Appunti F. Nietzsche – prof. Leandro Petrucci 1 La nascita della tragedia La produzione filosofica di Nietzsche si sviluppa in tre periodi diversi mantenendo un’unità essenziale di fondo Facendo attenzione a non perdere il senso unitario dell’opera di Nietzsche, la possiamo suddividere in tre grandi fasi o periodi: 1. le opere del periodo giovanile (1872-1876), che comprendono La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo (1872), le quattro Considerazioni inattuali, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci (1873) e Su verità e menzogna in senso extramorale; 2. le opere della prima maturità o del periodo “illuminista” (1878-1882), che comprendono Umano, troppo umano (1878), Aurora (1881), La gaia scienza (1882), Gli idilli di Messina e alcuni frammenti minori; 3. le opere più oscure e controverse della seconda maturità (1883-1889), che comprendono Così parlò Zarathustra, Al di là del bene e del male (1885), La genealogia della morale (1886), Ecce homo (1888), L’anticristo (1888) e i numerosi aforismi che dovevano comporre La volontà di potenza. La decadenza dell’epoca moderna rispecchia l’ingannevole ricerca dell’ordine iniziata dai greci contro il caos, rappresentato da Dioniso Nella prima e più importante sua opera giovanile - La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo - Nietzsche affronta il tema dell’origine della nostra civiltà. Secondo Nietzsche l’epoca moderna è un’epoca di decadenza: il motivo però della decadenza non deriva come tradizionalmente si pensa dal confronto con un presunto modello, per esempio l’età classica, in quanto la decadenza è già insita nell’età classica. È falsa pertanto l’immagine dell’età classica come di un mondo razionale dominato dalla serenità, dall’armonia e dalla compostezza di cui Apollo è il simbolo. Se fosse infatti vera questa immagine, come spiegare la celebre risposta data da Sileno al re Mida? Scrive Nietzsche: L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa con queste parole: Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire al più presto. Dunque già nel mondo classico vi era la percezione che la razionalità dell’apollineo nascondesse un’altra dimensione, quella irrazionale del caos che si manifesta nell’eccesso, nel delirio, nell’ebbrezza, nello spirito orgiastico, il cui simbolo era Dioniso: un dio, secondo la mitologia, giunto in Grecia dall’Oriente dopo che il sole era tramontato. Mentre Apollo era dunque il dio del giorno, Dioniso era quello della notte: una contrapposizione che dava vita ad altre coppie di opposti, come finito-infinito, stabilità-divenire, forma-caos e sogno-ebbrezza. E mentre nell’età classica la luce del giorno mostrava un mondo apollineo, il buio della notte con le feste dionisiache nascondeva un mondo caratterizzato da «un’esaltata sfrenatezza sessuale, le cui onde spazzavano via ogni senso della famiglia e i suoi venerandi canoni». Quelli dionisiaci erano infatti riti orgiastici durante i quali un uomo, in un primo tempo, e poi successivamente un capro, venivano sgozzati e divorati. Ma per quale motivo lo spirito greco ebbe bisogno di trasfigurare la potenza della vitalità dionisiaca nelle forme razionali dell’apollineo? Perché i Greci, secondo Nietzsche, avevano bisogno
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La nascita della tragedia...La nascita della tragedia non è solo il racconto di un momento del nostro passato ma è anche uno sguardo gettato sul futuro. Nietzsche preconizza infatti
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Appunti F. Nietzsche – prof. Leandro Petrucci
1
La nascita della tragedia
La produzione filosofica di Nietzsche si sviluppa in tre periodi diversi mantenendo un’unità
essenziale di fondo
Facendo attenzione a non perdere il senso unitario dell’opera di Nietzsche, la possiamo suddividere
in tre grandi fasi o periodi:
1. le opere del periodo giovanile (1872-1876), che comprendono La nascita della tragedia dallo
spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo (1872), le quattro Considerazioni inattuali, La
filosofia nell’epoca tragica dei Greci (1873) e Su verità e menzogna in senso extramorale;
2. le opere della prima maturità o del periodo “illuminista” (1878-1882), che comprendono Umano,
troppo umano (1878), Aurora (1881), La gaia scienza (1882), Gli idilli di Messina e alcuni
frammenti minori;
3. le opere più oscure e controverse della seconda maturità (1883-1889), che comprendono Così
parlò Zarathustra, Al di là del bene e del male (1885), La genealogia della morale (1886), Ecce
homo (1888), L’anticristo (1888) e i numerosi aforismi che dovevano comporre La volontà
di potenza.
La decadenza dell’epoca moderna rispecchia l’ingannevole ricerca dell’ordine iniziata dai
greci contro il caos, rappresentato da Dioniso
Nella prima e più importante sua opera giovanile - La nascita della tragedia dallo spirito della
musica. Ovvero: grecità e pessimismo - Nietzsche affronta il tema dell’origine della nostra civiltà.
Secondo Nietzsche l’epoca moderna è un’epoca di decadenza: il motivo però della decadenza non
deriva come tradizionalmente si pensa dal confronto con un presunto modello, per esempio l’età
classica, in quanto la decadenza è già insita nell’età classica. È falsa pertanto l’immagine dell’età
classica come di un mondo razionale dominato dalla serenità, dall’armonia e dalla compostezza di
cui Apollo è il simbolo. Se fosse infatti vera questa immagine, come spiegare la celebre risposta
data da Sileno al re Mida? Scrive Nietzsche:
L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di
Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la
cosa migliore e più desiderabile per l’uomo.
Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa con
queste parole:
Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te
è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato,
non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire al più presto.
Dunque già nel mondo classico vi era la percezione che la razionalità dell’apollineo nascondesse
un’altra dimensione, quella irrazionale del caos che si manifesta nell’eccesso, nel delirio,
nell’ebbrezza, nello spirito orgiastico, il cui simbolo era Dioniso: un dio, secondo la mitologia,
giunto in Grecia dall’Oriente dopo che il sole era tramontato. Mentre Apollo era dunque il dio del
giorno, Dioniso era quello della notte: una contrapposizione che dava vita ad altre coppie di opposti,
come finito-infinito, stabilità-divenire, forma-caos e sogno-ebbrezza. E mentre nell’età classica la
luce del giorno mostrava un mondo apollineo, il buio della notte con le feste dionisiache
nascondeva un mondo caratterizzato da «un’esaltata sfrenatezza sessuale, le cui onde spazzavano
via ogni senso della famiglia e i suoi venerandi canoni». Quelli dionisiaci erano infatti riti orgiastici
durante i quali un uomo, in un primo tempo, e poi successivamente un capro, venivano sgozzati e
divorati. Ma per quale motivo lo spirito greco ebbe bisogno di trasfigurare la potenza della vitalità
dionisiaca nelle forme razionali dell’apollineo? Perché i Greci, secondo Nietzsche, avevano bisogno
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di respingere la paura e la sofferenza procurata dall’irrazionalità della vita. La stessa invenzione
degli dei andava in questa direzione:
Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli
dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei dell’Olimpo. (La nascita
della tragedia)
Detto altrimenti, i greci avevano scoperto che la verità era spaventosa: per questo la vollero
abbellire ricorrendo all’armonia tranquillizzante, certo, ma anche statica e bugiarda propria
dell’apollineo che ammiriamo nella scultura, nell’architettura e nella poesia epica. Per illustrare
questo concetto Nietzsche ricorre al mito di Edipo che, venuto a conoscenza di aver ucciso il padre
e sposato la madre, si cava gli occhi: non vuole cioè più vedere perché la verità è fonte di
insopportabile sofferenza. Chi dunque - osserva Nietzsche - vuole intraprendere il percorso che
conduce alla verità si deve innanzitutto chiedere: quanta verità sono in grado di sopportare?
Il carattere peculiare e il valore della tragedia greca stanno nella fusione dell’elemento
apollineo con quello dionisiaco
Mentre dunque la scultura, l’architettura e la poesia epica sono manifestazioni dell’apollineo poiché
abbelliscono la natura spaventosa della realtà, il dionisiaco trova la sua espressione più compiuta
nella musica. Soltanto nella musica infatti l’artista riesce a comunicare tutto «il suo dolore e la sua
contraddizione». «Cattiva musica» è invece quella dell’opera lirica in quanto associando le parole
alla musica - osserva Nietzsche - «il compositore spezza in se medesimo ogni forza dionisiaca che
in lui prende corpo». Sebbene il contrasto tra apollineo e dionisiaco sia insanabile, con la nascita
della tragedia greca i due aspetti comparvero accoppiati: ne sono un esempio le opere di Eschilo e
Sofocle. Il rito dionisiaco sfociò infatti nella tragedia e diede vita al coro che narra le peripezie
dell’eroe, dando voce all’indistinto e al magmatico. Al coro si contrapposero gli attori che
rappresentavano l’apollineo, cioè la reazione razionale all’indistinto e al magmatico. Questa
mescolanza di apollineo e dionisiaco produceva nello spettatore un effetto di eccitazione, tanto che
Nietzsche paragona la tragedia greca a «un vino nobile, riscaldante e insieme conciliante la
meditazione». Si tratta di un risultato straordinario in quanto la tragedia greca fonde insieme la
sensibilità apollinea e quella dionisiaca:
• l’artista apollineo usa infatti un linguaggio comprensibile, ma la sua comunicazione è
superficiale;
• l’artista dionisiaco invece è un artista ebbro, incapace di comunicare attraverso un linguaggio
comprensibile perché travolto dal dolore e dalla disperazione.
La vera arte consiste dunque nel tradurre in un linguaggio comprensibile, come l’artista apollineo sa
fare, quelle strazianti urla di dolore e di disperazione che l’artista dionisiaco sente dentro di sé ma
che non sa esprimere. Se ciò non accade l’arte è solo finzione, un inutile ornamento, un passatempo
domenicale. Tuttavia la mescolanza tra apollineo e dionisiaco che diede origine alla tragedia greca
non durò a lungo: già con Euripide, infatti, sotto l’influenza della visione razionale di Socrate,
l’apollineo ebbe il sopravvento. Da allora gli attori occuparono sempre di più la scena fino a far
scomparire il coro. La tragedia lasciò così il posto alla commedia, facendo venire meno la
rappresentazione della profondità istintuale della vita.
Allorché con Socrate inizia l’esaltazione dell’anima e della razionalità in contrapposizione alla
vita ha inizio la decadenza del mondo occidentale
Con Socrate ha dunque inizio la decadenza della civiltà. Socrate separa infatti la coscienza
individuale dal corpo; poi, riprendendo un termine già presente nella tradizione greca, ma non con
lo stesso significato, chiama la coscienza individuale psyché, anima. Nasce così il tipo umano al
quale apparteniamo: l’uomo psicologico, l’uomo cioè lacerato dalla distinzione pensiero-vita.
Inoltre, che cos’era la maieutica di Socrate se non un inganno? Dopo avere infatti lodato il suo
interlocutore per l’argomento di cui si dichiarava esperto, Socrate gli chiedeva di definire
razionalmente il suo sapere. Poi con ironia ne mostrava tutti i limiti fino a che l’interlocutore
provava vergogna per essersi dichiarato esperto dell’argomento. Il procedimento sembrava
innocente, mentre in realtà era il modo con cui Socrate faceva passare il suo messaggio: è bene solo
ciò che è razionale. E l’ironia altro non era che la prova che Socrate fosse ben cosciente
dell’inganno che il suo procedimento nascondeva: il bene infatti non esiste, è solo un concetto della
mente. In breve, secondo Nietzsche, Socrate era un uomo che non amava la vita: per questo «volle
morire » combattendo e distruggendo il fascino del dionisiaco. Platone poi porterà a maturazione il
pensiero di Socrate con la formulazione della teoria delle idee-valori, come la bellezza e la giustizia,
di cui il bene è il fondamento. Da allora la metafisica violenta l’umanità. Con Socrate si afferma
dunque la concezione tutta occidentale che l’uomo debba comprendere la vita per mezzo di concetti
e non vivendola seguendo i propri istinti. (TESTO Apollineo e dionisiaco). La conseguenza è
devastante: da Socrate in poi l’uomo è uno straniero sulla terra.
L’ORIGINE IRRAZIONALE DELLA VERITÀ
Per la mentalità greca delle origini la verità era irrazionale, come dimostra lo spirito dionisiaco
evocato da Nietzsche ma anche l’oracolo di Delfi e i misteri eleusini. A Delfi una sacerdotessa, la
Pizia, entrando in trance balbettava frasi sconnesse, incomprensibili e ambigue che i sacerdoti del
tempio interpretavano trascrivendole in versi, poiché la poesia era ritenuta il linguaggio degli dei. A
Eleusi invece si svolgevano riti in cui, probabilmente per l’assunzione di sostanze allucinogene, i
partecipanti avevano una potente visione che non consisteva, secondo Aristotele, «nell’apprendere
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qualche cosa, ma nel provare delle emozioni». Che la verità fosse associata a stati alterati della
coscienza era dunque normale per i greci. Per questo la tesi della verità razionale sostenuta da
Socrate fu per l’epoca, come sostiene Nietzsche, una vera rivoluzione culturale le cui conseguenze
giungono fino ai giorni nostri.
Nietzsche prevede il ritorno di Dioniso e ne riconosce le tracce nella visione pessimistica di
Schopenhauer, di cui rifiuta però l’insistenza sull’ascetismo La nascita della tragedia non è solo il racconto di un momento del nostro passato ma è anche uno
sguardo gettato sul futuro. Nietzsche preconizza infatti il ritorno del mondo di Dioniso con il
superamento della decadente pretesa della cultura occidentale di risolvere tutti gli enigmi
dell’universo con la scienza. Quando ciò accadrà verranno spazzate via anche le assurde idee di
democrazia e socialismo con cui l’Occidente crede di poter sanare le laceranti contraddizioni del
vivere umano. Ne sono segni premonitori la filosofia di Schopenhauer e Wagner, mentre Feuerbach
e Comte (la cui filosofia null’altro è se non «un vangelo da birreria») sono gli ultimi esponenti della
cultura socratica. Ciò che dunque accomuna Schopenhauer e Nietzsche è il ritenere che la vita sia
dominata dalla volontà, una cieca forza irrazionale da cui scaturiscono il dolore e la disperazione.
Diversa è però la soluzione che prospettano:
• Schopenhauer invita all’ascetismo, cioè alla rinuncia, come suggeriscono Buddha e la morale
cristiana;
• Nietzsche propone invece di accettare la vita così com’è, diventando discepoli di Dioniso, il dio
dell’ebbrezza, della gioia e di tutte le passioni.
Detto altrimenti, mentre per Schopenhauer occorre liberarsi dalla volontà, per Nietzsche occorre
liberare la volontà. L’apollineo e il dionisiaco non stanno infatti sullo stesso piano: il dionisiaco è
l’elemento originario, autentico, mentre l’apollineo è solo un freno al dionisiaco. Ma come giungere
a questa verità? Per mezzo dell’arte, risponde Nietzsche, perché l’arte ha la capacità di intuire la
vita per quella che è, eterna lotta tra la gioia e il dolore, tra la vita e la morte. E tra le arti, come già
per Schopenhauer, riveste un ruolo particolare la musica. Ne è un esempio Wagner in cui - secondo
Nietzsche - palpita lo spirito musicale della tragedia greca (entrando così in contraddizione con
l’accusa lanciata nei confronti dell’opera lirica di spezzare con le parole la forza dionisiaca della
musica; contraddizione che porterà Nietzsche in età matura a ripudiare Wagner e a giudicare
decadente la sua musica). Dopo aver assistito nel 1868 a un concerto di musica wagneriana (il
preludio del Tristano e l’ouverture dei Maestri Cantori), Nietzsche scrive: «Mi risulta del tutto
impossibile rimanere freddamente critico di fronte a quella musica che fa vibrare ogni fibra, ogni
nervo del mio essere». Tale era l’ammirazione del giovane Nietzsche per Wagner da dedicargli La
nascita della tragedia.
FILOSOFI a CONFRONTO
Quanto c’è di Schopenhauer nel giovane Nietzsche? La lettura dell’opera Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer suscitò in
Nietzsche una grande impressione, tanto da scrivere:
Lasciai che quel genio energico e tenebroso cominciasse ad agire su di me. A ogni pagina:
rinuncia, rifiuto, rassegnazione levavano alta la voce; avevo davanti a me uno specchio nel quale
vidi […] il mondo, la vita e il mio stesso animo. Qui, simile al sole, mi fissava il grande occhio
dell’arte, staccato da tutto, qui io vedevo [...] inferno e paradiso. (Sguardo retrospettivo sui miei due
anni a Lipsia)
Tracce di questa grande impressione sono presenti in tutta l’opera La nascita della tragedia, quasi
che Nietzsche volesse, per così dire, rendere omaggio a Schopenhauer descrivendo la civiltà greca
ricorrendo a toni, temi e termini che ricordano Il mondo come volontà e rappresentazione.
SCHOPENHAUER NIETZSCHE
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Arte
L’arte è una consolazione provvisoria dalla
vita, un «breve incantesimo» che riflette il
gioco tragico della vita.
L’arte ha la capacità di intuire la vita per
quella che è, eterna lotta tra la gioia e il
dolore, tra la vita e la morte.
Tragedia
La tragedia è l’espressione più alta della
poesia, poiché in essa «viene in luce la
spaventosa lotta della volontà con se stessa» e
viene dipinto «il quadro delle sofferenze
umane».
La tragedia greca fonde insieme la
sensibilità apollinea e quella dionisiaca,
comunica cioè attraverso il linguaggio
comprensibile dell’apollineo la natura
spaventosa della realtà.
Musica
La musica consiste nell’intuire la volontà
stessa, il cuore irrazionale delle cose. Con la
musica la possibilità dell’intuizione
dell’autentica realtà giunge così al culmine.
La vitalità irrazionale del dionisiaco trova
la sua espressione più compiuta nella
musica. Di conseguenza, «senza la
musica la vita sarebbe un errore».
Volontà La volontà è un «cieco e irresistibile impeto»
di vivere che domina tutta la realtà.
La volontà di potenza è una terrestre
energia vitale che consiste nel volere ciò
che si è.
Soluzione Occorre liberarsi dalla volontà. Occorre liberare la volontà.
La filosofia della storia
La storia per Nietzsche può trasformarsi in malattia se idolatra i fatti, ma può essere utile se si
fa critica e spinge all’azione
La seconda opera del periodo giovanile di cui ci occupiamo fa parte delle Considerazioni inattuali
del 1874. Ricordiamo che le Considerazioni inattuali dovevano essere dodici, ma Nietzsche ne
scrisse e pubblicò solo quattro, di cui la seconda - intitolata Sull’utilità e il danno della storia per la
vita - è la più importante e originale. Il titolo complessivo degli scritti deriva dal fatto che Nietzsche
cercava di porsi in modo critico rispetto alle mode, alle tendenze e ai miti del suo tempo. Sull’utilità
e il danno della storia per la vita è l’unica opera in cui Nietzsche si occupa espressamente di
filosofia della storia. In essa Nietzsche si scaglia contro la cultura storicistica che costituisce per
l’uomo una vera e propria malattia in quanto ne indebolisce le potenzialità creatrici. Occorre
pertanto combattere le illusioni storicistiche e l’idolatria del fatto, cioè quel perverso meccanismo
che porta a considerare i fatti come verità oggettive, mentre i fatti, avendo sempre bisogno
dell’interprete, sono “stupidi”. In breve, secondo Nietzsche «non esistono i fatti ma solo le
interpretazioni dei fatti». Ciò non significa che la storia sia di per sé nociva per l’uomo: la storia per
essere utile all’uomo deve però essere al servizio della vita. Ma come? Per spiegarlo Nietzsche
distingue tre tipi di storia: la storia monumentale, quella antiquaria e quella critica.
1. La storia monumentale - Questo primo tipo di storia deriva dal guardare al passato per
rintracciarvi i modelli e i maestri in grado di soddisfare le proprie aspirazioni. È quindi proprio
dell’uomo attivo che usa la storia per combattere la rassegnazione. Osservando i monumenti del
passato comprende infatti che la vera grandezza è stata possibile e perciò potrà esserlo ancora.
Questo tipo di storia, tuttavia, tende ad alterare il passato poiché ne dimentica la maggior parte per
far emergere solo alcune circostanze che, opportunamente abbellite, vengono rappresentate come
modelli. Inoltre può spingere a un’identificazione cieca con i grandi del passato e quindi al
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fanatismo o, peggio, alla paralisi nel momento in cui si giunge alla convinzione che quanto di
grande è successo nel passato non possa più essere eguagliato.
2. La storia antiquaria - Questo secondo tipo di storia consiste nel guardare con amore alle radici da
cui proveniamo ed è pertanto caratterizzata da una sorta di pietà nei confronti del passato. Ne
consegue un tipo di storia utile alla vita perché ci fa sentire eredi di un tempo meritevole di essere
conservato e venerato. Anche la storia antiquaria, però, può diventare un pericolo, perché tende a
limitare il nostro campo visivo alla tradizione a cui sentiamo di appartenere distaccandoci dal
presente. Se dominata dunque da una “furia collezionistica”, la storia antiquaria non è più ravvivata
dalla freschezza del presente; ne consegue la paralisi dell’azione, al pari della storia monumentale.
3. La storia critica - Questo terzo tipo di storia è proprio di chi soffre e ha bisogno di liberarsi,
infrangere e dissolvere il passato per poter vivere ancora: la storia critica porta infatti il passato
davanti a un tribunale e lo condanna. Il pericolo che comporta questo atteggiamento è quello di
pensare che sia possibile spezzare completamente le catene che ci legano al passato. Occorre invece
tener conto del passato ma senza farci condizionare da esso. Dimenticare è infatti importante per
poter agire liberi dai ricordi: il raggiungimento della felicità richiede infatti una certa dose di
incoscienza che i ricordi tendono a frenare. Nietzsche non si scaglia quindi contro la storia in sé, ma
contro quella che considera la malattia della storia. L’uomo moderno, infatti - schiacciato dalla
troppa conoscenza del passato e dal senso di futilità di ogni agire umano che ne deriva - rimane
come paralizzato rinunciando a costruire il proprio destino. La storia può quindi essere utile
all’uomo soltanto se ognuno di questi tre tipi di storia rimane nei propri confini e se si integrano tra
di loro.
In conclusione, la cultura moderna appare a Nietzsche caratterizzata da un esagerato sapere storico
che la rende schiava dell’inazione e della rinuncia alle imprese importanti.
MAPPA CONCETTUALE
La cultura storicista, malattia della storia
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LA FALSA IMMAGINE NEOCLASSICA DI APOLLO
È con il neoclassicismo che si diffonde l’idea dell’età classica come di un mondo formale e
razionale ben rappresentato dalle sue statue bianche dagli occhi vuoti, secondo un pregiudizio che
risale al critico tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717-1768). In realtà, se risaliamo a
com’erano effettivamente queste statue scopriamo che erano policrome, con colori sgargianti. La
statua qui ricostruita in bronzo è quella di Apollo Parnopios di Fidia (ca. 460 a.C.) che ci è nota solo
nella copia romana. Anche le statue in bronzo avevano infatti inserti di rame e di altri materiali che
ne vivacizzavano l’espressione. Come si può notare il volto sereno di Apollo muta nella
ricostruzione a colori rivelandoci quel tratto dionisiaco che il bianco nascondeva.
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Nietzsche “illuminista”
Nelle prime opere della maturità Nietzsche prende le distanze da Schopenhauer e Wagner,
espressioni di quel movimento romantico che considera essenzialmente retorico
Perché Nietzsche divenne “illuminista”? La definizione può sembrare azzardata; così viene però
tradizionalmente definito il Nietzsche delle opere della prima maturità filosofica - Umano, troppo
umano (1878), Aurora (1881), La gaia scienza (1882) - in cui ripudia contemporaneamente il suo
maestro e il suo amico, Schopenhauer e Wagner. Schopenhauer viene descritto come il filosofo
della rassegnazione e in quanto tale «null’altro che l’erede dell’interpretazione cristiana». «Oh -
esclama Nietzsche - come diversamente parlò a me Dioniso! Oh, quanto era lungi da me proprio
codesto spirito di rassegnazione». Ancora più significativo è il distacco di Nietzsche da Wagner. Lo
strappo è netto. Wagner viene accusato di essere il «tipico decadente», di avere cioè quella malattia
che «ammala tutto ciò che tocca». Ancora, Wagner «è un genio istrionico» che «lusinga ogni istinto
nichilistico e lo camuffa con la musica, blandisce ogni cristianità, ogni forma di espressione
religiosa della décadence». Colpisce però il contemporaneo ripudio da parte di Nietzsche - tra gli
anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento - tanto del suo maestro quanto del suo amico: perché? Il
motivo va ricercato nel fatto che in quel periodo Nietzsche matura la convinzione che il pensiero di
Schopenhauer e la musica di Wagner siano espressioni del Romanticismo, a suo modo di vedere un
movimento culturale impregnato solo di falso pessimismo e di retorica della disperazione.
La consonanza con l’Illuminismo porta Nietzsche a condannare diverse dottrine del suo
tempo, in particolare la mai morta morale cristiana
Nietzsche però non si limita a condannare il Romanticismo. Per lui tutta la cultura occidentale
dell’Ottocento è giunta ad assurde conclusioni:
• l’idealismo ha per esempio inventato un “antimondo”;
• il positivismo pretende invece di ingabbiare con una povera rete concettuale una realtà tanto
complessa come la storia dell’umanità;
• per non parlare del socialismo, che pensa di redimere le masse per mezzo delle masse o
dell’evoluzionismo che dimentica che «i deboli tornano sempre a soverchiare i forti».
Nel contempo Nietzsche dichiara di avvertire una profonda consonanza con l’Illuminismo, e in
particolare con Voltaire, di cui fu grande ammiratore e a cui dedicò la prima edizione di Umano,
troppo umano, pubblicata proprio nel centenario della morte del pensatore francese. Inoltre
Nietzsche riprende con forza, anche se in modo del tutto personale, la lezione illuminista della
critica alle false credenze, al fanatismo e alle paure indotte dall’ignoranza e della superstizione.
Insomma, Nietzsche giunto alla maturità si propone lo stesso obiettivo degli illuministi: liberare
l’umanità dagli antichi pregiudizi e sgombrare il campo dagli idoli del passato. L’ammirazione nei
confronti dell’Illuminismo e tale che in Umano, troppo umano scrive: «Possiamo portare avanti di
nuovo la bandiera dell’Illuminismo». Il bersaglio preferito di Nietzsche “illuminista” è
essenzialmente la morale cristiana a cui muove due principali critiche.
• La prima riguarda il carattere terreno e nient’affatto divino o soprannaturale delle regole
riguardanti la condotta morale. Secondo Nietzsche infatti, l’istinto morale non è altro che la volontà
del gregge espressa dal singolo individuo.
• La seconda critica riguarda il “miracolo” dell’altruismo che secondo Nietzsche null’altro è se non
una forma particolare di egoismo, nel senso che l’altruista ricerca il plauso della comunità di
appartenenza. Anche nelle sue manifestazioni “estreme”, come nel caso del santo e dell’asceta vi è
sempre una convenienza personale, come l’essere ammirati. In breve, secondo Nietzsche l’ordine
sociale «sconfigge sempre la vita e la soggioga a sé».
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L’uomo folle annuncia la morte di Dio
La morte di Dio è la presa di coscienza da parte dell’Occidente della fine di secolari certezze
religiose e metafisiche basate su inganni e menzogne
È nel contesto della progressiva secolarizzazione della cultura occidentale che si inserisce il
discorso sulla morte di Dio, l’intuizione filosofica più celebre di Nietzsche. La secolarizzazione
infatti sgretola la grande spiegazione cristiana della vita fino a che l’uomo giunge alla convinzione
che di vita ce ne sia una sola, quella terrena: ma se così è perché sacrificarla per dei valori
inesistenti o per un’immaginaria felicità ultraterrena? Questa presa di coscienza viene definita da
Nietzsche “la morte di Dio”, una svolta storica per comprendere la quale occorre partire dalla
definizione di Dio. Per Nietzsche Dio è un concetto che riassume in sé più concetti:
• Dio è innanzitutto il simbolo della metafisica, l’essere al di là dell’essere;
• Dio è poi il giudice che alla fine dei tempi giudicherà la nostra vita;
• nel contempo Dio è il criterio in base al quale il giudizio verrà emesso;
• in breve, Dio è la verità socratica, cioè razionale, diventata con il cristianesimo divina.
Pertanto, possiamo apprendere questo concetto indifferentemente dal catechismo o dalla filosofia
socratica: il cristianesimo infatti null’altro è che la versione popolare del socratismo. In entrambi i
casi, infatti, la verità è intesa quale termine ultimo non oltrepassabile, che si chiami Dio o verità
razionale, poco importa. Tuttavia nel momento in cui finalmente l’uomo scopre che è lui l’inventore
di questo termine ultimo non oltrepassabile Dio muore. E con Dio muore anche tutta la favola
socratica e cristiana, cioè la descrizione del mondo con i criteri che abitualmente usiamo per
spiegare la vita e lenire il dolore. In breve, con Dio muore «la menzogna più lunga della storia».
Scrive Nietzsche:
Anche noi odierni ricercatori della verità, noi atei e antimetafisici, anche noi prendiamo ancora il
nostro fuoco dall’incendio che fu appiccato da una fede millenaria, da quella cristiana che fu anche
la fede di Platone, cioè che Dio è verità, che la verità è divina... Ma come, ma come, se questo
diventa sempre più inverosimile, se nulla si palesa divino, fuorché l’errore, la cecità, la menzogna,
e se Dio stesso si rivela il nostro più lungo errore. (La gaia scienza)
E in Umano, troppo umano Nietzsche aggiunge:
Quando in una mattina di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è
mai possibile! Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere figlio di Dio.
L’annuncio della morte di Dio a opera di un folle trova gli uomini impreparati alle
drammatiche conseguenze di quell’evento
La scoperta della morte di Dio viene annunciata ne La gaia scienza «dall’uomo folle», simbolo del
filosofo-profeta :
«Avete sentito di quell’uomo folle - scrive Nietzsche - che accese una lanterna alla chiara luce del
mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché
proprio lì si trovavano raccolti molti uomini di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi
risa». Le risa sono quelle dei filosofi atei dell’Ottocento, ottimisti a tal punto da non comprendere
la gravità della morte di Dio. Resosi dunque conto della superficialità di questi uomini, l’uomo
folle «balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? - gridò - Ve
lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo! - voi e io. Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come
abbiamo fatto? Come abbiamo potuto svuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci
dette la spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa Terra
dalla catena del suo Sole?”». Fuor di metafora, la morte di Dio produce tre spaventose catastrofi: