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Ad Adolfo Morini
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La scultura in Valnerina tra i secoli XIV e XVI. Scoperte e nuove proposte.

May 13, 2023

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Ad Adolfo Morini

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progetto grafico:

Luca [email protected]

© 2015 Diego [email protected]

© 2015 Il Formichiere di Marcello CingolaniVia Cupa, 31 - 06034 Foligno (PG)www.dalformichiere.it - [email protected]

ISBN: 978 88 98428 56 4

L’autore e l’editore restano a disposizione degli aventi diritto per le immagini di cui non è stato possibile rintracciare l’autore o il titolare del copyright.

Un particolare ringraziamento va a:Arcidiocesi di Spoleto-Norcia, La comunità dell’Abbazia di Sant’Eutizio,La comunità Benedettina di Norcia, Antiquares, Museo Galleria Bellini, Farsettiarte, Angelo Aramini, Alfredo Bellandi, Sara Cavatorti, Romano Cordella, Gianluca D’elia, Daniele Di Lodovico, Sabatino Di Lodovico, Corrado Fratini, Giancarlo Gentilini, Tommaso Mozzati, Giuseppina Perla, Fulvio Porena, Lorenzo Principi, Omero Sabatini, Egildo Spada, Aurelio Spalletti.

Sono grato al Servizio Turistico Associato della Valnerina per avermi fornito le foto dei soggetti, la cui riproduzione, in gran parte è stata possibile su concessione dell’Arcidiocesi Spoleto-Norcia, che ne detiene la proprietà. Ringrazio il Comune di Cascia e il Comune di Norcia che mi hanno concesso la riproduzione dei beni in loro possesso e la Biblioteca comunale di Cascia, per la visione e riproduzione del fondo fotografico di Agostino Serantoni. Desidero ringraziare inoltre il Professor Corrado Fratini, che mi è stato sempre vicino e mi ha fatto conoscere la sua raccolta fotografica privata.

Per le vicende riguardanti i restauri di alcune opere d’arte trattate, si rimanda alle informazioni nei cataloghi dei poli museali.

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La scultura in Valnerina tra i secoli XIV e XVIScoperte e nuove proposte

Diego Mattei

2015

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Genericamente chiamata arte, ciò che a noi rimane di tempi passati, frutto della più alta manifestazione dell’essere umano è la scultura. L’animo si nobilita alla visione dello sdoppiamento permanente ed eterno dell’essenza fatta materia e al pensiero di tutti i tipi di pensiero lì rivolti.

Diego Mattei

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Scultura lignea in Valnerina nel Medioevo:nuove frontiere

Gli apprezzamenti sulla scultura lignea sono giunti con un certo ritardo rispetto ad altri campi dell’espressione artistica. Anche quando alcuni studiosi di valore ebbero modo di occuparsi dell’argomento, i giudizi critici espressi relegavano i manufatti intagliati in una nicchia secondaria, a margine dei principali filoni. Così leggendo i contributi di Geza De Francovich1, usciti tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta, si trovano spesso affer-mazioni non esaltanti e lo stesso può dirsi per il saggio di Giorgio Castelfranco2. E ancora nel 1951 Pietro Toesca inseriva la scultura lignea nel novero delle Arti Minori anche se giungeva ad affermare che “non v’è ragione di scompagnare la sta-tuaria in legno, dalla statuaria in pietra…” sebbene la prima “…ha anche cose che mostrano lo scadere di forme stilistiche… e anche ne ha del tutto umili”3. Il merito della svolta va riconosciuto ad Enzo Carli che, con spirito pionieristico, nel suo monumentale lavoro del 1960 portò questo affascinante argomento nel novero della grande arte. Sulle testimonianze presenti nell’Italia centrale ed in particolare dell’area appenninica furono però le ricerche di Giovanni Previtali a segnare un momento decisivo4.Il fiorire successivo di indagini, ricerche e scoperte, si troverà leggendo questo straor-dinario lavoro che Diego Mattei ha condotto con pazienza, tenacia e determinazio-ne nei luoghi a lui cari: la Valnerina, il Casciano e il Nursino. Applicando il metodo della ricerca territoriale sistematica, il giovane, promettente studioso ci restituisce un quadro straordinario e prezioso del vasto e complesso universo delle sculture medievali dell’area appenninica. Opere strettamente innervate con l’ambiente della pittura, a volte eseguite da una stessa maestranza che intagliava e policromava.Ciò che colpisce, oltre alla revisione meticolosa del materiale già noto e il repe-rimento della documentazione relativa su quanto è andato disperso o perduto, è l’incredibile numero di manufatti inediti, rintracciati in ogni dove, tratti dall’ombra ed opportunamente analizzati, classificati e, quando possibile, collegati fra loro. Un volume di così qualificato livello non solo apre nuove prospettive di studio e di in-dagine ma rivela soprattutto al mondo degli studi un nuovo e competente esperto, destinato a recitare un ruolo da protagonista sull’argomento.

Corrado Fratini

1 G. DE FRANCOVICH, Un gruppo di sculture in legno umbro-marchigiane, in «Bollettino d’Arte», VIII, 1928-29, pp. 481-512. 2 G. CASTELFRANCO, Madonne romaniche in legno, in «Dedalo », X, 1929-30, pp. 768-778.3 P. TOESCA, Il Medioevo, Torino 1951, pp. 930-931.4 G. PREVITALI, Studi sulla scultura gotica in Italia. Storia e geografia, Torino 1991, pp. 5-82.

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Premessa

Il cigolio di un’antica porta che ti fa accedere ad un mondo con un piccolo tesoro, è ciò che di consueto si avverte nel visitare le tante chiese di paese presenti in Val-nerina. Gli attuali confini politici sono delineati dai comuni di: Norcia, Cascia, Preci, Monteleone di Spoleto, Sellano, Cerreto di Spoleto, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Poggiodomo, Vallo di Nera. Contenuto in antiche mura, resta celato un pregevole oggetto d’arte passato spesso inosservato, e qui viene alla luce tale lavoro, preceduto dalla mia tesi di laurea, volta a riportare in auge ciò che ancora è rimasto, sfuggendo ai tarli, ai terremoti, ai ladri. Inizialmente è stato tracciato un quadro generale per l’arte scultorea in Valnerina inerente le opere note, successivamente si sono approfonditi i punti de-boli, tramite la visione di beni solo segnalati nelle guide locali e scavando poi più a fondo, con una ricerca sul campo. Questo ha fatto sì che venissero “scoperte” o “riscoperte” opere d’arte di grande qualità - sparse in luoghi secondari - e la possibile attività di altre maestranze attive in zona, rigenerando manufatti lasciati in ombra dal punto di vista critico. Prota-gonisti sono i santi e le figure più importanti del cristianesimo, letti sotto l’aspetto artistico, in un arco cronologico compreso tra il XIV e il XVI secolo. Va aperta anche la parentesi inerente il decentramento delle opere, infatti, nel corso dei secoli, i beni possono essere stati oggetto di spostamenti e compravendite tra diverse chiese mosse da cambi di gusto, rinnovamenti o altri motivi. Per ragioni logistiche e di tempo si è riusciti a visionare in piccola parte il mano-scritto di Marco Franceschini, vero tesoro di memorie per la città di Cascia: tutte le chiese sono esposte e descritte. Lo stesso vale per alcune zone della Valnerina, so-prattutto per il comune di Sellano, dove a seguito del terremoto del 1997 gran parte dei manufatti, sono conservati fuori dagli edifici che li custodivano. Mi è stata concessa una minima visione di preziosi archivi fotografici che conser-vano fotografie di tale territorio, il cui esame necessita di non piacevoli mediazioni politiche. Insipienza e noncuranza sono il più grande ostacolo alla conoscenza. Le sculture per secoli sono state venerate e guardate da intere comunità; si nota attualmente una scarsa attenzione per la valorizzazione e conservazione delle stesse, salvo eccezioni, itineranti verso il dio denaro accelerando il loro svuotamento sim-bolico, religioso e culturale.

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«La nostra epoca non sa più godere, perché non ha saputo accettare il dolore come fonte dell’umana esistenza. Sfiaccato dalle comodità, soffocato dal ritmo della vita, sazio di piaceri, che non sanno proporre altro al di là di se stessi, il cuore si stordisce ed allontana lo spettro della morte senza, peraltro, superarne il timore.»

(Mario Polia in “Mio padre mi disse. Tradizione, religione e magia sui monti dell’alta Sabina”).

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Breve excursus sulla scultura in Valnerina dal XIV al XVI secolo

L’attuale scenario critico per l’arte scultorea in Valnerina, è fecondo di studi e con-tributi che da tempo stanno pazientemente e sapientemente restituendo il giusto peso e la dovuta importanza ad una terra fortunata sotto il punto di vista artistico, ma in egual misura sventurata, poichè ricorrenti calamità naturali nell’incedere dei secoli, e barbariche depredazioni nell’arco del Novecento, ne hanno spogliato l’animo. Una buona ricchezza documentaria si ha grazie agli scritti di “eruditi au-toctoni”: uno su tutti Ansano Fabbi, parroco, le cui pubblicazioni sul Nursino1, Casciano2 e sulla Valle Castoriana3, rappresentano il primo stadio di conoscenza per affrontare e capire l’estesa “regione”. Pur sempre preziosissimi, i volumi hanno la limitazione di basarsi su di una ingessata metodologia, chiusa in se stessa e cir-coscritta ad un piccolo raggio d’azione, mancante di ampi agganci per datazioni e possibili attribuzioni, portando a risultati non sempre convincenti. Fondamentale ruolo è svolto anche dai Manuali per il territorio di pregevole interesse, che traccia-no un ampio quadro storico-artistico e antropologico sulla Valnerina4.Sulle arti e in particolare sulla scultura, maggiormente lignea, tra Medioevo e Rina-scimento, si sono proiettati gli studi degli storici dell’arte a partire dal Novecento. Mostre e iniziative culturali hanno avuto un forte incremento, contribuendo a re-stituire alla scultura, un gradino più in basso rispetto alla pittura, un nuovo vigore. Nonostante questo non si è arrivati ad una catalogazione regionale e come spesso accade, si è riproposta più volte la stessa opera a discapito di una capillare ricerca sul campo. È opportuno elencare i più importanti eventi e pubblicazioni che han-no arricchito e aggiornato la conoscenza su botteghe e artisti: i convegni tenuti ad

1 Fabbi 1976.2 Idem 1975a.3 Idem 1963.4 L’Umbria, Manuali per il territorio. La Valnerina il Nursino il Casciano. AA.VV. Edindustria Roma, Panetto & Petrelli, Spoleto, 1977.

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Amelia nel 19875, a Pergola nel 19976 poi nel 20027, a Mercatello sul Metauro nel 19988, a Foligno nel 20009, a Camerino nel 200110; ed infine fra le mostre meri-tano attenzione le due più recenti di Camerino rispettivamente del 200211 e del 200612, quella di Terni ed Amelia dedicata a Piermatteo nel 200913.I luoghi presi in considerazione da sempre non costituiscono zona periferica dal punto di vista artistico, ma crocevia intenso, accomunato da immani importazioni e autoctone rielaborazioni. Una ragnatela tra l’antico Ducato di Spoleto e il Regno di Napoli la Valnerina (1), terra di confine a sud-est dell’Umbria, fa da cerniera con il mondo marchigiano e abruzzese, denunciando particolari e importanti con-tatti anche e soprattutto con il mondo toscano e in particolare fiorentino14. Parten-do dal XIV secolo, espressamente con la diffusissima iconografia della Madonna col Bambino è doveroso ricordare i modelli artistici guida del secolo precedente, pre-senti nei poli museali di Cascia15, Norcia16 e Spoleto17. Due sono i punti fermi in tale argomento, da cui partire per eventuali analisi sulla cronologia e sullo stile che, condotto in modi essenziali, si riverbera in una postura alquanto ieratica, pervasa da ingente valore storico-artistico: l’abruzzese Madonna delle concanelle firmata e

5 Dall’Albornoz all’età dei Borgia: questioni di cultura figurativa nell’Umbria meridionale. Atti del conve-gno di studi, Amelia, teatro sociale, 1-2-3 ottobre 1987, Ediart, Todi, 1990.6 Scultura e arredo in legno fra Marche e Umbria. Atti del primo convegno, Pergola, 24-25 Ottobre 1997, a cura di G.B.Fidanza. Comune di Pergola, Comunità montana del Catria e del Cesano, Quattro-emme, Perugia, 1999.7 L’arte del legno in Italia, esperienze e indagini a confronto. Atti del convegno, Pergola 9-12 maggio 2002, a cura di G.B.Fidanza. Quattroemme, Perugia, 2005.8 Mercatello e i Bencivenni, una terra di provincia e i maestri di legname itineranti. Atti del convegno, 15-16 ottobre 1998, a cura di C.Fratini, Grafica Vadese, Sant’Angelo in Vado, 2001.9 L’arte del legno tra Umbria e Marche dal Manierismo al Rococò. Atti del convegno, Foligno 2-3 giugno 2000, a cura di C.Galassi, Quattoemme, Perugia, 2001.10 I Da Varano e le arti. Atti del convengo internazionale, Camerino, Palazzo Ducale 4-6 ottobre 2001, a cura di A. De Marchi-P. L. Flaschi, Maroni, Acquaviva Picena, 2003.11 Il Quattrocento a Camerino, luce e prospettiva nel cuore della Marca. Catalogo della mostra a cura di A. De Marchi - M. Giannatiempo Lopez, Motta, Milano, 2002.12 Rinascimento scolpito. Maestri del legno tra Marche e Umbria. Camerino 5 maggio – 5 novembre 2006, catalogo della mostra a cura di R. Casciaro, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano, 2006; Riflessioni sul Rinascimento scolpito. Contributi, analisi e approfondimenti in margine alla mostra di Cameri-no, a cura di M. Giannatiempo Lopez - R. Casciaro, Pollenza 2006.13 Piermatteo d’Amelia e il Rinascimento nell’Umbria meridionale. Terni-Amelia, dicembre 2009 - mag-gio 2010, catalogo della mostra a cura di V. Garibaldi – F. F. Mancini, Silvana Editoriale, Cinisello Bal-samo, Milano, 2009.14 Fabbi 1959; Fabbi 1963, passim; Casale 1989; Delpriori 2012.15 Museo di Palazzo Santi, chiesa di Sant’Antonio Abate, circuito museale di Cascia, (Catalogo regionale dei beni culturali dell’Umbria). A cura di Giancarlo Gentilini, Maurizio Matteini Chiari, Giunti, Prato, 2013.16 Cordella 2002.17 Ceccarelli 1993. Per approfondire le tematiche fondamentali sulla scultura Medievale nell’Appenni-no centrale, si rimanda alla revisione di Benazzi (2014).

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datata 1262, (L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo) e altro esemplare emigrato al Louvre, datato 1294, di probabile provenienza umbra18 (2). A tal riguardo, sono venuti alla luce due esempi in Campi di Norcia19 (3), databili tra fine Duecento e inizi Trecento, ridotti all’osso, uno di questi si avvicina al gruppo delle “Madonne sorridenti” trattate da Fratini20.Dunque una fessura di partenza per l’inizio del XIV secolo può essere l’eccelsa rap-presentazione della Madonna in trono presente nella chiesa di San Giovenale in Lo-gna di Cascia (4), riconducibile all’opera del Maestro della Santa Caterina Gualino: essenziale, raffinato, animato da una purezza formale originale e sofisticata, esempio di un folto gruppo di opere affini, dislocate tra Umbria, Abruzzo e alcune collezioni private21. Tuttavia il suo lavoro, lascia finora asciutto di certezze il bocciuolo geogra-fico generatore e forse produce risvolti rurali, come nell’esempio di San Giorgio in Cascia nell’omonima chiesa22.Si può continuare negli aspetti sempre trecenteschi della Madonna col Bambino in-dividuata da Fabbi nel solitario paesino di Strettura in Sellano, bloccata e ferma nel movimento ma di pregevole fattura e considerazione23. Gemella è la Madonna del Colera di Cerreto di Spoleto ora al Museo Diocesano (5)24, due garbate sculture di bottega artigiana locale. Queste si discostano di qualche decennio per datazione da altro caso vicino, più antico, a Santa Maria in Ponte ancora di Cerreto (6), trafuga-to, che ha in sè la forgia delle maestà umbre di fine XIII secolo25. Un altro maestro, il cui percorso e identità sono ancora incerti, lascia un Angelo reggicandelabro ma-gistrale, di dubbia provenienza, ora al polo museale casciano26 (7). Le opere sono raggruppate sotto l’epiteto di Maestro della Madonna di Sant’Agostino; il nome

18 Fratini 2001. Nel saggio si è dibattuto sull’autenticità dell’opera al Louvre, pp. 21-22, l’argomento è stato trattato da Gaborit (1994, p. 107) e ripreso anche da Benazzi (2014, p. 107).19 Le foto dei soggetti pressochè inedite sono state reperite nell’archivio fotografico digitale della So-vrintendenza per i Beni Storico-Artistici di Perugia. Non più visibili in loco, forse ricoverate in sacrestia, sono già state pubblicate in una foto mal leggibile da Fabbi (1963, p. 249), insieme ad altri antichi fram-menti.20 Fratini 2001.21 Previtali (1991, pp. 5-15, 73-76), propone per il gruppo radici umbre; Carli (1998, pp. 65-70) le ritiene abruzzesi; tesi quest’ultima resa plausibile dal rinvenimento nel Teramano di altri esempi come la Madonna in Santa Maria di Brecciano, (Montorio al Vomano), Arbace 2011, pp. 90-91. Per la scultura di Santa Caterina d’Alessandria appartenente alla collezione Gualino a Roma si veda A. Tartuferi in Scali-ni-Tartuferi 2001, p. 48.22 La Madonna col Bambino databile tra la fine del XIII e inizi del XIV secolo è pubblicata in Fabbi 1975a , p. 440, p. 449; esposta alla Rocca Albornoziana di Spoleto (Bon Valsassina 1999, p. 18); trattata anche in Gentilini 2013, p. 16.23 Non è stato possibile ne reperire una foto, ne visionare l’opera, citata e pubblicata solo da Fabbi (1976, p. 751) in una foto mal leggibile.24 Ceccarelli 1993, pp.50-51; Fratini-Sensi-Tosti 2002, pp. 208-209. La scultura proviene dalla chiesa di Samta Maria Annnunziata.25 Fabbi 1976, p. 559. L’opera pubblicata in foto, tranne in quel caso non è stata mai presa in esame dalla critica.26 E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… pp. 106-107, con bibliografia precedente.

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è dato dalla Madonna col Bambino presente alla Galleria Nazionale dell’Umbria, già in Sant’Agostino di Perugia. Eccellenti le sue opere, frutto di quel trecentesco modellato di prim’ordine, capace di amalgamare gli stimoli del gotico francese e la conoscenza dei maestri pisani, orvietani e senesi. I tre Santi patroni perugini, prove-nienti dalla lunetta del Palazzo dei Priori, sono indiscutibilmente di sua potenziale paternità; lo stesso vale per una serie di opere tra cui una Madonna col Bambino allo Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz di Berlino e il dibattuto Monumento funebre a Benedetto XI in San Domenico a Perugia. Si tende pertanto a ipotizzare la sua arte nata in un contesto perugino e per un contesto perugino27, l’opposta voce critica vuole invece, forestiero l’artista, il senese Ambrogio Maitani documentato tra il 1317 e 1346 nei lavori per la costruzione del Palazzo dei Priori di Perugia28. La complicata vicenda, avvicina tra loro altri manufatti di stessa epoca in Umbria, tra Perugia appunto, Todi e Orvieto29, un’eco di quest’arte, seppur di qualità minore, è data dalla scoperta in Montebufo di Preci di una scultura raffigurante San Lorenzo (scheda IV). Si naviga sempre nello scorcio del XIV secolo, in cui sono presenti tre Crocifissi: Forsivo di Norcia (Sant’Apollinare)(9), Campi di Norcia (San Salvatore)(11) e Rocchetta in Cerreto di Spoleto (Parrocchiale)(12), esaminati da Fratini30 si avvicinano fortemente per tipologia e stile al Maestro del Crocifisso di Visso (10). Scultore di stampo “anticlassico […] espressivo quasi grottesco”, collocato tra gli esi-ti più “duri”del Trecento italiano. Napoli, Spoleto, L’Aquila e appunto Visso i primi esempi ad essere avvicinati tra loro, nonostante presentino in sé difformità stilisti-che, sono trattati da Previtali, che ne dà il generico nome all’artista31. Nello stesso articolo sulla scultura umbra trecentesca Fratini mette in luce oltre a due deperite figure in Gavelli di Poggiodomo, la già mensionata Santa Cristina nella parrocchiale di Caso nel comune di Sant’Anatolia di Narco; è pregevole fattura di un intaglio temporale trattato fin qui, forse spoletino il luogo di produzione, ma sempre senza dubbio appenninico, conservata nel Museo Diocesano di Spoleto32 (8). Questa è

27 Previtali 1983, p.18; per un’analisi su opere e vicende critiche: Previtali 1991, pp. 57-69; il maestro è vagliato anche in Fratini 1997a; Fratini 1999b; Baldelli - Fratini 2006 (in relazione al Monumento funebre a Benedetto XI).28 Il Maestro è analizzato da Lunghi in Bon Valsassina-Garibaldi 1994, pp. 139-147, con bibliografia precedente per le opere trattate.29 Cfr. Previtali 1991; cfr. Garibaldi-Toscano 2005.30 Fratini 1999a, p. 52. Ad esclusione di Forsivo (oggi in Sant’Antonio), gli altri due sono conservati al Diocesano di Spoleto, il Crocifisso di Campi è visibile in una foto pubblicata da Fabbi (1963, p. 238). 31 Previtali 1991, pp. 76-80; importanti considerazioni sono espresse sul Maestro di Visso e posto in relazione alla Natività di Tolentino da Neri Lusanna (1992); Lunghi (2000 p. 91-98) interviene sull’argo-mento e rendo noto un altro esemplare al Seminario Vescovile di Foligno; il Maestro è analizzato anche da Curzi (2005); un prospetto, con sottogruppo spoletino è approfondito da Benazzi (2005, p. 55), si è continuato a parlare del Maestro del Crocifisso di Visso in Benazzi 2014, p. 109; Lunghi 2002, pp. 248-250; Neri Lusanna in De Marchi-Giannatiempo Lopez 2002, pp. 150-151; Zappasodi 2013, p. 291; gli esempi della Valnerina sono citati in Mor-Tigler 2010, p. 62, nella trattazione della crocifissione in Umbria per tale secolo.32 Fratini 1983, p.38; Ceccarelli 1993, pp. 49-50 ; Fratini 1997b, p. 295 (qui l’opera è stata avvicinata

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avvicinabile per impacciata gestualità all’altra santa uscita forse da bottega nursina in piena stagione tardogotica, proveniente da San Pellegrino: la santa Giuliana ora alla Castellina di Norcia, con raffinato ornamento a ricami in veste33. Notevoli sono le sculture nella facciata della chiesa di San Benedetto a Norcia, raro esempio di opere in pietra per la seconda metà del secolo in questione, raffiguranti i “sovrani perpetui” della città, Santa Scolastica e San Benedetto, e nella lunetta la Madonna col Bambino e angeli 34 (13). Stessa iconografia è ripresa, ma con due devoti al posto degli angeli, di qualità minore, in area rurale nursina: una piccola edicola sempre in pietra a San Marco nella chiesa intitolata al santo35. A tal proposito nel vicino paesino di San Pellegrino, in un prezioso volume degli anni ottanta relativo al borgo, è stata fotografata l’interessante Madonna di Montesanto 36, di ridottissime dimensioni, stilisticamente vicina ai santi in facciata a San Benedetto (14). Qui possiamo aggiungere i nuovi dati sulle opere che arricchiscono questo lasso tempo-rale (schede I, II, III).Varcando la soglia del XV secolo è presente al Museo della Castellina di Norcia, la Vergine Annunziata attribuita a Jacopo della Quercia37, proveniente dalla collezione Massenzi, con l’unico problema, non affatto irrilevante, della sua collocazione origi-naria ignota. Il ricco patrimonio privato di reperti archeologici e storico artistici, ac-cumulato dai primi del Novecento dal medico-chirurgo Alfredo Massenzi, passò di padre in figlio e infine, nel 2001, venne donato alla città di Norcia dove la famiglia aveva le radici. Nella collezione è presente una terracotta raffigurante San Francesco, di spinosa lettura, che tradisce le sue forti ascendenze fiorentine di fine XV secolo, anche se trapela una consistente base gessosa sottostante. Lo stesso Massenzi non a caso dichiarò di aver messo su la statua con alcuni frammenti che possedeva38; altre preziose opere sono presenti nella collezione39.Prendiamo ora in considerazione un caparbio San Sebastiano (15) al polo museale casciano, quasi un rebus, oscillante per datazione e scuola. Le voci critiche sul mar-tire ligneo vedono in Cordella la proposta più accreditata, egli rilegge il santo avvi-cinato al suo debutto critico ad influenze venete, sotto la guida di Antonio Rizzo, attribuendolo poi allo scalpello di Nicola da Siena, pittore e forse anche scultore attivissimo in questa regione appenninica. Questo nell’encomiastica iscrizione del ciclo pittorico da lui eseguito in Sant’Antonio Abate di Cascia, ci informa che

afli affreschi del maestro di Monteleone di Spoleto); Fratini 1999a, pp. 44-46; Fratini-Sensi-Tosti 2002, pp. 199-201; Delpriori 2010 (come opera del Maestro di Cesi).33 Cordella 2002, p. 46. 34 Cordella 1995, p. 22; Zappasodi 2013, pp. 291-294.35 Cordella 1995, p. 183.36 Severini 1988, n.13; Cordella 1995, p. 171; F. Porena-C. Coletti in Coletti-Tosti 2013, p. 201.37 Bellosi 2005, p. 111. Attribuzione a scuola senese già proposta da Mercurelli Salari (2005, pp. 112-117).38 Mercurelli Salari 2006, p. 46. 39 Ibidem.

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supera in arte il pittore Pirgotele e lo scultore Policleto40. D’aiuto è il parallelismo con un San Quirico (16) datato 1463 in Sant’Agostino di Norcia, attribuito al pittore nursino Giovanni Sparapane, per immergere il martire di Cascia in un possibile lasso temporale. Gli esempi di San Sebastiano umbri o appeninici sono svariati41, uno su tutti il santo omonimo nella chiesa di San Pietro a Collestatte nella provincia di Terni (17), noto agli studi, anch’esso cronologicamente incerto può essere avvicinato ad un affresco datato 1464 (18) in San Salvatore di Campi a Norcia, dove taglio di capelli, posa e perizoma sembrano in stretta relazione con tale modello. Articolate vicende temporali si ravvisano anche in alcune sculture in trono; il Sant’Andrea di Campi al diocesano di Spoleto, dato alla bottega dei pittori nursini Sparapane42, qui riletto in maniera più approfondita (scheda VI), e il Sant’Eutizio in Preci (19) attribuito ancora a Nicola da Siena43. Oltre ai due sopracitati, di santi in trono, ne abbiamo le produzioni di stampo locale in Valle Castoriana nelle località di Todiano con il quattrocentesco San Bartolomeo (chiesa di San Bartolomeo)(20), Poggio di Croce con il cinquecentesco Sant’Egidio (chiesa di Sant’Egidio)(21), trattati da Fabbi44 e il Sant’Antonio Abate nell’omonima chiesa di Cascia, dalle cadenze ancora goticheggianti della prima metà del Quattrocento da poco discusso nel catalogo del polo museale45 (22).Ancora una volta Romano Cordella in Valnerina è fondamentale per arrivare al nome di Giovanni Dalmata per l’Altare della Madonna della Palla in Sant’Agostino a Nor-cia, finemente scolpito in pietra “caciolfa” nel 1469, da un artista noto e richiesto da alcune delle più importanti committenze italiane46. Si tratta della sua seconda opera italiana, dopo le sculture del tempietto di Vicovario e prima della feconda stagione romana. Smembrato l’altare in epoca imprecisa, se ne conservano i frammenti al

40 Il San Sebastiano è presente in Gnoli 1908, p. 74; venne attribuito ad Antonio Rizzo da Morini (1911; 1913, p. 54); studiato anche da De Francovich (1928-29) come opera locale e messa in relazione ad altre opere di stesso soggetto nell’Appennino centrale, connotate da schemi che derivano dall’arte pa-dovano-mantegnescha interpretata poi in particolare da Antonio Rizzo. Cordella (2001, p. 186) e Fratini (2003, pp. 692-693), propongono l’attribuzione a Nicola da Siena, per approfondire l’argomento: E. Mancini in Museo di Palazzo Santi... p. 112, con bibliografia precedente. L’opera proviene o dall’oratorio della confraternita della Buona Morte accanto alla chiesa di Santa Maria o da Sant’Agostino. Non trovo riscontro nella proposta avanzata da Francesco Ortenzi e trattata da Eleonora Mancini, nell’avvicinare il San Sebastiano di Cascia con il gruppo scultoreo nel Santuario della Madonna di Carpineto a Pieve Torita in provincia di Macerata. I due casi messi in relazione hanno punti di contatto puramente temporali e vivono isolati, mossi da linguaggi intrinseci. Per un profilo su Nicola da Siena pittore si rimanda a Fratini (2003, p. 692, nota 11) e Museo di Palazzo Santi… pp. 167-178.41 De Francovich 1928-29. Di riflesso l’argomento è analizzato da Fratini 2005, pp. 51-52; Principi 2012, p. 127, nota 67; Gentilini 2013, p. 19.42 Fratini 2003, p. 707.43 Il santo è stato attribuito a Nicola da Siena da Fratini ed è pubblicato in Pirri 1960, p. 168; Fabbi 1963, p. 107; Cordella 1995, p. 137; Fratini-Sensi-Tosti, 2002 pp. 226-231; Fratini 2003, p. 706; Men-zionato anche in Gentilini 2013, p. 17.44 Fabbi 1963, p. 176, p. 76. Il Sant’Egidio è presente anche in Cordella 2006, p. 72 e Cordella 2011.45 E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… p. 149.46 Cordella 1981.

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Museo della Castellina, pervaso da un robusto linguaggio personale, libero da pre-stabiliti classicismi47(23). Rimanendo nella parentesi dei materiali nobili, dalla chiesa di Santa Scolastica giunge a noi la rappresentazione della sorella di San Benedetto in caratteri rinascimentali, ma in condizioni ormai compromesse48(24).L’esplosione e la vitalità artistica irraggiata nel Quattrocento sono visibili in gran parte delle chiese dell’area qui analizzata dove frequentemente si conservano bran-delli, lacerti e più raramente cicli completi di affreschi che denotano e rispecchiano la grande fortuna di una penisola intera. Non è raro incontrare la “fronda antiri-nascimentale” che ha lasciato tracce indelebili di uno stile arcaico, di stampo for-temente conservatore49. Il connubio e l’intreccio di artisti spesso forestieri, messo in luce nel 198750, si rivela nel ciclo raffigurante le Storie della Passione di Cristo di Nicola da Siena a Cascia che ne costituisce una lampante epifania. Nel versante opposto si ribadiscono le pluralità di tendenze in pregevoli opere toscane, presenti in Valle Oblita o Castoriana, una “zona” tra il Comune di Norcia e Preci: Giovanni del Biondo, Neri di Bicci, Filippino Lippi e Piero di Cosimo, le cui pale presenti nel Museo Diocesano di Spoleto e nella Galleria Nazionale dell’Umbria rendono bene l’idea di quanto fosse avanzata l’estetica religiosa51. La rinascenza fiorentina è importata anche dall’artista Saturnino Gatti, abruzzese di origini, che vanta im-portanti lavori in pittura e scultura e particolari rapporti stilistici con la Firenze del Rinascimento52. Egli diffonde una cultura eclettica e verrocchiesca, nei frammenti superstiti di Cascia in Santa Margherita e presumibilmente anche nel perduto ci-clo di Norcia in Santa Maria Argentea. Qui a tal proposito possiamo aggiungere, in terreno scultoreo, la straordinaria opera rinata grazie a questo studio in Abeto di Preci, attribuibile all’artista fiorentino Giovanfrancesco Rustici (scheda IX). Le raccolte museali presenti conservano ciò che si è fatto strada nel tempo arrivando a noi in uno splendore qualitativamente insigne, non è effimero riflettere sulla cen-tralità e magnificenza di un apparato scultoreo rinascimentale elitario. Le direttrici sono molteplici: dalle due robbiane nursine rappresentanti l’Annunciazione che, con la loro lucentezza plastica e coloristica, costituiscono il primo esempio noto in Valnerina, di uno dei supporti artistici più duraturi e apprezzati del Rinascimento53

47 G. Benazzi in Casciaro 2006a, p. 124, con bibliografia precedente.48 Presumibilmente frutto di bottega locale, l’opera è molto vicina agli stilemi rinascimentali abruzzesi, fu pubblicata in foto solo nel 1981 (AA. VV. Gli affreschi della chiesa di Santa Scolastica a Norcia, “Una Mostra un Restauro”, p. 113).49 Zeri 1961, pp. 41-64. 50 Cordella 1987. Il documento notarile attesta la costituzione di una società composita, impegnata ad affrescare la tribuna della chiesa di Sant’Agostino a Norcia: Bartolomeo di Tommaso, il senese Nicola di Ulissa, Andrea Di Giovanni’de Leccio’ (Delitio), il dalmata Giambono di Corrado da Ragusa, il tedesco Luca di Lorenzo ‘De Alemania’. 51 Casale 1989.52 Per un resoconto aggiornato sulla figura artistica di Saturnino Gatti: Boffi 2008; Principi 2012; Ar-bace 2012; Pezzuto 2013; Bologna 2014; Principi 2015.53 S. Giordani in Tartuferi - D’Arelli 2015, pp. 276-7, (con bibliografia precedente). L’Annunciazione

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(26), si passa ad un’altra terracotta invetriata anch’essa di inizio XVI secolo, attesta-ta da Fabbi54 proveniente dal paesino di Ceseggi nel Comune di Sellano, opera di un “plasticatore di zona” artefice della Madonna col Bambino in questione55 (27), e infine ai legni scolpiti, attribuiti alla bottega marchigiana di Domenico Indivini. Ne abbiamo esempio a Norcia nel Museo della Castellina con il San Sebastiano pro-veniente dalla chiesa di Sant’ Agostino56 la cui più alta rappresentazione, l’Arcan-gelo Raffaele con Tobiolo di Cascia57 (28), tocca l’apice espressivo e formale di tale scuola. L’insieme di artisti ha fatto della duttilità del legno un cavallo di battaglia; un altro Rinascimento che, traendo spunto da fonti comuni, viaggia e si modella isolato come una delle più alte e geniali testimonianze dell’arte italiana. Sfocia dal punto di vista critico nel preziosissimo volume, dedicato ai maestri del legno tra le Marche e l’Umbria rinascimentale, a fronte della mostra a Camerino58. L’ultimo contributo critico riguarda uno scultore prossimo a tali botteghe, in un San Rocco a Logna di Cascia nella chiesa di San Giovenale59, a cui si aggiunge il pressoché inedito San Sebastiano di Ancarano (scheda VII).Prendiamo ora in considerazione le “riflessioni” a seguito della mostra Rinasci-mento Scolpito tenutasi a Camerino, in occasione della quale è stata messa in luce la statuaria quatta, ma ugualmente di pregio, nata da artisti locali dediti all’intaglio di opere stazionarie nei nicchioni ad esse dedicati60. Tre esempi provengono da Serravalle di Norcia, due conservati in Santa Maria Argentea a Norcia e uno anco-

in terracotta invetriata proviene dalla chiesa dell’Annunziata di Norcia, è attibuita ad Andrea e Luca della Robbia “il giovane” (Gentilini 1992, p. 330; A. Bellandi in Gentilini 2009, pp. 346-7).54 Fabbi 1977b, p. 574; la terracotta è pubblicata anche in Giacchè 2003, p. 338.55 A. Bellandi in Casciaro 2006a, p. 226.56 Benazzi 2005, p. 58; G. Capriotti in Casciaro 2006a, p. 186, con bibliografia precedente. 57 E. Mancini in Museo di Palazzo Santi... pp. 179-181, con bibliografia precedente. Visibile ora nel coro di Sant’Antonio Abate in Cascia, proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino; attribuito ad Antonio Rizzo da Morini (1911; 1913, p. 75); connotato da schemi che si ritrovano anche nell’arte veneta, come opera più autorevole viene messa in relazione ad un gruppo scultoreo umbro-marchigiano, dove in un per-corso critico di scomposizione e individuazione De Francovich (1928-29) vi trova in Francesco Laurana, Piero della Francesca e Agostino di Duccio le radici; Casciaro (2005) in un primo momento al convegno di Pergola del maggio 2002, propone di inserire il San Raffaele nel catalogo del Maestro della Madonna di Macereto (per approfondire l’argomento sul Maestro di Macereto si veda Casciaro 2006a, pp. 140-142), poi propone l’attribuzione a Domenico Indivini (2006a, pp. 171-173), sviluppando l’accostamento trat-tato da Neri Lusanna (1999, pp. 26-27), tra il San Raffaele di Cascia e il San Sebastiano conservato in San Rocco a San Severino (che grazie a dei documenti lo si può riferire a Domenico Indivini). L’accostamento non trova favore nel parere di De Marchi (2002, p. 98), che accetta il gruppo casciano opera del Maestro della Madonna di Macereto, ma nega che possa trattarsi di Indivini e nota nei due casi, tendenze scultoree diverse. Va segnalato per tale argomento il supporto critico di Paciaroni (2007), egli sostiene una lettura impropria dei documenti, mettendo in discussione alcune certezze della mostra Rinascimento scolpito. Maestri del legno tra Marche e Umbria…58 Cfr. Casciaro 2006a.59 Gentilini 2013, p. 22.60 Cordella 2006, pp. 70-73. In questo breve ma utilissimo contributo vengono elencate le opere lignee rinascimentali inedite o poco note nel nursino-casciano.

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ra in loco dà il nome alla chiesa: un San Pietro di metà Cinquecento prettamente rurale (32) similare di un pacato santo in trono alla Parrocchiale in Puro di Cascia. I santi di Serravalle ora a Norcia, un San Claudio e un San Rocco (29) sono opere di fine XV e XVI secolo61. Da notare il panneggio del San Rocco, alquanto lavorato in artificiose acciaccature; probabilmente possono essere attribuiti alla stessa bot-tega attiva in zona anche i santi: Rocco in Abeto di Preci (chiesa di San Martino) pubblicato da Fabbi62 (30), Sant’Egidio di Poggio di Croce e San Rocco di Serravalle precedentemente trattati. Queste prove plastiche ascrivibili ad intagliatori locali, rasentano nella tecnica il modellato di un’opera a Todiano di Preci con probabile nome dell’artefice: Giacomo di Giovannonofrio Iucciaroni da Norcia63 (31). Come un binario, la sorella pittura viaggia insieme in un lavoro di bottega che frequen-temente ingloba le due arti. Maestri nursini lasciano nella città cinta da mura, una maniera pittorica influenzata dal fervore di quegli anni a cavallo tra i secoli XV e XVI, illuminando la città: Giovan Battista di Giannonofrio Iucciaroni, Giacomo di Giovannonofrio Iucciaroni e tutta la famiglia degli Sparapane64. Proprio alla fami-glia degli Iucciaroni è ipotizzabile attribuire l’inedita attività di intaglio, nata grazie a questo studio (schede XI, XII, XIII), aggiungendovi per cronologia un esemplare poco noto sempre nell’area nursina (scheda XIV).Approdiamo cronologicamente ad uno degli ultimi studi, questo riguarda la Valle Castoriana, inerente i due Crocifissi riferiti al toscano Benedetto da Maiano65. Scul-tore architetto e legnaiolo fu attivo con importantissime commissioni nella peni-sola alla seconda metà del Quattrocento, di lui si conservano ancora gli splendidi soffitti della Sala dei Gigli e della Sala dell’Udienza in Palazzo Vecchio a Firenze. I Crocifissi sono rispettivamente ancora a Todiano (33) (proveniente dalla chiesa di San Montano), nella foto in bianco e nero è visibile la sua primitiva collocazione oggi snaturata e ad Ancarano nella chiesa della Madonna Bianca (34). Quest’ul-timo luogo è conosciuto per la Madonna col Bambino o Carità in marmo bianco, di Francesco di Simone Ferrucci (25), personalità di primo spicco per la scultura

61 Una mostra un restauro, Norcia, 2011. In questo piccolo volume curato da Romano Cordella e Bru-no Bruni per il restauro delle opere, si avvicina di nuovo al San Rocco di Serravalle il Sant’Egidio di Poggio di Croce, precedentemente trattati in Cordella 2006. Si noti il carnoso volto del giovane San Claudio pro-veniente dalla chiesa di San Claudio in Serravalle, che di nuovo ritroviamo nelle figure trattate alle schede XI, XII, XIII. Il San Rocco fa la sua prima apparizione critica in De Francovich 1928-9, p. 490. 62 Fabbi 1963, p. 143; AA. VV. Manuali per il Territorio 1997, p. 227. L’opera citata con precisa data-tazione (1595), tranne in questi due casi non è stata più presa in esame.63 Un documento attesta il suo lavoro a Todiano, preso in esame da Cordella (2001, p. 181) e Benazzi (2006a, p. 93), la Madonna col Bambino è presente anche in Fabbi 1963, p. 165. Dalle notizie relative all’artista presenti in Cordella 1990, pp. 244-245, sappiamo che dipinse una statua di Sant’Antonio Abate intagliata in precedenza da Giovanni Antonio di Giordano. Per approfondire l’argomento riguardante l’intaglio ligneo, per arredi, ornamentazioni e scultura, si vedano le maestranze attive in Valnerina e zone limitrofe, rinate grazie alle scoperte documentarie in Cordella 2001, pp. 178-197.64 Per un resoconto generale sulla pittura tra Medioevo e Rinascimento in Valnerina: Cordella 1990; Benazzi 1990; Fratini 1997b; Cordella 2003; Fratini 2003.65 Delpriori 2012.

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italiana rinascimentale66, maestro itinerante attivo a Firenze, in Romagna, Umbria e Marche; l’operato dello stesso Ferrucci si può ravvisare anche nel Crocifisso recente-mente attribuito in Santa Maria a Cascia67. Nell’articolo sui Crocifissi di Benedetto da Maiano, in nota68, si parla di altri tre esemplari dislocati tra Castelluccio (Santa Maria), Legogne (San Martino)(35)69, e la chiesa del Crocifisso a Norcia (36). Pur se ritenuti vicini all’arte di uno stesso autore, il nursino Giovanni Antonio di Gior-dano, i due esempi presenti a Legogne e nella chiesa del Crocifisso sono da ritenersi di distinte orbite artistiche, mentre quello della chiesa del Crocifisso è visto da Lunghi come opera di Giovanni Teutonico70.Continuiamo la trattazione del Cristo Crocifisso, che, insieme al Cristo Bambino nel grembo della Madonna, è l’iconologia più diffusa, dove in Santa Maria Argentea a Norcia si cela l’esempio più citato dalla critica in Valnerina per l’artista identificato col nome di Giovanni Teutonico71 (37). Si tratta di uno dei tantissimi esemplari della seconda metà del XV secolo, in corso di studio72, sparsi in Italia e numerosi in Valnerina, che colpiscono per il loro patetismo, il fitto reticolo di vene e os-suta anatomia. La critica che da tempo si cimenta su tale argomento73, riscontra

66 Pisani 2007, pp. 133-134.67 Gentilini 2013, p. 20.68 Delpriori 2012, nota 32.69 il Crocifisso è presente in Comino-Iambrenghi 2013, p.139.70 Il Crocifisso è citato in Lunghi in Casciaro 2006a, p. 164. Il Crocifisso è citato anche in Cordella 1995, p. 65; Cordella 2002, p. 75; Sapori 2009, p. 447 nota 18. Ritengo plausibile l’ipotesi di Delpriori per il Crocifisso della chiesa del Crocifisso, ma non concordo sulla possibilità che il Crocifisso di Legogne sia dello stesso autore per difformità stilistiche visibili nei due casi, nè tantomeno con la proposta di Lunghi, per stessa motivazione. Sapori (2009, p. 447 nota 18) come altri esempi elencati, ritiene i Crocifissi di Castel-luccio e chiesa del Crocifisso opere di intagliatori locali.71 Cavatorti 2012/2013 p.132, con bibliografia precedente; si veda anche Lunghi in Casciaro 2006a, p. 164; il Crocifisso è stato trattato anche in Gentilini 2013, pp. 18-19; importanti considerazioni in relazione a delle scoperte documentarie sono espresse in Cordella 2001, p. 191-192.72 La delicata vicenda è in fase di studio grazie al dottorato condotto da Sara Cavatorti, la stessa farà chiarezza su alcuni punti tramite una prossima pubblicazione. Altro esemplare è conservato al Museo di Palazzo Santi a Cascia: E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… p.110, con bibliografia precedente; svariati esempi sono di nuovo nella città di Norcia: due in Santa Maria Argentea (uno è quello sopraci-tato), uno in San Filippo, Sant’Agostino, nei depositi di San Benedetto e Castellina, poi a San Claudio in Serravalle di Norcia non più in loco e Monteleone di Spoleto in San Franceso, Sant’Andrea a Campi di Norcia, piccolo esemplare è al Museo di Ansano Fabbi a Todiano, elencati in Cavatorti 2012/2013, con bibliografia precedente. Altri esempi di carattere locale sono in Sant’Agostinuccio di Norcia, San Giovenale in Logna di Cascia, Sant’Ippolito in Fogliano di Cascia, Savelli di Norcia in San Michele Arcangelo. Poco noti sono dei piccoli Crocifissi di tali botteghe e ambiti, numerosi nelle chiese della Val-nerina, non alti più di 85cm: Poggio di Croce in S.Egidio, Cortigno in S.Michele Arcangelo, oratorio di Savelli in S.Michele Arcangelo, Valcaldara in S.Maria, Castelvecchio in S.Giovanni Battista, S.Giorgio in S.Giorgio, Atri di Cascia in S.Gregorio (40, da poco restaurato). Le stesse ridotte dimensioni le ritro-viamo anche nell’interessantissima trattazione dei Vesperbild elencati in: E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… pp. 107-108.73 Per avere un generale resoconto sulle opere e vicende critiche si veda: Lisner 1959-60; Ferret-ti-Colombi 2000; in particolare Lunghi (2000) e Marchi (2002); Marcelli in De Marchi-Giannatiempo Lopez 2002 pp. 254-256; Fachechi in De Marchi-Giannatiempo Lopez 2002, pp. 255-256; Francescutti

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commissioni a lui riferibili in un’area geografica molto vasta, da Salò a Roma, dal 1449 al 1494 anche se, data l’enorme diffusione del nome Giovanni e la genericità dell’appellativo, si è riflettuto su un possibile caso di omonimia. L’elenco di opere conosciute è costituito da oltre quaranta sculture gran parte delle quali proprio in Umbria; a tal proposito degno d’attenzione è il parallelismo, recentemente affiora-to, che collega le componenti tedesche di quei Crocifissi ai molteplici San Sebastia-no presenti nell’Umbria meridionale74. Due Crocifissi inediti di tale bottega sono visibili a Poggio di Croce (38) e in San Carlo Borromeo a Poggiodomo; un altro esempio poco noto è presente in San Francesco a Monteleone di Spoleto (39), che dialoga nella stessa chiesa, con stesso soggetto iconografico sempre scultoreo di poco più antico75. Finiamo per giungere al deposito museale casciano, qui si conserva il Crocifisso meglio conosciuto come opera del Maestro dei Crocifissi Francescani76, per il quale come per tanti esempi di suddetta disciplina d’intaglio, si ravvisa l’indecisione e l’incertezza, per assente documentazione, a stabilirne il luogo di produzione. Manifestazioni fino ad ora note presenti in Montefalco, Isola Maggiore, Cascia e altro esemplare affine a Gualdo Tadino, discussi a seguito del ritrovamento di un Crocifisso vicino a tale tipologia (scheda V). Di un altro Cro-cifisso inedito il comune di Cascia è protagonista, nell’Umbria quattrocentesca se ne riscontrano due esempi analoghi, uno a Perugia e uno nei pressi di Umbertide (scheda X). Certezza assoluta si ha nell’equiparare il territorio ad una spugna che assorbe i tanti canali disponibili, abbeverando il vasto comprensorio. Altra certezza è la dipendenza dai modelli figurativi abruzzesi: come un manto stellato coprono gli edifici di culto, in cui la Madonna col Bambino è punto fermo di un’intera co-munità. Sono noti i diversi esempi di tale stampo presenti nel comune di Cascia; uno a San Giorgio (41), proposto come primizia di Silvestro di Giacomo detto Silvestro dell’Aquila77, personalità di primo rango per la scultura rinascimentale in terra d’Abruzzo78, altro a Sant’Ilario di Chiavano (ormai distrutto) (42)79, ed ancora il frammento dato a Paolo Aquilano80 (43), considerato fra i più alti e

(2004) e (2006); Benati 2005; Mazzalupi 2008;Sapori 2009; E.Mancini in Museo di Palazzo Santi… pp. 110-111; Cavatorti 2012/2013.74 Principi 2012, p. 127, nota 67; Gentilini 2013, pp. 18-19.75 Corona 1980, pp. 48-52; Sapori 2009, p. 447, nota 18.76 E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… p. 109, con bibliografia precedente.77 Gentilini 2013, p. 20; la Madonna di San Giorgio è genericamente segnalata come opera di XVI secolo in Fabbi 1975a, p. 440.78 Per uno sguardo aggiornato sull’arte abruzzese e aquilana: cfr. Maccherini 2010.79 Gentilini 2013, p. 20, totalmente ignorata dalla critica precedente. Mobilitatomi per un più degno e sicuro alloggio mai arrivato, rispetto che in una chiesa abbandonata, cade nella più incomprensibile delle sorti.80 Santangelo 2006; attribuzione confermata anche da Di Gennaro (2010, p. 311) e E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… p. 113, con bibliografia precedente; la testa riscoperta nel 1987 da Giordana Benazzi, conservata in un armadio nella chiesa di Santa Maria in Cascia, raffigurava molto probabilmente la Madonna in adorazione del Bambino, secondo la tipologia abruzzese del tempo. Per possibile confronto si

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rappresentativi seguaci di Silvestro. Essi fanno nascere una serie di prove che guar-dano a quella cultura figurativa, in Acquacanina nelle Marche, Atri e Avendita di Cascia, queste si uniscono ad una nuova scoperta (scheda VIII). Abbiamo poi un altro gruppo di successiva datazione dai modi più grossolani e popolareggianti, dislocato tra Ocosce di Cascia (44), Savelli di Norcia (45), Legogne di Norcia (46 prima del furto del bambino), questa datata 1575, Fiastra nella provincia di Macerata e la Madonna della Misericordia in San Pietro a Leonessa, nel Lazio81. Di ambito differente, presumibilmente umbro-marchigiane sono invece le Madonne col Bambino di Collegiacone in Cascia82 (47), (che con le sue reminescenze tardo-gotiche trova una doppione al Duomo di Terni, ora in uno spazio espositivo sulla piazza della Repubblica) e Collescille di Preci (48)83, quest’ultima è vista come frutto di un seguace del Maestro della Madonna di Macereto, a cui fa capo la raf-finata Madonna col Bambino proveniente dal Santuario di Macereto nelle Marche a poca distanza da Visso. Al confine tra Umbria e Lazio esattamente in Terzone di Leonessa, genera magnificenza l’unica e isolata opera di un artista casciano ancora di stampo abruzzese, nella chiesa di San Venanzio, noto grazie ad Ansano Fabbi che trascrive l’atto notarile dell’arch. di Stato di Rieti,“Magister Marinus Iohannis Frascha de Civitate Casce” 152184 (49).Ancora in terreno scultoreo la Madonna col Bambino di Castelluccio eseguita dal nursino Giovanni Antonio di Giordano nel 149985, dà un’eco prorompente nel panorama nazionale alla produzione nursina di quel periodo, considerata dalla critica come uno dei più importanti capolavori nell’Umbria meridionale86. A tale proposito nella biblioteca comunale di Cascia è conservato parte del fondo foto-grafico di Agostino Serantoni, storico casciano, profondo conoscitore di queste

veda la Madonna col Bambino alla Galleria antichi maestri pittori di Torino in Ferretti 1990; Arbace (2012), la ritiene di Saturnino Gatti; Benazzi (2006a, pp. 93-95, nota 25), la riferisce a Silvestro dell’Aquila.81 Il gruppo con l’aggiunta del San Pietro di Serravalle, è stato approfondito da Gentilini (2013, p. 22). Le opere ad esclusione di Ocosce e della Madonna della Misericordia in San Pietro di Leonessa, sono già state variamente riunite e riferite al contesto nursino da Benazzi (2005, pp. 63-64), Mastrocola (2006, p. 230) e Cordella (2006, p. 71). La Madonna di Legogne è conservata a Norcia nella chiesa-deposito di Santa Rita.82 Morini (1909; 1913, p. 93) la ritiene vicina a l’arte lombarda o aquilana, nella foto del 1909 è visi-bile la sua primitiva collocazione all’interno di un tabernacolo ligneo di Cinquecento inoltrato, attribuito da Fabbi (1975, p. 304, p. 392) agli Angelucci da Mevale. Studiata da De Francovich 1928-29, p. 498; Fabbi 1975a, p. 392; argomentata da Benazzi (2006a, pp. 92-93), Gentilini (2013, p. 23), E.Mancini in Museo di Palazzo Santi… p. 181; pubblicata anche da F. Porena- C. Coletti in Coletti-Tosti 2013, p. 112. La Madonna presenta una datazione intorno alla seconda metà del XV secolo.83 Casciaro 2006a, pp. 150-151, con bibliografia precedente.84 Fabbi 1975a, p. 390; l’opera è trattata anche in Cordella 2001, p. 180 e in Gentilini 2013, p. 22.85 Cordella 1990, p. 224. Attualmente visibile nella chiesa di Santa Maria Assunta in Castelluccio di Norcia, l’identificazione dell’artista è stata possibile grazie al rinvenimento del regesto documentario.86 Proposta come frutto della collaborazione tra Giovanni Antonio di Giordano e Saturnino Gatti da Marcelli in Garibaldi-Mancini 2009, p.130. La presenza di Saturnino Gatti a Norcia fu rivelata da Pertini (1961, pp. 3-7); il sodalizio, in alcuni lavori perduti è stato reso noto da Cordella (1990, pp. 224-225, p. 244; 2001 p. 182, p. 190) e successivamente sviluppato dalla critica, (Marcelli 1996, p. 84; Marcelli in Garibaldi-Mancini 2009, p. 130; Principi 2012, pp. 108-109).

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terre. Nel Novecento fotografò i maggiori edifici sacri della zona e in una foto ha immortalato la Madonna prima del furto del Bambino, questo in posa distesa tra le ginocchia della madre (50).Sempre in tale raccolta sono venute alla luce le foto della volta andata distrutta nel corso del Novecento della chiesa di Santa Margherita in Cascia (51), due pareti attualmente conservano i frammenti pittorici delle storie della santa attribuiti a Saturnino Gatti. Nella volta vennero raffigurati i quattro evangelisti, di arduo rico-noscimento, visto le qualità delle foto e lo stato precario delle pitture, riconducibili presumibilmente al documentato dualismo tra Giovanni Antonio di Giordano da Norcia e Saturnino Gatti87. Allo stesso Giovanni Antonio di Giordano, sempre a Cascia, viene attribuita un’opera pregevolissima, un San Bernardino da Siena rina-to da una scoperta fortuita pochi anni or sono88 (52). Esuberante di naturalismo e monumentale nella sua fiera e perfettamente tornita plasticità, lo si piazzerebbe a fianco ai maestri di primo rango rinascimentale in terra toscana. Rimanendo in tale ambito è stato da poco attribuito alla mano di Saturnino Gatti il Santo li-gneo passato inosservato nella chiesa di San Procolo ad Avendita di Cascia89 (53). Fiorentineggiante nella statuaria posa, degno di pesante stupore critico, lo stesso stupore che vanta questa terra marchiata a fuoco dal passaggio umano da epoca preistorica fin ai giorni nostri. Limitante è la nostra visione, che poco si avvicina alla comprensione della forte devozione popolare trascinatasi per secoli, tra genti nate e vissute in piccoli paesini dediti a rurali e agresti abitudini.Il nostro filo conduttore di arte e devozione ci porta nel Cinquecento inoltrato, qui possiamo godere di tre squisiti esemplari raffiguranti la Madonna col Bambino, frutto di artisti che gravitano in quest’area geografica; uno al museo dedicato ad Ansano Fabbi a Todiano90 (54) stilisticamente vicina alla Madonna di Riofreddo in Visso trafugata e a distanza di tre decenni recuperata, uno a Forsivo in Sant’Apol-linare datata 153191 (55) e uno al Museo dell’Abbazia di Sant’Eutizio (56). Termi-niamo con lo straordinario San Martino (in terracotta) di stampo abruzzese, pres-soché inedito, in San Martino a Legogne di Norcia (57) anch’esso di XVI secolo92. Sarà motivo di successivi studi per mano di chi scrive, analizzare un nutrito grup-po di opere della finire del Cinquecento e inizi Seicento da assegnare alla bottega dei lignari Giacomo e Cesare di Sabatino Tardini da San Giovanni in Persiceto che

87 Il ciclo, passa di attribuzione da Piermatteo d’Amelia a Saturnino Gatti con possibile collaborazione di Giovanni Antonio di Giordano da Norcia in Marcelli 1996, p. 84; per un resoconto sulle vicende cri-tiche degli affreschi: Principi 2012, p. 126, nota 61. 88 Cordella 2006, pp. 70-72; Principi 2012 p. 109 (con possibile cooperazione di Saturnino Gatti); E. Mancini in Museo di Palazzo Santi… p. 115; di provenienza incerta l’opera fu rinvenuta da Fulvio Porena e Daniele Di Lodovico nei depositi comunali.89 Principi 2012, p. 109; Gentilini 2013, p. 23.90 Fabbi 1963, p. 164.91 Cordella 1995, p. 144.92 Fabbi 1963, p. 76; Cordella-Pertini 1978, p. 93; Cordella 1995, p. 141.

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dal contado di Bologna si trasferiscono nel Castello di Campi. Il 15 maggio 1607, la confraternita di Sant’Agostino di Norcia affidò loro la realizzazione del soffitto ligneo dell’oratorio, conosciuto oggi come Sant’Agostinuccio93. Le figure dei santi a rilievo, presenti nel soffitto, si legano ad altri esempi in Valnerina: una Vergine Lauretana a Montebufo di Preci datata 159994 (58), un presepe a Ospedaletto di Norcia95, una Madonna col Bambino a Frascaro di Norcia, il pannello centrale del polittico proveniente da Sant’Andrea in Campi ora al Museo Diocesano di Spo-leto96, una scultura ai depositi della Castellina di Norcia e la Santa Caterina a San Pellegrino di Norcia97(59).La carrellata di opere dà conto della quantità di manufatti fortunatamente ancora presenti, ma dalle tante testimonianze orali di furti, sottrazioni e vendite illecite, si riflette su dati a noi sconosciuti di quanti beni possano essere passati tramite antiquari e altre vie a collezionisti privati. Non sappiamo con certezza quali siano i motivi di questa grande tradizione scultorea, essa si unisce al tema della possibile attività di artisti itineranti, recentemente trattati in un esaustivo saggio che da con-to di un’intera epoca di studi, rivolto all’età Medioevale, riverberandosi anche nel secolo successivo98.

93 Comino-Iambreghi 2006, pp. 108-117; Comino-Iambreghi 2013.94 Fabbi 1963, pp. 70-71. 95 Cordella 1995, p. 160.96 Benazzi 1983, pp. 46-49.97 Severini 1988, n.12.98 Benazzi 2014.

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(1) La Valnerina.

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(2) Madonna col Bambino. Parigi, Louvre.

(5) Madonna del Colera. Spoleto, Museo Diocesano.

(6) Madonna col Bam-bino. Già Ponte di Cer-reto, Santa Maria.

(7) Maestro della Madon-na di Sant’Agostino, Ange-lo reggicandelabro. Cascia, Museo di Palazzo Santi.

(8) Santa Cristina. Spoleto, Museo Diocesano.

(3) Madonne col Bambino (?). Già Campi di Nor-cia, Sant’Andrea.

(4) Maestro della Santa Ca-terina Gualino, Madonna col Bambino. Logna di Cascia, San Giovenale.

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(9) Crocifisso. Forsivo di Norcia, Sant’Antonio.

(13) Madonna col Bambino e angeli. Norcia, San Be-nedetto.

(10) Maestro del Crocifisso di Visso, Crocifisso. Visso, Pi-nacoteca.

(14) Madonna col Bambi-no. Chiesa e convento di Montesanto, San Pellegri-no di Norcia.

(11) Crocifisso. Spoleto, Museo Diocesano. (12) Crocifisso. Spoleto, Museo Diocesano.

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(15) San Sebastiano. Cascia, Museo di Palazzo Santi.

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(16) San Quirico. Norcia, Sant’Agostino.

(17) San Sebastiano. Collestatte (Terni), San Pietro.

(18) San Sebastiano. Campi di Norcia, San Salvatore.

(19) Sant’Eutizio. Preci, Museo dell’Abbazia di Sant’Eutizio.

(20) San Bartolomeo. Todiano di Preci, San Bartolomeo.

(21) Sant’Egidio. Poggio di Croce, Preci, Sant’Egidio.

(22) Sant’Antonio Abate. Cascia, Sant’Antonio Abate.

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(24) Santa Scolastica. Norcia, depositi di San Benedetto.

(23) Giovanni Dalmata, dall’Altare della Madonna della Palla in Sant’Agostino. Norcia, Museo della Ca-stellina.

(25) Francesco di Simone Ferrucci, Madonna col Bambino. Ancarano di Norcia, Madonna Bianca.

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(27) Madonna col Bambino. Ceseggi di Sellano, San Martino.

(26) Andrea e Luca della Robbia “il giovane”, Annunciazione. Norcia, Museo della Castellina.

(28) Domenico Indivini (?), San Raffaele. Cascia, Museo di Palazzo Santi.

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(31) Madonna col Bambino. Todiano di Preci, San Bartolomeo.

(29) San Rocco e San Claudio, già Serravalle di Norcia in S. Pietro e S. Claudio. Norcia, S. Maria Argentea.

(32) San Pietro. Serravalle di Norcia, San Pietro.

(30) San Rocco. Abeto di Preci, San Martino.

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(33) Benedetto da Maiano, Crocifisso. Già Todiano di Preci in San Montano, oggi in San Bartolomeo.

(35) Crocifisso. Legogne di Norcia, San Martino.

(36) Crocifisso. Norcia, chiesa del Crocifisso.

(34) Benedetto da Maiano, Crocifisso. Ancarano di Norcia, Madonna Bianca.

(37) Giovanni Teutonico, Crocifisso. Norcia, Santa Maria Argentea.

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(38) Crocifisso. Poggio di Croce (Preci), chiesa del Santissimo Crocifisso.

(39) Crocifisso. Monteleone di Spoleto, San Francesco.

(40) Crocifisso. Atri di Cascia, San Gregorio.

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(41) Silvestro dell’Aquila (?), Madonna col Bambino. San Giorgio di Cascia, San Giorgio.

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(42) Madonna col Bambino. Chia-vano di Cascia, Sant’Ilario.

(43) Paolo Aquilano (?), Vergine. Ca-scia, Museo di Palazzo Santi.

(44) Madonna col Bambino. Ocosce di Cascia, Santa Maria di Loreto.

(47) Madonna col Bambi-no. Capanne di Collegia-cone, chiesa della Madon-na Apparente.

(45) Madonna col Bambino. Savelli di Norcia, San Michele Arcangelo.

(48) Ambito del Maestro della Madon-na di Macereto, Madonna col Bambino. Collescille di Preci, San Pietro.

(46) Madonna col Bambino. Già Lego-gne di Norcia, Santa Maria Assunta.

(49) Marino di Giovanni Frasca, Madonna col Bambino.Terzone di Leonessa (Rieti), San Venanzo.

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(50) Giovanni Antonio di Giordano da Norcia, Madonna col Bambino. Castelluccio di Norcia, Santa Maria Assunta.

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(51) Giovanni Antonio di Giordano da Norcia (?). Volte della chiesa di Santa Margherita in Cascia ora distrutte.

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(52) Giovanni Antonio di Giordano da Norcia (?), San Bernardino. Cascia, Museo di Palazzo Santi.

(53) Saturnino Gatti, San Procolo. Avendita di Cascia, San Procolo.

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(54) Madonna col Bambino. Todiano di Preci, Museo Ansano Fabbi.

(56) Madonna col Bambino. Preci, Museo Abbazia Sant’Eutizio.

(58) Bottega dei Tardini, Vergine Lauretana. Mon-tebufo di Preci, San Leonardo.

(55) Madonna col Bambino. Forsivo di Norcia, Sant’Apollinare.

(57) San Martino. Legogne di Norcia, San Martino.

(59) Bottega dei Tardini, Santa Caterina. San Pellegrino di Norcia, Parrocchiale.

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Opere inedite e poco note in Valnerina

Schede

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I. Scultore attivo nella prima metà del XIV secolo (?)

Santo Stefano (?)

Legno scolpito

Già Nottoria di Norcia, Santo Stefano. Ubicazione ignota.

Bibliografia: Cordella 1995, p. 179 (?).

La statua oggi non è più presente nel suo luogo originario, ovvero la chiesa di Santo Stefano a Nottoria di Norcia, e la foto in bianco e nero reperita nel catalogo online della Soprintendenza per i Beni Storico-Artistici dell’Umbria è l’unica fonte nota. Probabilmente la scultura è riferibile a ciò che scrisse Cordella nella guida di Norcia e territorio, vedendo tra le due navate una consunta statua lignea del XV secolo. Non se ne trova traccia in loco e la sua datazione si innesta più in un percorso tem-porale trecentesco. Dalla vita in giù cade una rigida veste, segnata verticalmente da linee seriali, con alla base un rocchio ritagliato, che funge da perno. Migliore è la parte superiore, unico attributo è il libro, appoggiato al corpo. Il braccio sinistro scende in basso, il destro piegato al gomito si appoggia sopra la vita e arriva a sfio-rare il fianco opposto. Grazioso in volto, morbido e pacato espressivismo, piccole labbra, occhi allungati, lunghe sopracciglia ricurve. La capigliatura si presenta in un unico blocco. Le influenze che emergono dalla scultura sono essenzialmente riscontrabili nell’Appennino umbro-abruzzese. Una serie di confronti si possono attuare per una giusta lettura; in particolare con la Santa Cristina di Caso (Fratini 1999a, p. 45) simile in volto e di bloccata gestualità, o ancora nel Maestro della Santa Caterina Gualino, nei suoi tratti somatici e nelle arpeggianti mani. Anche il Maestro della Madonna del Duomo di Spoleto argomentato da Previtali (1991, pp. 76-82) con l’esempio di Boston all’Isabella Steward Gardner Museum è stilisti-

camente molto vicino al nostro santo; il tema con partico-lare attenzione all’opera di Boston, è stato trattato anche da Delpriori (2014). Un altro diretto confronto è con la Santa Chiara (1), proveniente dalla Collezione Longari, che Carli (1998, p. 103) avvicinava proprio alla mano del Maestro della Santa Caterina Gualino. In ultimo possia-mo confrontare la scultura di Nottoria con una gradevole Madonna col Bambino a Barisciano (Villa di Mezzo) nella provincia dell’Aquila, questa con le sue fattezze abruzzesi ci fa da guida (Arbace 2011, p. 83). Si propone l’attribu-zione ad un artista di cultura abruzzese, attivo non oltre il quarto decennio del XIV secolo.

(1) Santa Chiara. Collezione privata.

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II. Scultore locale prossimo al Maestro del Valdarno inferiore (?)

Cristo Crocifisso

Legno scolpito e dipinto

Cascia, Sant’Agostino.

Bibliografia: Polia 2014, p.45.

Solo nel 2014, parallelamente a questo studio, è stato reso noto il Crocifisso a gran-dezza naturale in Sant’Agostino di Cascia la cui foto è stata recentemente pubblicata nel volume Cristo in Valnerina (Polia 2014). La stampa dedicata alla vita di Cristo e alle opere d’arte di soggetto cristologico, ne dà un generale riferimento temporale al XV secolo. La scultura si trova sopra l’altare, esili braccia scarnite si aprono in alto oltre la testa con accentuata muscolatura, fortemente tesa nell’avambraccio. Il volto è sofferente, lievemente allungato, i capelli cadono a ciocche sulla spalla e sotto il collo, delicatamente intagliato nella porzione del busto, le gambe sono rigi-de. Il perizoma bianco, con decorazioni color oro, è scolpito con linee parallele. Le suddette pieghe disposte in modo arcaizzante, sono avvicinabili all’arte di Arnolfo di Cambio. Prendendo in considerazione i soli dati stilistici, il nostro Crocifisso si può accostare ai Crocifissi di San Miniato nella chiesa dei santi Michele e Stefano e di Castelfranco di Sotto nella chiesa di San Pietro Apostolo, nel Valdarno inferiore (1). Le affinità sono ravvisabili nell’impostazione della cassa toracica, nel perizoma, nel volto e nell’anatomia delle gambe legnose. Viste le correlazioni con i due so-pracitati, databili al terzo decennio del Trecento, il Crocifisso di Sant’Agostino che non presenta la stessa rinsecchita anatomia è da considerarsi come opera locale, con tendenze arcaizzanti d’ascendenza “toscana”. La bottega da cui derivano i caratteri fondamentali, fu attiva presumibilmente nel Valdarno inferiore visti una serie di esempi, che danno il generale nome al maestro (Tigler 2010, pp. 65-71). Questi impulsi si propagarono nelle zone periferiche fin oltre la metà del Trecento, come dimostrerebbe l’esemplare di Cascia: se da un lato abbiamo un’ottima qualità for-male, dall’altro manca un linguaggio che fonda la naturalezza delle figure con una grande tensione drammatica, risolta però in ritmi pacati. Già nell’ampia cataloga-zione della Lisner (1970, p. 33) è presente l’esempio di San Miniato successivamen-te accostato a quello di Castelfranco da Lotti (1969, pp. 34-36); entrambi trattati anche da Tomasi (2000) che prende in considerazione un esemplare a Montopoli in Valdarno, risentono degli influssi artistici di primo Trecento in particolar modo del Maestro del Crocifisso di Camaiore. Il gruppo con qualche altro esemplare affine è stato infine correlato alle influenze che vanno da Giovanni Pisano, al Maestro di Camaiore e a maestranze tedesche attive nella prima metà degli anni trenta del Tre-cento (Tigler 2010, pp. 65-71). Lo sconosciuto Maestro del Crocifisso di Camaiore ha lasciato notevoli testimonianze della rappresentazione del “Crocifisso doloroso” accentuandone i segni del martirio. Tali modelli fecero la loro comparsa in Italia

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(1) Crocifisso. Castelfranco di Sotto (PI), San Pietro Apostolo.

(1) Crocifisso. San Miniato (PI), Santi Michele e Stefano.

più o meno negli ultimi decenni del Duecento ed ebbero grande fortuna per tutta la prima metà del secolo successivo. Previtali (1991, pp. 100-102) studiò il maestro e gli diede una pertinente collocazione temporale agli inizi del Trecento, egli unì il Crocifisso della Collegiata di Camaiore nella provincia di Lucca, con una Madonna e San Giovanni dolenti precedentemente trattati da Carli (1960, p. 58). Considerati gli attuali confini politici, l’Umbria trecentesca ci ha lasciato svariate manifesta-zioni della Crocifissione lignea, dove maestranze “umbre”, hanno presumibilmente elaborato i sentori e l’importanza del Maestro di Camaiore attivo in Lucchesìa. Negli ultimi anni sono venuti alla luce nuovi esemplari e contributi critici che vedono nell’area lucchese il possibile snodo, culminante con la riscoperta di un eccelso Crocifisso nella collezione Longari, strettamente legato al Crocifisso di Massa Martana a Santa Maria in Pantano (correlati poi a diverse declinazioni “umbre”). Di seguito, è stata esaminata la Crocifissione medioevale lignea nell’antica diocesi di Lucca, ma anche al di fuori di questi confini, formando un vasto e collegato insieme (Mor-Tigler 2010).

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III. Scultore locale attivo intorno alla seconda metà del XIV secolo (?)

Foto 1 Madonna col BambinoLegno scolpito e dipintoCastelvecchio di Preci, San Giovanni Battista.Bibliografia: Fabbi 1963, p. 56; AA.VV. Manuali per il territorio 1977, p. 196.

Foto 2Madonna in trono col BambinoLegno scolpito e dipinto; cm 65x40Già Campi di Norcia, Santa Croce. Campi di Norcia, San Salvatore.Bibliografia: Fabbi 1963, p. 229; Cordella 1995, p. 130.

Oltrepassata la forca di Ancarano tra il comune di Norcia e Preci, precisamente a Castelvecchio e Campi sono presenti nelle chiese di San Salvatore e San Giovanni Battista, le figure lignee di due Madonne col Bambino. Considerate opere quattro-centesche, sono fotografate e descritte da Fabbi (1963) nel volume su Preci e quella vallata che prende il nome di Castoriana. La Madonna col Bambino di Castelvecchio, pesantemente ridipinta, dalle forme longilinee è coperta da un ampio manto; Fabbi la ritiene una Sant’Anna, ma dal punto di vista iconografico è da ritenersi Madonna col Bambino. La Madonna in trono, invece regge con la mano destra una croce e con la sinistra il bimbo ritto sopra la gamba e indossa una veste rossa con i bordi orlati di crocette color oro; come l’altra ha una corona e le scende dalla testa una fazzuola bianca. Fabbi teorizza per la scultura in trono una ricomposizione nel XVI secolo che, a discapito della originale nascita, ne hanno riscalpellato la mano destra e cam-biato posizione al bambino, prima in posa frontale nel ventre. Ritengo che la data-zione proposta debba essere rivista, infatti per entrambi i due esempi si prospetta la contiguità ad un lasso temporale trecentesco. La Madonna di Castelvecchio tiene il bimbo con la mano sinistra, alto in spalla, in una maniera che troviamo nella prima arte gotica francese e in Giovanni Pisano. Gli esempi da tenere presente da un punto di vista cronologico possono essere l’avorio del Duomo di Pisa al Museo della Pri-maziale Pisana, alcuni esemplari al Museo Nazionale di San Matteo e la Vergine col Bambino detta Vierge de la Celle al Museo del Louvre (pubblicata in Gaborit 1978, p. 144). Merita attenzione il taglio della veste dal busto in giù e la mano destra schiacciata poco naturalistica, riferibili sempre alla statuaria trecentesca. Le opere di Giovanni Pisano e Tino di Camaino (cfr. Baldelli 2007), presumibilmente fanno da modello per i due esempi trattati. Si notano tangenze anche nei volti, nei panneggi e nelle anatomie presenti nella Madonna col Bambino di Scurcola Marsicana (Tomei 2011, p. 22), trattata da Previtali (1991, pp. 76-82) per il Maestro della Madon-na del Duomo di Spoleto, negli esempi del Duomo di Orvieto per altro possibile confronto temporale (cfr. Garibaldi-Toscano 2005) e ancora nel gotico Sepolcro di Filippo di Courtenay a San Francesco di Assisi (Neri Lusanna 2015). Scontati o no,

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i parallelismi ben ci narrano di due esempi che poco possono raccontare, coperti da secolari ridipinture, non concordando sul fatto che la Madonna in trono sia potuta essere oggetto di rimodellazione secondo Fabbi, ma che sia nata cosi. Pertanto si può ipotizzare che l’artista attivo in Valnerina, abbia fatto tesoro dei canali artistici presenti, traslandoli nella valle intorno alla seconda metà del XIV secolo. Se si vuole instaurare un parallelismo in pittura, si può far riferimento ai trecenteschi affreschi del Maestro di Monteleone attivo in Valnerina studiato da Fratini (1997b) e Cor-della (2003, pp. 670-672); una Crocifissione a lui attribuita si trova in San Salvatore di Campi dove è attualmente conservata la lignea Madonna in trono qui descritta. Inoltre è opportuno porre l’accento su un’opera con connotati analoghi a quelli che ritroviamo nei due casi: è la Madonna della Natività nella parrocchiale di Assergi (Neri Lusanna 1992, p. 115) o Santa Elisabetta d’Ungheria (Carli 1998, p. 106). Infine dalla parrocchia di Orvano in Visso proviene un’altra Madonna col Bambino lignea correlata ai due esempi, anticipandone la datazione proposta (Venanzangeli 2001, p. 85).

(1) Madonna col Bambino. Castelvecchio di Preci, chiesa di San Giovanni Battista.

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Crocifissione, (particolare). Campi di Norcia, San Salvatore.

Sepolcro di Filippo di Courtenay. Assisi, San Francesco (particolare).

(2) Madonna col Bambino. Campi di Norcia, Chiesa di San Salvatore.

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IV. Scultore attivo intorno alla metà del XIV secolo (?)

San Lorenzo

Legno scolpito e dipinto, cm 130

Montebufo di Preci, San Leonardo.

Bibliografia: Fabbi 1963, pp. 70-71.

Nella ricca e maestosa chiesa di San Leonardo a Montebufo, è emersa un’opera notevole; documentata solo da Fabbi come scultura lignea del XVI secolo e bre-vissimamente descritta nel volume di Preci e la Valle Castoriana. Il diacono ligneo, totalmente ridipinto a lato destro dell’altare maggiore, presenta la dicitura alla base “in craticola te deum non negavi”, allusiva al suo martirio (sulla graticola Dio non ti ho negato). Appena sotto la veste s’intravede il profilo della gamba destra, il manto, decorato a livello di ginocchia e petto, scopre all’altezza della caviglia il sottabito bianco. Una ciocca di capelli isolata è al centro della nuca. Il modo di cadere del panneggio in torsione e il suo modellato nelle precise maniche che si sovrappongono seguendo le braccia, lo riferiscono all’orbita figurativa del Maestro della Madonna di Sant’Agostino o di Ambrogio Maitani. Attribuzione dibattuta; Giovanni Previtali conia il nome del maestro e riunisce un corpus omogeneo, con a capo una Madonna allo Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz di Berlino, i tre Santi patroni perugini della lunetta del palazzo dei Priori di Perugia, ora in Galleria Nazionale dell’Umbria; l’Angelo reggicandelabro di Cascia, un Gesù Bambino dalla

raccolta Bruera e la Madonna proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino ancora una volta dal capoluogo umbro, ora in Galle-ria Nazionale (Previtali 1991, pp. 57-69). L’artista, accettata la sua precoce attività di inizio Trecento a discapito di un’ini-ziale considerazione critica attardante, è un’interessantissima manifestazione di scultura gotica italiana. L’identificazio-ne con Ambrogio Maitani è proposta da Lunghi (1994, pp. 139-147), che inseri-sce nel corpus anche il Monumento fune-bre a Benedetto XI in San Domenico di Perugia. Per Lunghi il fatto che il senese sia presente con continuità nel capoluogo umbro tra il 1317 e il 1345 (Rossi 1873), sembra fornire sufficienti garanzie per ri-salire all’identità dello scultore. L’artista,

(1) Santi patroni, Lunetta del Palazzo dei Priori di Perugia. Gli originali ora in Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia.

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presente nell’impresa per l’ampliamento meridionale del Palazzo dei Priori, può aver infatti condotto in prima persona la realizzazione dei Santi patroni. L’importante scoperta di Montebufo con la sua posa slanciata, rozzi caratteri in volto e una sem-plificazione formale presumibilmente frutto di artista indigeno che non si eccede nel definire “attardato”, avanza cronologicamente intorno alla metà del XIV secolo. Solo un restauro, potrà essere d’aiuto per futuri sviluppi.

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V. Scultore locale attivo tra il quinto e ottavo decennio del XV secolo (?)

Crocifisso

Legno scolpito e dipinto

San Pellegrino di Norcia, Parrocchiale.

Bibliografia: Inedito.

In un vano adiacente al presbiterio della Parrocchiale di San Pellegrino di Norcia, è conservato il Crocifisso qui analizzato, poco inferiore del naturale, fotografato e docu-mentato per la prima volta. Lo stato di conservazione non è dei migliori; una fascia all’altezza del petto lo tiene alla croce, presenta spacchi nelle attaccature delle braccia e nel collo. Tutte le dita delle mani sono assenti, la policromia è scurita e abrasa. Ben tornito in busto non travisa le sporgenze della cassa toracica, ma una dolce levigatura traspare in corpo. Trasmette un’accesa sofferenza nella dolorosa espressività, palpebre socchiuse, bocca semichiusa, volto incorniciato da due sostanziose ciocche di capelli che scendono fin sotto le spalle. Numerosi rivoli di sangue lo contraddistinguono, ed è coperto nell’inguine fin sopra al ginocchio da un geometrico panneggio. Alcuni elementi, da un punto di vista tipologico, lo avvicinano al gruppo di Crocifissi noti sotto il nome di Maestro dei Crocifissi Francescani: nelle due possenti ciocche, nelle solcate linee dei capelli e nella barba che culmina con il mento appuntito. Il gruppo nasce su idea di Lunghi (1996, p. 147), grazie all’avvicinamento del Crocifisso nei depositi di Palazzo Santi a Cascia (1), con un altro esemplare al Museo Comunale di Montefalco (proveniente da San Fortunato): il critico propone il nome di Ponziano d’Onofrio e nota legami con le fattezze delle sculture umbro-marchigiane ruotanti intorno il San Raffaele di Cascia, in replica all’attribuzione del Crocifisso di Monte-falco a Niccolò Alunno (Galassi 1994). Secondo Fratini (2003, pp. 690-693 ; 2005, p. 48) che conia il nome del maestro, gli esemplari, ai quali, su suggerimento di Mirko Santanicchia, ne viene aggiunto un altro presente sull’Isola Maggiore, sono da ritenersi di un anonimo scultore la cui opera presenta strettissime affinità con le pitture di artisti folignati, non escludendo per il gruppo fondamenta proprio in quella città. Lo stesso Fratini ravvisa strette affinità anche nell’attività pittorica di Nicola da Siena, in lui la critica ha proposto anche un dinamismo scultoreo (Fratini 2003, passim). Di seguito il gruppo è ritenuto di bottega folignate attiva verso la metà del Quattrocento (Santanicchia 2007, p. 44), successivamente confermato con datazione al terzo quarto del Quattrocento per l’esemplare di Cascia (E. Mancini in Museo di Palazzo Santi...p. 109). I caratteri enunciati nel Crocifisso di San Pellegrino però, differiscono silenziosamente dal gruppo e non lo abbracciano a pieno; se negli esempi di Montefalco, Cascia e Isola Maggiore si presenta un deciso, dritto e forte linearismo nella caduta dei capelli, qui a San Pellegrino tendono ad attorcigliarsi, come per il morbido panneggio del perizoma sempre del gruppo, assente a San Pel-legrino in cui vediamo una posa bloccata e meno anatomica rispetto agli altri tre. Possiamo prendere in considerazione il sentore di Fratini che, unito ad un punto di

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(2) Nicola da Siena (?), Discesa dalla croce. Cascia, Santa

Maria (particolare).

(2) Nicola da Siena, Ultima cena (particolare). Cascia, Sant’Antonio

Abate.

(1) Crocifisso. Museo di Palazzo Santi (depositi).

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vista formale, avvicina il Crocifisso di San Pellegrino alle pitture di Nicola da Siena (2), dove l’encomiastica iscrizione nel ciclo pittorico da lui eseguito in Sant’Antonio Abate a Cascia lo elogia per doti pittoriche e scultoree. L’iscrizione sopra la porta di accesso al coro, in caratteri gotici, glorifica Nicola da Siena (superiore in arte allo scultore Policleto e al pittore Pirgotele) (Museo di Palazzo Santi… pp. 166-178). Se confrontiamo il Crocifisso di San Pellegrino, le pitture di Nicola da Siena e i Crocifissi del Maestro dei Crocifissi Francescani (omettendo l’irrisolta paternità del gruppo) a cui va aggiunto un esempio simile poco noto a Gualdo Tadino (Santanicchia 2008, p. 61), abbiamo testimonianza a San Pellegrino di un lavoro nato in una cultura poco oltre la metà del Quattrocento. Di base si hanno istanze che guardano ai pit-tori nursini Sparapane e Nicola da Siena, attivissimi in Valnerina, con l’incognita di una loro possibile opera. Se da un lato abbiamo dati certi sulla loro attività pittorica estremamente simile (Cordella 1990), non abbiamo nulla di certo e documentato per la loro possibile attività scultorea, nata per vie attributive (Fratini 2003). Inoltre alcuni elementi stilistici del Crocifisso di San Pellegrino, sono vicinissimi alle anato-mie facciali del Sant’Andrea di Campi al Diocesano di Spoleto (scheda VI), avvicina-to proprio alle pitture degli Sparapane da Norcia (Fratini 2003, p. 698). L’opera va collocata in un arco cronologico tra il quinto e ottavo decennio del Quattrocento.

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VI. Scultore attivo tra il sesto e ottavo decennio del XV secolo (?)

Sant’Andrea

Legno scolpito e dipinto, h 140 cm

Già Campi di Norcia, San Salvatore. Museo diocesano di Spoleto.

Bibliografia: De Francovich 1929, p. 484; Fabbi 1963, p. 249; Ceccarelli 1993, p. 50; Cordella 1995, p. 123; Fratini 2003, p. 698; Fratini 2005, p. 49; Cordella 2006, p. 73.

Al Museo Diocesano di Spoleto è esposta la statua di Sant’Andrea in trono: di auste-ra e solenne posa regge in mano il modellino raffigurante l’abitato di Campi Alto, nell’atto di benedire, coperto da mantello color oro e sottabito blu scuro. Colpisce l’imponente e massiccia barba descritta nei minimi filamenti, ma di aspetto duro e pesante, che lascia spazio ad una bocca socchiusa in cui si intravede la dentatura. Proviene da Campi, più precisamente da San Salvatore; come suggerisce Cordella (1995) non è da escludere che vi fosse stata portata in un secondo momento, ori-ginariamente collocata nella chiesa di Sant’Andrea nel castello. Il primo supporto critico arriva da De Francovich (1929), che credette di poter leggere nel basamento l’anno 1487, oggi non più visibile. Da prendere in considerazione è la sua impor-tante e poco nota intuizione “marchigiana” inerente le spigliate acconciature che si spostano come in un soffio di vento, incorniciate da appannati sguardi e stessa mimica nelle sculture umbro-marchigiane da lui studiate, avvicinando al gruppo del San Raffaele di Cascia proprio il Sant’Andrea di Campi, ancora legato a reminiscenze tardogotiche. Fratini (2003) parafrasando le pitture sparapanesche, inclini perfetta-mente alle stesse forme statuarie, ritiene il santo apostolo scolpito dalla loro bottega nursina (finora conosciuta solo in pittura). È utile poi ai nostri studi, prendere in considerazione l’artista Lucantonio di Giovanni Barberetti, documentato a Came-rino e Visso dal 1485, deceduto tra il 1527 e il 1528, la cui arte presenta alcuni punti di contatto con il Sant’Andrea. La sua biografia è stata ricostruita da Mazzalupi (2006a; 2006b; 2006c), che rinviene inoltre il contratto di allocamento e la quietan-za finale per il San Rocco nella Basilica di San Venanzio a Camerino, fatto eseguire nel 1514 (finora unico punto fermo dell’artista), (Mazzalupi in Casciaro 2006a , pp. 196-8). Il confronto fotografico tra il Sant’Andrea di Campi e due esempi della quasi tarda attività di Lucantonio quali il San Rocco (1) e la scultura del Cristo risorto (2) a San Carlo di Camerino a lui attribuita, rivela discrete correlazioni. Resi noti i riflessi di questa attività, non abbiamo nulla di certo per una possibile fase giovanile. La letteratura critica ha ipotizzato per tale periodo la sua mano dietro i lavori del Maestro della Madonna di Macereto, corpus conteso insieme agli artisti Domenico Indivini e Sebastiano d’Appennino, (per approfondire l’argomento: cfr. Casciaro 2006a; Mazzalupi 2006a e 2006b; A. Bernardini in Marchi-Mastrocola 2013, pp. 108-112). Per il Sant’Andrea si istaurano altri confronti, proprio con opere riferite al Maestro di Macereto, in particolare nella Madonna col Bambino proveniente dalla Congregazione di Carità di Camerino (3) e la Madonna col Bambino di Corinaldo

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(4) in Galleria Nazionale delle Marche (Casciaro 2006a, pp. 134-134, pp. 150-151); si riportano corrispondenze nella magra e sottile posa, nei panneggi impostati, nella struttura delle anatomie e in particolare negli sciolti capelli. Nel crogiuolo di vie ar-tistiche che si incontrano e dialogano, la proposta di Fratini non va scartata a priori, ma riemerge con forza se si confronta il Sant’Andrea con le pitture di Nicola da Siena (5), il cui lavoro spesso si mescola a quello degli Sparapane di Norcia, dove com-paiono elementi affini. Se da un lato abbiamo dati certi sulla loro attività pittorica (Cordella 1990), non abbiamo nulla di certo e documentato per la loro possibile attività scultorea, suggerita per vie attributive (Fratini 2003). Per il Sant’Andrea, si avanza una proposta temporale tra il sesto e ottavo decennio del Quattrocento, co-erente con lo stile dell’opera.

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Sant’Andrea. Museo Diocesano di Spoleto (particolare).

(2) Lucantonio di Giovanni Barberetti (?), Cristo risorto.

Camerino, San Carlo (particolare).

(3) Madonna col Bambino. Galleria Nazionale delle Marche, Urbino, (particolare).

Sant’Andrea. Museo Diocesano di Spoleto, (particolare).

(1) Lucantonio di Giovanni Barberetti, San Rocco. Camerino,

San Venanzio (particolare).

(3) Madonna col Bambino. Galleria Nazionale delle Marche, Urbino,

(particolare).

Sant’Andrea. Museo Diocesano di Spoleto, (particolare).

(4) Madonna col Bambino. Galleria Nazionale delle Marche, Urbino,

(particolare).

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(5) Nicola di Ulisse da Siena, Cristo in gloria. Cascia, Sant’Antonio Abate.

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Domenico Indivini (?), San Sebastiano. Gaglione, Oratorio San Giuseppe.

Bottega di Domencio Indivini (?), San Sebastiano. Museo della Castellina, Norcia.

VII. Bottega di Domenico Indivini (?)

San Sebastiano

Legno scolpito e dipinto

Ancarano di Norcia, Madonna Bianca.

Bibliografia: Fabbi 1963, p. 205; Cordella 1995, p. 114; Cordella 2006, p. 71; Coletti-Tosti 2013, p. 201.

Il San Sebastiano ligneo a grandezza naturale, si erge in una nicchia al muro di si-nistra nella chiesa della Madonna Bianca di Ancarano, al fianco di un’altra nicchia con la statua di un modesto San Rocco del tardo Cinquecento. Riportato come opera del XVI secolo (Cordella 1995), e frutto di bottega nursina intorno agli anni 1540 (Cordella 2006), si rivela per la sua ottima qualità, ma in uno stato di conservazione alquanto precario. Il santo legato con una corda alla colonna, si distende all’indietro all’altezza del busto e poggia il suo peso sulla gamba di sinistra, mentre la destra si sposta in avanti. È contraddistinto da un’anatomia secca che esalta le ossa delle co-stole e del petto. Il braccio sinistro si nasconde dietro la schiena, il destro si alza fin sopra il capo, questo ha la mano mutila e presenta una rottura all’altezza dell’avam-braccio, successivamente unito e tenuto insieme da una serie di nastri. Lo sguardo è rivolto verso l’alto, la bocca, leggermente socchiusa, lascia intravedere la dentatura, i lunghi capelli scendono attorcigliandosi, il naso leggermente arrotondato in punta; questi elementi lo avvicinano pienamente alle opere attribuite allo scultore marchi-giano Domenico Indivini. Un’analisi stilistica lo lega agli altri martiri di tale scuola; lampante il confronto con gli stessi di Gagliole, Caldarola e Norcia attribuiti a Do-menico Indivini e alla sua bottega (Capriotti in Casciaro 2006a, pp. 182-187). Nel

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santo di Ancarano sono incontrovertibili i legami con le Marche e caratteri peculiari si addicono per questo caso. Esso presenta una posa fortemente inarcata ed un fisico longilineo e snello, discostandosi dalle voluminose muscolature conosciute fino ad ora, dal San Sebastiano della vicina Norcia riprende lo stesso perizoma. Riflessioni e domande nascono spontanee su un possibile lavoro di bottega quasi seriale; si propone per l’opera una datazione nei primi decenni del Cinquecento, va ricordata anche la prestigiosa commissione, una delle più importanti chiese della vallata.

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VIII.Maestro della Madonna Bellini

Madonna adorante

Terracotta dipinta

Già Cascia, Sant’Antonio Abate.

Bibliografia: Morini 1909, p. 170; Morini 1913, p. 38.

Adolfo Morini, erudito casciano, cita nel suo piccolo volume del 1913 Cascia, nella natura, nella storia, nell’arte, una Madonna in stile robbiano presente nella chiesa di Sant’Antonio Abate. Egli afferma che l’opera fu trasferita nel convento di Norcia, sempre dello stesso ordine, a seguito del trasferimento delle ultime mona-che che presiedevano il complesso, nei primi decenni del Novecento. Attualmente a Norcia se ne è persa traccia e memoria. L’opera, con alle spalle gli affreschi di Nicola da Siena nel coro in Sant’Antonio Abate di Cascia, è stata pubblicata in foto nel 1909 (Morini 1909). Entro un tabernacolo ligneo la Madonna flette in basso il capo e guarda il perduto Bambino, fini e longilinei lineamenti in un vol-to lievemente allungato, avvolta da una veste che coprendola crea piccoli risvolti alla base del collo. Il panneggio scende e si apre sui fianchi, evade dalle geometrie compositive e dà forma arrotondata alle pieghe. Le mani non giunte in preghiera escono verso lo spettatore, la sinistra con il palmo verso l’alto, la destra verso il basso, come a reggere qualcosa tra pollice e indice, forse lo stesso Bambino in piedi. Similissima è la Madonna adorante nella Galleria Bellini di Firenze (1), per la quale si tramanda una provenienza non verificata dal Duomo dell’Aquila e attribuita al maestro abruzzese Silvestro dell’Aquila (Bellini 2009, pp. 98-99), non trovando riscontro nel parere di Gentilini (2013, p. 24, nota 53). Le due Madonne sono gemelle per tutti gli aspetti, tranne che per il gesto delle mani, in una giunte in orazione, nell’altra no. Ritengo plausibile per l’esemplare di Firenze, l’ipotesi che le mani in posizione di preghiera siano una modifica successiva a discapito delle originali e che quindi la Madonna pubblicata da Morini nel 1909, possa essere quella attualmente conservata nella collezione privata Bellini di Firenze. Robuste sono le tangenze abruzzesi nel modellato che troviamo in altri due esempi, proba-bilmente di stessa bottega o ambito. Uno è a San Procolo in Avendita di Cascia (2); un’insostenibile attribuzione per difformità stilistiche la vede di Marino di Gio-vanni Frasca, autore della Madonna col Bambino in San Venanzo a Terzone (Fabbi 1975, p. 445). L’altro esempio è ad Acquacanina nelle Marche (4), riferita ad uno scultore abruzzese e confrontata con il modellato di Giovanni Antonio da Lucoli (Mastrocola 2006, p. 230), la Madonna ad Acquacanina è citata anche da Cordella (2006, p. 71) e collegata stilisticamente alla Madonna col Bambino di Avendita. L’unione dei tre esemplari ad Avendita, Acquacanina e Firenze è fatta presente da Gentilini (2013, p. 20) aggiungendovi la Madonna col Bambino ad Atri di Cascia in San Gregorio, corrotta da pesanti ridipinture. Si noti la stretta affinità con le pitture presenti nella zona di Cascia, Norcia e Preci, in particolare con l’esempio a

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Roccanolfi di Preci ascrivibili alla famiglia degli artisti Sparapane di Norcia, varia-mente citate e pubblicate nella letteratura locale (3). Propongo per il gruppo una datazione sul finire del Quattrocento - primi decenni del Cinquecento.

(1) Madonna adorante. Collezione privata Bellini,

Firenze.

(2) Madonna col Bambino. Avendita di Cascia, San Proloco.

(3) Madonna col Bambino.Roccanolfi di Preci,

Sant’Andrea.

(4) Madonna adorante. Acquacanina (Macerata), Santa Maria di Mareggio.

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IX. Giovanfrancesco Rustici (?)

San Giovanni Battista

legno intagliato e dipinto, h. 150 cm; base 30 x 30 cm

Abeto di Preci, San Martino.

Bibliografia: Fabbi 1963, p. 143 ; AA.VV. Manuali per il territorio 1977, p. 227.

La scultura è collocata in un vano adiacente la chiesa di San Martino ad Abeto di Preci. Il santo è menzionato da Fabbi (1963) nel volume dedicato alla Valle Castoriana; già allora in poche righe se ne notava l’ottima fattura, in seguito un silenzio ostinato ha colpito la statua, eccezion fatta per l’accenno nei Manuali per il territorio (1977). Il volume la ricorda come statua policroma di San Gio-vanni Battista, ancora posta all’interno dell’edificio sacro. L’opera è caratterizzata da un potente e lieve gesto in avanti della gamba destra. Il panneggio di color rosso, levigato e tradotto alla perfezione, si posa nel corpo in modo assolutamente naturalistico e scopre parte del busto, scolpito con caratteri di primissimo Cin-quecento nelle perfette anatomie di petto e spalle. Il volto guarda frontalmente, inclinato leggermente verso il basso, con ciocche di capelli alla maniera classica che ne pervadono il capo; va notato il vibrante gesto della mano sinistra, che si ritrae ad uncino reggendo il bastone con la croce. La mano destra presenta una rottura all’altezza del polso. Uno sguardo analitico può credenziare una serie di elementi critici che suggeriscono di riferirla alla fase giovanile dell’artista Giovan-francesco Rustici (Firenze, 1475 - Tours, 1554), (per un resoconto aggiornato e bibliografia completa: Mozzati 2008; Minning 2010; Mozzati - Paolozzi Strozzi - Sènèchal 2010). Lo scultore, attivo e documentato nella Firenze fra Quattrocen-to e Cinquecento, vi ricopre un ruolo influente; una delle sue prime opere certe è la bronzea Predica del Battista, nella parte nord del Battistero di San Giovanni in Firenze. Ha sicuramente modellato le zuffe tra cavalli e cavalieri in terracotta, ispirate alla Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci; tali informazioni sono fornite dal Vasari, che nei suoi scritti rende noto l’impegno dell’artista nei con-fronti di simili piccole sculture (Vasari [1568] - Milanesi, 1878-1881, VI, 1881, p. 608). Altre opere di straordinaria qualità, lo porteranno nel suo tragitto ad approdare a Parigi alla corte di Francesco I (per il percorso artistico di Giovan-francesco Rustici: Mozzati-Sénéchal 2010). Il tema della formazione del Rustici ha di base le parole dal Vasari: egli lo vuole vicino all’entourage di Andrea del Ver-rocchio ed infatti i disegni a Rennes (riferiti a Leonardo da Vinci o Andrea Ver-rocchio) (1), esaminati nelle considerazioni su Rustici e Leonardo (Marani 2010), si incastrano bene con il santo ad Abeto, nel dettaglio del panneggio tra busto e gamba, ravvisando evidenti correlazioni. Come questa formazione sia avvenuta, lascia aperti degli interrogativi in quanto come sappiamo il maggiore orafo e scul-tore fiorentino Andrea partì definitivamente da Firenze nel 1486, quando l’allie-vo avrebbe avuto appena undici anni, età abbastanza precoce per un alunnato.

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È importante marcare il fatto che l’atelier è versato nella lavorazione di un’ampia gamma di materiali, e da un vivido sperimentalismo, caratterizzante le botteghe fiorentine sul finire del Quattrocento. In quel clima pesano i versi ancora una volta del Vasari: a suo dire Lorenzo il Magnifico apprezzava il “bello e buono ingegno” di Rustici, aprendogli le porte del giardino di San Marco. Qui Bertoldo di Giovanni, ultimo erede dei modi donatelliani, educa una folta schiera di artisti, attorno alla collezione di scultura antica, tra cui il giovane Michelangelo che dovette stringere duratura amicizia con Giovanfrancesco (Ciseri 2010). Questi elementi per la sua formazione non hanno soddisfatto a pieno la letteratura critica che ha ipotizzato un suo passaggio formativo anche nella bottega di Benedetto da Maiano, sul finire del Quattrocento. Se non se ne trova traccia nelle fonti, si può dedurre dal fatto che nel 1500 all’età di venticinque anni Giovanfrancesco ottiene in affitto i locali in via dei Servi, gia sede della bottega di Benedetto da Maiano, deceduto nel 1497, con ampio fondaco e spazi per lavorare legno e marmo (secondo una nota posta a margine di una copia dell’inventario dei beni mobili di Benedetto da Maiano, il Rustici ottenne la locazione di quegli ambienti il 10 maggio 1500: Carl 2006, p. 459, doc. 24). Subentra al legnaiolo Leonardo del Tasso, nipote di Benedetto, que-sto deve guidare la bottega alla morte dello zio. Diviene perciò plausibile supporre una collaborazione alle spalle con Benedetto. Detto ciò abbiamo un importante elemento per avvalorare l’ipotesi attributiva ad Abeto di Preci, in particolare nel legame di questa terra con Firenze: erano soliti gli abitanti spostarsi e lavorare nel capoluogo toscano come doganieri e chirurghi, di conseguenza riportare in patria opere d’arte per gli altari di famiglia, creando “l’isola fiorentina” variamente battezzata dalla critica (Fabbi 1959; Fabbi 1963, passim; Casale 1989; Delpriori 2012). Infatti a breve distanza da Abeto si trovano Todiano e Ancarano che conser-vano nelle loro chiese due Crocifissi riferiti a Benedetto (Delpriori 2012). E sempre da Todiano proviene la pala di Filippino Lippi (Prato, 1457 - Firenze, 1504), oggi conservata al Diocesano di Spoleto; l’artista aveva una bottega in via dei Servi vicino al Rustici (per le informazioni sui rapporti con Filippino si rimanda a Moz-zati-Sénéchal 2010, p. 39 e in particolare p. 60 nota 21). Presumibilmente, viste le precedenti esperienze scultoree con i due Crocifissi, il dialogo di una committenza legata a quegli ambienti fiorentini, potrebbe aver reso possibile l’affidamento a tale bottega di un nuovo lavoro, ed essendo venuto a mancare il suo più alto rappre-sentante, aveva pronto il reggente. L’artista si iscrisse all’arte dei Maestri di Pietra e Legname nel 1504 (per la matricola pagata da Giovanfrancesco dal 1504 al 1526: Sènèchal 2007, pp. 270-271, doc. 6; Mozzati-Sénéchal 2010, p. 59 nota 8). Attri-buzione nata su base stilistica, riscontrabile su confronti tra opere attribuite a Ru-stici e il nostro San Giovanni. Tesi avvalorata peraltro generando un altro confron-to tra un busto di Cristo (2) attribuito a Leonardo del Tasso (1466-1501), (passato in asta da Farsetti ad ottobre del 2010) ed il santo di Abeto: vediamo come siano forti le somiglianze in volto e nel taglio di occhi e barba. Il confronto è importante e utilissimo in quanto testimonia gli stilemi verosimilmente assorbiti da Giovan-francesco a contatto con il Tasso, attivo nella bottega dello zio Benedetto; infatti

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Leonardo del Tasso alla morte di quest’ultimo gli subentra tenendo in affitto la bottega dal 1497, (l’iscrizione di Leonardo del Tasso all’arte dei Maestri di Pietra e Legname avviene solo nel 1497, appena deceduto Benedetto: Carl 2006, pp. 400-401). La straordinaria opera d’arte presente in Valnerina ribadirebbe dei principi già messi in luce per la personalità artistica di Giovanfrancesco, ovvero una com-ponente mutevole tanto inaspettata quanto prorompente, capace di assorbire e as-similare la fucina della Firenze a cavallo dei due secoli. Meglio di qualsiasi sua altra dimostrazione, questa del San Giovanni Battista di Abeto, nel panneggio, nelle sue anatomie muscolari, nel braccio sinistro e in particolare nella sua mano appoggiata alla coscia, dimostrerebbe un rapporto serrato e silenzioso proprio con i sinonimi michelangioleschi. I confronti fotografici rendono l’idea e confermano l’affiata-mento con il Buonarroti, il cui David suggestiona e si cala nella forza espressiva di due percorsi giovanili condotti in parallelo (3). L’osservazione in opere attribuite a Giovanfrancesco tra la fine del Quattrocento e primo decennio del Cinquecento, permette di evidenziare presenza di elementi stilistici che si riscontrano anche nel San Giovanni di Abeto, mi riferisco in particolar modo al grafismo lippesco del retro della scultura che dialoga con il Ratto d’Europa al Victoria & Albert Museum (4), con il Giovanni Boccaccio a Certaldo e con il San Giovanni Battista al Museum of Fine Arts di Boston (5). Così come per i modi di rendere le ciocche dei capelli e del vello di cammello, ammassate e movimentate, confrontabili con quelle del San Giovannino a New York alla Pierpont Morgan Library (6) e nel Busto di San Giovannino al Bargello (7). Lo stesso vale nella lavorazione del fluente panneggio, legato a quello del San Giovanni Battista al Museum of Fine Arts di Boston. L’o-pera di Abeto vive di compresenze, visibili anche nel gesto della mano indicante l’alto, i cui connotati leonardeschi sono tangibili nel raffronto con la Predica del Battista (1506-1511), (Mozzati-Sènèchal in Mozzati-Sènèchal-Paolozzi Strozzi 2010, pp. 256-267, con bibliografia precedente) (8), dove il San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci al Louvre, rappresenta l’emblema di questa formula (De-lieuvin in Mozzati-Sènèchal-Paolozzi Strozzi-2010, pp. 250-255, con bibliografia precedente). Solo un artista fortemente versatile può concepire tale lavoro e allo stadio attuale degli studi queste credenziali sembrano riscontrarsi in Giovanfran-cesco Rustici. La datazione proposta è nella seconda metà del primo decennio del Cinquecento.

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(1) Leonardo da Vinci (attribuito) o Andrea del Verrocchio, Figura panneggiata. Rennes, Museè des

Beaux-Arts (particolare).

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. Abeto di Preci, San Martino (particolare).

(2) Leonarco del Tasso(?), Busto di Cristo. Collezione privata.

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. Abeto di Preci, San Martino.

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(3) Michelangelo Buonarroti, David. Galleria dell’Accademia, Firenze,

(particolare).

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. Abeto di Preci,

San Martino (particolare).

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista.Abeto di Preci, San Martino (particolare).

(3) Michelangelo Buonarroti, David. Galleria dell’Accademia, Firenze (particolare).

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Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. Abeto di Preci,

San Martino (particolare).

(6) Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. New York, Pierpont Morgan Library

(particolare).

(7) Giovanfrancesco Rustici (?), Busto di San Giovannino. Firenze,

Musea Nazionale del Bargello (particolare).

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista (retro). Abeto di Preci, San Martino.

(4) Giovanfrancesco Rustici (?), Ratto d’Europa. Londra, Victoria &

Albert Museum (particolare).

(5) Giovanfrancesco Rustici, San Giovanni Battista. Boston,

Museum of Fine Arts. (particolare).

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Giovanfrancesco Rustici, San Giovanni Battista. Boston, Museum of Fine Arts.

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. Abeto di Preci, San Martino.

Giovanfrancesco Rustici (?), San Giovanni Battista. Abeto di Preci,

San Martino.

Giovanfrancesco Rustici, San Giovanni Battista. Boston, Museum

of Fine Arts.

(8) Giovanfrancesco Rustici, San Giovanni Battista, dal gruppo della

Predica del Battista. Firenze, Battistero.

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X. Maestro del Crocifisso di Sciedi

Crocifisso

Legno scolpito e dipinto

Sciedi di Cascia, San Bartolomeo.

Bibliografia: inedito.

Il Crocifisso a grandezza naturale si trova nella chiesa di San Bartolomeo, nel picco-lo borgo casciano di Sciedi, alla sinistra del presbiterio, qui riprodotto per la prima volta e mai citato dalle fonti. Ridipinto nel corso dei secoli, si presenta con il capo chino, gli occhi serrati e la bocca socchiusa circondata da una filamentosa barba, questa in piccoli tocchi parte dalla mascella e arriva al mento, grandi lobi di orec-chie, sormontati da fluenti e pastosi capelli che scendono e toccano le spalle. Le toniche braccia erano presumibilmente mobili, viste le manomissioni nelle attac-cature, con l’intento di fermarne il movimento. È connotato da un busto ossuto, pronunciate anatomie addominali e un corto perizoma blu; le gambe finemente intagliate si flettono leggermente alla loro destra e generano un pacato movimen-to rotazionale. Parallelamente a questo studio l’opera è stata segnalata a Lorenzo Principi che ne ha fatto menzione nell’ultimo prezioso contributo inerente il Croci-fisso di Bettona conservato in Pinacoteca comunale (1), con tutta probabilità prove-niente da San Francesco al Prato di Perugia, (Principi in Tartuferi - D’Arelli 2015, pp. 248-251). Il Crocifisso di Cascia fa gruppo con due Crocifissi presenti nella zona di Perugia, l’esemplare più noto è appunto quello di Bettona già in San Crispolto; Lunghi (2003) lo crede del fiorentino Agostino di Duccio (Firenze, 1418 ca.- Pe-rugia, 1481 ca.), ipotesi accolta anche da Benazzi (2006a, pp. 93-94); Mazzalupi (2012) invece lo avvicina all’artista donatelliano Battista di Barnaba, personalità poco nota itinerante tra le Marche, Mantova e Firenze. Unica opera certa all’at-tivo è una pala in terracotta, realizzata prima del 1474: il Miracolo di Carpineto e San Sebastiano nel Santuario della Madonna di Carpineto a Pieve Torina. Altro esempio è segnalato da don Renzo Piccioni Pignani, nell’abbazia di San Salvatore a Montecorona, nei pressi di Umbertide. Coperto da pesanti ridipinture è attribuito a Battista di Barnaba, indipendentemente da Mazzalupi (2012, pp. 137-139), an-che da Francesco Ortenzi (D’Acunto - Santanicchia 2011, pp. 7-8). Principi avanza la possibilità che il gruppo possa essere frutto di maestranza locale e propone per il Crocifisso di Bettona una datazione sul finire degli anni settanta del Quattrocento, inoltrando legittimi dubbi sull’attribuzione sia ad Agostino di Duccio che a Bat-tista di Barnaba. Si possono attuare una serie di confronti tra l’esempio di Cascia e quello presente a Bettona rivelando evidenti parallelismi stilistici, nei volti, nella lavorazione dei capelli, nella pronunciata cassa toracica, nel frastagliato perizoma, nel modo di tendere le dita della mano, nelle secche e palpitanti gambe. Forse sono frutto della stessa bottega, presumibilmente perugina, il cui primo esem-plare inizia da Bettona e arriva a Sciedi, dato lo sperimentalismo che si riscontra

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Crocifisso. Sciedi di Cascia, San Bartolomeo.

(3) Fiorenzo di Lorenzo, Crocifisso. Perugia, Santa Maria di Monteluce.

(1) Crocifisso. Bettona, Pinacoteca Comunale.(durante il restauro).

nella leggera rotazione del bacino. Le opere connotate da un inquieto espressio-nismo, rivelano dei donatellismi già enunciati dalla critica e ribaditi da Principi, che nota come queste impronte si siano protratte in città fino agli anni settanta da artisti come Crispolto di Polto da Bettona, artefice del lato sinistro del coro di San Domenico di Perugia realizzato tra il 1476 e il 1498 (cfr. Santanicchia 2012). Dobbiamo prendere in considerazione anche un altro Crocifisso/Deposto di stessa bottega, passato nella casa d’aste folignate di Antiquares nel Luglio 2014 (2) che presenta notevoli punti di contatto con gli esemplari qui esposti, ai quali lo legano lo stesso assetto anatomico in volto, il busto, le gambe e le braccia. Tutte le opere presentano una piccola fossa scavata nella coscia destra appena sotto il perizoma, addominali bassi più esposti rispetto ai superiori, e le stesse sciolte capigliature. Come mi suggerisce Principi è possibile considerare questa famiglia di Crocifissi come un prodromo di quello in Santa Maria di Monteluce a Perugia (3), databile, in base alla documentazione sul finire dell’ultimo decennio del Quattrocento e attribuibile all’artista perugino Fiorenzo di Lorenzo, attivo nel capoluogo in piena stagione rinascimentale (Teza 2003; Teza 2005). Passano tra Monteluce e il nostro gruppo strutturali discrepanze scultoree nell’intaglio e nelle anatomie, pur se poco percettibili ad una lettura superficiale. Dirimere le modalità di incontro di queste due culture è difficile per i minimi elementi a disposizione pertanto continuiamo a pensarli frutto di due differenti filoni artistici. Si propone per il Crocifisso di Sciedi, una datazione nell’ottavo decennio del Quattrocento.

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Crocifisso. Sciedi di Cascia, San Bartolomeo.

Crocifisso. Sciedi di Cascia, San Bartolomeo.

(1) Crocifisso. Bettona, Pina-coteca Comunale.

(2) Crocifisso. Collezione privata.

(1) Crocifisso. Bettona, Pinacoteca Comunale.

(2) Crocifisso. Collezione privata.

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XI. Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?)

(1) Sant’Antonio Abate legno intagliato e dipintoFrascaro di Norcia, Sant’Antonio Abate. Bibliografia: Cordella 1995, p. 173.

(2) Sant’Agostino legno intagliato e dipintoFrascaro di Norcia, Sant’Antonio Abate. Bibliografia: Fabbi 1963, p. 75; Cordella 1995, p. 172.

(3) Sant’Antonio Abatelegno intagliato e dipintoPescia di Norcia, Sant’Ansovino e Carlo Borromeo. Bibliografia: Cordella 1995, p. 186.

(4) Sant’Erasmolegno intagliato e dipintoTrivio di Monteleone di Spoleto, Sant Erasmo. Bibliografia: AA.VV. Manuali per il territorio 1977, p. 408.

Nella chiesa di Sant’Antonio Abate in Frascaro di Norcia, in una nicchia di 150 cm nella parete di fondo sovrastante l’altare, chiusa da vetrata, si nota la statua in legno del santo titolare. Un’inconsueta e brillante posa lo contraddistingue, spo-stata alla sua destra, il peso ricade sulla gamba, l’altra di contrappasso si allunga. La distensione si salda alla mano destra elevata benedicente, mentre la sinistra regge in mano il libro. Il volto è espressivo e pensoso, la barba arriva realisticamente avvitortata sino al petto. Il santo esaltato da una veste nobilmente intagliata, è stretto in busto da una sottile cinghia, il tessuto aggetta silenziosamente e cade poi verticale fino ai piedi. Le grinze piene, abbondanti e circolari di panneggi e la stessa posa, rimandano al San Procolo attribuito a Saturnino Gatti (Principi 2012, p. 109) in Avendita di Cascia, che verosimilmente fa da modello. Il Santo di Fra-scaro, menzionato da Cordella come opera di XVI secolo nella guida di Norcia e territorio è opera dei primi decenni di tale secolo. Probabilmente frutto di stessa mano o bottega è il Sant’Agostino in trono (2), sempre in stesso loco, in stato di conservazione molto precario, il Sant’Erasmo di Trivio a Monteleone di Spoleto (4) ed il Sant’Antonio Abate di Pescia (3), mai pubblicati in foto e messi in relazione. I santi sono alquanto vicini per posizione benedicente, il modo circolare di rendere le maniche, i panneggi e le masse anatomiche non perfettamente naturalistiche. Se vogliamo cercare un parallelismo in pittura, questo si può ottenere nel modo di disegnare i panneggi arrovellati e gli abiti scampanati ad opera della pressoché sco-nosciuta dinastia Iucciaroni, attiva tra la fine del Quattrocento e inizi Cinquecento che ha lasciato sul territorio opere tutt’ora visibili, note grazie agli scritti di Cor-della (1990; 1996). È rilevante, per i nostri studi, trovare documentato Giovanno-nofrio Iucciaroni, capo d’arte dei falegnami nella città di Norcia (Cordella 1990,

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p. 226), che sarà padre dei pittori Giovan Battista e Giacomo di Giovannonofrio da Norcia: a quest’ultimo in scultura, è stata riferita la Madonna col Bambino a To-diano (Cordella 2001, p. 181; Benazzi 2006a, p. 93). Si tratta di una vasta famiglia con importanti commissioni, un membro di questa fu dell’arte dei lignari e ven-ne chiamato nel 1499 come “fabbrolignario” insieme ad un collegio di periti fra cui Bartolomeo Scarpetta, Giovan Battista di Giovannonofrio e l’orafo Giacomo Centi a stimare la Madonna col Bambino in Castelluccio, di Giovanni Antonio di Giordano per 112 fiorini, “Antonius Iutiaroni de Nursia”(Cordella 1990, pp. 241-244, doc. 22; Cordella 2001, p. 182). È lecito supporre che ci sia lui dietro i lavori sopracitati, aggiungendo al gruppo il Santo di Colle di Avendita (scheda XII) e la Madonna col Bambino di Castelvecchio (scheda XIII). Le leggere difformità stili-stiche comunque presenti ci frenano e fanno allora riflettere su un possibile lavoro di vasta bottega familiare che scolpiva e affrescava. Le opere certe datate in pittura, presenti in Valnerina sono: gli affreschi di Giovan Battista di Giovannonofrio in Sant’Agostino a Norcia, nella cappella Verucci (1497) e in San Francesco sempre a Norcia con la Gloria di Sant’Antonio da Padova (1501), mentre è di Giacomo di Giovannonofrio la cappella affrescata a San Salvatore di Campi nel 1505.

Giovan Battista di Giovannonofrio Iucciaroni, Gloria di Sant’Antonio da Padova. Norcia, San Francesco.

Giacomo di Giovannonofrio Iucciaroni (?), Sant’Antonio Abate. Norcia, Sant’Agostino.

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(1) Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?), Sant’Antonio Abate. Frascaro di Norcia, Sant’Antonio Abate.

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(2) Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?), Sant’Agostino. Frascaro di Norcia, Sant’Antonio Abate.

(3) Bottega degli Iucciaroni da Norcia(?), Sant’An-tonio Abate. Pescia di Norcia, San Carlo.

(4) Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?), Sant’Erasmo. Trivio di Monteleone di Spoleto,

Sant’Erasmo.

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XII. Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?)

San Felice di Narco (?) San Michele Arcangelo (?)

Legno intagliato e dipinto

Colle di Avendita in Cascia, San Felice.

Bibliografia: Gentilini 2013, p. 23.

Nella chiesa di San Felice a Colle di Avendita in Cascia, nell’ultimo nicchione sulla sinistra, si erge a grandezza naturale del santo; ben conservata, la statua si presenta in una nicchia finemente scolpita, le manca l’attributo nella mano destra e ai piedi presenta il drago. Guance rosse e sguardo assopito in un ovale e carnoso volto, un mantello di colore blu scende dalla sua spalla sinistra e cade fin sotto il ginocchio de-stro, fermato al petto da un grazioso cherubino. La mano sinistra tiene il libro, men-tre la destra, innalzata a sostenere il perso attributo, presenta una crepa all’altezza del polso, forse riaccorpata a seguito di una rottura. L’opera, mai presa in esame prima, è citata da Gentilini (2013, p. 23) che nota tangenze con la statuaria marchigiana di inizio Cinquecento. Le piene sembianze in viso, la trattazione anatomica, la robusta autorevolezza di modellato per le vesti e la posa bloccata, sono anche per questo caso vicinissime alle pitture degli Iucciaroni da Norcia, parallelismo visibile dai confronti pittorici presi in esame (Cordella 1990, p. 227). Pertanto anche questa opera, presu-mibilmente può essere stata generata da tale bottega che scolpiva e affrescava (schede XI, XIII) tra la fine del XV e i primi decenni del XVI secolo.

Giovan Battista di Giovannonofrio Iuciaroni da Norcia, Cappella Verucci (particolari). Norcia, Sant’Agostino.

Pitture nursine e la scultura a Colle di

Avendita, (particolari).

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XIII. Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?)

Madonna col Bambino

Legno scolpito e dipinto

Castelvecchio di Preci, San Giovanni Battista.

Bibliografia: Inedito

Nella chiesa di Castelvecchio, in una nicchia che guarda la navata e presbiterio alle spalle, si scorge a grandezza naturale una lignea Madonna col Bambino, sfuggita alle vicende critiche della Valle Castoriana e non menzionata da Fabbi, attento ricercatore nel volume dedicato al comprensorio preciano. Lo stesso accade per i Manuali del territorio che citano una Madonna lignea, ma riferibile alla Madonna stante (scheda III), fotografata e pubblicata sempre dallo stesso Fabbi. La scultura è coperta da un panneggio blu, che dalla testa scende ai piedi, ricchi ammassi di velo coprono braccia e gambe; è visibile anche un sottabito rosso e altri strati di tessuto bianco in capo, uniti in petto da un raffinato cherubino. La mano destra regge il bimbo seduto all’altezza del ginocchio materno, dove un frastagliato manto bianco fa da cuscino. Particolari della Madonna sono la mano sinistra come ingessata e il carnoso viso. Verosimilmente frutto di bottega attiva in zona, ispirata da modelli toscani o abruzzesi è molto vicina in stile alla Madonna col Bambino a Mevale di Visso nella pieve di Santa Maria (Benazzi in Casciaro 2006a, pp. 224-225). Alcuni caratteri abruzzesi della Madonna di Castelvecchio li ritroviamo negli abbondan-ti incarnati di Giovanni di Biasuccio a Civitella del Tronto nel Santuario della Madonna dei Lumi (1) (Bologna 1996; Di Gennaro 2006; Principi 2013), ma presenta anche caratteri toscani, nei fluenti panneggi vicini ad Antonio Rossellino (2) e Benedetto da Maiano (cfr. Carl 2006). L’artista alla luce di tali elementi da un punto di vista temporale si collocherebbe nei primi decenni del Cinquecento. Ancora una volta possiamo notare come ci siano raffronti con le pitture nursine sempre degli Iucciaroni (3) (Cordella 1990, p. 233) che sono i più plausibili re-sponsabili, pittori e forse anche scultori (schede XI-XII). Castelvecchio inoltre è da modello per altre due Madonne col Bambino (di Cinquecento inoltrato) non lon-tane: Casali di Belforte (Fabbi 1963, p. 63) e un’altra inedita a Cerreto di Spoleto nella chiesa dell’Annunziata (4).

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Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?), Madonna col Bambino. Castelvecchio di Preci, San Giovanni

Battista (particolare).

(3) Giovan Battista di Giovannonofrio da Norcia, Cappella Verucci. Norcia, Sant’Agostino (particolare).

(4) Madonna col Bambino. Cerreto di Spoleto, chiesa dell’Annunziata.

(2) Madonna col Bambino, Antonio Rossellino.

Firenze, Santa Croce.

(1) Giovanni di Biasuccio, Madonna col Bambino. Civitella del Tronto,

Teramo (particolare).

Bottega degli Iucciaroni da Norcia (?), Madonna col Bambino. Castelvecchio

di Preci, San Giovanni Battista (particolare).

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XIV. Scultore locale attivo tra la seconda metà del XV secolo e i primi decenni del XVI secolo (?)

San Michele Arcangelo

Legno scolpito e dipinto

Savelli di Norcia, San Michele Arcangelo.

Bibliografia: Severini 1988, p. 168; Cordella 1995, p. 184.

Nell’oratorio del sacramento attiguo alla chiesa di San Pellegrino, insieme ad ex voto di emigranti e combattenti della prima guerra mondiale, sono presenti suppellettili antiche e la scultura qui pubblicata. In legno e cartapesta modellata è citata da Cor-della (1995) con attenzione al volto quattrocentesco, poco più piccola del natura-le, in precario stato di conservazione, pesantemente ridipinta. La sua sistemazione attuale è dovuta al rifacimento della chiesa a seguito del terremoto del 1979, che colpì la zona; precedentemente fu all’interno dell’edificio sacro. Originali attributi di bilancia e spada sono andati perduti; la spada visibile in una foto (dei primi del No-vecento) all’interno dell’oratorio, non è l’originale, ma un’aggiunta di inizio secolo (fonte orale). La scultura si presenta con ginocchiere di cherubini, armatura decorata a scaglie, il braccio destro alzato ad infilzare il nero demonio sotto ai piedi, sguardo verso il basso e mosse ciocche di capelli color oro. Il linguaggio scultoreo inquadra la statua di Savelli tra la seconda metà del XV secolo e i primi decenni del XVI secolo, presubilmente frutto di maestranza locale vicina agli stilemi umbro-marchigiani.

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Indice

Scultura lignea in Valnerina nel Medioevo: 7nuove frontiere

Premessa 9

Breve excursus sulla scultura in Valnerina 11dal XIV al XVI secolo

Opere inedite e poco note in Valnerina 41Schede

Bibliografia 87

Page 104: La scultura in Valnerina tra i secoli XIV e XVI. Scoperte e nuove proposte.
Page 105: La scultura in Valnerina tra i secoli XIV e XVI. Scoperte e nuove proposte.

Arte e territorio

D. Mattei, La scultura in Valnerina tra i secoli XIV e XVI. Scoperte e nuove proposte, 2015

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L. Tittarelli, La forma del corpo, con dvd, 2014

E. Storelli, Gli affreschi della “Maestà” di Acciano. Opera di maestro della scuola camerinese. Appendice sull’attività nocerina di Matteo da Gualdo, coedizione con L’Arengo, 2014

E. Cecconelli, Gli affreschi della chiesa castellana di Sant’Eraclio. Una testimonianza poco nota della pittura folignate del secondo Quattrocento e del primo Cinquecento. Appendice su

Cristoforo di Jacopo e Bernardino Mezzastris, 2013

Page 106: La scultura in Valnerina tra i secoli XIV e XVI. Scoperte e nuove proposte.

Finito di stampare nel mese di luglio 2015presso Digital Print Service Srl di Segrate (MI)