Trusts ······················································ ··············· ················· ····· i e attività fiduciarie La soggettività passiva del trust nelle imposte dirette tra interposizione fittizia, simulazione e riqualificazione Parte I di Andrea Vicari Da un punto di vista civilistico, il trust non è un soggetto giuridico e quindi non può porsi una questione di interposizione fittizia dello stesso. N el diritto tributario, invece, il trust può esse- re considerato soggetto passivo di imposta: l'or- dinamento, in tali casi, tratta il trust come fos- se un soggetto capace di imputazione di diritti ed obblighi. La costruzione di un concetto autonomo di trust da parte dell'Agenzia delle Entrate è un'operazione che desta qualche dubbio, in quanto nel diritto tributario, in assenza di di- versa indicazione del legislatore, i concetti de- vono essere interpretati secondo il significato loro attribuito dalla branca del diritto di appar- tenenza. Premesse In diritto civile, il tema dell'interposizione fitti- zia si può effettivamente porre, nell'ambito di un trust, con riferimento alle fattispecie di interposi- zione fittizia di trustee e di beneficiari, mai di trust. D'altra parte, il trust non è un soggetto giuridico e, in quanto tale, non può porsi una questione di in- terposizione fittizia dello stesso. L'interposizione fittizia è un caso di simulazione soggettiva. Ove non vi sia un soggetto che possa apparire come cen- tro di imputazione di rapporti giuridici non può es- servi simulazione soggettiva, né quindi interposi- zione fittizia. È quindi impossibile, ontologicamen- te, parlare di trust fittiziamente interposto per il di- ritto civile. Diverse sono le cose in diritto tributario, ove il trust viene considerato soggetto passivo di imposta. Settembre 20 l l In questo ramo del diritto, l'ordinamento tratta il trust come se fosse un soggetto capace di imputazio- ne di diritti ed obblighi, tributari e non. Non è, quindi, raro sentire etichettare il trust come un caso di interposizione fittizia nell'ambito del diritto tribu- tario. Tuttavia, mancando studi sull'interposizione fittizia del trust in diritto civile, ove il problema non esiste, i tributaristi e l'Agenzia si sono trovati ad affrontare il problema privi dei fondamenti sui quali costruire una teoria ed una pratica tributaria dell'interposizione fittizia del trust. In assenza di un limpido sfondo teorico sul piano civilistico, nel diritto tributario si sono inizialmente sviluppate due posizioni estreme: alcune hanno escluso cate- goricamente la possibilità di applicare al trust le logiche dell'interposizione fittizia, altre hanno considerato presente un fenomeno di interposizio- ne fittizia del trust in casi in cui mai si potrebbe parlare di interposizione fittizia di un soggetto, ar- rivando quindi a deformare i confini del concetto di interposizione fittizia. Insomma, per estremizza- re, qualcuno vede sempre interposizione fittizia nei trust, altri mai. Occorre, quindi, rivedere questi posizioni con chiarezza, alla luce di una netta definizione del con- cetto di interposizione fittizia per il diritto tributario, per comprendere quale sia la soluzione corretta. L'articolo 3 7, comma III, DPR 600/1973 e l'interposizione fittizia In diritto tributario, il concetto di interposizione fittizia si lega a doppio filo con una norma precisa: l'articolo 37, comma III, del DPR n. 600 del 1973 Andrea Vicari - Awocato e Notaio nella Repubblica di San Marino. 475
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Trusts ······················································ ··············· ················· ····· i e attività fiduciarie
La soggettività passiva del trust nelle imposte dirette tra interposizione fittizia, simulazione e riqualificazione ~ Parte I di Andrea Vicari
Da un punto di vista civilistico, il trust non è un soggetto giuridico e quindi non può porsi una questione di interposizione fittizia dello stesso. N el diritto tributario, invece, il trust può essere considerato soggetto passivo di imposta: l'ordinamento, in tali casi, tratta il trust come fosse un soggetto capace di imputazione di diritti ed obblighi. La costruzione di un concetto autonomo di trust da parte dell'Agenzia delle Entrate è un'operazione che desta qualche dubbio, in quanto nel diritto tributario, in assenza di diversa indicazione del legislatore, i concetti devono essere interpretati secondo il significato loro attribuito dalla branca del diritto di appartenenza.
Premesse In diritto civile, il tema dell'interposizione fitti
zia si può effettivamente porre, nell'ambito di un trust, con riferimento alle fattispecie di interposizione fittizia di trustee e di beneficiari, mai di trust. D'altra parte, il trust non è un soggetto giuridico e, in quanto tale, non può porsi una questione di interposizione fittizia dello stesso. L'interposizione fittizia è un caso di simulazione soggettiva. Ove non vi sia un soggetto che possa apparire come centro di imputazione di rapporti giuridici non può esservi simulazione soggettiva, né quindi interposizione fittizia. È quindi impossibile, ontologicamente, parlare di trust fittiziamente interposto per il diritto civile.
Diverse sono le cose in diritto tributario, ove il trust viene considerato soggetto passivo di imposta.
Settembre 20 l l
In questo ramo del diritto, l'ordinamento tratta il trust come se fosse un soggetto capace di imputazione di diritti ed obblighi, tributari e non. Non è, quindi, raro sentire etichettare il trust come un caso di interposizione fittizia nell'ambito del diritto tributario.
Tuttavia, mancando studi sull'interposizione fittizia del trust in diritto civile, ove il problema non esiste, i tributaristi e l'Agenzia si sono trovati ad affrontare il problema privi dei fondamenti sui quali costruire una teoria ed una pratica tributaria dell'interposizione fittizia del trust. In assenza di un limpido sfondo teorico sul piano civilistico, nel diritto tributario si sono inizialmente sviluppate due posizioni estreme: alcune hanno escluso categoricamente la possibilità di applicare al trust le logiche dell'interposizione fittizia, altre hanno considerato presente un fenomeno di interposizione fittizia del trust in casi in cui mai si potrebbe parlare di interposizione fittizia di un soggetto, arrivando quindi a deformare i confini del concetto di interposizione fittizia. Insomma, per estremizzare, qualcuno vede sempre interposizione fittizia nei trust, altri mai.
Occorre, quindi, rivedere questi posizioni con chiarezza, alla luce di una netta definizione del concetto di interposizione fittizia per il diritto tributario, per comprendere quale sia la soluzione corretta.
L'articolo 3 7, comma III, DPR 600/1973 e l'interposizione fittizia In diritto tributario, il concetto di interposizione
fittizia si lega a doppio filo con una norma precisa: l'articolo 37, comma III, del DPR n. 600 del 1973
Andrea Vicari - Awocato e Notaio nella Repubblica di San Marino.
475
Trusts e attività fiduciarie , .................. -·······
(qui di seguito, anche semplicemente "articolo 3 7, comma III") (1).
Tale norma stabilisce che: "in sede di rettifica o d'accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona".
Nell'interpretazione generalizzata di dottrina e giurisprudenza tributaria, l'ambito di applicazione della norma, non concerne l'elusione fiscale, bensì l'evasione (2). Si ritiene che questa norma abbia natura prevalentemente procedimentale, in quanto serve all'Agenzia a rimuovere il negozio simulato, già all'atto di accertamento, solo ed esclusivamente ai fini fiscali, non dovendo promuovere una specifica azione di simulazione dinanzi al giudice civile. Quindi, la norma non serve a contrastare comportamenti di elusione fiscale, bensì a semplificare l'esercizio dei poteri dell'amministrazione finanziaria, in rapporto a ben precisi comportamenti di evasione fiscale, basati su meccanismi simulatori.
Vista la funzione unanimemente riconosciuta a questa norma, si deve tenere a mente che non è, questa, una norma che può essere impiegata dall'Agenzia per riqualificare un negozio giuridico, ma solo per imputarne gli effetti ad un soggetto diverso da quello apparente nel negozio stesso. In altre parole, ove dalla struttura dello specifico documento negoziale emerga che esso non abbia le caratteristiche per rientrare nel tipo legale di negozio del quale contiene il nomen iuris, l'Agenzia può semplicemente riqualificare lo stesso, senza dover invocare l'articolo 3 7, comma III, o l'interposizione fittizia (o la simulazione) che ne è presupposto. Infatti il fenomeno della simulazione e dell'interposizione fittizia, da una parte, e quello della riqualificazione, dall'altra, sono due fenomeni assolutamente diversi. Nel primo caso, si è di fronte ad documento giuridico apparente, i cui effetti sono deformati da una contro dichiarazione occulta, che indirizza differentemente dal documento apparente gli effetti del negozio giuridico o che costruisce la causa, i diritti e gli obblighi del rapporto tra le parti del negozio apparente in modo diverso da quanto risulta da questo (3 ). Si è, insomma, di fronte ad un caso di simulazione (4). Nel secondo caso, si è di fronte ad un documento che, al suo interno, non ha gli elementi necessari del tipo di negozio di cui riporta il nomen iuris. Ad esempio, di fronte ad un documento che riporta il nomen di
478
vendita, ma è privo di un prezzo e nel quale il trasferimento della proprietà è ispirato da un intento liberale, non si tratterà di invocare l'articolo 37, comma III, ma semplicemente riconoscere che quel documento non è una vendita, come il nomen iuris farebbe pensare, bensì una donazione. Si tratta, insomma, di un problema di falsa o errata qualificazione di un negozio giuridico, non di un fenomeno di interposizione fittizia.
Sgombrato il campo da questa possibile confusione, si può meglio affondare l'analisi nella definizione delle fattispecie a cui si applica l'articolo 3 7, comma III.
Per gran parte della dottrina questa norma sarebbe applicabile solo a quei casi di evasione realizzata per il tramite di una "interposizione fittizia di persona", intesa nel senso civilistico, ovvero a quei casi nei quali il titolare effettivo del reddito, non lo dichiara, facendo apparire come titolare (fittizio) del medesimo una persona diversa, sulla base di un negozio soggettivamente simulato. In tale negozio, il soggetto interposto appare come parte, ma lo è solo in apparenza, al fine di celare il vero titolare, che con lui ed il terzo pagatore del reddito stipula una accordo, che tiene nascosto, volto ad indirizzare gli effetti del negozio simulato in modo diverso rispetto a quan-
Note:
(l) F. Gallo, Prime riflessioni su alcune recenti norme antielusione, in Dir. e prat.. trib., 1992, l, 1761. par. 2.1; F. Paparella, Primi punti fermi della Cassazione sull'articolo 37, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, in Rass. Trib., 2000, 1273; F.M. Giuliani, lnterposizione, frode e devianze societarie (Postille di diritto privato e tributario), in Dir. prat. trib., 2000, l, p. 1182; F. Paparella, Possesso di redditi ed interposizione fittizia; Milano, 2000; P.M .. Tabellini, L'elusione della norma tributaria, Milano, 2007.
(2) Tra i tanti, F. Gallo, Trusts, interposizione ed elusione fiscale, in Rass. trib., 1996, p .. 1043 ss.; R. Lupi, L'elusione come strumentahzzazione delle regole fiscali, ivi, 1994, p. 229 s.; G. Vanz, L'elusione tra forma giuridica e sostanza economica, ivi, 2002, p. 1606 ss. e ivi par. l.
(3) Ricotte la simulazione relativa soggettiva laddove la divergenza tra la situazione reale e quella apparente non riguardi il piano oggettivo degli accordi negoziali, ma quello soggettivo, e derivi da una intesa tra le parti in virtù della quale si fa figurare come contraente un soggetto che è in realtà estraneo alla pattuizione. Così: Trib. Bologna, 5 febbraio 2007, n. 253.
(4) Sulla simulazione, in generale: A. Auricchio, La simulazione nel negozio giuridico, Napoli, 1957; N .. Distaso, La simulazione dei negozi giuridici, Torino, 1960; G.A. Nuti, La simulazione del contratto, Milano, 1986; M. Casella, voce Simulazione (dir. priv.) in Enc. dir., 1990; C. Ceroni, Autonomia privata e simulazione, Padova, 1990; A. Gentili, voce Simulazione dei negozi giuridici, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1998; R .. Sacco, voce Simulazione (dir. civ.) in Enc. giur. Treccani, 1999; F. Anelli, Simulazione e interposizioni, in AA.VV., Trattato del contratto, III, Effetti, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, 561 ss.
-1 Settembre 2011
to appare (5). Questa dottrina (6) ne esclude l'applicazione in tutti i casi di interposizione reale di persona (7) o di simulazione assoluta o relativa oggettiva (8).
La giurisprudenza, anche di Cassazione, ha chiaramente sottoscritto questa interpretazione stabilendo che il fenomeno dell'interposizione fittizia regolato dall'articolo 3 7, comma III, coincide con quello di interposizione fittizia, noto nel diritto civile. Ha poi, nella medesima occasione, confermato, che non è in essa rinvenibile un ostacolo alla facoltà di fare trasmigrare, con un atto reale (non simulato), la titolarità di un bene tra soggetti sottoposti a divergenti trattamenti fiscali e di consentire lo spostamento dell'obbligazione tributaria ad un soggetto sottoposto ad un regime fiscale più favorevole rispetto a quello del disponente (9). In modo chiaro, la Cassazione ha stabilito con riferimento all'articolo 3 7, comma III, che "tale norma, stabilendo l'imputabilità al possessore effettivo del reddito di cui appaia titolare altro soggetto in base ad interposizione di persona, inequivocamente si occupa del caso dell'interposizione fittizia in senso proprio, caratterizzata dalla divaricazione fra situazione esteriore e situazione sostanziale, rispettivamente riferibili all'interposto e all'interponente, non anche del caso dell'interposizione cosiddetta reale, quale quella accertata dalla sentenza impugnata, ove la forma e la sostanza coincidono" (lO).
In senso contrario, qualche autore, anche recentemente, ha cercato di estendere le fattispecie a cui rendere applicabile l'articolo 3 7, comma III, ben oltre al semplice caso di interposizione fittizia, portandolo ad includervi anche la simulazione oggettiva e casi di interposizione reale ( 11 ). Prima di procedere oltre, occorre chiarire che nella simulazione assoluta (art. 1414, 1° comma) un contratto apparente e segretamente affiancato da una controdichiarazione nella quale le stesse parti affermano di non voleme alcun effetto. Nella si-mulazione relativa un contratto apparente e segretamente affiancato da un diverso contratto, effettivamente voluto (art. 1414, zo comma). Il secondo contratto (dissimulato) puo essere diverso dal primo nel contenuto. Puo essere diverso dal contratto simulato per il suo contenuto o per una delle parti (interposizione fittizia di persona). Mentre quest'ultima rappresenta un caso di simulazione soggettiva, perché riguarda le parti del contratto, le altre sono casi di simulazione oggettiva, perché riguarda gli aspetti oggettivi del contratto. Questa impostazione trova riscontro nella giurisprudenza di merito, ma
Settembre 20 l l
Trusts e attività fiducia:rie
solo parzialmente. Infatti, qualche Commissione ha
Note:
(5) Infatti, ciò era già ravvisabile nella relazione governativa al D.L. 2.3.1989, n. 69, che introdusse l'articolo in questione nel D.P.R. 600/73. Questa recitava: "va rilevato che la modifica all'articolo 37 assegna alla norma un ambito assai vasto. E infatti la norma può applicarsi a ogni caso di interposizione fittizia di altro soggetto finalizzata a non far apparire il reddito dell'effettivo percettore. Anche sotto questo aspetto la norma ha un valore antielusivo in quanto può servire a contrastare quelle situa~ zioni nelle quali, attraverso una apparente titolarità di redditi, non corri· spondente alla realtà, è possibile sottrarsi alla progressività delle aliquote".
(6) F. Gallo, Prime riflessioni, [supra, nota 1], p. 1769; F. Paparetla, Possesso di redditi, [supra, nota 1], p. 293 ss.; ID., Primi punti, [supra, nota 1], par. 6; S. Piccone e F. Ferrarotti, Sull'applicabilità dell'articolo 37, comma 3, del d.p.r. n. 600/1973 al cosiddetto dividend washing, in Rass. trib., 2000, p. 917 ss. e ivi par. 3.3; A. Ballancin, La nozione di "beneficiario effettivo" nelle convenzioni internazionali e nell'ordinamento tributario italiano, in Rass. trib., 2006, p. 209 ss. e ivi par. 8.1; Dus, Ditlidend washing, Corte di Cassazione e profili di illegittimità della tesi del SE. C.!. T, in Rass. trib., 2000, p. 917 ss .. In giurisprudenza Cass., 26 gennaio 2000, n. 3979.
(7) L'interposizione fittizia di persona, o simulazione relativa soggettiva, si distingue dall'interposizione reale in questo: mentre nella seconda l'in; terposto e contraente effettivo, invece nella prima egli e contraente fitti; zio, in quanto nel contratto dissimulato, stipulato tra interposto, interponente e, necessariamente, terzo, si dichiara che gli effetti sostanziali ; at; tribuiti nel contratto simulato all'interposto ; si vogliono prodotti in ca; po all'interponente. Cfr. L. Nanni, L'interposizione di persona, Padova, 1990, 107 ss.; 155 ss. e autori ivi citati. V., in giurisprudenza, tra i tanti, Cass. 18 maggio 2000, n. 6451: "L'interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione all'accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all'intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell'accordo simulatorio) onde manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell'interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta, mentre la mancata conoscenza, da pane di detto terzo, degli accordi intercorsi tra interponente ed interposto (ovvero la mancata adesione ad essi, pur se da lui conosciuti) integra gli estremi della diversa fattispecie dell'interposizione reale di persona. Ne consegue che, dedotta in giudizio la simulazione relativa soggettiva di un contratto di compravendita immobiliare, la prova del - l'accordo simulatorio deve, necessariamente consistere nella dimostrazione della partecìpazione ad esso anche del terzo contraente".
(8) Si ha simulazione assoluta, quando le parti nella dichiarazione occulta dichiarano che il contratto simulato in realtà non deve avere effetto alcuno. La simulazione relativa, invece, presuppone una controdichiara; zione nella quale le parti stabiliscono che vi sia un rapporto giuridico tra esse, ma questo non sia quello apparente nel negozio simulato, ma uno di tipo diverso, con prestazioni diverse o modalità diverse.
(9) Cass. civ, 7 marzo 2002, n. 3345; Cass. civ., 2 aprile 2000, n. 3979; v. anche Comm. Trib. Reg. Campania, sez. IX, 9 giugno 2004, n. 5
(lO) Cass. civ., 2 aprile 2000, n. 3979.
(11) F.M. Giuliani, La Simulazione dal diritto civile all'imposizione sui redditi, Padova, 2009, p. 77 ss .. Tentativi in questa direzione erano stati accennati anche in passato, ma prontamente e nettamente contrastati. Per una precisa e schematica ricostruzione di questi tentativi, nonché un decisa loro reductio ad aequiro.tem v. S. Marchese, A Margine di un caso di esterovestizione, fra società di comodo, interposizione nel possesso di red; dito e divieto della doppia imposizione, Dir. Prat. Trib, 1995, II, 702, a p. 710 ss.
477
Trusts e atti'VÌtà fiduciarie ·
ritenuto applicabile l'articolo 3 7, comma III, alle situazioni di simulazione oggettiva, così come intesa nel diritto civile ma non oltre, e certamente non ai casi di interposizione reale (12), come invece ha tentato di fare questa dottrina. La Cassazione, in modo non netto, sembra oggi non escludere questa possibilità in modo categorico, come ha usato fare nel passato (13 ).
Quindi, sulla base dell'articolo 3 7, comma III, l'Agenzia delle entrate può, in sede di accertamento, imputare al contribuente i redditi di cui altri appaiono titolari:
- seguendo l'impostazione maggioritaria, previa dimostrazione con presunzioni gravi, precise e concordati, che egli è l'effettivo possessore di tali redditi, ma per il tramite di una persona fittiziamente interposta, sulla base di un contratto soggettivamente simulato, che le parti volevano negli effetti ma che, sulla base di una controdichiarazione tenuta occulta, volevano prodursi in capo a soggetti diversi da quelli manifestati nel contratto apparente;
-seguendo quella minoritaria, previa dimostrazione con presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli è l'effettivo possessore dei redditi, in quanto l'apparente titolare risulta tale, non solo sulla base di un contratto soggettivamente simulato, ma anche sulla base di un contratto oggettivamente simulato, di cui le parti non volevano gli effetti o volevano effetti di un contratto diverso.
La differenza tra queste due posizioni è sostanziale e riguarda l'oggetto di prova, per il tramite di presunzioni:
- ove, seguendo l'impostazione maggioritaria, si tratti di provare una simulazione soggettiva, la vera e propria interposizione fittizia, si dovrà provare per presunzioni l'esistenza di un accordo simulatorio tra soggetto fittiziamente interposto, interponente e soggetto terzo debitore del reddito. La compresenza in questo accordo di tutti le parti coinvolte nella imerposizione fittizia è, infatti, ritenuto un requisito necessario per l'accertamento della interposizione fittizia, sul piano civilistico prima ancora che su quello tributario (14 ). In assenza di prova di questa compartecipazione, non si potrà parlare di interposizione fittizia e non si potrà applicare l'articolo 37, comma III, ove lo si ritenga applicabile ai soli casi di interposizione fittizia, come ritenuto dall'impostazione maggioritaria (15);
- ove, seguendo l'impostazione minoritaria, si possa provare anche una simulazione assoluta o una
478
relativa oggettiva, ritenendo applicabile anche ad essa l'articolo 3 7, comma III, si dovrà provare per presunzioni solo l'esistenza di un accordo simulatorio tra il soggetto a cui appare imputabile il reddito ed il soggetto a cui spetta effettivamente, attraverso il quale le parti del contratto simulato con cui è trasferita la fonte produttrice del reddito dichiarano di non averne voluto gli effetti o averne avuto effetti differenti. Questa impostazione si può, ovviamente, applicare solamente a quei redditi la cui imputazione deriva dalla titolarità della fonte, non quelli da attività. Infatti, solo in questi casi, trasferita in modo solo apparente la fonte, può apparire trasferita anche l'imputazione del reddito.
Un esempio chiarirà meglio questa differenza, con specifico riferimento al trust.
Note:
(12) Sentenza Commissione tributaria regionale Friuli Venezia Giulia, sez. VII, 12 marzo 2007, n. 85, la quale in astratto ha ammesso l'ammissibilità dell'applicazione dell'articolo 37, al caso di donazione ritenuta oggetto di simulazione (relativa, essendo il contratto dissimulato un mandato ad alienare), seguita dall'alienazione successiva del bene da parte del donatario, per imputare al donante la plusvalenza. Nello stesso senso, Sentenza Commissione tributaria regionale Lombardia, sez. l, 13-07-2005, n. 132
(13) Cass. Civ., sez. V, 26 febbraio 2010, n. 4037.
(14) l:interposizione fittizia di persona postula la partecipazione all'accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all'intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell'accordo simulatorio), onde manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell'interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta, v. Cass. civ. Sez. Ili, 13 aprile 2007, n. 8843.
(15) A. Butera, Della simulazione nei negozi giuridici, Torino, 1936,1960, 75, definisce, efficacemente, la persona interposta una figura decorativa: .,;Nell'interposizione di persona fittizia occorre l'accordo di tutti gli autori, i quali generalmente sono tre: dispositore del diritto, acquisitore decorativo, destinatario concreto e reale. Il negozio in tal caso si conclude direttamente tra l'alienante e l'interponente: l'interposta per# sona è una figura decorativa, la quale per sé non acquista perfettamente nulla e si limita soltanto a prestare il suo ministero affinché, pel suo tramite decorativo, il diritto passi dall'alienante all'effettivo acquirente". L. Cariata Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1962, 546; F M. Colombano, Patto bilaterale d'interposizione e suoi effetti nei confronti del terzo contraente, in Riv. dir. comm., 1981, Il, 71. Ad opinione pressoché unanime dei Giudici di legittimità, è, dunque, escluso che la semplice conoscenza, da parte del terzo, dell'accordo simulatorio fra interponente e interposto integri la figura dell'interposizione fittizia di persona, dovendo sussistere una effettiva partecipazione del ter# zo all'accordo simulatorio. In tal senso: Cass., l o luglio 1976, n. 2485; Cass., 19 settembre 1979, n. 4087, in Riv. dir. comm., 1981, Il, 71; Cass., 19 marzo 1980, n. 1845, in Giust. civ., 1980, l, 1907; Cass., 13 febbraio 1985, n. 1210, in Giust. civ. Mass., 1986; Cass., 19 dicembre 1986, n. 7728 in Riv. not., 1987; Cass. 12 giugno 1987 n. 5143, in Giust. civ., 1987, l, 2222, 564; Cass. l settembre 1993, n. 9251, in Giust. civ. Mass., 1993, l, 1356; Cass. 18 maggio 2000 n. 6451, ivi, 2000, 1050.
Settembre 2011
1ìzio, disponente di un trust, trasferisce in trust ( rectius al trustee Caio) un diritto reale su un bene, con un contratto. Questo bene produce redditi, in quanto Caio lo concede in locazione a Sempronio. Al momento della stipula dell'atto di trasferimento, vi è stato un accordo (tenuto segreto) tra 1ìzio e Caio nel quale essi hanno concordato che non vi fosse la volontà effettiva di effettuare il trasferimento del bene in trust e che il bene dovesse considerarsi sempre di proprietà di 1ìzio, con un mandato a Caio a concederlo in locazione in nome proprio, per conto di Tizio.
Per presunzioni, gravi precise e concordanti, l'Agenzia riesce a provare l'esistenza tale accordo, tenuto segreto.
Se Sempronio ignora tale accordo segreto ed ha contratto con Caio considerandolo effettivamente un trustee proprietario dei beni e l'Agenzia non può provare, nemmeno per presunzioni, l'esistenza di un accordo simulatorio che lo coinvolga, non è possibile ricondurre questa fattispecie ad un caso di simulazione soggettiva e quindi di interposizione fittizia. Si tratterà di un caso di simulazione relativa, nella quale il rapporto effettivo tra 1ìzio e Caio risulta essere un mandato, in luogo dell'apparente trust (16).
Se Sempronio, invece, è parte dell'accordo simulatorio ed ha contratto con Caio consapevole che egli effettivamente non fosse proprietario dei beni in trust quale trustee, ma fosse un mandatario, semplicemente incaricato di stipulare un contratto di locazione, l'Agenzia può provare per presunzioni l'esistenza di un accordo simulatorio che lo coinvolga e, quindi, può ricondurre questa fattispecie ad un caso di interposizione fittizia (del trust).
Ove si ritenga applicabile l'articolo 3 7, comma III, ai soli casi di interposizione fittizia, non lo si potrà applicare quando le presunzioni non possano portare a dedurre che Sempronio sia parte dell'accordo simulatorio, il che costringerà l'Agenzia a ricorrere all'accertamento della simulazione assoluta o relativa oggettiva in un giudizio ordinario ( 17); ove lo si ritenga applicabile anche ai casi di simulazione assoluta o relativa oggettiva, invece, tale disposizione permetterà di imputare il reddito a 1ìzio, senza previo accertamento della simulazione in sede ordinaria, anche ove le presunzioni non permettano di dedurre la sua partecipazione all'accordo simulatorio.
Indipendentemente dal fatto che si propenda per l'una o l'altra interpretazione dell'articolo 37, comma
Settembre 2011
Trusts e attività fiduciarie
III, una cosa è certa: non può mai applicarsi in assenza di simulazione, sia essa soggettiva, secondo l'impostazione maggioritaria, sia essa anche oggettiva, secondo quella minoritaria.
il L'interposizione fittizia del trust: dalla dottrina alla prassi
La discussione sui rapporti tra trust, interposizione fittizia, ed articolo 3 7, comma III è risalente.
Inizialmente, la dottrina aveva nettamente escluso che si potesse parlare di interposizione fittizia del trust, invocando lo schema del contratto in favore di terzo nella struttura piu lineare, e rilevando una mancanza di simulazione soggettiva - intesa come atto negoziale apparente in contrasto con una controdichiarazione occulta - anche nei casi al limite, quali la coincidenza di disponente e beneficiario ovvero la revocabilita. Anche ove al disponente o al beneficiario l'atto istitutivo avesse riconosciuto un pregnante potere d'indirizzo, di gestione o di controllo, sui beni in trust o sul trustee veniva correttamente esclusa l'interposizione fittizia, negando l'applicazione dell'articolo 37, comma III.
Correttamente, anche dal punto di vista tributario (18), si riteneva al massimo riscontrabile un problema di ri-qualificazione - e non di simulazione - del trust in chiave di mandato o agency e, per conseguenza, di attribuzione dei redditi al disponente, in quanto fra l'altro i beni fonte non si sarebbero nemmeno trasferiti al trustee (19).
Chiaro allora era che trust e interposizione fittizia, ovvero simulazione soggettiva, sarebbero dovuti rimanere istituti non sovrapponibili, almeno in linea
Note:
(16) È opinione della giurisprudenza che dove il rapporto trilaterale non esista, e vi sia soltanto un accordo fra interposto e interponente, senza partecipazione del terzo all'intesa, si versa in tema di interposizione rea~ le. Così: Cass., 19 settembre, 1979 n. 4807, in Rep. Foro it., 1979; Cass., 13 novembre 1978, n. 5203, ivi, 1978; Cass., 11 novembre 1975, n. 3806, ivi, 1976.
(17) Va rilevato, per completezza di esposizione, che la tesi secondo cui l'accertamento della simulazione relativa oggettiva sarebbe precluso nel procedimento tributario è stata recentemente messa in discussione, v .. Cass., 26 ottobre 2005, n. 28816; Cass., lO giugno 2005, n. 12353.
(18) V. supra.
(19) F. Gallo, Trusts, interposizione ed elusione fiscale, [supra, nota 2], pag. 1043 ss par. 4.1; G. Zizzo, Note minime in tema di trust e soggettività tributaria, in Fisco, 2003, p. 4658 ss. e ivi par. 3, nonché Agenzia Entrate, ris. l 7 gennaio 2003, n. 8{E.
479
1ittsts e attività fiduciarie
di principio (20). Questo non avrebbe escluso, ovviamente, che di fronte ad un trust, o un trasferimento di beni, in trust, simulato (perché contraddetto da una dichiarazione occulta, non risultante dall'atto osteso) si sarebbe potuta riscontrare un'interposizione fittizia, ma ovviamente ciò non sarebbe dipeso dall'atto istitutivo di trust o dalle sue clausole, bensì dall'esistenza di una controdichiarazione occulta volta a privare di effetti l'atto osteso.
Poi, la confusione è tornata a regnare, anche in seguito ad alcuni interventi dottrinali che hanno offuscato un quadro altrimenti limpido.
Per il trust revocabile, si è detto che la proprietà del trustee, essendo sottoposta al potere di revoca del disponente, sarebbe una proprietà temporanea (dimenticando che essa sempre lo è in un trust - e non solo in caso di trust revocabili - in quanto il trustee in tutti i trust è prima o poi obbligato a trasferirla ai beneficiari o, in loro, mancanza al disponente) di "essenza simulatoria". Donde l'imputazione dei redditi del trust al disponente (21 ), sulla base dell'articolo 3 7, comma III.
Analogo ragionamento si è fatto per i trust fissi, non discrezionali, nei quali il trustee sarebbe obbligato dall'atto istitutivo a trasferire i redditi ai beneficiari, con diritti determinati su tali redditi (22). Anche qui, secondo alcuni, si dovrebbe parlare di simulazione, interposizione fittizia ed applicabilità dell'articolo 3 7, comma III (23 ).
Molta di questa confusione deriva dall'impiego, in dottrina, giurisprudenza e prassi del concetto del "trust sham". Questo concetto incompreso ed abusato in ambiente giuridico italiano sfuma i confini tra problemi di qualificazione e simulazione. Di fronte ai trust interni italiani, esso non dovrebbe essere utilizzato in quanto, ai sensi della Convenzione dell'Aia, sarebbe in questi casi inapplicabile e privo di rilevanza giuridico, in ragione del fatto che l'accertamento dell'inefficacia del trust deve essere valutata sulla base delle regole e del concetto di simulazione di diritto italiano, piuttosto che da quelle in tema di sham presenti nella legge regolatrici del trust (24 ).
InsommQ., tutto comincia ad essere considerato una interposizione fittizia, tutto comincia ad entrare, contrabbandato sotto tale concetto, all'interno del campo di applicazione dell'articolo 37, comma III.
La trappola in cui si è caduti è chiara: la confusione tra il fenomeno della falsa o errata qualificazione di un negozio giuridico e la simulazione, deducendo erroneamente la presenza di una simulazione sog-
480
gettiva, per interposizione fittizia, in quei casi in cui il contenuto del documento sarebbe incompatibile con lo schema tipico del negozio di cui riporta il nomen iuris, che invece è un problema di falsa o errata qualificazione.
In altre parole, si ritiene esistente una simulazione soggettiva, in quanto il trust sarebbe "fittiziamente interposto", (facendolo poi rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 37, comma III), quello in cui il controllo dei beni in trust, sulla base dell'atto istitutivo (e non di controdichiarazioni occulte, che sono la base di qualsiasi fenomeno di simulazione) permanga in capo al disponente o possa traslare in capo ai beneficiari (25), ovvero eventualmente un
Note:
(20) F. Paparella, Trust ed interposizione fittizia di persona nella disciplina delle imposte dirette, in Fisco, 1996, p. 4812 ss; F. Tundo, Implicazioni connesse al riconoscimento del trust, in Dir. prat. trib., 1993, I, p. 1285 ss.; M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001, p. 789.
(21) Agenzia delle entrate, eire, 4 dicembre 2001, n. 99/E; G. Corasaniti, Il Modello OCSE di Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione e i trusts, in AA.VV., Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, p. 54 7.
(22) Agenzia entrate, eire. 4 dicembre 2001, [supra, nota 21); Agenzia delle Entrate, Dir. reg. Liguria, parere 24 luglio 2003, n. 19972/2003.
(23) F.M. Giuliani, La Simulazione dal diritto civile all'imposizione sui redditi, Padova, 2009, p. 77 ss ..
(24) A. Vicari, Il trust sham o simulato: questioni di diritto internazionale privato, Trusts e attività fiduciarie, 2010, p. 603
( 25) A. Mauro, La posizione giuridica del beneficiario di trust, Il fisco, 2009, p. 7401, "Dall'esame delle fattispecie indicate si rileva come alcune di esse possano configurare effettivamente "indizi di interposizione", in quanto prive dell'effettiva segregazione dei beni e/o dell'effettiva attribuzione di poteri dispositivi e gestionali al trustee, il quale configura, pertanto, un soggetto fittiziamente interposto allo scopo di nascondere la reale titolarità dei beni sussistente in capo al disponente o al beneficiario. Ad esempio, il fatto che il disponente o il beneficiario siano titolari di poteri di veto e di decisione idonei a "paralizzare" i poteri discreziona~ li del trustee, è un indizio che può, in effetti, se esaminato nel caso con; creto, indicare che la struttura del trust viene utilizzata al solo scopo di "occultare" la reale titolarità dei beni in esso "segregati". Anche l'ipotesi in cui il disponente sia titolare del potere di far cessare in ogni momento il trust configura un elemento "anomalo" per l'istituto, che potrebbe, in effetti, costituire un indizio di interposizione. Non si può giungere alle medesime conclusioni, invece, nell'ipotesi in cui il potere di porre in ogni momento fine al trust sussista in capo al beneficiario del trust. La possibilità, per il beneficiario, di potte anticipatamente fine al trust costituisce, infatti, nel modello di trust inglese, un elemento essenziale. Pertanto, non sembra corretto affermare che esso costituisca un esempio di trust fittiziamente interposto. Infatti, il fatto che il beneficiario possa chiedere la cessazione anticipata del trust non costituisce, di per sé, indice dell'assenza di poteri in capo al trustee, né di assenza di segregazione. Vattribuire valore di indizio di fittizietà a un elemento essenziale del trust significa, inoltre, affermare che il trust possa sempre configurare, dal punto di vista fiscale, un soggetto interposto. In secondo luogo, il fatto che il beneficiario possa ottenere dal trustee anticipazioni di capitale non sembra possa costituire univoco indizio di interposizione fittizia. Infatti, è
(segue)
Settembre 2011
caso di trust semplicemente falsamente o erroneamente qualificato come tale.
L'Agenzia delle entrate ha risentito della confusione concettuale che ha coinvolto parte della dottrina ed è caduta nella trappola:
-nella circolare 4 dicembre 2001, n. 99/E, con riferimento alla possibilità di regolarizzare attività detenute all'estero tramite un trust, ha indicato, a titolo di esempio, quali casi di interposizione fittizia di persona, il "trust revocabile (per cui il titolare va identificato nel disponente o settlor) ovvero un trust non discrezionale nei casi in cui il titolare può essere identificato nel beneficiario";
-nella circolare lO ottobre 2009, n. 43/E (26), ha poi precisato che "in presenza di un trust irrevocabile nel quale il trustee è di fatto privato dei poteri dispositivi sui beni attribuiti al trust che risultano invece esercitati dai beneficiari, il trust deve essere considerato come non operante in quanto fittiziamente interposto nel possesso dei beni. In buona sostanza si tratta di ipotesi in cui le attività facenti parte del patrimonio del trust continuano ad essere a disposizione del settlor oppure rientrano nella disponibilità dei beneficiari. A titolo esemplificativo, sono da ritenere fittiziamente interposti:
(trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
(trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento se stesso come beneficiario;
(trust in cui il disponente (o il beneficiario) è titolare di significativi poteri in forza dell'atto istitutiva, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consen-so;
(trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando se stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto "trust a termine");
(trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere anticipazioni di capitale dal trustee".
-nella circolare 61/E del 27 dicembre 2010 (27), l'Agenzia continua a procedere su questa linea di pensiero, anche se con qualche esitazione in più (28). A dire il vero, non si impiega più l'aggettivo "fittizia" affianco a quello di interposizione, ma si parla di semplice interposizione. Tuttavia, non sembra possibile ritenere che l'Agenzia abbia desiderato
Settembre 20 l l
Trusts e attività fiduciarie
staccarsi dalla linea di pensiero precedente, almeno in superficie. Infatti, essa vuole fare emergere, almeno in apparenza, una continuità della sua impostazione teorica con quella espressa nella precedente circolare, affermando che "come anche precisato nella circolare n. 43/E dellO ottobre 2009, sono da ritenere inesistenti in quanto interposte le seguenti tipologie di trust". Insomma, con questa affermazione, l'Agenzia intende far emergere l'esistenza di una linea di continuità tra questa circolare e quella del 10
Note: (continua nota 25)
possibile (seppur non frequente) che l'atto di trust disponga che, ove i redditi non siano sufficienti a soddisfare lo scopo del trust (ad esempio, soddisfare i bisogni di un beneficiario portatore di handicap), il trustee debba utilizzare il capitale. Tale assetto non pare incompatibile con un trust in cui titolare dei beni e dei poteri di disposizione su di essi sia effettivamente il trustee, né pare in contrasto con gli elementi caratteriz, zanti il trust (ad esempio, la segregazione). In conclusione, ai fini dell'esame della "fittizierà" del trust, è necessario valutare, nel singolo caso di specie, se effettivamente sussistano elementi idonei a dimostrare che l'utilizzo della struttura del trust sia stato simulato, fittizio, ovvero volto a utilizzare l'istituto in modo distorto, come mero schermo per nascondere la titolarità di diritti in capo ad altri. Ma la prova di tale forma di simulazione non sembra possa ritenersi integrata né per il solo fatto che il beneficiario possa porre anticipatamente fine al trust, né per il solo fatto che il beneficiario possa ricevere dal trustee anticipazioni di capitale. Pertanto, si ritiene che, al fine di individuare le ipotesi di interposizione fit, tizia del trust, che consentono al soggetto interponente (disponente o beneficiario), se costituito da una persona fisica residente in Italia, di acce .. dere allo scudo fiscale, sia indispensabile una specifica analisi della situazione di fatto e della struttura del trust, nonché dell'atto istitutivo, al fine di accertare se, nel caso specifico, l'istituto del trust sia stato usato al .. lo scopo di celare la reale intestazione dei beni ad altri soggetti e non abbia prodotto, quindi gli effetti segregativi propri del trust".
(26) In questa Rivista, 2010, 104. La fonte di ispirazione di questa circolare, in questo caso, è chiaramente dottrinale, v. M. Lupoi, Analisi delle disposizioni sullo scudo fiscale per quanto riguarda i trust (L. 3 agosto 2009, n. 102, conversione con modificazioni del D.L. l luglio 2009, n. 78, art. 13-bis, e D.L. 3 agosto 2009, n. 103), in Associazione Il Trust in Italia, Atti del Congresso Del decennale di Ischia, 1-3 ottobre 2009, ove si sviluppa la nozione di "detenzione" ai fini delle operazioni di emersione.
(27) In questa Rivista, 2011, 206.
(28) Ha smascherato il travisamento dell'Agenzia, nel travasare il tema dei trust interposti dal campo della detenzione di beni all'estero all'imputazione dei redditi, M. Bastianelli, Brevi note sulla disciplina dei trust ai fini delle imposte sui redditi, Trusts e attività fiduciarie, 2011, p. 135 (''con la circolare 4 3/E del 2009, emanata per illustrare le modalità di emersione dei beni illecitamente detenuti all'estero, si è assistito ad un approfondimento generale del tema dei trust considerabili fittiziamente interposti. Approfondimento, peraltro, in quella sede finalizzato a chiarire l'applicabilità della normativa sull'emersione dei beni esteri ai soggetti effettivi possessori dei beni in trust. Pertanto, la esemplificazione con .. tenuta al par. 2 della Circolare 43/E dovrebbe essere interpretata nel senso di presumere (e quindi consentire senza ulteriori specifiche indagini) l'accesso all'operazione di emersione in un'ottica, in altri termini, di fa .. vore per il contribuente. La circolare 61/E, in un'ottica di accertamento dell'uso distorto del trust, prende (logicamente) slancio dalle fattispecie esemplificate, quindi le modifica, le integra e le fa assurgere a pure ipotesi interpositorie richiamando, indirettamente, su di esse l'azione di con .. trasto degli uffici).
481
rusts e attività fiduciarie ....................................•.............. ·······························-
ottobre 2010, lasciando intendere che il tipo di interposizione di cui sta parlando sia quella fittizia di cui parlava la precedente circolare. Vedremo, in seguito, che questa è solo un'operazione di facciata, che viene in realtà smentita dal ragionamento stesso dell'Agenzia. La lista delle fattispecie di trust interposti, contenuta nella circolare 61/E, in parte ricomprende alcune già contenute nella circolare 43/E, ma con la seguente modifica:
(il caso del trust "in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall'atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell'atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso" che va a sostituire quello del trust "in cui il disponente (o il beneficiario) è titolare di significativi poteri in forza dell'atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso", senza stravolgeme la portata (29);
(e le seguenti addizioni di fattispecie che sono considerate trust interposti:
a) trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee;
b) trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fomite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato;
c) trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari;
d) trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati;
e) ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.
Se si seguono le affermazioni dell'Agenzia, l'interposizione invocata dalla circolare 61/E è quella della circolare precedente ed essa non può che essere quella fittizia, in quanto questa di interposizioni fittizia parlava. Tuttavia, l'infondatezza delle affermazioni dell'Agenzia che considerano casi di "interposizione fittizia" le fattispecie sopra elencate appare ancora più netta ed evidente.
In nessuno di questi casi, si può riscontrare il presupposto per l'interposizione fittizia posta dal diritto tributario alla base dell'articolo 3 7, comma III.
482
l
Seguendo l'impostazione maggioritaria, che pone alla base dell'interposizione fittizia rilevante ai fini dell'articolo 3 7, comma III, quella civilistica, non si può non notare che manca in tutte le fattispecie elencate dall'Agenzia l'intesa simulatoria a tre, tra trustee (che dovrebbe essere il soggetto fittiziamente interposto da un punto di vista civilistico, quando con una metonimia si ritiene interposto il trust ai fini tributari), il beneficiario o il disponente (che dovrebbero essere i soggetti interponenti) ed il terzo, parte del contratto apparente con il trustee, sulla base del quale debbono essere erogati i redditi ed i cui effetti dovrebbero, in una controdichiarazione, apparire indirizzati verso gli interponenti piuttosto che, secondo il contratto apparente, indirizzati al trust(ee). Se non si può riscontrare l'intesa simulatoria a tre dalla quale risulta che civilisticamente il trustee è fittiziamente interposto, allora, sul piano tributario non si può dire che il trust sia fittiziamente interposto, come invece fa l'Agenzia nelle sue circolari. Di conseguenza, non si può, quindi, ritenere applicabile l'articolo 3 7, comma III, qualora si ritenga il suo campo applicativo limitato all'interposizione fittizia, civilisticamente intesa, come ritenuto dall'impostazione maggioritaria.
Tuttavia, ad escludere le fattispecie di trust interposto individuate dall'Agenzia dal campo di applicazione dell'articolo 3 7, comma III, e quindi dall'unica fattispecie normativa di interposizione fittizia nota al diritto tributario, si deve giungere anche nel caso in cui si ritenga che questa norma possa essere applicata in tutti i casi di simulazione, anche quelli di simulazione assoluta o relativa oggettiva, non solo a quelli di simulazione soggettiva, per interposizione fittizia. I casi esemplificati dall'Agenzia non sono casi di simulazione assoluta o relativa oggettiva: manca, infatti, il presupposto della simulazione, ovvero l'accordo simulatorio che contrasti gli effetti dell'atto istitutivo e dispositivo apparente. Gli effetti indicati quali indici di interposizione fittizia dall'Agenzia non cleri-
Nota:
(29) Vi è l'aggiunta dell'inciso "da altri elementi di fatto" affianco a "dall'atto istitutivo", ma sembra un incidente. Infatti, non si può ritenere che, con questo inciso, l'Agenzia abbia evidenziare la rilevanza di elementi di fatto, estranei all'atto istitutivo, che facciano presumere che questo sia si, mulato, in quanto capaci di far presumere l'esistenza di una controdi.chiarazione volta a negame gli effetti o indirizzarli diversamente. Il potere di veto del disponente rilevante per affermare che il trust è interposto deve, nel pensiero dell'Agenzia, comunque risultare dall'atto dispositivo (e non da una controdichiarazione occulta) dovendone egli comunque risultare "titolare di poteri in forza dell'atto istitutivo".
Settembre 20 11
vano da un accordo simulatorio, occulto, che neghi o modifichi alcuni effetti dell'atto istitutivo di trust, ma dal testo dell'atto istitutivo del trust stesso. Infatti, gli elementi evidenziati dall'Agenzia non sono altro che poteri e diritti attribuiti dall'atto istitutivo ai beneficiari o al disponente.
L'Agenzia, quindi, è caduta nella medesima fallacia in cui è scivolata parte della dottrina: confondere i problemi di qualificazione del trust, che portano alla sua riqualificazione nel caso in cui il negozio concreto manchi degli elementi essenziali della categoria legale, con quelli della sua simulazione (soggettiva o oggettiva), che portano alla sua inefficacia.
È allora evidente che sia necessario ricostruire un limpido percorso teorico per affrontare e risolvere con chiarezza il problema fiscale della presunta imerposizione del trust, smascherando le vere aspirazioni dell'Agenzia e l'illegittimità delle stesse (30).
L'unico caso di trust veramente "fittiziamente interposto" nella Circolare 61/E
Un unico passaggio, in tutta la Circolare 61/E, fa riferimento ad un solo "vero" caso a cui potrebbe applicarsi l'articolo 3 7, comma III, ma esclusivamente qualora questo inteso fosse inteso secondo l'interpretazione assolutamente minoritaria che lo considera applicabile anche a rutti i casi di simulazione assoluta o relativa oggettiva e non alla sola interposizione fittizia, per simulazione soggettiva.
Tuttavia, il suo inserimento appare occasionale e frutto di un'evidente confusione concettuale con tutti i casi di presunta falsa o errata qualificazione del trust. Ciò a dimostrare che l'unico vero caso di trust fittiziamente interposto in tutta la circolare sembra esserci entrato per errore.
L'Agenzia, infatti, ad un certo punto precisa "se, pertanto, il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte in capo al disponente e ciò emerge non soltanto dall'atto istitutivo del trust ma anche da elementi di mero fatto e non si verifica, quindi, il reale spossessamento di quest'ultimo, il trust deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell'imposizione dei redditi da esso prodotti".
Quel riferimento ad "elementi di mero fatto" potrebbe essere un possibile riferimento a quei elementi di fatto dai quali presumere l'esistenza di controdichiarazioni (occulte), volte a privare di effetto l'atto istitutivo di trust o gli atti dispositivi, presupposto per
Settembre 2011 ;
Trusts e attività fiduciarie
l'accertamento della loro simulazione assoluta o relativa oggettiva. In altre parole, il fatto che vi siano elementi fattuali dai quali emerga che il disponente abbia ancora il controllo (totale) dei beni in trust può servire a provare, per presunzioni, che vi sia un accordo occulto volto a rendere simulati gli atti dispositivi o l'atto istitutivo.
Solo accogliendo, la tesi assolutamente minoritaria che tende ad includere nel campo di applicazione dell'articolo 3 7, comma III, anche le fattispecie di simulazione assoluta o relativa oggettiva, per la cui prova non si richiede quella della partecipazione del terzo pagatore del reddito alla controdichiarazione, si potrebbe rendere applicabile tale articolo a questa fattispecie. Occorrerà, comunque, ricordare che questa tesi è minoritaria. Quindi, a dire il vero, nemmeno in questa fattispecie si potrebbe parlare con certezza di interposizione fittizia ed applicabilità dell'articolo 37, comma III, se lo si intendesse nell'interpretazione maggioritaria, avvallata anche dalla Cassazione.
Il Dall'interposizione fittizia alla riqualificazione sulla base di un concetto autonomo di trust
Una volta escluso che le fattispecie di trust oggetto di vaglio specifico da parte dell'Agenzia siano effettivamente casi di trust "fittiziamente interposti" ed accertato che ad essi non si possa mai applicare l'articolo 3 7, comma III, salvo in un caso e solo a condizione di voleme adottare una interpretazione assolutamente minoritaria, occorre allora cercare di comprendere la vera portata dell'intervento dell'Agenzia, con la circolare 61/E per evidenziarne il significato profondo, superando la coltre di parole impiegate nella sua argomentazione.
L'Agenzia non ha considerato il trust, nella circolare, come un soggetto fittiziamente interposto, a cui applicare l'articolo 37, comma III, ma è giunta al medesimo risultato pratico - quello di imputare i redditi del trust ad un soggetto diverso - mediante un altro percorso. Ha costruito un concetto autonomo di
Nota:
(30) Ritiene invece che il reale obiettivo della Circolare 61/E sia l'applicazione dell'articolo 37, comma Ili, D. Muritano, Note a prima lettura sulla circolare 61 del27 dicembre 2010, in tema di trust, inedita. In questo contributo si smascherano anche i contrasti tra la posizioni del~ l'Agenzia in questa circolare e quelle assunte in precedenti occasioni dal ... la stessa.
483
1i'usts e attività fiduciarie '
trust, che si discosta dalla nozione civilistica, e sulla base di questo ha riqualificato le fattispecie oggetto di analisi, negando loro la qualificazione di trust ai fini delle imposte dirette.
L'interposizione fittizia legata all'articolo 3 7, comma III è uno strumento che funziona fintanto che vi sia un soggetto da fittiziamente interporre, per guardare oltre la fittizia apparenza, ed imputare il reddito all'interponente, se si nega la soggettività passiva si giunge al medesimo risultato, senza bisogno di applicare tale norma. Per farlo, occorre tuttavia disporre di un concetto di trust definito ai soli fini delle imposte dirette, che si scosti da quello civilistico, e sulla base di questo negare la qualificazione in termini di trust ai fini delle imposte sui redditi, a tutta una serie di trust privi delle caratteristiche ritenute essenziali per la definizione del concetto (31).
Di tale concetto l'Agenzia non ne disponeva in quanto il legislatore nel dettare la disciplina del trust ai fini delle imposte sui redditi non ha definito che cosa intendesse per "trust", rinviando così al concetto di trust presente nel diritto civile.
Ha, tuttavia, tentato di fabbricarlo, sperando che nessuno si accorgesse della illegittimità di tale operazione e, nel fabbricarlo, ha definito il concetto di trust in modo molto più restrittivo rispetto al concetto di trust presente nel diritto civile, quindi nella Convenzione dell'Aia.
Compiuta la costruzione di tale concetto, l'Agenzia ha poi tentato di riqualificare una serie di fattispecie di trust, negando loro la possibilità di essere qualificate come trust ai fini della disciplina delle imposte dirette.
Operazione, questa, fondamentalmente illegittima. Illegittima in quanto, al contrario di quanto avviene per l'interposizione fittizia il cui potere di riconoscimento è attribuito all'Agenzia dall'articolo 37, comma III, non spetta all'Agenzia definire in modo autonomo i concetti usati dal diritto tributario e procedere ad arbitrarie riqualificazioni, in assenza di una indicazione del legislatore tributario.
Che questo sia stato il percorso seguito dall'Agenzia è chiaro.
In mancanza degli elementi richiesti dall'Agenzia nella sua costruzione di un concetto autonomo di trust, essa afferma, "il trust deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell'imposizione dei redditi da esso prodotti". Il concetto di inesistenza non è tecnico, tuttavia esprime il pensiero di chi lo ha scritto. Inesistenza significa, in sostanza, che esso non è trust
484
l
per la disciplina delle imposte direte, che questa non lo riconosce come tale. In altre parole: l'Agenzia dqualifica tale trust, per usare un termine tecnico. Con la logica giuridica ed il tecnicismo l'estensore della circolare probabilmente molta affinità non aveva. Questo è chiaro anche nel successivo passaggio ove descrive una serie di fattispecie di trust che dichiara "inesistenti in quanto interposte". Se un soggetto è interposto, quel soggetto non è inesistente. Semplicemente non è il soggetto passivo d'imposta per i redditi oggetto di interposizione, ma il soggetto esiste ed permane la sua soggettività tributaria generale. Quindi, quando dice che le fattispecie di trust analizzate sono inesistenti dice una cosa corretta dal suo punto di vista, ma quando aggiunge "in quanto interposte" aggiunge, per insicurezza, qualcosa capace di depistare il ragionamento.
Compreso, nei sui termini più generali, il percorso compiuto dall'Agenzia, è il caso di ripercorre i singoli passaggi in maggior dettaglio, partendo da quello iniziale: la costruzione del concetto autonomo di trust, rilevante ai soli fini delle imposte dirette, che si stacca da quello del diritto civile.
L'articolo 19 della Convenzione dell'Aia prevede che questa "non deroga alla competenza degli Stati in materia fiscale". Questa norma quindi lascia liberi gli stati di adottare il trattamento tributario del trust che ritengano e definire il concetto tributario del trust a cui applicare tale trattamento.
Il legislatore tributario con la Legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha modificato l'articolo 73 del TUIR introducendo nelle lettere b), c) e d) del comma l anche il trust tra i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società.
Tuttavia, non è stata data, dal legislatore, nessuna definizione tributaria del trust che si scosti da quella civilistica, ovverosia quella nascente dalla Convenzione dell'Aia.
Quindi, deve ritenersi che sia da considerarsi soggetto passivo delle imposte sui redditi quel trust che sia riconoscibile come tale dalla Convenzione dell'Aia.
Questa come condizione necessaria e sufficiente. Infatti, da una parte, ove non vi fosse riconoscibilità
Nota:
(31) Sorvola la differenza concettuale tra interposizione e inesistenza del trust, D. Stevanato, Stretta dell'Agenzia delle entrate sulla fiscalità dei trust: a rischio un sereno sviluppo dell'Istituto?, in Corriere Tributario, 2011, p. 537
.. J Settembre 2011
del trust in questione ai sensi della Convenzione non vi sarebbe un fenomeno civilistico trust capace di essere preso in considerazione da parte del diritto tributario. D'altra parte, è un principio indiscusso che, in caso di utilizzazione da parte delle norme tributarie di espressioni che designano istituti disciplinati in altri rami del diritto, si debba assolutamente presumere la costanza di significato degli stessi termini. Infatti, come ripetuto in tutti i manuali, "in mancanza di elementi certi da riscontrarsi, implicitamente o esplicitamente, nella stessa legge tributaria, l'interprete dovrà attenersi al significato tecnico elaborato nella diversa branca giuridica di origine" (32).
L'articolo 2, della Convenzione dell'Aia, prevede che "per trust s'intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivi o martis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine determinato".
Requisito per l'applicazione della Convenzione dell'Aia è quindi che i beni siano "posti sotto il controllo di un trustee". Senza questa soggezione al controllo del trustee non v'è applicabilità della Convenzione e riconoscimento del trust in questione in Italia. Se non vi è questo riconoscimento, ovviamente, non si può dire che il trust in questione sia soggetto passivo di imposta in Italia.
Non si può negare che ci sia un trust, riconoscibile dalla Convenzione, per il semplice fatto "che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà". L'ultimo comma dell'articolo 2 della Convenzione chiarisce che ciò "non è necessariamente incompatibile con l'esistenza di un trust", qualora vi sia il trasferimento di controllo al trustee dei beni in trust. Alla stessa conclusione si dovrebbe giungere sul piano tributario, se si seguisse uno stringente ragionamento giuridico. Si potrà avere un trust soggetto passivo di imposta, ove il trustee abbia il controllo dei beni in trust, anche se il disponente mantenga alcuni diritti e facoltà. Ove manchi il trasferimento del controllo al trustee, invece, il trust non potrà essere qualificato come tale, non potrà essere riconosciuto in Italia sulla base della Convenzione e non potrà essere considerato, quindi, soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi.
Ciò, ovviamente, prescinde da qualsiasi argomento in merito all'interposizione fittizia o alla simulazione (assoluta o relativa) del trust. Il problema, in questo caso, è di qualificazione del trust, sulla base del concetto civilistico (che deriva dalla trasposizio-
Settembre 2011
Trusts e attività fiduciarie
ne di quello convenzionale in diritto interno) di trust, a cui deve fare riferimento l'interprete del concetto di trust impiegato dal legislatore tributario, e non altro.
Al contrario di quanto detto sopra, l'Agenzia nella recente circolare 61/E ha invece fatto violenza ai principi interpretativi del diritto tributario, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra diritto tributario e diritto civile.
Senza dichiararlo, anzi con la probabile intenzione di celarlo, l'Agenzia, infatti, si è discostata dalla definizione di trust, contenuta nella Convenzione dell'Aia, cercando di costruirne una propria e ignorando ( volutamente) che questo compito non le spetta, ma spetta al legislatore, in casi, come quello del trust, ove il legislatore non ha mostrato nessun segno di volersi scostare dalla definizione (di trust), contenuta nel diritto civile (in questo caso nella Convenzione dell'Aia) (33 ).
Infatti, ha affermato che, come prima condizione, per aversi un trust riconosciuto come tale ai fini delle imposte dirette, "i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere a disposizione del disponente", che "l'attività del trustee" non deve risultare "eterodiretta dalle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari", che di "essenziale importanza è l'effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui effettivamente affidati dal disponente".
In linea di principio, questa nozione è compatibile con il concetto di trust contenuto nell'articolo 2 della Convenzione dell'Aia.
Tuttavia, si deve riconoscere che l'Agenzia costruisce inizialmente una nozione di trust basata su un necessario affidamento del controllo al trustee, ma poi intende la nozione di controllo al trustee in modo assai più esteso rispetto a quella adottata dalla Convenzione dell'Aia, escludendo che vi sia affidamento di controllo in presenza di alcune caratteristiche strutturali degli atti istitutivi, che, a dire il vero, non hanno capacità di ridurre il controllo, come in-
Note:
(32) Per tutti G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte Generale, Padova, 2008, p. 191 ss.
(33) La prospettiva di un progressivo sgancia mento del diritto tributario dal diritto civile nella definizione del concetto di ttust è intuita anche da G. Marino, "Titolare effettivo" e possessori di reddito: sovrapposizioni, innesti e (probabili) mutazioni genetiche, in Rivista di Diritto Tributario, 2011, pag. 183, a p. 208, nota 46.
485
1i-usts e attività fiduciarie
teso dalla Convenzione, in capo al trustee e la cui presenza è invece legittimata dal testo stesso della Convenzione dell'Aia.
La presenza dell'ultimo comma nell'articolo 2 della Convenzione, infatti, incide anche indirettamente sulla nozione di controllo posta alla base della nozione di trust nella Convenzione stessa. Infatti, tale comma permette al disponente di mantenere poteri o diritti, anche limitanti parzialmente la volontà del trustee, a condizione che permanga in capo a costui il controllo sostanziale sui beni, sulle decisioni di gestione e di distribuzioni degli stessi. Si può avere un trust, riconoscibile sulla base della Convenzione, nel quale il disponente conserva il potere di veto sulla decisione di alienazione di alcuni beni, rimanendo al trustee tutte le altre decisioni di alienazione ed acquisto sui beni di natura diversa; allo stesso modo, si può avere un trust riconoscibile sulla base della Convenzione, ove il disponente possa aggiungere beneficiari, sempre che al trustee rimangano le decisioni di come investire i beni in trust o distribuirli. Infine, si può avere un trust, riconoscibile sulla base della Convenzione, ove il disponente rimanga beneficiario, sempre che al trustee rimangano le decisioni di come investire i beni in trust o distribuirli (34 ). È sempre, ovviamente, una questione di misura e di provenienza degli impulsi volitivi, nelle scelte quotidiane, da parte del trustee. Allo stesso modo, non contrasta con la nozione di trust, intesa dal diritto civile, il fatto che il disponente, istituito il trust, rimanga trustee. L'importante è che, come trustee, abbia il controllo dei beni in trust (35).
Invece, nel tentare di costruire una nozione autonoma di trust ai fini delle imposte dirette, l'Agenzia ha ignorato (volutamente ed illegittimamente) l'ultimo comma dell'articolo 2, della Convenzione e tutto ciò che implica.
Infatti, ha escluso che vi sia affidamento di controllo al trustee, e quindi possibilità di qualificazione come trust ai fini delle imposte sui redditi, in un atto istitutivo nel quale siano presenti: l) poteri di veto in capo al disponente ai fini dell'esercizio dei poteri dispositivi del trustee o sottoposizione dei poteri dispositivi del trustee al consenso del disponente; e 2) attribuzione al disponente della posizione di beneficiario. Su queste due caratteristiche, affatto contrarie alla nozione di trust disegnata dalla Convenzione, che le ritiene compatibili con la nozione di trust contenuta nella stessa sulla base dell'articolo 2, ultimo comma, il pensiero dell'Agenzia deve essere analizza-
488
to in dettaglio, per comprenderne meglio non solo la illegittimità ma anche l'effettiva portata.
Ritenzione di poteri dispositivi da parte del disponente
Secondo l'Agenzia, per aversi un trust riconosciuto ai fini delle imposte dirette, il disponente "non può riservare a sé stesso il potere né il controllo sui beni del trust in modo da precludere al trustee il pieno esercizio dei poteri dispositivi a lui spettanti in base al regolamento del trust o alla legge". In altre parole, il potere di veto o il requisito del preventivo consenso del disponente su alcune decisioni del trustee relative all'esercizio dei poteri di disposizione dei beni in trust (vedremo poi, che vada inteso nel senso di poteri di disposizione in favore dei beneficiari, e non come poteri di amministrazione e gestione) non sarebbe compatibile con la nozione di trust costruita dall'Agenzia, anche se compatibile con la nozione di trust prevista dalla Convenzione.
Occorre sottolineare che l'Agenzia, qui, ha usato un termine tecnico del diritto dei trust particolare: poteri dispositivi.
È infatti noto che il Perpetuities and Accumulations ACT 1964, s. 8 (l) (sostituito con un nuovo Act, nel 2009, che ne modifica il regime) prevedeva la distinzione tra i poteri amministrativi, a cui era inapplicabile la rule against perpetuities, ed i poteri dispositivi a cui invece lo era. I primi erano espressamente considerati i poteri di gestione dei beni in trust (acquisto, vendita, concessione di garanzie, costituzione di diritti reali minori, permuta, comodato, concessione di prestiti), da cui venivano espressamente esclusi i poteri relativi alla distribuzione dei beni ai beneficiari, mentre i poteri dispositivi erano ritenuti i poteri aventi un impatto sulle posizioni beneficiarie e la distribuzione di beni in loro favore, quale il potere di nomina dei beneficiari ed il potere di anticipare l'impiego dei beni in trust (power of advancement). Questa distinzione è poi rimasta scolpita nel diritto dei trust (36). In particolare, il New South Wales Perpe-
Note:
(34) J. Harris, The Hague Trust Convention, Oxford, 2002, p.llO.
(35) ]. Harris, [supra, nota 34], p.106. La questione è ormai abbondantemente superata dalla giurisprudenza italiana.
(36) The Law Commission, The Rules Against Perpetuities, § 3.15; Pearson v. I.R.C. [1981) AC 753, 774.
i Settembre 20 11
tuities Act 1984, Sect. 11, definisce i "poteri amministrativi" che comprendono "il potere del trustee di vendere, locare, permutare i beni in trust e qualsiasi altro potere, ma che non includono il potere di nominare, versare, distribuire o altrimenti decidere dell'impiego dei beni in trust per la soddisfazione dell'interesse di un beneficiario del trust o in attuazione dello scopo del trust", che vengono considerati poteri dispositivi.
Quindi, solo a questi secondi, ovvero ai poteri dispositivi, si dovrà ritenere applicabile il requisito dell' Agenzia, la quale considera che, per aversi pieno controllo in capo al trust e qualificazione come trust ai fini delle imposte dirette, occorra evitare limitazioni ai poteri dispositivi del trustee, non essendo rilevanti le limitazioni ai poteri amministrativi. Devono, infatti, ritenersi compatibili con la definizione autonoma di trust data dall'Agenzia, e quindi con la qualificazione come trust ai fini delle imposte dirette, le limitazioni ai poteri amministrativi del trustee, a meno che non voglia riconoscere che all'Agenzia sia scivolata di mano la penna ed abbia scritto una cosa che non intendeva scrivere. A dire il vero seguendo questa impostazione si arriverebbe a certi paradossi. In altre parole, ad esempio, si potrebbe limitare il potere del trustee di vendere o acquistare beni particolari, ma non il potere di anticipazione per una distribuzioni dei beni in trust ai beneficiari. Ma occorre essere onesti, in claris non fit interpretatio. Tanto l'Agenzia ha scritto, tanto deve essere letto.
Disponente quale beneficiario
L'articolo 2, ultimo comma, della Convenzione dell'Aia stabilisce che il disponente può riservarsi alcuni diritti, senza che ciò incida sulla possibilità di qualificare l'atto come trust ai fini della Convenzione. Tra questi diritti, ovviamente, quello di rimanere beneficiario del trust.
Invece, nel suo deciso tentativo di costruire una nozione autonoma di trust ai fini delle imposte dirette, l'Agenzia ha ignorato (volutamente) l'ultimo comma dell'articolo 2 della Convenzione e tutto ciò che implica, anche su questo punto.
Infatti, ha imposto che il disponente non "può in nessun caso beneficiare dei [omissis] redditi" del
trust. Sembrerebbe, in questo modo richiedere che il
trust non solo prevede la sottoposizione del controllo dei beni al trustee, ma anche la totale cesura di
Settembre 2011
Trusts e attività fiduciarie
qualsiasi rapporto giuridico con il disponente, che possa fare apparire come non netta e definitiva la diminuzione patrimoniale del disponente (37).
A parte che, anche su questo punto, non si può nascondere il paradosso che vede possibile per il disponente essere beneficiario dei capitali, ma non dei "redditi" senza che ciò implichi la riqualificazione del trust, ma non si può non riconoscere in modo chiaro l'atteggiamento dell'Agenzia. Pur parlando di imerposizione (fittizia), in realtà ragiona di riqualificazione del trust, sulla base di un concetto di trust che essa costruisce, distaccandosi dalla nozione di trust presente nel diritto civile, ovvero nella Convenzione. Operazione, questa, evidentemente illegittima, non spettando all'interprete, ma al legislatore, staccarsi dal significato dei concetti usati in norme tributarie, come quelle relative al trattamento del trust nelle imposte indirette, ove il testo di legge non mostra alcuna segno di una intenzione di allontanarsi dal significato d'origine dei concetti provenienti da altri settori del diritto.
Nota:
(37) Per questa impostazione, v. anche D. Muritano, Note a prima lettura, (supra, nota 30].