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La Naturalis Historia di Plinio nel De natura rerum di Beda il Venerabile

Mar 13, 2023

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Vincenzo Cecere
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Biblioteca della tradizione classica Centro interdipartimentale di studi sulla tradizione

Università degli Studi di Bari Aldo Moro 5 Direttori

Davide Canfora e Domenico Lassandro

Comitato Scientifico Stefano Bronzini (Bari), Grazia Distaso (Bari), Sabrina Ferrara (Tours), Olimpia Imperio(Bari), Margherita Losacco (Padova), Domenico Ribatti (Bari), Francesco Stella (Siena)

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La Naturalis Historia di Plinio nella tradizione

medievale e umanistica

a cura di Vanna Maraglino

Cacucci Editore - Bari

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

© 2012 Cacucc i Ed i to re - Bar iVia Nicolai, 39 - 70122 Bari - Tel. 080/5214220 http://www.cacucci.it e-mail:[email protected]

Ai sensi della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elet-tronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

L’opera è pubblicata con il contributo del Centro interdipartimentale di studi sulla tradizione dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro

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ELISA TINELLI Università degli Studi di Bari Aldo Moro

La Naturalis Historia di Plinio nel De natura rerum di Beda il Venerabile

1. Il De natura rerum

«Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro/ d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,/ che a considerar fu più che viro»: è San Tommaso lo spiri-to che, per amor di Dante, si stacca dalla luminosa schiera degli «ar-denti soli» del cielo quarto e così parla nel canto X del Paradiso (vv. 130-132), illustrando «di quai piante s’infiora» (v. 91) la ghirlanda d’anime che circonda il poeta e Beatrice. È, questa, «la quarta fami-glia / de l’alto Padre, che sempre la sazia,/ mostrando come spira e come figlia» (vv. 49-51), la schiera, cioè, delle anime di coloro che furono in terra grandi sapienti e che in cielo risplendono di vivida lu-ce, ancor più intensa di quella del sole. La «gloriosa rota» (v. 145) conta dodici anime di sapienti, tra le quali il pellegrino, Dante, vede «l’anima santa che ‘l mondo fallace/ fa manifesto a chi di lei ben ode» – si tratta di Manlio Torquato Severino Boezio – e vede poi, appunto, Isidoro di Siviglia, Beda e Riccardo da San Vittore.

Dante colloca, dunque, il venerabile monaco anglosassone in una serie ideale che parte da Boezio e prosegue con Isidoro, i grandi en-ciclopedisti che, con Cassiodoro (che Dante non cita), fornirono al Medioevo il patrimonio di dati e nozioni che avrebbe costituito il re-taggio culturale di ogni intellettuale, operando una selezione del cor-pus di testi trasmessi dall’antichità – i ‘classici’ in senso stretto – non-ché la faticosa ridefinizione di un canone che avrebbe accolto, come nuovi ‘classici’, le opere, esegetiche e teologiche ma non solo, dei Padri, di Ambrogio, Gerolamo, Agostino e Gregorio Magno anzitutto.

Una quota rilevante della produzione scritta bedana è dedicata all’attività esegetica e, com’è noto poi, la sua opera di maggior respi-ro e fortuna, che si segnala per il rigore del metodo storiografico e la sorprendente ricchezza della documentazione – e in cui si mescolano, e trovano eguale spazio, la cultura classica, quella mediolatina e

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quella anglosassone – è senz’altro l’Historia ecclesiastica gentis Anglorum. Beda fu inoltre autore di numerosi scritti di carattere scientifico-didascalico, tutti dedicati all’istruzione dei monaci suoi compagni a Wearmouth e Jarrow, i monasteri ‘gemelli’ in cui il Venerabile trascorse tutta la sua esistenza, esclusivamente votato alla preghiera, allo studio e, appunto, all’insegnamento1.

Sul versante delle scienze fisiche, conosciamo tre opere di indi-scussa paternità bedana; è l’autore stesso che ci dà notizia delle pri-me due nell’incipit della terza, il De temporum ratione (dell’anno 725), laddove dice: «De natura rerum et ratione temporum duos quondam stricto sermone libellos discentibus ut rebar necessarios composui. Quos, cum fratribus quibusdam dare atque exponere coe-pissem, dicebant eos brevius multo digestos esse quam vellent, ma-xime ille de temporibus cuius propter rationem Paschae potius vide-batur usus indigere [...]»2. Gli opuscoli, cui Beda fa riferimento, sono il De natura rerum e il De temporibus, composti, dunque, prima del De temporum ratione, probabilmente nel medesimo periodo intorno al 703. Questi scritti giovanili, che ovviamente non hanno lo stesso maturo respiro del testo del 725, testimoniano già il vivo – oltre che precoce – interesse di Beda per questioni di carattere scientifico3.

1 Per la vita del dotto monaco anglosassone, vd. B. WARD, The Venerable Bede, London-New York 2002², pp. 2-17; G.H. BROWN, A Companion to Bede, Woodsbridge 2009, pp. 1-16; M.P. BROWN, Bede’s life in context, in The Cam-bridge Companion to Bede, ed. by S. DE GREGORIO, Cambridge 2010, pp. 3-24; per il background di riferimento, vd. J. CAMPBELL, Secular and political contexts, in The Cambridge Companion cit., pp. 25-39 e I. WOOD, The foundation of Bede’s Wearmouth-Jarrow, in The Cambridge Companion cit., pp. 84-96.

2 Beda, De temporum ratione, Praef., ll. 1-6, ed. CH.W. JONES, in Bedae Venerabilis Opera didascalica, CCh CXXIII B, Turnholti 1977 (d’ora in avanti, si indicherà l’opera con la sigla DTR).

3 Per un quadro generale delle opere scientifiche di Beda, vd. W.M. STEVENS, Bede’s Scientific Achievement. Jarrow Lecture (1985), in Bede and his World. The Jarrow Lectures (1979-1993), vol. II, with a preface by M. LAPIDGE, Aldershot 1994, pp. 645-688. Per l’importanza che per Beda ebbero gli studi computistici relativi alla costruzione del calendario e alla determinazione della datazione annuale della Pasqua, vd. J.J. CONTRENI, Counting, calendars, and cosmology: numeracy in the early Middle Ages, in Learning and Culture in Carolingian Europe, Aldershot 2011, pp. 43-83; Bede, The Reckoning of Time, translated, with introduction, notes and commentary by F. WALLIS, Liverpool 1999, pp. XXXIV-LXIII (Introduction); ancora, Bede, On the Nature of Things and On Times, translated with introduction, notes and commen-tary by C.B. KENDALL-F. WALLIS, Liverpool 2010, pp. 20-25 (Introduction).

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Il De natura rerum in particolare è un conciso libretto, costituito da cinquantuno capitoli di variabile lunghezza, in cui Beda espone alcune essenziali considerazioni sulla natura e la struttura dell’uni-verso: lo scritto si presenta, dunque, come sintetica trattazione co-smologica, la cui caratteristica fondamentale pare essere la schema-tizzazione4, che doveva essere funzionale alle esigenze eminente-mente didattiche dell’autore. La struttura dell’opera ricalca quella dell’omonimo trattato isidoriano5, con l’eccezione dei due capitoli introduttivi, assenti in Isidoro, in cui Beda «formula l’ipotesi esplica-tiva del reale secondo il fondamento rivelato»6, ossia innesta la trat-tazione cosmologica sul tronco della dottrina della creazione in sei giorni7.

4 Vd. A. DI PILLA, Cosmologia e uso delle fonti nel De natura rerum di Beda,

«Romanobarbarica» 11, 1991, pp. 129-147: p. 143. 5 Beda omette, però, la sezione iniziale del De natura rerum di Isidoro, ossia i

capitoli I-VIII, che il vescovo di Siviglia aveva dedicato all’emerologia. 6 Vd. DI PILLA, Cosmologia e uso delle fonti cit., p. 133. 7 Beda, che, come si è accennato, dedicò molte delle sue energie all’esegesi

scritturale sulla scorta delle opere dei Padri (Ambrogio, Gerolamo, Agostino e l’amatissimo Gregorio Magno), compose per l’edificazione dei suoi monaci diversi commenti, tra cui uno al Cantico dei Cantici, uno all’Apocalisse e un Hexaemeron. Nell’epistola che funge da prefazione all’ultimo testo citato, indi-rizzata al vescovo di Hexham, Acca, Beda cita, tra i più importanti e famosi commentatori della storia della creazione, Basilio di Cesarea (ch’egli doveva conoscere nella versione latina approntata da Eustazio), Ambrogio e Agostino. L’obiettivo ch’egli dichiaratamente si propose fu, di fronte all’inaccessibile profondità dei testi dei suoi auctores, quello di fornire al rudis lector un’interpretazione mistica della storia della creazione in termini comprensibili. Vd., a questo proposito, C. JENKINS, Bede as exegete and theologian, in Bede. His life, times and writings. Essays in commemoration of the twelfth centenary of his death, ed. by A. HAMILTON THOMPSON, Oxford 1969 (ristampa dell’edizione del 1935), pp. 169-170. Vd. anche CH.W. JONES, Some introduc-tory remarks on Bede’s Commentary on Genesis, in Bede, the Schools and the Computus, ed. by W.M. STEVENS, Aldershot 1994, pp. 115-198. Vd., poi, C. LEONARDI, Il Venerabile Beda e la cultura del secolo VIII, in I problemi del-l’Occidente nel secolo VIII, Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, XX, (6-12 aprile 1972), vol. II, Spoleto 1973, pp. 603-658 e, in particolare, pp. 612-627. Si veda, poi, S. VIARRE, Cosmologie antique et com-mentaire de la création du monde. Le chaos et les quatre éléments chez quelques auteurs du haut moyen âge, in La cultura antica nell’Occidente latino dal VII all’XI secolo, Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, XXII, (18-24 aprile 1974), vol. II, Spoleto 1975, pp. 541-573 (soprattutto pp. 566-567).

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Seguendo la traccia di alcuni passi del De genesi ad litteram di Agostino (in particolare, V, 11-12 e VI, 10), Beda distingue dappri-ma i quattro livelli dell’operatio divina «quae secula creavit et gu-bernat»8 e il cui terzo, cruciale, momento è costituito dalla distinzio-ne, avvenuta nei primi sei giorni, «in caelestem terrestremque creatu-ram»9, distinzione che l’autore procede, poi, a illustrare nel capitolo II, che è dedicato alla formazione del mondo e si conclude con un ri-chiamo ai due poli entro cui l’azione divina si snoda, quello della creazione e quello del ‘governo’ del creato10. I primi due capitoli del DNR, dunque, gettano luce anzitutto sul più ampio contesto metafisi-co e teologico della creazione – intesa come azione divina di fonda-zione dell’universo materiale – e solo in seguito sviluppano la narra-zione sequenziale della Genesi, ponendo l’accento non sull’universo in sé – ciò che avrebbe implicato una visione del cosmo come qual-cosa d’autonomo e in sé compiuto, indipendente dall’operatio divina – ma sulla multiforme, o, meglio, quadriforme, causalità che pose in essere l’universo stesso. Nel capitolo III (Quid sit mundus) Beda vol-ge lo sguardo dall’atto creativo al prodotto del medesimo, il mundus, che, definito dalle grandi coordinate del cielo e della terra, consta de-gli elementi della cosmologia tradizionale, fuoco, aria, acqua, terra. Alla dottrina dei quattro elementi, accettata, dopo la teorizzazione di Empedocle, da quasi tutte le scuole filosofiche antiche, aveva dedica-to, com’è noto, un significativo contributo Platone, nel Timeo, in cui affonda le sue radici, in particolare, l’idea – che ritroviamo in Beda, la cui fonte diretta è, però, in questo senso, una cosmografia irlande-se, il Liber de ordine creaturarum11 – di un ‘legame verticale’ che

8 Beda, De natura rerum, I, l. 2, ed. CH.W. JONES, in Bedae Venerabilis Ope-ra didascalica, CCh CXXIII A, Turnholti 1975 (d’ora in avanti, s’indicherà l’opera con la sigla DNR).

9 Beda, DNR, I, l. 11. 10 Beda, DNR, II, ll. 10-12: «Septimo [sc. die] Dominus requievit, non a

creaturae gubernatione, cum in Ipso vivamus, et moveamur, et simus, sed a novae substantiae creatione».

11 Liber de ordine creaturarum, un anónimo irlandés del siglo VII, ed. M.C. DÍAZ Y DÍAZ, Santiago de Compostela 1972. La biblioteca di Wearmouth-Jarrow dovette essere discretamente fornita di scritti di cosmografia: non più tardi del 686, ad esempio, Benedetto Biscop, di ritorno da uno dei suoi viaggi sul continente, re-cò con sé il cosiddetto Codex Cosmographiorum, che doveva, probabilmente, con-tenere le trattazioni cosmografiche di quattro autori, Tolomeo, Giulio Onorio, Mar-cellino e Dionigi il Piccolo. Il codice fu donato da Biscop a re Aldfrith in cambio

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unisce gli elementi tra cielo e terra. Il demiurgo, afferma Platone, plasmò l’universo a sua somiglianza, ma, dal momento che ciò che è generato deve essere visibile, corporeo e tangibile e nulla può essere visibile se separato dal fuoco, come nulla può essere tangibile senza la presenza di qualcosa di solido, l’artefice realizzò il corpo del mondo con fuoco e terra. Giacché, tuttavia, non è possibile unire due elementi senza disporre di un terzo elemento, il dio pose aria e acqua tra il fuoco e la terra e compose gli elementi in armonica pro-porzione: così l’universo fu generato12.

Chiarito il quadro di riferimento entro cui prende forma la sua lezione cosmologica, Beda può dedicarsi ad una descrizione puntua-le, seppur concisa, dell’universo, procedendo sulla falsariga della dottrina degli elementi e, dunque, illustrando, in successione, le ca-ratteristiche dei quattro regni, del fuoco, dell’aria, dell’acqua, della terra.

2. Dalla Naturalis Historia al De natura rerum

Che la fonte pliniana – in particolare, il II libro della Nat. Hist., dedicato a questioni di astronomia, meteorologia e geografia terrestre – occupi un posto centrale nell’economia del De natura rerum si in-tuisce sin dal citato III capitolo: Beda recupera, qui, la definizione isidoriana di mundus come «universitas omnis, quae constat ex caelo et terra»13, omette il riferimento d’Isidoro al livello spirituale d’inter- di una tenuta per il monastero di Jarrow e, tuttavia, si può ritenere che Beda avesse, in seguito, accesso all’opera. Vd., a questo proposito, P. HUNTER BLAIR, The world of Bede, London 1970, pp. 184-186. Per ciò che riguarda, in generale, le fonti ir-landesi adoperate da Beda in diverse sue opere, vd. J.-M. PICARD, Bède et ses sources irlandaises, in Bède le Vénérable entre tradition et postérité. The Venera-ble Bede. Tradition and Posterity, Colloque organizé à Villeneuve d’Ascq et Amiens par le CRHEN-O (Université de Lille 3) et Textes, Images et Spiritualité (Université de Picardie - Jules Verne) du 3 au 6 juillet 2002, ed. by S. LEBECQ, M. PERRIN, O. SZERWINIACK, Villeneuve d’Ascq (Université Charles de Gaulle - Lille 3), Ceges, 2005, pp. 43-61 (per la presenza del Liber de ordine creaturarum nel De natura rerum, vd. in particolare pp. 52-55).

12 Platone, Timaeus, 31b-32d. 13 Beda, DNR, III, l. 2; vd. Isidoro, De natura rerum, IX, ll. 1-2 (d’ora in

avanti, l’opera isidoriana sarà indicata con la sigla DNR; l’edizione di riferimento per le citazioni è: Isidore de Séville, Traité de la nature suivi de l’Épitre en verse du roi Sisebut à Isidore, édité par J. FONTAINE, Bordeaux 1960).

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pretazione, per cui «mundus conpetenter homo significatur»14, e completa il capitolo con materiale tratto da Plinio: giustappone, così, le sue due principali fonti e sostiene, sulla scorta di Nat. Hist., II, 2, 5, che il mondo ha la forma arrotondata di un globo perfetto e, sulla scorta di Nat. Hist., II, 4, 10-11, ch’esso consta di quattro elementi, «igne, quo sidera lucent; aere, quo cuncta viventia spirant; aquis, quae terram cingendo et penetrando communiunt; atque ipsa terra, quae mundi media atque ima»15. Beda rivela un piglio decisamente più asciutto di Plinio e, infatti, condensa in poche righe i due para-grafi che l’autore della Nat. Hist. aveva dedicato all’enunciazione della dottrina degli elementi16; viene meno, inoltre, nella schematica e sintetica trattazione bedana, l’afflato lirico che punteggia la cosmo-logia pliniana17: laddove, per Plinio, nello spazio più alto del cosmo vi sono i fuochi e per questo «tot stellarum illi conlucentium oculi», per Beda il fuoco è, semplicemente, la ragione per cui le stelle brilla-no; l’aria, poi, per Plinio è elemento di vita, respiro che, intrecciato al tutto universale, si insinua per la totalità delle cose, per Beda, invece, è solo ciò che consente alle creature viventi di respirare.

Sempre in relazione al capitolo III del De natura rerum, può, forse, essere utile sottolineare che Beda, mettendo a frutto la fonte pliniana in riferimento alla forma sferica del mondo, sembra smarrir-ne il senso profondo, ossia il carattere problematico che, agli occhi dell’autore della Nat. Hist., la questione della sfericità del globo do-veva rivestire, come si può inferire dai numerosi argomenti addotti in proposito e che in Beda, invece, non trovano spazio alcuno o perdono il loro carattere probante. Dice Plinio: «Formam eius [sc. mundi] in speciem orbis absoluti globatam esse nomen in primis et consensus in eo mortalium orbem appellantium, sed et argumenta rerum docent, non solum quia talis figura omnibus sui partibus vergit in sese ac sibi ipsa toleranda est seque includit [...], sed oculorum quoque probatione,

14 Isidoro, DNR, IX, ll. 3-4. 15 Beda, DNR, III, ll. 3-7. 16 Plinio, Nat. Hist., II, 4, 10-11. Le citazioni dall’opera pliniana sono tratte da

Pline l’Ancien, Histoire Naturelle, vol. II, texte établi, traduit et commenté par J. BEAUJEU, Paris 1950.

17 Vd., a questo proposito, il bel saggio di I. CALVINO, Il cielo, l’uomo, l’elefante, in ID., Perché leggere i classici, Milano 1995, pp. 41-53.

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quod convexus mediusque quacumque cernatur»18 e, ancora, «Equidem et consensu gentium moveor; namque et Graeci nomine ornamenti appellavere eum et nos a perfecta absolutaque elegantia mundum»19. Il recupero di quest’ultimo argomento, in particolare, consente di gettare qualche luce sulle modalità di manipolazione del-la fonte pliniana cui Beda ricorre; in DNR, III, 7-9, si legge: «Verum mundi nomine etiam caelum a perfecta absolutaque elegantia voca-tur; nam et apud Graecos ab ornatu cosmos appellatur». Laddove per Plinio il consenso dei popoli circa il carattere elegante, perfetto e compiuto del mondo, inscritto nel suo stesso nome, costituiva uno degli argomenti in favore della forma sferica del cosmo, giacché il cer-chio era, tradizionalmente, considerato simbolo di perfezione20, per Beda il recupero dell’etimologia pliniana non assurge a prova d’un qualche assunto relativo alla struttura dell’universo, ma, accostata all’etimologia isidoriana di cosmos21, riveste la sola funzione di concludere elegan-temente il capitolo dedicato alla questione quid sit mundus: perde, appunto, il carattere falsamente probante che aveva in origine.

Questo procedimento, di enucleazione, nel corpo del testo plinia-no, dei dati che, di volta in volta, potevano rivelarsi utili al chiari-mento delle questioni prese in esame, si evidenzia ovunque nel DNR e può, pertanto, essere assunto come costante del metodo di lavoro del monaco anglosassone. Il quale si dimostra molto selettivo nei confronti della fonte pliniana22 e, a fronte delle articolate e talora complesse considerazioni svolte dall’autore della Nat. Hist., omette premesse e implicazioni ed estrapola i dati di cui ha bisogno23, senza

18 Plinio, Nat. Hist., II, 2, 5. 19 Plinio, Nat. Hist., II, 4, 8. 20 Almeno a partire dalla filosofia pitagorica. 21 Isidoro, Etymologiae, XIII, 1, 2 (edizione di riferimento: Isidori Hispalensis

Episcopi Etymologiarum sive Originum libri XX, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W.M. LINDSAY, tomus I, Oxonii 1957, riproduzione della prima ed. del 1911).

22 Ma, almeno per ciò che riguarda le opere bedane di carattere scientifico-didascalico, questa considerazione può essere estesa a tutte le fonti messe a frutto. Nel caso della Nat. Hist., questo elemento è tanto più evidente in quanto si tratta della fonte privilegiata dell’autore del DNR, quella, in assoluto, più citata.

23 Vd., a questo proposito, ma in riferimento alle opere esegetiche di Beda, M.L.W. LAISTNER, Thought and Letters in Western Europe A.D. 500 to 900, Ithaca 1957², p. 163: «However great his debt to his predecessors may be, Bede does not copy uncritically. He is careful to select what will be useful and intelligible to his

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preoccuparsi di recuperare il contesto originario delle citazioni tratte da Plinio e, dunque, il loro significato profondo. Natural-mente, l’atto stesso della citazione comporta di per sé la parzialità del testo citato e la sua decontestualizzazione: precisamente queste paiono essere le forme specifiche del riuso bedano di materiale della Nat. Hist.

Si assiste, con Beda, ad un processo di ‘parcellizzazione’ del te-sto pliniano, ad una polverizzazione del suo ampio respiro, della sua complessità e ricchezza, in una nutrita serie di citazioni, abilmente intrecciate o anche semplicemente giustapposte, quasi tessere di un mosaico che, perduto, almeno in parte, il loro carattere primigenio, acquistano nuova vita nell’economia dell’opera in cui vengono inca-stonate. Beda intesse interi capitoli del De natura rerum ricorrendo ad excerpta pliniani24 o, meno spesso, parafrasando il testo della Nat. Hist., invariabilmente piegandolo alle sue esigenze di chiarezza espositiva e concisione. Gli esempi sono molteplici e diffusi per tutta l’opera: in DNR, IX ad esempio Beda, sulla scorta sia di Isidoro, Etymologiae, XLIV, 1 sia di Nat. Hist., II, 68, 172 e 70, 177, si occu-pa della ripartizione dell’universo sferico in cinque circoli celesti, quello settentrionale, inabitabile per il freddo; quello solstiziale, temperato; quello equinoziale, torrido e inabitabile; quello bruma-le, temperato ed abitabile; quello australe, freddo e inabitabile; il passaggio del sole attraverso i tre circoli intermedi («extremi enim semper sole carent»25, dice Beda) determina, sulla terra, la diversi-tà delle stagioni26. L’autore del DNR recupera, qui, un passo che, nell’originario contesto pliniano, compare tra le argomentazioni ad-dotte in favore della sfericità della terra e della sua ubicazione nel readers, he adds his own comments and observations, and he has knit the whole together in a way which raises his theological works well above the level of mere compilation or catenae and which bears clearly the impress of his own mind and personality».

24 Almeno in due casi Beda allude esplicitamente agli excerpta ricavati dal-l’opera pliniana: in DNR, XIV, ll. 20-21 («De quibus si plenius scire velis, lege Plinium Secundum ex quo et ista nos excerpsimus») e in DTR, XXXIII, ll. 98-99 («Haec de Plinii Secundi scriptis excerpta hunc in nostris opusculis habeant lo-cum»).

25 Beda, DNR, IX, ll. 14-15. 26 Beda, DNR, IX, ll. 12-13: «Tres autem medii circuli inaequalitates

temporum distinguunt».

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mezzo dell’universo27, ma che, nel contesto bedano di riuso, in cui non si discute né della forma del globo terrestre né della sua posizione, assume una fisionomia e un significato del tutto diver-si, giacché serve ad evidenziare l’effetto prodotto, sulla terra, dal movimento del sole attraverso i circoli celesti, appunto l’alternanza delle stagioni.

Un caso significativo di rimaneggiamento della fonte pliniana ad opera di Beda si evidenzia nel cap. XIII del DNR, dedicato all’ordine delle stelle erranti, ossia dei pianeti. Dopo aver chiarito che i pianeti sono collocati tra il firmamento, in cui sono incastonate le stelle fis-se, e la terra e che il loro moto è contrario a quello dell’universo, giacché essi ruotano da ovest ad est (DNR, XII), Beda offre succinte informazioni a proposito della natura, ossia delle qualità intrinse-che – derivate dalla coppia antinomica caldo/freddo – dei pianeti più grandi (Saturno, Giove, Marte), nonché dei tempi di rivoluzio-ne di questi e degli altri pianeti, sintetizzando agilmente, in tal modo, il più articolato catalogo proposto da Plinio in II, 6, 32-44. Le più ampie perifrasi pliniane sono, qui, condensate col ricorso a singoli aggettivi: per Plinio, ad esempio, «Saturni [...] sidus geli-dae ac rigentis est naturae» e «Mars [...] igne ardens solis vicinita-te», laddove per Beda «Saturni sidus [...] natura gelidum est» e «Mars fervidus». Beda, tra l’altro, omette l’esplicito riferimento, pre-sente in Plinio, al fatto che i tempi di rivoluzione dei pianeti sono le-

27 Plinio dedica i paragrafi 176-181 del II libro della Nat. Hist. a questioni di

geografia astronomica e, in particolare, alla dimostrazione della sfericità del globo terrestre. Tra le ragioni proposte: le stelle del cielo settentrionale non tramontano mai per gli abitanti della regione settentrionale, mentre agli abitanti di quella meri-dionale non risultano mai visibili, perché «attollente se contra medios visus terra-rum globo» (II, 71, 177); le stelle del cielo settentrionale appaiono, inoltre, agli abitanti di quella regione, molto in alto, esattamente come il polo, e così, per chi attraversa la curvatura della terra verso il basso, le stelle del cielo meridionale s’innalzano, quelle del cielo settentrionale declinano, ciò che – dice Plinio – non sarebbe possibile se la terra non avesse forma sferica (II, 71, 179); ancora, se la ter-ra fosse piatta, le eclissi di sole e di luna sarebbero visibili a tutti gli uomini con-temporaneamente e le notti e i giorni avrebbero ovunque uguale durata, come av-viene per chi vive al centro della terra, nella fascia equinoziale (II, 72, 180-73, 181). Beda dedica, dal canto suo, il cap. XLVI del DNR (Terram globo similem) alla questione della forma del globo terrestre e lì recupera parte delle argomenta-zioni pliniane (in particolare, Nat. Hist., II, 71, 177-178).

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gati all’ampiezza delle loro orbite, ossia alla maggiore o minore di-stanza che li separa dalla terra28.

Appaiono, questi, esempi significativi ai fini della comprensione delle modalità di riutilizzo del materiale pliniano ad opera di Beda, che pare considerare la sua fonte privilegiata alla stregua d’un coa-cervo di informazioni e notizie cui attingere con libertà: destino, for-se, inscritto nel carattere stesso dell’opera di Plinio come di qualsiasi testo – e segnatamente di quelli di carattere enciclopedico – che aspi-ri a toccare tutte le branche del sapere29 e tenda a disperdersi nei mol-teplici rivoli d’una erudizione vasta e multiforme.

La disposizione con cui Beda si volge a consultare il testo della Nat. Hist. è messa in luce, oltre che dagli esempi cui s’è accennato, da diversi altri passi del DNR: nel capitolo XV, ad esempio, Beda mette a frutto la spiegazione offerta da Plinio (II, 16, 79) a proposito delle cause delle variazioni di colore dei pianeti e, nel contesto di una citazione ad litteram30, inverte l’ordine delle due parti in cui il passo

28 Desta interesse in DNR, XIII, 9-14 anche il singolare agglutinamento di due passi che, nella Nat. Hist., sono piuttosto distanti, II, 6, 44 e II, 15, 78; dice Beda: «L’ultimo degli astri è la luna, che compie il giro dello zodiaco in 27 giorni e un terzo, poi s’attarda in congiunzione col sole, non comparendo in cielo (non conpa-rere in coelo) per due giorni. L’astro di Saturno e quello di Marte non compaiono al massimo per 170 giorni, Giove per 36 giorni [...]». Il sintagma non conparere in coelo in Plinio (II, 15, 78) fa riferimento ai periodi di invisibilità dei pianeti, non della luna: Beda, invece, fa coincidere perfettamente la fine della citazione pliniana da II, 6, 44 con l’inizio di quella da II, 15, 78 (appunto, non conparere in coelo).

29 Si può pensare, ad esempio, alla tradizione di un’opera come le Noctes Atti-cae di Aulo Gellio, sin da Macrobio, e attraverso i medievali Lupo di Ferrières, Guglielmo di Malmesbury, Giovanni di Salisbury, fino ai primi umanisti, conside-rata come una riserva di notizie e citazioni da altri autori in grado di nutrire la fame di conoscenza dei maestri di scuola, degli eruditi, dei letterati (vd., a questo propo-sito, almeno Aulo Gellio, Le Notti Attiche, a cura di G. BERNARDI-PERINI, vol. I, Torino 1992, pp. 23-25).

30 La sola eccezione è costituita dall’attributo dell’astro di Venere/Lucifero: in luogo del pliniano candens, si legge in Beda gaudens, variante attestata in parte della tradizione della Nat. Hist., evidentemente dovuta a guasto meccanico. La le-zione candens, accolta nel citato testo critico curato da J. Beaujeu per la Collection Budé (vol. II, p. 34), nonché nell’edizione curata da Mayhoff per la Bibliotheca Teubneriana (vd. C. Plini Secundi Naturalis Historiae libri XXXVII, ed. C. MAYHOFF, vol. I, Stutgardiae 1967, editio stereotypa editionis prioris, 1906, p. 152), è attestata da R² (codex Florentinus Riccardianus 488), da p (codex Pollin-ganus Monacensis 11301) e dai codices veteriores della tradizione pliniana. Inverosi-mile appare l’ipotesi, espressa da M.L. SILVESTRE, Beda il Venerabile. La natura e i

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di Plinio è articolato, marcando il passaggio dalla prima alla seconda con l’inserimento della congiunzione sed. Quella che in Plinio funge da premessa alle considerazioni relative al colore dei pianeti (che, egli dice, «ratio altitudinum temperat, siquidem earum similitudinem trahunt, in quarum aëra venere subeundo, tinguitque adpropinquantes utralibet alieni meatus circulus, frigidior in pallorem, ardentior in ruborem, ventosus in horrorem, sol atque commissurae apsidum extremaeque orbitae atram in obscuritatem»31) diviene, dunque, in Beda, asserzione subordinata all’indicazione del colore che i pianeti hanno per loro intrinseca natura, laddove questa, nel testo pliniano, segue la premessa generale: «Suus quidem cuique color est: Saturno candidus, Iovi clarus, Marti igneus, Lucifero candens, Vesperi refulgens, Mercurio radians, lunae blandus, soli, cum oritur, ardens, postea radians»32.

Beda, dunque, interviene sulla sua fonte quando ritiene di poter-ne affinare il ragionamento: in questo caso, evidentemente, ai suoi occhi doveva apparire più logico puntualizzare subito che ciascun pianeta ha, per natura, un certo colore, e specificare in seguito la ragione del mutamento dei colori naturali dei pianeti medesimi, ossia il fatto che, avvicinandosi, durante le sue elevazioni, all’or-bita d’un altro pianeta, ogni stella errante può assumere sfumature di colore diverse, per una sorta di ‘contaminazione’. Beda è, del resto, molto sensibile alla spiegazione dei fenomeni naturali in termini di contatto e mescolanza degli elementi tra loro: lo si vede, in particolare, in DNR, IV, capitolo chiave dell’opuscolo bedano,

tempi: luoghi della storia, luoghi della politica, Napoli 1995 (ed. riveduta), p. 69, la quale, invero dopo aver ricordato che la variante potrebbe esser derivata da un semplice errore di trascrizione, aggiunge: «la cosa può essere intesa [...], in manie-ra più intrigante, come una designazione del carattere peculiare di Venere-Lucifero, con una carica notevole di simbolismo. È noto, d’altra parte, che alla fine dell’antichità classica, “Saturno e Venere non apparivano più come divinità dell’Atene periclea, bensì nelle vesti di divinità astrali [...] Giove presiedeva ai go-vernanti, Marte ai guerrieri, Venere agli amanti”».

31 Plinio, Nat. Hist., II, 16, 79 e Beda, DNR, XV, ll. 5-9. 32 Plinio, Nat. Hist., II, 16, 79 e Beda, DNR, XV, ll. 2-4. Il sintagma «soli,

cum oritur, ardens, post radians» compare in Beda in questa forma: «soli cum ori-tur ardens, postea dies», dove la variante postea dies è attestata da parte della tradi-zione pliniana. La lezione post radians è congettura dell’editore D. Detlefsen (vd. Pline l’Ancien, Histoire Naturelle cit., vol. II, p. 34).

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in cui all’indicazione del posto che i quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra) occupano nel cosmo in virtù del loro peso relativo, se-gue questa precisazione: «Quae tamen quadam naturae propinquitate sibimet ita commiscuntur, ut terra quidem arida et frigida frigidae aquae, aqua vero frigida et humida humido aeri, porro aer humidus et calidus calido igni, ignis quoque calidus et aridus terrae societur aridae. Unde et ignem in terris et in aere nubila terrenaque corpora videmus» (ll. 9-14).

Altro esempio simile a quello appena ricordato si rinviene in DNR, XXII, un capitolo in cui Beda, accorpando – come spesso fa – numerose citazioni da Plinio33, si occupa delle eclissi solari e lunari. Alla fine del capitolo (ll. 14-16) egli afferma, sulla scorta di Nat. Hist., II, 7, 48, che «ne singulis mensibus eclipsis fieret, latitudo si-gniferi lunam superius inferiusve transmittit», laddove Plinio aveva scritto: «Stati autem atque non menstrui sunt utrique defectus propter obliquitatem signiferi lunaeque multivagos [...] flexus». Beda con-serva dunque il senso dell’osservazione pliniana, ma è forse signifi-cativa l’inversione, per così dire, del rapporto di causa-effetto: men-tre Plinio pone in evidenza le ragioni dell’assenza di eclissi (lunari e solari) in tutti i mesi, ossia l’obliquità dello zodiaco e le oscillazioni della luna, Beda afferma che, affinché non si verifichino eclissi con ricorrenza mensile, la latitudine dello zodiaco fa sì che la luna oscilli talora innalzandosi, talaltra abbassandosi rispetto alla parte centrale dello zodiaco stesso, occupata dal sole. Beda, in altre parole, inter-viene sottilmente sulla sua fonte e non pone l’accento sulle cause del fenomeno in esame, ma sulla finalità dell’obliquità dello zodiaco, ciò che è del tutto coerente con l’impostazione di una cosmologia che, per quanto recuperi le acquisizioni della scienza antica, di matrice pagana, e non conceda spazio a questioni morali e dottrinali34, non

33 Precisamente da Nat. Hist., II, 7, 47; 10, 56; 8, 49; 10, 56-57 e 7, 48. 34 Molto diversa, in questo senso, la trattazione di Isidoro di Siviglia, che, nel

suo De natura rerum, ad ogni momento, illustrando i fenomeni naturali, esplicita i possibili riferimenti teologici e dottrinali; due esempi su tutti: in DNR, XXVII, Isi-doro si chiede se gli astri siano dotati di un’anima e quale sorte essa avrà nel giorno del Giudizio; in DNR, XXXVI, poi, dopo aver descritto il meccanismo di forma-zione dei venti, il vescovo di Siviglia aggiunge: «Venti autem interdum angelorum intelleguntur spiritus, qui a secretis Dei ad salutem humani generis per universum mundum mittuntur».

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può fare a meno di riconoscere, implicitamente, l’impronta della vo-lontà divina espressasi nella creazione e resa manifesta dall’armonica struttura del cosmo, in ogni sua parte teleologicamente ordinata35.

Oltre che a modificare, ove necessario, il testo pliniano, Beda si dimostra pronto anche a omettere considerazioni svolte dall’autore della Nat. Hist. che mal si attagliano alla sua visione del cosmo e ri-vela, pertanto, in luogo d’una accettazione passiva dei dati messi a disposizione da Plinio, capacità critica, di discriminazione del mate-riale contenuto nella sua, pur prediletta, come si vedrà, fonte36: se ne ha un chiaro esempio in DNR, XVI, dove il monaco anglosassone chia-risce il fenomeno dell’oscillazione dei pianeti attraverso la latitudine della fascia zodiacale mettendo a frutto Nat. Hist., II, 13, 66-67. Nell’ambito di una lunga e letterale citazione, Beda sorvola sulla tesi pliniana relativa all’influenza esercitata sulla terra dall’oscillazione del pianeta Venere al di fuori della fascia dello zodiaco. Plinio, infatti, ave-va affermato che gli astri si muovono attraverso lo zodiaco e che le sole zone abitate della terra sono quelle sottostanti: le altre, che convergono verso i poli, sono invece disabitate. L’astro di Venere, tuttavia, può sco-starsi di due gradi rispetto allo zodiaco e questo – a giudizio di Plinio – è il motivo per cui anche nelle regioni desertiche del mondo, talvolta, na-scono alcuni animali. Il silenzio di Beda in proposito è quanto mai elo-quente: egli non confuta l’asserzione pliniana, né la corregge col ricorso ad altra fonte, ma l’omissione della bizzarra tesi è nondimeno significa-tiva, giacché rivela, oltre alla già evidenziata disinvoltura e capacità di discriminazione con cui Beda si rivolge alla Nat. Hist. per ricavarne dati e notizie, un altro aspetto della disposizione dell’autore del DNR nei confronti dell’opera pliniana, ossia la tendenza a semplificare la spiega-zione dei fenomeni naturali, col corollario dell’intenzionale esclusione

35 Vd., a questo proposito, anche Beda, DNR, XXVI, in cui l’autore, sulla scorta di Isidoro, DNR, XXXVI 1-2, sottolinea il carattere provvidenziale del-l’azione divina: Dio fa discendere da monti altissimi l’aria che, come costretta e compressa, si addensa, manifestandosi sotto forma di venti affinché questi possano mitigare il caldo e far maturare i frutti della terra; ancora, Beda, DNR, XXXVIII evidenzia la provvidenzialità della distinzione tra acque dolci e acque salate: queste ultime si riuniscono nel mare, dove nutrono i prodotti necessari al sostentamento degli uomini; le prime, invece, si raccolgono, sotto forma di vapore acqueo, nel-l’aria e sedano la sete e fanno crescere i frutti.

36 Vd., a questo proposito, anche W.H. STAHL, La scienza dei Romani, trad. a cura di I. RAMBELLI, Roma-Bari 1974, pp. 301-302.

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dell’eccezione, della deviazione rispetto alla norma, che si configura, per Beda, come elemento perturbativo della coerenza del quadro ge-nerale, difficilmente riconducibile, pertanto, ad un’interpretazione schematica di quanto in natura ha luogo37.

Può, forse, essere significativo notare, inoltre, che – come ha scritto Giosuè Musca nel 1973 – in una delle sue principali opere di carattere cronachistico-storiografico, l’Historia abbatum, in cui è narrata la storia dei due monasteri ‘gemelli’ di Wearmouth e Jarrow, Beda non concede spazio alcuno all’elemento miracoloso: «Nello schema esteriore della biografia ecclesiastica, egli costruisce la storia di una istituzione religiosa e culturale attraverso l’esposizione delle vite terrene di uomini colti e pii che non ebbero bisogno di compiere mirabilia per guadagnarsi la venerazione dei posteri. Beda ne rico-struisce infatti la vita senza narrare un solo miracolo: storia concreta, realistica di uomini e delle loro opere su questa terra»38.

Altra prova, opposta, in un certo senso, alla precedente, ma egualmente rivelatrice dell’habitus bedano, s’incontra in DNR, XIII, ll. 14-16, laddove il monaco anglosassone, mettendo a frutto una spiegazione contenuta in Nat. Hist., II, 12, 59 – sezione in cui Plinio si occupa delle leggi della visibilità dei pianeti – estende a tutte le stelle erranti una caratteristica che, nel locus pliniano, era riservata ai soli

37 Vd. anche, a questo proposito, SILVESTRE, Beda il Venerabile cit., pp. 69-70: «Plinio [...] in questo contesto spiegava la presenza di animali nelle parti deser-te del mondo col percorso anomalo di Venere che oltrepassa, a volte, i confini dello zodiaco. Ma Beda, forse, oltre che rifiutare la spiegazione pliniana, non è nemme-no convinto della tesi circa la presenza di animali nelle zone inabitabili. La tesi, probabilmente, gli appare assurda e, poiché è privo di una documentazione che possa comprovare l’assunto, preferisce ometterla. Sarebbe persino disdicevole: Dio ha voluto che le zone inabitabili restassero tali. Perché accedere ad ipotesi, non di-mostrabili, potenzialmente in grado di turbare le coscienze e le intelligenze dei monaci suoi lettori?».

38 Vd. G. MUSCA, Il Venerabile Beda storico dell’Alto Medioevo, Bari 1973, p. 107. È giusto, d’altro canto, sottolineare che nell’opera storiografica di maggior respiro, l’Historia ecclesiastica gentis Anglorum, Beda inserisce la narrazione di cinquantadue miracoli: l’Historia, infatti, «non è la storia di questa o quella città, di questo o quel monastero, ma della fede religiosa e della istituzione visibile che la diffonde e la difende, cioè della Chiesa e delle sue vicende, delle vicende e del progresso della verità, storia di un valore spirituale più che di fatti empirici» (MUSCA, Il Venerabile Beda cit., p. 203), onde prodigi e miracoli sono considerati da Beda come eventi eguali a tutti gli altri, che, tuttavia, devono essere posti in primo piano perché l’Historia ecclesiastica è storia anzitutto religiosa e spirituale.

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pianeti collocati al di sopra del sole, Giove, Saturno e Marte. Dice, infat-ti, Plinio: «Errantium autem tres, quas supra solem diximus sitas, oc-cultantur meantes cum eo, exoriuntur vero matutino, discendentes partibus numquam amplius undenis»; Beda, invece, in maniera forse un po’ semplicistica, ma per la ragione di cui s’è detto (offrire un’esposizione lineare dei fenomeni naturali, priva, cioè, di elementi ‘di disturbo’), recepisce, riferendo la frase a tutti i pianeti: «Occul-tantur vero meantes cum sole partibus numquam amplius undenis».

L’autore anglosassone diverge, dunque, da questo punto di vista, sensibilmente dall’impostazione pliniana: nella Nat. Hist., infatti, grande spazio ha il miraculosum, l’eccezionale, l’irregolare, che, per Plinio, è produzione della Natura artifex – esattamente quanto ciò che, conformandosi alla ratio ordinatrice della Natura medesima, si verifica con inesorabile regolarità – ed ha, pertanto, nel mondo de-scritto nella Nat. Hist., lo stesso diritto di cittadinanza39. I possibili esempi rintracciabili anche solo nel II libro dell’opera pliniana sono, in questo senso, numerosi; uno su tutti: descrivendo la volta celeste in II, 3, 6-7, Plinio afferma che «esse innumeras ei effigies anima-lium rerumque cunctarum inpressas nec [...] levitate continua lubri-cum corpus, quod clarissimi auctores dixere, terrenorum argumentis indicatur, quoniam inde deciduis rerum omnium seminibus, innume-rae in mari praecipue ac plerumque confusis monstrificae, gignantur effigies»40. Istituendo uno stretto legame tra le figure che si distin-guono sulla volta celeste e le mostruose forme animali generate dall’aggregarsi dei semi che cadono (sulla terra e soprattutto in mare) dalla volta celeste stessa, Plinio esplicitamente riconosce diritto d’esistenza a creature che hanno del prodigioso, che si caratterizzano, cioè, come monstra.

Quando cita dalla Nat. Hist., oltre che a semplificare le più arti-colate – perché volte ad illustrare i fenomeni naturali in tutti i loro aspetti e in tutte le loro implicazioni – spiegazioni offerte da Plinio, Beda tende ad omettere anche quelle teorie la cui attendibilità era stata considerata dubbia e poco convincente da Plinio stesso; in DNR, XLII,

39 Vd., a questo proposito, G.B. CONTE, L’inventario del mondo. Ordine e linguaggio della natura nell’opera di Plinio il Vecchio, in ID., Generi e lettori. Lucrezio, l’elegia d’amore, l’enciclopedia di Plinio, Milano 1991, pp. 95-144.

40 Plinio, Nat. Hist., II, 3, 7.

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ad esempio, Beda trae da Nat. Hist., II, 68, 173 il dato relativo alla di-stanza del golfo Arabico dal mar d’Egitto (centoquindici miglia), ma per offrire ai suoi lettori una spiegazione dell’origine del nome del mar Rosso si volge a Isidoro e, sulla scorta di Etym., XIII, 17, 2, afferma che il mar Rosso «nomen a roseo colore trahit, quem tamen non natu-raliter habet, sed vicinis litoribus, quae sanguineo colore rubent, infi-citur»41. A questo proposito, Plinio, in VI, 28, 107, s’era mostrato in-certo tra una spiegazione mitica e una razionalistica ed aveva pro-posto varie ipotesi: «mare [...] quod Rubrum dixere nostri, Graeci Erythrum a rege Erythra aut, ut alii, solis repercussu talem reddi existimantes colorem, alii ab harena terraque, alii tali aquae ipsius natura». Di fronte all’ambiguità – alla problematicità esplicativa cioè – del testo pliniano, dunque, Beda preferisce adoperare un’altra fon-te, quella isidoriana, per la quale, generalmente, non mostra grande considerazione42.

Significativo, da questo punto di vista, anche il capitolo XXVI del DNR, dove Beda, per descrivere la natura dei venti, ricorre a Isi-doro (DNR, XXXVI, 1-2), integrando la spiegazione da questo offerta con la concisa definizione che Plinio aveva dato di ‘vento’ (Nat. Hist., II, 44, 114), «fluctus aëris». Beda, tuttavia, in questo caso, non recupera dalla fonte pliniana l’articolata teoria relativa alla formazione dei venti, giacché l’autore antico aveva proposto non una chiara e convincente in-terpretazione del complesso fenomeno, ma una serie di ipotesi non defi-nitive e, anzi, aveva concluso affermando che «palam est illos quoque legem habere naturae non ignotam, etiamsi nondum percognitam»43. Beda, dunque, come s’è già avuto modo di sottolineare, non recepisce passivamente e acriticamente dati e teorie che trova esposti nell’opera pliniana, cui, pure, egli, nella maggior parte dei casi, si volge con fidu-cia e a cui, certo, come si vedrà, concede grande credito.

41 Vd. Isidoro, Etymologiae, XIII, 17, 2: «Rubrum autem mare vocatum eo

quod sit roseis undis infectum, non tamen talem naturam habet qualem videtur ostendere, sed vicinis litoribus vitiatur gurges atque inficitur; quia omnis terra, quae circumstat pelago, rubra est et sanguineo colori proxima».

42 Come si vedrà, Beda è solito, piuttosto, correggere e integrare le infor-mazioni e le notizie offerte da Isidoro – tanto nel DNR quanto nelle Etymologiae – facendo ricorso al testo della Nat. Hist.

43 Plinio, Nat. Hist., II, 45, 116.

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3. Dalla pliniana Natura artifex al creator di Beda

Il dotto monaco anglosassone interviene a modificare la fonte pliniana anche ad altro livello, macroscopico, per così dire: partico-larmente significativo, a questo proposito, DNR, XLIV; qui, Beda, sulla scorta di Nat. Hist., II, 65, 165-66, 166, spiega come la terra sia tenuta insieme dalle acque ed afferma: «Aqua creator orbem medio ambitu praecinxit, quae ex omni parte in centrum terrae vergeret et in interiora nitens decidere non posset, ut, cum terra arida et sicca con-stare per se ac sine humore nequiret, nec rursus stare aquae, nisi su-stinente terra, mutuo implexu iungerentur, hac sinus pandente, illa vero permeante totam, intra, extra, supra, infra, venis ut vinculis di-scurrentibus, atque etiam in summis iugis erumpente»44. Il passo è tratto integralmente da Plinio, con una sola, illuminante, variante: nel locus pliniano si legge che «totas omnique ex parte aquas vergere in cetrum ideoque non decidere, quoniam in interiora nitantur (II, 65, 166). Quod ita formasse artifex natura credi debet, ut cum terra, arida et sicca [...] (II, 66, 166)». La Natura artifex di Plinio viene, dunque, sostituita dal bedano creator, al quale l’autore del DNR, tra l’altro, fa riferimento già nell’incipit del capitolo, laddove nel testo pliniano il richiamo all’attività creatrice della natura è posto dopo il riferimento all’acqua che, ex omni parte, converge al centro della terra e non può, pertanto, cadere. È come se Beda volesse, qui, ribadire, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sua ortodossia, pur nell’utilizzo di una fonte pagana che, da un canto, proponeva esplicitamente, sulla scorta del modello stoico, l’immagine di una Natura provvidenziale e beni-gna45, che poteva confarsi certamente ad un autore cristiano come Beda – la cui cosmologia, lo si è visto, rimanda di necessità ad una concezione armonica e provvidenziale dell’universo – ma, dall’altro, definendo la Natura stessa «parens [...] ac divina rerum artifex»46, la

44 Beda, DNR, XLIV. 45 Vd. a questo proposito CONTE, L’inventario del mondo cit., p. 106. 46 Plinio, Nat. Hist., XXII, 56, 117. Per l’idea pliniana di ‘Natura’, vd., ad

esempio, O. GIGON, Pline, in Plinio il Vecchio sotto il profilo storico e letterario, Atti del convegno di Como (5-6-7 ottobre 1979) e Atti della tavola rotonda nella ricorrenza centenaria della morte di Plinio il Vecchio (Bologna 16 dicembre 1979), Como 1982, pp. 41-52. Vd. anche R. LENOBLE, Storia dell’idea di natura, Napoli 1974, pp. 169-251.

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connotava per la sua sacralità, ciò che, evidentemente mal si atta-gliava alla visione bedana e cristiana in genere.

La Natura, per Plinio, s’identifica con il mondo – concrezione della Natura medesima – nella cui curvatura si raccoglie ogni vita e che «numen esse credi par est, aeternum, inmensum, neque genitum neque interiturum umquam [...]. Sacer est, aeternus, immensus, totus in toto, immo vero ipse totum, infinitus ac finito similis, omnium rerum certus et similis incerto, extra intra cuncta conplexus in se, idemque rerum naturae opus et rerum ipsa natura»47. Il solenne incipit del II libro della N. H. non poteva lasciar adito a dubbi circa l’idea pliniana di una Natura onnicomprensiva, che abbraccia la tota-lità dell’universo e, anzi, coincide con esso: una Natura, si potrebbe dire, où tout se tient, ordinatrice e dotata di volontà creatrice, come si evince anche, ad esempio, dall’incipit del XXXVI libro della stessa Nat. Hist.: «[...] Omnia [...] quae usque ad hoc volumen tractavimus, hominum genita causa videri possunt: montes natura sibi fecerat ut quasdam compages telluris visceribus densandis, simul ad fluminum impetus domandos fluctusque frangendos ac minime quietas partes co-ercendas durissima sui materia»48. Una Natura, quella che Plinio descri-ve, pervasa in ogni sua parte da un anelito vitale che si diffonde dagli astri al mondo sublunare alle creature viventi. I corpi celesti, il sole in particolare, ricoprono, nella cosmologia pliniana, un ruolo centrale, giacché disciplinano, in virtù del loro potere irradiante, la vita del-l’universo intero e consentono che il medesimo rigoroso ordine – rifles-so del loro regolare movimento – regni nel cosmo e sulla terra che ne costituisce il centro ed il perno. La Natura si caratterizza inoltre, nella trattazione pliniana, per la sua dimensione antropomorfa49; ragione e fi-ne d’ogni manifestazione – anche di quelle di segno negativo – dell’attività creatrice della divinità naturale è invariabilmente l’uomo,

47 Plinio, Nat. Hist., II, 1, 1-2. 48 Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 1, 1. 49 Vd. CONTE, L’inventario del mondo cit., pp. 107-108. Un significativo esem-

pio in Nat. Hist., XVIII, 60, 226, dove le esortazioni ad osservare i segni che si producono sulla terra sono rivolte al contadino, in una sorta di prosopopea, dalla Natura medesima: «Sed ille indocilis caeli agricola hoc signum habeat inter suos vepres humumque suam aspiciens: cum folia viderit decidua» e, ancora, in Nat. Hist., XVIII, 67, 251: «Cur caelum intuearis, agricola? Cur sidera quaeras, rustice?».

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misera creatura afflitta da molteplici necessità: in funzione dell’uomo «videtur cuncta alia genuisse natura», si legge in Nat. Hist., VII, 1, 150. La luna, ad esempio, dice Plinio, è il rimedio alle tenebre che la Natu-ra ha escogitato (Nat. Hist., II, 6, 41) e, d’altro canto, l’oscurità notturna è provvidenziale, giacché grazie ad essa, la terra si ristora, così come l’umanità che la popola, che, diversamente, sarebbe costantemente bruciata dal sole (Nat. Hist., II, 8, 52)51.

La natura, per Beda, non ha carattere di sacralità né si identifica con un principio divino artefice della creazione materiale, incarnante, cioè, la facoltà di plasmare il cosmo dall’informe materia, ossia de nihilo, come si legge in DNR, II, ll. 2-3. D’altro canto, per il monaco anglosassone, la natura non rappresenta neppure la lex ordinatrice dell’universo; non si configura come volontà autonoma e in sé com-piuta; non costituisce, infine, stricto sensu, il prodotto dell’operatio divina52: non è, in altre parole, potenza divenuta atto. Nel DNR Beda adopera il vocabolo natura in accezione decisamente ristretta, ciò che si evidenzia sin dall’epigrafe dell’opuscolo, in cui è esplicitato l’intento perseguito: «Naturas rerum varias labentis et aevi/ Perstrin-xi titulis, tempora lata citis/ Beda Dei famulus [...]». L’autore affer-ma, qui, d’aver voluto descrivere le variegate nature delle cose e i lunghi periodi del tempo che scorre53, laddove l’utilizzo del vocabolo

50 Certo, Plinio specifica, poi, che la natura «magna, saeva mercede contra tanta sua munera, ut non sit satis aestimare, parens melior homini an tristior noverca fuerit» (Nat. Hist., VII, 1, 1) ed indugia sul tema dell’infelice condizione dell’uomo (Nat. Hist., VII, 1, 1-5). In diversi excursus del VII libro (dedicato all’antropologia), del resto, Plinio torna sul medesimo tema, variamente declinandolo (vd. Nat. Hist., VII, 5, 43-44; VII, 41, 130-132; VII, 51, 167-169; X, 63, 171-172).

51 Gli esempi, naturalmente, potrebbero moltiplicarsi: che Plinio dedichi buo-na parte dei libri XX-XXXII ai rimedi e ai medicamenti – evidentemente utili all’uomo – che si possono trarre dalle erbe, dai fiori e dalle piante e inserisca nella trattazione relativa ai metalli (libri XXXIII-XXXIV), alle terre (libro XXXV) e alle pietre (libro XXXVI) ampie sezioni concernenti il medesimo argomento, appare, in questo senso, molto significativo.

52 Beda, DNR, I, l. 1. 53 In realtà, Beda si occupa del tempo non nel DNR, ma nel De temporibus,

opuscolo composto probabilmente nel medesimo periodo, secondo un’ipotesi di datazione che parrebbe esser corroborata proprio dal riferimento, contenuto nella menzionata epigrafe, ai «labentis [...] aevi [...] tempora lata», di cui nel DNR non v’è traccia.

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natura al plurale denuncia con chiarezza il significato ad esso attri-buito; la natura, per Beda, è anzitutto ‘natura di qualcosa’, ossia pro-prietà, attributo, qualità intrinseca o comportamento caratteristico, non entità dotata di qualsivoglia potere54. Così, ad esempio, in DNR, XIII, l. 2, si legge che l’astro di Saturno è «natura gelidum»55; in DNR, XIX, ll. 6-7 che il sole «dum natura sit igneus, motu quoque nimio calorem adauget»56, laddove la distinzione tra la qualità posseduta per natura – dal sole, in questo caso – e quella, per così dire, mecca-nicisticamente acquisita dal sole medesimo è quanto mai evidente; ancora, in DNR, XXXVIII, l. 2, Beda afferma che duplice è la natura delle acque, giacché esiste l’acqua dolce e quella salata, e, tuttavia, «quae harum naturalis sit quaeritur»57: entrambe, risponde l’autore, come si evince dal fatto che ciascuna può riversarsi nell’altra, può, appunto, mutare la propria natura, il proprio attributo primario,

54 Vd. a questo proposito, F. WALLIS, Si naturam quaeras: reframing Beda’s

science, in Innovation and tradition in the writings of the Venerable Bede, Morgan-town 2006, pp. 65-99, che sottolinea che l’accezione in cui, nel DNR, Beda adope-ra il vocabolo natura è la medesima del commento bedano In Genesim, a testimonian-za d’una stretta affinità tra le due opere e del fatto che la cosmologia bedana è salda-mente ancorata alla dottrina biblica della creazione in sei giorni. Nel contemporaneo De temporibus, diverso – e decisamente curioso – è il significato del termine natura; nel capitolo I si legge infatti: «[...] computus partim natura, partim auctoritate vel consue-tudine nitatur: natura, ut annum communem duodecim menses lunares habere; consue-tudine, ut menses triginta diebus computari; auctoritate, ut hebdomadam septem feriis constare» (Beda, De temporibus, I, ll. 10-14, ed. CH.W. JONES, in Bedae Venerabilis Opera didascalica, CCh CXXIII C, Turnholti 1980). Il computo si fonda, per la costru-zione del calendario, tra l’altro, sulla natura, poiché, secondo natura appunto, l’anno si divide comunemente in dodici mesi lunari. Il termine natura indica, qui, dunque, il tempo misurato dal corso della luna che, evidentemente, costituisce una guida per l’uomo, ossia si configura come astratto principio regolatore. Beda, tuttavia, attento ad evitare che, nelle pagine dei suoi trattati scientifico-didascalici, s’insinui un’interpretazione della natura come entità autonoma e in sé compiuta, indipen-dente dall’operatio divina, puntualizzerà, nel DTR (opera che tratta nella maniera più ampia i temi sinteticamente affrontati da Beda nel giovanile De temporibus), che «natura non iuxta ethnicorum dementiam dea creatrix una de pluribus sed ab uno vero Deo creata est, quando sideribus coelo inditis praecepit ut sint in signa et tempora et dies et annos» (DTR, II, ll. 28-29).

55 Corsivo mio. 56 Corsivo mio. 57 Beda, DNR, XXXVIII, ll. 5-6.

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acquisendo, per contaminazione58, la caratteristica intrinseca del-l’altro tipo d’acqua.

Particolarmente significativo è, poi, il capitolo IV del DNR59, che l’autore dedica alla descrizione dei quattro elementi: qui, il termine natura indica anzitutto le proprietà di calore/freddezza, aridità/ umidità e peso relativo di ciascun elemento, laddove il peso determi-na la posizione occupata, nell’universo, dagli elementi stessi che, pertanto, «sibimet sicut natura, sic etiam situ differunt»60; in virtù d’una affinità delle loro nature – delle loro caratteristiche primarie, dunque – gli elementi possono, inoltre, come s’è già visto61, mesco-larsi: «quadam naturae propinquitate sibimet ita commiscuntur, ut terra quidem arida et frigida frigidae aquae, aqua vero frigida et humida humido aeri, porro aer humidus et calidus calido igni, ignis quoque calidus et aridus terrae societur aridae»62. Nel mede-simo capitolo IV, tuttavia, il vocabolo natura viene significativa-mente adoperato dall’autore anche come sinonimo di ‘elemento’: «Terra [...], ut gravissima et quae ab alia natura sufferri non pos-sit, imum in creaturis obtinet locum»63. Ciò è del tutto coerente con l’impostazione della cosmologia bedana, saldamente fondata sulla dottrina dei quattro elementi, che si configurano come altret-tanti regni, verticalmente disposti tra cielo e terra, verso ciascuno dei quali ogni cosa d’affine natura non può fare a meno di tendere: gli elementi, in altre parole, sono, per Beda, naturae rerum, onde i vocaboli elementum e natura sono interscambiabili. Del tutto assen-te, nell’opuscolo bedano, è, invece, una nozione di natura astratta-mente intesa come categoria generale, indicante, come in Plinio, il complesso dell’universo, delle sue manifestazioni e dei suoi feno-

58 Dice Beda: «Utraque autem deprehenditur dum in alterutrum refundi – haec

per marinorum holerum cineres, illa per humum diffusa queant» (DNR, XXXVIII, ll. 6-8).

59 Tra l’altro, il capitolo del DNR in cui il vocabolo natura ricorre più spesso. 60 Beda, DNR, IV, l. 2 (corsivo mio) e vd. anche IV, ll. 3-8: «Terra enim, ut

gravissima et quae ab alia natura sufferri non possit, imum in creaturis obtinet locum. Aqua vero quanto levior terra tanto est aere gravior [...]. Ignis [...], materialiter accensus, continuo naturalem sui sedem super aera quaerit».

61 Vd. supra. 62 Beda, DNR, IV, ll. 9-13. 63 Beda, DNR, IV, ll. 3-4 (corsivo mio).

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meni o, come s’è detto, il principio creatore e ordinatore dell’uni-verso medesimo.

La coerenza di quest’assunto parrebbe essere inficiata da un’eccezione: in DNR, XLV, discutendo della posizione del globo terrestre nel cosmo e – significativamente – fondandosi su Nat. Hist., II, 65, 162, Beda sostiene che la terra, per la forza di resistenza eser-citata da tutti gli elementi non può che occupare il proprio posto, quello più in basso, e non può spostarsi né precipitare «natura cohi-bente et quo cadat negante»64. Apparentemente, qui, l’autore del DNR sembra riconoscere alla natura autonoma volontà e capacità d’influenza e, dunque, sembra adoperare il termine natura per indica-re, sulla scorta del passo pliniano, la legge o il principio che governa l’elemento terra. Non è, in realtà, così, giacché, come s’è detto, per Beda natura equivale a elementum e ad attributo primario degli ele-menti stessi: è, in altre parole, la terra stessa che non può abbandonare la propria posizione né cadere perché la sua natura, ossia la sua qualità intrinseca di pesantezza, si oppone ed impedisce che ciò avvenga. Come si vede, Beda interviene sulla fonte pliniana in maniera anche molto sot-tile e, per questo, tanto più pervasiva: si appropria delle considerazioni svolte dal suo auctor e le piega, di volta in volta, alle esigenze della sua trattazione cosmologica e della sua personale visione della natu-ra, pur così diversa da quella che emerge dall’opera di Plinio.

4. La Nat. Hist. fonte privilegiata del DNR

Quanto s’è detto sinora circa le modalità del riuso bedano del te-sto della Nat. Hist. – del suo II libro, per la precisione – e le differen-ze che intercorrono tra l’idea pliniana di natura e quella espressa dall’autore del DNR non deve indurre a sminuire l’importanza che, agli occhi di quest’ultimo, l’auctoritas di Plinio ebbe. La Nat. Hist. è, per ciò che riguarda la trattazione cosmologica, senz’altro la fonte privilegiata di Beda, il quale, in un caso, rimanda esplicitamente al testo pliniano. In DNR, XIV, infatti, dopo una lunga citazione da Nat. Hist., II, 13, 63-64 e 13, 68, egli invita il lettore desideroso di mag-giori particolari a proposito dei circoli dei pianeti a consultare

64 Beda, DNR, XLV, ll. 5-6.

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«Plinium Secundum ex quo et ista nos excerpsimus»65: occorre, a questo proposito, notare che, molto significativamente, nessun altro autore è citato espressamente nel DNR66.

Beda ricorre, del resto, largamente alla fonte pliniana anche nel DTR. Particolarmente interessante, qui, il capitolo XXVII, dove, a proposito delle dimensioni e delle eclissi del sole e della luna, il mo-naco anglosassone rimanda anzitutto alla Nat. Hist.: «De magnitudi-ne vel defectu solis sive lunae, Plinius Secundus in opere pulcherri-mo Naturalis Historiae ita describit»67; segue una lunga citazione da Nat. Hist., II, 7, 47 e 10, 56-57 e, subito dopo, Beda aggiunge: «Sed ne gentilis tantum viri dictis videamur consummare capitulum, etiam Ecclesiae doctores quid de hoc senserint quaeramus. Beatus Hierony-mus interpretans Evangelii sententiam, qua dictum est in Domini passione tenebras factas super terram [...]68». Beda, dunque, si ri-chiama ad una fonte patristica – Gerolamo – non perché la fonte pli-niana non sia per lui sufficientemente autorevole e necessiti, pertan-to, di ulteriori riscontri, ma, per sua esplicita ammissione, perché non lo si accusi d’aver dato spazio esclusivamente ad un autore pagano. Ciò significa che, per Beda, non solo la Nat. Hist. ha il medesimo va-lore della fonte cristiana e patristica, ma può anche sostituire quest’ultima. Altrettanto significativo, in questo senso, anche DTR, XXXI, dove Beda, a proposito della diversa durata del giorno e della diversa lunghezza delle ombre nelle varie regioni della terra, rimanda il lettore ai «libri vel christianorum vel gentilium industria editi»69 e, poco dopo, offre indicazioni più precise: «Beatus Ambrosius, in libro quarto Hexaemeron, de temporibus et discursu solis disputans ait [...]. Cui paria scribit Basilius et ipse in expositione Genesis. Sed et Plinius, secularibus literis sed non contemnendis, haec ipsa latius exse-

65 Beda, DNR, XIV, ll. 20-21. 66 Una sola eccezione in DNR, XXVI, ll. 3-5: «[Fluctus aeris], ut Clemens ait,

ex quibusdam montibus excelsis, velut compressus et coangustatus, ordinatione Dei cogitur et exprimitur in ventos». Si tratta, però, in questo caso, di citazione lettera-le da Isidoro, DNR, XXXVI, 2. Beda evita, in genere, nel DNR, di citare autori citati dalle sue fonti ed è, forse, significativo che qui conservi il riferimento a Clemente di Alessandria: di fronte all’incertezza manifestata dalla sua fonte prediletta, la Nat. Hist., a proposito del meccanismo di formazione dei venti, Beda ricorre alla fonte isidoriana ma, non nutrendo per questa grande considerazione, con l’avallo di un altro auctor.

67 Beda, DTR, XXVII, ll. 2-3. 68 Beda, DTR, XXVII, ll. 27-31. 69 Beda, DTR, XXXI, l. 6.

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quens ita scribit [...]»70. Beda, dunque, espressamente sostiene che, benché si tratti di opera pagana, il valore della Nat. Hist. – fonte che egli significativamente colloca, qui, accanto all’Hexaemeron di Am-brogio e all’Expositio Genesis di Basilio – non è affatto disprezzabi-le. L’assenza, in Beda, di forti riserve nei confronti della letteratura pagana si evidenzia, ad esempio, in DNR, XVII, dove, a proposito dei segni zodiacali, senza mostrare eccessivo imbarazzo, egli afferma che «signa duodecim vel a causis annalibus vel a gentilium fabulis nomina sumpserunt» e fa poi cenno ad alcuni dei miti all’origine del-la denominazione dei segni stessi71. Molto diversa era stata, invece, la disposizione d’Isidoro nei confronti del patrimonio mitologico an-tico; in Etym., III, 71, 32, ad esempio, proprio in riferimento ai nomi dei segni zodiacali, si legge: «Et miranda dementia gentilium, qui non solum pisces, sed etiam arietes et hircos et tauros, ursas et canes et cancros et scorpiones in caelum transtulerunt».

Nel DNR ampio credito, dunque, è concesso da Beda a Plinio; se la struttura dell’opuscolo bedano è modellata su quella dell’omonimo trattato di Isidoro di Siviglia, i contenuti sono inequivocabilmente mutuati dalla Nat. Hist. e, anzi, laddove Isidoro e Plinio divergono, Beda non mostra incertezze di sorta: la fonte cui egli si volge con mag-giore fiducia è, senza dubbio, la Nat. Hist.72. In DNR XIX, ad esempio,

70 Beda, DTR, XXXI, ll. 8-10 e ll. 23-25. 71 Vd., a questo proposito, A. RONCORONI, Plinio tardoantico, in Plinio il

Vecchio sotto il profilo storico e letterario cit., pp. 151-168: pp. 156-157, che sot-tolinea che la Nat. Hist. fu una delle poche opere a presentarsi, agli occhi dei cri-stiani, estranea ad ogni commistione col paganesimo. Agostino definì Plinio doctissimus homo (vd. DCD, XV, 9) e Gerolamo qualificò come opus pulcherrimum la Nat. Hist. (vd. In Es., XV, 54, 11-14), giudizio, quest’ultimo, ripetuto da Beda in DTR, XXVII, ll. 2-3. Per il rapporto di Beda con la letteratura pagana e con quella cri-stiana, vd. HUNTER BLAIR, The world of Bede cit., 282-297; ancora, T.J. BROWN, An historical introduction to the use of classical Latin authors in the British Isles from the fifth to the eleventh century, in La cultura antica nell’Occidente latino dal VII all’XI secolo cit., vol. I, pp. 236-293 (soprattutto pp. 255-277). Utile, per un quadro generale, anche J.D.A. OGILVY, The Place of Wearmouth and Jarrow in Western Cultural History. Jarrow Lecture (1968), in Bede and his World cit., vol. I (1958-1978), pp. 235-246. Per una dettagliata ri-cognizione delle opere cui Beda doveva avere accesso, tanto pagane quanto cri-stiane, vd. M.L.W. LAISTNER, The library of the Venerable Bede, in Bede. His life, times, and writings cit., pp. 237-266; utile anche ID., Bede as a Classical and a Patristic Scholar, «Transactions of the Royal Historical Society» 16, 1933, pp. 69-93.

72 L’interpretazione tradizionale del rapporto Beda/Isidoro, secondo cui il monaco northumbro non solo doveva nutrire scarsa considerazione per il vescovo di Siviglia,

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il monaco anglosassone si occupa del corso e delle dimensioni del sole e, sulla scorta di Nat. Hist., II, 8, 49-50, afferma che esso «multo […] luna ampliorem, lunam vero terra esse maiorem»73, desumendo da Plinio il grossolano errore relativo alle maggiori dimensioni della luna rispetto alla terra74, laddove Isidoro, sulla scorta di Cassiodoro75, aveva sostenuto, correttamente, che «sicut autem sol fortior est terrae, ita terra fortior [est] lunae per aliquam quantitatem»76. In DNR, XXII, inoltre, Beda mette a frutto anche l’argomentazione addotta da Plinio a sostegno della tesi della maggior ampiezza della luna ed afferma, con una puntuale citazione da Nat. Hist., II, 8, 49, che, se la terra fosse più grande della luna, il sole non potrebbe essere completamente celato alla terra dall’interporsi della luna stessa. Piena fiducia, come si ve-de, è accordata a Plinio: Beda non può, naturalmente, corroborare le proprie asserzioni relative alle eclissi degli astri col conforto dell’esperienza, dei dati concreti e verificabili77, e mutua, pertanto,

ma doveva temere anche gli errori in cui questi era incorso, che, qualora non fossero stati emendati, avrebbero potuto contaminare le menti dei suoi studenti, è stata riconsi-derata da W.D. MCCREADY, Bede and the Isidorian Legacy, «Mediaeval Studies» 57, 1995, pp. 41-73, che ha evidenziato come Beda trovi, in effetti, solo di rado, nell’opera di Isidoro, errori ‘sostanziali’ da correggere e come anche ove sintetizza le spiegazioni offerte da Isidoro, recuperandole, magari, solo parzialmente, il mo-naco anglosassone riproduca il linguaggio isidoriano (ad esempio nel capitolo dedicato alle maree, il XXXIX). Non del tutto convincente appare, tuttavia, tale interpretazione: non sembra, infatti, si possa negare che, nella gerarchia delle fonti che Beda mette a frutto nel suo DNR, il credito di cui Isidoro gode sia di gran lunga inferiore a quello concesso a Plinio e che il ricorso alla fonte isidoriana rappresenti per Beda, per così di-re, l’extrema ratio; il trattato cosmologico del vescovo di Siviglia interviene laddove la fonte pliniana offre, di certi fenomeni, spiegazioni oltremodo complesse, difficilmente sintetizzabili e, dunque, poco consone alle esigenze, di primaria importanza per Beda, di chiarezza espositiva e concisione, o, ancora, laddove Plinio non propone interpreta-zioni univoche dei fenomeni naturali e pare considerare poco valide le alternative ch’egli stesso suggerisce. Si veda anche, a questo proposito, W.D. MCCREADY, Bede, Isidore, and the Epistola Cuthberti, «Traditio» 50, 1995, pp. 75-94.

73 Beda, DNR, XIX, ll. 2-3. 74 Beda ripete l’idea pliniana a proposito delle maggiori dimensioni della luna

rispetto alla terra anche in DNR, XXII, ll. 4-6 e in DTR, XXVII, ll. 13-15. 75 Cassiodoro, Inst., II, 7, 2: «sol fortior est terrae, terra fortior lunae, per ali-

quam quantitatem» (ed. di riferimento: Cassiodori senatoris Institutiones, ed. by R.A.B. MYNORS, Oxford 1937).

76 Isidoro, Etymologiae, III, 48. 77 Cui, pure, Beda si dimostra attento quando se ne presenta la possibilità; vd.,

ad esempio, DNR, IV, ll. 4-6: «Aqua [...] est aere gravior, qui, si forte aquis in vase aliquo subdatur, statim ad superiora ut levior evadit».

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dalla Nat. Hist., e le spiegazioni offerte da Plinio a proposito delle cause recondite dei fenomeni descritti e le prove che questi reca per avvalorare i propri assunti78.

Beda mostra costantemente di prediligere la fonte pliniana: in DNR, XLV, ad esempio, discorrendo della posizione della terra nel cosmo, egli mette a frutto Nat. Hist., II, 65, 162 e non il capitolo che Isidoro aveva dedicato, nel suo DNR, al medesimo argomento79, in cui ampio spazio era riservato ad una citazione dall’Hexaemeron di Am-brogio80 – che, a sua volta, rimandava a Giobbe81 – nonché ad una cita-zione dai Salmi82. Il vescovo di Siviglia, in riferimento alla posizione della terra, aveva prospettato due possibilità, entrambe suffragate dalla Scrittura, ed aveva affermato che o la terra è sostenuta dalla densità dell’aria o è sospesa sulle acque, concludendo, poi, che ai mortali non è dato sapere – né è lecito investigare – in qual modo l’inconsistente aria possa sostenere il peso della terra o come la terra stessa possa non sprofondare nelle acque. All’incertezza di Isidoro Beda preferi-sce la coerenza del discorso condotto da Plinio, che s’era rifatto alla dottrina degli elementi per spiegare la ragione per cui la terra non può che restare nella propria sede, stabilmente fondata su se stessa.

Nel DNR del monaco anglosassone, la fonte pliniana interviene spesso, del resto, ad integrare, non solo a correggere, le considera-zioni tratte dal DNR di Isidoro: nel capitolo XLIX del suo opuscolo, ad esempio, Beda mette a frutto, sintetizzandola, la spiegazione isi-doriana relativa all’origine dei terremoti, che sarebbero causati dal vento che, racchiuso nelle viscere della terra, l’attraverserebbe, la scuoterebbe, la costringerebbe a tremare e, infine, a spaccarsi per

78 Non sono d’accordo con quanto sostiene, a proposito dell’errore relativo al-

le dimensioni della luna e della terra in cui Beda incorre seguendo Plinio, SILVE-STRE, Beda il Venerabile cit., 76: «[...] ciò che conta è che Beda opti per la solu-zione errata sulla scorta di un’osservazione di carattere sperimentale. Se la terra fosse stata più grande della luna, coloro i quali abitano la terra nelle zone estreme dovrebbero continuare a vedere almeno parzialmente il sole durante le eclissi. Il che non avviene». L’elemento importante è, al contrario, il fatto che Beda non suf-fraghi le proprie asserzioni col ricorso all’esperienza concreta, ma esclusivamente con il recupero di considerazioni svolte da Plinio.

79 Isidoro, DNR, XLV. 80 Ambrogio, Hex., I, 6, 22. 81 Iob., XXVI, 7. 82 Ps., CXXXV, 6.

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consentirne la fuoriuscita83. Del capitolo isidoriano Beda non recupe-ra, invece, il riferimento dottrinale al terremoto che, nel giorno del Giudizio, sarà provocato dal soffio che verrà fuori dalla bocca di Dio e sconvolgerà gli uomini, ma preferisce completare il capitolo con una citazione da Plinio84, il quale, se non aveva proposto una spiega-zione diversa da quella poi adottata da Isidoro a proposito della causa della formazione dei terremoti, aveva, tuttavia, indicato alcuni segni premonitori dei terremoti stessi e, inoltre, aveva evidenziato l’analogia esistente tra il sussultare della terra e quello del tuono in una nube, non-ché tra le fenditure del suolo provocate dai terremoti e l’erompere dei fulmini. Beda – lo si è detto – è sensibile alla spiegazione dei fenomeni naturali in termini di mescolanza e contaminazione di elementi e, più in generale, mostra curiosità per le rispondenze nascoste tra le diverse parti del mondo fisico: del tutto coerente con l’impostazione del-l’opuscolo bedano, pertanto, appare l’accostamento, alla spiegazione ricavata da Isidoro, delle considerazioni tratte da Plinio.

Altrettanto significativa è, in questo senso, la contaminazione della fonte isidoriana (DNR, XXVI, 13) con Nat. Hist., II, 23, 91, in DNR, XXIV, ll. 2-4: Beda, in un capitolo che funge da snodo tra la de-scrizione del regno del fuoco e quella del regno dell’aria, si occupa di un fenomeno che si colloca, appunto, a metà tra i due regni, quello delle stelle comete che, da un canto, si caratterizzano per le loro criniere infuo-cate, dall’altro vengono considerate alla stregua di fenomeni atmosferici. Sulla scorta di Isidoro, il monaco anglosassone afferma che le comete preannunciano «regni mutationem aut pestilentiam aut bella»85 ma ag-giunge, poi, rifacendosi a quanto Plinio aveva detto in proposito, che es-se preannunciano anche «ventos aestusve»86. La superstiziosa prospetti-va d’Isidoro87, dunque, è da Beda integrata col correttivo pliniano, ossia con un’interpretazione naturalistica, meno compromessa con l’idea di una diretta influenza esercitata dagli astri sulle vicende umane88.

83 Isidoro, DNR, XLVI, 1. 84 Plinio, Nat. Hist., II, 81, 192. 85 Beda, DNR, XXIV, l. 3. Vd. Isidoro, DNR, XXVI, 13. 86 Beda, DNR, XXIV, ll. 3-4. Vd. Plinio, Nat. Hist., II, 23, 91. 87 È questa l’unica occasione in cui, nel DNR, Beda – che tende, in genere, a mi-

nimizzare l’idea che gli eventi naturali debbano necessariamente essere interpretati co-me segni premonitori, dunque a rifiutare la dottrina astrologica – cede alla superstizione.

88 Naturalmente, ciò non esclude che lo stesso Plinio fosse spesso influenzato da superstiziose credenze: prova ne è il fatto che, ad esempio, dopo aver affermato

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L’universo dipinto da Beda non è dunque – come s’è cercato di evidenziare – un universo capriccioso: si presenta, anzi, come ordina-to sistema di cause ed effetti accertabili; un universo che si compone di quattro elementi e in cui tutti i fenomeni si configurano come pro-cessi combinatori – di mescolanza, contaminazione e interazione – degli elementi medesimi. Lo sforzo compiuto da Beda fu, come dice Arno Borst, quello di penetrare l’organizzazione del Cosmo e, con essa, la sapienza del Creatore89, nonché quello di restituire la rag-giunta intelligenza della natura rerum in termini che potessero risul-tare comprensibili ai monaci della cui istruzione egli s’occupava, sin-tetizzando per essi le acquisizioni della scienza antica, anzitutto di quella pliniana. Nei confronti della quale Beda rifiutò d’assumere un atteggiamento servilmente acritico, che si limitasse a recepire passi-vamente la straordinaria messe di dati e notizie che l’autore della Nat. Hist. aveva offerto. Egli, al contrario, seleziona con cura le in-formazioni idonee al carattere della sua trattazione e le manipola con disinvoltura, cosicché nel suo DNR s’indovinano appena la comples-sità e la ricchezza originarie della cosmologia pliniana. E, tuttavia, quella di cui Beda dà prova è, almeno all’altezza dell’opuscolo del 703, una ‘scienza’ in larga parte costituita da proposizioni tratte dalla Nat. Hist.: rimaneggiate, come s’è detto, variamente modificate, tal-volta sottilmente distorte, ma recanti l’indubitabile impronta pliniana. Laddove il DNR rivela il suo rigore ‘scientifico’, si scopre, al tempo stesso, debitore della lezione che Plinio aveva affidato alla sua Nat. Hist., che Beda recepisce e consegna ai secoli a venire. Se si pensa alla temibile concorrenza rappresentata, per la sopravvivenza della Nat. Hist. in età tardoantica e medievale, ad un’opera caratterizzata da semplicistica e inevitabilmente banalizzante ricezione dell’ele-mento meraviglioso, invero largamente presente in Plinio, come i Collectanea rerum memorabilium di Solino o, ancora, ai Lapidari e ai Bestiari che sarebbero fioriti nei secoli del Medioevo, non si può che riconoscere l’importanza del ruolo svolto dal Venerabile Beda, la cui opera scientifica rappresenta certo, come si è cercato di dimostra-re, un decisivo snodo della storia della tradizione pliniana. che le comete preannunciano venti e caldo torrido, egli associ la comparsa di co-mete ai rivolgimenti del tempo delle guerre civili e all’avvelenamento di Nerone (vd. Plinio, Nat. Hist., II, 23, 92).

89 Vd. A. BORST, Das Buch der Naturgeschichte. Plinius und seine Leser im Zeitalter des Pergaments, Heidelberg 1994, pp. 98-120.