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L'Antropocene e la riproduzione sociometabolica del capitale 1 di Carles Soriano 2 Introduzione La principale conclusione a cui è giunto il gruppo di lavoro sull’Antropocene (AWG) e che è emersa nell'ultimo Congresso geologico internazionale nel 2016 è che l'Antropocene è una realtà stratigrafica iniziata intorno alla metà del XX secolo, il cui principale indicatore sarebbe costituito dalla pioggia radioattiva di plutonio derivante dall'esplosione di armi nucleari. L’AWG si è impegnato a preparare, entro i prossimi 2-3 anni, una proposta formale che verrà sottoposta all'approvazione della Commissione Internazionale di Stratigrafia (ICS) al fine di designare l'Antropocene come una nuova epoca nella scala del tempo geologico. Che la proposta dell’AWG sia accettata o meno l'Antropocene ha suscitato un dibattito che oltrepassa i campi della stratigrafia e delle scienze geologiche diventando tema di interesse più generale e, di fatto, una questione politica (Swanson, 2016). Ricercatori provenienti da un ampio ventaglio di discipline afferenti alle scienze naturali e sociali, tra cui biologi, studiosi dell'ambiente, geografi, storici, fisici, economisti, filosofi, politici ecc. stanno prendendo parte al dibattito sull’Antropocene. La ragione di questo interesse generale è che quella dell’Antropocene non è semplicemente una questione geologica relativa alla sistemazione della scala del tempo geologico. Al contrario il concetto di Antropocene implica enormi conseguenze riguardo l'organizzazione sociale degli esseri umani sulla terra, inclusa la loro sopravvivenza. Il concetto di Antropocene dunque riflette la preoccupazione degli esseri umani per l'impatto della loro azione sulla Terra e l'interrogativo sull’eventuale minaccia che essa potrebbe costituire per la vita sul pianeta. A questo proposito, che l'inserimento dell’Antropocene nella scala del tempo geologico venga portato a termine con successo o no ha un’importanza relativa – si legga oltre per ciò che concerne gli ulteriori sviluppi - ma in ogni caso l'Antropocene è destinato a rimanere argomento di discussione (Zeller, 2015). L'Antropocene è stato descritto come una fase nella storia della Terra in cui gli esseri umani diventano una forza planetaria capace di realizzare trasformazioni sul pianeta simili a quelle prodotte dalle forze naturali (Fischer-Kowalski e altri, 2014). Questa formulazione ha ottenuto un ampio consenso tra gli studiosi e ha prodotto allo stesso tempo una percezione globale diffusa nella maggioranza delle persone sul fatto che l'impatto umano sulla Terra potrebbe aver raggiunto un livello per certi versi preoccupante. Degli effetti di tale impatto c’è una robusta evidenza empirica, che include deforestazione, erosione del suolo, consumo di acqua, acidificazione dell'oceano, emissione di anidride carbonica e di ossido di azoto, riscaldamento globale ed estinzione di specie naturali. Come è noto nei periodi geologici precedenti della storia della Terra molti dei parametri misurati nelle ricerche volte a misurare il degrado ambientale sono stati alterati rispetto ai loro valori ordinari o comunque pregressi. Ad esempio nella scala del tempo geologico sono ben noti episodi di estinzione di massa di specie naturali, di riscaldamento globale e di emissione di gas serra. Tuttavia ciò che distingue l'attuale situazione di degrado ambientale 1 Traduzione e revisione a cura di PuntoCritico.info 2 Istituto di Scienze della Terra Jaume Almera di Barcellona, CSIC, Spagna
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L'Antropocene e la riproduzione sociometabolica del capitale1

Jul 19, 2022

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L'Antropocene e la riproduzione sociometabolica del capitale1

di Carles Soriano2

Introduzione

La principale conclusione a cui è giunto il gruppo di lavoro sull’Antropocene (AWG) e che è emersa nell'ultimo Congresso geologico internazionale nel 2016 è che l'Antropocene è una realtà stratigrafica iniziata intorno alla metà del XX secolo, il cui principale indicatore sarebbe costituito dalla pioggia radioattiva di plutonio derivante dall'esplosione di armi nucleari. L’AWG si è impegnato a preparare, entro i prossimi 2-3 anni, una proposta formale che verrà sottoposta all'approvazione della Commissione Internazionale di Stratigrafia (ICS) al fine di designare l'Antropocene come una nuova epoca nella scala del tempo geologico.

Che la proposta dell’AWG sia accettata o meno l'Antropocene ha suscitato un dibattito che oltrepassa i campi della stratigrafia e delle scienze geologiche diventando tema di interesse più generale e, di fatto, una questione politica (Swanson, 2016). Ricercatori provenienti da un ampio ventaglio di discipline afferenti alle scienze naturali e sociali, tra cui biologi, studiosi dell'ambiente, geografi, storici, fisici, economisti, filosofi, politici ecc. stanno prendendo parte al dibattito sull’Antropocene. La ragione di questo interesse generale è che quella dell’Antropocene non è semplicemente una questione geologica relativa alla sistemazione della scala del tempo geologico. Al contrario il concetto di Antropocene implica enormi conseguenze riguardo l'organizzazione sociale degli esseri umani sulla terra, inclusa la loro sopravvivenza. Il concetto di Antropocene dunque riflette la preoccupazione degli esseri umani per l'impatto della loro azione sulla Terra e l'interrogativo sull’eventuale minaccia che essa potrebbe costituire per la vita sul pianeta. A questo proposito, che l'inserimento dell’Antropocene nella scala del tempo geologico venga portato a termine con successo o no ha un’importanza relativa – si legga oltre per ciò che concerne gli ulteriori sviluppi - ma in ogni caso l'Antropocene è destinato a rimanere argomento di discussione (Zeller, 2015).

L'Antropocene è stato descritto come una fase nella storia della Terra in cui gli esseri umani diventano una forza planetaria capace di realizzare trasformazioni sul pianeta simili a quelle prodotte dalle forze naturali (Fischer-Kowalski e altri, 2014). Questa formulazione ha ottenuto un ampio consenso tra gli studiosi e ha prodotto allo stesso tempo una percezione globale diffusa nella maggioranza delle persone sul fatto che l'impatto umano sulla Terra potrebbe aver raggiunto un livello per certi versi preoccupante. Degli effetti di tale impatto c’è una robusta evidenza empirica, che include deforestazione, erosione del suolo, consumo di acqua, acidificazione dell'oceano, emissione di anidride carbonica e di ossido di azoto, riscaldamento globale ed estinzione di specie naturali. Come è noto nei periodi geologici precedenti della storia della Terra molti dei parametri misurati nelle ricerche volte a misurare il degrado ambientale sono stati alterati rispetto ai loro valori ordinari o comunque pregressi. Ad esempio nella scala del tempo geologico sono ben noti episodi di estinzione di massa di specie naturali, di riscaldamento globale e di emissione di gas serra. Tuttavia ciò che distingue l'attuale situazione di degrado ambientale

1 Traduzione e revisione a cura di PuntoCritico.info

2 Istituto di Scienze della Terra Jaume Almera di Barcellona, CSIC, Spagna

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globale da situazioni analoghe verificatesi in periodi geologici precedenti è in primo luogo la sua natura antropogenica e in secondo luogo la velocità è l'ampiezza con cui alcuni dei parametri misurati hanno subito una variazione (Barnosky et al., 2011; Ceballos et al., 2015; Lewis e Maslin, 2015; Monastersky, 2015; Steffen et al., 2015).

Se il degrado ambientale associato all'Antropocene ha natura antropogenica, allora esso è collegato al modo in cui gli esseri umani interagiscono con la natura. L’interazione tra gli umani e la natura viene realizzata non solo individualmente ma soprattutto tramite l’organizzazione degli esseri umani in società. L’organizzazione sociale però evolve mutando nel corso della storia umana. Perciò sono necessarie categorie di analisi mirate a distinguere le differenti forme dell'organizzazione sociale umana e il modo peculiare in cui esse interagiscono con la natura. Nonostante la massiccia collezione di dati empirici raccolti grazie agli studi sul degrado ambientale abbia creato un ampio consenso attorno al modo in cui il concetto di Antropocene è stato formulato, l’integrazione di quei dati in uno schema teorico organico finalizzato a una migliore comprensione delle cause ultime della crisi ecologica globale è oggetto di discussione e spesso anche di aspri disaccordi. Ciò è in qualche misura sorprendente, perché i dati empirici sul degrado ambientale forniscono anche una base empirica per circoscrivere la crisi ambientale globale a un periodo specifico della storia umana anziché riguardante tutti gli esseri umani della storia. I dati sulla ‘Grande Accelerazione’3, l’estinzione di intere specie, i livelli di anidride carbonica nell'atmosfera, la temperatura globale e molti altri indicatori della crisi ecologica testimoniano una chiara correlazione empirica col modo di produzione capitalistico (vedi le serie storiche di questi e altri parametri in Ceballos et al., 2015; Lewis and Maslin, 2015; Monastersky, 2015; Steffen et al., 2015). I dati empirici mostrano che la crisi ambientale è strettamente legata a una specifica forma di organizzazione socio-economica degli esseri umani, piuttosto che all'essere umano in generale e permettono di formulare il concetto di crisi ambientale non come un processo in qualche modo ‘naturale’ e deterministico, ma come una crisi ecologica storicamente determinata. Basandoci su semplici correlazioni empiriche appare chiaro che la crisi ambientale globale che stiamo sperimentando non può essere attribuita all’organizzazione socio-economica dei Romani o degli Aztechi. Al contrario essa è legata al modo in cui il capitalismo si è configurato storicamente, alla sua persistente espansione dall'Europa occidentale al resto del mondo, che ha dato vita a ciò che chiamiamo la società moderna globalizzata. Ciò ha portato alcuni ricercatori a chiedersi se la parola Capitalocene sia più appropriata di Antropocene per descrivere l'attuale epoca (Moore, 2014a, 2014b). I disastri ecologici indotti dall'uomo non sono un fenomeno tipico del capitalismo però. Di eventi simili si trovano riscontri documentari in altre forme di organizzazione sociale, ad esempio vi furono estinzioni di specie nell'antico Egitto e fenomeni di deforestazione nell'antica Grecia (Hornborg, 2013). Questo fatto però non va spiegato a partire da una sorta di meccanismo deterministico implicito nella relazione tra esseri umani e natura, cioè dall’idea che il degrado ambientale sia intrinsecamente legato alla presenza umana. Nella società capitalistica il degrado ambientale si distingue da quello manifestatosi nell’ambito dei precedenti modi di produzione a causa della scala planetaria, della velocità e dell'ampiezza con cui esso si manifesta, per il carattere complesso e i meccanismi di feedback operanti nella crisi. Perciò, sebbene le correlazioni empiriche in sé non forniscano una dimostrazione della relazione ontologica tra il capitalismo e l’attuale crisi ambientale esse indirizzano la ricerca sulle cause del degrado ambientale verso i processi caratteristici del modo di produzione capitalistico e in questo modo consentono di cogliere le radici profonde della crisi ecologica.

3 La Grande Accelerazione è un termine preso dal libro di Karl Polanyi La Grande Trasformazione (Polany, K. 1944.

Beacon Press, Boston) in cui si sviluppa il tema del processo di mercificazione della società avvenuto nella prima metà del XX secolo.

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Perché per capire l'Antropocene l’approccio marxiano è efficace

Come è stato sottolineato da numerosi autori della tradizione marxista, ma anche da ricercatori non marxisti, il pensiero di Karl Marx può contribuire a una migliore comprensione dell'Antropocene, della crisi ecologica e dei loro legami col capitalismo (Angus, 2016; Cunha, 2015a; Foster, 2016; Hornborg, 2017; Malm e Hornborg, 2014). La letteratura su Marx è enorme. Dopo tutto egli è considerato il più influente scienziato mai vissuto (Van Noorden, 2013). In particolare il suo capolavoro incompiuto, Il Capitale, è oggetto di una vasta letteratura e di un ampio dibattito scientifico ed è stato interpretato come il conseguente sviluppo dialettico delle sue teorie del valore-lavoro e del feticismo-alienazione (Bellofiore, 2013; Gandler,2006). Esula dagli scopi di questo contributo indagare più in profondità queste fondamentali teorie del pensiero di Marx, ma una loro breve esposizione è necessaria per illustrare come esse possano aiutare a comprendere la crisi ecologica associata all'Antropocene e la sua relazione al modo di produzione capitalistico.

Il Capitale di Marx è un'ontologia della società moderna (Martinez Marzoa, 1981) che spiega la riproduzione materiale per mezzo della semplice formula D−M−D’, dove D è il denaro-capitale, M è la merce e D’=D+ΔD4. Questa formula spiega la produzione, la circolazione, il consumo e la riproduzione del capitale ovvero, la riproduzione sociometabolica del capitale (Mészarós, 2000). L'ontologia di Marx spiega anche la riproduzione ideale nella società moderna, cioè come si producono e riproducono le idee dominanti. Il feticismo, basato sull’apparente oggettività delle categorie economiche (merce, denaro, capitale, profitto ecc.), sarebbe dunque la forma ideologica caratteristica del modo capitalistico di produzione (Gandler, 2006; Martinez Marzoa, 1981). Tuttavia il feticismo non rappresenta un'illusione nella mente delle persone, bensì deriva dalla concreta realtà che nel capitalismo le relazioni sociali tra gli esseri umani sono mediate dalle cose, cioè che esse appaiono come relazioni tra cose e, a partire da questa percezione reale, alle cose vengono attribuite proprietà che corrispondono a quelle degli esseri umani. Non è necessario precisare che l'inversione di tale attribuzione tra esseri umani e cose, grazie a cui gli esseri umani sono reificati e le cose acquisiscono lo status di ‘cose viventi’ è opera degli uomini stessi. Come osserva Marx ‘noi non ne siamo consapevoli e tuttavia lo facciamo’ (Marx, 2015: 49) o, in altri termini, lo facciamo in un modo ‘inconsapevolmente consapevole’. Il concetto di feticismo è strettamente legato a quello di alienazione, che nel capitalismo raggiunge la sua massima espressione perché la riproduzione sociale appare in forma alienata cioè, come relazione tra cose. Nell'ambito di questo modo di produzione i prodotti del lavoro, la forza-lavoro, cioè la capacità di lavorare, e il lavoro stesso sono alienati dai veri produttori. L'alienazione del lavoro nella formula della riproduzione sociometabolica del capitale implica che la vita concreta delle persone, la loro sopravvivenza e la loro socievolezza vengono mediate dal capitale nelle sue differenti forme (merce, denaro, capitale finanziario, ecc.). Marx realizzò che per andare oltre il capitalismo era necessario indagare le specifiche mediazioni nell’ambito della riproduzione sociale in questo particolare modo di produzione. Ed è per questo che la sua concezione della scienza è vicina a quella dell'ontologia poiché ‘ogni scienza sarebbe superflua se l'apparenza estrinseca e l'essenza delle cose coincidessero senza bisogno di mediazioni’ (Marx, 2010: 592). Perciò è necessario poter mettere in relazione dialettica l'essenza delle cose con l'espressione fenomenica di tale essenza attraverso i diversi livelli di astrazione che legano le categorie astratte con quelle concrete. Il classico esempio di ciò, trattato nel Capitale di Marx, è il carattere duale della merce5. Marx 4 La riproduzione materiale della società è un tema che riguarda l’economia o quello che ai tempi di Marx si chiamava

l’economia política e che era concepita in senso molto più filosófico di oggi. ΔD indica la variazione di D nel tempo. 5 Marx espone tutto ciò in maniera molto precisa nel capitolo 1 del libro 1 del Capitale, che è forse il capitolo più

studiato nella letteratura marxiana ed è il vero nocciolo della teoria del valore. Qui l’esposizione è inevitabilmente semplificatoria, al punto di poter apparire persino grossolana.

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sviluppa la contraddizione intrinseca alla merce tra valore di uso e valore di scambio allo scopo di mostrare il valore e il lavoro come la sola sostanza del valore. Il carattere duale delle merci esprime anche la contraddizione tra lavoro concreto e lavoro astratto: infatti in quanto valore d'uso ogni merce è lavoro concreto capace di soddisfare specifici bisogni, mentre in quanto valore è lavoro astratto, cioè lavoro ridotto a lavoro standard omogeneo funzionale allo scambio e perciò il valore di scambio è la forma fenomenica del valore. Il lavoro astratto è una proprietà sociale che viene riconosciuta a posteriori attraverso lo scambio di merci. Mentre il lavoro concreto che si esprime nel valore d'uso delle merci è intrinsecamente incommensurabile, il lavoro astratto può invece essere misurato mediante la quantità di tempo necessaria a produrre una merce. Tuttavia questo tempo non è il tempo reale impiegato per produrre una merce, bensì il tempo medio che la società impiega per produrla. Questo tempo medio sociale costituisce la misura del valore, che cambia con l'evoluzione storica del capitalismo man mano che cambia la produttività del lavoro. Perciò il valore di una merce C viene definito come C = c + v + p, dove c è il valore del capitale fisso (materie prime e accessorie, infrastrutture, macchinari), v è il valore del capitale variabile (la porzione di capitale investito in forza-lavoro), mentre p è il plusvalore estratto dalla forza-lavoro, cioè il lavoro non pagato che rende possibile l’incremento di capitale ΔD nella formula D−M−D’. Le differenti componenti del capitale giocano ruoli differenti nel processo di produzione. La forza-lavoro ha la capacità di creare nuovo valore (p) incorporando il valore del capitale fisso nella merce. La maggior parte delle materia prime e accessorie viene consumata integralmente durante il processo di produzione e il suo valore viene trasferito, nella sua totalità, alla merce. Al contrario i macchinari e l'infrastruttura vengono consumati solo parzialmente e dunque solo una parte proporzionale del loro valore viene trasferita alla merce mediante la forza-lavoro.

Una produzione sociale volta a produrre valore, come la produzione capitalistica, implica che vengano prodotti valori d'uso soltanto finché essi rappresentano i necessari portatori di valore o, per dirla in altri termini, nessuna merce – la forma sociale della ricchezza nel capitalismo6 – verrà prodotta se essa non soddisfa le condizioni necessarie alla valorizzazione del capitale indicate dalle formule C = c + v + p e D−M−D’. Non solo tali condizioni devono essere soddisfatte, ma la produzione è diretta a ottenere la maggior quantità possibile di p o ΔD, che viene ottenuto comprimendo il valore della forza-lavoro o lavoro pagato, v, nell'equazione C = c + v + p e accelerando la rotazione del capitale secondo la formula D−M−D’. Sì noti che ciò riguarda la produzione di qualunque bene e servizio, non solo le merci ‘fisiche’, così che la produzione e la riproduzione sociale nella moderna società sono determinate da queste condizioni capitalistiche, vale a dire, sono determinate dalla riproduzione sociometabolica del capitale. Il capitale può essere visto dunque come la sovradeterminazione che determina la produzione e la riproduzione sociale nella moderna società. La produzione orientata al valore costituisce la specificità del modo di produzione capitalistico, che lo distingue da altri modi di produzione. Nondimeno solo il valore d'uso e non il valore in generale soddisfa i bisogni umani e il fatto che nel capitalismo il valore rappresenti la mediazione non negoziabile necessaria all’esistenza di qualunque valore d'uso indica una delle maggiori contraddizioni di questo modo di produzione. Infatti una produzione sociale determinata dal valore e dalla forma di valore in cui il lavoro individuale e i prodotti del lavoro devono essere validati a posteriori dallo scambio di merci, in cui il carattere sociale della società si manifesta in una forma alienata come socievolezza tra cose, deve necessariamente essere subordinata a leggi che appaiono come determinate dalle cose, leggi che sono stabilite ‘alle spalle degli individui’ (Mészáros, 2000). Queste leggi sfuggono al controllo dei veri produttori, come effettivamente capita con la legge dello scambio di quantità equivalenti di valore-lavoro, con la legge dell'accumulazione del capitale e con la legge della caduta tendenziale del saggio di

6 Oppure il suo equivalente generale, il denaro, dal momento che esso è una merce che rappresenta tutte le merci.

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profitto. Come indicato dalla formula generale del capitale, quest'ultimo è valore che si autovalorizza e in questo senso è sia fine a se stesso sia mediazione necessaria a raggiungere tale fine. Attraverso un processo storico il capitale si pone come precondizione, mediazione e risultato della produzione e riproduzione sociale. Di conseguenza esso diventa soggetto dotato di un potere che lo pone al di sopra degli esseri umani. Perciò il lavoro, che nella sua forma generale è attività teorico-pratica mirata alla produzione di valori d'uso per soddisfare i bisogni umani, viene sussunto dal capitale come soggetto in un regime capitalistico, sebbene lo stesso capitale sia un prodotto del lavoro (Marx, 1864). Per queste ragioni Marx ha interpretato il capitale come un feticcio automatico, un soggetto con un programma autonomo, che non solo sfugge al controllo degli stessi esseri umani, ma determina anche la vita degli uomini nella moderna società (vedi anche Bellofiore, 2013, Cunha, 2015a; Kurz, 2010; Mészáros, 2000 tra gli altri autori che hanno trattato questo argomento). Marx ha tracciato un'analogia tra il capitale, ’prodotto dalle mani dell'uomo’, che diventa soggetto automatico e il mondo della religione, dove ‘i prodotti del cervello umano appaiono come esseri indipendenti dotati di vita e che entrano in relazione gli uni con gli altri e al contempo con la razza umana nel suo complesso’ (Marx, 2015: 48).

L’approccio marxiano può aiutare a risolvere alcuni dei dibattiti emersi nella narrativa sull’Antropocene come ad essempio quello sul limite inferiore nella scala del tempo geologico. Una volta che la crisi ecologica è caratterizzata come un fenomeno in correlazione empirica col capitalismo e perciò storicamente determinato, diventa chiaro che l'espansione del capitalismo a partire dall'Europa occidentale è un processo storicamente diacronico di cui l'Antropocene rappresenta solo l'espressione fenomenica nel registro stratigrafico. Da questo punto di vista qualunque altra proposta di collocazione dell'Antropocene nella scala del tempo geologico che lo faccia coincidere col periodo storico in cui si manifesta il modo capitalistico di produzione, e non solo quella proposta dall’AWG, potrebbe essere altrettanto valida – per essempio il minimo di CO2

del 1610 o la rivoluzione industriale del XIX secolo (vedi Lewis e Maslin, 2015) – poiché, come direbbe Marx, l'espressione fenomenica della crisi ecologica nel registro stratigrafico e la crisi stessa non necessariamente devono coincidere. Il fatto che la proposta dell’AWG si adatti meglio delle altre alle attuali regole della scala del tempo geologico è un altro argomento da prendere in considerazione e qui vale la pena di ricordare che ogni volta che è stato necessario tali regole sono state allentate, ad esempio accettando il Terziario come unità informale.

Un'importante sfida lanciata dalla narrativa sull’Antropocene è la necessità di superare tradizionali dicotomie come quella tra esseri umani e natura e quella tra scienze sociali e scienze naturali, senza cadere, come ammonito da Hornborg (2017), nel relativismo, ma mantenendo tali categorie come necessari strumenti analitici. L'approccio di Marx mira a comprendere criticamente il modo capitalistico di produzione abbracciandone la totalità, in cui gli esseri umani costituiscono una parte inseparabile della natura, ma allo stesso tempo entrambe vengono conservate come categorie ontologiche a sé stanti. Per raggiungere questo obiettivo Marx parte da categorie analitiche concrete, muove verso categorie astratte e successivamente ritorna a categorie concrete articolando una relazione dialettica tra esse, che è al contempo una relazione critica e pertanto consente di trascendere questa particolare forma di organizzazione sociale (Bellofiore, 2013; Ilyenkov, 1982). La prospettiva dialettica di sistema seguita da Marx permette di comprendere il degrado ambientale nel quadro di una teoria organica evitandoci allo stesso tempo di cadere nei feticismi che piuttosto spesso attribuiscono la crisi ecologica ad alcuni suoi fattori specifici, come il consumo di combustibili fossili, l’iperconsumo e la sovrappopolazione o il progresso scientifico e tecnologico e, per questa ragione, non riescono a mantenere il proposito di aiutarci a superare tale crisi. I maggiori teorici della narrativa sull’Antropocene hanno compiuto uno sforzo considerevole nel caratterizzare e quantificare la crisi ecologica e l'Antropocene (Crutzen, 2002; Ehrlich e Ehrlich, 2012; Steffen e altri, 2007; Zalasiewicz e altri, 2008 e molti altri).

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Tuttavia essi non dispongono degli strumenti analitici e dell'impianto teorico necessari a comprendere le radici profonde della crisi e la sua relazione col processo di riproduzione sociometabolica del capitale. Il fatto che essi attribuiscano la crisi principalmente alla sovrappopolazione e al sovraconsumo può essere definito una forma di neomalthusianismo (Malm e Hornborg, 2014) e, da questo punto di vista, la critica di Marx a Malthus e al malthusianismo appare uno strumento efficace (vedi Soriano, 2017).

La caduta tendenziale del saggio di profitto

Come logica deduzione della sua teoria del valore-lavoro Marx concluse che il saggio di profitto ha una tendenza a lungo termine a diminuire nel corso del processo di accumulazione del capitale. Questo fenomeno era già stato osservato da alcuni studiosi di economia politica del XIX secolo come David Ricardo e Adam Smith, senza però fornirne una spiegazione efficace. Secondo Marx la tendenza del saggio di profitto a diminuire è una delle più importanti leggi dell'economia politica, perché riflette la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico, cioè la contraddizione tra la produttività del lavoro e la relazione sociale tra lavoro e capitale. Marx non solo ha spiegato gli aspetti essenziali della legge, ma ha individuato nel dettaglio una quantità di controtendenze messe in atto dal capitale per mitigare la caduta del profitto (Marx, 2010: 149–178).

Nella testa dei capitalisti il valore di qualunque merce C = c + v + p è espresso nei termini dell'equazione costi-benefici C = k + P, in cui k = c + v è il prezzo-costo e P = p è il profitto, la forma fenomenica del plusvalore che svela la reale concezione della produzione capitalistica. Il rapporto tra profitto e capitale totale investito nel processo produttivo è il saggio di profitto P’ = p / (c + v). Dividendo l'espressione precedente per v otteniamo P’ = (p/v) / [(c/v) + (v/v)],che esprime il saggio di profitto nei termini del saggio di plusvalore p’ = p/v e della composizione organica del capitale, q = c/v, cioè il rapporto tra il valore del capitale costante e il valore della forza-lavoro. Sostituendo otteniamo P’ = p’ / (q + 1). I diversi capitali individuali cercano di ottenere più P e P’ possibile dal processo di produzione. Di solito ciò avviene attraverso l'introduzione di innovazioni tecnico-scientifiche che forniscono un vantaggio competitivo, rendendo possibile la produzione di maggiori quantità di merce che possono essere vendute a prezzi inferiori, ma anche attraverso la migrazione del capitale verso settori dell'economia a maggiore redditività. Attraverso l'introduzione di innovazioni tecnico-scientifiche il lavoro diventa più produttivo, ma al contempo il rapporto tra capitale costante e forza-lavoro, q, aumenta o, per dirla diversamente, serve meno lavoro per produrre una maggiore quantità di merce. Prima o poi però il progresso tecnico-scientifico si estende a tutti i processi produttivi – inclusi quelli che producono i mezzi che permettono alla forza-lavoro sussistere e riprodursi come tale - e ciò porta a un aumento della composizione organica del capitale complessivo considerato nell'ambito dell’intera società. Di conseguenza la produzione capitalistica incorpora una quantità crescente di mezzi di produzione o capitale costante, c, e meno forza-lavoro o capitale variabile, v. Tuttavia solo la forza-lavoro e non il capitale costante è in grado di produrre valore o, come dice Engels, in ogni processo produttivo reale ‘solo il lavoro vivo ha la capacità di produrre valore, non il lavoro morto o il lavoro del passato oggettivato nei mezzi di produzione’ (Marx, 2010: Prefazione). L’accresciuta sostituzione di lavoro vivo con lavoro morto nell'ambito della produzione capitalistica ha come effetto di lungo termine una diminuzione del saggio di profitto e più il lavoro vivo viene sostituito meno lavoro resta mobilitato per produrre valore. Qui troviamo la principale contraddizione della produzione capitalistica: il lavoro diventa più produttivo, cioè la quantità di merce prodotta da un'unità di lavoro v è maggiore e certamente la somma totale del profitto o del plusvalore aumenta, ma, dall'altra parte, il valore di ogni unità di merce e il saggio di profitto diminuiscono. La tendenza alla caduta del saggio di profitto è stata confermata empiricamente nel periodo storico compreso tra

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la metà del XIX secolo e oggi sia per quanto riguarda il saggio di profitto globale sia per i saggi di profitto delle diverse nazioni (Maito, 2014a, 2014b). Altri studi hanno verificato empiricamente questa legge per periodi storici più brevi, in particolare dal secondo dopoguerra a oggi (Carchedi, 2011; Freeman, 2012; Kliman, 2012). Come conseguenza della legge ogni incremento dell'attuale produttività del lavoro rappresenta una futura riduzione del saggio di profitto. Gli economisti borghesi, come il vincitore del premio Nobel Paul Krugman, hanno riconosciuto implicitamente i problemi che la robotica, cioè la sostituzione di lavoro vivente, pone rispetto alla valorizzazione del capitale (Krugman, 2012), pur non essendo forniti degli strumenti teorici necessari a una comprensione di questi argomenti nel quadro di una teoria organica della produzione e riproduzione di capitale.

Il capitale affronta la caduta tendenziale del saggio di profitto attivando meccanismi che accentuano le ragioni sottostanti al fenomeno, cioè incrementano la sostituzione di lavoro vivo con lavoro morto, la composizione organica del capitale e, in questo modo, la produttività del lavoro. In altre parole il capitale affronta la caduta tendenziale del saggio di profitto rafforzando le cause di questa caduta7. Il capitale può moderare la caduta del saggio di profitto mediante numerosi altri meccanismi, come tagliare i salari, estendere la durata della giornata lavorativa e aumentare l'intensità del lavoro, strategie tutte mirate ad aumentare il saggio di plusvalore. Aumentare la durata della giornata lavorativa e intensificare il lavoro costituiva una caratteristica forma di sfruttamento anche del lavoro schiavistico nell'antichità, mentre tagliare i salari potrebbe essere in qualche modo simile alle corvée nei regimi feudali. Tali meccanismi di sfruttamento del lavoro sono tuttavia arginati da limiti assoluti, ‘fisici’ o ‘umani’. La forma specifica dello sfruttamento del lavoro in regime capitalistico è la svalutazione della forza-lavoro tramite l’aumento della produttività nei settori che produccono i mezzi di sussistenza della forza-lavoro, che garantisce un aumento del saggio di plusvalore. Tuttavia, poiché il lavoro vivo viene progressivamente espulso dal processo di produzione, l’aumento del saggio di plusvalore non può compensare integralmente l'aumento della composizione organica del capitale necessaria a incrementare la produttività del lavoro. Il conseguente effetto di lungo termine nella produzione capitalistica è che il saggio di profitto diminuisce, devono essere prodotte più e nuove merci e il capitale complessivo nella società aumenta. In questo modo il capitale, come feticcio automatico, si infila in una cieca dinamica mirata a superare i limiti interni della sua propria riproduzione, limiti espressi appunto dalla caduta tendenziale del saggio di profitto. L'irrazionalità di questa cieca dinamica è indicata dal fatto che sebbene all'aumentare della produttività del lavoro diminuisca il saggio di profitto, il capitale spinge la produttività del lavoro a crescere come suo meccanismo di reazione immanente alla caduta del saggio di profitto e in questo modo si avvicina al limite interno della produzione capitalistica. Ciò esprime la vera essenza del capitale come feticcio automatico, fuori da ogni controllo e sotto il cui comando gli esseri umani non sono consapevoli di ciò che fanno, ma, nonostante ciò, continuano a farlo.

Il metabolismo sociale con la natura e la frattura metabolica

Marx interpreta gli esseri umani come parte della natura, come una delle specie emergenti durante l'evoluzione della storia naturale. In questo senso gli esseri umani non sono pienamente indipendenti e sono vincolati alle leggi prescritte dalla natura. Come molte altre specie gli esseri umani intraprendono uno scambio di materia o metabolismo con la natura, ma per loro questo metabolismo ha un carattere fortemente sociale e viene mediato dal lavoro. Perciò il metabolismo sociale non consiste soltanto in uno scambio ‘fisico’, ma implica una complessa interazione con la

7 Per quanto possa sembrare folle questa è una verità che si verifica ogni giorno con i cosidetti discorsi sulla

competitività e l’aumento della produttività. Il merito di Marx é appunto quello di capovolgere dialetticamente le categorie dell’economia borghese in modo tale da mostrare la loro irrazionalità

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natura, attraverso cui gli esseri umani costruiscono un ‘mondo’ che è allo steso tempo materiale e ideale. In questo senso gli esseri umani possono essere ‘concepiti come esseri di natura che realizzano una mediazione con se stessi’ (Foster, 2013). Il metabolismo sociale con la natura è comune a tutte le organizzazioni socio-economiche nella storia umana e il lavoro come elemento di mediazione del metabolismo sociale è il lavoro considerato in generale, come attività materiale e ideale con cui gli essere umani regolano il proprio metabolismo sociale. Perciò si parla di metabolismo universale. Questo metabolismo universale tra esseri umani e natura, tuttavia, assume diverse forme nelle diverse organizzazioni sociali degli uomini e nelle differenti forme storiche assunte dal lavoro. Come per ogni altra specie, il metabolismo universale comprende anche la riproduzione degli esseri umani. Ma poiché per questi il metabolismo sociale è storicamente determinato, la dinamica demografica diventa pure storicamente determinata secondo le diverse forme socio-economiche. Per questa ragione nella critica marxiana del malthusianismo, piuttosto che una legge universale della popolazione comune a tutti i modi di produzione, la crescita della popolazione è storicamente determinata e ogni modo di produzione ha la propria legge demografica (vedi Soriano, 2017 per ulteriori sviluppi su questo argomento). Il metabolismo sociale nei modi di produzione dell'antichità, in cui il lavoro degli schiavi viene sfruttato grazie a relazioni di proprietà tra persone, ha caratteristiche specifiche che differiscono da quelle del feudalesimo, in cui il lavoro prestato tramite le corvée veniva sfruttato grazie alla proprietà della terra. Entrambe poi si distinguono dal capitalismo, basato sul lavoro salariato e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Tutte queste forme socio-economiche dunque hanno, coerentemente, le proprie particolari dinamiche demografiche.

Nel modo capitalistico di produzione la produttività del lavoro raggiunge il suo massimo sviluppo mentre le due fonti di ogni ricchezza, natura e lavoro, vengono necessariamente reificate diventando mere cose nel processo produttivo orientato unicamente all'autovalorizzazione del valore (cioè del capitale). E’ questa la ragione fondamentale per cui nelle moderne industria e agricoltura su larga scala ‘la produzione capitalistica perciò sviluppa la tecnologia e la combinazione di differenti processi tra loro in un tutto sociale, solamente inaridendo le fonti originarie di ogni ricchezza, la terra e i lavoratori’ (Marx, 2015: 330).La riduzione del lavoro e della natura a meri oggetti del processo di produzione e riproduzione sociale del capitale è alla base della forma alienata del metabolismo sociale che caratterizza il capitalismo. Il metabolismo sociale tra gli umani e la natura diventa, dunque, un momento sussunto nel metabolismo sociometabolico del capitale. Ciò implica che gli esseri umani non governano il loro scambio materiale con la natura in modo consapevole; piuttosto il metabolismo sociale è governato dal capitale come un potere cieco e da leggi economiche stabilite ‘alle spalle degli individui’. La forma alienata del metabolismo sociale nella produzione capitalistica conduce inevitabilmente a una rottura o frattura rispetto alle leggi naturali prescritte dal metabolismo universale intercorrente tra uomo e natura (Economakis and Papalexiou, 2016; Foster, 2013). L'industria e l'agricoltura su larga scala, i fenomeni di sovrappopolazione concentrati nelle metropoli e la rottura tra la vita in queste metropoli e la vita rurale, per cui la Terra è concepita semplicemente come un'ampia fonte e magazzino di cibo, energia e materie prime, esemplifica meglio di qualunque altro fenomeno la frattura metabolica immanente alla produzione capitalistica. La frattura metabolica, così come viene esposta nel Capitale di Marx, era concepita fondamentalmente come rottura del ciclo nutrizionale tra terra e città. La terra è privata di sostanze nutritive, che si concentrano nelle città per fornire cibo e abbigliamento, mentre le città non restituiscono alla terra altro che materiali inquinanti. In questo modo le condizioni per una durevole fertilità del terreno vengono infrante. Dai tempi di Marx la frattura metabolica si è ampliata e intensificata, coinvolgendo quasi tutte le geosfere della terra, come l'atmosfera, la biosfera, l’idrosfera e anche la litosfera (vedi Burkett, 2005; Foster et al.,

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2010). Da questo punto di vista essa è diventata un fenomeno globale e oggi influenza la maggior parte degli aspetti del metabolismo sociale tra uomo e natura.

Conclusioni

La frattura metabolica riguarda la produzione capitalistica e viene amplificata dalla caduta tendenziale del saggio di profitto, la principale legge economica che guida l’accumulazione di capitale. La ragione è che i meccanismi con cui il capitale cerca di superare il suo limite interno –la sostituzione di lavoro vivo con lavoro morto, l'incremento della produttività del lavoro e della composizione organica del capitale – implicano necessariamente una crescente reificazione ed erosione delle fonti della ricchezza: lavoro e natura. Quei meccanismi determinano fenomeni di crescente mercificazione della società e sovrapproduzione. In questo modo la corsa intrapresa dal capitale per superare il proprio limite interno manifestantesì in un saggio di profitto decrescente lo conduce ad approfondire e ampliare la frattura metabolica intrinseca alla riproduzione sociometabolica del capitale e, in definitiva, ad arrestarsi davanti al limite esterno costituito da una natura esaurita. Ciò ha spinto alcuni autori a considerare la crisi ecologica come momento di una crisi di lungo termine del processo di valorizzazione del capitale (Kurz, 2010).

La forma socio-economica basata sulla produzione e riproduzione di capitale si infila in una cieca dinamica autoalimentantesi, una sorta di circolo vizioso che cresce come una valanga e indica l'intrinseca insostenibilità di questo modo di produzione. In questo senso la proposta di un futuro sostenibile abbinata, ad esempio, a una transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, ma sempre in un quadro di produzione capitalistica, è priva di qualunque fondamento. In primo luogo perché è empiricamente dimostrato che ‘non ci sarà alcun mix di soluzioni basate sull'energia alternativa capaci di permettere all'economia di continuare a crescere nel lungo termine nè alle società industriali di andare avanti nell'attuale forma e nell'attuale scala’ (Heinberg, 2009). Poi perché, anche accettando che tale transizione sia possibile, essa potrà avvenire soltanto se la redditività del capitale lo permetterà. Ciò significa che affinché questa transizione avvenga le energie rinnovabili dovranno adottare la forma del valore e, conseguentemente, la loro produzione verrà orientata al profitto capitalistico. Perciò, sebbene esse contribuiscano indubitabilmente a ridurre le emissioni di gas serra e il riscaldamento globale – che peraltro rappresentano solo un aspetto di una crisi ecologica complessa – il degrado ambientale non verrà fermato da questa transizione. Semmai si manifesterà in un'altra forma, come esaurimento di alcune delle sostanze naturali presenti nei pannelli e nelle batterie solari, facendo crescere la quantità di rifiuti nella tecnosfera, l'invasione di aree naturali per costruire campi solari ed eolici ecc. Lo scenario più probabile è che dal momento in cui la redditività del capitale imporrà la transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, il paradosso di Jevons, per cui un incremento nell'efficienza delle fonti energetiche determina un incremento nella produzione e nel consumo di queste fonti, verrà confermato (Jevons, 1865)8. Comprendere il capitalismo come organizzazione sociale governata dal feticcio automatico del capitale e la relazione ontologica della riproduzione sociometabolica del capitale con la crisi ecologica e l'Antropocene significa avere la possibilità di superare questo modo di produzione in direzione di un altro tipo di organizzazione sociale, cioè, la possibilità di ridefinire l'Antropocene come registro stratigrafico dell'interazione razionale sostenibile tra esseri umani e natura, piuttosto che come sinonimo di degrado ambientale globale. A sua volta superare il capitalismo significa superare la forma di valore come fattore in grado di determinare il lavoro e i prodotti del lavoro. Significa prendere il controllo del metabolismo sociale degli uomini con la natura e la possibilità di trascendere la forma alienata del metabolismo sociale intrinseca al capitale come feticcio

8 William Stanley Jevons fu un filosofo ed economista inglese della cosidetta scuola marginalista del XIX secolo.

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automatico. Al contrario non farlo significa rimanere intrappolati in un ventaglio di soluzioni mistificanti all'interno del modo di produzione capitalistico, ventaglio che include e combina differenti tipi di opzioni scientifico-tecnologiche, come l'abbandono dei combustibili fossili e la decrescita (sia economica che demografica), scenari che denotano tutte un’ incomprensione degli aspetti fondamentali della riproduzione sociometabolica del capitale. In definitiva dunque significa continuare ad ampliare e approfondire la frattura metabolica del metabolismo sociale tra uomo e natura in quanto governato dal feticcio automatico del capitale o, per usare le parole di Marx, continuare a vivere ‘nella preistoria della società umana’ (Marx, 1999: Prefazione). A Marx era chiaro che nessuna determinazione se non la ‘morte immortale’ è assoluta e per questa ragione spetta all'uomo decidere se mettere in atto una forma di relazione non capitalistica con la natura.

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