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in chiostro anno settimo numero 5 estate 2007 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli Fu Napoli, non Catania, non Palermo, la prima città italia- na che nel 1943 incontrò dav- vero gli Americani: perché era una delle capitali storiche del Paese, capace di rappresentar- lo senza il peso di una sover- chiante identità regionale (come accadeva invece per le città siciliane), e perché in quel momento Napoli aveva energie e personalità intellettuali in grado di elaborare l’incontro con l’ex nemico dandogli un significato generale, che vales- se per tutta la nazione. Non è un caso se le due più importan- ti testimonianze letterarie sul- l’anima popolare italiana di allora, sulle genti della peniso- la sperdute tra le macerie materiali e spirituali della sconfitta - e cioè “La pelle” malapartiana e “Napoli milio- naria” di Eduardo De Filippo - abbiano proprio questa città come palcoscenico delle loro vicende. Come si sa, quell’incontro lon- tano ha avuto un seguito che dura tuttora. Base della VI Flotta america- na, sede di comandi Usa e Nato, residenza di personale militare: non so se in termini numerici, ma senz’altro in ter- mini simbolici, Napoli è il luogo d’Italia dove la presenza degli Stati Uniti ha avuto un maggiore spessore storico, ha espresso una maggiore valenza emblematica. Oggi è più difficile coglierlo perché i pericoli del terrorismo e la prudenza politica hanno indotto quella presenza a dira- darsi, a sparpagliarsi, a farsi più discreta. Ma per molti versi è ancora così, mi pare. Una rete corposa di minuti rapporti economici, certi tena- ci legami intellettuali (anche universitari) con il mondo anglosassone, o per fare tut- t’altro esempio, il sound moderno che fluisce da tante radio napoletane, sono altret- tanti diversi aspetti di un lega- me che non si è interrotto. Un legame di cui questo numero di “Inchiostro” ha per l’appunto cercato di ripercorrere la sto- ria, di annotare le fasi, di ricordare alcuni passaggi e personaggi significativi. Un legame però, ci sia consen- tita questa annotazione polemi- ca, di cui la classe dirigente napoletana, specie quella poli- tica, in realtà non ha mai saputo che cosa fare, che cosa farsene; perché vissuto sostan- zialmente con disinteresse e con imbarazzo. Un legame che è stato lasciato lì senza che a nessuno sia mai venuto in mente di costruirci qualcosa di più vasto e impor- tante, di farne il momento ini- ziale di un qualche progetto, di una prospettiva di sviluppo e di vita nuova per la città. E dunque, alla fine, come tante cose in Italia, e in questa parte d’Italia in specie, l’ennesima occasione perduta. Un legame senza qualità Ernesto Galli della Loggia* * Editorialista Corriere della Sera Ecco cosa succede nelle basi militari pagina 2 “La città non ci ama” Parla un funzionario Nato pagina 3 Le abitazioni nascoste e i luoghi dei soldati pagine 6 e 7 I nostri amati nemici Le memorie napoletane pagina 8 Sessant’anni di storia Usa Charles Poletti è il primo protagoni- sta nella storia degli americani a Napoli. Vice governatore dello Stato di New York, negli anni in cui la Grande Mela era amministrata dal sindaco Fiorello La Guardia e dalla potente comunità italo-americana, viene designato nel 1943, governato- re militare americano a Napoli. Da politico che era, Poletti si trova a vestire la divisa dell’esercito con il grado di colonnello. Storia insolita e contraddittoria la sua: più volte accusato di contatti con la malavita organizzata, ha lasciato, nonostante la sua discussa immagine, un’im- pronta indelebile su Napoli negli anni della liberazione. [ continua alle pagg. 4 e 5 ] Si dice che avendo concluso al teatro San Carlo il suo discorso sul ritorno della statua restaurata della ninfa Partenope sul frontone del teatro stesso, il Governatore abbia atteso invano l’applauso di rito. Qualcuno dice anche che tra gli astanti sia circolata l’idea di cantare il “Và pensiero” del Nabucco verdiano. Insomma i napoletani che, a quanto pare, hanno senso storico vorrebbero passare dal Rinascimento al Risorgimento. Il canto sarebbe però stato mal scelto non solo perché sui nostri “clivi e colli” olezza ben altro che “l’aure dolci del suolo natal”, ma anche perché con la nostra letteratura musicale non c’è affatto bisogno di ricorrere a un coro un po’ vecchiotto musicato da un padano le cui parole furono scritte, oltretutto, dal ferrarese Temistocle Solera. Sarebbe bastato ricorrere alle parole del più recente, e napoletanissimo, Renato Carosone: “Dopo i confetti sò usciti i difetti”. E qui i confetti li abbiamo man- giati da un bel po’… [ Il Fratello di Abele ] Confetti e difetti A ottobre comincia il nuovo master biennale della Scuola di Giornalismo Suor Orsola Benincasa Direzione Paolo Mieli - Lucio d’Alessandro In convenzione con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti Abilita all’esame di Stato per l’accesso all’Albo dei Giornalisti Professionisti Bando d’iscrizione sul sito www.unisob.na.it > dopo laurea > master Informazioni 081.2522.226/227/229/279 Giornale online www.unisob.na.it/inchiostro Naples
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Aug 26, 2020

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Page 1: Layout 1 (Page 1)na, campi di squash, ristoranti, un’agenzia turistica e un luogo di culto per le tre grandi religioni monoteiste. La particolarità di que-sti luoghi è che la maggior

inchiostro anno settimo numero 5 estate 2007

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di NapoliSpedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli

Fu Napoli, non Catania, nonPalermo, la prima città italia-na che nel 1943 incontrò dav-vero gli Americani: perché erauna delle capitali storiche delPaese, capace di rappresentar-lo senza il peso di una sover-chiante identità regionale(come accadeva invece per lecittà siciliane), e perché in quelmomento Napoli aveva energiee personalità intellettuali ingrado di elaborare l’incontrocon l’ex nemico dandogli unsignificato generale, che vales-se per tutta la nazione. Non èun caso se le due più importan-ti testimonianze letterarie sul-l’anima popolare italiana diallora, sulle genti della peniso-la sperdute tra le maceriemateriali e spirituali dellasconfitta - e cioè “La pelle”malapartiana e “Napoli milio-naria” di Eduardo De Filippo -abbiano proprio questa cittàcome palcoscenico delle lorovicende.Come si sa, quell’incontro lon-tano ha avuto un seguito chedura tuttora. Base della VI Flotta america-na, sede di comandi Usa eNato, residenza di personalemilitare: non so se in termininumerici, ma senz’altro in ter-mini simbolici, Napoli è illuogo d’Italia dove la presenzadegli Stati Uniti ha avuto unmaggiore spessore storico, haespresso una maggiore valenzaemblematica. Oggi è più difficile coglierloperché i pericoli del terrorismoe la prudenza politica hannoindotto quella presenza a dira-darsi, a sparpagliarsi, a farsipiù discreta. Ma per moltiversi è ancora così, mi pare. Una rete corposa di minutirapporti economici, certi tena-ci legami intellettuali (ancheuniversitari) con il mondoanglosassone, o per fare tut-t’altro esempio, il soundmoderno che fluisce da tanteradio napoletane, sono altret-tanti diversi aspetti di un lega-me che non si è interrotto. Unlegame di cui questo numero di“Inchiostro” ha per l’appuntocercato di ripercorrere la sto-ria, di annotare le fasi, diricordare alcuni passaggi epersonaggi significativi.Un legame però, ci sia consen-tita questa annotazione polemi-ca, di cui la classe dirigentenapoletana, specie quella poli-tica, in realtà non ha maisaputo che cosa fare, che cosafarsene; perché vissuto sostan-zialmente con disinteresse econ imbarazzo.Un legame che è stato lasciatolì senza che a nessuno sia maivenuto in mente di costruirciqualcosa di più vasto e impor-tante, di farne il momento ini-ziale di un qualche progetto, diuna prospettiva di sviluppo edi vita nuova per la città. Edunque, alla fine, come tantecose in Italia, e in questa parted’Italia in specie, l’ennesimaoccasione perduta.

Un legamesenza qualitàErnesto Galli della Loggia*

* Editorialista Corriere della Sera

Ecco cosa succedenelle basi militari

pagina 2

“La città non ci ama”Parla un funzionario Nato

pagina 3

Le abitazioni nascostee i luoghi dei soldati

pagine 6 e 7

I nostri amati nemici Le memorie napoletane

pagina 8

Sessant’anni di storia UsaCharles Poletti è il primo protagoni-sta nella storia degli americani aNapoli. Vice governatore dello Statodi New York, negli anni in cui laGrande Mela era amministrata dalsindaco Fiorello La Guardia e dallapotente comunità italo-americana,viene designato nel 1943, governato-re militare americano a Napoli. Dapolitico che era, Poletti si trova avestire la divisa dell’esercito con ilgrado di colonnello. Storia insolita econtraddittoria la sua: più volteaccusato di contatti con la malavitaorganizzata, ha lasciato, nonostantela sua discussa immagine, un’im-pronta indelebile su Napoli neglianni della liberazione.

[ continua alle pagg. 4 e 5 ]

Si dice che avendo concluso al teatroSan Carlo il suo discorso sul ritorno dellastatua restaurata della ninfa Partenopesul frontone del teatro stesso, ilGovernatore abbia atteso invano l’applausodi rito. Qualcuno dice anche che tra gliastanti sia circolata l’idea di cantare il“Và pensiero” del Nabucco verdiano.Insomma i napoletani che, a quanto pare,hanno senso storico vorrebbero passaredal Rinascimento al Risorgimento.Il canto sarebbe però stato mal sceltonon solo perché sui nostri “clivi e colli”olezza ben altro che “l’aure dolci delsuolo natal”, ma anche perché con lanostra letteratura musicale non c’èaffatto bisogno di ricorrere a un coro unpo’ vecchiotto musicato da un padano lecui parole furono scritte, oltretutto, dalferrarese Temistocle Solera. Sarebbebastato ricorrere alle parole del piùrecente, e napoletanissimo, RenatoCarosone: “Dopo i confetti sò usciti idifetti”. E qui i confetti li abbiamo man-giati da un bel po’…

[ Il Fratello di Abele ]

Confetti e difettiA ottobre comincia il nuovomaster biennale della

Scuola diGiornalismoSuor OrsolaBenincasaDirezionePaolo Mieli - Lucio d’AlessandroIn convenzione con l’Ordine Nazionaledei Giornalisti Abilita all’esame di Stato per l’accessoall’Albo dei Giornalisti Professionisti

Bando d’iscrizione sul sitowww.unisob.na.it > dopo laurea > masterInformazioni 081.2522.226/227/229/279Giornale online www.unisob.na.it/inchiostro

Naples

Page 2: Layout 1 (Page 1)na, campi di squash, ristoranti, un’agenzia turistica e un luogo di culto per le tre grandi religioni monoteiste. La particolarità di que-sti luoghi è che la maggior

americani però. I mille dipendentiitaliani, tra amministrativi e operai,che lavorano all’interno della basenon hanno, infatti, diritto ad acqui-stare prodotti negli spacci a stelle estrisce. A Capodichino, probabilmente piùche a Bagnoli, la folta comunità dimilitari, accompagnati dalle fami-glie, quasi non mette piede fuoridall’area recintata. E i comfort, pernon entrare in città e restare tuttoil giorno all’interno del “NavalSupport”, ci sono tutti. Cinema,biblioteca, cineteca, palestra, pisci-na, campi di squash, ristoranti,un’agenzia turistica e un luogo diculto per le tre grandi religionimonoteiste. La particolarità di que-sti luoghi è che la maggior partedelle persone che vi lavorano sonofigli di emigranti napoletani, tornatinella terra dei loro padri e avvan-taggiati rispetto ai napoletani per-ché parlano inglese.Chi parla di una Napoli senza ame-ricani non è quindi del tutto lonta-no dalla verità. Ma se è vero che sono sempre dimeno è anche vero che le cose sonocambiate molto dopo l’attentato alleTorri Gemelle dell’11 settembre2001. Ora gli americani sono menoappariscenti, tendono a confondersie non a distinguersi come era lorocostume fino a pochi anni fa. Non si vedono più quelle schiere dimilitari che uscivano la sera in divi-sa o con le macchine facilmentericonoscibili per la targa “AmericanForce” e i modelli d’Oltreoceano.Alcuni americani oggi si confondonocon gli abitanti del luogo o sembra-no semplici turisti, anche grazie al“programma di orientamento cultu-rale” da tempo utilizzato da chi vaa vivere, per un periodo medio-lungo, in un paese straniero. Unprogramma che inizia già in patria.Un americano assegnato in Italiafrequenta, prima di partire, uncorso intensivo di lingua italiana.Arrivato a Napoli gli viene assegna-to un tutor che lo accompagna percirca un mese in tutte le sue attivi-tà. In particolare nei primi 15 gior-ni l’“emigrante a tempo” non svolgeservizio, si occupa solo della pro-pria sistemazione e delle praticheamministrative.Il tutor, americano, trasmette tuttele proprie esperienze, spiega il suorapporto con la città, il modo in cuimuoversi più facilmente, i luoghi davisitare e quelli da evitare. Non cisono programmi scritti, tutto sibasa solo sull’esperienza del tutor.Materiale informativo cartaceoviene invece fornito dalle istituzioniitaliane. Alla fine del periodo napo-letano, però, quasi sempre l’ameri-cano torna a casa senza conoscerela lingua e sapendo poco della città.Gli americani trascorrono granparte del tempo libero nelle loro cit-tadelle e quello che conoscono diNapoli, spesso, si limita proprio aquella prima visita della città fattaal loro arrivo in Italia.

[ Diego DionoroGiuseppe Porcelli ]

2 le aree militari

A Bagnoli e Agnano non è più scon-tata la presenza di americani perstrada, nei negozi, nei locali nottur-ni. La maggior parte di loro si èprogressivamente spostata versoaltre località alle porte di Napoli equelli che ancora ci sono in cittàhanno adottato uno stile di vita dipiù basso profilo, provano a nonapparire troppo.Il comando Nato ad Agnano è peròancora un punto di canalizzazionenon solo per i militari e le lorofamiglie, ma anche per tutta unaserie di lavoratori napoletani cheogni giorno entrano ed escono dallasorvegliatissima base dell’area fle-grea. Nella struttura militaredell’Organizzazione nordatlanticanon ci sono solo americani, ma laloro presenza è maggioritaria. Così,tra Nato e Marina Usa, tra Napoli ele altre località dove sono dislocatebasi militari e abitazioni civili, sonocirca 16 mila le persone che proven-gono dagli Stati Uniti. Solo all’in-terno della Nato, la comunità statu-nitense tocca le seimila presenze,comprese le famiglie dei militari.Eppure di questa presenza cosìmassiccia in città sembra non esser-ci traccia. La Nato, con il suo contingentecosmopolita, e le basi degli Stati

Uniti costituiscono dei microcosmiall’interno dei quali brulicanomigliaia di persone che lavorano,trascorrono il loro tempo libero,vivono e mandano i figli a scuola,ma che difficilmente entrano in con-tatto con il resto della città.Non è stato sempre così, vuoi perquestioni meramente logistiche vuoiper motivi inerenti la sicurezza. Nel 1951, con la nascita del coman-do Afsouth (Forze alleate del SudEuropa), la collina di Posillipoincomincia a essere popolata daamericani. In una palazzina si svol-geva tutta la loro vita. In pocotempo viene istituita anche unascuola americana, in via Manzoni,che ora non esiste più. E’ a partiredal 1954 che la zona di Agnanodiventa il quartier generale delleforze statunitensi e di quelle dellaNato. Questo spostamento dei cen-tri operativi comporta uno sposta-mento delle abitazioni del personaledelle basi. Adesso a Posillipo sonorimasti solo gli alti ufficiali o chi,ormai in pensione, sceglie di rima-nere a Napoli piuttosto che farerientro negli Stati Uniti. Tutti gli altri si spostano traBagnoli, Agnano e Pozzuoli, doveabiteranno per decenni.Incominciano a prendere case inaffitto a napoletani e innescano unindotto economico, oltre che unfenomeno culturale, non indifferen-te. Non sono pochi gli abitanti diquelle zone che negli anni ’60 impa-rano qualche parola di inglese pervelocizzare gli affari. Poi un evento dà il via a un cambia-mento di rotta. Non si tratta di unaquestione di sicurezza militare, madi incolumità fisica “tout court”. Il bradisismo. Tra ottobre 1983 emarzo 1984 si registrano eventi

sismici imprevedibili. Le scosse tel-luriche, di diversa intensità, sonoanche 500 al giorno e la terra si sol-leva quotidianamente di tre milli-metri. I militari incominciano a nonsentirsi sicuri nelle loro case, hannopaura e chiedono alla CommissioneDifesa di poter lasciare Agnano etrovare un’altra sistemazione. Lanotizia non piace ai napoletani. Oalmeno a quelli che hanno interessiin gioco. A questo punto pare che una socie-tà, che deteneva la proprietà della

maggior parte degli immobili dati inaffitto ai militari, abbia chiestoaiuto a una lobby negli Stati Unitiper fare pressione sullaCommissione e convincerla del fattoche il bradisismo non costituisse unpericolo per gli abitanti della zona.La lobby persegue il suo obiettivo egli americani, volenti o nolenti,restano nell’area dei Campi Flegrei. Ma in quel periodo sono molti imilitari che cominciano a spostarsiverso Lago Patria e Castelvolturno,comuni a una ventina di chilometrida Napoli, ma più comodi per la

costruzione di villette e campi perattività sportive che possano imita-re lo stile di vita della madrepatria.Alla delocalizzazione si accompagnala decisione di costruire proprio aLago Patria un altro quartier gene-rale della Nato. Il nuovo complessodovrebbe essere pronto entro il2010, mentre nel 2011 dovrebbeiniziare il trasferimento da Bagnoli.Quasi 2100 militari e 350 civili lavo-reranno e vivranno in un’area di 85mila metri quadri, ben delimitatada una recinzione perimetrale di

tre chilometri. Ma la presenza degli americaninella base Nato è diminuita anchecon la crescita delle altre comunitàall’interno dell’Organizzazionenordatlantica. L’allargamento dellaNato a 26 paesi ha, infatti, cambia-to la fisionomia della popolazionedella base. Così è pian piano cam-biata anche la struttura della base,non più a misura di americano, mapiù cosmopolita. Basti pensare agliimpianti sportivi. Entrando nellabase non ci sono i campi di baseballo di football americano che ci si

potrebbe immaginare, ma un sem-plice e sicuramente più europeocampo di calcio. A utilizzarlo non cisono americani, che magari possonoritrovarsi su un campo di basket omeglio in piscina o in palestra, masoprattutto europei. Anche i super-mercati non hanno più tra gli scaf-fali solamente oggetti o alimenti cherispecchiano i gusti e le abitudiniamericane. L’approvvigionamentoavviene come se si trattasse di unsemplice supermercato italiano enon si importano beni dalla madre-

patria, perché la comunità statuni-tense non è considerata sufficiente-mente grande da giustificare l’im-portazione diretta di beni dagliStati Uniti. Una differenza con gliesercizi commerciali nostrani peròc’è: i prezzi della merce, soprattut-to elettronica, abbigliamento ecosmetica, sono più bassi. Dove invece arrivano i prodottidirettamente dalla madrepatria è aCapodichino, nel “Naval Support”,la base militare Usa a pochi metridall’aeroporto civile napoletano.Qui tutto è esentasse. Solo per gli

Campi sportivi, cinema e negozi. I militari di Bagnoli e Capodichino non escono volentieri dalle loro “zone riservate”

Le basi? Nuovi Fort Apache

Dopo la partenza delle truppe di occupazione, tra il 1947 e il 1948, ilnuovo serbatoio di alimentazione del contrabbando fu proprio laNato, libera di importare dagli Usa tutti i beni possibili e immaginabi-li, senza alcun vincolo doganale né controlli di alcuna natura da partedelle autorità italiane. […] Hanno i loro ospedali, le loro chiese, i lorospacci, la loro socialità chiusa a riccio. Napoli è soltanto un lembod’inferno contiguo al loro paradiso: quel che conta è non sfiorarlaneppure, salvo che a bordo delle Cadillac con i finestrini sollevati.

[ Ermanno Rea, “Mistero Napoletano” ]

Alla fine tra i due popoli scatta l’amore Le donne Usa scelgono un marito italianoPatricia Reynolds ha 58 anni. Trent’anni fa, in vacanza con amici, visita Napoli per laprima volta e decide di trasferirsi in pianta stabile. “Avevo la sensazione di aver ancoramolto da conoscere - ricorda Patricia - e così mi trovai un lavoretto che mi ha permessodi campare i primi mesi”. Le scuole di italiano per stranieri non erano ancora nate. Patriciacompra una grammatica italiana e studia da autodidatta. “Per leggere in inglese andavoalla biblioteca del Consolato - continua a raccontare -. Era un luogo aperto mentre oggi,per questioni di sicurezza, l’accesso è possibile solo su appuntamento”. Patricia coltivaamicizie all’interno del Consolato e le viene proposto un lavoro da redattrice per testi inlingua inglese presso una casa editrice medico-scientifica. “Dopo qualche tempo ho cono-sciuto un giovane laureando che preparava la tesi in medicina con il mio capo medico”. Unincontro che muta le sorti di Patricia: i due convolano a nozze. La Reynolds si sposta perlavoro al Cnr e sceglie, insieme al marito, di non avere figli. “Ho visto troppe coppie mistecon bimbi bilingue divise tra la vita e la cultura in Italia o in America. Molti si sono sepa-rati. Io e mio marito viviamo felici, senza figli, ma insieme”. Nel 1991 Patricia conosce efrequenta l’American women’s club. “Si socializza e si parla in lingua tra americane. Si dàsostegno a chi è appena arrivata a Napoli. Gli incontri del club si tengono una volta almese alla Chiesa Anglicana. Si beve il tè oppure si mangiano piatti portati dalle socie”. Sifesteggia anche il “Thank’s giving day” a novembre e il “Saint Patrick’s day” a marzo,quando si preparano esclusivamente cibi di colore verde, simbolo dell’Irlanda. Per le madricon bimbi bilingue gli incontri si tengono una volta a settimana. “Negli ultimi quattroanni - continua - c’è stata una nuova ondata di single e coppie americano-napoletanecon figli bilingue. L’American women’s club sta preparando un vademecum per i nuoviarrivati, che incontrano come prima difficoltà quella di accedere ai servizi. “La vita inAmerica è facile. Comprare o fittare casa, avere un contratto per la luce, il telefono el’acqua è molto semplice. In Italia la trafila burocratica è lunghissima. E le difficoltà siaccentuano per chi non parla l’italiano”. Gli ostacoli diventano enormi poi per chi ha biso-gno di cure ospedaliere. “Negli States l’assistenza è ottima. Gli ospedali sono puliti e idegenti hanno tutto, perfino il pigiama. Qui invece le strutture sono spesso sporche”.Napoli però ha insegnato a Patricia qualcosa che reputa fondamentale: “L’arte del vivereil presente, il carpe diem”.

[ Patrizia Varone ]

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noi e loro 3inchiostroestate 2007

“Non creda che non lo sappiamo:per molta gente di Napoli siamosolo gli ultimi di una lunga serie diinvasori. Pensare che questa cittàsia ancora una meta ambita per gliamericani è solo una bella illusio-ne”. Xy è fatto così, parla diretto.Intellettuale oriundo a stelle e stri-sce, oggi occupa una prestigiosascrivania della base Nato di Napoli.Tiene a precisare che esprime opi-nioni personali. Tuttavia non se lasente di rendere nota la propriaidentità.Paura di “ritorsioni”?“Non è questo. Le regole prevedonoche solo i responsabili dell’ufficiostampa parlino con i giornalisti.Anche se tutto quello che dico rap-presenta solo il mio punto di vista, ipiani alti non gradirebbero. E sipotrebbe credere che al mio pensie-ro sia associato quello dell’interaorganizzazione”.Non è così?“No. Ci mancherebbe che la Natoavesse una dimensione emotiva.Però le assicuro che quello che dicorappresenta il pensiero individualedi molti inquilini delle basi”.Ma come, il sole, il golfo, le sfo-gliatelle?“Non scherziamo. La comunitàinternazionale ormai ha un’ideadella città che non è quella falsata emelensa dei nostri padri. Tanti giàda tempo vedono i gravi problemidel territorio e cercano di farequalcosa per risolverli”.Vuoi risolvere i problemi di Napoli?“Non di Napoli, ma con Napoli.Cerchiamo costantemente di creareponti tra la nostra comunità e il ter-ritorio. Organizziamo tutti gli anniattività, corsi e pubblicazioni chedescrivono gli aspetti positivi diquesta città”.Una cosa bella.“Sì, finché non ti rendi conto divivere in un posto che ti respinge.Napoli è stata sempre molto ostilenei confronti della comunità inter-nazionale. Ha sempre trattato glistranieri come invasori o, al più,come persone da sfruttare. Non hanessuna coscienza internazionale.Non credo l’abbia mai avuta: ladescrizione che ne faceva MarkTwain nel suo diario di viaggio sem-bra la cronaca di un turista dioggi”.Le rammento che lei è mezzonapoletano.“E infatti non mi arrendo. Restoqui. Anche quando i miei familiari,che hanno vissuto a Napoli, michiedono perché non me ne tornoda loro negli States. Ma non tuttifanno come me. Alla Nato appenaarrivano, la prima cosa che succedea tante persone è che vengono rapi-nati, scippati, insultati. Se vieni dafuori, questa città ti si presentacome un pianeta incomprensibile.Perché se ti fermi davanti a unsemaforo rosso ti iniziano a suonaree a riempirti di maleparole. Perchése ti metti in coda a uno sportello tipassano sfacciatamente avanti. E sereagisci ti minacciano pure. Perchéun giorno sì e un altro pure quandostai andando in macchina arrivauno e ti dice: ‘Dottò, la gomma sene sta andando’. Allora devi tiraredritto, se no ti prendono l’auto. Ilpasso successivo è la rassegnazione.E il rischio più grande è quello delrazzismo. La resa alla massima:‘Adattati perchè sono fatti così’.”Questo succede anche a moltituristi italiani.“Certo. E anche a me, che sembronapoletano e quando giro per lacittà non mi prendono per turista.Attenzione: non faccio di tutta l’er-ba un fascio. Il problema è una

minoranza che però è capace dipregiudicare tutto. Molti cittadinisono cortesi nei confronti dei singo-li. Altro problema è il rapporto chel’intera città ha con la comunitàinternazionale. Napoli nel suo com-plesso sembra impermeabile allanostra presenza. Irritata”.La vostra politica isolazionisticanon aiuta certo.“Isolazionismo? Non direi proprio.Manteniamo rapporti costanti conla stampa. In termini di trasparen-za non credo che si possa pretende-re di più da una struttura militare.Nelle caserme italiane succede lostesso”.Mani tese dal territorio?“Mai viste. La città non è ricettiva.Non esiste nulla, non un assessore,non un referente che cerchi di crea-re condizioni di dialogo. È vero chegli amministratori hanno mille pro-blemi da risolvere, ma non si pon-gono neanche il problema di comeutilizzare questa comunità in chiavepositiva”.Un esempio?“Il business turistico. Molti alle basiNato ci arrivano con le miglioriintenzioni. Sono pronti a tornare.Poi incontrano la città e al primotrasferimento se ne scappano conl’idea di non mettere più piede aNapoli. Il passaparola completa l’o-pera”.Ma di questa città non salva pro-prio nulla?“La speranza, propria della regionepiù giovane d’Italia. Una potenzia-lità straordinaria che andrebbesfruttata, soprattutto in politica.Uno scenario che però non vedorealizzabile in pochi anni. I giovanidi belle speranze da queste partipreferiscono emigrare”.

[ Alessandro Potenza ]

Parla un alto funzionario Nato: “I politici locali non hanno interesse a dialogare con gli stranieri che hanno in casa”

“Ma questa città non ci ama”

Ecco le spese degli Usa a Napoli: un bilancio di 400 milioni di euro l’anno“Si invitano i soldati a non fare commercio dei prodotti in vendita all’interno della base”.Ascoltando la radio delle forze armate americane di stanza a Napoli ci si può imbattere inannunci di questo tipo. Il fenomeno della vendita illegale di prodotti alimentari e non, chevengono forniti alla base Nato direttamente dall’America, è una pratica consolidata, tantoche il Dipartimento di Difesa statunitense, per porre un argine, fa ricorso a spot pubblicita-ri che a intervalli regolari sono messi in onda via radio. Ma chi sono gli acquirenti? I com-pratori non sono solo coloro che poi rivendono questi prodotti sul mercato clandestino, maanche semplici cittadini che, per risparmiare, sfruttano conoscenze all’interno della base.Un mercato che per sua natura risulta difficile da quantificare. Ma l’indotto economicolegato alla presenza dei contingenti americani a Napoli non è solo questo. Il mercato uffi-ciale vanta cifre da capogiro. Secondo fonti interne alla base, le forze militari Nato e Usaspendono complessivamente oltre 400 milioni di euro l’anno, 75 milioni dei quali spesi sol-tanto dalla Nato. La parte più florida di questa economia è costituita dal mercato immobi-liare. Sarebbero più di 50 i milioni di euro spesi ogni anno per gli affitti. Anche la ricercadella casa è gestita all’interno delle aree militari. La base è dotata di un’agenzia immobilia-re che richiede agli affittuari un complicato meccanismo per accreditarsi. Le case da affit-tare vengono ispezionate da parte del loro personale tecnico che valuta la presenza dideterminati requisiti: abitazioni spaziose e confortevoli, dotate di ampio giardino, con postoauto rigorosamente a livello della strada, lontane dal traffico e il più possibile vicine allezone militari. Per l’affitto di una casa i soldati spendono al mese dai 1500 ai 2500 euro. Iprodotti alimentari li acquistano tutti all’interno della base, fa eccezione l’acqua che costameno nei negozi napoletani. Inoltre tutti i soldati sono dotati di buoni per la benzina, chevengono spesi nelle stazioni di servizio italiane. Per i vestiti invece non hanno grandi prete-se. L’alta moda italiana non soddisfa i gusti dei militari. Infatti preferiscono indossare capidi abbigliamento semplici e più vicini allo stile d’Oltreoceano, benché anche in questo casola loro radio raccomanda di indossare abiti poco riconoscibili. E neanche per lo svago siallontano troppo dalla base. Preferiscono una pizza a Fuorigrotta e per i pic-nic all’apertohanno luoghi specifici: il Carney park, uno spazio situato vicino Pozzuoli, dove nei giorni difesta con le rispettive famiglie sono soliti organizzare grigliate e il cui accesso ai non ame-ricani è consentito soltanto se autorizzati.

[ Nicola Salati - Caterina Scilipoti ]

Una camionetta dei carabinieri davanti al Consolato Usa in piazza della Repubblica a Napoli

Radio Days a stelle e strisce

“Napoli è una città stupenda: simangia bene, le donne sono bellissi-me, ma è difficile trovare eventiinteressanti. E poi tutta quell’im-mondizia per le strade, proprio unpeccato”. Jeff Reilly, direttore dellaredazione campana della radio mili-tare americana, sembra avere un’i-dea del capoluogo partenopeo nonmolto lontana dall’oleografia tradi-zionale. Una Napoli fatta di pizza,mandolino e gite fuori porta e nellostesso tempo vista come “un postoin cui è facile perdersi”. Forse per-ché, come dice Reilly, le differenzeculturali sono notevoli o proprioperché i contatti dei militari con l’e-sterno della base o dei quartieriresidenziali in cui vivono con lefamiglie sono molto ridotti. “Ognisoldato resta a Napoli in media treanni - aggiunge Reilly - e questorende ancora più difficile integrarsie mettere radici”. Da oltre 30 annila radio militare americana tra-smette per i soldati Usa di stanza inCampania e nel basso Lazio. Undicisono i membri dello staff che, oltrealla radio, con un’altra frequenzadedicata alla musica, realizzanoanche servizi per la televisione mili-tare. Talk show, partite della Nba,notiziari della Cbs, sessioni di musi-ca country: chi si sintonizza sullafrequenze 106 e 107 Fm a Napoli eprovincia si ritrova improvvisamen-te proiettato dall’altra parte dell’o-ceano. Il palinsesto si basa soprat-tutto su trasmissioni mutuate daimaggiori network americani, inter-vallate dai notiziari realizzati dalleredazioni militari. Sui 106 Fm c’è la“Eagle radio”, che trasmette unmix di musica dalle popular hitsall’urban, dal rock al country. E il sabato c’è lo show del SergenteTrevor Pedro trasmesso da Napoliin tutte le basi europee. Sui 107 c’èla “Power Radio”, dedicata soprat-tutto all’informazione. I soldatipossono ricevere tutti gli aggiorna-menti sulle competizioni sportivenel programma cult “Sports over-night America”. La televisione satellitare, visibilesolo mediante appositi decoder indotazione all’esercito, ha diecicanali differenti. Negli studi dellabase di Gricignano di Aversa, inprovincia di Caserta, vengono rea-lizzati i programmi di interesselocale e regionale. Programmi di intrattenimento e diservizio per un’audience di circa 15mila militari e civili. “Trasmettiamo - spiega Reilly - unnotiziario locale ogni ora, concen-trandoci soprattutto sulle praticheburocratiche, sui suggerimenti peril tempo libero e sulla sicurezza deinostri soldati”. Nel notiziario radiofonico, cosìcome nel report televisivo di dueminuti che va in onda sulla rete AfnAtlantic alle 18,30 e alle 22,30, nonc’è traccia delle faide di camorra edell’attualità politica campana. A tenere banco sono partite di golf,picnic all’aria aperta e weekend alleterme. Oltre a informazioni di ser-vizio e pubblicità, naturalmente. La redazione di Gricignano fa partedell’Afn (American forces net-work). Una rete di servizio, natacon il proposito di portare una“ventata d’America” ai soldatiimpegnati Oltreoceano e alle lorofamiglie.

[ Pasquale De Vita ]

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4 le cronache

Sessant’anni di storia am[ Segue dalla prima pagina ]

Nei mesi del ‘43, mentre gli alleatiarrivano a Napoli da Salerno, lacittà, devastata da oltre 130 bom-bardamenti è ridotta a un cumulodi macerie. Manca il gas, l’energiaelettrica e l’acqua corrente, più di800mila napoletani sono senza vive-ri da giorni. Il porto è un cimiterod’acciaio. In acqua giacciono centi-naia di navi semiaffondate. Nel cen-tro, vecchi e nuovi palazzi crollanodi continuo. Gli alleati contribui-scono in vario modo a rimettere inpiedi una città distrutta. I soldatiindiani, ad esempio, sono incaricatidi buttar giù con la dinamite lestrutture pericolanti, mentre silavora incessantemente per rico-struire il porto che in poco tempodiventerà il più attivo d’Europa,con una quantità di traffico supe-riore anche a quella di New York. Dal porto arrivano i rifornimentiper le truppe. L’enorme massa diprodotti destinati all’esercito gene-ra, però, uno scompenso nell’eco-nomia della città fino ad alloraridotta alla fame. Oltre un terzodelle merci alimenta il mercatonero, il contrabbando e la ricetta-zione. Pur di dar da mangiare alleloro famiglie, migliaia di donne siprostituiscono. Il giro di denaro ali-mentato da queste attività illegalicircola attorno alla città di Nola,trasformata nel grande magazzinodestinato a custodire i rifornimentiper gli alleati.

* * *

Mentre la città scopre cosa signifi-chi essere la retrovia di un grandeesercito in guerra, entra in scena ilsecondo protagonista della storiadegli americani a Napoli: il coman-dante della quinta armata MarkClark. La sua entrata in città hatoni epici. Il Cardinale Alessio

Ascalesi celebra una messa in suoonore e il Rettore dell’Università,Adolfo Omodeo, gli offre addirittu-ra una laurea honoris causa. Clarkfa di via Caracciolo la pista diatterraggio per il suo aereo privato.Ne sono testimonianza i filmati con-servati negli archivi di Washington.A girarli alcuni operatori cinemato-grafici e registi di Hollywood,arruolati al seguito dell’esercito. Sono le cosiddette unità CombatFilm. Della città riprendono qual-siasi cosa: l’euforia e la fame, ledevastazioni, le esplosioni dellemine. Le troupe cinematograficheamericane riescono a dare unospaccato di storia incredibilmenterealistico, restituendo al mondo leimmagini di città straordinaria inun’epoca di miseria e devastazione. Peter Tompkins, ex agente segretoamericano, ha ricordato in undocumentario trasmesso sulla Rai,come la condizione della Napoli diquegli anni fosse ben più grave diquella descritta da Malaparte nel

chiale. Con il Ddt, vengono irroratioltre 600mila partenopei. Gli ameri-cani promuovono, poi, la cosiddetta“Giornata della pulizia” lavando lestrade di Napoli dagli ammassi didetriti e di polvere. “Il governoalleato - sottolinea Ermanno Corsinel suo libro “Napoli contempora-nea” - comprende subito che Napolinon è una città da occupare, ma darimettere in piedi”. Tra i problemida risolvere in fretta c’è anchequello di rimettere in moto la vitaistituzionale cittadina. Nell’apriledel 1944, il Governatore alleatoPoletti si affretta, quindi, a nomi-nare a Palazzo San Giacomo unuomo estraneo al fascismo: GustavoIngrosso. Avvocato e professoreuniversitario, è lui il primo sindacodella Napoli liberata.

* * *

Nel 1949, mentre per la città iniziaun nuovo corso democratico, glialleati costituiscono un’organizza-zione intergovernativa allo scopo diassicurare la pace e la sicurezza inEuropa. Si tratta della Nato.Nel maggio del 1951 il generaleEisenhower, in una conferenzastampa a Parigi, annuncia la crea-zione in Italia di un quartier gene-rale della Nato per tutto il SudEuropa. La sua sede è Napoli.Eisenhower fa anche il nome del-l’uomo che ne assumerà il coman-do: l’ammiraglio Robert BostwickCarney. È il 19 giugno. Due giorni dopo Carney arriva incittà a bordo della U.S.S. Olympus,nave precedentemente impiegata

celebre libro “La pelle”. Tompkinsnell’intervista ricorda il dilagaredella prostituzione minorile: “Unsoldato americano - racconta - conqualche scatoletta di cibo potevacomprare chiunque. Gli scugnizzi ei ragazzini vendevano le sorelle”.In questo panorama di dissoluzionemateriale e morale ha luogo, poi,un evento catastrofico. Il 18 marzo1944 il Vesuvio erutta. Le unitàCombat Film documentano ogni sin-golo istante dell’evento. Il vulcanodistrugge le città di San Sebastianoe Cercola. Le ceneri annientanoanche uno stormo di bombardieriamericani B-25 nei pressi diTerzigno. Ironia della sorte,l’Osservatorio Vesuviano era statotrasformato, nei giorni precedenti,nella stazione meteorologica deglialleati e allo staff della strutturaera stata concessa solo una miserastanzetta per svolgere le ordinariemansioni di monitoraggio. In queglianni molti degli edifici napoletani edelle strutture storiche della cittàsono riadattate per le esigenze belli-che: la Villa Comunale, ad esempio,è trasformata in un enorme accam-pamento a cielo aperto, la scuolaVanvitelli, al Vomero, diventa unalloggio per le truppe di colore, ilpalazzo della Upim, un mercatomilitare, quello della Singer alRettifilo la stazione radio, nelPalazzo delle Assicurazioni, in piaz-za Carità si installa la sede dellaCroce Rossa. Proprio la CroceRossa, insieme ai militari america-ni, cerca di arginare una delle mag-giori emergenze del momento: leepidemie, come quella di tifo petec-

per la più grande operazione milita-re degli Stati Uniti in Antartide. Laportaerei saluta il golfo con 21 colpidi artiglieria. Inizia così, a Napoli, la storia delComando delle Forze Alleate delSud Europa, quello che gli america-ni chiamano Afsouth. Carney haenormi responsabilità, ma pochimezzi. Manca tra le tante cose unasede per ospitare gli uffici delcomando. In un primo momento ilquartier generale viene posto abordo della U.S.S. Olympus, si spo-sterà poi in un appartamento aPosillipo. Solo nel 1952 viene individuata, aBagnoli, un’area adatta ad accoglie-re l’Afsouth in via permanente. Èun fondo di proprietà del Banco diNapoli, precedentemente destinatoal Ministero per la guerra fascista,poi passato ai tedeschi e successiva-mente a un’organizzazione interna-zionale per i rifugiati. La strutturaè in pessime condizioni e sononecessari due anni di lavoro perrenderla nuovamente agibile. I costidelle operazioni sono coperti per unterzo dagli americani e per i restan-ti due terzi dal governo italiano.Nel 1953, mentre i lavori per il tra-sferimento dell’Afsouth a Bagnoli siavviano a conclusione, Carney èrimosso dal comando. A inaugurareufficialmente la sede, il 4 aprile del-l’anno successivo, ci sarà un nuovocomandante: l’ammiraglio WilliamFechteler.

* * *

Luglio 1963: John FitzgeraldKennedy viene in visita a Napoli.Morirà pochi mesi dopo. In queglianni presso il consolato generaledegli Stati Uniti di piazza dellaRepubblica lavorano circa duecentopersone, mai sono state così tantenei tre secoli di vita del consolato.Una folla di persone segue la sfilatainsieme al Presidente dellaRepubblica Antonio Segni, alleautorità locali e al console HomerM. Byington jr., la cui famiglia pertre generazioni ha rappresentato ilgoverno statunitense a Napoli in unperiodo che dura complessivamente29 anni: un vero record. La guerranel Vietnam non è ancora comincia-ta e la guerra di Corea è ormai lon-tana. Nelle basi militari dove vivo-no gli americani a Napoli c’è unclima tranquillo. L’Uso (UnitedService Organization), che ha unasede a Napoli dal 1941, organizzaassistenza e intrattenimento per letruppe. Alcuni napoletani che ave-vano contatti con i militari ricorda-no che giocavano insieme al bingo ecompravano Coca-cola nei lorospacci. All’epoca i militari america-ni non uscivano molto. Si ritrovava-no in alcuni locali, sempre gli stessi,qualcuno si ubriacava e faceva par-lare di sé ma in generale non dava-no fastidio alla popolazione ancheperché restavano sempre tra diloro. I testimoni ricordano ancorache gli americani, venuti con la pro-pria famiglia, avevano preso inaffitto alcune case nelle zone miglio-ri della città, come Posillipo. Inapoletani che trattavano con loros’impegnavano non poco per farsicapire. Si riconoscevano facilmenteanche dalle auto che, oltre a esseremodelli poco diffusi, erano targatediversamente”. Arrivano gli anni della contestazio-ne studentesca. Anche Napoli vienecoinvolta. I giovani che manifestanocontro la guerra nel Vietnam, sirivolgono a un esercito molto vici-no. Il 25 aprile 1967 è ricordato perun’importante manifestazione. In

Sessantacinque anni, una vita trascorsa a lavorare nelporto, Bruno Aponte è oggi il presidente dell’AssociazioneNavigazione Libera del golfo di Napoli. Il suo racconto del-l’incontro con gli americani parte dagli anni ’50 e ’60,quando più forte fu l’impatto che i napoletani ebbero con imilitari Usa: “Da un lato i rapporti con la gente del postoerano molto buoni – spiega Aponte –. I napoletani con l’ar-te di arrangiarsi in mille mestieri erano abili nel rendersiutili, se non indispensabili, agli americani. D’altro canto, imilitari erano ricchi, erano attratti dalla bella vita, e aveva-no un impatto positivo con una città così diversa nelle abi-tudini e nell’aspetto dalle loro. Inoltre, in parte, sfruttavanola nostra povertà. Gli americani potevano spendere e neldopoguerra Napoli era tutta da ricostruire: dopo i bombar-damenti, la città era completamente distrutta e bisognavarifare strade, palazzi, tutto”. Gli americani arrivarono, por-tando ricchezza ma anche caos. Spesso si ubriacavano, gio-cavano d’azzardo e lasciavano bottiglie dappertutto. Il rap-porto tra loro e la città era quindi di scambio ma anche diconflitto: “Ero ancora un ragazzino quando arrivarono iprimi militari. Ricordo che avevo 15 anni e aiutavo i turistia sbarcare nel porto. Quasi ogni giorno vedevo la squadranavale americana che attraccava al molo Beverello. C’eraun grande fermento nel porto, si cercava di riprendersidagli anni bui della guerra. Noi li chiamavamo i ‘palombiel-li’, perché erano sempre vestiti di bianco. Gli americani chevedevamo erano soprattutto militari. Ogni volta che sbarca-vano a Napoli, c’erano gli accompagnatori locali che liattendevano al varco della Stazione Marittima e li portava-no dappertutto in cambio di pochi spiccioli”.

[ Elena Della Rocca ]

Non era colpa di Jimmy se il popolo napoletanosoffriva. Quel terribile spettacolo di dolore e dimiseria non insudiciava né i suoi occhi né il suocuore. Jimmy aveva la coscienza tranquilla. Che cosa avrebbe potuto fare per tentare di allevia-re le atroci sofferenze fisiche del popolo napoleta-no, dei popoli europei? Tutto quello che Jimmypoteva fare era di prendere su se stesso una partedella responsabilità morale delle loro sofferenzenon come americano, ma come cristiano. Forse sarebbe meglio dire non soltanto come cri-stiano, ma anche come americano. Ed è questa la vera ragione per la quale io amo gliamericani, sono profondamente grato agli america-ni, e li considero il più generoso, il più puro, ilmigliore e il più disinteressato popolo della terra:un meraviglioso popolo.

[ Curzio Malaparte, “La pelle” ]

Una famiglia saluta l’ingresso degli Alleati in città

Lo sbarco dei “palombielli”

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le cronache 5inchiostroestate 2007

mericana sotto il Vesuvio

Il soldato americano e lo scugnizzo napoletano nel film “Paisà” di Roberto Rossellini, 1946

delle basi Nato di Napoli eSigonella, [i funzionari] hannofavorito l’aggiudicazione delle gared’appalto”. Dopo il 2001, in seguitoall’attentato alle Torri Gemelle diNew York, molte leggi cambiano. Le macchine americane verrannoritargate in Italia e nessuno, nem-meno gli americani, potrà piùentrare all’interno del Consolatosenza autorizzazione. La commemorazione dell’attaccoterroristico, nel giorno del suoprimo anniversario, vede la parteci-pazione del sindaco Rosa Russo

americani a Napoli. Anche l’Usis(United States InformationService), un’agenzia governativanata dopo la seconda guerra mon-diale per diffondere la cultura ame-ricana in Europa, entra nella suafase calante. L’importante bibliote-ca rimane aperta ma le sue attivitàdiminuiscono. Dal 1963 è laBiblioteca Nazionale a ospitarla. A Napoli, nell’aprile 1988, un’auto-bomba esplode presso la sede Usouccidendo cinque americani. Tra di loro c’è una donna: è laprima vittima femminile della mari-na militare americana a morire inun attacco terroristico. Gli anniNovanta non sono meno burrascosi.Gli americani hanno occupato l’ae-rea del Golfo Persico. Il clima poli-tico è teso. Le contestazioni in piaz-za sono numerose e coinvolgonoanche Napoli. Pochi anni dopo, nel1994, inizia a Gricignano la costru-zione del “Naval support site”. Il1994 è lo stesso anno in cui Napoli èper la seconda volta visitata da unpresidente americano, Bill Clinton,che viene in occasione del G7. Lapopolazione lo accoglie calorosa-mente. Clinton si ferma a mangiarein una pizzeria di via dei Tribunaliche da allora cambierà nome e sichiamerà in suo onore “IlPresidente”. Nel 1997, la magistra-tura italiana scopre che gli appaltipresso la sede Nato di Sigonellasono gestiti da Cosa Nostra. Ilgoverno statunitense si dichiaraparte lesa. Napoli è coinvolta nelcaso perchè il dipartimento investi-gativo antimafia dichiara che“sfruttando i rapporti con i respon-sabili della Marina americana e coni funzionari degli uffici-contratto

uno dei volantini distribuiti si parladi Lyndon Johnson e delle sue pro-babili dimissioni. Il presidente ame-ricano è definito una “figura pateti-ca, distrutta e rammollita” che finoal giorno prima si presentava comeil grande capo, dal pugno giusto eforte e “in realtà ha fatto tutto ciòche i suoi padroni, i capitalisti ame-ricani, volevano che facesse: ora,però, di fronte all’attacco vittoriosoal popolo vietnamita, di una partedello stesso popolo statunitense,guidato dal Potere Negro, devepagare le conseguenze. Ma lui è soloun fantoccio. I veri padronipotranno così ripresentarsi domanicon facce diverse, - continua ilvolantino - magari inneggiando alvecchio o al nuovo Kennedy e pro-pagandando la loro grande socie-tà”. La presenza a Napoli degliamericani è sempre stata soprattut-to di carattere militare. Ma in quelperiodo cominciano a venire inItalia dei ragazzi che intendono stu-diare medicina, una facoltà cheadesso come allora è molto costosanegli Stati Uniti.

* * *

La popolarità degli americani cre-sce in occasione dell’epidemia dicolera che colpisce la città alla finedell’agosto 1973. Per contribuirealla vaccinazione di massa, gli ame-ricani inviano agli ospedali stru-menti che permettono di vaccinarein maniera molto più rapida rispet-to a quella tradizionale. Negli anniOttanta, con la fine della GuerraFredda e la campagna di riduzionedelle spese lanciata dal governoUsa, si riduce la presenza degli

"La canzone nacque in un quarto d'ora, di getto, una vera bomba, eravamo tutti comeimpazziti - disse Carosone quando in diverse trasmissioni televisive ricostruì il suo percorsoprofessionale -. Capimmo subito che sarebbe stato un grandissimo successo". E infatti il suc-cesso della canzone è immediato. Sono gli anni del dopoguerra. Sono i tempi in cui i giovanicercano di parlare inglese e di vestirsi all’americana. Tutto ciò che proviene d’oltreoceanodiventa desiderabile ai loro occhi: le canzoni, i vestiti, la lingua, il cibo. Anche a Napoli. InItalia si diffonde il mito dell’America, delle sue canzoni, della sua “way of life”. Il direttoredella Ricordi Mariano Rapetti commissiona al cantante Carosone e al paroliere NicolaSalerno alcuni pezzi per una gara radiofonica. Nel 1956 i due scrivono il testo di “Tu vuo’fa’ l’americano”, evidente versione napoletana del mito degli Usa, il ritratto ironico di ungiovane che balla swing e jazz made in Italy. Il brano fa immediatamente il giro del mondo.Nel film “La baia di Napoli” di Melville Shavelson Sofia Loren canta “Tu vuo’ fa’ l’america-no” in coppia con Clarke Gable. “Tu vuo’ fa’ l’americano” rimane ancora oggi il simbolo dellaparabola artistica di Carosone. L'artista partenopeo si mostra un autentico umorista dellamusica popolare italiana, ma anche un anticipatore della commistione di generi musicali.Alcuni critici musicali hanno scritto che Carosone si fosse ispirato a Renzo Arbore per lacomposizione del testo, quasi a dedicargli la canzone. Il cantante foggiano aveva infatti undebole per la musica a stelle e strisce, fin dai tempi in cui suonava a Napoli nei “SouthRailway Travellers” negli anni Cinquanta, nei club frequentati da americani.

[ Marco Lombardini ]

Iervolino insieme al console ClydeBishop e al corpo dei vigili delfuoco di Napoli. Nel 2005 c’eranoin Campania quasi diecimila ameri-cani. Al momento i militari ameri-cani sono presenti presso ilComando dei Marines, nell’isolottodi Nisida con la base di sommergibi-li. Il porto cittadino viene normal-mente impiegato dalle unità militaristatunitensi. Si calcola che nellapenisola italiana, soprattutto daNapoli e Livorno, transitinoannualmente migliaia di containerdi materiale militare.

L’aeroporto di Napoli Capodichinoè sede di una base Usaf. Altri mili-tari americani sono inoltre presentiin Campania con antenne di teleco-municazioni al Monte Camaldoli, aIschia, a Licola, a Lago Patria e aMontevergine. Oltre che a Bagnoli,Agnano, Giugliano, Grazzanise eMondragone. Qui c’è un sotterra-neo antiatomico, dove dovrebberoessere spostati i comandi Usa eNato in caso di guerra.

[ Daniele Demarco Caterina Morlunghi ]

Quando Carosone scoprì “l’americano”

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6 i luoghi

Un viaggio per le strade

inchiostroAnno VII numero 5estate 2007Chiuso in redazioneil 18 Maggio 2007

Periodico a cura della Scuoladi giornalismo dell’Universitàdegli Studi Suor Orsola Benincasadiretta da Paolo Mieli

Direttore editorialeFrancesco M. De Sanctis

CondirettoreLucio d’Alessandro

Direttore responsabileArturo Lando

Coordinamento redazionaleAlfredo d’AgneseCarla MannelliAlessandra OrigoGuido Pocobelli Ragosta

CaporedattoreDiego Dionoro

Capi servizioOrnella d’AnnaIolanda PalumboLaura PironeGiuseppe Porcelli

In redazioneGaetano Agrelli, Eugenio FrancescoBonanata, Anna Clemente, AdrianaCostanzo, Elena Della Rocca,Daniele Demarco, Renatod’Emmanuele, Pasquale De Vita,Nadia Fiore, Mario Leombruno,

Marco Lombardini, OrnellaMincione, Caterina Morlunghi,Giulia Cajetana Nardone,Alessandro Potenza, Luca Romano,Nicola Salati, Caterina Scilipoti,Patrizia Varone.

SpedizioniVincenzo CrispinoVincenzo Espositotel. 081.2522278

EditoreUniversità degli StudiSuor Orsola Benincasa80135 Napoli via Suor Orsola 10Partita Iva 03375800632

Redazione80135 Napoli via Suor Orsola 10tel. 081.2522229/234/236fax 081.2522212

RegistrazioneTribunale di Napoli n. 5210del 2/5/2001

StampaImago sas di Elisabetta ProzzilloNapoli 80123 via del Marzano 6Partita Iva 05499970639

Progetto gra coSergio Prozzillo

ImpaginazioneLuca Bottigliero

fare la spesa al supermercato. Di solito prendono prodotti tipiciitaliani come la pizza e la mozzarel-la, ma ricercano anche i loro mar-chi e le loro specialità. Solo nelgiorno del Ringraziamento, anovembre, gli americani passanoper ordinare del tacchino comenella loro tradizione.Sempre più delle presenze ombraquelle degli americani a Bagnoli.Anche se ci sono delle eccezioni.Herman Chanowitz oggi ha 92 anni.Ha lavorato a lungo nella base e hascelto di ritornare in Italia dopo lapensione perché ha sposato unasiciliana conosciuta dopo lo sbarcoa Salerno durante la seconda guer-ra mondiale. In tutto è rimasto nelBel Paese per quasi 25 anni.Racconta di avere molti amici allaNato e di trascorrere il tempo libe-ro andandoli a trovare spesso perfare due chiacchiere e passeggiare.I parchi sono circondati da filo spi-nato e sorvegliati da vigilanti.L’accesso è strettamente riservato.L’interno assomiglia a un campusuniversitario, con villette a schiera,piccole palazzine, tanto verde concampi di basket e da baseball.I nuovi quartieri sono sì funzionali,ma sorgono in mezzo al deserto emancano della bellezza geograficache caratterizzava i vecchi alloggidei militari americani a Bagnoli ePozzuoli.Si organizzano frequenti gite lungola costiera sorrentina e nei sitiarcheologici di Pozzuoli, Ercolano ePompei. O ancora nei luoghi dibenessere, alle terme di Ischia o diAgnano. Tutti in pullman, come unqualsiasi gruppo di turisti che viene

dedicano la maggior parte del lorotempo all’addestramento.I bar sono i luoghi dove si vedonopiù di frequente. “Di solito vengonodi mattina o dopo pranzo a piccoligruppi”, afferma la titolare di unodi questi esercizi nei dintorni dellastruttura militare.Nel cinema “La Perla”, a pochecentinaia di metri, non si proiettanopiù i film hollywoodiani in linguaoriginale. “Da un po’ di tempo -spiega il proprietario del cinema -non abbiamo più l’abitudine didare film in inglese perché la fre-quenza è calata e non è più conve-niente continuare”.E nel vicino “Salone” il vecchiobarbiere non vede da tempo i solda-ti che rasava a zero come impone lamoda dei marine. Qualcuno, masono sempre di meno, continua a

Bagnoli convive con gli americani,ma non se ne accorge. Dalla stazio-ne della Cumana, la base distapoche centinaia di metri. Nella zonaimmediatamente antistante si avver-tono pochi rumori, poche le autoparcheggiate ai bordi della strada.Una strada ricoperta di cementoche potrebbe ospitare tre, quattrocampi di calcio, eppure non si scor-ge l’ombra di un bimbo che gioca.Proseguendo verso il territorioNato qualche sparuta presenza sinota. Un soldato in divisa si accingea prendere servizio. Dice che prefe-risce non parlare perché è tardi enon ha tempo per affidare dichiara-zioni ai nostri taccuini.Anche gli abitanti della città sem-brano non accorgersi della presenzadegli americani. Molti militaririmangono a Napoli per poco e

dalla Germania o dal Giappone.Fuori l’Italia, dentro gli Stati Uniti.Carabinieri a guardia dell’ingressodella base, per controllare le autoin entrata, e soldati in mimeticaall’interno.

* * *

La base Nato di Bagnoli è una cittànella città, dove italiani e americanisi integrano lavorando insieme. Lostesso accade tra i più piccoli.Giovani dai 3 ai 13 anni lavano,cucinano, riordinano. E intantoimparano le lingue e studiano. Sonoi ragazzi della scuola montessorianadella Nato, per lo più figli di funzio-nari. A Bagnoli studiano ancheragazzi esterni, che ogni giornoapprendono attraverso il gioco. Unmetodo innovativo, il loro, soprat-tutto perché inserito nella difficilerealtà scolastica napoletana. Unmondo a parte, fatto di compiti inaula e mai fuori dalle ore dei corsi,di sport all’aria aperta, di lezionidalle otto del mattino alle cinquedel pomeriggio.“Il nostro istituto prevede un inten-so programma di inglese - spiegaMrs. Fedele, direttrice del centro -.Ma i ragazzi rappresentano 26nazionalità diverse. Per questomotivo offriamo anche programmidi francese, tedesco, spagnolo.L’educazione è, inoltre, bilanciatatra un orientamento classico e unoscientifico, per fornire tutti gli stru-menti di conoscenza necessari perla vita futura”. All’inizio di ogni anno, alle famiglieviene consegnato un opuscolo infor-mativo, che illustra tutte le norme

comportamentali che genitori e stu-denti si impegnano a rispettare.Tanti i divieti: gli allievi della scuo-la non possono indossare abiti nétroppo corti né disordinati, devonoapporre delle etichette sugli effettipersonali e possono raggiungere leaule solo con un apposito pullminoche transita all’interno della base.Inoltre, sono tenuti a rispettare lefestività italiane e quelle americane.“Certo, non è facile - dice A. P.,mamma di una delle iscritte -.Dobbiamo imparare a conviverecon orari e regole molto più rigide,differenti da quelle italiane. Peròc’è il vantaggio di un’offerta forma-tiva altamente qualificata e poi pos-siamo seguire davvero i nostrifigli”.

* * *

In realtà gli americani non hannoabbandonato la provincia napoleta-na, si sono solo spostati. La base diBagnoli si sta lentamente trasferen-do a Lago Patria e i soldati delleforze armate alleate oggi abitano inquartieri periferici del tutto auto-sufficienti e sorvegliati, come nelleenclave del Villaggio Coppola, diVarcaturo, di Lago Patria e diGricignano di Aversa. Una soluzio-ne comoda: in questo modo sonopiù vicini alle nuove sedi logistichedella Nato, costruite ai confiniestremi della città. Una mannacaduta dal cielo per gli immobiliari-sti che hanno immediatamente fiu-tato l’affare. Un’occasione per darelibero sfogo alle loro fantasie dicemento, potendo contare su clientisicuri e danarosi. Una palazzina all’interno del comprensorio di Gricignano d’Aversa

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i luoghi 7inchiostroestate 2007

dell’America nostrana

Un’occasione per far conoscere ai figli degli emigranti laterra e la cultura dei loro avi. È questo l’obiettivo della“summer school” del Centro internazionale di studi italiani,un corso per studenti americani organizzato a Napolidall’Università Suor Orsola Benincasa in collaborazione conl’Anfe, l’Associazione nazionale famiglie emigrati. Aperto astudenti di età compresa tra i 18 e i 25 anni, in possessodi una laurea di primo livello, discendenti di italiani resi-denti negli Stati Uniti, il corso ha una durata di quattrosettimane. Gli insegnamenti spaziano dalla letteratura ita-liana alla storia dell’emigrazione, passando per lo studiodel cinema italo-americano e la partecipazione a laborato-ri di musica, pittura e scultura. I partecipanti, cui laRegione Campania paga vitto e alloggio, vengono preva-lentemente dagli stati di New York, New Jersey,Connecticut e Pennsylvania, luoghi che più di altri hannovisto nel corso della storia la presenza massiccia degli emi-granti italiani. I loro genitori sono quasi tutti campani.Pochi hanno padronanza dell’italiano, la maggior parteparla i dialetti dei loro padri. “Questi ragazzi sono affasci-nati dalla cultura italiana – spiega Silvio Mastrocola, coor-dinatore del Centro – ma hanno una visione del Paese checorrisponde a quella dei loro nonni”. Anche per questomotivo i corsi della summer school cercano di fornire aglistudenti d’oltreoceano una visione quanto più “moderna”della cultura italiana. Al di là della formazione in aula, aglistudenti “si cerca di restituire la memoria e l’identità dellacultura italiana”, spiega il direttore della scuola e presidedella facoltà di Scienze della Formazione LucioD’Alessandro. Le giornate degli allievi sono scandite dairitmi decisi dalla scuola e dall’ambasciata americana e unasquadra di tutor li segue da mattina a sera, organizzandoanche gite fuori porta. Tuttavia non sfugge un particolare.I ragazzi vengono per conoscere la cultura e lo stile di vitaitaliani, ma di sera non possono uscire da soli per bere unabirra e ascoltare un po’ di musica. Davvero è così pericolosolasciare che vedano con i propri occhi cosa fanno i lorocoetanei napoletani?

[ Diego Dionoro ]

Nel palazzo non ci sono scritte che dicano chisiamo e cosa facciamo qui, ed è difficile capireperché mai la gente presuma che questo debbaessere il Comando della polizia segreta inglese.Fatto sta che lo sanno, e cominciamo a esseresommersi da un flusso ininterrotto di visitatori,ciascuno dei quali ci offre i propri servigi comeinformatore. La questione del compenso nonviene mai sollevata. I nostri visitatori sono disposti a lavorare per noi per pura e disinte-ressata devozione alla causa alleata. Sono quasitutti liberi professionisti, e ci consegnanobiglietti da visita con stampato a belle lettere iltitolo di Avvocato, Dottore, Ingegnere oProfessore.

[ Norman Lewis, “Napoli ‘44” ]

Il mitra, l’elmetto, la tuta mimetica.Il soldato a guardia della base ame-ricana di Gricignano di Aversa, inprovincia di Caserta, sembra inassetto da guerra, pronto per latrincea. All’ingresso, a metà pome-riggio, però, regola il traffico delleautomobili che fanno ritorno, dopouna giornata di lavoro trascorsanelle altre basi presenti inCampania.Entrare lì, se non sei americano osei sprovvisto del permesso, non èpossibile. Per ottenere l’autorizza-zione, si deve fare la richiesta alConsolato americano di Napoli. Da lì però dicono che bisogna par-lare direttamente con i responsabilidelle basi. Ma l’attesa è lunga. Tempi che nonsono solo quelli della burocrazia,ma anche quelli che occorrono perverificare che chi ha inoltrato larichiesta sia uno a posto.Intorno a questo insediamentourbano gli abitanti della zona sonoin grado di indicarti la strada peraccedervi ma nessuno è capace diraccontare cosa ci sia esattamentedentro. “Dopo il ponte girate a sini-stra, poi all’incrocio proseguitedritto”, spiega Antonio, un anzianoabitante del posto.“Sono entrata una sola volta - rac-conta Maria Pia, 40 anni -. Era peruna visita guidata alla base, orga-nizzata dalla scuola di mio figlio. E siamo stati scortati dai soldatidurante il giro”. Non hanno vistomolto, solo le cose che è possibilevedere anche dall’esterno. Alla fine di una strada in discesa,dalla quale qualcosa già si intrave-de, si arriva alla Us Navy. A girarciintorno è un percorso tutto delimi-tato da reti di ferro che partono daterra e si innalzano per quasi tremetri. È tutto a vista, almeno perquanto riguarda gli spazi apertidestinati allo sport. Un campo dirugby con qualche ragazzo che siallena, uno di calcio e campi di ten-nis e ancora parco giochi per ragaz-zi. Poi prati molto curati e altriparchi per bambini. Gli americani, dentro, vivono inpalazzi di tre piani. Ma ci sonoanche villette a schiera, qualcunacon la bandiera a stelle e strisceattaccata al balcone.Gli americani qui non sono unanovità. “Qualche volta escono perandare a divertirsi”, racconta ilsignor Raffaele. E dove vanno? “Non lo so - rispon-de - forse dove si trovano i localisimili ai loro pub”.Non si vedono spesso in giro perchénella base c’è tutto. Anche il cinema. Fuori una fermata a richiesta delpullman, due officine di riparazionedelle auto e un venditore ambulantedi tappeti. “Vengono per fare aggiu-stare guasti al motore o per cambia-re un fanalino - dice uno dei mecca-nici -. Spesso gli americani noleggia-no le auto per un paio di giorni”.Ma pagano in dollari? “No - rispon-de -. Lo stipendio è in dollari, maloro li cambiano con l’euro”.Il venditore ambulante, un maroc-chino che gira con il furgoncinocarico di merce nei dintorni dell’a-gro aversano, dice che gli americanii tappeti li comprano, “sono simpa-tici, ma fuori si vedono poco”.

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Alla base, i militari vivono con leloro famiglie. I bambini e i ragazzifrequentano la scuola interna aper-ta solo ai figli degli impiegati delDipartimento della Difesa america-na, siano essi civili o soldati.

Il sistema scolastico non è comequello italiano. “Ad agosto si tieneun periodo di orientamento per noialunni - spiega Joshua, che ha ilpadre americano e la mamma italia-na -. Poi alla fine dello stesso mesecominciano i corsi”. L’anno scola-stico per loro si divide in due seme-stri: il primo inizia il 28 agosto etermina il 25 gennaio; l’altro partequattro giorni dopo per finire ametà giugno. “Le materie che studiamo sonomolto simili a quelle che si insegna-no nelle scuole italiane - continuaJoshua nel suo racconto -. La diffe-renza è la possibilità che abbiamodi frequentare attività extra curri-culari”. Nel pomeriggio, infatti, iragazzi frequentano i “club”:l’“Odissea della mente”, per inse-gnare ai bambini a risolvere proble-mi reali attraverso la creatività e lalogica; “Italian Language Club”,dove ai più piccoli insegnano la lin-gua, l’arte e la cucina italiane.“Io facevo parte del club dellamusica - aggiunge il bambino -, hoimparato a suonare la chitarra edero nella banda scolastica”.

Anche per i più grandi sono previ-ste attività extra curriculari. Traqueste c’è l’“Environmental Club”:un corso che forma i futuri dirigentied educatori degli Stati Uniti; unlaboratorio giornalistico chiamatola “National Honor Society”. Unavolta l’anno, inoltre, si tiene il“Festival della Lingua straniera”con rappresentazioni teatrali in lin-gua originale. E non macano i clubsportivi. Il più famoso, che arrivain Italia attraverso la tv, è quellodelle Cheerleader.E poi le feste: Labour day (4 set-tembre), Columbus day (9 ottobre),Veterans day (10 novembre), soloper citarne alcune. Sono giorni dicelebrazioni collettive che i ragazziaspettano con ansia per non andarea scuola. Come gli studenti italiani.

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A Lago Patria, frazione diGiugliano, comune alle porte diNapoli, gli americani non si vedono.Eppure ci sono. Vivono nelle villet-te a tre piani con piscina, compranonei negozi di alimentari, respirano

liana, Lisa frequentava i negozi diabbigliamento del luogo. “Quandosono partiti - continua - è stato undispiacere. Uscivamo spesso insieme. Tante volte sono andata alle lorofeste. Quello che preferivano eraviaggiare. In tre anni hanno visitatoquasi tutta la penisola”.Ma non tutti gli americani a LagoPatria si integrano con la gente delluogo. A volte si incontrano neisupermercati o nei distributori dibenzina. Ma la loro giornata tra-scorre altrove: nelle basi o nei postidi lavoro.

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Al Parco Mazzola, sempre a LagoPatria, c’è una scuola elementarerigorosamente americana. La “British forces school” occasio-nalmente apre le porte a studenti dinazionalità diversa. Solo per una visita guidata però. E’ una piccola fortezza americananel verde del territorio. Sono le 10, squilla la campanella, èl’ora della ricreazione. Dall’esterno dell’istituto si sente unvociare di bambini. Se non prestiattenzione la British sembra essereuna scuola italiana. Qual è la differenza? Finita lapausa, tutti tornano o tra i banchi.Cosa studiano? Difficile saperlo:l’accesso è negato.

la stessa aria di chi vive qui da sempre. Nessuno li sente. Escono molto pre-sto la mattina con i bambini prontiper andare a scuola. Rientrano acasa nel tardo pomeriggio. Quando li vedi sono in tuta mimeticao in pantaloncini, anche in pienoinverno. A Lago Patria ci dormono solo. A chiunque domandi dove vivanogli americani senti rispondere: “Al parco Marenola”. All’internodel parco, però, le famiglie ameri-cane convivono con quelle italiane. La maggior parte vive in ville congiardini ed è in affitto: arrivano inItalia per esigenze di lavoro e popo-lano queste case per quasi tre anni. “Sono persone tranquille, non lisento e non li vedo. Quando capitaci salutiamo, ma niente di più”.Così dice Rosa, che vive accanto auna famiglia americana. C’è chi a Lago Patria con questepersone ha stretto rapporti di ami-cizia. “Per oltre tre anni - raccontaCaterina - nel mio parco ha vissutouna famiglia della Virginia. Siamo diventati inseparabili. Jeff, ilcapofamiglia, lavorava come medicoalla base. La moglie Lisa frequenta-va corsi d’italiano. Le loro duefiglie sono cresciute insieme a miasorella minore”. La famigliaCaporossi, pur essendo straniera,ha amato l’Italia e soprattuttoNapoli. Jeff adorava la cucina ita-

Una cerimonia militare all’interno della base Nato di Bagnoli

A cura di Laura Pirone, Adriana Costanzo, Iolanda Palumbo, LucaRomano, Mario Leombruno, Eugenio Bonanata,Ornella d’Anna, Anna Clemente.

In aula per riscoprire le radici

Page 8: Layout 1 (Page 1)na, campi di squash, ristoranti, un’agenzia turistica e un luogo di culto per le tre grandi religioni monoteiste. La particolarità di que-sti luoghi è che la maggior

di strada’. Con loro su questotema non poteva esserci contra-sto, il Pci era un partito schiet-tamente antiamericano”.Ma degli Usa non vi piacevanulla, nemmeno gli aspetti culturali?“Non c’era nessuna indulgenzaverso gli scrittori e i musicistiamericani. Non riuscivamo ascindere il popolo americanodal suo governo, sia che ilPresidente fosse repubblicano odemocratico. Razionalmentepotevamo sapere che gli Usaerano il baluardo della demo-crazia, ma vivevamo con l’Urssun rapporto di sudditanza chesfociava nella mitizzazione”

[ Renato d’Emmanuele ]

inchiostroestate 20078 le interviste

Andrea Geremicca ricorda la Napoli divisa tra Mosca e Washington

Quando eravamo tutti antiamericani“Il rapporto tra i comunistinapoletani e gli americani pre-senti in città era speculare aquanto accadeva alle BottegheOscure, alle direttive che ilcomitato centrale del partitoriceveva da Mosca.Conflittualità e rapporti dibuon vicinato erano decisialtrove”. Andrea Geremicca,storico esponente dell’alamigliorista del Pci, una vitaspesa tra la federazione napole-tana, Camera dei deputati eComune di Napoli, è chiaro neldefinire l’atteggiamento dellasinistra napoletana verso gliamericani. Una storia che inizianel 1943, con la liberazionedella città dopo le Quattro gior-nate. “Tutta la cittadinanzasaluta con gioia l’ingresso delletruppe americane e anche noicomunisti, che dopo pochi mesi,come componenti del Cln, par-tecipiamo con esponenti di spic-co come Carlo Fermarielloall’amministrazione della città”.Fa da spartiacque la guerrafredda?“Sì, l’adesione alla Nato, laGuerra fredda e la cacciatadelle sinistre dal governo DeGasperi nel 1947. Da quelmomento Mosca ordina aicomunisti italiani di vederenegli americani il nemico. E’una chiusura di carattere ideo-logico: siamo fedeli all’Urss e

quindi ostili agli Usa. Una posi-zione che ha anche caratteri dinazionalismo, perché riteneva-mo la base Usa a Napoli unlimite allo sviluppo economicodella città”.Eppure sembra che quest’osti-lità non sia mai sfociata incontestazione aperta.“Sono esami di coscienza che sifanno negli anni, col senno dipoi. E’ il fenomeno della rimo-zione del passato. Quando il Pcirompe con l’Urss negli anni ‘70diviene indispensabile presen-tarsi con un atteggiamento piùdialogante. Ma le contestazionic’erano, anche evidenti, alcunecon caratteristiche di puragoliardia. Come quella volta,nei primi anni ‘50, quando noiragazzi della gioventù comuni-sta salutammo il concerto inVilla comunale di un’orchestradella Marina a colpi di uovaripiene di vernice rossa.Ricordo lo stupore di un trom-bettiere di colore nel vedere lasua divisa candida imbrattatadall’uovo che gli avevo scagliatoaddosso”.Poi c’erano le manifestazionifuori il consolato.“Iniziammo in occasione dellaguerra di Corea e le intensifi-cammo anni dopo con ilVietnam. Manifestavamo anchecon le altre forze della sinistraextraparlamentare, i ‘compagni

“L’arte americana è giunta aNapoli grazie al lavoro combi-nato di alcune personalità”. Aparlare è il critico d’arteAchille Bonito Oliva, uno degliartefici dell’apertura di Napolial panorama artistico europeo emondiale. “All’inizio degli anni’60 a fare da mediatori eravamoio, Lucio Amelio, un importantegallerista napoletano che avevarapporti con alcune gallerieamericane, e Pasquale Trisorio,che dirigeva l’ufficio culturaledel consolato americano diNapoli. Fu proprio quest’ultimoad avere l’idea di un ciclo diconferenze, tenuto da me, chedoveva illustrare al pubbliconapoletano le novità dell’arteamericana”.Perché Napoli conobbe l’arteamericana in quel periodo?“Perché a metà degli anni ’60 loscambio culturale tra quelpaese e l’Europa fu molto inten-so. Attraverso Lucio Amelio,avevamo contatti con importan-ti galleristi newyorkesi, tra cuiLeo Castello. Un decennio piùtardi Napoli poteva ospitarepersonali di artisti come AndyWarhol, Robert Rauschenberge Cy Twombly, che inauguròquesta rete di scambi”.Come furono accolti i nuoviartisti americani?“Il pubblico napoletano si mostròaperto e curioso, ma all’iniziosolo platonicamente. Poi nacque-ro nuovi collezionisti e nuove gal-

lerie. L’attenzione era rivolta inparticolare alla Pop Art. Moltiartisti si organizzavano in gruppi,come “Operativo 64” e gli altri,specialmente gli studenti di archi-tettura, iniziavano a guardare aquelle esperienze”.L’arte americana influì moltosu quella napoletana?“Sì, decisamente. Alla fine deglianni ’70 io stesso mi trovai difronte a un nuovo movimento:la Transavanguardia. Capii cheNapoli era matura per tendenzaartistica propria e che costitui-va un’alternativa. LaTransavanguardia era un’alter-nativa europea, mediterranea,fondata sul colore e sulla sensi-bilità. Al contrario di quellaamericana, non celebrava lamerce e studiava l’oggetto.Aveva una matrice picassiana,dove prevaleva il senso dellasoggettività e la manualità.L’avanguardia americana, apartire da Duchamp, era stati-stica, oggettiva, modulare”.Da allora le cose sono cambiate?“Oggi grazie alle nuove gallerienapoletane l’arte americana, enon solo quella, è molto diffusa.Non c’è più una divisione nettatra i favorevoli e i contrariall’arte statunitense, né un cen-tro. È avvenuta una multi-cul-turalizzazione e, quindi, per ilpubblico e per i galleristi stessiè inevitabile il riferimentoall’arte extraeuropea”.

[ Ornella Mincione ]

Raffaele La Capria racconta la fine della guerra e la liberazione della città

“Per me erano nemici amati”“Tutto divenne possibile: che ilpovero diventasse ricco, con larapina o il contrabbando e chela brutta diventasse bella e desi-derabile. Fu una specie di ubria-catura. Nel bene e nel male”.Raffaele La Capria ricorda cosìgli americani a Napoli negli anniche vanno dal ’45 al ’47. Sono stati anni durissimi e deci-sivi per il futuro della città. Con la sua testimonianza La

Capria getta un ponte tra il pas-sato e il presente sfogliandoalcune pagine della sua vita. Vi fu un vero e proprio terremoto?“Accadde quello che accade auna pentola quando salta ilcoperchio. La metafora rimandaal regime fascista, ai bombarda-menti… E poi arrivarono gliamericani. Nemici, amati.Perché anche se ci bombardava-no, erano attesi. E arrivaronocon farina, carne, e quel benes-

sere materiale si riversò sullacittà. Cominciarono i traffici enon c’era più un freno. Unasorta di Saigon mediterranea.Perché la vecchia morale saltò”.Solo in seguito all’impatto conun mondo così diverso? “Gli americani erano una speciedi modello meraviglioso che civeniva dal cinema e dalla lette-ratura. Non bisogna dimentica-re, poi, che molti dei nostri emi-granti avevano fatto fortuna lì.E quindi l’America era vistacome un luogo immaginario”.Quanti anni aveva lei, all’epoca? “Poco più di venti. E l’idea di libertà che gli ameri-cani incarnavano ci galvanizza-va. Ma anche il popolo fu presoda frenesia liberatoria. E quando gli americani trovava-no una ragazza la corteggiavano.Ed esplodevano passioni e desi-deri”. Come le apparivano quelledonne libere di ogni tabù?“Scatenate. E le guardavo conironia e stupore. In particolarele ragazze dei vicoli, all’improv-viso si sentirono amate.Impararono velocemente a bal-lare il boogie woogie. E si vede-vano certe coppiette in giro!”.E le ragazze borghesi si mette-vano alla pari delle loro coeta-nee?“Le donne della borghesia quan-do incontravano gli americani,che ballavano al ritmo delle can-

Bonito Oliva: dalla Pop Art alla Transavanguardia

L’influenza dell’arte Usa

Roberto De Simone aveva 11anni quando gli Alleati arriva-rono a Napoli, ma a 20 era giàfamoso nei circoli per soli ame-ricani per il suo tocco al piano-forte. In quegli anni si è forma-to il musicista che ha conquista-to i teatri di mezzo mondo conla sua “Gatta Cenerentola”. Neiclub tra il Porto e il centro sto-rico De Simone ha potuto lavo-rare alla fusione tra i suoi studiclassici e lo swing di matriceafro-americana.Sono state stagioni importantisia per la crescita del composi-tore che per la commistione tramusica del Mediterraneo e cul-tura anglofona.Quanto la musica napoletana èstata influenzata dalla presen-za americana?“Nel dopoguerra arrivò in cittàinsieme alle polveri di latte, dipiselli e d’uovo, una novitàassoluta: il jazz. Una contami-

Raffaele La Capria

Con De Simone alle origini del nuovo sound

I figli napoletani del jazz

zoni di Frank Sinatra, ci mette-vano da parte e la battaglia erapersa in partenza. Ci sentivamofrustrati. Noi avevamo ancora icalzoni alla zuava e loro già citradivano”.Matrimoni misti ce ne statimolti?“Eccome. Incontri fatali. ANapoli in quel periodo c’era unproverbio divertente: ognivermzzull trovav à vermuzzella.Perché tutti potevano trovare laloro anima gemella”. Ma per lei la contaminazionefu solo culturale?“La novità furono le bevande.Ma eravamo noi a meravigliarcidel connubio spaghetti - CocaCola”.C’è stata un’esperienza di vitache è sopravvissuta al tempo? “Fu allora che incontrai WilliamWeaver. Un soldato americanovolontario e un giovane intellet-tuale di valore che mi introdussenella letteratura americana. Un’esperienza che si riversò in“Sud”, la rivista letteraria allaquale collaboravo con AnnaMaria Ortese, Francesco Rosie altri”.Ma la sua vita futura di uomosarebbe stata diversa senzal’impatto con gli americani?“La mia sensibilità si è moltipli-cata in virtù di quella situazio-ne. Anche se quella fu un’aper-tura verso un altro mondo, chenon durò a lungo”.

[ Nadia Fiore ]

Roberto De Simone

Andrea Geremicca

nazione con la musica napoleta-na c’è stata, ma non subito.Negli anni ’50 divenne quasiimpossibile sottrarsi a quel lin-guaggio”. Quali sono stati gli artisti chepiù hanno manifestato il fruttodi questa contaminazione?“Il frutto più fecondo del jazz èPino Daniele, che da un puntodi vista creativo ha saputo fon-dere molto bene la vivacitàmusicale di diversi stili. Questoè uno degli esempi di contami-nazioni positive, mentre unaversione negativa si ha in tuttequelle canzoni e musiche cheseguono solo la moda. AnchePeppino Di Capri ha modificatoin parte alcuni stili napoletanisulla scia di quelli americani.Attualmente Marco Zurzolo èuno dei migliori jazzisti napole-tani”.Come ha vissuto la novità del jazz?“Quando suonavo nei circoliper soli americani mi richiede-vano musiche di Gershwin, diCole Porter e di altri grandijazzisti. L’improvvisazione ècreatività. Il pubblico di queilocali era solo militare, ma tradi loro c’erano veri intenditori.Da direttore del ConservatorioSan Pietro a Majella ho poi isti-tuito, nel 1998, una classe dijazz”.

[ Giulia Nardone ]