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LA VALLE DEL SAVUTO E LA CATENA PAOLANA: ALCUNE OSSERVAZIONI
STORICO-LINGUISTICHE, ANCHE SULLA ‘PRESENZA LONGOBARDA’
John B. Trumper
1. La definizione di un territorio e le testimonianze della
toponomastica
La ricerca di un’origine comune, storico-culturale e
storico-linguistica, di una vasta area che
proceda dall’Alto al Basso Tirreno e che comprenda anche i paesi
della catena paolana, delle valli
del Torbido e del Savuto, è impossibile da realizzare. Vorrei
dunque esordire ricordando la proposta
di una divisione a cinque della Calabria, ipotizzata ed
argomentata in Trumper 1997: 355-364, e
basata su una serie di eteroglosse evidenziate, chiarite e
dettagliate per l’intera regione; il risultato è
rappresentato dalla carta 1. La quinta subarea, non notata
specificamente nella carta, è costituita da
un piccolo raggruppamento dialettale intorno a Reggio Calabria,
che va da Villa S. Giovanni e S.
Roberto, al nord, a S. Elia di Reggio e a Pentedattilo, al sud.
Questa subarea fa parte, dialettalmente,
della Sicilia Orientale, come si è argomentato in Trumper-Chiodo
2000. I problemi sollevati da
questa carta per quanto riguarda il Tirreno settentrionale fino
a Campora, sono due; il primo
riguarda il fatto che i paesi più a settentrione fanno parte, in
modo più o meno evidente, dell’area
denominata, da Lausberg 1939 in poi, l’Area Lausberg (area
arcaica calabro-lucana), con i paesi di
Aieta, Verbicaro, Papasidero, S.ta Domenica Talao1, S. Nicola
Arcella, Diamante, Buonvicino,
mentre da Bonifati e Cetraro in giù, fin oltre Amantea, tutti i
dialetti partecipano nel megagruppo
che abbiamo chiamato Calabrese Settentrionale2. Il secondo
problema è quello di possibili sostrati
rispetto ad eventuali superstrati e parastrati (o ‘adstrati’)3.
Nessuno ha mai messo in dubbio che la
base dei nostri dialetti sia latina, con sostrato italico ed
ellenico4, e che gli elementi gallo- e ibero-
romanzi formino un chiaro superstrato, ma la posizione degli
elementi germanici del longobardo
rimane in sospeso in genere tra i sostenitori dell’ipotesi di un
massiccio sostrato lasciato da un
1 Il dialetto di Scalea è ormai calabresizzato, con parastrato
anche campano negli ultimi decenni: l’antico scalioto è
invece vivo come il dialetto di S.ta Domenica.
2 Vi sono, com’è risaputo, alcuni fenomeni di maggiore
conservazione degli altri sottogruppi, come il mantenimento di
‘hj’ /ç/ come esito del nesso (-)FL- del latino (hjume, hjatu,
hjuhhjare ecc. di fronte a jume, jatu, juhhjare con
sonorizzazione, < latino flmen, fltus, *flfflre per sbflre /
sfflre), da Dipignano e Paterno a sud fin oltre
Rogliano e Carpanzano la metafonia per innalzamento, come a
Fuscaldo, /e, o/, contro quella più diffusa a
dittongamento /ìe, ùo/ oppure /ìa, ùa/, ecc., accanto ad alcuni
fenomeni sporadici di innovazione, ad es. -LL- > // > /dd/
(Paola) invece di /ll/, oppure ‘di > ‘r’ (Paola) che collega la
nostra area con l’area presilana e silana. Altre
microdifferenze riguardano l’arcaicità dialettale di S. Angelo
di Cetraro, che lo lega all’area arcaica al nord, o i
venezianismi del quartiere marino di S. Marco di Cetraro
trattati en passant in Trumper 2006.
3 Mentre da Ascoli nell’Ottocento in poi il SOSTRATO è definito
come somma dei risultati di tre criteri, cioè la
RIPROVA (il sostitutore e il sostituito posseggono strutture
linguistiche affini), la PROVA ESTRINSECA
(sovrapposizione linguistica) e la PROVA INTRINSECA
(sovrapposizione ed egemonia sullo stesso territorio ed in
termini chiaramente socio-amministrativi, insieme alla
sovrapposizione linguistica), il PARASTRATO viene definito
come effetto della sovrapposizione meramente linguistica di una
possibile élite minoritaria, il SUPERSTRATO come
sovrapposizione linguistica e socio-istituzionale con egemonia
pressoché totale con eventuale assorbimento
dell’elemento minoritario esterno.
4 L’osco dei Bruzi è decisamente minoritario come elemento
fondante nel lessico usuale, anche se non assente.
Comunque, è elemento rilevante e fondante nella toponomastica.
Sul problema di quale greco e di quale periodo si veda
la nuova discussione aperta su solide basi linguistiche e
storiche in Trumper 2013 (Valenzia, CILPR 26).
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gruppo poco numeroso ma di detentori del potere, e sostenitori
dell’ipotesi di un parastrato tardivo e
minoritario che agisce esternamente su due compatti gruppi
dialettali della Calabria settentrionale.
Carta 1: Divisioni dialettali della Calabria
Prendendo in considerazione i nomi dei fiumi della nostra area,
dal Lao, dall’Aron, al Deuda,
al Trùvulu, al Cacacìcero, fino a ‘Fiumefreddo’, al Verre,
all’Oliva, al Potàme, fino alle sorgenti del
Crati, o all’Amato, troviamo nove denominazioni di origine
latina o italica, due di origine greca, e
nessun etimo di altro tipo; si nota che nemmeno un segno del
longobardo o di altro superstrato sono
evidenti. Come si sa, i nomi dei corsi di acqua europei sono i
nomi più antichi; raramente infatti
cambiano lungo il corso dei secoli. Il primo (Lao) è di chiara
origine italica, dial. Lagu < *LAG-
(IEW 652, ‘scavare’: per commenti più dettagliati vd. Trumper
2000: 139 n. 38), con significato
‘scavo’, ‘fiume scavato / fiume che scava’, il secondo porta un
nome dotto, Aron, frutto di
un’elaborazione tardiva, tenuto conto del fatto che in loco si
chiama soltanto U Hjume ‘il fiume’.
Per quanto riguarda il Deuda, apparentemente di origini oscure
ed enigmatiche (secondo Alessio
STC 217, Rohlfs DTOC 96), si svela la sua lontana origine
qualora si confronti il nome sanlucidano
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Dìvuda a sud del fiume con quello paolano immediatamente a nord
Rìvura: sembra un chiaro caso
di ipercorrezione a San Lucido rispetto a Paola, per questo
optiamo per una forma rvus - con
metaplasma > rvus rvris pl. rvra > rìvura. In altre
parole, si riferisce ad un torrente che
d’inverno scende a ‘rivoli’, straripando e spaccando le sue
incerte rive5. A San Lucido i
fiumiciattoli Cacacìcero e Trùvulu si riferiscono, il primo, al
fatto di scendere a ‘spruzzi’ o ‘sbuffi’,
come se ‘defecasse ceci’, il secondo alla natura ‘torbida’ delle
sue acque. Ambedue sono di più che
evidente origine latina (cacre, ccer, trbdus / *trblus). Il
‘Fiume Freddo’ che scende dividendo
gli attuali comuni di Fiumefreddo, Falconara e di S. Lucido non
si chiama in loco che U Hjume ‘il
fiume’. Il fiume U Verre di Belmonte è fatto derivare da Rohlfs
(DTOC 366) dal latino vrres
‘verro’, ipotesi plausibile: ‘fiume dei porci’ è un appellativo
ben noto nella toponomastica europea,
come fiume che serve agli allevamenti suini, anche se viene il
sospetto che l’irruenza e la voracità
del suino maschio potrebbe, al limite, aver suggerito l’irruenza
invernale di un torrente. L’Oliva di
Amantea, ora fonte di grande scandalo per i rifiuti tossici ivi
sepolti, è stato trattato sia in DTOC
218 e STC 218 con riferimento all’articolo originale di Rohlfs
del 1933, vale a dire come
potamonimo presente già nell’onomastica del 10906, derivante da
luus -a < greco classico ἔλαια<
protogreco ἔλαιϝᾱ, voce già micenea (1400 a. C.), molto
probabilmente parola di origine
indoeuropea, da una base per ‘viscido’ o ‘scivoloso’. Sarà
semplicemente, dunque, il ‘fiume
dell’oliva’, oppure ‘fiume oleoso’. Comunque, in Trumper 2016:
176-77 abbiamo proposto un
etimo alternativo, visto che in loco il fiume si chiama l’Aliva.
Si propone, cioè, Aliva < per epentesi
Alìa < (Sant’)Alìa ‘Sant’Elia il piccolo’, un santo calabrese
del periodo bizantino. L’agionimo
subisce vari processi quali l’aferesi (> Santu Lìa) e la
velarizzazione (> Sant’Ulìa) ecc., e simili
varianti avrebbero potuto chiamare in causa, per paretimologia,
il frutto dell’olivo per la
denominazione popolare del fiume locale. All’interno verso Lago,
abbiamo il fiume Potáme, di
ovvia derivazione greca (STC 335, DTOC 255), dal diminutivo
ποτάμιον di ποταμός, vale a dire
‘fiumicello’, ‘fiumiciattolo’. Il Crati è già stato trattato in
altre sedi, come potamonimo derivante da
quello greco del torrente ellenico Κρᾶθις, nome imposto dagli
invasori greci
nell’antichitàAll’interno, si ha poi l’importantissimo Savuto
con gli affluenti Savucchia e
Savutello (diminutivi derivati), tutti trattati ampiamente nello
STC 361-362, DTOC 306-307, che
prendono le mosse da Krahe 1933: 129, in cui si tratta il
Sabtus, già nome antico nell’Itinerarium
Antoninum del II sec. d.C. Siamo di fronte all’esito italico
della base indo-europea *SAB- / *SAP-
‘liquido; suco’ (> ‘sapore’ anche, IEW 880, base del latino
spre)8, cioè un fiume che si chiama in
modo più indiretto, ‘fiume’ o ‘acqua’. Oltre Amantea,
all’interno, si ha il fiume Amato, che dà,
scorrendo verso il sud, nome e vitalità al Lametino e a Lamezia.
Anche se il punto di partenza è il
dorico Λάμᾱτος, equivalente del Λάμητος della koiné, va ripetuto
che, non essendoci esiti
dell’indoeuropeo *LAHM- ‘fango; poltiglia; limo; palude’ (IEW
653-654) nell’ellenico, ma
soltanto residui ‘marginali’ in italico, baltico e germanico
(dunque, come anatolico-indo-europeo
5 Rettifico anche le proposte etimologiche, che ora ritengo
errate, in Trumper 2000: 143.
6 È anzi probabile che il Costas Livas di un documento
calabro-greco del 1097 (Trinchera 77: κοσταςληυάς) deve il
suo cognome al fiume. Come nome di un paese Olivadi è già
presente nell’Inventario della Metropolia (RC) del 1000-
1050 rigo 196-197, censito per 16 ‘modii’
(Χω[ράφιον]εἰςτὸΛιβάδ[ιον]μοδ[ίων] ις’). L’oliva e l’olivo sono,
dunque, ben presenti nella toponomastica e nella potamonomastica
della Calabria.
7 Il Crati (Κρᾶθις) greco deriverà come esito di grado Ø della
base indo-europea *KERD- /*KORD-, che dà il verbo
κορθύω‘gonfiarsi; far cavalloni’, noto verbo omerico, epiteto
adatto ad un torrente invernale. Dal cosiddetto grado Ø, cioè
*KRD-, deriva per regola la forma greca in κρᾶθ. 8 Esiti sono
presenti nell’iranico, nell’italico, nel germanico, e forse anche
in altri gruppi anatolico-indo-europei (una
presenza in questo caso più problematica). È almeno indo-europeo
periferico.
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periferico e non centrale), si dovrà trattare di un italicismo
del greco, vale a dire lm ‘limo’9 >
*lmt[u]s > dorico *λάμᾱτος, con ovvio significato ‘fiume
limoso / limaccioso/ fangoso’.
La macrotoponomastica del Tirreno Cosentino e della Valle del
Savuto è a maggioranza di
origine greco-latina. Paola (STC 302, DTOC 226) è ovvio
riferimento ai ‘pascoli’ della costa, ad
Pbla, Fiumefreddo prende il suo nome dal fiume che separa tre
comuni, fiume che in loco
banalmente si chiama U Hjume (< flmen), come si è detto,
Campora S. Giovanni da un campus
che ha subito metaplasma passando dal maschile della seconda
declinazione al neutro della terza,
campus, *campris, nuovo plurale *campra che sostituisce camp in
molti nomi di luogo d’Italia,
in altre parole si tratta dei ‘campi’ di Amantea. Lago, dial. U
Lacu, U Vacu (trattato in Alessio, STC
208, Rohlfs DTOC 152), è certamente un derivato diretto del
latino lcus, lcs, non un ‘lago’, ma
qualsiasi cavità sotterranea, abisso, fossa profonda o latomia,
persino silos sotterraneo per il grano
(Columella10
), solo in un secondo momento applicato a cavità riempite di
acqua. S. Lucido è
considerato in loco un agionimo latino, paese dedicato a S.
Lucido di Aquara (m. 1038), che si
vorrebbe associato all’antico complesso religioso di S. Maria di
Persano, anche se il patrono del
paese è S. Giovanni. Ciò presuppone che il paese sia fondato
addirittura dopo il 1060 dai Normanni,
ergo non un esito latino diretto ma mediato dagli stessi
Normanni. Il problema è che la Platea
dell’Arcivescovo Luca Campano agli inizi del Duecento usa già S.
Lucido come toponimo (ed.
Cuozzo, 13v riga 30: Rogerius d Scto lucido p casalino tr vnu),
mentre un documento vaticano del 1321 nomina il paese Lìceto (Russo
vol. 1 a. 1321 ut prouideant de statu S. Liceti), Barrio (Libro
2
cap. 5: A Paula m.p. quatuor Nicetum oppidum est, edito loco
incumbens, …) lo chiama Niceto nel
’500, Aceto nelle sue Annotazioni a Barrio nel ’700 dichiara (p.
73) Nicetum … Nunc aliis S.
Lucido pen. Br. aliis S. Lucito pen. lng. In base alle
variazioni Níceto-Líceto-Lúcito-Lúcido Alessio
STC 22, 223, seguito da Rohlfs DTOC 291, 300-301, seguiti
seriormente da CM nel DT senza
discussione delle fonti, ipotizzano una fondazione bizantina
dedicata a S. Aníceto (Ἀνίκητος), dopo
la cacciata dei Saraceni da Amantea e dalla zona circostante
(880-885 d.C.). Il nome viene
contaminato e reso Lícito (< Lo Nícito con aferesi <
L’Aníceto), seriormente incrociato con
l’agionimo salernitano Lúcido (da S. Lucido di Aquara). Si ha a
che fare, dunque, con un
agiotoponimo bizantino con alterazione seriore latineggiante e
riferimento ad un nuovo santo latino
dell’ XI secolo. Toponimo, invece, di origine latina e non
greca, né punica né ebraica, come voleva
Padula11
, e certamente non dalla frase leggendaria Pugna male ita!, è
Malito < mltum < mlus (f.)
‘melo’, cioè il fitotoponimo ‘meleto’ (osservazione già fatta da
Alessio, STC 233 e da Rohlfs
DTOC 172)12
. All’interno, lungo la valle del Savuto e tra i paesi
circostanti, abbiamo anche un certo
numero di prediali latini13
quali Martirano (< prædium *Marturianum < Martŭrĭus. STC
246, DTOC
182-183 ecc.), Scigliano (
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Rullius / *Rullianum di Rohlfs DTOC 27714
), Dipignano (< prædium *Depinianum < Depĭnĭus,
DTOC 97), Carpanzano (< prædium *Carpentianum <
Carpĕntĭus, STC 73, ma prædium
*Carpantianum < Carpantius in Rohlfs DTOC 5215
). Amantea è un toponimo che ci riporta lontano
e che è spesso citato nei lavori classici di toponomastica. Di
chiara origine greca16
, ma il significato
remoto ci sfugge ancora. In conclusione, tra il greco e il
latino troviamo almeno dieci
macrotoponimi in questa subarea.
I casi meno evidenti sono Cleto e Ajello, che certamente non
sono i nomi originali di questi
paesi. Già da quanto riferito in Rohlfs (DTOC 73) ed in Alessio
(STC 189), nell’Ottocento il paese
storico di Petramala cambia nome in Cleto, “un nome
(anticheggiante) più nobile”, come dicono
Alessio e Rohlfs, forse perché l’elemento -mala sembrava
rispecchiare un latino petra mala ‘pietra /
rupe di cattivo augurio’. Già presente nei documenti latini del
1300 (Collect. Vaticano 161 f. 133,
Vendola 4327, Russo 1. 230 [n. 2078]), Petra Mala faceva parte
della diocesi di Tropea come
Fiumefreddo, Amantea ecc., il cui vescovo disponeva le nomine
ecclesiastiche. Non riteniamo che
Petramala sia, come volevano alcuni, il nome di una famiglia
normanna di feudatari, bensì un
composto italico di Petra, di evidente origine, e di Mala,
antico nome indoeuropeo per ‘sporgenza di
montagna’, ‘rupe ripida’ (IEW 721-722 *MELH-) con riflessi ed
esiti baltici (lettone mala), celtici
(medio-irl. mul, mala ecc., cfr. il nome dell’isola rocciosa
Muile17
, anglice Mull), albanesi (mal
‘montagna’) e greci (προμολήecc., nonché il nome dell’isola
Μαλέα), in pratica testimonianza evidente di un elemento periferico
dell’IE. Nonostante l’assenza di documentazione prima del 1300,
ipotizziamo che Petramala sia un antico toponimo italico,
correlato con quelli menzionati19
, il cui
significato è ‘rupe’ + ‘rupe’, cioè una rupe chiamata ‘rupe’.
Ajello, come Serra d’Ajello, non ha
nulla a che vedere con agellus ‘campetto’ (< ager) come
vogliono certuni, nonostante le apparenze,
come si evidenzia nelle Gesta scritte nella sua Historia Sicula
da Goffredo di Malaterra, monaco
scrivano del Gran Conte Ruggero, il quale prima nomina il paese
e il castello, che fecero intensa e
lunga resistenza all’avanzamento normanno, Rajel, nome da lui
non inteso, per poi suggerire,
cercando un nome motivato, il nuovo nome Ajel, che diventerà poi
il nostro Ajello20
. È evidente a
14
La presenza di forme storiche quali Rubblanum, Rublanum (Ughelli
IX) ecc. tenderebbe ad escludere una possibile
origine dal nome Rullius.
15 Anche se l’origine remota del nome Carpentius è gallica (cfr.
per la forma e per il significato irlandese antico e medio
carpat, cimrico medio e moderno cerbyd, 1. carro grosso, 2.
mascella) che garantisce il significato come (uomo) ‘dalle
mascelle grosse’. Si è già commentato questo nome di legionario
o centurione in Trumper, Di Vasto 2007: 449,
Trumper 2010: 472.
16 Non può essere di origine araba, come ipotizzano alcuni,
perché troviamo già il nome Amanteia / Amantia nella
Cosmografia dell’Anonimo Ravennate (Schnetz, Ravenn. IV. 32, 15.
Amantia, 16. Lacenio, datazione originale 600-
700 d.C.: nelle edizioni seriori del dodicesimo secolo troviamo
per errore 15. Amantia, 16. Agello!). Si trova pure il
vescovado di Amantea (ὁἈμανθείας) nella Notitia Episcopatuum di
Costantinopoli III (787-800 d. C.). Ambedue le fonti si presentano
come sicura documentazione prima dell’arrivo e della presa di
Amantea dopo il 840 da parte dei
Saraceni. Altre osservazioni si trovano in Krahe 1938: 75.
Amantea / Amantia è sicuramente da collegare con il
toponimo greco Ἀμαντία, città antica del Basso Epiro verso Corfù
menzionato da Stefano Bizantino prima del 600 d.C.
(82, 23- 83, 2: Ἀμαντία,Ἰλλυρῶνμοῖρα,πλησίον ὨρικοῦκαὶΚερκύρας,
…), prima ancora in Tolomeo (Macedonia) si ha la Ἀμαντία greca
(Geographia 3. 13. 5, 3. 13. 22). Il significato base del toponimo
non è affatto
chiaro. Non è, comunque, esclusa una qualche connessione con il
greco μαντεία‘divinazione; profezia’, cioè si sottintenderebbe un
‘luogo cultuale della divinazione’.
17 Muile < Malea (Vita S. Columbæ di Adamnano, VI-VII sec.
d.C. cap. xxii, p. 35, 6-7 “ut miserum quem secum in
naui habet in Maleam propellat insulam” ecc.) .
18 L’isola è riportata in Tolomeo, Geographia 3. 16. 9
(Μαλέαἄκρα).
19 Vi sono ulteriori rapporti italici nella toponomastica
antica, come ad es. la città di Maleventum (> Beneventum),
in
cui l’elemento Mal- è di nuovo ‘montagna’, ‘rupe’, ‘sporgenza
rocciosa’ ma interpretato erratamente come riferimento
al Maligno, ergo da attenuare e cambiare.
20 Per l’anno 1065 Malaterra scrive (Libro II cap. XXXVII,
Muratori p. 571B) “Eodem anno castrum quoddam, quod
Agel [var. lect. Ragel] dicitur in provincia Cusentii Dux
oppugnare vadens, per quatuor menses obsedit”; in questo
capitolo e nei successivi gli abitanti vengono chiamati
Agellenses. Durante il lungo assedio vennero uccisi in
battaglia
-
questo punto che ci troviamo davanti ad un arabismo
proto-medievale Rajl-al-Manta, i ‘Casali di
Amantea’, che, con la pronuncia usuale araba della ‘a’ lunga
come ‘e’, è la base della forma
testimoniata nelle variæ lectiones di Malaterra: Rajl.
Per quanto riguarda la presenza di toponomastica longobarda in
Calabria, dobbiamo trattare
come eccezioni i due comuni di Laino Borgo e Fuscaldo, dove la
presenza storica di questo popolo
sembra appurata e la cui toponomastica abbiamo già trattato in
breve in Trumper 2006. A parte
questa casistica e togliendo gli esiti di sculca, burgus (già
integrati nella bassa latinità) e casi di
Guardia, Uardia, Guardiola ecc. introdotti nel periodo
normanno-angioino (ergo voci del francone
mediato dall’antico francese e normanno-piccardo), sono
d’accordo con Bulotta 1999 sulla presenza
nel nord della Calabria di 7 casi di Finita / Finaita (<
*snaiðō X fīnis), di tre casi sicuri di Gualdo,
Galdo e Foragaldo (Castrovillari, Verbicaro, Tarsia, <
*wald-) e di altri tre casi di Ministalla con
varianti (< *marha-stalla). Altri ricorrenze di Gaudo -i (3)
e Gaudolino potrebbero ben essere
collegate con l’ornitonimo calabro-romanzo gávulu, gávudu /
gáudiu (var. con ‘r’ impropria
grávulu, -du) ‘rigogolo’ (< lat. galbulus influenzato da
altri termini). Gli otto casi di Sala e Monsala
(storicamente anche Sallole e Salina) invece che con il
longobardo *sala (cfr. Sala Consilina, di
chiara origine longobarda) potrebbero rappresentare esiti di
*sala ‘canale di acqua’, che Alessio
STC 3522 definisce ‘prelatino’, la base di idronimi meridionali
quali Sala, Salandra, Salandrella
ecc. nel senso di ‘distesa di acqua’ potrebbe invece avere a che
fare con il latino salus / salum,
donde Salacia l’equivalente femminile di Nettuno, connesso anche
con il greco σάλοςζάλη e congeneri celtici (irlandese antico e
medio sáile ‘acqua marina’, cimrico medio hail, heiliaf
‘liquido’, ‘bevanda’, ‘versare liquidi’). Altri casi trattati in
Bulotta 1999 quali Arnone, Asmari,
Asmondo, Grimaldi, Lip[p]ranno/ Librandi dipendono dalle
denominazioni delle famiglie dei
feudatari che imposero il loro nome a frazioni e comuni della
Calabria, alla stregua di
Mandatoriccio, derivato non direttamente dal bizantino
μανδάτορας ‘fornitore ufficiale dell’esercito
imperiale’ (< lat. mandtor, -rem), come voleva Rohlfs, ma
dalla famiglia dei baroni
Mandatoriccio che, comprando il feudo di Casale Nuovo di Crosia,
diedero al feudo il loro nome di
famiglia che certamente derivava dal bizantino μανδάτορας. Le
famiglie Arnone, Grimaldi e
Lib(b)randi esistono tuttora in Calabria e i loro cognomi sono
decisamente di origine longobarda,
ma chissà se calabrese o piuttosto campana. Un caso a parte
resta Braia di Scala Coeli che non
poteva derivare tout court da *braida, perché la -d- latina è in
genere ben salda in calabrese,
eccettuati i dialetti con rotacismo di ‘r’ e la preposizione di
> ’i, ma dal bizantinoΤὰ Πλάγια ‘i pianori’. Mormanno, prelatino
e non germanico, è già stato trattato in Trumper-Di Vasto 1999.
Vari
esempi di Vulgaro -i, come quello di Lungro o Schiavonea,
derivano da etnici bizantini, probabili
riferimenti alla fondazione di caserme di truppe imperiali
mercenarie (Ungari, Peceneghi e Slavi). A
parte i 13 casi di cui sopra rimangono ancora problematici i
toponimi Armania (Capo Trionto) e
Sassone, Sassonia (Castrovillari). La relativa poca presenza di
toponimi longobardi indica anch’essa
la funzione da limes tra Longobardi e Imperiali Bizantini del
Pollino e dell’Alta Valle del Crati (la
nota ‘Terra di Giordano’21
). Di conseguenza, per tornare ai nostri paesi tra il Tirreno e
la Valle del
Savuto, un paese che si chiama Longobardi non è di necessaria
fondazione longobarda, ma può
essere o il cognome di antichi feudatari o il feudo di qualche
nobile sceso dal principato di Salerno
per fare carriera o come fattore della nobiltà indigena o come
proprietario che accumulava terreni
ed altre proprietà nelle terre calabresi dei Bizantini, come
facevano ecclesiasticamente a volte i
un figlio ed un nipote del Gran Conte. Abbiamo, dunque, una
successione Ragel [Raiel] > Agel [Aiel] > Agellum, con
una riscrittura ri-etimologizzante del toponimo (ma
paretimologica).
21 È molto indicativo che, al nord, dalla parte del Tirreno il
fiumicello di Grisolia è denominato Giordano, mentre sullo
Ionio il fiume di Montegiordano si chiama ugualmente il
Giordano. Il nome in sé è significativo perché indica,
all’interno di un mondo concettuale bizantino ed ortodosso la
festa dell’Epifania, il fatto del battesimo come rito
iniziatico, ed è prodromo della missione di Cristo; esso indica,
in altre parole, l’espressione esteriore dell’essere
cristiani, per cui chi è al di fuori o al nord di questo segno
di appartenenza è fuori dell’ortodossia e della cristianità (i
Longobardi secondo i Bizantini non erano ‘cristiani’ in senso
ortodosso).
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clerici salernitani e beneventani frustrati22
. In questo caso, soltanto gli storici possono chiarire la
questione, documenti alla mano.
È evidente a tutti l’origine normanno-angioina di un toponimo
quale Belmonte, toponimo che
è presente nella Tassazione Angioina del 1272 (Turchi 20-21),
anche se Atti Vaticani documentano
il nome soltanto dal 1391 (Russo 2. 131 [n. 9111]). Turchi 20 dà
questo nuovo paese infeudato al
normanno Drogon de Beaumont nel 1270-1272, per cui sembrerebbe
evidente che l’agglomerato di
nome Belmonte prendesse questo nome dal cognome della famiglia
feudataria dei De Beaumont.
Per scoprire le sue origini più remote bisogna far ricorso alle
frazioni o casali che sono stati uniti
per formare il nuovo feudo normanno-angioino di Belmonte
Calabro. I primi tre sembrano essere
stati Gastili, S.ta Barbara e Ting[i]a. Gastili, con varianti
Grastili e Regastili (da *Ergastili con
metatesi), che può ben derivare, come volevano Alessio (STC 121)
e Rohlfs (DTOC 270), da una
forma bizantina con dissimilazione *ἐργαστήλι[ον] per l’usuale
ἐργαστήρι[ον], variante
ἀργαστήρι[ον], per ‘gruppo di botteghe; complesso di officine’,
oppure ‘di fucine’; più difficilmente
potrebbe essere ‘officine dei lavori forzati degli schiavi o
prigionieri di guerra’23
, per cui l’area
sarebbe stata ricostruita dai Bizantini con questo nome nel 884
ca., quando il generale bizantino
Niceforo Foca liberò il comprensorio dall’occupazione araba. S.
Barbara, che pure ha una storia
normanno-angioina dal 1097 (si veda Turchi 19-20), è ben
documentata negli Archivi Vaticani del
1151 (Russo 1. 75 n. 326: si confermava l’assegnazione
all’abbazia della S.tissima Trinità di Mileto
fatta nel 1097) ed in anni successivi per tutto il Due- e
Trecento. È comunque difficile decidere se
dei tre-quattro luoghi denominati Ἁγία Βαρβάραnell’Inventario
Metropolitano del 1000 (Brebion, righe 89, 97, 389, 503)
24 uno almeno sia la S.ta Barbara di Belmonte e non quella di
Reggio. In ogni
modo, S.ta Barbara, megalomartire25
, è dedica e devozione tra le più frequenti nell’Oriente
Cristiano più che altrove, spesse volte dedica che si ritrova
tra le fondazioni ecclesiastiche date in
dotazione ai seguaci di S. Nilo e di S. Bartolomeo alla Badia di
Grottaferrata. Per quanto riguarda
Tinga, a parte una possibile connessione con Tinghi, contrada di
Serrastretta (DTOC 344), non vi è
nessuna notizia sicura a cui attingere, per cui la remota
origine di un simile toponimo resterà ancora
sub iudice. Invece, Belsito, che potrebbe sembrare toponimo di
origine normanno-angioina, è una
banale sostituzione tardiva del nome originario Crapassito,
cambiato nel Seicento perché
considerato derivato da crapa < capra, mentre è in origine un
elegante e bel fitotoponimo antico
cuparsstum ‘bosco di cipressi’, come si sa.
22
Il problema di vescovi ‘bizantini’ con nomi prettamente
‘longobardi’ è trattato in Trumper 2000: 126-127: le
osservazioni seguono l’ipotesi della ‘civilisation mixte’
veterocalabrese proposta in Guillou 1989: 636 segg., ripresa
anche in Burgarella 1989: 444-445.
23 In questo senso ἐργαστήριονha dato il tardo latino ergastlum
‘luogo o prigione o officina per i lavori forzati’ (un
falso diminutivo). Il tardo latino ergastlum avrebbe potuto
influenzare, a sua volta, il mediogreco ἐργαστήριον, dal
quale, in ultima analisi, derivava, per produrre una nuova forma
mediogreca *ἐργαστήλι[ον]. Non vi è modo
scientificamente determinabile per decidere tra le due ipotesi.
Ricordiamo che la voce ε[ ρ]γαστήριονè già presente nei testi
italo-greci medioevali (vd. Spata 1846: 445, Seconda Serie di
Cefalù 9. 3 […
τὸνἐμὸνἐργαστήριοντοῦσημάτουτὸεἰςτὸἄκροντῆςῥίμνηςχαλφοῦν], e 9.
5 [δέδοκάσοι τὸῥηθὲν
ἐργαστήριονκαθῶςπεριέχειτὸἔγγραφοντοῦσεκρέτου...] ecc.), in data
1186. La voce relata ἐργασία‘lavoro; opera; azione’ è ben nota nei
testi calabro-greci, cfr. L’Esortazione Quaresimale di S. Luca di
Bova (1080-1090),
Joannou-Isnardi 186, 20-21 (Κηρύξατεἱερεῖςτὴννεότηταεἰςπονηρὰς
ἐργασίας δαπανηκότας) [Annunciate, O sacerdoti, … a quelli che
sprecano la gioventù in opere di malignità …] ecc.
24 Vide anche Trinchera 120 del 1122, 308 del 1192, per
l’agiotoponimo χωράφιον τῆς Βαρβάρας.
25 È talmente popolare la Megalomartire nella tradizione
bizantina della Calabria medioevale che S. Bartolomeo le
dedica nelle sue composizioni liturgiche un’intera officiatura
completa di Inni, Odi, Canone, Apolytikion e Theotokion:
vide Giovanelli 1955: 321-324 per la grande festa del IV
Dicembre. Molti beni abbaziali di Grottaferrata erano infatti
dedicati a questa Megalomartire.
-
Vediamo più da vicino il caso del toponimo Grimaldi e del vicino
microtoponimo Locherito,
suggeritomi dall’amico architetto Venanzio Spada. Grimaldi è già
cognome longobardo nel 1032 di
un ecclesiastico di Bari (Thema Longobardorum dei Bizantini),
per cui si veda la sottoscrizione
come testimone di un atto in Trinchera 29. 25
(Πετροςυιοςγροιμαλδουπρωτοπαπας·υπεγραψαν) [sic!]. Un secolo dopo
si documenta lo stesso cognome a S. Nicola di Camato (1145), cioè
di un
Guglielmo, figlio di Grimaldo testimone di un atto in Trinchera
181. 14-17 sgg.
(γουλυέλμοςυἱόςγρϊμοάλδου παρευρεθειςεπίτη τιαὔτη στέρξη
μαρτυρυπέγραψατωντήμιον σταυρονοἱκείαχηρῒ) [sic!]. Nel Duecento ci
sono altri casi ancora (Mastro Grimaldo di Taranto in Trinchera
371. 12-14 ecc.). Il cognome non è dunque inusuale in documenti
meridionali. Negli Atti
Vaticani e nelle Rationes Decimarum di Vendola non vi è menzione
di un luogo chiamato Grimaldi
prima del 1326, quando risulta essere un arcipresbiterato (Russo
1. 357 n° 5566; Vendola 5010-
5014), poi nel 1360 troviamo una chiesa a Grimaldi dedicata a S.
Pietro (Russo 1. 488, n° 7547). In
ogni modo, il cognome Di Grimaldi / Grimaldo esisteva in
Calabria già dal 1100, visto che in
Pratesi 27-28 i Di Grimaldi sono documentati come i nuovi
feudatari di S.ta Severina (1118).
Aggiungendo a questo fatto la presenza di un arciprete Pietro di
Grimaldi presente a Bari nel 1032,
possiamo ipotizzare la discesa in territorio bizantino, poi
normanno (Puglia, Salento, Calabria), di
una famiglia della piccola nobiltà longobarda del Principato di
Salerno, cui s’infeudano dei territori
già in epoca pre-normanna. Vi è, dunque, la probabilità di una
serie di feudatari pre-normanni
(Grimald) e normanni (Grimaud) che danno i loro cognomi ai feudi
di cui s’impossessano
(Grimaldi, Longobardi, Belmonte). Per quanto riguarda il
toponimo Locherito dell’amico Spada
possiamo azzardare l’ipotesi di un’altra famiglia di piccoli
feudatari: vi è a Palermo nel 1099 un
nobile Robert Louhier (= Loyer), menzionato in Cusa (vol. 1.
358, 20-22):
γουλιάλμοςσαρακινόςρουμβέρτοςλουχέριςκαὶκωνσταντῖνος
στρατηγόςκαὶ νικολάοςλυκοδόντηςκαὶοἱλοιποί οἵτινες ιδροχειρῶς
υπέγραψαν
Potrebbe essere anche questo un caso come il precedente: il nome
di feudatari normanni
durante l’occupazione. Una seconda ipotesi potrebbe far derivare
il toponimo da un *λογαρίτηςper λογαριστής‘ragioniere, chi tiene i
conti’ (< τὰλογάρια), cioè si tratterebbe del ‘terreno di una
famiglia di economi’. In ogni caso, in assenza di precisa
documentazione non vi è modo per
decidere tra le due ipotesi.
Il toponimo forse più difficile da determinare è probabilmente
quello della vicina Altilia,
dialetto Atiglia. È a tutti evidente che non può derivare
formalmente da Attila (> antico alto tedesco
Ezzil > ital. Ezzelino) perché una consonante geminata -tt-
non può, in calabrese, dare un esito
scempiato in -t-, se non mediato da qualche forma
settentrionale! Vi sono due casi in Calabria, e di
questi Altilia frazione di S.ta Severina, la cui storia ci è
nota, è un caso istruttivo, perché il suo
nome fino al 1060 era con ogni probabilità ΧωρίοντῶνΚαλαβρῶν=
Χωρίοντῶν Χαλαβρῶν, come attesta l’Inventario Metropolitano
bizantino (Brebion) di Reggio Calabria dell’anno 1000
26.
Se non è questo il luogo preciso, le indicazioni del 1228 in
Trinchera 385, 5-10 sul sito del
monastero di Calabromaria (Καλαυρομαρία = Χαλαυρομαρία) additano
proprio questa frazione di
S.ta Severina27
. Sono stati i conquistatori normanni a cambiare il nome della
frazione in Altilia
26
Brebion, righe 174-175
(ἀ[πὸτὸν]ποταμὸντὸνἌλαρονμέχρ[ι]τ[οῦ]ἀκροτ[ηρίου]
τ[οῦ]χωρί[ου]τῶνΚαλαβρ[ῶν]), possibili dipendenze nella Calabria
centro-settentrionale dell’Abbazia dell’Arsafia di
Stilo-Monasterace. Guillou non identifica il luogo ma potrebbe
essere questo. Sarà, in ogni modo, testimonianza
calabrogreca del sostantivo χαλάβρα‘frana’ (< χαλάω, cfr.
anche cipriota χαλάβρα χαλαῦραρα ‘frana’: vd. Yangoullis ad vocem),
tipico vocabolo della periferia del mondo grecofono. Il significato
sarebbe ‘Paese Franoso’, ‘Paese delle
Frane’.
27 La citazione precisa è “ἐπηδεῖχωράφιονκληρονομῶἐκγυνακείας
μουκληρονομίας
ἐντῆςδιἀκρατήμασιντῆςθεωφρουρήτουπόλεωςἁγίαςσευειρίναςἐντῆτοποθεσιαβυταύρου·περηορήζεταιδὲκαὶἐκφαίνηοὕτοςἐξἀνατολήςταχῶράφιατῆςμονῆςκαλαυρομαρίας”
(perché eredito dall’eredità di mia moglie nelle dipendenze di
Santa Severina, città custodita da Dio, nella proprietà di Vitauro.
La stessa [proprietà] confina e si
definisce ad oriente con le proprietà del monastero di
Calavromaria). In questo caso tutti gli studiosi concordano che
si
-
(dialetto Atiglia anche a S.ta Severina), e la chiesa in origine
monastica di Calavromaria diventa S.
Maria di Altilia (nel 1211, un atto indirizzato a Luca Campano,
arcivescovo di Cosenza, la nomina
monasterium S. Mariæ de Altilia seu de Calabro-Maria28
). Nel caso di Altilia in oggetto lo
troviamo già con questo nome in un atto indirizzato al nobile
Oddone di Padova che governava da
Cosenza questi territori nel 107729
. Il toponimo attuale è, dunque, una creazione normanna, anche
se
l’abitato ha origini più antiche. Ferrari 20002: 9-11 discute
l’ipotesi cinquecentesca di Barrio che il
primo abitato fosse Astalonga, non suffragata, purtroppo, da
alcun elemento di rilievo. L’altra
ipotesi30
cui accenna Ferrari, op. cit. ibid., è la possibile derivazione
da un feudatario del 1166-1189
di nome Atilio Alimena, che sembra più attinente. Il cognome
Alimena già richiama un’origine
sicula, è comune in Sicilia ed è un chiaro arabismo (<
al-‘imn con effettiva pronuncia al-‘imn, vd.
anche DTOC 8), molto più usuale in Sicilia che in Calabria, dove
simili cognomi di origine araba
non abbondano. La famiglia lascia il suo cognome nell’onomastica
e nella toponomastica storica
calabrese, perché non un nome da battesimo? Anche se manca una
chiara documentazione31
,
sembra plausibile l’origine in un nome di feudatario medioevale.
Su diciotto macrotoponimi,
dunque, 11 sono di origine latina o italica, di cui 5 prediali,
la stragrande maggioranza (61-62%),
due di origine greca, uno solo di origine araba, quattro almeno
presi da nomi o cognomi di feudatari
normanno-angioini o longobardi. La nostra analisi, purtroppo,
andrebbe maggiormente
approfondita, tenendo conto della microtoponomastica, anche se
rimane immutato il principio della
relativa assenza di longobardismi diretti.
In tutti i fenomeni approfonditi finora, questa fascia
dialettale della catena paolana costiera e
le Valli del Torbido e del Savuto non si distinguono
strutturalmente in modo significativo dai
dialetti circostanti. Tuttavia, sono sempre presenti dei
microfenomeni non solo nella fonologia (la
metafonia per innalzamento in alcuni dialetti rispetto a quello
per dittongamento), o nella
morfologia (forme contrastanti del condizionale del verbo ecc.),
ma anche nel lessico di tutti i
giorni, cose che potrebbero servire a creare l’impressione di
una grande differenza. Un esempio
fitonimico può essere il nome dialettale della Beta cycla L.
(rubra ed altre varietà): intorno a
Cosenza e nella direzione della costa reperiamo jìevuza, jìuza,
jéuza / jéusa ecc. < osco *hels,
hels = latino holra, mentre dalla costa (S. Lucido, Fiumefreddo
ecc.) verso l’interno si ha sìecula,
equivalente della secra dei dialetti calabresi mediani e
meridionali, < greco σεῦτλον α (= τεῦτλον) per la stessa pianta.
Altri casi sono reperibili, specialmente nel lessico settoriale, ma
non sono
sufficienti da creare né ‘sistema’ né incomprensione tra
parlanti, solo un po’ di stupore locale
intorno a qualche vocabolo ritenuto ‘strano’ o
‘eccezionale’.
tratta di un monastero Chalavromaria (Χαλαυρομαρία) che deriva
dallo stesso ‘frana’ (vide nota precedente), cioè con dedica alla
Madonna ‘delle Frane’.28
Cfr. Russo 1. 104 n° 544.
29 Russo 1. 55 n° 162, in data 1077, “Othono Padavino …
feudatario et gubernatori in ciuitate Cusentiæ terrarum
Altiliæ…”.
30 Non sembra molto pertinente l’ipotesi di un possibile esito
del latino altla ‘allevamento di uccelli’ (STC 17 voce
177), né quelle di studiosi locali di esiti o di πτελέα‘olmo’ o
di ἀτέλεια‘immune / esente di imposte / tasse’ (non è possibile una
derivazione -- > -i-). Sarebbe fonologicamente più coerente
pensare ad un diminutivo πτίλιονpl.
πτίλια< πτίλος‘penna; piuma’, ma si dovrebbe spiegare come un
nesso antico -pt- possa dare come esito dialettale una -t- scempia!
(Atiglia). La deriva fonologica non è arbitraria! E la semantica
andrebbe spiegata.
31 Il fatto che il paese e le sue chiese fossero incluse nel
feudo e vescovado di Martirano, come scrive Ferrari p. 15 (“Nel
1496 e fino al 1579 Altilia fu compresa nella Contea di
Martirano e prese molto da questo paese, con il quale ebbe
identità di dialetto, di abbigliamento, di tradizioni, usi,
costumi e culto”), rende difficile individuare i momenti e i
nomi
storici del paese di Altilia.
-
2. Discussione sulla presenza di un elemento longobardo nella
toponomastica e nel
lessico dialettale comune della Calabria
Un caso discutibile di superstrato coinvolge un numero non
esiguo di longobardismi nella
toponomastica sia di Laino Borgo sia di Fuscaldo (Trumper 2006:
45-51), ma in genere di
nessun’altra parte della Calabria se non in numero esiguo,
statisticamente poco interessante. Il
primo esempio è comprensibile, se pensiamo che Laino era, nel
Medio Evo, l’ultimo castaldato a
meridione del principato longobardo di Salerno. La questione è
più oscura e andrebbe indagata nel
caso di Fuscaldo. Basti costatare che per il resto della
Calabria, sia nella toponomastica sia nel
lessico quotidiano, il numero di longobardismi arriva appena a
quello dei venezianismi dei pescatori
di Borgo San Marco di Cetraro!
Nel lessico usuale troviamo casi quali gàfiu (= vignanu <
mænianum in altri dialetti), < waif,
scirpa ‘dote’ < skërpa, bbannera, bbanna, faida, ma sono
pochi. Pure nella toponomastica, a parte i
due comuni citati, i longobardismi non sono tutti di diretta
origine longobarda. Un caso particolare è
quello di Sculca, Scurca < skulka: Francovich Onesti
(Vestigia, 19992: 118) è dell’opinione che la
forma sculca, sculcula ‘guardia; vedetta’ (Leggi di Rachis 13) è
già latino medioevale:
“non è in realtà parola longobarda, essendo già entrata nel
latino di V-VI sec. come prestito
dal gotico”.
Lo stesso discorso vale per burgus > bburgu ‘borgo’, per
‘franco’ e ‘compagno’ (il latino
medioevale companio è più realisticamente un calco dal gotico
militare gahlaiba). Persino
Gamillscheg (1935. 2. IV. 59) concordava che skalja (>
scagliola, scagghjola ecc. anche se
Scardigli 1987: 286 argomenta a favore di un longobardismo) e
skerpia (> scirpa) fossero più
probabilmente gotismi, e andrebbero tolti dal novero dei
lessemi. Vi sono poi voci di origine
francone che passano dal 1060 al 1200 anche nel Sud d’Italia
tramite i Normanni o gli Angioini, ad
es. baussa- > bbussare -i (nonostante l’indecisione di
Gamillscheg 1935. 2. IV. 50), fëhu > fìegu /
fégu / fèu, hanka > anca, con verbo denominale ex-hancare
> sciancare (v. commenti in
Gamillscheg 1935. 2. II. 120, 2. IV. 52-53), hrausta- >
arrùstere -iri (Gamillscheg 1935. 2. II. 100
e meglio ancora 2. IV. 53 dove asserisce “kommt aber aus dem
Fränkischen”), warda- > uardare -i,
insieme a Uardia, Guardia, Guardiola nella toponomastica, wiht-
> guittu / uittu. Tutto considerato,
non ci restano che venticinque voci che possiamo attribuire con
certezza ad un elemento longobardo
da considerare superstrato germanico, voci che si possono
dividere nelle seguenti cinque categorie:
A. Voci attinenti all’amministrazione, alla sfera
dell’autorità
1. Longobardo *FAHIDA > FÀÏDA (cfr. Gamillscheg 1935. 2. IV.
51 e Scardigli 1987: 281 che
confermano l’ipotesi longobarda);
2. Longobardo *WAIF > GÀFIU ‘ballatoio di casa’, cfr.
Gamillscheg 1935. 2. IV. 64, nonché Rohlfs
NDDC6 290B “Lgb. waif ‘terra di nessuno’…”;
3. Longobardo *BALK > BBARCUNE -I, per i commenti vd.
Gamillscheg 1935. 2. IV. 50, mentre
Mastrelli 1974: 261 è indeciso rispetto alla determinazione di
un’origine longobarda (*palk-) e non
di un’origine francone (*balk-). Nonostante i dubbi Scardigli
1987: 283 torna all’ipotesi di un
longobardismo.
Alcuni casi sono problematici e non possono essere elencati come
longobardismi senza
forzare una simile categoria. Ad esempio, vi è un elemento
germanico rik(k)- ‘potente; ricco’ che
Gamillscheg 1935. 1. III. 36, 2. IV. 58 voleva considerare
longobardismo, mentre Scardigli 1987:
282 era indeciso se elencarlo tra i gotismi o longobardismi,
mentre Frankovich-Onesti 20002: 173,
211 non risolveva il dilemma. Si tratta, infatti, di un antico
celtismo del germanico, < *rīg- < *rēg-
(cfr. antico e medio irlandese rí, antico cimrico rhi ‘re’),
ipotesi corroborata dallo sviluppo di una
vocale ē originale come ī. L’antichità del prestito celtico nel
germanico è sottolineata dal fatto che
-
la consonante post-vocalica subisce la Prima Rotazione
Consonantica del germanico; è forse meglio
supporre che si tratti di un elemento così antico da essere
stato diffuso dai Goti tra i Romani. Un
altro caso è il supposto gotico *nastila: Gamillscheg 1935. 1.
III. 53, 2. IV. 57 voleva che questa
voce fosse ‘longobarda’, così come Mastrelli 1974: 267, voce che
Meyer-Lübke ed altri volevano
alla base dell’italiano ‘nastro’. All’origine di tutto riteniamo
ci sia stato il greco (> diminutivo ), deverbale da ἀναστέλλειν,
che è alla base del romeno nàsture e dell’apulo-greco ναστούλι(dal
diminutivo, ἀναστόλιον > ἀναστούλι). Il grecismo sarà stato
diffuso in occidente da mercenari bizantini (di lontana origine
gotica?). Tali casi presentano troppi problemi
per essere annoverati tra i longobardismi del Sud. Si dovrebbe
aggiungere il calabrese gualanu et
sim. ‘bovaro’, ‘mandriano’ come quarto caso, per i motivi
indicati nella discussione di cui sotto.
B. Stile di vita e alimentazione, voci tecniche, sostituzione di
lessemi per le parti del corpo:
1. Longobardo *BROD- > VRÙODU, BBRODU; BBRODARU (VR-);
VRUDATA. Gamillscheg 1935. 2. IV.
50 lo voleva dal francone (“aus dem Fränkischen ins
Galloromanische gedrungen”), mentre
Scardigli 1987: 284 tratta il prestito come longobardismo che
sostituisce il latino iūs, iūscĕllum e il
gallo-latino iŭttā (X cŏcta > *iŏtta > nordcalabrese
jotta). Cfr. anche Trumper 2001. 1. 254 bbrodu,
bbrodaru ecc.
2. Longobardo *HANKA > ANCA, con verbo denominale *EX-ANCARE
> SCIANCARE –I (> scianca),
SCIANCATU ecc. Gamillscheg 1935. 1. II. 120, 2. IV. 52-53,
mentre ipotizza la sua origine
longobarda, ne limita la diffusione al Centro-Nord dell’Italia.
Scardigli 1987: 286 conferma che si
tratta di prestito longobardo.
3. Longobardo *HUF > NÙOFFU, voce limitata all’estremo nord
della Calabria: vd. osservazioni in
Gamillscheg 1935. 2. IV. 53.
4. Longobardo *MILZI (< germanico *miltja, f.) > MÌUZA,
MÈUZA, voci della Calabria centro-
meridionale, cal. settentrionale NÌEVUZA (assimilazione alla
‘coronalità’ della ‘z’?). Gamillscheg
1935. 1. III. 37, 2. IV. 56 è insicuro se di origine gotica o
longobarda, mentre Scardigli 1987: 286
conferma che la voce è longobarda.
5. Longobardo *KNOHHA > NNOCCA, v. Rohlfs, NDDC6 474A,
Gamillscheg 1935. 2. IV. 54
confronta *knohha con il norvegese knoke (v. anche l’ing.
knuckle): non può essere un ‘gotismo’ a
causa della vocale ŏ tonica (la forma gotica sarebbe stata
*knuka-). Scardigli 1987: 286 conferma.
6. Longobardo *SKĒNA (cfr. tedesco Schiene rispetto all’inglese
shin) > SCHINA. Gamillscheg 1935.
1. II. 120 proponeva prima una forma francone *skīna, per poi
optare (2. IV. 59) per il longobardo
*skēna. Scardigli 1987: 286 confermava l’ipotesi longobarda. È
da notare che alcune zone della
Calabria settentrionale oppongono schina (degli animali) a
catrèja (degli uomini).
7. Longobardo *SKAUZ- > SCOSSU, voce limitata alla Calabria
meridionale. Gamillscheg 1935. 8.
IV. 59, pur considerando la voce di origine longobarda, riteneva
che fosse un “nördliches
Lehnwort”. Mastrelli 1974: 267 *skauz- dà la voce come sicuro
longobardismo.
8. Longobardo *ZANN (confrontabile con l’antico nordico to nn
< tonþ, sembra mostrare uno sviluppo simile a quello dell’antico
alto tedesco zand > zann) > ZANNA, AZZANNARE -I.
Gamillscheg
1935. 2. IV. 65 ipotizza che sia un longobardismo “also zann
romanisiert”.
9. Longobardo *ZINNA > ZINNA, ZINNU, come in Gamillscheg
1935. 2. IV. 65.
Problematico resta il caso del germanico WANGO (cfr. l’antico
sassone wanga) > cal. GANGA. Rohlfs
NDDC6 293B aveva pensato ad un generico ‘germanico’, mentre
Gamillscheg 1935. 1. III. 37, 2.
IV. 64 aveva prima ipotizzato l’origine gotica del termine. Vi
sono troppi dubbi per elencare la voce
tra i longobardismi sicuri. La voce grizzu, aggrizzu ‘brivido’,
deverbale da ’ngrizzari, ’ngrizzulari
‘rabbrividire’, va considerata un germanismo tardomedioevale
(aat gruwisn, REW/ REWS 3898,
-
v. anche ven. sgrìsolo –i, sgrisolar, Pellegrini 1995: 142),
mentre ’ngrippari ‘raggrinzare’, per via
del mantenimento della geminata -pp- (senza affricativazione con
successivo passaggio a fricativo,
cioè > -pf- > -ff-) è da ritenersi di origine francone.
(REW 3871 grpan [francone], 2. grfan [antico
alto-tedesco]).
C. Fenomeni naturali, animali, verbi associati.
1. Longobardo *AGAZZA ‘Elster’ > (PICA) GAŹŹA, voce limitata
all’Area Lausberg ed alle zone
limitrofe. Altrove l’uccello si chiama Carcarazza. Gamillscheg
1935. 1. III. 39, 2. IV. 50 lo trattava
come gotismo, mentre Scardigli 1987: 286 argomentava che la voce
dovesse essere di trasmissione
longobarda (in opposizione con la latina pica; ad onor del vero,
i dialetti arcaici dell’Area Lausberg
lo usano in genere come modificatore di pica, con un’opposizione
lessico-semantica degli
ornitonimi coinvolti in questo microsistema a tre termini pica ~
pica gaźźa ~ pica marina).
2. Longobardo *HRAFFÔN (cfr. il medio alto tedesco raffen) >
ARRAFFARE -I. Longobardismo che
Gamillscheg 1935. 2. IV. 53 considerava di diffusione limitata
al Centro-Nord.
3. Longobardo *KRAPFO > GRAFFA, AGGRAFFARE -I. Gamillscheg
1935. 2. IV. 54 lo considerava un
longobardismo limitato al Piemonte, all’Emilia e alla Toscana.
Per la sua diffusione calabrese cfr.
Trumper 2001. 1. 58.
4. Longobardo *KRAPFO interferito con *KRAMPF- per produrre una
nuova forma *KRANF- /
*GRANF-, base da dove parte il calabrese mediano e meridionale
grampa / granfa 1. zampa di gatto,
2. zampino, 3. mano (cfr. granfa / grampa del NDDC, sub voce,
per la diffusione delle forme).
Gamillscheg 1935. 2. IV, 54 considera granfa un longobardismo,
v. anche DEI 3. 1860 che
conferma la derivazione sia di granfia sia di granfa ‘zampa
-ino’ da un possibile longobardismo
*KRAMPFA.
5. Longobardo *SKRIKK(J)AN (cfr. antico alto tedesco skrikkên,
ingl. shreek) > reggino SCRÈCCIA
‘silvide piccolo’ ecc. (v. Trumper 2005: 466-467). Gamillscheg
1935. 2. IV. 60 considera voci
simili dei prestiti longobardi.
6. Longobardo *SPAHHAN > SPACCARE -I = HJACCARI, JACCARE -I.
L’ipotesi di un longobardismo è
sostenuta sia in Gamillscheg 1935. 2. IV. 60 sia in Scardigli
1987: 286.
7. Longobardo *STAHHA (cfr. antico inglese staka > ingl.
stake) > STACCA, STACCONA -UNA,
STACCARÈLLA ecc. Gamillscheg 1935. 1. III. 37 ipotizza un
gotismo, ma poi 2. IV. 61 torna
all’ipotesi di un longobardismo. Si accetta quest’ultimo.
Notiamo che i derivati sono ristretti
all’Area Lausberg ed alle zone limitrofe.
8. Longobardo *STOZZA > STÙOZZU, STÓZZU, STÒZZA ecc.
Gamillscheg 1935. 2. IV. 61 lo elenca tra
i longobardismi.
9. Longobardo *ÞAMPF ‘Dampf’ > TAMPA. L’ipotesi del
longobardismo si trova in Gamillscheg
1935. 2. IV. 63 e Scardigli 1987: 287.
10. Longobardo *ZËKKA (cfr. medio alto tedesco zëcke, medio e
inglese moderno tick, noto insetto
nocivo) > ZICCA. Per l’ipotesi di longobardismo v.
Gamillscheg 1935. 2. IV. 65, Scardigli 1987:
287.
D. Possibili tecnicismi.
1. Longobardo *STANGA > STANGA, SDANGA. Longobardismo secondo
Gamillscheg 1935. 1. III. 53,
2. IV. 61.
-
2. Longobardo *ZIPPIL > ZÌPPULU ecc.: longobardismo secondo
Gamillscheg 1935. 2. IV. 65, ipotesi
rafforzata da Mastrelli 1974: 263. Dalla forma ZIPPU deriva il
verbo ’NZIPPARI. Il noto dolce (I
ZÌPPULI ‘le zeppole’) andrebbe associato a questo esito dal
longobardo, perché il dolce è così
nominato dalla forma ‘a cuneo’ o ‘a zeppa’.
3. Andrebbe discussa l’origine di SPRIDU ‘calo di volume’,
‘mondiglia o loppa del grano’, con il
verbo derivato SPRIDARI ‘perdere peso’, ‘perdere’, ‘sprecare’,
che Alessio (Lexicon
Etymologicum 180, tardo latino fridus < antico alto tedesco
fridu ‘pace’, ma soluzione già proposta
in un articolo del 1951) e Rohlfs (NDDC6: 653 sub SFRIDU, <
germanico antico fridu ‘pace’)
ipotizzavano che si trattasse di un germanismo. Gamillscheg
1928: 438 già ipotizzava un’origine
francone per il francese frais ‘spesa; costo’ (< francone
*friðu = antico alto tedesco fridu), per cui
un’origine longobarda (< *friðu) del meridionale sfridu /
spridu (> sfridari / spridari) sembra
plausibile come ipotesi, una volta ammesso che la voce è di
origine germanica.
4. Per quanto riguarda SPITU ‘spiedo’, REW 8161 (tedesco Spitze,
inglese spit) ipotizzava
un’origine francone. Data la conservazione della -t- originaria,
sarà difficile postulare un’origine
longobarda, piuttosto francone o addirittura gotica.
E. Rozzezza, epiteti, proprietà negative.
1. Longobardo *KLUNZ > CHJÙONZU = CHJÙ, ŠCUTU ecc. ‘assiolo’
(persona brutta, cfr. toscano
chionzo). Gamillscheg 1935. 2. IV. 54 lo registra come
longobardismo. Presente nell’Area
Lausberg ed in zone limitrofe.
2. Longobardo *STRUNZ > STRUNZU: Gamillscheg 1935. 1. II. 121
l’aveva prima considerato un
prestito francone, per poi tornare nel 2. IV. 61 all’ipotesi
longobarda.
Si nota soprattutto che, anche se 17 di questi prestiti (N = 29)
sono comuni sostanzialmente a
tutti i dialetti calabresi, ben 8 sono presenti nell’Alta Valle
del Crati e nell’Area Lausberg, mentre
soltanto 4 caratterizzano la Calabria centro-meridionale (B4,
B7, C4, C5). Questa situazione
rafforza l’ipotesi della funzione di limes alto-medioevale
dell’Alta Valle del Crati e del Pollino tra
Longobardi più a nord, Bizantini e l’Impero d’Oriente a sud,
visto che l’estremo nord della Calabria
aveva rapporti di simbiosi con territori amministrativamente
longobardi (Principato di Salerno),
addirittura con la presenza, nel nord del Pollino, di qualche
gastaldato longobardo (salernitano)
quale Laino Borgo.
Una voce a un primo sguardo isolata, gualanu ‘mandriano’, sembra
accennare a questa
presenza longobarda con gli stessi limiti geografici accennati.
Gualanu, con una varietà di allotropi,
è voce registrata da Padula, Accattatis (con un tentativo di
etimologia in termini di ‘guale’ =
‘eguale’, ‘uguale’, supponendo, dunque, un latino volgare
*æqualnus), e da Rohlfs nel Nuovo
Dizionario Dialettale Calabrese dove, nella prima edizione, si
postulava una derivazione da
*æqualnus, sulla falsa riga da *bubalanus < bubalus =
bubulus. La voce abbraccia tutta la Calabria
settentrionale fino alla Sila catanzarese, appare anche
nell’Area Lausberg come uauanu -ǝ uaRanu -
ǝ, ualanu -ǝ, galanu. In ogni modo, nei dialetti parlati a sud
della Sila il lemma sembra non esser
conosciuto o perché manca nei lessici o perché la mancanza di
pianori montani o di estese strisce
costiere non permette, a differenza dei pianori grandi della
Sila e del Pollino o della Piana di Sibari
ecc., l’allevamento bovino su larga scala. Al limite, viene
impiegata una circonlocuzione quale
guarda-vacchi, se si deve parlare del ‘bovaro-mandriano’. Se
risulta vera la prima ipotesi, allora si
potrà parlare di longobardismo mediato da altri dialetti
centro-meridionali che penetra soltanto nella
Calabria settentrionale. Dai dizionari dialettali
centro-meridionali si sa addirittura che la voce è
salentina (calanu, alanu ecc.), pugliese, lucana, campana e
abruzzese (galanǝ, valanǝ et sim.).
Battaglia, GDLI 7. 101 guallano (allotropi galano, guallario,
guallaro, gualda[r]io ecc.), ne
fornisce esemplificazione toscana ed emiliana nel ’300 (esempi
da Bonavia, Sercambi e documenti
-
citati in Rezasco), con un ventaglio di significati che si
possono riassumere come (1) forestale,
guardiano dei boschi, guarda-boschi / amministratore dei boschi,
(2) amministratore di campagne,
fattore, (3) mezzadro, (4) mandriano, bovaro. In qualche modo i
significati (3) e (4) possono
derivare dal significato (2), mentre il significato di ‘chi
amministra’, ‘chi controlla’ implicito in (1)
potrebbe essere stato esteso dal caso (1) al caso (2). Tuttavia,
in Calabria il significato base è
sempre quello di (4), il che spiegherebbe l’estensione del
derivato gualanea nella Valle dell’Esaro (Malvito ed i paesi a
nord) a Motacilla spp. (non solo per Motacilla flava flava L.
‘cutrettola’, come voleva Rohlfs nel NDDC), che corrisponde
precisamente al significato di boarina
nei dialetti toscani, veneti e lombardi orientali, dato che
gualanu = bo[v]aro ecc. La proposta
etimologica (che suppone *æqulnus < æqulis) nasce
probabilmente in Cedraro, Ricerche
Etimologiche (p. 61, < equlis -e), che è del 1885, e non
viene che ripetuta in Accattatis pur
posteriore di un decennio (la prima edizione è del 1895), nonché
da vari autori calabresi di dizionari
locali fino a tutto oggi, dalla prima edizione del NDDC di
Rohlfs e da Salvatore Battaglia nel GDLI
7. 98 Gualano, galano ‘mezzadro’ < æqulis, che non connette
il nostro lemma con la voce
Guallano del GDLI 7. 101. Una proposta simile, abbandonata anche
dal Rohlfs nelle successive
edizioni del NDDC, suppone (a) che il significato-base storico
sia stato ‘mezzadro’ (di difficile
dimostrazione) e (b) che la lenizione -c- > -g- sia del tutto
regolare nei dialetti calabresi, in cui in
genere si ammette soltanto -cr- > -gr- (ci sono casi di
generalizzazione nei dialetti arcaici del
Pollino ma non sono paradigmatici per il resto della
Calabria).
Gamillscheg 1935. 2. IV. 6 dava il tardo medioevale gualdimannus
(del 1216 secondo lo
studioso) come latinizzazione del longobardo waldemann. Alessio
nel DEI 3. 1882 connette cal.
gualanu, galanu con la forma guallano del Centro Italia (già nel
’300 a Benevento), derivando
ambedue le forme dal lat. medioevale gualdanus < guald-
(germanico wald-), che suppone un
significato primario di ‘forestale, guardiano dei boschi,
guarda-boschi / amministratore dei boschi’.
Lo stesso Alessio nel Lexicon Etymologicum 448 waldemannus
suppone una rimorfologizzazione
del lemma longobardo waldeman come waldnus, con deriva >
gualdano > guallano > cal. gualanu,
commentando così la forma ricostruita da Rohlfs: “Le spiegazioni
del Rohlfs sono campate in aria”!
Difatti nella tarda latinità esiste l’aggettivo bubulinus -a -um
derivato da bubalus, bubulus, dal quale
si poteva costruire un eventuale sostantivo nuovo, ma certamente
non *bubalanus. Mentre nel
periodo 740-750 d.C. la voce non è registrata nelle Leggi del Re
Rachis, la troviamo in quel periodo
tra i suoi decreti, ad esempio quello delle donazioni del
monastero di Bobbio (747 d. C.), cfr. PL 87.
1376B “… cum Gisilpert waldeman inquirentes per siuanos nostros,
idest Otonem et Rach …”
ecc.32
. Comunque, quasi tre secoli dopo, la voce, già integrata nel
latino dell’Italia
centromeridionale e nell’italo-romanzo, appare nelle
Dissertationes di Guido Grandi sull’istituzione
dell’Ordine dei Camaldolesi con l’assimilazione progressiva -ld-
> -ll-, per cui cfr. PL 144. 61B
“…a D. Andrea uallemannio abate nostro…”, con esito italiano
centro-meridionale in -ll- rispetto
alla conservazione di -ld- a Verona nel 1185 (Sella 1944: 630
waldemannus). Come si sa,
un’assimilazione di questo tipo è dei dialetti centrali
d’Italia, per cui, se tale è l’etimo originale della
nostra voce calabrese, il lemma è prestito dal
laziale-abruzzo-campano (cfr. il romanesco / laziale
odierno callo per ‘caldo’). Ciò che non si spiega affatto è lo
scempiamento pretonico (-ld- >) -ll- > -
l-. Si deve dunque pensare in termini di una contaminatio di
guallano con qualche altra forma
germanica. Semanticamente vicino come significato è il
longobardo latinizzato nel Medio Evo
salánus < sala ‘mezzadro’ < ‘dipendente della ‘sala’ o
‘casa padronale’, visto che ‘mezzadro’ è
anche uno dei significati derivati di guallano. La voce salanus
è documentata nel Dodicesimo
secolo (Statuti Lucchesi), poi nel ’200 (Atti di Badia Tedalda,
prov. di Arezzo) e nel ’300 (Bonavia
e Sercambi). Un incrocio del tipo guallano (< gualdanus <
waldanus) X salanus poteva benissimo
32
Nell’edizione critica di Brühl, Codice Diplomatico Longobardo
III, 1 p. 110, reperiamo “Ideo accedentes inibi missi
nos[tri Gumpert et Gaideris] cu[m] Gisilpert uualdeman,
inquirentes per silvanos n[ost]ros ….”.
-
produrre il nostro gualanu con la -l- scempia. Si ipotizza
dunque che il lemma gualanu sia frutto
dell’incrocio di due longobardismi, prestito dai dialetti più a
nord della Calabria (abruzzo-campani)
e che sia uno dei venti o trenta longobardismi presenti nel
territorio calabrese. Aggiungiamo così un
nuovo longobardismo alla prima lista di 28, che diventa (con
l’aggiunta di gualanu) di 29, e
riflettiamo sul fatto che solo 4/29 penetrano nel calabrese
centro-meridionale (circa 14%), risultato
del contatto conflittuale tra i principati longobardi e l’Impero
Orientale dei Bizantini lungo il
Pollino e l’Alta Valle del Crati, che non tocca per nulla la
Calabria a sud della Sila, e anche solo
superficialmente la Calabria a sud del Pollino. Dopo un lungo,
recente studio siamo riusciti a
rilevare la possibile presenza in tutte le varietà dialettali
calabresi di 49 nuovi elementi storici
longobardi, non tutti vitali al giorno d’oggi (Trumper 2016:
185-203). Comunque, anche 49
elementi del lessico totale calabrese risultano di relativamente
poca rilevanza, rispetto al numero di
ispanismi (castigliani e catalani), francesismi (di provenienza
provenzale, normanna e franciana),
nonché di grecismi di tutti i periodi, che ammontano a molte
centinaia di prestiti esterni dovuti a
contatti secolari.
3. Il culto micaelico come indicatore: espansione e penetrazione
longobarda o invasione
normanna?
Per la festa latina di S. MICHELE Arcangelo, il 29 settembre, il
brano neotestamentario
Apocal. 12. 7-12 (Michele e gli Angeli, la guerra in cielo) non
è usato nelle letture del Messale
Pïano, nemmeno in quelle delle Liturgie Orientali. Comunque,
nelle Messe votive e per la festa S.ti
Michaelis in Monte Tumba del 16 Ottobre (Festa del Monastero di
Mont S. Michèle, situata sopra
un’enorme isola tra Bretagna e il confine meridionale della
Normandia, festa approvata ed instituita
dalla Chiesa Universale solo nel 1222 e diffusa fino al
1389-1400), la prima lezione è Apocal. 12.
7-12 (Michele e la battaglia in cielo). Addirittura nella
Contestatio (Anafora) della Missa
Defunctorum nel Messale detto ‘Francorum’ si fa appello a tre
Arcangeli per assistere il morto nel
passaggio, Rafaele come SANITAS, Racuele come AIUTORIUM AB
OMNIBUS ARTIFICIIS
GABOLE (= Cabalæ, protezione contra gli artefizi magici),
Micaele come CLYPEUM
IUSTITIAE33
. Anche nel Gallicanum ci doveva essere qualcosa di simile,
perché il Messale di tipo
‘gallicano’ di Bobbio (poco prima del 700) dà la festa di S.
Michele 29 sett. con Apocal. 12. 7-12
come l’Epistola della Messa. L’Epistola della prima Missa
Quotidiens mostra, anche, una
dedicazione fortissima a S. Michele, perché è Daniele 12. 1-3.
Da notare anche che, per quanto
riguarda la fondazione di S. Michele sul Gargano (Monte Angelo
dei Longobardi), la festa è quella
della Apparitio Sancti Michaelis dell’ 8 maggio (in memoria
della sconfitta dei Bizantini da parte di
Grimoaldo I nel 650), con lezioni prese da Daniele 10-12
(centone) e Apocalisse 12. 7-12, che
ricordano S. Michele il ‘Guerriero’, capo della milizia
celeste.
Il culto micaelico calabrese sembra arrivare non tanto con i
Longobardi lungo il confine
settentrionale dell’attuale Calabria, bensì con i Normanni.
Prima del 1060 vi sono poche dediche
bizantine a S. Michele e agli Angeli, tre nei documenti
italogreci, calabro-greci del periodo pre-
normanno, cioè 860-1060 (generico nel 1050 [Trinchera 45],
specifico di piccole laure nel 1041
[Robinson 1. 140], nel 1060 S. Michele vicino a S.ta Domenica
Talao in Guillou, St. Nicola di
Donnoso)34
. Alcuni (Roma, Rizzo cit.) vorrebbero, come ipotesi, che il
culto micaelico in Calabria
fosse, invece, di origine longobarda, annotando che nel
cosentino ci sono 63 simili dediche (65%
del totale), nel vibonese-catanzarese 18, nel reggino 16. Vi
sono due controdeduzioni da fare, (1)
questi autori non stabiliscono la data di simili dediche, e
dediche dopo il 1300 non dicono
33
… Rafael esto ei sanitas, Racuel esto ei aituri[um] hab omnibus
artefeciis gabole ne timeat, Michail esto ei clipeus
iusticie…(Contestatio, Missa Defunctorum).
34 L’unico grande monastero benedettino del Regno nel periodo
pre-normanno dedicato a S. Michele Arcangelo sembra
essere S. Michele Arcangelo a Baiano (Campania, NA), fondato nel
575-600, in territorio ‘longobardo’.
-
assolutamente nulla sull’origine storica del culto, (2) lungo
una linea sull’alto Pollino (da Laino a
Oriolo / Nocara) ci troviamo sull’antico confine tra il
Principato longobardo di Salerno e il Thema
bizantino, essendo anche Laino Borgo il più meridionale dei
gastaldati salernitani. È da aspettarsi
che i Longobardi facessero appello al loro patrono lungo la
linea di attacco e i Bizantini altrettanto
come la loro difesa. Il culto presso i Longobardi è tardivo (dal
650-700 in poi), come lo è tra i
Normanni (stesso periodo)35
, mentre per i Bizantini nel loro culto micaelico antecedente
(festa
orientale del 8 novembre) gli Archangeli Michele e Gabriele sono
trattati insieme come (a) santi
guaritori, (b) ἀρχιστρατηγοίgiudici davanti al trono celeste che
pesano le anime e realizzano le loro punizioni, (c) difesa dei
cristiani contro i sotterfugi del male
36. L’Epistola della Liturgia, Lettera
agli Ebrei 2. 2-10, che fa riferimento a (b), fa parte di una
sequenza di epistole della liturgia già
stabilita poco dopo S. Giovanni Crisostomo (poco dopo il 500
d.C.). Soltanto in due delle letture dei
Vespri festivi, scelte seriormente nel tardo Medio Evo (Giudici
6. 11-26, Daniele 10-12 [centone]:
per la seconda cfr. Missale Bobbiense), si fa riferimento a
Michele l’Arcangelo come ‘Guerriero’.
Vale la pena notare che si legge Daniele 12. 1-3 nelle feste
degli Arcangeli (Missale Bobbiense,
Vespri Greci)37
.
Una situazione simile a quella del cristianesimo orientale, cioè
in cui la figura di S. Michele
viene presentata come ‘guaritore e protettore dell’anima’ e non
come ‘santo guerriero’, si trova
anche a Roma fino al 600. Nel Sacramentario Leonino (S. Leone
Magno m. 407) le prime due
Segrete fanno riferimento ad un generico ‘intervento’
dell’Arcangelo nei termini (a)-(c) di cui
sopra, pure nelle Anafore 1 e 4 al luogo dedicato all’Arcangelo
(Basilica dell’Angelo in Salaria,
festa 30 settembre). Si accenna ad un generico ‘intervento’
degli Angeli nelle cose umane. Simile
impostazione si trova nelle Orazioni della festa dell’Arcangelo
(29 settembre) nei Sacramentari di
Gelasio I (ca. 480-490) e di Gregorio Magno (m. 604). Nei
Missali e Sacramentari germanici
(ovviamente in latino) dopo il 700, invece, vi è continuo
riferimento a Michele ‘Guerriero’. Il
Missale Mixtum spagnolo dei Visigoti, detto ‘Mozarabum’,
presenta 2 feste, la Revelatio Sancti
Michaelis del 8 maggio e la festa del 29 settembre in cui i
riferimenti nelle Orazioni sono a
“Michael princeps exercitus Angelorum”, a S. Michele come
“Salvator”. L’Epistola è sempre un
brano dell’Apocal. 12 in cui Michele viene presentato come
generale degli eserciti celesti, la lezione
alle Lodi è Daniele 10-12 [centone], come nei Vespri orientali,
con un chiaro riferimento a Michele
‘Guerriero’.
Il culto micaelico viene stabilito sul Gargano, confine tra
Principato longobardo di Benevento
e il Tema bizantino della Longobardia, nel periodo 650-700,
testimone Paolo Diacono, per cui la
diffusione del culto del Guerriero Angelico ad opera dei
Longobardi38
ha un senso nell’alta Puglia e
Daunia, nella Campania ed in parte della Lucania, compreso
qualche paese amministrativamente
bizantino del confine con i Bizantini (Pollino nord). Dove non
aveva questo senso, data la quasi
inesistente diffusione, era nella zona di Mileto (Mileto,
Rombiolo), nella Piana (Cinquefrondi) e nel
reggino ed aspromontano, luoghi in cui il culto comincia a
diffondersi dopo la conquista normanna.
Dopo l’arrivo dei Normanni troviamo molti riferimenti, nel
periodo 1060-1260, al culto
micaelico, la maggior parte alla fondazione di S. Michele di
Mileto, contemporanea con la
35
Tra i Franchi e Merovingi il santo patrono ‘guerriero’ nel
periodo 530-600 è stranamente S. Martino, la cui cappa il re
merovingio Clovis portava con sé in battaglia. Non vi è in quel
momento alcun riferimento germanico (pur latinizzato) a
S. Michele ‘guerriero’, mentre il culto micaelico era già in
voga nel mondo bizantino, comunque in tutt’altro senso.
36 Nel Contakion Michele è συμφέρονcontro il male,
nell’Apolytikion si prega che ci liberi dai pericoli “Ἐκ
τῶνκινδύνωνλυτρώσασθεἡμᾶς”, perché lui è uno dei mezzi tramite
il quale la divina misericordia, “τὸμέγαἔλεος”, raggiunge
l’umanità.
37 Ἀναστήσεται Μιχαὴλ ὁ ἄρχων ὁ μέγας καὶ οἱ συνιέντες λάμψουσιν
ὡς ἡ λαμπρότης τοῦ στερεώματος καὶ ἀπὸ τῶν
δικαίων τῶν πολλῶν ὡς οἱ ἀστέρες (Michele il grande condottiero
sorgerà … e i saggi splenderanno come lo splendore
del firmamento e alcuni dei giusti [dritti] come le stelle).
38 I Longobardi cristianizzati sostituiscono a Wotan la figura
cristiana di S. Michele.
-
fondazione della nuova Cattedrale normanna di Mileto (ex-novo,
diocesi creata da quella di
Nicotera soppressa da Ruggero e parte di Squillace), nel 1062
(vari nobili e l’Abbate di S.
Arcangelo di Mileto fanno donazioni; l’Abbate ringrazia per
donazioni, Ἐχαρήσατο
καὶὁκαθηγούμενοςτοῦἉγίουἈγγέλ[ου]), nel 1075 (Ménagier), nel
1070-1100 (Bios Greco di S. Bartolomeo di Rossano, Acta Sanctorum
settembre,τῶν μοναχῶν τῆς μονῆς τοῦἁγίου ἀγγέλου τοῦ ΜΜηλητήνου,
nel 1081 (Ménager, atto latino: Ego Rogerius, Calabrie comes et
Sicilie, vidi et audiui quod Will Culcimbret, pro Dei amore et
anime sue remedio dedit …… ecclesie Sancti
Angeli de Raith villanos cum filiis et filiabus suis et terras
……), nel 1086 (Capalbi), nel 1097
(Ménagier), nel 1107 (Ménagier), 1126 (Trinchera 130), 1151
(Batiffol), nel 1188 (Trinchera 297),
1192 (Trinchera 307), tra gli atti greci, mentre abbiamo, tra
quelli latini ugual riferimento nel 1100
(ben due volte, Russo 1. 231-232), 1108 (Russo 1. 251), 1122
(Russo 1. 291), 1151 (Russo 1. 326),
1171-1181 (Russo 1. 361), e nel 1217 (Russo 1. 593) e 1219
(Pratesi 280). Per altri riferimenti,
abbiamo un solo documento del 1105 che parla della dedica a S.
Michele di un Metochion or
Grangia di S. Filippo di Demenna in Sicilia (Cusa 401). La
situazione generale indica una
distribuzione: prenormanna: 3, normanna: 21, di cui ben 20
menzioni si riferiscono alla fondazione
di S. Michele Arcangelo a Mileto. La proporzione 7: 1
sembrerebbe indicare che il culto fosse
portato dai Normanni, a Mileto e a Rombiolo, da dove viene
diffuso più a sud (Cinquefrondi e
altrove) dai Benedettini (con fondazioni normanne). Se
confrontiamo con le liste fornite da Laurent
et altri studiosi dei monasteri bizantini e normanno-angioini
della Calabria troviamo la seguente
situazione:
Monasteri o laure di sicura o probabile fondazione bizantina:
(a) a. 1000 S. Angelo di Campo,
Motta S. Giovanni (RC: Brebion 375); (b) S. Angelo di Albidona /
S. Angelo Battipede a. 1092
(Trinchera 72), 1106 (Trinchera 93), 1117 (Trinchera 109)
[troppo presto per essere una fondazione
‘normanna’ sul Pollino!], fino al 1400 (Minervini 34,
Platea)39
; (c) S. Angelo di Aieta / di Laino /
Orsomarso tardo ’200 (Trinchera 542), ma in S. Nicola di Donnoso
(Guillou) doc. 4 Ἅγιος
ἌγγελοςLavra dell’Archistratego 1060-1061, S. Michele nel
Mercurio verso 950 (Bios S. Elia Speleota); (d) Ss.
Michele-e-Nicodemo, Lavra a Cellerana di Locri (montagna), non solo
Laurent-
Guillou 1470 ma anche S. Nicodemo di Kellerana (Guillou), aa.
950-1023. N = 4.
Monasteri non documentati prima del 1100, cioè con
documentazione normanna o post-
normanna: (a) Monte S. Angelo, lavra o monastero sub titulo S.
Michaelis Arcangeli a Castrovillari,
primi anni del ’300 (vd. Miraglia 1954 che riporta osservazioni
e fonti di Casalnovo nel ’600,
Pergameno 1305 > Decreto 1591 sub S. Giuliano > 1725
cappella S. Angelo Custode di S. Maria
del Riposo, documentato anche nel 1470, Gius. Russo L’Occaso
doc. 183, ecclesiam S. Angeli sub
Monte Acuto p. 115); (b) S. Angelo e S. Giovanni de Lauro a.
1247 (Lauropoli, Cassano: Laurent
348, 350), (c) S. Angelo Militino in Campana a. 1280 (Laurent
348, G. Russo 348, Fr. Russo 1977:
20 lavra anacoretica ricostruita in periodo normanno e dedicata,
come cenobio, a S. Michele); (d) S.
Angelo di Frigillo a. 1060-1100 (Von Falkenhausen 1967: 65), a.
1210 (Russo Regesto 1. 558 ecc.);
(e) S. Angelo di Tiriolo a. 1274 (Laurent 342, Laurent-Guillou
130, 258, 303); (f) S. Angelo di
Soriano a. 1274 (Tacconi-Gallucci 179 s.d., Laurent 348); (g) S.
Angelo di Squillace [i locali dicono
che si tratta di ‘fondazione bizantina’ del ca. 950, ma non
troviamo documentazione prima del
1400]; (h) S. Angele di Mileto 1070, 1097-1098 (Goffredo di
Malaterra, 1070-1100; Bios Greco di
S. Bartolomeo di Rossano; Batiffol; Russo Regesto 1. 220); (i)
S. Angelo di Rombiolo a. 1274
(Laurent 347-348); (j) S. Angelo di Briatico a. 1296 (Trinchera
460); (k) S. Michele/ S. Angelo in
Drapia (i locali pretendono un’origine bizantina ca. 800, ma non
troviamo documentazione prima
del 1300); (l) S. Michele Margoperzoni di Tropea a. 1247
(Laurent 347, Laurent-Guillou 258); (m)
S. Angelo e S. Isidoro di Tropea a. 1247 (poi S. Isidoro,
Laurent 348, 351); (n) S. Angelo di
39
Si è escluso il riferimento alla Lavra dell’Angelo Uriele a RC
(Brebion 88-89), perché la dedica non è all’Arcangelo
Michele, ma esplicitamente all’Arcangelo Uriele. Abbiamo altresì
escluso alcuni riferimenti (pochi) a S. Michele tra
chiese e monasteri della Sicilia.
-
Vallituccio a. 1274 (Laurent 343, Laurent-Guillou 61-63,
258-259, Fr. Russo 1977: 19 da lavra
anacoretica a cenobio, ridedicato a S. Michele in periodo
normanno). N = 14.
Monasteri documentati unicamente dopo il 1300-1325: (a) S.
Michele Arcangelo in Tropea
post 1450 (Laurent-Guillou 108-109); (b) S. Angelo / S. Michele
di Plagia Paupera di Bruzzano /
Bova a. 1324 (Vendola Rationes 3444, 3492); (c) S. Angelo di
Bova 1457 (Laurent-Guillou 66). N
= 3.
Con = 21, di cui le fondazioni sicuramente bizantine sono 4 / 21
si ottiene più o meno il 20%. La proporzione 5: 1 fa supporre che
il culto micaelico fosse estremamente favorito dai Normanni e
dai
Longobardi ma non dai Bizantini. Notiamo che due delle quattro
Lavre di sicura datazione bizantina
si trovano lungo la contesa linea di confine tra Bizantini e
Longobardi del Principato di Salerno
(Aieta e Albidona del Pollino).
Al confine del Sud della Normandia con la Bretagna troviamo Mont
S. Michèl e un antico
culto: nome precedente Mons Beleni / Tumba Beleni (secondo
Gilles Deric nel Settecento) > Mons
Tumbæ, culto iniziato da Aubert vescovo di Avranches nel
708-709, anche se Roma autorizza
l’accezione universale con Messa solo agli inizi del 1200 (Festa
S.ti Michaelis in Monte Tumba /
Tumbæ di cui sopra). Sembrerebbe la soppressione o copertura di
un originale culto sincretico di
Beleno (Celtico, = Lugo) = Thor (Vichingo) (se invece si tratta
di Tyr = Marte secondo Tacito,
l’associazione con la guerra e la militarizzazione è completa),
cristianizzato come il culto di S.
Michele Arcangelo, l’evidente sincretizzazione di un culto
guerriero (cfr. Apoc. 12) già sincretico e
guerriero. Dal Sud della Normandia i Normanni portano il culto
micaelico a Mileto nel 1060-1070,
come i Longobardi portarono lo stesso culto del Guerriero
Angelico in Puglia, Campania e parte
della Lucania-Calabria confinante nel 70040
. Sembra possibile concludere ipotizzando che la
diffusione del culto micaelico in Calabria sia stata di origine
normanna nel periodo post-1060, per
cui una possibile influenza longobarda nella regione, se non per
antitesi culturale, cultuale ed
amministrativa, è di dimensioni molto limitate, e largamente
assente dai paesi ora trattati.
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40
Anche i Normanni in Puglia (durante le campagne militari di
Roberto il Guiscardo), sia fossero vittoriosi sia sconfitti
e in fuga, si rifugiano nei santuari di S. Michele, il loro
protettore in battaglia, cfr. a proposito Anna Comnena,
Alessiade 4. 6 (Niebuhr 211, 10-12).
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