KENYA 12 DOMENICA, 26 GENNAIO 2014 «La nostra Africa» Segue dalla 1 a pagina alcuni «fidei donum» ormai anziani rimangono in America Latina a con- cludere il loro cammino, altri tornano o sono già tornati in diocesi. «Alla no- stra Chiesa occorre, credo, uno sforzo importante per sostenere due esperien- ze missionarie diocesane, una in Africa qui a Tassia e una in America Latina, probabilmente in Roraima, nella zona di Boa Vista. A queste nostre missioni serve ‘tutto’: preti che diano la disponi- bilità a partire, per un congruo periodo di tempo. Ma anche tutto quell’insieme di conoscenze, relazioni, esperienze di laici, giovani, comunità religiose che fa sentire una missione come parte viva della diocesi. Torino ha una lunga tradizione di sostegno alle missioni e a varie forme di cooperazione sociale; proprio questa tradizione ha reso pos- sibile la grande generosità, in denaro e non solo delle Quaresime di fraternità e la sensibilità missionaria della diocesi. Ora è il momento di rilanciare con for- za questa dimensione. Anche perché nel mondo globale i problemi dei popoli poveri e delle nazioni in via di sviluppo sono in realtà i nostri. Le ‘periferie’ a cui prestare attenzione, come chiede papa Francesco, non sono soltanto quelle dietro il cortile di casa ma appunto le aree dove il mondo sta camminando, dove ci sono quei popoli giovani con cui abbiamo bisogno di confrontarci e di accoglierci reciprocamente». M. B. A un certo punto è mancata la luce, tutto il quartiere è piom- bato nel nero: nere le facce delle persone, nero il cielo (anche se punteggiato di stelle come noi non vediamo più); nera la stra- da, polverosa e piena di buche. L’arcivescovo, appena sceso dal van, è rimasto solo, una piccola faccia bianca aggirata da centinaia di volti scuri, che continuavano a camminare, mangiare, cantare, parlare al telefono. Poi è stato accompa- gnato lungo una scala buia e scalcagnata per arrivare, al pri- mo piano, alla «scuola» dove si era data appuntamento la co- munità di Santa Monica, una delle 19 nate e cresciute nella parrocchia di Tassia. Un locale coi pilastri di calcestruzzo, lun- go forse 6 metri e largo poco più di 3. Le «pareti» che la di- vidono dal ballatoio, dalle scale e dagli altri appartamenti sono di lamierino ondulato, il ma- teriale più usato nelle case del Kenya e dell’Africa povera. Ad aspettarlo c’erano una quaran- tina di mamme, papà, bambini: la comunità di Santa Monica, una delle 19 nate a Tassia, peri- feria di Nairobi, dove lavorano don Mauro Gaino e don Beppe Gobbo, i preti torinesi che già avevano servito a Lodokejek. Una parrocchia vivace, ricca di attività, integrata nel proprio territorio. E di cui le piccole co- munità sono la spina dorsale e il sistema nervoso: ciascuna di esse, nei diversi punti del quar- tiere, è il primo contatto con la Chiesa cattolica per la cate- chesi, i sacramenti, l’assistenza. L’insieme delle piccole comuni- tà («yamujie») serve da base al Consiglio pastorale parrocchia- le che, diversamente da altre esperienze italiane, è un orga- nismo con precise responsabi- lità, guidato da un «chairman» laico e da una giunta esecutiva che coordina le varie attività. C’è una parola che fa brillare gli occhi dei membri delle yamujie, ed è orgoglio: l’orgoglio di es- sere cristiani, di appartenere a una comunità di cui si sentono parte viva e corresponsabile. Le Messe che mons. Nosiglia è andato a celebrare nelle case di tre comunità e nella scuo- la parrocchiale di Tassia sono state segnate tutte da un clima di festa, dal grande onore riser- vato al vescovo ospite e ai suoi accompagnatori: ma anche dal- la consapevolezza della gente che essere lì, cristiani a Tassia, è una cosa bella e importante; e che ciascuno si sente il compi- to di essere «gioia» per gli altri, mettendosi a servizio della co- munità. Lo si è visto ancor più nella Messa grande, domenica 12, presieduta dall’arcivescovo di Nairobi card. John Njue: una concelebrazione di 4 ore in cui neppure un minuto era vuoto, continuamente animata da canti, silenzi efficaci, balli e una partecipazione intensa della gente, che porta anche in chiesa i colori, il linguaggio del corpo, la sensibilità dell’Africa. E, al termine della Messa, lo spiega- mento della Sindone, una co- pia 1:1 del positivo, che va ad affiancare il grande ritratto in negativo del volto già presente nell’abside della chiesa parroc- chiale. La presenza «torinese» è radica- ta in Kenya. Missionari e Mis- sionarie della Consolata, Sale- siani e famiglie cottolenghine sono presenti qui da decenni. Mons. Nosiglia ha visitato le loro case nella capitale, cui fan- no riferimento tutti gli insedia- menti religiosi del Paese. Ha in- contrato superiore e superiori, ma anche – nel Cottolengo di Nairobi – i bambini malati di Aids che, se non fossero accolti qui, non avrebbero altro desti- no. Un incontro commovente e che però «illumina» sul senso primario della missione del- la Chiesa: essere a fianco delle persone là dove esse hanno più bisogno, sono meno difese. L’attenzione, il rispetto verso la Chiesa nasce anche dal rap- porto vitale tra le parrocchie e il territorio. In Kenya il sistema scolastico è quasi interamente in mano ai privati e la scuola cattolica rappresenta un punto di riferimento fondamentale. In un Paese di 30 milioni di abitanti di cui la metà ha meno di 15 anni investire sulla scuola è l’unica maniera per provare a migliorare la condizione socia- le propria e delle famiglie. Così anche a Tassia, come in quasi tutte le parrocchie, le scuole di primo e secondo grado, qui gestite da religiose carmelita- ne indiane e aperte ovviamen- te non solo ai cristiani, sono la «porta d’ingresso» alla vita sociale. Scuole «all’inglese» (il passato coloniale qui non è mai interamente passato…), con al- lievi tutti rigorosamente in di- visa, colori dei clan scozzesi che sembrano così lontani dagli ac- costamenti degli abiti africani. Le scuole sono un’eccezione, e un’alternativa, al caos di una città cresciuta nel disordine, senza pianificazione urbanisti- ca e con un sistema di trasporti affidato non solo all’iniziativa privata ma forse anche al caso, alla possibilità che ci siano o meno ingorghi lungo i percor- si. Qui nessuno si stupisce di ritardi di mezze ore o ore in- tere agli appuntamenti. Fino alle porte del centro le strade sono piste di savana sterrate e piene di buche, dove basta che un camion si metta di traverso per fermare tutto. Lungo tut- to il giorno (e tutta la notte) il traffico è incessante; a ridosso della strada le bancarelle della frutta o i fornelli delle donne che friggono i «chapatti» si al- ternano a quel «mercato conti- nuo» così comune nelle mega- lopoli. L’unica ferrovia del Paese (Kampala-Nairobi-Mombasa) scorre, in città, attraverso i muc- chi d’immondizia, le pozzan- ghere e il camminare incessante della gente – che fuori di casa mangia e «vive», essendo gli al- loggi dei poveri, ma anche delle classi medie, troppo piccoli. E però la modernità passa anche da qui. Il telefono cellulare ha fatto compiere a tutti il «salto tecnologico» che in Occiden- te è durato 150 anni. Sullo smartphone si pagano le bollet- te e si sposta denaro come fosse un bancomat; si ascolta la radio e si messaggia in continuazione per strada; anche se intorno c’è un «deserto» di infrastrutture e servizi. Nairobi fa pensare alle «città invisibili» di Calvino, co- struite su architetture impossi- bili in un impero che, come dice il Khan a Marco Polo, «marcisce come un cadavere nella palude, il cui contagio appesta tanto i corvi che lo beccano quanto i bambù che crescono concimati dal suo liquame». Ma bisogna ricordare anche la risposta del veneziano: «Sì, l’impero è malato e, quel che è peggio, cerca d’assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo: scrutan- do le tracce di felicità che anco- ra s’intravvedono, ne misuro la penuria. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lon- tane». Questa nazione è in cammino; sta conquistando, con fatica ma con dignità, condizioni di vita migliori. Il Kenya si fa for- te di una «cultura popolare» in cui, per tutti, l’identità nazio- nale è un riferimento impor- tante – e questo è essenziale, in un Paese composto da etnie diverse, e in un continente che ha visto i massacri di Uganda, Ruanda, Burundi, scaturiti dall’insofferenza etnica divenu- ta poi pretesto a scontri politici e militari in cui tutti (Occiden- te, Cina, India…) hanno giocato la propria parte. La corruzio- ne diffusa è forse il problema più grave e vistoso, quello che rallenta tante prospettive di È stata mostrata anche ai fedeli di Tassia l’immagine della Sindone MISSIONE TORINESE – BILANCIO DELLA VISITA DELL’ARCIVESCOVO MONS. NOSIGLIA A TASSIA, DOVE OPERAN L’incontro con i fide della parrocchia in K