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La novellistica di Nino Casiglio di Francesco Giuliani L’universo dello scrittore La scomparsa di Nino Casiglio, avvenuta il 16 novembre 1995, ha lasciato sicuramente un vuoto nel mondo della cultura, avviando, nel contempo, tra le persone più attente e consapevoli, una riflessione sul senso della sua produzione intellettuale. Casiglio è stato un uomo versatile, che ha portato a termine numerosi lavori scientifici, interessandosi di temi filosofici, storici, topografici, letterari ed educativi, che formano un rispettabile corpus, che si affianca alle opere narrative, alle quali è in primo luogo affidata la sua notorietà e nelle quali ha cercato di esprimere, raggiungendo notevoli livelli, la sua spiccata personalità umana. Egli rappresenta una coerente figura di scrittore legato al territorio, nel senso migliore del termine, che ha cioè rifiutato l’emigrazione intellettuale per una preziosa opera di magistero culturale, rifuggendo nello stesso tempo da ogni provincialismo, da ogni gretta visione campanilistica. In lui la terra nativa è costantemente presente, esaltata nei suoi aspetti più peculiari e, insieme, universali. Non a caso di Casiglio si sono occupati a più riprese critici di grande rilievo, da Marabini a Pampaloni, da De Rienzo a Pomilio, senza dimenticare i vari Prisco, Cattabiani, Ruffilli, Dell’Aquila e De Matteis, per citare solo alcuni tra i nomi che compaiono nella sua lunga bibliografia. Un posto centrale nell’universo dello scrittore pugliese è affidato ai quattro romanzi apparsi in poco più di un decennio, Il conservatore (Vallecchi, 1972), Acqua e sale (Rusconi, 1977), La strada francesca (Rusconi, 1980) e La Dama forestiera (Rusconi, 1983); ma accanto ai lavori di più ampio respiro vanno senz’altro posti i numerosi racconti che Casiglio ha composto in circa un trentennio di attività. A conti fatti, osservando l’intero diagramma della sua operosità artistica, il racconto assume un’importanza di gran lunga maggiore rispetto a quanto si era finora pensato. E il riferimento non va solo ai tredici 169
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Apr 24, 2023

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La novellistica di Nino Casiglio

di

Francesco Giuliani

L’universo dello scrittore La scomparsa di Nino Casiglio, avvenuta il 16 novembre 1995, ha

lasciato sicuramente un vuoto nel mondo della cultura, avviando, nel contempo, tra le persone più attente e consapevoli, una riflessione sul senso della sua produzione intellettuale.

Casiglio è stato un uomo versatile, che ha portato a termine numerosi lavori scientifici, interessandosi di temi filosofici, storici, topografici, letterari ed educativi, che formano un rispettabile corpus, che si affianca alle opere narrative, alle quali è in primo luogo affidata la sua notorietà e nelle quali ha cercato di esprimere, raggiungendo notevoli livelli, la sua spiccata personalità umana.

Egli rappresenta una coerente figura di scrittore legato al territorio, nel senso migliore del termine, che ha cioè rifiutato l’emigrazione intellettuale per una preziosa opera di magistero culturale, rifuggendo nello stesso tempo da ogni provincialismo, da ogni gretta visione campanilistica. In lui la terra nativa è costantemente presente, esaltata nei suoi aspetti più peculiari e, insieme, universali.

Non a caso di Casiglio si sono occupati a più riprese critici di grande rilievo, da Marabini a Pampaloni, da De Rienzo a Pomilio, senza dimenticare i vari Prisco, Cattabiani, Ruffilli, Dell’Aquila e De Matteis, per citare solo alcuni tra i nomi che compaiono nella sua lunga bibliografia.

Un posto centrale nell’universo dello scrittore pugliese è affidato ai quattro romanzi apparsi in poco più di un decennio, Il conservatore (Vallecchi, 1972), Acqua e sale (Rusconi, 1977), La strada francesca (Rusconi, 1980) e La Dama forestiera (Rusconi, 1983); ma accanto ai lavori di più ampio respiro vanno senz’altro posti i numerosi racconti che Casiglio ha composto in circa un trentennio di attività.

A conti fatti, osservando l’intero diagramma della sua operosità artistica, il racconto assume un’importanza di gran lunga maggiore rispetto a quanto si era finora pensato. E il riferimento non va solo ai tredici

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scritti compresi nella silloge del 1987 La chiave smarrita, ma anche ai quattordici rimasti estravaganti e che noi abbiamo riunito nell’Appendice del nostro lavoro Nino Casiglio. La lezione sbagliata 1.

Questi ultimi rappresentano una novità, dal momento che, pur non essendo stati riportati in nessun testo specifico, aggiungono dei preziosi tasselli al quadro complessivo, mostrando anche delle caratteristiche meno prevedibili della sua vena, come la rattenuta commozione di Piano americano o di Richiesta di notizie e la vena favolistica di altre tre composizioni. Questa convinzione, del resto, ci è stata confermata da vari esperti conoscitori del mondo casigliesco, ma anche da semplici lettori.

Non diremo, insomma, di essere di fronte ad una rivoluzione copernicana, sarebbe eccessivo o fuorviante, ma sulla base del materiale disponibile possiamo dire che la narrazione di breve respiro rappresenta un aspetto tutt’altro che secondario nell’universo casigliesco. Di qui la scelta tematica operata in questo nostro contributo.

Tra romanzo e racconto

Come tutti sanno, il romanzo è un genere privilegiato rispetto al

racconto e soprattutto, a distanza di anni luce, rispetto alla poesia: questa banale constatazione, basata soltanto sui gusti del pubblico, non dimentichiamolo, e quindi sulle vendite e sui ricavi delle case editrici, ci aiuta a comprendere il motivo per cui la notorietà di Casiglio sia quasi del tutto affidata ai suoi quattro romanzi, che hanno potuto usufruire della capillare rete distributiva della Vallecchi, prima, e soprattutto della Rusconi, poi. Lo scrittore, inoltre, ha conquistato il Premio Napoli, nel 1977, con Acqua e sale, e il premio Scanno, nel 1980, con La strada francesca.

Eppure, allo stesso modo di tanti suoi colleghi, egli ha mosso i suoi primi passi proprio come autore di racconti, nel 1964, e la pubblicazione sulla ‘Nuova Antologia’, nel 1973, di Verginità, dopo l’esordio romanzesco vallecchiano dell’anno prima, gli faciliterà l’approdo al gotha letterario, con le sue ferree regole, lo stesso che gli rifiuterà la soddisfazione di un volume novellistico, negli anni successivi al 1983.

___________ 1 - F. GIULIANI, Nino Casiglio. La lezione sbagliata. In Appendice 14 racconti sciolti

dello scrittore.

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Dopo la pubblicazione del quarto ed ultimo libro, Casiglio matura

sempre più la convinzione di non avere più la capacità di scrivere un testo originale, capace, inoltre, di cogliere in anticipo i mutamenti in atto in una società sempre più dinamica e confusa, obiettivo che egli affidava al lavoro dello scrittore, in questo anche un po' profeta.

E’ a questo punto che prende definitivamente corpo la volontà di racchiudere una consistente parte delle sue opere brevi in un unico libro, una scelta che difende con convinzione e tenacia, fino alla decisione di accettare la proposta di una piccola ma intraprendente casa editrice del Gargano, il Gruppo Cittadella Est di San Marco in Lamis.

Nasce, così, nel 1987, La chiave smarrita e altri racconti, un volume di 166 pagine sulla cui copertina campeggia un quadro di Klint, Nuda veritas, a rimarcare lo sforzo di analisi del reale operato dallo scrittore in ogni brano.

Per comprensibili motivi il libro resta confinato in un ambito più ristretto e anche il numero e l'autorevolezza delle recensioni, in ogni caso positive, ne hanno risentito; ma tutto questo faceva parte delle regole del gioco, imposte dalle grandi case editrici e dal genere letterario, e Casiglio, al quale la Rusconi continuava a ribadire la sua stima, ma a condizione che proponesse un romanzo, lo sapeva bene.

Trattandosi di un personaggio alieno dalle improvvisazioni, non c'è dubbio sul fatto che la sua decisione nasce solo da una precisa volontà.

Su due concetti molto semplici egli ha più volte battuto, rispondendo alle interviste rilasciate negli ultimi anni, sul fatto, cioè, che i testi novellistici "se raccolti in volume correvano meno il rischio di andare dispersi”2 e sulla inesistenza di una drastica divisione tra narrazione di breve e di ampio respiro.

La differenza dipende solo dalla materia, che può richiedere una più articolata architettura o può rimanere entro ambiti più ristretti; in ogni caso, essa fa valere le sue norme sullo scrittore che obbedisce fedelmente, rifiutando ogni artificiosa e fredda dilatazione o, al contrario, ogni compressione narrativa. Questi temi sono anche trattati nella nota editoriale posta sulla quarta di copertina del libro.

_____________ 2 - G. DE MATTEIS, Intervista a Nino Casiglio, in la CAPITANATA - Rassegna di

vita e di studi della Provincia di Foggia", a. XXXII-XXXIII (1995-1996), n.s., n. 34, p. 360.

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In entrambi i casi ci sembra che l'autore avesse ragione da vendere. Le

opere, apparse quasi tutte su rivista, in un primo tempo, sono rimaste a lungo in ombra, fino al 1987, e lo stesso è avvenuto, a maggior ragione, per il materiale compreso nella già citata appendice, consegnato a periodici pugliesi non sempre facilmente reperibili, mentre due novelle, per la precisione Le due sorelle e L'attrice, sono apparse nel 1989 su di una rivista triestina. Non c'è niente da fare: un libro si conserva meglio di un mucchio di fogli sempre più ingialliti! Che Casiglio tenesse molto ai suoi pezzi brevi, del resto, si ricava agevolmente, come un corollario, proprio dalla scelta operata nel 1987; egli scommette su di essi fidando sul fatto che il tempo avrebbe emesso una sentenza più imparziale sul loro valore.

Quanto al secondo concetto, sulla mancanza di nette divisioni tra romanzo e racconto, spicca già ad una prima lettura l'esistenza di lavori come Verginità e La chiave smarrita che, per estensione e trama, fungono quasi da trait d'union, avvicinandosi al romanzo, e di altri, invece, che arrivano in modo coerente alla conclusione nel giro di un paio di paginette.

Insomma, i racconti rappresentano una densa e variegata componente della produzione dello scrittore, uniti sì da una misura più essenziale, ma sempre capaci di offrire una testimonianza del suo mondo artistico, con i suoi temi ricorrenti, la sua perizia stilistica, la sua visione di una realtà nella quale l'oscuro supera il certo ed è molto più facile imbattersi nel male che nel bene.

L'autore distende ovunque uno sguardo lucido e disincantato sulle cose che lo circondano, sgombrandole dagli orpelli e dai condizionamenti storici ed ideologici, avendo però sempre come presupposto l'impegno del singolo, la sua attiva ed inalienabile testimonianza per contrastare la negatività insita negli uomini, specie in quelli che recitano in prima fila nella commedia di ogni giorno.

Alla fine, e non poteva essere diversamente, seppure con minore complessità, il significato dei racconti finisce per confluire con naturalezza nello stesso alveo dei quattro libri più noti. Il che significa anche, spostando il discorso sul piano del valore artistico, che in più di un racconto, come Verginità, La chiave smarrita e Piano americano, siamo di fronte al miglior Casiglio, lo stesso di gran parte dei suoi romanzi.

La chiave smarrita: struttura complessiva Per evidenti motivi inizieremo la nostra disamina dai racconti editi

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nel 1987 ne La chiave smarrita3. Il libro consta di tredici lavori, di cui tredici già apparsi su rivista e tre del tutto inediti, quello eponimo, La promessa e L'Opera. Nella breve nota posta a chiusura del volume, lo scrittore ricorda di non averli disposti in ordine di composizione, ma di averli "raggruppati intuitivamente, come, da che mondo è mondo, si usa presentare merce varia" (CS, p. 163), sottolineando, comunque, a scanso di equivoci, il rapporto che li lega tra di loro e con i suoi romanzi.

In ordine cronologico, troviamo materiale che va dal 1964 al 1983. Preludio alla morte e Qualcosa è accaduto, pertanto, sono le novelle più antiche, ospitate da "Galleria", nel 1964, che quattro anni più tardi stampa La conoscenza di terzo genere; con Verginità, edita dalla "Nuova Antologia", siamo al 1973, mentre tra il 1980 e il 1982 la rivista "Opinioni libere" accoglie sulle sue pagine Le nuvole, La signorina, I bachi, La maestra di Smirne e La ragazza di via dei Ciliegi; l'ultima data è il 1983 di Tre donne, apparsa sulla "Gazzetta di Parma".

Per quanto riguarda i racconti inediti, Casiglio non specifica la data di composizione, che ci è ignota, ma di certo rientrano in un periodo felice nella sua produzione letteraria.

In merito all'estensione dei singoli lavori, passiamo dalle trentuno pagine de La chiave smarrita e di Verginità e dalle ventinove de L'Opera fino alle due paginette de La signorina e de Le nuvole, il che conferma la varietà delle composizioni, accomunate dalla personalità artistica di Nino Casiglio, ma anche capaci di spaziare in diverse direzioni.

Il giallo di provincia posto in apertura, che fa venire in mente, per certi versi, il Pasticciaccio gaddiano, deve la sua posizione di preminenza. all'ampio respiro e al suo carattere di opera inedita, oltre che alla sua relativa peculiarità nell'ambito della narrativa del Pugliese, visto che si snoda intorno ad un misterioso delitto destinato a rimanere irrisolto.

Su questo lavoro doveva basarsi uno sceneggiato televisivo, infatti la Rai ne aveva acquistati i diritti e Casiglio, insieme con il concittadino Nicolangelo De Bellis, presentò ai responsabili della sede regionale di

____________ 3 - Di questa silloge esiste una recensione a firma dello scrivente, apparsa sul

periodico lucerino "MERIDIANO 16", 16 ottobre 1987, che significativamente, con le sue tesi radicali, segna la distanza tra il giovane neofita ed il più prudente e riflessivo uomo di oggi. Avvertiamo che da ora in poi la raccolta La chiave smarrita sarà indicata con la sigla CS.

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Bari un primo abbozzo di sceneggiatura; in seguito, però, l'emittente di

Stato rinunciò unilateralmente al progetto. Spicca, dopo il racconto eponimo, un blocco omogeneo di sette opere,

che va da I bachi a Qualcosa è accaduto, strettamente caratterizzato dalla natura autobiografica e dall'uso della prima persona. È Casiglio stesso che parla e ricostruisce dei momenti particolari della sua vita, soffermandosi su figure, soprattutto femminili, situazioni e interrogativi ancora vivi in lui.

Lo scrittore è, man mano, un alunno delle elementari, nei primi tre, si rivede ventenne alle prese con la guerra, l'università e la visita medica militare, nei secondi tre, docente impegnato negli esami di Stato, nell'ultimo. Siamo di fronte a brani dal breve respiro e che, da un punto di vista artistico, ci sembrano inferiori a quelli più lunghi.

A parte troviamo La conoscenza di terzo genere, che mantiene l'uso della prima persona, ma abbandona l'autobiografismo precedente per una girandola di immagini di varia provenienza.

Il trittico successivo contiene il racconto più bello del libro, Verginità, e altri due, come La promessa e L'Opera, che sono di gradevolissima lettura, specie il secondo, con i suoi tanti spunti di riflessione sulla realtà attuale.

In posizione di chiusura c'è il suggestivo brano Le nuvole, un breve ma profondo congedo, che richiama il genere autobiografico, ma con esiti superiori ed un andamento liricheggiante.

Nel complesso, il volume apparso nel 1987 non è esente dai difetti tipici di tutte le sillogi novellistiche, con contributi di diverso valore, che però si elevano fino ad includere alcune tra le prove più valide della vena narrativa di Casiglio, come ha notato il Marchetti, scrivendo che La chiave smarrita, Verginità, La signorina e L'Opera “sono da porre senza esitazione accanto alle migliori prove di Alvaro, Prisco e Alianello, solo per stare alla narrativa d'impronta meridionalistica”4. Le valutazioni ci trovano sostanzialmente d'accordo.

A libro chiuso, si finisce con il comprendere la tenacia dell'autore nel voler pubblicata la silloge, nella quale le pagine d'esordio confluiscono accanto a quelle coeve rispetto ai suoi romanzi, fino al 1983, anno in cui,

_____________ 4 - G. MARCHETTI, C'è chi racconta e chi si racconta, in “LA GAZZETTA DI

PARMA", 2 luglio 1987, p. 3.

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per una significativa coincidenza, appaiono sia l'ultima delle tredici novelle, Tre donne, che La Dama forestiera.

Ma esaminiamo più da vicino le opere.

Un giallo di provincia La vita di provincia sembra obbedire ad un ritmo ripetitivo fino alla

noia, anzi fino all'ossessione, ma certi eventi sono in grado di sconvolgere le abitudini più inveterate, portando a galla una ben diversa realtà. E’ quanto si verifica ne La chiave smarrita, dove un oscuro omicidio viene ambientato in un piccolo e tranquillo, almeno in apparenza, centro abitato.

Davanti al protagonista, il maresciallo Valletta, sfilano le facce di ogni giorno, le monotone azioni di sempre, quando, all'improvviso, si verifica l'evento dirompente, ossia l'uccisione del merciaio Santarella, il quale da anni, con invidiabile salute, sfilava davanti al poliziotto, mentre si recava nel suo negozio, mezz'ora prima dell'apertura.

Un fatto inspiegabile, che apre la strada a delle difficili indagini, che formano, poi, il corpo del racconto, diviso in cinque capitoli; come in ogni giallo, ogni episodio fornisce nuovi dati alla narrazione, offre nuovi elementi di conoscenza, ma anche di dubbio, fino all'imprevedibile epilogo.

Valletta è un uomo come tanti, con una sua intima bontà ed un'innata tendenza alle lunghe riflessioni; tra le sue doti, però, non c'è l'entusiasmo e così nelle lunghe pause della sua giornata avverte con forza il passare del tempo, con i suoi rimpianti, le sue amarezze, le sue frustrazioni: "La legge era per lui una bestia fastidiosa e camaleontica, che quotidianamente lo confondeva, lo turbava, lo metteva in urto con se stesso" (CS, p. 8).

Con il suo commissario, che "amava le carte più degli uomini" (CS, p. 7) e avvertiva maggiormente gli obblighi del regolamento rispetto a quelli della morale e della famiglia, i rapporti non sono facili e lo stesso si può dire a proposito del giudice Caporosso che, "Tenero con se stesso ... non lo era altrettanto con gli altri, con i rei..." ( CS, p. 8).

Casiglio, in questo modo, ci offre una visione dall'interno della Giustizia, che, passando dall'idea alla sua concreta manifestazione ed applicazione, evidenzia un ben prosaico volto, pur in assenza di malafede. La descrizione di questa comune umanità, con le sue piccole debolezze e le sue vanità, rende il racconto denso e credibile.

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Completano il quadro altre figure, come quella di Tauraso, il poliziotto

con l'idea fissa del sesso, e di Carmelina, la donna amata in gioventù da Valletta, che proprio grazie alle indagini ritorna a far capolino nella sua esistenza.

Tra i dati certi legati all'omicidio di Santarella, ce n'è uno che acquista una grande importanza: l'assassino ha aperto regolarmente la porta di casa. Il mistero, così, si concentra intorno ad una chiave che è materiale e simbolica, è un oggetto ma anche il simbolo di tutte le verità che ci sfuggono e rendono più netto il senso della finitezza umana.

La chiave che apre la porta del mistero, così, dove si nascondono le risposte alle domande di sempre, non può che rimanere una chimera.

In seguito veniamo a sapere che una commessa aveva libero accesso in casa del merciaio, ma poco dopo il problema si complica, con le parole del titolare di un negozio di ferramenta, che ricorda di aver consegnato quattro copie della chiave dell'abitazione a Santarella, la cui vita rivela dei lati inediti, come quello legato alla tresca con la moglie di un medico, Erminia.

L'ultimo capitolo, Niente è vero, ci lascia con l'imperfetta ricostruzione della vicenda: delle quattro chiavi, tre hanno un proprietario, senza che questo possa portare alla dimostrazione della colpevolezza di qualcuno; manca la quarta, quella decisiva. Chi la possiede?

Dalla narrazione nasce, leggero, il senso filosofico del racconto, attento a cogliere la sfasatura tra apparenza e verità, una lezione che Valletta aveva appreso a sue spese anni prima, e cioè che "i fatti stanno sotto gli occhi, ma non sempre il senso loro è perspicuo e parvente" (CS, p. 14).

Non solo ci sono dei misteri inviolabili, ma c'è anche una realtà nascosta, sotterranea, che si rivela, talvolta, nei modi più strani, come quando la donna amata in gioventù dal maresciallo aveva dovuto sposare in fretta e furia un uomo di cui Valletta nemmeno immaginava l'esistenza, mentre, al contrario, pensava di possedere un quadro preciso della situazione.

La quarta chiave potrebbe ancora esistere, in mano all'ignoto assassino, ma potrebbe anche essere stata persa in passato da Santarella, riducendo il numero a tre.

E allora, tutto può essere vero, ma anche il contrario, Niente è vero, e noi ci illudiamo, fino alla smentita che ci daranno i nudi fatti, di leggere ogni cosa attraverso il nostro significato, piegando a noi gli altri uomini, i fatti e gli oggetti. Proseguendo in questa direzione, come si vede, ci imbattiamo in diverse, possibili letture.

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Si tratta, nel complesso, di un racconto gradevole ed appassionante, di

notevole fattura artistica, che scorre fluido fino alla fine, non senza le solite, riuscite notazioni ironiche, come in questo passo:

“Avevamo già qualche sospetto, " disse il commissario, appropriandosi senza scrupolo

dei dubbi di Valletta, che fu subito spedito per il sopralluogo, in compagnia di due agenti, sulla 'Giu lia' grigio verde, con marcia bassa rombante e grande stridor di freni. A piedi, attraverso un vicoletto, sarebbe arrivato prima; ma in quei casi si usa così. Dei due agenti, uno rimase in istrada, a tenere a bada i ragazzini, che si erano subito radunati a godersi la novità. (CS, p. 9)

Ma non va dimenticato il ritratto del nipote della vecchia Caterina,

disoccupato cronico, che "passava più tempo del pensabile ritto su un piede, come una gru, e con l'altro piede puntellato sul muro alle sue spalle” (CS, p. 15), né possiamo trascurare il titolare del negozio di ferramenta, che pretende di essere chiamato dottore e ne fa una questione di principio.

La vita è piena di stranezze naturalmente comiche, fotografate dallo scrittore con un linguaggio semplice ma pregnante, mai banale, vicino alla materia rappresentata, non senza qualche studiata coloritura ambientale “Valletta, tu mi sembri una coccovaja", CS, p. 7), e volutamente sensibile alle cadenze della lingua colloquiale.

I racconti autobiografici

Nel blocco di sette racconti disposto dopo La chiave smarrita5

l'autobiografismo è scoperto, sin dall'uso della prima persona. Si potrebbe obiettare che in fondo Casiglio non ha avuto una vita

movimentata, attaccato com'era ai suoi studi e ai suoi personali ritmi di

______________ 5 - I bachi è apparso su "OPINIONI LIBERE", 1981, n. 9-10; la rivista ha ospitato,

nello stesso 1981 (n. 7-8), La signorina; nel 1982 è la volta de La ragazza di via dei Ciliegi (n.7-8) e de La maestra di Smirne (n. 4-5); Tre donne rinvia a "La GAZZETTA DI PARMA" del 6 febbraio 1983, e non del 6/3, come si legge nella nota dell'autore, dove c'è evidentemente un refuso; tra l'altro, il racconto, su richiesta dei redattore del quotidiano, presenta un titolo leggermente diverso, ossia Tre donne a Roma. Preludio alla morte e Qualcosa è accaduto, infine, sono stati stampati su "GALLERIA", 1964, n. 6.

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vita, in un centro di media grandezza della provincia pugliese. Ma in questo modo si dimostrerebbe solo di aver capito poco del personaggio, convinto che in qualsiasi vita c'è più che sufficiente materia da poter illuminare attraverso l'arte e che non vive davvero solo lo scrittore di gesta mirabolanti, ma anche, se non di più, quello che si avvicina alla normalità e che dalla prosaica esistenza fa emergere casi particolari e significativi.

Casiglio, che non amava i superuomini, batte la strada di un autobiografismo mai fine a se stesso, ma capace di coinvolgere il lettore con la forza della sua universalità. Ciò non gli impedisce, naturalmente, di servirsi con libertà di questa materia, affiancando alle vicende vissute altre inventate o trasfigurate da fatti reali.

Si tratta di una componente della sua produzione novellistica che non si esaurisce in queste pagine del libro, ma si ritrova anche in numerosi racconti editi solo su rivista. Forse, accanto alle valutazioni estetiche, ebbe un ruolo decisivo la necessità di non appesantire la sezione, ampliandola in maniera sproporzionata rispetto alla restante parte del volume.

Il primo racconto del gruppo è formato dalle tre paginette de I bachi e ruota per intero sull'abilità descrittiva. La memoria ritorna ai tempi della scuola elementare, quando "i reggitori avevano progettato di metter tutti, o quasi, ad allevar bachi e produrre seta" (CS, p. 37), e in classe le conseguenze erano visibili, visti i cartelloni appesi al muro.

Gli animaletti, con la loro virtù di produrre la preziosa seta, diventano una sorta di ossessione, e così anche il direttore didattico interroga gli alunni su questo tema. Restava un unico problema, aggiunge l'io narrante, costituito dal fatto che non ne aveva mai visto uno dal vivo.

Il desiderio, tipicamente infantile, di apprendere e vedere nuove cose viene stimolato dalla ubicazione della scuola, "in un vecchio e grande convento, di cui conoscevo solo una parte" (CS, p. 38), e la gioia viene quasi a materializzarsi nella visione che il fanciullo ha, dall'alto, delle case e di un campanile del suo paese.

Infine, arriva il momento di sfilare davanti ai bachi, ma il dubbio sul modo in cui si togliesse la seta dai bozzoli resta insoddisfatto ed apre, poi, la strada all'arguta notazione finale: “E per me fu chiaro che, ad essere preziosi amici, c'è il rischio di finire arrosto" (CS, p. 39).

La sorte dei bozzoli insegna al giovane che l'irriconoscenza è sempre in agguato e che non bisogna mai eccedere nella cieca fiducia. Una morale, non c'è che dire, inattaccabile.

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L'infanzia è anche un'età ricca di ingenuità, capace di nascondere certi

torbidi risvolti che solo il tempo porterà alla luce. Ce ne accorgiamo leggendo La signorina, dove incontriamo la prima delle figure femminili questi racconti, una donna venticinquenne, "La mia dirimpettaia del 1927 (CS, p. 41), bella ed affascinante, oltre che anonima, di fronte alla quale sta, con esplicito riferimento all'autore (nato nel 1921), un bimbo di sei anni.

Una persona particolare, che "viveva sola, in una camera d'albergo, e vi trascorreva la maggior parte del suo tempo" (CS, ivi), oggetto delle più minute attenzioni.

Anche questo breve lavoro è condotto sul filo di alcune minute descrizioni e di alcuni dubbi, quali dovettero risuonare nella mente di un individuo che si stava affacciando sulla scena del mondo e che voleva sembrare più grande, tanto da potersi persino innamorare di lei.

Il tutto termina con un “lungo riso squillante" (CS, p. 42), il giorno in cui l'incognita professionista del sesso scopre nel fanciullo qualcosa più di un ingenuo sorriso.

L'attenzione a questa fase della vita umana era particolarmente viva in Casiglio, che ne Il conservatore scrive delle belle pagine sull'infanzia di Gaetano Specchia.

Ne La ragazza di via dei Ciliegi l'io narrante ha otto anni e troviamo varie novità, rispetto al racconto precedente, a partire dallo sfondo geografico. Con un lungo viaggio, infatti, ci spostiamo sul Tirreno, in una innominata località dalla quale si vedevano "da un lato le Apuane, azzurrine, segnate di macchie candide; dall'altro il mare, tagliato dallo sperone della Spezia" (CS, p. 43). Si tratta, come ci ricorda la figlia dello scrittore, Carrara, nel cui comune un parente di Casiglio gestiva una farmacia.

In questa transitoria realtà il protagonista misura la distanza dai luoghi nativi, cogliendo nuovi spettacoli ed odori, soffermandosi sui lavoratori intenti al trasporto di blocchi di marmo, con l'aiuto dei buoi, e curiosando in una farmacia, che lo avvince con le sue scatole e le sue boccette.

Dopo la prima parte descrittiva, il brano si incanala sul tema del porto tra i sessi, complicato dalla grande incidenza dell'età, per cui si è sempre troppo grandi per qualcuno e troppo piccoli per qualcun altro, e da un’amara verità che per il momento sfugge.

Edvige esemplifica il primo esempio, una ragazzetta di sette anni magra e minuta; dall'altra parte, c'è la "ragazza dagli occhi assenti" (CS, p.47), incontrata per caso e rivista più volte con piacere.

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La differenza di anni non è abissale, come per la venticinquenne descritta

ne La signorina, ma c'è sempre qualcosa di nascosto, che gli viene ricordato dal cugino adolescente, il quale risponde alla domanda se la conoscesse in modo "distratto e un po' sprezzante” (CS, ivi).

"Non chiesi di più; - è la conclusione del racconto - ma avvertii amaro il limite che mi stringeva nella mia dimensione di fanciullo" (CS, ivi).

Ma la giovinezza di Casiglio culmina cronologicamente con la seconda guerra mondiale, che fa la sua comparsa nel volume con La maestra di Smirne.

Il titolo evoca atmosfere esotiche che si incrociano, però, con i destini di un paese del Sud, dove l'io narrante incontra questa donna ancora bella, anche se gli anni cominciano a pesare, chiamata così a causa del lungo periodo trascorso ad insegnare all'estero.

In un piccolo centro ci si conosce tutti e così, dalla memoria dell'uomo, spunta una vecchia fotografia nella quale era ritratta anche la maestra, ora diretta a Roma, da un gerarca fascista che essa chiama per nome, sottintendendo familiarità. La sua presenza funge da antidoto al male e le emozioni si accavallano nella mente del narratore, mentre il treno si avvicina a Roma.

Dal punto di vista artistico è notevole l'attacco del racconto, nel quale l'incubo della guerra e la rievocazione del passato appaiono indissolubilmente fusi. La vivida descrizione dello sconvolgimento bellico si ritrova anche in seguito, accanto ai passi in cui spiccano dei soldati tedeschi, colti nei loro vari atteggiamenti, riservati, come l'ufficiale che mangia da solo, chiassosi o malinconici, come quel soldato che si ritrova d'accordo con lo scrittore nel condannare la malvagità della guerra.

Un dialogo reso difficile dalla lingua, ma condotto con lo stesso sdegno e la stessa speranza nei valori positivi dell'umanità.

Nel racconto successivo, Tre donne, Roma è stata liberata da due mesi e l'io narrante vi arriva dopo un viaggio di ben trentasei ore, in un camion malconcio. In questo particolare frangente, in cui l'inflazione sale e tutti si aiutano come possono, la sua salvezza è costituita da un compaesano, don Peppino, un intraprendente e scaltro commerciante, che lo ospita a casa sua.

Malgrado il titolo, è proprio lui il vero protagonista, con la sua straordinaria arte di adattarsi, costituendo anche il personaggio artisticamente più felice del racconto.

Intorno a lui girano le tre ricordate figure femminili, ossia la moglie

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Maddalena, l'inquieta adolescente Laura e l'ambigua Matilde, che da aiutante si scopre, nell'ultima pagina, anche amante; il loro numero potrebbe aumentare a quattro, se aggiungessimo l'incognita ragazza incontrata su di un autotreno in occasione del viaggio di ritorno, anch'essa commerciante, ma, nota malizioso lo scrittore, “L’oggetto del suo commercio mi rimase imprecisato" (CS, p. 59).

Preludio alla morte ha un titolo tragico e la scelta è ampiamente giustificata dal teatro della vicenda, rappresentato da un ospedale militare, in tempo di guerra.

Ancora gli eventi bellici, insomma, ma questa volta sentiti più vicini e minacciosi, pronti a coinvolgere in prima persona l'individuo, portandolo sul fronte dei combattimenti. Non è il caso dello scrittore, che, come si deduce anche dal testo, soffriva di una grave forma di miopia; ma per non pochi di quelli dichiarati idonei alla visita o comunque incontrati nell'ospedale, quei giorni sono stati realmente un atto preliminare alla propria scomparsa, un preludio, appunto, alla morte istantanea o, peggio, per gli effetti delle ferite o dell'internamento in un campo di concentramento.

Si sta per compiere un dramma, ma Casiglio vuole dirci che la guerra non ha risparmiato nessuno, che non ci sono stati dei veri e propri salvati, visto che tutti, in un modo o nell'altro, hanno pagato il proprio tributo. Le proporzioni dell'orrore, però, sono diventate chiare solo in seguito, ragion per cui nel racconto vediamo evidenziata soprattutto l’egoistica lotta per la sopravvivenza, la volontà di trascorrere quanto meglio possibile i giorni necessari per espletare le visite mediche e le formalità burocratiche.

Mentre l'io narrante si meraviglia dei ritardi, della sporcizia e delle cimici, "Contemporaneamente, - ma io allora non lo sapevo - in altri punti della Terra, milioni di uomini perdevano il nome e l'individualità, divenivano numeri effimeri, prima di essere ridotti in cenere" (CS, p. 62).

Alcuni quadri sono straordinariamente vividi, come quello dei due lucani, venuti a riprendersi il cadavere del figlio, che resta scolpito nella memoria del narratore. Si tratta, a parer nostro, del miglior racconto di questa sezione, che chiude in modo crescente il trittico bellico.

Più scontata è la storia di Qualcosa è accaduto. Il professore Casiglio è impegnato negli esami di Stato in una innominata città, un impegno gravoso e malpagato; il tempo passa lento e noioso, ma acquista un significato solo verso la fine della sua trasferta, il penultimo giorno, quando si verifica qualcosa, ossia fa la sua comparsa una donna, depositaria di una fabbrica di dolciumi.

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Allora l'orologio sembra battere i colpi troppo velocemente, anche se l'io narrante fa in tempo a parlarle, apprendendo delle notizie sulla sua vita privata. Non succede nulla di particolare, ma talvolta, ci suggerisce il titolo, anche le piccole cose lasciano uno strascico, specie nella memoria.

Ha dei caratteri diversi, ma ne parliamo per comodità in questa sede, il racconto La conoscenza di terzo genere6, che non ci sembra tra i più riusciti e si risolve in un fuoco pirotecnico di immagini e di concetti di derivazione filosofica, che seguono il particolare ritmo dell'arguto io narrante, le sue libere associazioni mentali.

Tutto sommato, il brano rivela una notevole atipicità, quasi si trattasse di un'incursione in un campo che gli sarebbe rimasto estraneo, anche se poi Casiglio ritenne giusto includerlo nel suo volume novellistico.

Tra le prove più evidenti di ciò, la mancanza di legame con il mondo della provincia meridionale a lui così caro e la frammentazione dei periodi, che si rincorrono, in certi passaggi, a ritmo sostenuto.

Le riflessioni, tendenti ad andare oltre l'apparenza della realtà sensibile, passano dalla divisione tra spettatori e attori alla coincidenza, nella realtà, tra minimi e massimi, alla mancanza di contraddizione nella varietà delle vicende e degli usi umani.

Nell'ultima pagina, poi, il bizzarro io narrante tira dal suo cilindro la sorpresa finale, chiudendo sull'immagine di un mondo vario, che trova la sua armonia nella disarmonia: "Nella notte qualcuno canta fingendosi napoletano, altri sghignazzano, i cani abbaiano, gli autotreni rallentano all'incrocio, senza fermarsi. In armonico equilibrio" (CS, p. 81).

Il ritmo della vita

Verginità 7 è il racconto più noto di Casiglio e quello al quale teneva

maggiormente, e non senza ragione, visto che raggiunge i più alti risultati artistici.

____________ 6 - La conoscenza di terzo genere è apparso su "GALLERIA", 1968, n. 1-2. 7 - Verginità è stato pubblicato sulla "NUOVA ANTOLOGIA", n. 2076, dic.

1973, pp. 502-527.

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La pubblicazione sulla prestigiosa 'Nuova Antologia', dalla quale passa

praticamente senza modifiche nel volume del 1987, era stata per lui fonte di soddisfazione e un entusiastico recensore aveva scritto che l'opera. rispetto a Il conservatore, costituisce senza dubbio "un affinamento dei mezzi espressivi e un approfondimento della ricerca dell'umana “interiorità”8.

Una tesi un po' forzata, in verità, ma si tratta, lo ribadiamo, di un ottimo lavoro, il cui spunto iniziale, come ci rivelò in un colloquio lo scrittore, gli era venuto ascoltando una storia realmente accaduta; l'idea aveva poi trovato terreno fertile, fino alla stesura e alla pubblicazione.

Un elemento fondamentale collega subito questo racconto al romanzo vallecchiano ed è rappresentato dal fatto che in entrambi i casi si descrive l'esistenza del protagonista dai primi anni di vita fino alla morte; malgrado una certa indubbia aria di famiglia, però, va detto che in molti altri aspetti i due personaggi sono diversi.

Elisabetta è una donna comune, appartenente ad una famiglia della piccola borghesia che cerca di dimenticare le ristrettezze quotidiane con il ricordo dei fasti del casato dei Carafone, dal quale discendeva la madre; la storia con l'iniziale maiuscola non passa per la sua vita, come nel caso del benestante e colto Gaetano Specchia, e l'orizzonte è circoscritto nell'ambito di un grigio paese.

Mancano le grandi problematiche del tempo, o almeno sono poste in secondo piano; spicca, invece, la descrizione della monotona ed avvilente realtà di tutti i giorni, vista attraverso un personaggio che si lascia vivere, ..come un legnetto trasportato da un rigagnolo" (CS, p. 104), che subisce l’influenza della famiglia e delle circostanze, seguendo questo ritmo dettato dall'esterno sino alla morte, malgrado qualche tentativo di reazione.

Vista in quest'ottica, Elisabetta rientra a pieno titolo nell'ampia schiera dei personaggi passivi o, se si vuole, senili, sorpresi nel loro piccolo mondo e portati, loro nolendo, al centro della scena da scrittori persuasi del loro altissimo grado di rappresentatività del destino umano.

I nomi di Svevo e Verga, ma anche di Bufalino, sono troppo noti per diffonderci in quest'analisi, che piacerebbe a quanti amano lo sterile sfoggio di erudizione, ma non ci fornirebbe alcun elemento concreto di

___________ 8 - E. TOSTO, “Verginità" di Nino Casiglio, in "MICHELANGELO", Firenze,

ott.-dic. 1974, p. 73.

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conoscenza; ci limitiamo a ricordare che nel novero possiamo porre anche la protagonista del fortunato romanzo Passaggio in ombra, della pugliese Mariateresa Di Lascia.

Il titolo del racconto trapassa agevolmente da una verginità fisica, quella della signorina Elisabetta, ad una spirituale, più profonda e significativa, la purezza dell'animo di chi ha attraversato con leggerezza la vita, senza essere contaminata dal negativo del mondo, di chi non ha lasciato che una labile traccia, salvata solo dall'arte.

La narrazione si apre con una Elisabetta colta nel momento in cui comincia a confrontarsi con quello che le è intorno; vede mobili vecchi e continue ristrettezze economiche, ma la magia del nome Carafone deve suggerire l'idea di agiatezza e soddisfazione.

In questo ambiente, che ha nella madre il suo nume tutelare, tutto risponde a delle ferree regole comportamentali, per quanto non scritte, e noi ci ricordiamo delle osservazioni presenti ne Il conservatore, ma anche altrove, laddove si sottolinea l'atteggiamento della piccola borghesia, che durante il Ventennio si chiude nel suo sterile orgoglio e nei suoi riti di classe.

Questa nota ritorna, per quanto mai esibita, e permette di definire meglio il carattere della madre di Elisabetta, che ha sposato, non senza dubbi, uno spedizioniere, un uomo, cioè, che prepara i pacchi e predispone il necessario per poterli inviare via posta.

La giovane segue il cammino tracciato dalla genitrice, passando attraverso le visite, la scampagnata, la festa da ballo, finché non si imbatte in Willy Sant'Agata, detto "Faccia di bronzo" (CS, p. 92), appellativo meritatissimo, dal momento che romperà il fidanzamento con la donna, spinto anche dalla sua famiglia.

Elisabetta, comunque, si consola presto; intanto scoppia la seconda guerra mondiale e la famiglia si rifugia in Basilicata, per sfuggire ai bombardamenti, dove incontra un cugino che le fa la corte, ma essa lo rifiuta.

Rimasta orfana, diventa dama di compagnia, fino a quando la vedova Virgi si preoccupa di evitare un'altra occasione, rappresentata da suo fratello, attratto da Elisabetta, facendola assumere in banca. Tutto avviene al di sopra di lei, ma condizionandola pesantemente.

E a questo punto che le circostanze la portano ad innamorarsi, per la prima volta, di un uomo, un umile cantiniere, ma si tratta di una storia impossibile, visto che è sposato.

L'ultimo atto è la malattia, con il ricovero in ospedale, che detta allo

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scrittore alcune pagine molto profonde sull'esistenza di chi soffre, soffermandosi, ad esempio, su di un avverbio:

Nessun medico si occupò di lei; solo un'infermiera si ostinò a misurarle la febbre che

non aveva. “Il professore è a Zzurico ", annunziò; “forse torna domani". Forse; Elisabetta avrebbe imparato presto quanto sia importante questo avverbio negli ospedali: forse il professore viene; forse no; forse è arrivato; forse si opera domattina; i raggi stasera,forse; forse si esce; forse si muore. “Forse" si adatta bene a una vita che è senza tempo, se non per i contabili che scriveranno alla mutua. ( CS. pp. 110 - 111).

Il dolore del singolo si scontra con l'abitudine a vederlo negli altri e si

trasforma in insensibilità, cinismo, mentre l'andamento del racconto si apre alla commozione, alla pietà, ricordando il viaggio di ritorno di Elisabetta dall'ospedale, nascosta in un'ambulanza, perché "chi soffre va escluso dalla comunione luminosa del mondo; si suppone che ne riceva fastidio, oltre che darne" (CS, p. 113).

E una parte che ci fa venire in mente il cammino senza sbocco di padron ‘Ntoni e di mastro-don Gesualdo, una narrazione amara, pervasa dal senso di una fatale solitudine, condotta con la misura già riscontrata ne Il conservatore e con uno stile meno ricco di echi letterari, pur nella persistenza dell'ampio periodare e della curata punteggiatura.

Caratteristici di Casiglio, qui come altrove, sono i lunghi capoversi, con i quali l'autore sembra voler rendere il ritmo lento, ma trascinante ed inarrestabile, anche quando diventa tragico, della realtà.

La promessa è uno dei tre lavori inediti de La chiave smarrita e si incentra sul tiepido fidanzamento tra Carletto e Sabina, che non sfocerà in alcun matrimonio.

Se Verginità si chiudeva sulla visione del mondo ospedaliero, ora seguiamo il proposito di Carletto di diventare medico, un obiettivo ambizioso, anzi impossibile, se rapportato alle condizioni economiche della famiglia, e che non nasce da alcuna profonda idealità.

Egli non è un personaggio positivo, ma è "sufficientemente cinico e ostinato" (CS, p. 117), e non sono migliori di lui gli altri protagonisti, come i familiari di Sabina, attratti dalla possibilità di avere un genero dottore e persuasi di compiere un proficuo investimento.

Saranno proprio loro, infatti, che, con una finzione, permetteranno a Carletto di laurearsi, ma questi, alla fine del corso di studi, sposerà

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Adalgisa, conosciuta in città, venendo meno all'impegno preso ed abbandonando per sempre il paese.

Un affare sbagliato per i genitori della ragazza, ma l'epilogo conferma che Sabina e Carletto non avevano mai reciprocamente spasimato, e quindi ritorna presto il sereno.

Una vicenda semplice, con il suo ritmo pacato, in cui l'intreccio delle diverse motivazioni disegna un quadro fedele del mondo meridionale, mostrando il cammino attraverso il quale può passare un'esistenza come tante, per quanto avviata al benessere e alla rispettabilità di medico.

Alla fin fine, poi, si dimostra che non tutti i mali vengono per nuocere. Il racconto richiama per certi versi Verginità, ma presenta dei momenti di

stanchezza artistica e pertanto non riesce a raggiungere il suo livello. Ma con L'Opera il volume casigliesco si eleva di nuovo, offrendoci una

sapida narrazione che va tutta letta in controluce, visto che descrive uno stravolgimento di fini emblematico della situazione dell'Italia degli ultimi decenni, con il suo perverso incrocio di "amore e politica, economia e scienza, religione e sindacalismo" (CS, p. 136).

Il personaggio che si esprime in prima persona lavora da vent'anni come ragioniere presso l'Opera Pia Don Cosimo Lastruga, intitolata ad un sacerdote che sessant'anni prima aveva legato i propri beni a questa fondazione laica, rifiutando, a seguito di uno screzio, di provvedere al completamento del nuovo seminario.

Una realtà, quella dell'Opera, complessa, ma che viene esaminata in tutti i suoi aspetti nel corso del lungo racconto.

Don Lastruga pensava di compiere un'azione benefica a favore dei posteri, ma di fatto ha permesso la creazione di un ingranaggio che assicura lo stabile vantaggio di alcuni privilegiati a danno dell'intera collettività, che potrebbe e dovrebbe ottenere molto di più, a cominciare dai degenti dell'ospedale.

L’io narrante, integrato in quest'ambiente, e quindi incapace di una critica serrata, fa nascere, per converso, l'ironia, di fronte a tante stranezze, di cui la prima è rappresentata dal modo di gestire le proprietà terriere, affidate tutte ad un unico affittuario, con un contratto che viene tacitamente rinnovato, senza aumentare il canone, fatto che si verifica anche per gli altri immobili, tramandati di padre in figlio dagli affittuari, quasi fossero i veri padroni.

Diamo per scontate le trasparenti, e in parte persino profetiche, al-

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lusioni all'utilizzo dei beni da parte dello Stato, attraverso i vari Enti. Ma non vanno meglio le cose nell'ospedale, dove la norma è pacificamente capovolta: il personale non esiste in funzione del malato, bensì questo per quello, con l'aggravante che il primo è permanente, mentre il secondo è transitorio.

Siccome l'Opera "è tutta strutturata sulla permanenza" (CS, p. 160), ha una vita a sé stante, paga della sua autosufficienza, i risultati sono il disinteresse verso chi soffre e l'utilizzo della carica per ottenere potere e ricchezza.

Tocchiamo, in questo modo, un altro punto drammatico, che ci porta alla malasanità e all'occupazione politica degli ospedali e di tutto ciò che ad essi è collegato. Il mostro, infatti, si legge nel terzo capitolo, è una straordinaria fonte di consenso elettorale. Onorevoli, sindaci, segretari provinciali, ma anche clienti e raccomandati formano una vera e propria folla. che lo scrittore dipinge attraverso l'io narrante, facendo scoppiare tutte le contraddizioni, mostrandole tanto radicate da assomigliare terribilmente alla norma.

Il sistema ha una forza coinvolgente, assorbe tutti i diversi che vi entrano a far parte e persegue l'obiettivo della continuità. L'ingegnere Calogero Mazzarà, così, che vive sui lavori di manutenzione dell'Opera, ne è uno dei tanti esempi; costa troppo, ognuno vorrebbe cacciarlo, ma nessuno realmente lo fa.

Non si salva la stampa locale, che scrive a gettone, e non mancano di sedersi al tavolo i rappresentanti dei sindacati, ai quali Casiglio dedica delle ironiche parole, all'inizio del quarto capitolo, con una parodia che continua con il balletto delle diverse sigle e riconduce al solito stravolgimento, per cui anche il sindacalismo è potere puro indipendentemente dal lavoratore, mezzo e non fine.

Il lungo racconto, arguto e divertente, pur nell'amarezza del suo messaggio complessivo, ha reso in modo vivido, grazie ad una riuscitissima trasfigurazione artistica e ad una lucida intelligenza, le storture della nostra, epoca, portando in primo piano la complessità, la resistenza e la vischiosità del sistema, ma anche l'ambiguità dei cittadini, vittime ma anche desiderosi di passare nella ristretta cerchia dei continuatori. Un tema mirabilmente presente ne La strada francesca, di cui costituisce come una sorta di aggiornamento temporale, dal Seicento agli anni più vicini a noi.

Dopo i due ampi racconti inediti, affiancati a formare un trittico con Verginità, il congedo dello scrittore è affidato al brevissimo pezzo Le

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nuvole9, la cui collocazione finale risponde ad una logica trasparente. La memoria ritorna agli anni più verdi, quando, da ragazzo, spaziava con lo sguardo sui tetti delle case e galoppava con la mente, osservando il libero gioco delle nuvole, nell'ora del tramonto.

E’ una realtà creata dalla fantasia, e quindi profondamente valida in sé, alla quale si affianca quella costituita dalla gente intenta al lavoro quotidiano, da persone semplici, dimesse ma dignitose.

Si tratta di un mondo positivo, contrapposto ad un altro pezzo di realtà, quello dei suoi giorni maturi, "protervo e categorico nel voler contare come tutto; intessuto di messaggi imperativi, facce stirate e cremose, seni esposti per le voglie di eterni lattanti, permanente mostra del benessere di ogni arrivato" (CS, p. 162).

A questo microcosmo arrogante lo scrittore nega validità, rifiutando di adeguarsi. A cosa si riferisce, di preciso? Ai fondamenti della società consumistica, alla sfera che controlla la vita degli uomini, in un meccanismo in cui si assiste alla riduzione dell'uomo a oggetto.

In quest'ambito si incontrano il potere politico ed economico, il sesso, la moda, i mass-media, i condizionamenti che devono sembrare spontanei, mentre sono del tutto indotti, il rumore assordante di chi, nuovo arrivato, nega valore alla fantasia, in nome di un preteso realismo, e rifiuta la lontana civiltà del lavoro, in sé e nelle sue sopravvivenze.

Per l'occasione, la prosa si soffonde di lirismo, acquista risonanze non troppo frequenti nello scrittore, si apre al piacere di rievocare gli oggetti e le visioni conservate dalla memoria, assaporandone con avidità i particolari.

Si notino le enumerazioni ("Vaporiere, cavalli, castelli, monti e vallate", CS, p. 161) e gli elementi cromatici ("Le nuvole ... di un bel grigio orlato di roseo, che poi, al calar dell'ora, davano sempre più al turchese di contro all'ametista dei cielo di ponente", ivi), che accompagnano il lettore alla seconda parte del breve racconto, nella quale si introduce e sviluppa l'elemento negativo, stridente, di cui si è già detto, e che può essere definito, in alcune sue specificazioni, con una certa libertà da parte del lettore.

Di qui si arriva, caricandola della massima efficacia, alla domanda contenuta nell'ultimo periodo: "Come avrebbe tutto questo più realtà

______________ 9 - Le nuvole è comparso SU "OPINIONI LIBERE”, 1980, n. 5-6.

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della strada e delle nuvole della mia infanzia?' (CS, p. 162). Ovviamente, è una domanda retorica.

I racconti sciolti

La produzione novellistica di Casiglio non è limitata solo ai 13 lavori de

La chiave smarrita e altri racconti, ma comprende anche altre 14 opere, originariamente pubblicate solo su rivista e poi riunite, dopo la sua morte, nell'Appendice del nostro volume Nino Casiglio. La lezione sbaoliata.

L'esistenza di racconti estravaganti in sé è un dato normalissimo, ma in quanto pochissimo noti essi hanno costituito una piacevole sorpresa per molti. Riferendosi evidentemente a quelli più recenti, un recensore ha notato che essi sono la “dimostrazione che stile e moduli di un autore non sono mai definitivi”11, mostrandosi poi incuriosito per L'attrice; un altro critico si è invece soffermato, con un giudizio di merito, su Aescia, La conversione e Piano americano12.

Si tratta, nel complesso, di un insieme interessante e vario di composizioni pubblicate in un arco di tempo che va dal 1979 fino agli anni Novanta; i motivi dell'esclusione dal volume del 1987 sono più o meno chiari.

In alcuni casi i racconti sono semplicemente posteriori a questa data, in altri, sono stati sacrificati alle valutazioni estetiche dello scrittore, che doveva anche curare le proporzioni interne al libro, evitando il predominio della componente più o meno autobiografica e di breve respiro, molto presente nella vena casigliesca.

Quanto a Il potere e I religiosi, presentati come anticipazione del progettato romanzo La lezione sbagliata, devono forse proprio a questo fallimento artistico il loro carattere di opere estravaganti, quasi fosse uno scotto necessario o l'effetto di una speranza ancora perdurante.

_____________ 10 - Le citazioni dall'Appendice sono da ora in poi contrassegnate con la

sigla AP. I racconti riproducono il testo dattiloscritto dall'autore e/o quello delle relative riviste di cui Casiglio chiedeva sempre di correggere le bozze. Ma si vedano le singole note.

11 - E. VERRENGIA, in “Il CORRIERE DI SAN SEVERO", 20 maggio 1996, p. 3.

12 - A. PERNA, ne “Il QUOTIDIANO Di FOGGIA", 11 giugno 1996, p. 18.

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Nell'insieme di 14 opere in questione possiamo distinguere 10 racconti propriamente detti, 3 favole, di cui 2 composte in doppia versione, in lingua italiana e in vernacolo sanseverese, e una prosa, in cui si recensisce un libro inesistente.

Alcuni lavori sono stati ospitati da più di una testata, mentre altri sono rimasti legati ad una sola, talvolta di limitata circolazione, il che non esclude a priori future integrazioni ai dati in nostro possesso.

Immutata, in ogni caso, è la cura con la quale lo scrittore delinea personaggi e sfondi, ispirandosi per lo più al mondo della provincia meridionale a lui caro; egli risale senza sforzo dal particolare al generale, traendo dagli eventi una profonda, ma mai ingombrante, morale, con quella sua vena ironica sempre viva e quel gusto delle sottili distinzioni, che rivela l'assiduo e acuto pensatore, l'uomo attento a non farsi trascinare dalla corrente e dai pregiudizi della maggioranza.

Questi racconti, affiancati a quelli della silloge del 1987, già esaminati in precedenza, ribadiscono la tesi che la vena narrativa di Casiglio si adatta bene non solo al romanzo, ma anche alla produzione novellistica.

Ma seguiamo da vicino le singole opere, che nell'Appendice sono state divise per comodità in tre sezioni, seguendo l'ordine di pubblicazione, in mancanza di un quadro completo sulla data di composizione. Si tratta, evidentemente, di mere esigenze di classificazione e di analisi.

Conferme e novità

I due racconti legati al progettato romanzo autobiografico La lezione

sbagliata sono con molta probabilità i più antichi, risalendo agli anni Settanta; essi sono stati ricavati da un lavoro che doveva parlare dell'opposizione, prima naturale poi sempre più consapevole, dell'uomo Casiglio alle idee dominanti e agli idoli degli uomini della sua epoca, che poi non differisce nella sostanza da ogni altro periodo storico.

La sua incapacità ad adeguarsi, che si traduceva in un sistematico scarto rispetto alla lezione corretta, doveva emergere con evidenza dal passato dello scrittore, che però, man mano che la narrazione procedeva, avvertiva una sempre maggiore riluttanza a parlare di sé, fino ad autocensurarsi.

Il risultato pratico, quindi, è stato il fallimento del progetto. Ma i due brani rimasti illuminano aspetti importanti di questo rapporto tra anticonformismo e conformismo.

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Cosa c’è, del resto, di più ambito del comando? Di qui lo spunto per Il potere13, che ci riporta a quel Ventennio fascista in cui si è formata, ma solo cronologicamente, la personalità dello scrittore, che si interroga, sin dai primi anni, su di una realtà in cui abbondano le note disarmoniche, anche se “non v'era segno dell'ottimismo idiota di oggi” (AP, p. 148).

Il racconto rappresenta l'inizio di quel cammino che doveva portarlo “a conoscere e odiare il potere" (AP, ivi), un obiettivo comprensibilmente da raggiungere.

Oltre il singolo, anzi, al di sopra di lui, ci sono dei condizionamenti, degli ostacoli, che assumono un volto sempre più definito, in un'Italia che esaltava gli atleti, gli arditi e i forti, gente con la quale l'io narrante, alias lo scrittore, non avverte alcuna affinità.

Egli si rende conto che non apparterrà mai alla razza dei dominanti, farsene un cruccio, anzi, vedendo in ciò il risultato di una scelta quella di chi non ama i ruoli più in vista, il che rappresenta l’eresia più grande per quanti sgomitano in preda alla libido. Eppure il potere riesce a trovare un varco, facendo balenare la tentazione anche nell’autore, ma è un attimo, e la narrazione si chiude con il suo episodio più felice, quello imperniato sul premio ricevuto in un concorso di prosa latina indetto dall'Istituto di Studi romani, del quale parla anche in Mistica fascista.

La vittoria lo porta nel cuore del potere, a Palazzo Venezia, da Mussolini in persona, "un uomo robusto, ben vestito, sorridente, ma con negli occhi la punta di preoccupazione di chi vuol misurare l'effetto che fa sugli altri" (AP, p. 151).

Il notevole dono in denaro ricevuto è rimasto scolpito nella sua mente, la bella donna incontrata in quell'occasione, che diventa l'immagine più allettante e seducente di un privilegio riservato ad una casta un simbolo che colpisce come uno schiaffo anche chi ne avverte l’ estraneità.

Quanta sincerità ci fosse in questa ricostruzione, la vita di Casiglio doveva dimostrarlo con tutta evidenza. Si tratta di un buon racconto,

____________ 13 Il potere è stato pubblicato in "OPINIONI LIBERE", 1979, n. 1, poi in

“PROGETTO CULTURA”, inserto culturale de Il GIORNALE DI SAN SEVERO", n. 6, 18 marzo 1990. AP è tratto, eliminando isolati refusi, dal testo di “PROGETTO CULTURA", di cui Casiglio aveva letto le nozze (da notare un'evidenza > un'invadenza 149, corretto sul testo di “OPINIONI LIBERE").

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profondo e ricco di significati, in cui il cammino di conoscenza giunge in modo logico e coerente fino al culmine e al contrasto finale.

Il ritmo della vita interiore dell'io narrante è ben delineato, come, del resto, ne I religiosi14, che non ha un epilogo così felice, ma presenta caratteri molto simili; non a caso sono apparsi all'inizio sullo stesso numero della stessa rivista.

La fede, in sé astratta, si concretizza in una pratica quotidiana caratterizzata da vecchie consuetudini e dall'attesa delle grandi ricorrenze. Le descrizioni sono insistite ma felici, passando dai sepolcri del Giovedì Santo all'austera figura dì don Silvestro.

Ma la ricostruzione, affidata al filo della memoria, scopre anche le prime incrinature nel rapporto tra fedele e Chiesa, e alla fine il dubbio che certi entusiasmi e certi sorrisi fossero superficiali e quasi imposti al prossimo, che come lui non aveva sempre voglia di ridere e di agitarsi, lo porta a non frequentare più l'oratorio, con una secca conclusione: "Tagliai corto, e non ci andai più" (AP, p. 154).

Questo rapporto con il sacro, abitudinario e poco convinto, doveva poi entrare in una crisi ben più grave, quando gli studi filosofici irrobustiranno la sua vena laica e anticlericale, anche se Casiglio non accolse mai le posizioni atee del marxismo e una componente cattolica è sempre rimasta in lui, specie in quell'attenzione alle responsabilità dell' uomo, in quella fiducia nelle rette azioni, in quella ricerca di un senso dell'esistenza, che andasse oltre le mere costruzioni politiche e sociali, di cui avvertiva tutti i limiti.

Di qui, in fondo, la sostanziale coerenza della sua scelta finale, con l'esplicita richiesta di un funerale religioso.

Il racconto più riuscito di questa sezione, e tra i più belli in assoluto, è senza dubbio Piano americano15, scritto e pubblicato nel 1985, con il titolo di La magia del caso, che porta i segni di un momento doloroso

______________________ 14 - I religiosi è apparso per due volte SU "OPINIONI LIBERE", 1979, n. 1, e

1984, n. 1, infine su 'PROGETTO CULTURA", San Severo, n. 3, mag.-giug. 1989. AP è tratto dal testo di “PROGETTO CULTURA", di cui Casiglio aveva letto le bozze, correggendo isolate imperfezioni di stampa. Sono refusi di AP la festività per le festività, 152, e latte per latta, 153.

15 - Su "La GAZZETTA DI PARMA" del 18 agosto 1985 porta come titolo La magia del caso; quello originario, però, è Piano americano, modificato su invito del redattore culturale del quotidiano. AP è tratto dal dattiloscritto dell'autore, datato 15 luglio 1985, che corregge due refusi del testo a stampa.

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nella vita dello scrittore, il quale ha da poco perso la prima moglie, alla quale il brano è intimamente dedicato.

Questo particolare, in un uomo molto riservato come lo scrittore, ,spiega perché sia rimasto un brano estravagante e a lungo pressoché sconosciuto. Ce lo confermano anche altri dati interni all'opera, a partire della terza persona, dietro la quale Casiglio cerca di nascondersi, come a frapporre un netto ostacolo tra lui e quell'uomo che si aggira in .una casa silenziosa, tra cose "uguali e diverse da prima" (AP, ivi).

La mente, però, incapace di fermarsi, vola lontano, presa da mille ricordi e rimpianti, tra passato e presente, nell'incertezza del futuro; poi l’attenzione si posa su di una fotografia, che si distingue subito, in quanto era stata scattata prima che le strade dell'uomo e della donna potessero incrociarsi.

L'inquadratura scelta dall'ignoto fotografo (la foto, tra l'altro, è realmente esistente) è comunemente definita piano americano, da cui il titolo del racconto, "meno che un primo piano, più che un mezzo busto" (AP. p. 155), e l'effetto è tanto felice da accendere nell'uomo una sorta di istintiva gelosia, resa però sterile dalla morte, che ha reso vana ogni speranza.

L'opera è permeata da una chiusa sofferenza, da un dolore tenuto a freno da una vigile attenzione, sempre desta, per evitare delle cadute di tono in quest'andamento così raccolto e malinconico, così umano e insieme originale, in cui persino le descrizioni legate all'arte fotografica non sono altro che variazioni sul tema.

Anche La conversione16 è anteriore al 1987 e si può pensare che Casiglio ritenesse il racconto estraneo al discorso autobiografico de La chiave smarrita, oltre che non accostabile ai lunghi lavori che scandiscono la seconda parte del libro.

Nell'opera sciolta troviamo soprattutto il piacere di ritornare al passato, facendone risaltare le peculiarità, presenti anche nel lavoro di un ,semplice fornaio, come Filippo, il protagonista, un uomo scorbutico e attento al guadagno, tra gente diffidente e spesso bisognosa. Ma i tempi cambiano e il fornaio va in pensione, affermando di essere mutato anche lui. a seguito della grazia ottenuta da san Cassiano, che lo avrebbe guarito da una malattia.

____________________ 16 - Pubblicato in "NUOVO CONFRONTO", Bari, ott. 1986, pp. 6-7. AP è tratto

dal dattiloscritto dell'autore, non datato, che corregge vari refusi del testo a stampa.

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In verità i più sono scettici ed hanno ragione, visto che l'uomo porta anche nella sua nuova attività di questuante tutta la sua esperienza e da buon commerciante conta di recuperare i soldi spesi per comprare in blocco le immaginette del santo "con i giusti interessi" (AP, p. 158)

Fede e affari non vanno d'accordo, ma Filippo, conclude l'autore, ripeteva angelicamente di essere un altro, "e qualcuno gli credeva" (AP, ivi).

L'ironia è nelle cose e il tono è leggero, proprio di chi assapora la materia trattata, senza moralismi e pensieri elevati. Il fornaio redento è solo uno tra i tanti uomini passati sulla faccia della terra, con le sue stranezze, i suoi limiti e i suoi difetti; nulla di particolare, insomma, e in fondo ci sono personaggi di gran lunga peggiori.

L'autore usa la prima persona, ma in modo discreto, da mero osservatore, lasciando parlare i personaggi. L'io narrante è ben più presente in Aescia17, che appare su rivista qualche mese dopo l'uscita della silloge novellistica e che mostra, comunque, evidenti affinità con La conversione, a partire dalla scelta di tipi umili, semplici, che però si ritrovano coinvolti, quasi senza accorgersene, in situazioni particolari, come appunto Michele.

Dalla provincia pugliese all'Etiopia il cammino è breve per questo personaggio, primo aiutante di un maestro calzolaio, che decide di partire per la guerra d'Africa, sfuggendo alla mancanza di prospettive occupazionali, seguendo un itinerario opposto a quello di tanti emigranti di colore.

Qui conosce e sposa una bellissima indigena, "Una dancala: che pareva una statua, col seno eretto e il visetto tondo e i capelli corti intrecciati in tante catenelle" (AP, p. 161). Michele sceglie, così, di rimanere per sempre in Etiopia, avvertendo sempre più netto il distacco dal suo paese nativo, evocato, nel finale, dal ricordo di una innominata pianta tipica dell'Africa Orientale, ossia la Sansevieria, coltivata per la sua fibra.

Il racconto scorre veloce fino alla sua conclusione, con una vivacità che si carica di ironia soprattutto quando l'io narrante si diverte a descrivere le somiglianze tra provincia meridionale e Africa. Filippo, infatti, si accorge che 1e strade ferrate e punteggiate di sterco somigliavano stranamente alla periferia che si era lasciata dietro le spalle" (AP, p. 160),

______________ 17 - Apparso su Il Rosone, Foggia, sett.-ott. 1987, pp. 6-7. AP è tratto dal testo a

stampa (o l'arte va corretto con e l'arte, 160).

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mentre il suo nome suona sulla bocca di Aescia quasi come al suo paese,ma non è più un povero ed ha una moglie stupenda.

Le vie del Signore, insomma, sono proprie infinite, e come in questo caso portano ad un lieto fine. Un brano ricco di spunti di riflessione per gli uomini di oggi.

Nel 1989 Casiglio pubblica due brevi racconti su di un periodico triestino: si tratta de Le due sorelle e de L'attrice18 (il secondo, però, di sicuro giaceva nel suo cassetto almeno dal 1986). Il filo conduttore, come chiariscono gli attacchi di entrambi i lavori, è la memoria, che fa dire all’io narrante, nel primo: "Mi accorgo di portarmi ormai dentro ricordi così antichi che mi sembrano inventati" (AP, p. 162).

Irene e Rosaria Lopes sono benestanti, ma la loro vita è stata segnata dalla presenza dello stesso uomo, che ha sposato la maggiore ed è diventato poco dopo anche l'amante della seconda. Una situazione che Irene non vuole affrontare, mentre la sorella cerca inutilmente di dissimulare, finché la madre non fa scoppiare lo scandalo.

L’uomo abbandona entrambe, andando a vivere altrove, ma la particolarità del racconto è rappresentata dalla reazione delle donne che, anziché odiarsi, escono da questa storia più unite di prima, strette dall’accettazione di un identico destino reduplicato, pallido e grigio nonostante il benessere" (AP, ivi).

L'avvertimento di una mancanza riporta sempre a galla, involontariamente, il ricordo del fattaccio, che è di dominio pubblico, esponendole ai cinici commenti provinciali. Sono delle donne deboli, vittime malinconiche di un uomo spregiudicato e di una morale che non ha potuto tenere conto dei loro sentimenti.

Ne L'attrice Casiglio si è ispirato a Tina Lattanzi, scomparsa da poco in età avanzata, la quale, nella sua lunga carriera, si è dedicata al cinema,

________________ 18 - Due racconti, ne “Il BANCO DI LETTURA", Trieste, n. 5, ottobre 1989, pp.

14-16. AP riproduce il testo dattiloscritto de Le due sorelle, senza data, e quello de L’attrice, datato Bologna, 16 marzo 1986. Quest'ultimo si legge anche su "THOLUS",Foggia. 1° novembre 1990, pp. 29-30, dove presenta qualche lieve modifica, risalente alla volontà dell'autore, come attesta il secondo, relativo dattiloscritto. In particolare, il finale viene accorciato e semplificato, e così dopo il periodo comune con la prima redazione, Ora di bellezza... evidente, il racconto prosegue così: Ed ecco che l'attrice, sempre nota col nome d'arte, nominò l'altro suo cognome, quello vero. Era lei. I due ultimi periodi, infine, coincidono. In AP dopo ingrandite, 163, vanno i due punti, non punto e virgola.

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al teatro e, più tardi, ha partecipato a programmi televisivi, oltre ad essere stata la doppiatrice di dive come Greta Garbo.

Nei suoi anni più verdi, "La vecchia attrice che il video mi mostra ancor piena di vitalità" (AP, pp. 163-64) ha abitato nel paese natale dello scrittore, che, seguendo il flusso della memoria, arriva a collegarla alla vecchia Filomena, vicina di casa trent'anni prima.

Si è aperto, così, "un altro cassetto della memoria" (AP, p. 164), contenente l'immagine di una persona solitaria e povera, ma con una personalità straordinaria, che mette in imbarazzo, di cui si diceva che avesse una figlia famosa; ma tra Filomena e l'anziana attrice non sembra esserci alcun nesso logico, fino alla rivelazione finale, l'illuminazione che chiarisce il rapporto tra madre e figlia che esiste tra le due, l'una ormai morta e sconfitta dalla vita, l'altra anziana e famosa: “I fallimenti di Filomena erano stati riscattati, il remoto si confondeva col presente, il lontano col vicino. Il cerchio era chiuso" (AP, p. 165).

Notiamo la solita tecnica di Casiglio, che costruisce delle immagini attraenti e insieme nitide e precise, spaziando dai particolari della moda del Ventennio all'umile luogo in cui viveva Filomena.

Al 1992 ci porta invece Richiesta di notizie19, che è il racconto più atipico della sezione; Casiglio, infatti, trae spunto dalle polemiche seguite alla pubblicazione di una lettera di Togliatti, alle quali si riferisce in modo esplicito, all'inizio, per poi spostare l'accento soprattutto sulla sorte dei prigionieri italiani in Russia, nella seconda guerra mondiale e negli anni successivi.

Non c'è finzione letteraria e i nomi e i cognomi dei protagonisti, legati alla sua città natale, sono dichiarati senza reticenze, diversamente dai tanti altri casi in cui l'ispirazione si alimenta della stessa materia autobiografica. Questa peculiarità, comunque, non impedì all'autore di includerlo in un elenco autografo di racconti, purtroppo parziale, accanto ad alcuni altri.

Figura centrale è un giovane scomparso nell'immensa distesa sovietica, unico figlio di un calzolaio e di sua moglie, il mastro e la maestra, personaggi che ci riportano ad Aescia, specie per quanto riguarda le descrizioni di questo mestiere, ormai profondamente mutato.

___________ 19 - In “Il CORRIERE DI SAN SEVERO", 20 febbraio 1992, p. 3. AP riproduce

il dattiloscritto dell'autore, datato 5 febbraio 1992 (in AP dopo Sarà, 166, va il punto e virgola, non la virgola).

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Il figlio, però, segue un'altra strada, studia, ma il cammino si interrompe con la chiamata alle armi e la sua fine, avvolta nel nulla, un buio che lo scrittore vorrebbe diradare, come estremo atto di verità: "Per questo chiedo io cinquant'anni dopo di conoscere quale fu la vera sorte del sottotenente Caputo Giuseppe di Luigi" (AP, p. 168).

L’opera, che mostra la stessa rattenuta commozione di Piano americano, vive sulla descrizione del dolore dei genitori, in angosciosa attesa, e sul sentimento sconsolato e disilluso della vita che si ricava da questa vicenda, oggi che tutti i protagonisti sono morti e nessuno ci pensa più: “…e la vita è come l'acqua scura di un lago vulcanico, che inghiotte nella sua profondità ogni sassolino e mostra sempre la medesima superficie immobile" (AP, ivi).

E’ tutto come se nulla fosse avvenuto e solo l'arte può portare un fiore su questa tomba, dimenticata chissà dove. Si tratta, nel complesso, di un brano di ottima fattura.

Guerre non combattute20 parte da una considerazione paradossale:“Una volta si raccontavano le guerre combattute, adesso si raccontano anche quelle non combattute" (AP, ivi). Stando così le cose, anche Casiglio ha qualcosa da dire, visto che nel suo passato ci sono due scampati pericoli, malgrado non abbia partecipato da soldato alla seconda guerra mondiale.

Il riferimento è alle vicende avvenute nel 1943 e nel 1948. Andati via i Tedeschi dalla sua città natale, personaggi legati al mondo fascista redigono una lista di elementi pericolosi e sovversivi, da consegnare ai germanici qualora fossero ritornati. Tra questi, ovviamente, anche Casiglio.

Nel capitolo La confusione delle lingue, appartenente a Il conservatore. si legge che le potenziali vittime avevano meditato di rifugiarsi nelle grotte dei vicini monti, e questo proposito ritorna nel racconto, con .maggiori particolari, insieme al senso della profonda ingiustizia, che si voleva perpetrare ai danni di gente pacifica e innocua. Per fortuna la partenza dei nemici si rivela definitiva.

__________________ 20 - Pubblicato su "La GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO" del 14 marzo

1992, p. 19, con il titolo Le due guerre che non facemmo dopo la Guerra; quello originario, modificato per esigenze giornalistiche, è Guerre non combattute, come si legge sulla copia dattiloscritta inviata dall'autore, datata 18 gennaio 1992, utilizzata per AP, che corregge poche, trascurabili imperfezioni di punteggiatura e di accento del quotidiano barese.

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Cinque anni dopo, invece, è la volta de La grande paura, definizione che prendiamo dall'ultimo capitolo del romanzo del 1972, ossia il pericolo comunista. Lo scrittore è dall'altra parte della barricata e agita nella mente propositi bellicosi quanto velleitari, immaginando i possibili scenari politici.

La paura si rivela una sorta di innocua tempesta, che passa senza far danni, e l'io narrante nota, ironicamente: "Avevo perduto la seconda occasione di gloria. In compenso aveva potuto riconoscere che le migliori guerre, come le migliori cause, sono quelle che non si fanno" (AP, p. 173).

L'arguzia del Pugliese si accompagna alla materia autobiografica, dando corpo ad un racconto di un certo respiro, che occupa un'intera pagina di quotidiano e 7 dense cartelle dattiloscritte, ricco di spunti di riflessione e di buon livello, ma che avrebbe forse richiesto una maggiore sintesi, evitando di rallentare l'azione con soverchie descrizioni.

Mistica fascista21 si collega saldamente a Il potere, di cui ci siamo già occupati, e che ci sembra preferibile. Ancora una volta lo scrittore ritorna a parlare del suo mondo giovanile, rievocando i gesti, i riti e le manifestazioni esteriori di un regime politico che punta molto sulla propaganda del suo verbo.

L'io narrante non viene risparmiato, come tutti, e il racconto, dopo aver ricordato il modo semiserio in cui il Fascismo è entrato nella sua esistenza e in quella della sua famiglia, dopo aver descritto vari altri episodi, chiude con il noto incontro romano con Mussolini.

Scompare, però, per ovvi motivi, il ricordo della bella donna incontrata a Palazzo Venezia e resta la gratitudine per la somma ricevuta. Non manca neppure un passo in cui lo scrittore rimarca un concetto a lui caro, relativo alla continuità della classe dirigente: "Per i 'Littoriali' è passata una parte notevole della classe dirigente sbocciata dopo la seconda guerra mondiale, da Moro a Vassalli, a Ingrao, a Carli, a tanti altri. Il che si dice non per mettere in discussione quel che fecero e pensarono dopo, ma solo per far presente che, se nulla fosse cambiato, il panorama politico-culturale quanto alle persone sarebbe stato sempre il medesimo" (AP, p. 176).

_____________ 21 - In “Il ROSONE”, gen.-feb. 1993, pp. 6-7. AP riproduce il testo a stampa

corretto dall'autore; la successiva disponibilità del dattiloscritto di Casiglio, datato 2 luglio 1992, evidenzia lievissime differenze (cenci per conci, 173, reboante per roboante, 174, e spiritoso per o spiritoso, 174, le altre volte per altre volte, 175).

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Un passaggio significativo, che si può comprendere in tutte le sue

implicazioni, comprese quelle più polemiche, ricordando quanto scritto ne Il conservatore.

Il gioco della parola

I racconti sciolti hanno anche il merito di consegnarci un Casiglio autore

di favole, che si abbandona a narrazioni legate al mondo delle tradizioni popolari, dando l'impressione di gustare fino in fondo l’immersione in questa nuova materia.

La letteratura, così, diventa soprattutto occasione di divertessement, un pretesto per giocare con le parole, smettendo i panni più austeri. Con questo spirito Casiglio compone tre favole, pubblicate su “IL ROSONE”.

Nel 1985 appare I sette campanari22, una favola raccolta da un dialettologo, come si legge in un articolo che affianca la composizione23, e riscritta dal Nostro, utilizzando un linguaggio semplice e vivace, che si adatta alle cadenze e ai modi tipici della tradizione orale.

I campanari del titolo, contrariamente alle apparenze, si riferiscono alle interiora di maiale, che ognuna delle sette figlie nubili di una coppia di povera gente va a comperare; ogni volta, però, un grosso cane ruba la carne, finché l’ultimogenita riesce ad entrare, sulle tracce del ladro a quattro zampe, in una grande e bella casa, del tutto disabitata.

La famiglia decide di trasferirsi qui, malgrado il disturbo di “sette fantasime, sette vecchie magre, con i camicioni, le facce tristi e i capelli scomposti” (AP, p. 179), che si lamentano perché vorrebbero sposarsi e spingono le sette donne a cogliere al volo l’occasione, quando si presenterà.

Un invito al matrimonio, conclude lo scrittore, ma anche un premio allo spirito di iniziativa, che si incarna soprattutto nell’ultima figlia della coppia.

_____________ 22 - I sette campanari, in “ IL ROSONE”, nov. -dic. 1985, pp. 4-5, poi in “IL

CORRIERE DI SAN SEVERO”, 10 aprile 1986. Il testo di AP è tratto da quello a stampa de “IL ROSONE”; la copia del periodico appartenente all’autore, successivamente disponibile, corregge a penna s'insospettirono con s'indispettirono, 179.

23 - F. MARASCA, Nino Casiglio. Perché decisi di scrivere, in “IL ROSONE”, nov.- dic. 1985, p. 4.

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Ne La cicoriara24 una vedova mite, tenace e laboriosa, con quattro bimbi

da sfamare, viene premiata da una vecchia signora incontrata in un palazzo, alla quale chiede l’elemosina, in un freddo gennaio. L’anziana è in realtà la madre dei mesi, che dona alla brava vedova un tovagliolo, dal quale per incanto, ogni volta, vengono fuori cibi di ogni genere.

Una vicina, anch’essa vedova, ma egoista ed arrogante, venuta a conoscenza dell’accaduto, si reca dalla vecchia, ricevendo una mazza, che, lungi dal giovarle, punisce i suoi modi aspri con una scarica di legnate. La morale della favola è trasparente.

Casiglio affianca al testo in lingua quello in vernacolo sanseverese, per la gioia degli appassionati; da notare che il secondo è tutt’altro che una scialba traduzione, ma, al contrario, possiede una sua netta autonomia, frutto del vivo interesse che lo scrittore mostrò sempre verso il mondo dialettale, attestato da qualche pubblicazione, da articoli giornalistici, da recensioni e introduzioni a volumi dedicati al tema. Ricordiamo, in particolare, la prefazione ad una raccolta di proverbi vernacolari dialettali25, che fornisce delle utili indicazioni sulla formazione intellettuale di Casiglio.

Lo stesso connubio troviamo ne La principessa e il cafone26, una “Turandot nostrana”, come scrive il Nostro in una nota al testo27, aggiungendo che “la redazione dialettale non è la madre, bensì la sorella di quella italiana. Le ho derivate entrambe dai miei ricordi infantili”28.

Il che conferma quanto appena detto. La favola è stata trascritta nello stesso vernacolo in cui di certo era circolata alcuni decenni prima e, parallelamente, trasportata nella lingua nazionale.

Un cafone, svogliato e sfaticato, cacciato di casa dal padre, se ne va per il mondo in cerca di fortuna; si imbatte in una principessa restia al matrimonio, ma che ha promesso di sposare chi le rivolgerà tre indovinelli ai quali non sarà in grado di rispondere.

_____________

24 - In “IL ROSONE”, marzo-aprile 1991, pp. 6-7. AP riproduce il testo del periodico, correggendo i refusi di stampa.

25 - Prefazione a C. PISTILLO, U carusellë, San Severo, 1982, pp. 7-11. 26 - In “IL ROSONE”, nov. -dic. 1993, pp. 6-7. AP è tratto dal testo a stampa. Il

dattiloscritto, non datato, successivamente disponibile, permette di correggere cuoceva con si cuoceva, 182, e Io, che con Io, io che, 184.

27 - N. CASIGLIO, Nota a La principessa e il cafone, cit., p. 7. 28 - Ivi.

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L'uomo, rivelandosi più furbo di lei, diventa un nobile onorato e temuto. Il viaggio, insomma, può essere fortunato e non necessariamente un tipo inadatto alla vita dei campi fallisce in un altro àmbito.

Ma si può giocare anche al contrario, utilizzando, cioè, un linguaggio gonfio ed intellettualistico, e questa operazione risalta nella prosa Giunta solo ora da noi l’Epopea di Mai Po29 .

Si tratta della recensione di uno pseudo-capolavoro cinese, che fornisce a Casiglio lo spunto per una raffinata carrellata tra luoghi e artisti, in cui il gusto della parola, assaporata nelle sue dotte risonanze, coesiste con la parodia di una maniera, artefatta e pretenziosa, tipica di certi intellettuali e di certi critici, per i quali l’autore non provava notoriamente simpatia.

Mai Po è un immaginario scrittore giramondo, che ha scritto il romanzo La valle dell'argento, dal titolo che contiene un’allusione sessuale, e il suo protagonista, Lin Ceu, è “Dante ed Ulisse ad un tempo, ma illanguidito e consunto dall’incessante iterazione erotica” (AP, p. 186). Una sfera di significati prosaici fa capolino, in questo modo, al di sotto dei termini pretenziosi.

L’io narrante ricorda, in apertura, il dubbio che lo ha angustiato a Parigi, intorno al destino di una donna, che poteva essere tutto ed il contrario di tutto, dilemmi che, si nota con ironia, possono nascere solo nella capitale francese, “mai, ch’io sappia, ad Abbiategrasso o a Bollate” (AP, p. 185); meno che meno, aggiungiamo noi, nel teatro tipico delle opere di Casiglio.

Il recensore dell’opera inesistente non esita a complicare il quadro con il richiamo ad un altro critico, prima di chiudere con un riferimento a Leopardi e a Schopenhauer, così lontani ma anche così simili, nel loro modo di vivere e di pensare. Un brano particolare, insomma, degno di menzione.

Racconti inediti

Casiglio non si può certo definire un autore molto prolifico; al contrario,

egli scriveva con lentezza e, amava ripetere, anche con un certo

______________ 29 - In “OPINIONI LIBERE”, gen.-marzo 1983, pp. 20-21. AP riproduce il testo

a stampa, con lievissime correzioni.

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stento. In ogni caso, quattro romanzi, un libro di racconti edito ed un’appendice di testi estravaganti, per rimanere nell’ambito della narrativa, formano un corpus tutt’altro che trascurabile.

Questo però significa anche che ben difficilmente verranno fuori dai suoi cassetti numerosi lavori inediti. Una ricognizione completa, comunque, ci riferiscono i familiari, non è ancora stata effettuata, anche se essi aggiungono di ritenere che il quadro delineato non è passibile di significative variazioni.

A tutt’oggi, sono noti tre racconti completi rimasti del tutto inediti, dei quali però non è stata ancora autorizzata la pubblicazione. Il primo, che non abbiamo potuto visionare, è, secondo quanto ci riferisce la figlia, basato sulla lucida, profetica descrizione del suo funerale, un lavoro denso di lugubri descrizioni, ma anche una conferma delle acute doti di osservatore dello scrittore, umanamente e comprensibilmente assillato, nei suoi ultimi anni, dal pensiero della fine terrena, come dimostra anche La Dama forestiera. Abbiamo potuto leggere, in compenso, la copia dattiloscritta del testo de Il malocchio e de Lo specchio.

Il primo è un breve lavoro di due cartelle, ambientato in un ospedale, che ha come protagonisti due coniugi; la donna chiede al marito se lui crede nel malocchio, ricevendo una risposta affermativa. L’io narrante registra le parole dei due, osservandoli e descrivendoli in modo meticoloso, fino a sospettare che ci sia del vero in quanto l'uomo afferma.

Il ritmo narrativo è lento, l’atmosfera cupa, stagnante, chiusa su di una dolente umanità; il risultato artistico è nel complesso modesto. Di sicuro migliore è il secondo racconto, che occupa poco più di tre cartelle dattiloscritte ed è datato 15 marzo 1994, il che attesta che l'autore ha comunque continuato a scrivere anche negli ultimi anni.

Protagonista de Lo specchio è un anziano, evidente proiezione dello scrittore, che si interroga, mettendosi a nudo, e che attraverso i suoi ragionamenti giunge a dimostrare in modo indubitabile che l'infanzia e la vecchiaia si equivalgono, che la differenza tra un bambino di sette anni ed un vecchio di settanta è solo apparente.

Episodio dopo episodio, quindi, egli si convince sempre più che non c'è nulla in cui sia radicalmente mutato, sgombrando il campo da ogni fallace impressione; il che, detto in modo diverso, equivale a dire che si resta sempre dei bambini. La nota considerazione finale viene sostanziata da una trama di acute riflessioni, che affondano nel passato dell’autore; il ritmo narrativo, però, è poco continuo, procede a sbalzi, non riuscendo a nascondere una certa stanchezza artistica, pur in un contesto notevole.

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BIBLIOGRAFIA

I RACCONTI

La chiave smarrita e altri racconti, San Marco in Lamis (FG), Gruppo

Cittadella Est, 1987. Il volume racchiude tre racconti inediti, La chiave smarrita, La promessa e

L’Opera, e dieci già apparsi su rivista: I bachi (in “OPINIONI LIBERE”, Lucera, 1981, n. 9-10); La signorina (in “OPINIONI LIBERE”, 1981, n. 7-8); La ragazza di via dei ciliegi (in “OPINIONI LIBERE”, 1982, n. 7-8); La maestra di Smirne (in “OPINIONI LIBERE”, 1982, n. 4-5); Tre donne (in “GAZZETTA DI PARMA”, 6 febbraio 1983, con il titolo Tre donne a Roma); Preludio alla morte e Qualcosa è accaduto (in “GALLERIA”, Roma- C altanissetta, 1964, n. 6); La conoscenza di terzo genere (in “GALLERIA”, 1968, n. 1-2); Verginità (in “NUOVA ANTOLOGIA”, n. 2076, dic. 1973); Le nuvole (in “OPINIONI LIBERE”, 1980, n. 5-6).

Quattordici racconti sono stati pubblicati, unitariamente, nell’Appendice.

I racconti sciolti di Nino Casiglio, in F. GIULIANI, Nino Casiglio. La lezione sbagliata. In Appendice 14 racconti sciolti dello scrittore, San Severo, 1966, pp. 147-186.

L'Appendice contiene i seguenti lavori: Il potere (in “OPINIONI LIBERE”, marzo 1979, poi in “PROGETTO CULTURA”, inserto de “Il GIORNALE DI SAN SEVERO”, 18 marzo 1990); I religiosi (in “OPINIONI LIBERE”, 1979, n. 1, e 1984, n. 1, poi in “PROGETTO CULTURA”, San Severo, mag.-giug. 1989); Piano americano (in “GAZZETTA DI PARMA”, 18 agosto 1985, con il titolo La magia del caso); La conversione (in “NUOVO CONFRONTO”, Bari, ottobre 1986); Aescia (in “Il ROSONE”, Foggia, sett.-ott. 1987); Le due sorelle (in “IL BANCO DI LETTURA”, Trieste, ott. 1989); L'attrice (in “IL BANCO DI LETTURA”, ott. 1989, poi in “THOLUS”, Foggia, 1° nov. 1990); Richiesta di notizie (in “IL CORRIERE DI SAN SEVERO”, 20 feb. 1992); Guerre non combattute (in “La GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”, Bari, 14 marzo 1992, con il titolo Le due guerre che non facemmo dopo la Guerra); Mistica fascista (in “IL ROSONE”, gen.-feb. 1993); I sette campanari (in “IL ROSONE”, nov.-dic. 1985, poi in “IL CORRIERE DI SAN SEVERO”, 10 aprile 1986); La cicoriara (in “IL ROSONE”, mar.-apr. 1991); La principessa e il cafone (in “IL ROSONE”, nov.-dic. 1993); Giunta solo ora da noi l'Epopea di Mai Po (in “OPINIONI LIBERE”, 1983, n. 1-2).

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Page 36: "La novellistica di Nino Casiglio". In "La Capitanata", 1997, V,  pp. 161-204, I

LA CRITICA Su Verginità: E. TOSTO, in “MICHELANGELO”, Firenze, ott.-dic. 1974. Su La chiave smarrita e altri racconti: E. VERRENGIA, in “IL CORRIERE DI SAN SEVERO”, 15 maggio 1987. G. MARCHETTI, in “GAZZETTA DI PARMA”, 2 luglio 1987. F. Rossi, in “La GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”, 17 luglio 1987. S. D’ACUNTO, in “IL RAGGUAGLIO LIBRARIO”, Milano, n. 7-8, lug.-ago. 1987. V. IACOVINO, in “AVANTI!”, Roma, 20 agosto 1987. R. PETRERA, in “IL CORRIERE DI SAN SEVERO”, 7 settembre 1987; “IL ROSONE”, gen.-feb. 1988 e “IL CENTRO”, Lucera, 21 dicembre 1989. F. GIULIANI, in “MERIDIANO 16” , Lucera, 16 ottobre 1987. M. COCO, in “SINGOLARE PLURALE”, Trani, 23 ottobre 1987. L. P. AUCELLO, in “IL QUOTIDIANO DI FOGGIA”, 1-2 nov. 1987. F. DE DOMINICIS, in “IL CITTADINO”, Cavallino di Lecce, 28 dic. 1988. Notizie sui racconti, anche nelle due seguenti interviste: F. GIULIANI, in “IL CORRIERE DI SAN SEVERO”, 15 maggio 1989. G. DE MATTEIS, in “la CAPITANATA”, Foggia, a. XXXII- XXXIII (1995-1996), n.s., n. 3-4, p. 355-368.

_______________ I contributi appena citati sono relativi in modo specifico alla produzione

novellistica; essi integrano, in questo settore, con qualche ulteriore dato, l’elenco del nostro Nino Casiglio. La lezione sbagliata..., cit., al quale rinviamo per una bibliografia generale di e su Casiglio.

Approfittiamo dell’occasione per segnalare, a scanso di equivoci, un maligno refuso che a p. 9 ha spostato in avanti di una settimana la data di nascita dello scrittore, che invece è il 28 maggio 1921, e per aggiungere all’elenco degli studi di Casiglio i due seguenti: Capitanata scomparsa: S. Nicola Imbuti e Sant'Eustasio, in “BONIFICA”, Foggia, 1993, n. 4, pp. 83-86; Insediamenti scomparsi di Terra di Bari presenti nella tassazione angioina, in “ARCHIVIO STORICO PUGLIESE”, Bari, a. XLVIII (1995), pp. 293-298.

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