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NUOVI ANNALI - 2009 Tra le infinite pieghe, angoli ed anfratti che la tes- situra del Duomo di Milano dispiega ai nostri sensi, si celano infiniti e diversi punti di vista su aspetti che spesso osserviamo con superficialità. Quando ci si addentra nella storia del Duomo si scorge una complessità di fatti tale da capire che esi- stono molti modi per leggere la cattedrale milanese, sia che si voglia ritrovare in essa la storia delle sue vicende costruttive, la magnificenza della sua arte, sia per il suo essere rappresentazione del periodo storico che la attraversava. La luce è un aspetto che abbraccia trasversalmente diversi campi del sapere e proprio per questa sua caratteristica ci offre sguardi inusuali sulle cose. La sua qualità di materiale capace di relazionarsi con diverse discipline contemporaneamente e dialogare con esse a partire dalle specificità proprie e di queste ultime, consente, attraverso varie declinazioni del fenomeno luminoso, di intercettare talvolta più la sfera dell’arte, tal’altra quella della tecnica. È tra questi due grandi poli infatti, arte e tecnica, che oscilla la luce e l’esperienza del passato ci aiuta a rivelarne le molteplici sfaccettature intermedie. Porre attenzione alle evoluzioni dell’illuminazione in Duomo non significa semplicemente esaminare i sistemi di illuminazione che si sono succeduti nel tempo, ma è anche leggere come nei diversi periodi storici, si siano trasformate le forme di pensiero, le concezioni dominanti, sull’arte, sulla teologia, sul restauro e su molte altre materie. Il successo che ha nei nostri anni la luce è dovuto senz’altro anche al suo essere espressione di un’estetica moderna incentrata sulla qualità imma- teriale, reversibile, mutevole delle cose ed è senz’altro uno dei materiali più rappresentativi dell’età con- temporanea (la cosiddetta era dell’informazione). Questa forma di luce, generata dall’energia elet- trica, è solo una delle possibili ed è tra l’altro la più giovane. La sua forma primordiale è quella di luce naturale, prodotta dalla radiazione solare, mentre ad un livello intermedio tra le due, vi è la luce artifi- ciale prodotta dalla combustione di sostanze naturali o variamente elaborate dall’uomo (cera, olio ecc…). Queste tre forme di luce si incontrano e scontrano perennemente in modi diversi, specie nei luoghi di culto dove continuano a coesistere. La luce artifi- ciale tradizionale (prodotta da ceri, lampade ad olio) a partire dagli inizi del secolo scorso è stata gra- dualmente soppiantata in gran parte degli ambiti, dopo essere stato l’unico modo per illuminare gli ambienti per secoli e secoli. Si può dire che oggi solo nelle chiese permane l’uso dei ceri, perché il signi- ficato della fiamma che trema, si consuma e viene accesa dal gesto del fedele, rimane un momento insostituibile nella vita dei luoghi sacri e caratterizza l’ambiente circostante con una qualità del tutto par- ticolare e irriproducibile. Questo è il motivo per cui la Chiesa è stata fin da subito molto cauta nel- l’abbandonare l’illuminazione tradizionale, che infatti persiste, seppur limitata ai momenti di pre- ghiera individuale. Questa doppia natura della luce artificiale è di fondamentale importanza ed accom- pagna il dibattito sull’illuminazione delle chiese da quando l’elettricità è entrata a far parte della realtà quotidiana. Nella storia del Duomo di Milano questo processo fu graduale e si può dire che iniziò dall’esterno del- l’edificio per raggiungere l’interno. Milano fu una delle prime città ad accogliere le tra- sformazioni indotte dall’energia elettrica, specie dando nuova vita ad edifici pubblici ed ai suoi luoghi più importanti e rappresentativi. Il Duomo, oltre ad essere il simbolo per eccellenza del capo- luogo lombardo, è il cuore della vita spirituale di Milano, uno spazio che senza quella volontà forte che ha accompagnato i milanesi nei secoli, non avrebbe avuto vita. La cattedrale fu presto investita dallo spirito di innovazione di un sentire collettivo che desiderava ritrovare illuminati tutti i simboli milanesi. Prendendo in esame i documenti dell’Archivio Deposito della Veneranda Fabbrica del Duomo è 127 Francesca Cremasco, Gianni Forcolini La luce del Novecento nel Duomo di Milano. Tecnologie della luce tra conservazione ed innovazione 09. Luce Forcolini 127-142.qxd 28-06-2010 9:24 Pagina 1
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La luce del Novecento nel Duomo di Milano

Apr 04, 2023

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Page 1: La luce del Novecento nel Duomo di Milano

NUOVI ANNALI - 2009

Tra le infinite pieghe, angoli ed anfratti che la tes-situra del Duomo di Milano dispiega ai nostri sensi,si celano infiniti e diversi punti di vista su aspettiche spesso osserviamo con superficialità. Quando ci si addentra nella storia del Duomo siscorge una complessità di fatti tale da capire che esi-stono molti modi per leggere la cattedrale milanese,sia che si voglia ritrovare in essa la storia delle suevicende costruttive, la magnificenza della sua arte,sia per il suo essere rappresentazione del periodostorico che la attraversava. La luce è un aspetto che abbraccia trasversalmentediversi campi del sapere e proprio per questa suacaratteristica ci offre sguardi inusuali sulle cose. Lasua qualità di materiale capace di relazionarsi condiverse discipline contemporaneamente e dialogarecon esse a partire dalle specificità proprie e diqueste ultime, consente, attraverso varie declinazionidel fenomeno luminoso, di intercettare talvolta piùla sfera dell’arte, tal’altra quella della tecnica. È traquesti due grandi poli infatti, arte e tecnica, cheoscilla la luce e l’esperienza del passato ci aiuta arivelarne le molteplici sfaccettature intermedie. Porre attenzione alle evoluzioni dell’illuminazionein Duomo non significa semplicemente esaminarei sistemi di illuminazione che si sono succeduti neltempo, ma è anche leggere come nei diversi periodistorici, si siano trasformate le forme di pensiero,le concezioni dominanti, sull’arte, sulla teologia,sul restauro e su molte altre materie.Il successo che ha nei nostri anni la luce è dovutosenz’altro anche al suo essere espressione di un’estetica moderna incentrata sulla qualità imma-teriale, reversibile, mutevole delle cose ed è senz’altrouno dei materiali più rappresentativi dell’età con-temporanea (la cosiddetta era dell’informazione).Questa forma di luce, generata dall’energia elet-trica, è solo una delle possibili ed è tra l’altro la piùgiovane. La sua forma primordiale è quella di lucenaturale, prodotta dalla radiazione solare, mentre adun livello intermedio tra le due, vi è la luce artifi-

ciale prodotta dalla combustione di sostanze naturalio variamente elaborate dall’uomo (cera, olio ecc…).Queste tre forme di luce si incontrano e scontranoperennemente in modi diversi, specie nei luoghi diculto dove continuano a coesistere. La luce artifi-ciale tradizionale (prodotta da ceri, lampade adolio) a partire dagli inizi del secolo scorso è stata gra-dualmente soppiantata in gran parte degli ambiti,dopo essere stato l’unico modo per illuminare gliambienti per secoli e secoli. Si può dire che oggi solonelle chiese permane l’uso dei ceri, perché il signi-ficato della fiamma che trema, si consuma e vieneaccesa dal gesto del fedele, rimane un momentoinsostituibile nella vita dei luoghi sacri e caratterizzal’ambiente circostante con una qualità del tutto par-ticolare e irriproducibile. Questo è il motivo percui la Chiesa è stata fin da subito molto cauta nel-l’abbandonare l’illuminazione tradizionale, cheinfatti persiste, seppur limitata ai momenti di pre-ghiera individuale. Questa doppia natura della luceartificiale è di fondamentale importanza ed accom-pagna il dibattito sull’illuminazione delle chieseda quando l’elettricità è entrata a far parte dellarealtà quotidiana. Nella storia del Duomo di Milano questo processofu graduale e si può dire che iniziò dall’esterno del-l’edificio per raggiungere l’interno. Milano fu una delle prime città ad accogliere le tra-sformazioni indotte dall’energia elettrica, speciedando nuova vita ad edifici pubblici ed ai suoiluoghi più importanti e rappresentativi. Il Duomo,oltre ad essere il simbolo per eccellenza del capo-luogo lombardo, è il cuore della vita spirituale diMilano, uno spazio che senza quella volontà forte cheha accompagnato i milanesi nei secoli, non avrebbeavuto vita. La cattedrale fu presto investita dallospirito di innovazione di un sentire collettivo chedesiderava ritrovare illuminati tutti i simbolimilanesi. Prendendo in esame i documenti dell’ArchivioDeposito della Veneranda Fabbrica del Duomo è

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Francesca Cremasco, Gianni Forcolini

La luce del Novecento nel Duomo di Milano.Tecnologie della luce

tra conservazione ed innovazione

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possibile notare come la partecipazione dei milanesi,preoccupati nel dar maggior rilievo alla propriacattedrale, fosse straordinariamente viva fino aglianni sessanta e passasse proprio attraverso la luce.Esistono molte lettere scritte da privati ed indi-rizzate alla Veneranda Fabbrica, che portano sug-gerimenti ed idee su quanto avrebbe giovato aldecoro e allo spirito dei milanesi, poter vedere lapropria cattedrale illuminata. Ma ancor più delDuomo, è la Madonnina e suscitare il desiderio diessere presenza costante, punto di riferimento anchedurante la notte. Il 6 novembre 1923 la VenerandaFabbrica del Duomo riceve la lettera di un certo Col-naghi Enrico, che dice: Mi permetto sottoporre una mia idea che ritengonon priva d’interesse. A parte qualsiasi commemora-zione o festeggiamenti per ricorrenze religiose opatriottiche, sembrami che una lampada suppo-niamo da 1000 candele, infissa sull’estrema puntadella nostra Madonnina, acquisterebbe quasi quasiuna parvenza mistica, come se la luce s’irradiasse dal-l’alto dei cieli. E grande e splendido effetto artisticofarebbe il Duomo, di notte, colla miriade di gugliee ricami leggermente illuminati da simile lampada!E quale e quanta sarebbe l’ammirazione che deste-rebbe in noi tutti un simile spettacolo, specie in fore-stieri, costretti certe volte a starsene per delle mezz’orecol naso all’insù, senza poter sfruttare fra le tenebrele meraviglie del nostro massimo Tempio1.I primi mesi del 1926 la Fabbriceria coinvolse laSocietà dell’ing. Mario Gismondi affinché eseguisseprogetto e prove d’illuminazione della Madonnina,realizzate con quattro riflettori speciali americanida 1000 W per un’illuminazione a riverbero, o“Flood Lighting”, con progetto proveniente dall’A-merica. In quell’anno non vennero realizzatiimpianti, ma ci si limitò ad eseguire delle proved’illuminazione, legate forse a particolari occasioniche commemoravano con la luce la Madonnina. Questo intervento faceva parte di un progetto piùampio che considerava anche l’illuminazione ariverbero dell’altare maggiore e delle vetrate isto-riate dell’abside. Si sa che anche per l’altare si ese-guirono delle prove senza evidentemente optareper soluzioni stabili, mentre il progetto di illumina-zione delle vetrate venne messo da parte per circatrent’anni.

Il problema completo nelle sue tre suddivisioni (…)è stato studiato anche nei dettagli, già nei primimesi del 1926 dal Comm. Ing. C. Clerici, specialistain tema d’illuminazione, e dall’Ing. G. Locatellidella Società Edison in collaborazione con una dittamilanese di impianti elettrici. In unione con l’Arch.Zacchi della Fabbriceria del Duomo, furono fatteanche prove per l’illuminazione dell’Altare Mag-giore, e la luce calda e colorata che lo avvolgeva, nefaceva meravigliosamente risaltare la bellezza nellasevera austerità della navata maggiore, con grandeeffetto mistico. Facilmente si può immaginare qualegrandiosa e suggestiva bellezza offrirebbe il Tempio,di notte, con le immense e magnifiche vetrate illu-minate per trasparenza dall’interno, e quale carattereunico e indimenticabile ne deriverebbe per la Piazzadel Duomo. (…) purtroppo ora tutto questo tesorod’arte va quasi perso per la maggioranza dei milanesiche nel lavoro occupano la loro giornata. Ben facil-mente può invece immaginarsi quale godimento arti-stico, quale riposo spirituale, quale sano orgoglionel loro amore per la bella operosa città, potrebberoessi trovare, recandosi dopo una giornata di lavoronel cuore della loro Milano e vedendo sorgere dallaPiazza le imponenti ed oscure pareti del Tempio,lungo le quali gli altissimi finestroni illuminati converi miracoli di disegno e di colore, preciserebbero edelimiterebbero lo sguardo a tutta la meravigliosaselva di guglie allacciate dagli infiniti marmoreiricami: e su su, indicherebbero altissima, sfavillante,la loro Madonnina a rendere più elevato e sublimeil simbolo trionfale dell’arte e della fede2.Quelle poche apparizioni notturne della Madonninatoccarono senz’altro l’animo della collettività, sia perl’effetto suggestivo che doveva creare la visione diquell’esile figura dorata risplendente nell’oscurità,ma soprattutto perché la Madonnina è sempre statoil punto di riferimento spirituale e di protezionedella città. Tale doveva essere stato l’entusiasmo deimilanesi, che i desideri si spinsero oltre. Già allafine dello stesso anno il Direttore dell’Istituto deiCiechi avanzò la proposta al Comune di Milano diavere un’illuminazione costante. Nel programma rinnovatore del piano della città edell’illuminazione della Piazza del Duomo potrebbeentrare l’idea di illuminare perennemente laMadonnina, così che, sempre, anche nelle notti, ilPalladio caro ai Milanesi sfavilli di benedizione

(1) AVFDMi, Archivio Deposito, Lavori Duomo: Attrezzi eimpianti (Atti dal 1923 al 1969), cart. 81, fasc. 1 (Attiriguardanti l’illuminazione interna ed esterna del Duomo).

(2) AVFDMi, ibidem, lettera dell’ing. Gismondi per il Cor-riere della Sera.

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della nostra città. L’impianto tecnico e la spesa cor-relativa devono ridursi a ben poco. Basti riflettere chele automobili, per un niente, accecano il prossimovicino e lontano, solo che facciano agire i riflettoridella macchina. Gli apparecchi installati o sulleguglie maggiori, che fanno da guardia alla cen-trale, altissima, od anche sull’arco della Galleria, sul-l’altana che sovrasta l’Arcivescovado, potrebberoentrare regolarmente in funzione quando viene datala luce alle vie ed alle piazze3.La commissione edilizia prese con simpatia la pro-posta, che venne comunicata alla Veneranda Fab-brica, con l’unica eccezione di riservare l’illumina-zione della guglia maggiore del Duomo ad occa-sioni solenni, festeggiamenti o commemorazioni.Dopo quasi trent’anni, l’idea di avere luce costantesulla Madonnina si fece nuovamente viva. In unalettera del 1953 alla Veneranda Fabbrica, l’ing.Angelo Gentili evidenziava che “tutti i buonimilanesi (…) sarebbero anche ben contenti di vederepiù fortemente illuminata solo l’estremità dellaGuglia e la Madonnina per tutto l’anno: come un faroluminoso ed un alone votivo di propiziazione4.”L’anno successivo, nel 1954, in occasione dellaFiera Campionaria, nel quotidiano Il tempo diMilano uscirà un articolo utile oggi per tracciareun’immagine della Milano notturna di quegli annie soprattutto di quale fosse la situazione del Duomo.Già da alcune settimane la Madonnina non è piùilluminata. I riflettori che sostituirono gli antie-stetici “padelloni” si sono infatti bruciati, in seguitoalla pioggia cadente sui vetri surriscaldati, e daallora, non è stato fatto più niente perché l’illumi-nazione fosse ripristinata. I milanesi quando di nottepassano da Piazza del Duomo, e vedono le guglie delmonumento perdersi nelle tenebre, pensano che lassù,sopra tutto quel mare di marmo c’è la Madonnina,ma non riescono a vederla. E ne soffrono, i milanesicome della temporanea assenza di una persona cara.(…) una volta, nelle feste di gala, non soltanto laMadonnina era illuminata, ma tutti il tiburio e le fal-conature risplendevano5.In definitiva i primi trent’anni di storia della luceelettrica, vedono protagonisti i simboli sacri, in

particolar modo quelli esterni. L’immagine dellaguglia illuminata divenne patrimonio della città, inun progressivo aumento di intensità luminosa ecostanza temporale. Se negli anni trenta l’inter-vento aveva carattere di temporaneità suscitandol’effetto di una epifania, nel 1953 divenne una realtàconsolidata nella città.La luce inizia quindi il suo progressivo ingressonel Duomo a partire dalla guglia maggiore recantela Madonnina, per entrare gradualmente e a faticanel cuore interno dello spazio sacro. La forza chespinse e sostenne questo processo la si deve moltoanche ai milanesi, che negli anni hanno ribadito,idee, desideri o suggerimenti per migliorare l’aspettodel Duomo. Le testimonianze viste non possonofornire una ricostruzione completa dei fatti e deidiscorsi intorno alla luce nel Duomo, ma suggeri-scono l’esistenza di un sentire collettivo interessatoattivamente allo stato della cattedrale, condizionesempre esistita fin dall’inizio della sua edificazione.Per l’esterno la luce del Duomo è stata materiale diespressione di una società in trasformazione, tradu-cendo valori in fenomeni dove l’esperenzialità e lamediaticità dell’immagine iniziavano ad acquisirevalore. Negli interni, la molteplicità di valori che la

(3) AVFDMi, ibidem, lettera del Direttore dell’Istituto deiCiechi del 26 novembre 1926. (4) AVFDMi, ibidem, lettera dell’ing. Angelo Gentili del1953 alla Veneranda Fabbrica(5) AVFDMi, ibidem, articolo del quotidiano Il tempo diMilano.

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Fig. 1. Illuminazione notturna della Madonnina sullaguglia maggiore.

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luce poteva acquisire, aprivano problematiche divaria natura alle quali la Chiesa doveva dare unarisposta. L’atteggiamento fortemente reticente e condizio-nante della Chiesa rispetto alla nuova tecnologiadipende sostanzialmente dalla modificazione del-l’ambiente interno, dovuto a fonti di luce staticacon diversa resa di intensità luminosa e cromatica,e da ragioni simboliche legate alla distruzione visibiledella materia da ardere6 unite alla inimitabile qualitàdella fiamma delle lampade alimentate dall’oliod’oliva e delle candele di cera d’api. Illuminarecon il fuoco risponde a questioni di ordine sim-bolico, figurativo e al rapporto con la tradizione,infatti le prime forme di celebrazione cristiana avve-nivano all’oscurità, rischiarate dalle fiamme ardenti. Il pensiero della Sacra Congregazione dei Riti eramolto esplicito circa l’impiego della luce elettrica,consentito a condizione che fosse “serio e sobrio”e non fosse quello teatrale7, temendo che si creasserocondizioni spaziali e visive tipiche di un luogoadatto allo spettacolo, facendo uso inappropriatodella nuova tecnologia. Il divieto alludeva soprat-tutto alla realizzazione di “figure, corone, iscri-zioni, monogrammi, simboli, raggi, stelle compostecon lampade a luci elettriche”8, “più che mai conlampade a vari colori”9. L’uso della luce elettricaveniva permesso “per illuminare le chiese e perornarle con maggiore solennità”, “per ornamentodei quadri e delle sacre immagini”10, ma ne venneproibito l’uso sull’altare in alternativa alle candele,o davanti ed attorno al trono per l’esposizione delSS. Sacramento o all’interno del ciborio, davantialle sacre reliquie o alle sacre immagini poste sopragli altari11.

Il Cardinale Schuster12 in una pastorale indirizzataal clero dell’archidiocesi milanese riprese le prescri-zioni della Congregazione dei Riti per richiamareil clero ad una più stretta osservanza delle leggicanoniche nella decorazione delle chiese e dellasuppellettile liturgica. Questa pastorale venne pubblicata in una rivistamilanese specializzata in luce negli anni trenta epuntualizza con estrema chiarezza come dovesseessere l’illuminazione nelle chiese: 1 - La luce elettrica in chiesa è permessa a solo scopo

di illuminazione dell’aula, non già a fine di culto.2 - Questa stessa illuminazione dovrà tuttavia essere

austera sobria e dignitosa senza imitare anchelontanamente le sale teatrali.

3 - Sull’altare sono assolutamente escluse le lampadeelettriche.

4 - È consentita la illuminazione elettrica di qualcheeffige, o devoto simulacro, che altrimenti nonpotrebbe essere ben veduto dai fedeli, sempliceilluminazione però e non ornamento, o corona dilampade come nei bar. Di più è necessario di col-locare le lampade e i riflettori in tale manierache i fasci luminosi investano sobriamente la sacraImagine, senza che appaia troppo la lampadaluminosa. Comunque sono sempre riprovati dallaSacra Liturgia quei giochi di luce elettrica, leaureole intorno al capo delle statue, i lampadaria più bracci di lampade nascoste entro il SacroCuore, o entro i grani del Rosario della SS. Vergineecc.13”.

Secondo queste disposizioni appare evidente che l’il-luminazione elettrica veniva accettata solo per sod-disfare esigenze di ordine pratico dove però “l’or-dinaria illuminazione interna della chiesa è prefe-ribile sia ottenuta con luce elettrica a sorgente

(6) Decreto 86, in Decreta autentica, CongregationisSacrorum Rituum, volumi I, III, VI, Typis polyglottis Vati-canis, Roma, 1898, 1900, 1928 citazione tratta da E.BET-TINELLI, G. DELLA LONGA, S. MAGGIANI, A. SANTANTONI,Celebrare con la luce, volume di ricerca del progetto “Aregola d’arte” della Bticino, pp. 62-70.(7)Decreto 3859, in Decreta autentica…, cit. nota 6, p. 65.(8)Decreto 4210, in Decreta autentica…, cit. nota 6, p. 65.(9)Decreto 4322, in Decreta autentica…, cit. nota 6, p. 65.(10)Decreti 3859, 4206, 4322, in Decreta autentica…, cit.nota 6, p. 65.(11)Decreti 4097, 4275, 4206, 4322, in Decreta autentica…,cit. nota 6, p. 65. Questa regole erano rispettate anche nelDuomo e a titolo di esempio si riporta qui una prescrizioneper l’Altare di San Giovanni Bono, in Annali della Fabbricadel Duomo di Milano dall’origine fino al presente, Milano,

vol. VII, 1876-1947, 1 febbraio 1910: l’agente riferisce diaver persuaso mons. Arciprete a non ricorrere all’illumina-zione elettrica troppo costosa per l’impianto e meno dicevolealla augusta severità del tempio, consigliando l’uso della cera,più rispondente alle tradizioni della liturgia.(12) Fu nominato dal Papa Pio XI arcivescovo di Milano il26 giugno 1929 e cardinale il 15 luglio dello stesso anno.Governò la diocesi milanese fino al 1954, anno della suamorte, prendendo come modello uno dei suoi predecessoripiù illustri, San Carlo Borromeo e si dimostrò assiduo nel-l’effettuare le visite pastorali nella diocesi.(13) Disposizioni sinodiali, ispirate alle norme stabilitedalla Congregazione dei Riti (sin. Dioc. XXXIX. n° 4),tratto da i Criteri d’illuminazione delle chiese, in “Illumina-zione razionale”, n° 6/7, 1930, Edizione Ansi, pp. 48-52.

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luminosa nascosta”14 mentre, laddove serviva per ildecoro della chiesa, doveva essere subordinataall’elemento da illuminare, di conseguenza nellostudio degli impianti d’illuminazione gli apparecchiilluminanti devono essere quanto più nascosti allavista e non produrre luce d’effetto. In definitiva l’illuminazione delle aule ecclesia-stiche doveva tener conto di tutte queste particolariesigenze liturgiche ed estetiche e subordinare adesse ogni elemento, in modo tale da non turbaremai il carattere religioso dell’insieme. Nel momento in cui il progresso scientifico ha for-mulato nuove possibilità per illuminare, la tradizionesecolare dell’uso delle candele nelle chiese harisposto con l’accettare la luce delle lampade adincandescenza con la condizione che risolvesseroproblemi funzionali, escludendo in ogni modo lapossibilità che si sconfinasse nel campo dell’arte,della figurazione o della simbologia. Il solo valoreconcesso alla luce elettrica fu per diversi anni quellodella razionalità e della funzionalità applicativa.È probabile che in Duomo qualche modesto inter-vento impiantistico di illuminazione interna si siafatto attorno agli anni trenta15 e che fosse proprio inlinea con le prescrizioni della Chiesa, ribadite dalCardinale Schuster, particolarmente attento algoverno della diocesi milanese fino al 1954.D’altronde nella rivista Illuminazione razionale16

accanto alla nota pastorale, vi era un intero articoloche trattava l’illuminazione delle chiese e cheponeva particolare attenzione ai rapporti tra tipologiadi chiesa, luce naturale e principi di inserimento deinuovi sistemi di illuminazione. L’analisi che vieneeffettuata sulle chiese di stile gotico dice: “Nell’architettura gotica il gioco delle luci e delle

ombre è più intenso e vario. (…) è architettura di con-trasti; la sua principale caratteristica è il movimentodelle linee, in uno sforzo ascensionale che tendeall’infinito. Da un punto di vista puramente teoricoquindi i sistemi di illuminazione indiretta, comequelli che, smorzando i contrasti, producono un sensodi calma un po’ gelida, sembrano venir meno ad untempio gotico così da doverne usare con parsimonia.Solitamente le impressioni di altezza e di leggerezzadi un soffitto si ottengono illuminandolo; nel nostrocaso invece, pure ammettendo la convenienza di darrilievo alla verticalità ed all’altezza delle volte, saràbene lasciarle nell’ombra col porre le sorgentiluminose ad un livello poco elevato e facendo con-vergere i raggi di luce verso il basso. Ciò nasce dalfatto che noi non dobbiamo creare una data impres-sione d’altezza ben definita, ma piuttosto infondereall’ambiente un senso di misterioso, d’indefinito,ricco di suggestione. Questa suggestione potrà essereintensificata alternando (…) zone di luce e zone dipenombra” 17.A corredo del testo compare una sezione trasversaledel Duomo di Milano con riportati i punti luce nellenavate ed è facile capire come il disegno traducevain immagine il testo descrittivo sulle chiese gotiche. Si può quindi quasi certamente affermare che dovevaesserci un modesto sistema di illuminazione ade-rente alla concezione della luce di quegli anni cheteneva conto, da un lato delle riflessioni fatte dauna disciplina, quella dell’illuminotecnica, chestava percorrendo un cammino anche teorico-archi-tettonico e non solo scientifico, dall’altro il punto divista della chiesa che non poteva non prendereparte ad un dibattito su un materiale così ricco divalenze e significati. Si è visto che la prima volta in cui si pensò a illu-minare il Duomo nel 1926 emerse un progetto arti-colato in tre parti, l’illuminazione della Madonnina,dell’altare maggiore e infine delle vetrate dell’abside.Quest’ultimo intento venne realizzato a distanza diquarant’anni, nel 1962. L’essenza dell’uso dellaluce in questo progetto era in quasi totale disac-cordo con il pensiero della Chiesa nei confrontidell’illuminazione elettrica ed è forse questo ilmotivo per cui venne congelato per anni. Il progetto aveva lo scopo di illuminare le vetrateistoriate dall’interno verso l’esterno durante la notte,in modo tale da renderne possibile la fruizione edesaltarne la bellezza in ogni momento. Il senso di

(14) Notificazione del 18 marzo 1932 del Vicario di suaSantità per le chiese e oratori di Roma, in Celebrare con laluce…, cit. nota 6, p. 65.(15) Annali..., vol. VII, 3 settembre 1929, Impianto di luceelettrica da parte della Società Edison: Il Consiglio accogliel’istanza del 26 agosto 1929 VII° della Società Edison, pre-cisando che al grazioso dono dell’ossatura principale dellecondutture elettriche per l’illuminazione del Duomo nondevono derivare, né ora né in seguito, oneri diretti o indi-retti, all’Amministrazione, né nocumento qualsiasi all’inte-grità ed all’estetica del Duomo e che le operazioni relativedevono svolgersi col controllo dell’Architetto della Fab-brica Zacchi. La società Edison, che curava la rete elettricapubblica a Milano, aveva donato “l’ossatura principale dellecondutture elettriche per l’illuminazione del Duomo”.(16) Illuminazione razionale, cit. nota 13. (17) Illuminazione razionale, cit. nota 13.

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un’operazione di questo genere è senz’altro pura-mente estetico e per quanto un gesto simile potessemanifestare il desiderio di proiettare l’interno delDuomo al di fuori nelle ore di inacessibilità e mani-festarsi alla collettività sollecitandone lo spiritotramite il godimento estetico, resta pur sempre unprogetto che non ha in essere il carattere di funzio-nalità e razionalizzazione dell’uso della luce. Se già l’uso di lampadine elettriche disturbava laChiesa perché modificava la qualità luminosaambientale, creare scenari visivi e percettivi com-pletamente diversi rispetto all’origine e alla tradi-zione, risultava un’azione azzardata, legata più alloslancio emotivo prodotto dalle possibilità tecnolo-giche che non alle intenzioni di catechesi, consi-derato che i disegni delle vetrate dovevano esserelette e comprese dall’interno della cattedrale. Vedere i luoghi più importanti della città illuminatida una luce spettacolare, doveva aver sollecitatola volontà di cimentarsi con nuovi linguaggi permostrare la bellezza artistica del Duomo.Il progetto era stato elaborato dalla società Edison-Volta, realizzato dalla CEIET, sotto la supervisionedell’ing. Carlo Ferrari da Passano e dell’arch.Ernesto Brivio della Veneranda Fabbrica. Per l’il-luminazione delle vetrate si dovettero superare dif-ficoltà di diversa natura, prima fra tutte quella dinon turbare l’armonia architettonica dell’internocon installazioni troppo vistose. Data la peculiarità dell’installazione che doveva

illuminare l’abside solo in determinati giorni e natu-ralmente nelle ore notturne, il problema dell’im-patto venne risolto progettando speciali pannellimobili sospesi alle colonne del retrocoro sui qualivenivano disposte le lampade. L’estetica internaveniva preservata in quanto i pannelli venivanomontati soltanto durante le ore notturne d’illumina-zione. Per l’opportuno dosaggio ed orientamentodella luce fu inoltre necessario verificare la traspa-renza dei vetri colorati, sia in rapporto all’abba-gliamento, per un osservatore esterno al Tempio,che all’assorbimento della luce incidente. In seguitoalle prove realizzate in laboratorio su alcuni antellioriginali, messi a disposizione dalla Veneranda Fab-brica, si decise di impiegare lampade ad incande-scenza con riflettore incorporato da 300 W “ParProjector” di tipo spot (a fascio concentrato) sorgentiche accoppiano una forte concentrazione di luce(emettono infatti un flusso zonale di 4260 lm, nella0°-15° ed una intensità luminosa massima di 80.000cd) con un ingombro modesto, caratteristicheentrambe essenziali per la soluzione del problema.L’impianto si costituiva di 144 lampade, montate cia-scuna su apposito portalampada a snodo che con-sentiva l’orientamento e il bloccaggio, disposte su12 pannelli rimovibili18.

(18)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione.

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Fig. 2. Sezione trasversale delDuomo con indicato il posiziona-mento delle sorgenti luminose.

Fig. 3. Installazione dei pannelli collocati sul retrocoro dell’altare.

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L’effetto dell’intervento doveva essere senz’altrosuggestivo e di sicuro interesse, inoltre la realizza-zione di un’idea così unica aveva sollecitato l’inte-resse anche della comunità scientifica per cui duemesi dopo uscì un articolo sulla rivista Luce chedescriveva il progetto19. Fu necessario adeguare ilivelli di illuminamento della zona del camposanto(retro dell’abside all’esterno) in quanto l’eccessivailluminazione pubblica contrastava con la buonaleggibilità dell’intervento, perciò il Comune sostituìle “lanterne esistenti di tipo aperto con gonnellaopalina, con altre con riflettore in alluminio/bril-lantato di tipo cut-off” e si impegnò a regolare la lucein funzione dei giorni in cui le vetrate venivanoilluminate20.Parallelamente alla progettazione di questo parti-colare intervento, tra il 1962 e il 1963 si progettòe realizzò il primo impianto di illuminazionegenerale interna che probabilmente venne messo infunzione per il 4 novembre del 1963, in occasione

(19) “Luce” n° 1, 1963, AIDI(20)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione, fasc. Lavori Duomo: illuminazionevetrate, richiesta di adeguamento, lettere di febbraio 1963.

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Fig. 4. Pianta absidale con postazioni delle lampade da proiezione).

Fig. 5. Disegno di progetto di illuminazione, vista frontaledi una vetrata).

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della ricorrenza di S.Carlo Borromeo, assieme all’il-luminazione delle vetrate21. La natura di questoimpianto, che per comodità e complessità strut-turale si considera il primo22, nasceva dalla necessitàdi fornire il Duomo di un’illuminazione che negarantisse la fruibilità, oltre alla valorizzazione.Adeguare il Duomo alle nuove condizioni generatedal progresso scientifico nella contemporaneità,ormai sedimentate e diffuse nella vita della città, eraun compito lecito e doveroso e si fece sempre nelrispetto dei valori della Chiesa.Alla fine del 1961 ebbe inizio il processo di proget-tazione che interessava la cattedrale in tutte le suearticolazioni, navate, transetto, deambulacro abside,

tiburio, coro, altari piccoli e grandi. Il progetto fugestito dall’arch. Brivio e dall’ing. Ferrari dellaVeneranda Fabbrica del Duomo, ma la progetta-zione illuminotecnica venne fatta dall’ing. Mar-cucci e dal comm. Lupetti della Coemar23. L’im-pianto consisteva nell’installazione di una lampadain corrispondenza della chiave di volta di ciascunacampata, sia della navata centrale che di quellelaterali. Data la diversità dimensionale delle navate,quella maggiore e il transetto avevano lampade da750 W, mentre le due laterali adiacenti alla navatacentrale avevano lampade da 500 W, mentre nelledue navate esterne la potenza scendeva a 300 W24.Le sorgenti che dovevano illuminare gli altari eranoinvece dei proiettori siluettatori di un’unica tipologiacon lampade da 250 W, forniti di forcella per con-sentire lo spostamento d’asse dell’apparecchio el’apertura anteriore. Dei 440 proiettori necessari,300 erano previsti con lampade da 250 W e 140 da100 W, per una potenza totale installata di 89 kW.L’iter di progetto durò quasi due anni e fu scanditosia da elaborazioni scientifiche riscontrabili nel-l’analisi delle potenze, dei costi e dei corpi illumi-nanti necessari, ma anche dall’esecuzione di provedi illuminazione, che furono importanti per rag-giungere una messa a punto corretta dell’interosistema25. In effetti a seguito delle prove vennediminuita la previsione di potenza necessaria ed ilnumero dei corpi illuminanti, perciò per l’impiantodi illuminazione normale (navate, transetto, deambulacro) servivano circa 70 apparecchi, con

(21) Mentre è certo che l’impianto di illuminazione dellavetrate fu messo in funzione il 4 novembre 1963, per quellogenerale si ipotizza. I documenti trattano i due interventiseparatamente, ma il periodo di progettazione e realizzazionedei due impianti è il medesimo.(22) Si è visto che un impianto di illuminazione dovevacertamente esistere negli anni trenta, ma per scarsità deidocumenti, testi ed immagini, non è riconducibile ad unintervento organico sull’intera struttura, ma piuttosto fruttodi adeguamenti o giustapposizioni.

(23)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione. La Coemar era una società impegnatanello stesso periodo anche all’illuminazione della Scala.(24) Le potenze qui indicate sono frutto della memoria del-l’elettricista della Veneranda Fabbrica del Duomo.(25)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione, documenti del 4.01.1962. Una primaipotesi di progetto venne testata nel gennaio del 1962 svol-gendo un esperimento “illuminotecnico-artistico di unodegli altari, i criteri poi andavano estesi ai vari altari, com-preso quello maggiore centrale, nonché dei vari gruppi arti-stici ed in special modo quelli della galleria retrostantel’altare maggiore”. Per cui era stato deciso durante a spe-rimentazione che “i posti di illuminazione erano statiaumentati (in confronto al primo orientamento) a n° 38”, edera stato stimato un fabbisogno di 440 apparecchi siluettatori.Dopo la prima prova di illuminazione, si procedette anchenel fare un sopralluogo per accertare l’esistente impianto diilluminazione e la sua possibile utilizzazione sia pure par-ziale, nel percorso delle linee e nella posizione del quadrodi comando.

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Fig. 6. Copertina della rivista Luce.

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spesa di potenza stimata in 20 kW, per l’illumina-zione perimetrale degli altari piccoli e grandi ser-vivano 170 apparecchi tra i 40/50 kW, per l’altaremaggiore, gli organi e il presbiterio circa 100 appa-recchi per una potenza di 50 kW. In totale si avevano340 corpi illuminanti e 1200 ore di spese di eser-cizio. Oltre alla stima dei costi del consumo di elet-tricità che serviva anche per definire la spesaannuale d’illuminazione, si teneva conto anche delcosto indotto dalla manutenzione, per altro proba-bilmente già considerato nelle scelte di progetta-zione. Un aspetto interessante, che costituisce anchel’immagine di un progetto organico, è l’articola-zione della luce a seconda degli elementi da illu-minare, sia per la scelta degli apparecchi illuminantisia per quanto riguarda la messa a punto dell’interosistema. La tecnologia di allora non forniva la model-lazione tridimensionale delle parti architettonichee l’esecuzioni dei calcoli e controllo degli effettiluministici come avviene oggi, ragion per cui dopoil funzionamento dell’impianto ci si rese conto chel’illuminazione dei punti importanti per arte o cultoperdeva importanza rendendo indispensabile una

revisione dei punti da illuminare26.Negli anni successivi, l’impianto subì delle revi-sioni causate da due motivi: l’adeguamento dell’il-luminazione alle necessità liturgiche e l’inserimentodi nuovi corpi luce per dare visibilità alle parti direcente restauro. L’impianto d’illuminazione erastato progettato dalla Veneranda Fabbrica, organoche fin dalla sua costituzione ha il compito di valo-rizzare e intervenire nel Duomo, ma poi nella vitae nell’uso della cattedrale sono direttamente coin-volti anche l’Arciprete e il responsabile delle ceri-monie. Dalla concertazione tra queste due particirca le nuove possibilità offerte dal sistema di illu-minazione, nel 1966 si migliorò la funzionalità del-

(26)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione, documenti del 15.02.1963 - Impiantodi illuminazione particolare e artistica. Dopo la messa in fun-zione dell’impianto ci si rese conto che era necessariooperare delle variazioni che portarono ad una configura-zione di 198 proiettori e 28 carter. Dei 200 proiettori Babyse ne prevedono n. 150 di potenza 250W e 50 di potenza100W, per una potenza complessiva di 42,5 KW.

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Fig. 7. La navata maggiore verso l’altare.

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l’impianto inserendo un variatore di tensione checonsentiva la regolazione dell’intensità luminosanella navata centrale e nel transetto, utile soprat-tutto in occasione di particolari cerimonie27. Ilsecondo motivo che rese indispensabile una revi-sione dell’impianto fu nel 1968 ad ultimazione diparte dei lavori di restauro dei capitelli e dellevolte interne. L’ing. Ferrari, che tecnicamente eracolui che gestiva e si occupava degli impianti, “alloscopo di completare per le nuove zone restaurate eda restaurare del transetto e della navata centraledel Duomo” ordinò l’acquisto di “100 lampade tipoSun Flood già impiegate con risultato molto favo-revole per l’illuminazione del corpo absidale e dellecupole”28. Al corpo illuminante principale chependeva dalla chiave di volta della sola navata cen-trale erano stati montati due faretti con lampadealogene da 150 W direzionati in senso opposto, per

illuminare i capitelli29. In realtà l’intensità luminosadel corpo principale direzionato verso il basso abba-gliava l’osservatore che guardava le volte. In defi-nitiva la risposta che venne formulata fu in linea coni principi espressi dalla Chiesa che voleva una luceelettrica funzionale all’esercizio dei riti ed alla valo-rizzazione delle opere sacre. C’è una straordinariasomiglianza però tra l’effetto prodotto da quellelampade a forma tronco conica sospese nel mezzodelle campate a mezz’aria e la descrizione che vienefornita negli anni Trenta, su quale senso dovrebbeavere la luce all’interno di uno spazio architettonicogotico. La caratteristica principale della cattedrale goticaè lo slancio ascensionale dato dall’altezza maessendo una tensione che vuole parlare allo spiritoattraverso la forma costruita, tale verticalità nonandrebbe resa evidente dalla luce, ma lasciata

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Fig. 8. Compresenza di due interventi, illuminazione generale e illuminazione delle vetrate absidali.

(27)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione, documenti del 12.1966/67 - Variatoridi tensione per l’impianto d’illuminazione.(28)Archivio Architetto della Fabbrica, Ferrari da Passano,cart. Illuminazione.

(29)Dal punto di vista tecnico l’impianto era pensato sapien-temente, le lampade rivolte ai capitelli erano messe in seriecosì da garantirne una durata notevolmente maggiore rispettoalla vita media della lampada singola.

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sfumare nella penombra per suggerire l’emozione delcarattere ascensionale senza però denunciarlo allosguardo. Per mantenere fede a questo principio ilposizionamento dei corpi illuminanti doveva esseread un’altezza non molto elevata, in modo tale dailluminare lo spazio del fedele ma lasciare nell’in-determinatezza visiva la verticalità gotica e garantireil senso di misterioso e indefinito proprio di quellatipologia di spazio sacro. È certo che la scelta di col-locamento e tipologia di apparecchi creava un forteilluminamento dei primi sei metri circa dello spazioa partire dal pavimento fino alle vetrate, per lasciarepoi nell’oscurità il resto della costruzione, illu-minata dalla sola luce naturale e dalla luce diffusa.Questo impianto quindi non è stato così sostanzial-mente innovativo rispetto a ciò che doveva esserciin precedenza, si è trattato piuttosto di un adegua-

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Fig. 9. Foto di dettaglio della lampada per l’illumina-zione generale e delle sorgenti direzionate verso i capi-telli.

mento tecnologico e di progettazione controllataanche grazie alle sperimentazioni eseguite. È inte-ressante notare l’esistenza di una metodologia pro-gettuale molto legata alle tecniche dell’epoca, incui il problema dell’illuminazione venne affrontatocon un progetto che costituiva un’articolazioneorganica tra le parti della struttura architettonica edartistica, individuata in elementi artistici puntuali,come gli altari e le opere scultoree esistenti. Laconcezione sulla luce sottesa al progetto, nella rela-zione tra luce artificiale, luogo di culto e liturgia,era rimasta la stessa degli anni precedenti30.Il ventennio che va dagli anni sessanta agli anniottanta è stato un periodo di cambiamenti consi-stenti; se tra i due conflitti mondiali non fu pos-sibile proseguire lavori importanti, innovativi edonerosi per l’impiego di molte risorse nella ripara-zione dei danni post bellici, gli anni successividiedero una nuova spinta nella cura del Duomo,per le mutate condizioni sociali, economiche e poli-tiche ma anche perché si doveva far fronte ad unagravosa situazione della struttura.Nel 1963 il distaccamento di superfici di intonaconel tornacoro, suscitarono gravi preoccupazioniimponendo un lavoro di risanamento immediato.La messa in sicurezza di navata centrale, transettoed abside con reti di nylon tese da un lato all’altrogarantiva la protezione da eventuali distacchi econsentì di procedere ad un restauro sistematicodelle volte interne ed esterne senza negare la frui-zione del tempio al pubblico. L’intervento durò diecianni e fu l’occasione per eseguire interventiaccessori come la revisione dell’impianto d’illumi-nazione menzionata prima ma soprattutto fu pos-sibile approfondire le conoscenze sullo stato con-servativo delle strutture. Al termine del restaurodelle volte iniziò il lungo processo di restauro deipiloni che mostravano gravi tracce di degrado. Neglianni successivi le attività si concentrarono sulrestauro statico conservativo di ventuno piloni dellanavata centrale culminando infine, tra il 1981 ed il1984, con il restauro dei quattro piloni del tiburio. Questa lunga serie di interventi imposero la presenzadel cantiere all’interno del Duomo che sottraeva

(30) Dai ricordi dell’ing. Carlo Ferrari da Passano l’im-pianto del 1962 non fu un nuovo intervento, ma una modificadell’esistente, perciò stando a questa affermazione la posi-zione e la forma complessiva dell’impianto doveva essereprecedente e il nuovo intervento avrebbe potuto riguardarela sostituzione delle lampade e dei corpi illuminanti connuovi apparecchi dalla prestazioni migliori.

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il Duomo entro una categoria, ma andava ricercato“il genius loci del manufatto, inteso come sedimen-tazione di valori che nel corso del tempo hannocontribuito a caratterizzare il Duomo di Milano,differenziandolo da altri edifici analoghi per desti-nazione e fruizione”34. Da un punto di vista liturgico si dovevano adeguarei livelli di illuminamento ai nuovi orientamentiliturgici puntualizzati dal Concilio Vaticano II, tesia creare una più efficace partecipazione dell’as-semblea dei fedeli e a sottolineare la diversità dellecelebrazioni che scandiscono l’anno liturgico. Inoltreera necessario migliorare la visibilità di tutto l’am-biente interno, valorizzando l’articolazione spazialecostituita da una navata centrale e due laterali rac-cordate con l’altare maggiore, senza trascurare natu-ralmente le cappelle laterali disposte lungo le navateed il transetto, in cui sono collocate importantiopere scultoree e reliquie di interesse storico-reli-gioso. Da un punto di vista più artistico all’internoprevalgono opere di arte plastica, mentre sono abba-stanza rare opere figurative pittoriche, fatta ecce-zione per le pale di alcuni altari, le ante degli organie per i “quadroni” che vengono esposti fra gli inter-spazi delle colonne nella navata centrale, in occa-sione della festività di S. Carlo Borromeo (4novembre). Si intendeva inoltre rendere fruibili allavisione i capitelli dei piloni, caratteristica pecu-liare del Duomo, perennemente occultati nell’o-scurità delle volte e dall’illuminazione precedenteche, situando le sorgenti a quota inferiore a quelladei capitelli (circa 28-30 metri) ne limitavano lavisione. Inoltre gli apparecchi dell’impianto pree-sistente erano voluminose lampade a sospensione,previste per lampade ad incandescenza da 500 W,caratterizzate da bassa efficienza luminosa (rap-porto lm/W) con produzione di notevole dispersionetermica. L’analisi di questi fattori scanditi tra questioni arti-stico-architettoniche, liturgiche ed illuminotec-niche, che consentì l’individuazione dei criteri pro-gettuali adottati, manifesta la complessità dellerelazioni che si articolano nel progetto della luce per

(34) Tutti i dati tecnici e la descrizione di progetto e realiz-zazione dell’impianto, sono stati forniti dal progettista, p.i.Pierangelo Preti, che ha redatto un’accurata relazione perla ricerca “Storia della luce nel Duomo di Milano” di Fran-cesca Cremasco, effettuata durante un tirocinio coordinatodal prof. arch. Gianni Forcolini del Dipartimento INDACOdel Politecnico di Milano, e dalla dott.ssa Giulia Benatidella Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

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volta per volta diverse porzioni di spazio. Inoltre lenecessità operative comportarono la quasi totalescomposizione del presbiterio carliano (vennerimosso il coro ligneo cinquecentesco, i pulpiti, gliorgani ecc…), fornendo le condizioni ideali peraprire un dialogo con la Sovraintendenza e pro-gettare un presbiterio rinnovato, in linea con lenuove disposizioni liturgiche del Concilio VaticanoII31, conclusosi nel 196532. Questo stesso anno lecelebrazioni eucaristiche si trasferirono dall’anticoaltare collocato nel presbiterio cinquecentesco, adun nuovo altare provvisorio, posto sotto la cupola deltiburio e costruito in modo tale da essere facilmentespostato e modificato sia per necessità di cantiere,sia per adeguare forma e localizzazione ad unanuova concezione liturgica. Infatti, porre l’altarein una zona centrale e aperta su tre lati, valorizzaval’importanza dell’assemblea, aumentando la parte-cipazione tra fedeli e celebrante, elementi che for-nivano una risposta alle priorità liturgiche e simbo-liche suggerite dal Concilio Vaticano II33. Negli anni ottanta a seguito del completamento deirestauri e della progettazione del presbiterio, sicreò un clima favorevole al rinnovamento dell’im-pianto di illuminazione. L’installazione del 1962,durata per tutto l’arco temporale nel quale il Duomoconobbe questi grandi lavori, cedette il passo ad unimpianto moderno, nel quale sia l’aspetto tecno-logico degli apparecchi sia di progettazione illu-minotecnica mostravano i progressi scientifici edisciplinari della luce. L’iniziativa prese corpo nel 1986, in concomitanzacon la preparazione delle celebrazioni del VI cen-tenario della cattedrale e con un programma parti-colare sviluppato dall’Enel in quegli anni (“Lucenell’arte”) rivolto ad una riqualificazione illumino-tecnica delle opere d’arte di rilevante interesse,combinata con il risparmio energetico. Un’attenta analisi dei caratteri storici, artistici eliturgici della cattedrale fu il primo indispensabilepasso per focalizzare gli obiettivi del nuovo impiantodi illuminazione. Non sarebbe stato sufficientevalutare solo i caratteri della tipologia, collocando

(31) Il Concilio fu aperto ufficialmente l’11 ottobre 1962 eterminò il 7 dicembre 1965.(32) Per una approfondimento sugli interventi svolti inDuomo si rimanda a AA.VV., Il Duomo oggi, la Fabbrica,storia e realtà, Milano 1986.(33) E. BRIVIO, Il presbiterio del Duomo, storia e attualità,in “Civiltà ambrosiana”, n° 1, 1984.

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un luogo sacro. Tra tutti gli aspetti tecnici rimandatidi seguito, si sottolinea “la configurazione dell’im-pianto in fasi integrate di illuminazione: funzionaleo di lettura, liturgica, per le normali celebrazioni eatta ad evidenziare i segni, solenne per metteremaggiormente in risalto l’architettura della cattedraledurante le celebrazioni più importanti”35. Il coronamento di questo importante interventoavvenne in una data particolare per la storia delDuomo, ovvero per la celebrazioni del VI cente-nario. Eventi come questo manifestano come diversifattori complessi ed autonomi trovino espressione inmomenti simbolici della vita del Duomo. Dallalettura di un singolo avvenimento si aprano visionisfaccettate che mostrano come la luce nel Duomoè stata ed è per sua natura, intimamente legataall’arte e alla liturgia, alla tecnica e alla tecnologiaed è specchio dell’evoluzione del pensiero del-l’uomo.

Configurazione dell’impianto attuale

Le sorgenti luminose impiegate sono ad alogenurimetallici, individuate nelle lampade HQI di produ-zione OSRAM, con potenze di 400 W o 1000 W. Talisorgenti sono caratterizzate da una buona efficienzaluminosa (circa 90 lm/W), temperatura di colorecirca 4500 K e indice di resa cromatica (Ra– 90).Queste fondamentali caratteristiche assicurano unbuon rendimento luminoso dell’impianto per lasuperiore efficienza luminosa rispetto alle precedentisorgenti ad incandescenza, abbinata ad una ottimaresa cromatica di tutte le tonalità presenti nell’am-biente, anche in associazione con livelli di illumi-namento non particolarmente elevati. Per la navata centrale ed il transetto sono stati usatiproiettori simmetrici, dotati di sistemi ottici diffon-denti in lastra di alluminio. Gli apparecchi a proie-zione consentono un controllo pressoché perfettodel fascio luminoso emesso e assicurano costanzadegli angoli di orientamento nel tempo per mezzo diun goniometro a registrazione prefissata degli angolidi orientamento non modificabile durante le normalioperazioni di manutenzione. Tale dispositivo è incor-porato lateralmente nella staffa di fissaggio. I sistemiottici diffondenti eliminano i rischi di formazione diombre marcate o di effetti eccessivamente accentuatidi chiaro-scuro, eliminando o sfumando le ombreportate. Questi apparecchi sono posti in orizzontale

(35) AA.VV., Il Duomo oggi… cit. nota 32.

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a gruppi di 6 unità fra due colonne successive eposizionati ad una altezza di 30 metri dal pavi-mento. A tale quota, in corrispondenza delle fine-strature disposte lungo la volta, gli apparecchi sonoraggiungibili dal tetto evitando gli interventi discale e strutture necessarie alla manutenzione con-venzionale, tali da condizionare negativamente ilnormale flusso dei visitatori e dei fedeli. Gli apparecchi con lampade da 1000 W opportuna-mente occultati, sono stati impiegati per accen-tuare l’illuminazione dell’altare maggiore e del-l’ambone, oltreché a valorizzare il crocefisso ligneoposizionato al centro sopra l’altare. Anche per taliapparecchi la quota di istallazione rispetto al pavi-mento è di circa 28-30 metri. L’illuminazione delcrocefisso è stata ottenuta con l’incrocio di fasciluminosi di opposta provenienza per evidenziarela plasticità del manufatto antico. Gli apparecchiimpiegati sono di produzione Siemens appartenentialle tipologie 5NA019 1 (lampade da 400 W) e5NA014 1 (lampade da 1000 W). Solo per le navatelaterali di altezza ridotta sono stati impiegati appa-recchi a sospensione Siemens del tipo Silumaxequipaggiati con lampade ad alogenuri metallicida 400 W con portalampada laterali ceramici, col-locati al raccordo delle volte a crociera (quota degliapparecchi circa 17 metri rispetto al pavimento). Ogni apparecchio di illuminazione risulta indipen-dente e autonomo, contenendo all’interno o in affian-camento le apparecchiature elettriche ausiliarieper il funzionamento (alimentatore - accenditore -condensatori di rifasamento). La progettazione illuminotecnica intesa a indivi-duare i livelli di illuminamento, i livelli ed i valoripuntuali di luminanza ed i fattori di contrasto (cone senza contributo della luce diurna provenientedalle vetrate policrome) è stata eseguita con calco-latore Siemens Pc 16-11 ed appositi Software Silicht.I dati di “Rendering” sono stati verificati primadell’esecuzione dei lavori, attraverso l’esame ed ilcontrollo di una sezione provvisoria d’impianto cor-rispondente a due coppie di colonne successivecontrapposte. L’impianto elettrico è stato suddiviso su tre circuitidistinti (da cui la scelta del multiplo di 6 proiettorifra due colonne successive) al fine di poter disporredi tre livelli differenziati di illuminamento in fun-zione delle necessità connesse alle celebrazionidelle festività liturgiche: 1° livello di base (sempreinserito) per le visite quotidiane e le messe deigiorni feriali; 2° livello per le festività domenicali;3° livello per solennità come il Natale, la Pasqua,

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Fig. 10. Foto generale dell’interno con impianto d’illuminazione odierno.

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ecc. La possibilità di sezionare le accensioni fun-zionalmente alle reali necessità consente di ottenererisparmi gestionali sia in termini di potenza elettricaimpegnata che di maggior durata della vita media

delle sorgenti luminose. La potenza complessivainstallata con il nuovo impianto ha comportato unariduzione di circa il 30% rispetto a quella richiestadall’impianto precedente36.

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Fig. 11. Foto di dettaglio di alcune lampade impiegate.

(36) Cit. nota 34.

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