pp. 13, 14.

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dell’associarsi accademico, ne avevano fornito gli strumenti intellet-tuali, avevano costituito i perni di quella nuova socialità che vedeva di-versamente disporsi – attraverso il piano culturale – nobiltà vecchia enobiltà recente. Così era stato per la casa Gorgo e la biblioteca cheGiacomo soprattutto aveva lì radunato, cuore di una ristretta ma nonpoco importante accademia cittadina56.

4. L’erudizione, la circolazione, la traduzione

Niccolò Madrisio non è solo infatti, nei primi decenni del Settecentoa guardare con attenzione alla cultura francese.

In questa prospettiva ho voluto considerarlo figura rappresentati-va di un ambiente culturale cittadino più nascosto ma ben attestatoche si adopera per un rinnovamento civile attraverso le forme e i luo-ghi della cultura letteraria nei quali sono al tempo stesso inscritteistanze politiche e religiose. In altre parole un personaggio ‘medio’secondo quell’accezione che implica il concetto di ‘normalità’ e di‘mediocrità’. Un ambiente che Niccolò Madrisio condivide conRomanello Manin e Giacomo Gorgo i quali, come lui, guardano allatradizione culturale francese, da essa mutuano sistemazioni teoricheed elaborazioni letterarie, di essa traducono testi, conferendo loro –nella trasposizione di modelli teorici più ampi e nell’applicazione diquesti al contesto sociale e politico locale – un carattere ‘universale’e dunque ‘indiscutibile’. Lontana dal delineare una subordinazione,è questa la forma più propria per validare con maggiore efficacia leproprie posizioni e urgenze e, nello stesso tempo, un modo per rin-novare le posizioni della tradizione dove forse utilizzare ora il france-

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56 Il tema delle biblioteche private trova una aggiornata sistemazione ora in A. NUOVO

(a cura di), Biblioteche private in età moderna e contemporanea, Atti del convegno inter-nazionale, Udine, 18-20 ottobre 2004, Milano, Bonnard, 2005. Si vedano anche i sag-gi raccolti in G. TORTORELLI (a cura di), Biblioteche nobiliari e circolazione del libro traSettecento e Ottocento, Atti del Convegno nazionale di studio, Perugia, 29-30 giugno2001, Bologna, Pendragon, 2002. Per il caso friulano si veda il già citato volume col-lettaneo ROZZO (a cura di), Nel Friuli del Settecento, e ID., Biblioteche e “Repubblica dellelettere” nel Friuli del Settecento, in C. FURLAN - G. PAVANELLO (a cura di), Arte, storia, cul-tura e musica in Friuli nell’età del Tiepolo, Atti del Convegno internazionale di studi,Udine, 19-20 dicembre 1996, Udine, Forum, 1998, pp. 85-95.

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se (e la cultura che esprime), «il latino dei moderni»57, può significa-re anche recuperare gli antichi58.

Può trattarsi della necessità della nobiltà civica di accreditare ilproprio virtuoso orizzonte culturale e di valori e condannare, con-dannando la pratica del duello, l’arretratezza dell’aristocrazia feuda-le e di spada che ne faceva ricorso. Come aveva dimostrato di fareRomanello Manin (1672-1726) nei Dialoghi in cui un cittadino e uncastellano discutono, nell’arco di tre giornate, di alcuni fondamentiideali della nobiltà59. Ma prima di arrivare con questa opera a carat-terizzare in maniera esplicita e a tratti sprezzante la superiorità delnobile cittadino Manin si cimenta nella traduzione del Traité du pointd’honneur di Antoine de Courtin proprio con l’intenzione di rivolger-si, attraverso quest’opera, alla nobiltà della provincia nel suo insie-me, senza contrapposizioni tra feudatari e cittadini60.

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57 M. FUMAROLI, Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni, Milano, Adelphi,2005, p. 23.58 «Classicismo e modernità non sono in opposizione» scrive Jossa. «Tra Sei eSettecento la letteratura italiana si rivela dunque molto più aperta alle letteraturestraniere di quello che si pensa di solito. […] Dal momento che l’Italia non ha altroche la letteratura per conoscere se stessa e sentirsi solidale e unita al proprio inter-no, la cultura italiana sviluppa un carattere più universalistico che nazionalistico», eprosegue affermando, «Il recupero del classicismo italiano […] avviene proprio at-traverso il confronto con la cultura di Parigi e di Londra». Cfr. JOSSA, L’Italia letteraria,pp. 194-195.59 Cfr. CASELLA ( a cura di), Le due nobiltà.60 La traduzione di Manin riporta un titolo che è letterale trasposizione di quellodell’opera di Antoine de Courtin, Traité du veritable poit d’honneur, ou la science du mon-de, contenant les règles et les maximes de prudence, necessaire pour le bien conduire dans la so-cietà civile et bien vivre avec tout le monde, Amsterdam, chez Pierre Mortier librarie surle Vygendam, 1675. È conservata manoscritta presso la Biblioteca comunale di Udine(BCU), Joppi, ms. 181. La figura e la vasta opera di Courtin, spesso citate, non hannoancora trovato soddisfacente sistemazione critica. Rimane riferimento F. KAMAL,Antoine de Courtin (1622-1685). Étude critique, Paris, Editions Nizet, 1969. Secondo que-sto studio, che fornisce in appendice un elenco delle opere del nobile francese edelle traduzioni che di queste sono state fatte, non risultano trasposizioni in altra lin-gua di quest’opera, a differenza della diffusione di cui gode lo scritto precedenteNouveau traité de la civilité, qui se pratique en France, parmi les honnestes Gens, molte volteedito in Francia a partire dal 1671 fino al 1766, che viene tradotto anche in inglese,in tedesco e in latino. Parte da qui, in realtà, l’idea di questo saggio come mia parte-cipazione al ricordo di Cesare Mozzarelli. La traduzione del Manin del trattato diCourtin era rimasta una parte naturalmente residuale della mia indagine suRomanello, ma aveva costituito più volte tema di discussione con Cesare che mi spin-

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Far parlare direttamente l’autorevole autore francese deve esser-gli sembrato il modo più efficace per veicolare un modello di nobiltàvirtuosa, ‘ben regolata’ nel suo cattolicesimo, ‘utile’ al principe, so-cialmente colta, e raggiungere così – con questa proposta dal valoreuniversalmente condivisibile – il suo intento pedagogico nei con-fronti dei castellani. L’efficace sistemazione del tema dell’onore neltesto del letterato e diplomatico francese non poteva che essere ac-colta, nelle sue intenzioni, con «civiltà e gradimento, perché non ca-dono sopra di lui quei sospetti che si promanano e indirizzano ordi-nariamente verso de’ paesani». Fuori dalle contrapposizioni cetuali,al di là della concretezza dello scontro politico tra corpi sociali e isti-tuzioni di governo, la pratica dell’emulazione, raggiunta ora attraver-so una più complessa mutazione culturale e il medium della traduzio-ne risultano fornire gli strumenti di massima efficacia discorsiva.

Ma considerazioni analoghe si possono fare anche per la necessitàdi questa stessa nuova classe dirigente cittadina di trovare le formepiù convenienti entro le quali proporre una sua pedagogia tempera-ta e osservante dell’ortodossia religiosa. Prendendo il caso diGiacomo Gorgo. Non sono molte le notizie su di lui, sulla sua forma-zione e sulla stesura delle sue opere tra cui più di qualche traduzio-ne; ma è anche vero che porto qui i frutti di una ricerca appena ac-cennata. Giacomo Gorgo appartiene anch’egli alla nobiltà cittadina,figlio primogenito di Camillo, una figura di aristocratico inserita inuna solida e durevole rete di rapporti interpersonali con la nobiltàprovinciale maggiore61, respira già in famiglia il gusto per la culturafrancese62. Giacomo sembra una figura sbiadita della scena familiare,

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geva periodicamente a occuparmene ancora e a contestualizzarne meglio il signifi-cato. La trascrizione dell’inedita traduzione che gli avevo segnalato, mai effettiva-mente comparsa alla stampe, ha costituito l’oggetto di una tesi di laurea, discussaqualche anno fa a Milano. Cfr. R. RIVOLTELLA, Il “punto d’onore” tra Antoine de Courtine Romanello Manin. Per una storia dei rapporti culturali fra Francia e Italia nell’età moderna,Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a.a. 1999-2000, relatore C. Mozzarelli.61 Ne è testimonianza la corrispondenza conservata in BCU, Principale, ms. 1800.62 Più di qualche lettera dell’epistolario conservato è scritta in parte o interamentenella lingua d’oltralpe. Il marito della nonna di Giacomo, Giovanni Antonio di Porciaanche quando scrive in italiano indirizza la corrispondenza «a Monsieur CamilloGorgo» e si firma «Jean Antoine de Porcia» e in alcune a Giacomo «votre Bon Pere».Un vezzo, forse, ma significativo.

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un uomo che ricopre il ruolo che la pianificazione familiare aristo-cratica, non ancora invalidata, gli assegna. Sembra vivere sempre ‘dafiglio’ i brevi trentaquattro anni della sua vita, anche quando diven-terà padre di Antonino, di Tadea, e Maria. Nelle carte dell’epistola-rio paterno, la sua presenza si nota quando, seguendo le scelte del fra-tello, aveva manifestato l’intenzione di entrare nella chiesa, gettandonello sconforto il padre che a lui aveva affidato il compito di assicu-rare, come poi farà, una discendenza alla casa.

È l’edizione postuma, fatta preparare dal padre nell’anno della suamorte, il 1734, che restituisce il quadro dei suoi interessi culturali: lapedagogia cristiana, l’impegno civico legato alla cultura sempre tem-perata dalla fede, un tratto di ascetismo e rigore morale che era ri-masto segno della sua condotta e carattere del suo pensiero, non-ostante non avesse seguito, come avrebbe voluto in un momento del-la sua vita, la piena vocazione religiosa. I suoi scritti, oltre che la suaricca biblioteca e l’attività di quell’accademia privata che costituisceimportante luogo di associazione intellettuale nel primo Settecento,parlano del suo modo di intendersi ‘uomo di lettere’. Tra le diversetraduzioni di opere francesi a cui Gorgo si applica, e che qui per orasolo segnaliamo63, vi è anche la Lettera della Marchesa di Lambert a suofigliuolo. Pochi anni dopo, un altro udinese, l’abate Carlo Narduzzi,traduce e pubblica la Lettera della Marchesa di Lambert a sua figlia, nuo-vamente data in luce per istruzione delle figliuole64. Vale la pena accenna-re alla conoscenza di queste due opere nel panorama culturale udi-nese, se non altro per segnalare che non si ha notizia di altre edizio-ni italiane delle opere di Madame de Lambert e che le edizioni/tra-duzioni che indichiamo, sono comunque precedenti di qualche de-cennio rispetto a quelle comparse a stampa in altri ambiti europei65.

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63 Il carattere di un vero e perfetto amico; Lettera di un solitario ad un uomo di corte sopra levisite e le conversazioni delle genti del mondo; Oblighi delle figliole cristiane per vivere castamentee virtuosamente sono tutte traduzioni di opere francesi, riunite nella edizione colletta-nea, In Udine, appresso Gianbatista Fongarino, 1734.64 Compare in Udine, appresso Gianbattista Fongarino, nel 1743 in un’edizione cheassembla più opere, alcune, anche qui, di semplice traduzione.65 Mi baso sulle indicazioni fornite da R. Grandroute nella sua edizione delle operedi Madame de Lambert dove segnala traduzioni – diverse comunque tra loro per gliscritti inclusi – delle sue opere in inglese (a partire dal 1749), in tedesco (1750), inspagnolo (1781). Non viene indicata alcuna edizione italiana. Faccio presente tutta-

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Uscite dalla penna di una delle figure femminili più in vista dellasocietà letteraria parigina tra Sei e Settecento, le Istruzioni di Madamede Lambert sono considerate dalla tradizione storiografica per lo piùripropositive di un modello precettistico già attestato nella scuola filo-sofico-pedagogica francese66 ma stanno godendo di riconsiderazione,come d’altronde la stessa figura della loro autrice, nella recente rilet-tura storiografica del ruolo femminile nella socialità intellettuale67.

Tralasciando di approfondire un discorso che ci porterebbe inun’altra direzione rispetto alle considerazioni che vogliamo qui svol-gere68, non resta che da suggerire anche qui l’ipotesi che sia proprio

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via che la segnalazione di Grandroute prende in considerazione solo edizioni com-plete (o per lo meno complessive) degli scritti della Lambert. La prima edizione fran-cese che raggruppa l’insieme degli scritti è del 1747. Cfr. MADAME DE LAMBERT,Oeuvres, a cura di R. Grandroute, Paris, Champion, 1990 pp. 21-24. Da un primo con-trollo dei cataloghi delle maggiori biblioteche non trovo segnalate nemmeno singo-le opere della Lambert tradotte in italiano. Potrebbero tuttavia essere presenti in mi-scellanee di opere diverse, schedate sotto altra intitolazione, come nei casi che con-sideriamo qui. Faccio comunque notare che ci sono differenti posizioni tra gli stu-diosi di M.me de Lambert circa la stesura delle sue opere (ad es. M.ME DE LAMBERT,De l’amitié suivi de Traité de la vieillesse, Préface de René de Ceccatty, Paris, Payot &Rivages, 1999, p. 27). La principale, e monumentale, monografia a lei dedicata, a cuicomunque rifarsi, è quella di R. MARCHAL, Madame de Lambert et son milieu, Oxford,The Voltaire Foundation, 1991. 66 Considera diversamente l’apporto di Madame de Lambert alla riflessione pedago-gica, M. BARTH-CAO DAHN, La philosophie cognitive et morale d’Anne Therèse de Lambert(1647-1733), New York, Lang, 2002. Secondo l’autrice la Lambert non sarebbe infat-ti epigona e ripetitrice delle posizioni di una tradizione educativa che vede inFènelon principalmente il suo più luminoso rappresentante, bensì va consideratavoce di una concezione pedagogica diversamente orientata ‘al genere’, come direm-mo oggi.67 Anne-Thérèse Lambert è un personaggio immancabile degli studi sui salons delXVII e XVIII secolo, tema su cui la bibliografia è vasta e che ultimamente gode dirinnovato interesse. Si vedano almeno le pagine a lei dedicate da A. LILTI, Le mondedes salons. Sociabilité et mondanité à Paris au XVIIIe siècle, Paris, Fayard, 2005 ma ancheR. MARCHAL (éd.), Vie des salons et activités littéraires de Marguerite de Valois à Mme de Staël,Actes du colloque international de Nancy, 6-8- octobre 1999, Nancy, PressesUniversitaires de Nancy, 2001. Tra gli studi italiani si veda il capitolo del volume di B.CRAVERI, La civiltà della conversazione, Milano, Adelphi, 2001, intitolato La Marchesa diLambert: l’ideale dell’“honnête femme”, pp. 359-375. Deboli tracce della sua presenza nel-l’importante volume che fa il punto oggi sugli studi dedicati alla sociabilità femmi-nile in Italia, M.L. BETRI - E. BRAMBILLA (a cura di), Salotti e ruolo femminile in Italia trafine Seicento e primo Novecento, Venezia, Marsilio, 2004.68 E per cui rimando a L. CASELLA, Tradurre, interpretare, educare. Le Lettere ai figli della

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la ‘normalita’ e ripetitività di un modello educativo a fare di questeopere la migliore sistemazione di una tradizione che, in virtù dellapropria lunga durata e universalità, si presta ad essere utilizzata comeproposta ideale per l’educazione aristocratica di uomini e donne, an-che in una provincia lontana – ma forse non troppo – da Parigi.

Se è vero dunque che una delle attestazioni di potere di una linguae della cultura che veicola è misurabile anche dal numero di traduzio-ni che in un ambiente vengono fatte di testi di quella cultura69 è al-trettanto vero che il dato, visto da un altro punto di vista, è da leggersicome sintomo di una vivacità culturale e di un’attenzione al più ag-giornato dibattito, di una connotazione cosmopolita dell’elaborazioneintellettuale di quel luogo. Ma non possiamo non chiederci se non siastato proprio Madrisio a introdurre la conoscenza di quei testi in Friuli,o per lo meno, a portare gli echi di quel dibattito che nei decenni a se-guire darà vita in Friuli, lo accenniamo solo, ad una interessante pro-duzione editoriale sul tema dell’educazione e dell’istruzione.

Ripartiamo dunque dal viaggio di Madrisio, dove parla di dames esalons della capitale francese. Sotto la titolazione di «Dame erudite diParigi» raccoglie prima di tutto le impressioni che ricava dall’osser-vazione di quell’ambiente. «Non si può dire che lo spirito donnescoin Parigi non abbia qualche cosa di singolare, e d’insolito anco inciò, che riguarda le lettere»70 e più di uno sono gli aspetti a cui puòapplicare il suo stupore: «donne che tengon pratica di ogni libro, dis-corron di tutte le edizioni, che di questo o quel autore si son fatte,ragguaglian le vite, lodan lo stile, o lo condannano ancora con tuttafranchezza»; donne che accreditano, con il loro giudizio, scritti di ac-cademici di Francia, donne che inseriscono nei patti dotali clausoleche garantiscano – come aveva fatto Madame Dacier – che il «pro-vento di tutti i libri che andasse stampando e che, come l’evento dopomostrò, sono stati ben molti, unicamente a lei appartenesse, e fussetutto suo proprio»71.

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Marchesa di Lambert nel Friuli del Settecento, in Interpreti di culture, Atti del Convegno in-ternazionale, Capodistria, 27-29 settembre 2007, in corso di stampa.69 P. CASANOVA. La République mondiale des lettres, Paris, Éditions du Seuil, 1999. Il li-bro, interessato a aspetti soprattutto contemporanei della discrasia tra mercato e cir-colazione culturale, offre tuttavia spunti interessanti circa la gerarchia dei luoghi delsapere non solo per l’età contemporanea.70 MADRISIO, Viaggi, p. 282.71 Ibi, p. 283. Non mancava di aggiungere considerazioni sarcastiche circa il pericolo

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Anne Le Febvre, più nota come Madame Dacier filologa e tradut-trice, figura centrale della querelle des Anciens et des Modernes72, compo-ne assieme a Madame Guyon73 e a Elizabeth Cheron, il trittico dellefigure femminili di cui Madrisio ha riportato una conoscenza, forsediretta, forse solo raccolta, ed è presenza assidua e qualificante delsalotto della Marchesa di Lambert. Non è il caso di stabilire meccani-cistiche derivazioni, ci basta rilevare che sono nomi che si intreccia-no e che per quanto si tratti di figure che godono di una notorietàindiscussa tra i savants, non sembra indebito ipotizzare che attraversol’esperienza parigina di Madrisio questo bagaglio di esperienza intel-lettuale, di saperi, di auctoritates, di libri e testi e delle prospettive in-tellettuali ad esse collegate, abbiano potuto arrivare in Friuli.

Nel viaggio fisicamente compiuto da Madrisio e in quelli conosci-tivi e culturali che intraprendono Manin e Gorgo nella cultura fran-cese sta inscritta dunque la capacità di avvicinarsi e comparare, di co-noscere e elaborare, di ispirarsi e adattare alla propria locale dimen-sione i frutti di contatti personali o di letture; sono sguardi che con-sentono nel riconoscimento di una consonanza così come nella pre-sa di distanza da un’altra tradizione culturale di precisare la propria.

Si tratta dunque di declinare diversamente circolazione di model-li e ‘micropolitica’, istanze politiche locali e più dilatate influenze in-tellettuali, entro cui una certa cultura cittadina italiana – quella deipatriziati, della più recente nobiltà civica – viene mettendo a fuoco lapropria proposta culturale, proposta che ha anche una funzione di as-

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che l’equilibrio delle relazioni coniugali veniva ricevendo dall’istruzione femminilee dall’attività intellettuale che ne era derivata: «Innumerabili d’esse si eran rese mo-leste ai loro mariti per le continue sottigliezze filosofiche, e matematiche, onde aveansempre intrigati i discorsi, e la pace di molti letti restava sturbata dalle contese scola-stiche».72 Nata Lefebvre e sposata Dacier, non viceversa come riferisce Madrisio. Tra le ope-re italiane, lo studio biografico più completo è quello di G.S. SANTANGELO, MadameDacier, una filologa nella crisi (1672-1720), Roma, Bulzoni, 1984.73 Famosa esponente del quietismo è personaggio molto studiato. Per le notizie cir-ca la sua vita ci si rifaccia almeno alla recente edizione della sua autobiografia, cor-redata da ottimi apparati critici e bibliografici J.-M. GUYON, La vie par elle-meme et au-tres écrits biographiques, a cura di D. Tronc, Paris, Champion, 2001. Per gli aspetti del-la sua religiosità, cfr. Women Mystics Confront the Modern World. Marie de l’Incarnation(1599) and Madame Guyon (1648-1717), New York-Albany, State University of New YorkPress, 1998.

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sertività politica. Si tratta di tenere conto di un assemblaggio non sem-pre scontato di testi74, di una sovrapposizione non sempre coinci-dente di riferimenti culturali e di orizzonti politici dello scambio in-tellettuale del tempo che, per quanto ordinato in maniera inegualetra «capitali» e «rimanente del mondo», chiede di essere letto nellasua complessità.

Va dunque accolta la proposta di sostituire il termine di «influen-ce» con quelli di «circulation, échange, réception»75. È da questa pro-spettiva infatti che bisogna valutare la massiccia apertura – fatta dicircolazione libraria e soprattutto di molte traduzioni di opere – cheregistriamo nei primi decenni del Settecento. Non si tratta dunquedi rinnovare la querelle tra antichi e moderni ma di prendere atto chela stessa dimensione di presa di contatto, di avvicinamento a centriculturali nevralgici della cultura, la conoscenza diretta di essi o me-diata attraverso testi e opere è già di per sé una forma di elaborazio-ne e di definizione della propria fisionomia intellettuale, un modoper connettere produttivamente l’intus e l’extra, di definire la propria

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74 Penso, sempre riferendomi al caso udinese, all’ampissimo utilizzo – accanto allestorie patrie, alla documentazione locale, ai corpus normativi del diritto romano – del-le grandi storie nazionali francesi dell’eta di Luigi XIV, nelle costruzioni storiche diPaolo Fistulario e di Giorgio di Polcenigo, rappresentanti rispettivamente della cul-tura nobiliare cittadina e feudale, della seconda metà del Settecento. Le storie diFrancia di Mezeray e del gesuita Daniel sono qui testi paradigmatici di una costru-zione formale e codificata della storia del potere politico e dunque modelli, anchein un altro tempo e in un altro luogo, di ‘storie’ tout court. Ne parlo in Scritti sulla cit-tà, scritti sulla nobiltà, p. 369 e ss.75 Proposta avanzata recentemente da G. Ricuperati che scrive, partendo dal titolodel lavoro di Bedarida e Hazard qui citato alla nota 11: «On doit se libérer du terminfluence, utilisé par Paul Hazard et Henri Bédarida (1932), mais aussi du mythe del’ancienne sagesse des Italiens (de antiquissima italorum sapientia) reprise par le natio-nalisme fasciste. On doit maintenant utiliser d’autre termes comme circulation, échan-ge, réception. L’èchange peut être aussi inégal, mais on doit percevoir ce que dans lesdifférents champs (histoire, économie, droit, littérature stc) les espaces italiens ontnon seulement pris, mais aussi donné à l’Europe». Cfr. Historique et usages des Lumières:le cas italien, in G. RICUPERATI (a cura di), Historiographie et usages des Lumières, Berlino,Berlin Verlag Arno Spitz, 2002, p. 11. La giusta prospettiva offerta da Ricuperati do-vrebbe tuttavia permetterci di ragionare in termini di circolazione, e di superare ognilettura necessariamente polarizzata o contrappositiva. Si veda ora anche D. ROCHE,Circolazione delle idee, mobilità delle persone: continuità e rotture, in M.A. VISCEGLIA (a curadi), Le radici storiche dell’Europa. L’età moderna, Roma, Viella, 2007, pp. 127-139.

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visibilità nella relazione e nel confronto e di trovare il linguaggio ap-propriato con cui darle voce76.

Vi sono dunque alcune tendenze della riflessione culturale cheappartengono a grandi filoni della più vasta cultura nobiliare tra Seie Settecento che sembrano trovare qui fecondo terreno su cui im-piantarsi in maniera proficua e che daranno frutti originali in segui-to, ma a partire da queste radici.

Tenere conto di ciò potrebbe contribuire anche a spiegare megliouna fruttuosa genealogia culturale di matrice scientifica, attenta alrinnovamento positivistico e applicativo del sapere che connetta GianArtico di Porcia a Vallisneri, per arrivare al dibattito scientifico deglianni Sessanta del Settecento, ad Antonio Zanon e alla fondazione del-la Società agraria77. Operare una estensione cronologica dell’ambitodi indagine che permetta di cogliere presupposti di più lunga duratae di matrice cosmopolita ben attestati dai documenti anche per que-sto ambiente scientifico, aiuterebbe a non attribuire solo all’Illu-

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76 Lo spiega bene in poche ma dense pagine F. ORLANDO, L’Altro che è in noi. Arte e na-zionalità, Torino, Bollati Boringhieri, 1996 allargando la questione esistenziale del«cercare se stesso negli altri» o, meglio, della presa di coscienza di sé nel «rapportocon l’altro» al rapporto tra culture: «E poiché appare immediata la sua trasponibili-tà dalla relazione fra esseri umani alla relazione fra comunità umane, ne è reso dub-bio che una sostanza nazionale possa veramente alimentarsi di se stessa, perfino inprolungata assenza di contatti e confronti. Finché questi non sopravvengono, non ri-schia infatti di restare invisibile? Non lo sarebbe, a se stessa, la cultura di una piccolacomunità isolata per secoli tra i monti e il mare?», p. 13.77 Rispetto alla prima, fondamentale ancora, stagione di studi sulla avanguardisticafondazione dell’Accademia agraria udinese e sulla figura di Antonio Zanon, studi piùrecenti si dedicano ad ampliare fuori dai confini territoriali la messa a fuoco delle po-sizioni di alcuni rilevanti personaggi del mondo delle scienze del secondo Settecentofriulano. Negli anni più recenti, dopo lo studio importante di M. SIMONETTO, I luminelle campagne. Accademie e agricoltura nella Repubblica di Venezia, 1768-1797, Treviso,Fondazione Benetton Studi Ricerche – Canova, 2001, focalizza l’attenzione su unatradizione scientifica, anche qui, formatasi nella circolazione di idee e modelli e neldialogo fitto con ambiti più dilatati, A. CITTADELLA, Scienza metereologica, saperi medici epratica agraria in Friuli tra Sette e Ottocento: un interessante dialogo tra alta e bassa cultura,relazione tenuta al Convegno internazionale Interpreti di culture, Capodistria, 27-29 set-tembre 2007, i cui atti sono in corso di stampa. Bisognerebbe forse anche operareuna estensione cronologica dell’ambito di indagine che permetta di cogliere pre-supposti di più lunga durata e di matrice cosmopolita ben attestati dai documenti, an-che per questo ambiente scientifico.

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minismo pieno i frutti di una genealogia culturale che, per quantocomposta di istanze diverse, forse contraddittorie e non pienamenteomogenee, si caratterizza per vivacità intellettuale e precocità appli-cativa78.

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78 Il problema lo pone anche M. Simonetto che si domanda come «dalle chiusure dicerta erudizione municipale, dal grigiore e dalle stanchezze della cultura teologica»fosse scaturito un processo di rinnovamento che nel campo delle applicazioni dellascienza agraria vede nel Friuli esperienze di avanguardia. «Eppure – continua – par-te degli elementi che si sarebbero riconosciuti nelle nuove fortune della scienza agra-ria, erano usciti da quel mondo o continuavano a farne attivamente parte, in manie-ra più o meno convinta». Cfr. M. SIMONETTO, Agricoltura, agronomia, cultura: discussio-ni settecentesche, «Studi storici Luigi Simeoni», 54 (2004), p. 195. È solo alla luce diquelle premesse che il quadro fa fatica a comporsi o deve richiamarsi, gioco forza, aquell’idea di «svolta di cui tuttavia il mercante-agronomo udinese, con una lungimi-ranza ed ampiezza di vedute che ancor oggi sorprende, intravedeva le scaturigininell’imitazione che le nazioni “colte” d’Europa avevano fatto del modello britanni-co» p. 197. Imitatio e ampiezza di vedute hanno una più lunga e precedente tradi-zione che, per il caso friulano, deve essere, in gran parte ancora scritta.

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