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Carlo Enrico Roggia La lingua della poesia nell’età dell’illuminismo Carocci editore
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La lingua della poesia nell'età dell'illuminismo

Feb 20, 2023

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Fabrice Brandli
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Page 1: La lingua della poesia nell'età dell'illuminismo

Carlo Enrico Roggia

La lingua della poesianell’età dell’illuminismo

Carocci editore

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1a edizione, agosto 2013© copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Progedit Srl, Bari

Finito di stampare nell’agosto 2013dalla Litografia Varo (Pisa)

ISBN 978-88-430-0000-0

Riproduzione vietata ai sensi di legge(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,compresa la fotocopia, anche per uso interno

o didattico.

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La lingua della poesianell’età dell’illuminismo

Ce sont ici les poètes, me dit-il; c’est-à-dire ces auteurs dont le métier est de mettre des entraves au bon sens, et d’accabler la raison sous les agréments.

Montesquieu, Lettres persanes

1.1. Il costituirsi di una lingua poetica come lingua speciale della scrittu-ra in versi va annoverato tra i frutti non secondari di quel “rinnovamen-to linguistico” dell’italiano autorevolmente descritto cinquant’anni fa daFolena per il Settecento 1. Naturalmente una separazione tra lingua del-la poesia e lingua della prosa è endemica nella nostra tradizione, comefu riconosciuto per tempo e autorevolmente codificato nel corso del Cin-quecento: ma il processo di isolamento della lingua poetica conosce nelXVIII secolo un’accelerazione particolare, dovuta insieme al ritrarsi dellalingua extrapoetica dai territori dell’aulicismo verso un livello medio dicomunicazione, e a un parallelo processo di «sublimazione» (Nencioni)cui le poetiche neoclassiche sottopongono la lingua della poesia. NelloZibaldone leopardiano un famoso appunto coglie questa dinamica da di-stanza ravvicinata (12 settembre 1823) con penetrante esattezza:

Ho già detto altrove che non prima del passato secolo e del presente si è formatopienam. e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile) poetico italiano (di-co il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s’è accostato al Virgiliano,vero, perfetto e sovrano modello dello stile propriamente e totalmente e distin-tissimamente poetico; ha perduto ogni aria di familiare; e si è con ben certi li-miti, e ben certo, nè scarso, intervallo, distinto dal prosaico. O vogliamo dir cheil linguaggio prosaico si è diviso esso medesimo dal poetico. Il che propriamen-te non sarebbe vero; ma e’ s’è diviso dall’antico; e così sempre accade che il lin-guaggio prosaico, insieme coll’ordinario uso della lingua parlata, al quale ei nonpuò fare a meno di somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allonta-nando dall’antichità. I poeti (fuorché in Francia) serbano l’antico più che pos-

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1. Cfr. Folena (1983a). Di «specializzazione della lingua poetica» parla per il Sette-cento Coletti (1993, p. 195); per la separazione tra lingua della poesia e lingua della prosanella tradizione italiana cfr. più in generale Serianni (2009).

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sono, perch’ei serve loro all’eleganza, o dignità ec. anzi hanno bisogno dell’an-tichità della lingua. [...] Del resto il linguaggio e lo stile delle poesie di Parini,Alfieri, Monti, Foscolo è molto più propriam. e più perfettam. poetico e distin-to dal prosaico che non è quello di verun altro de’ nostri poeti, inclusi nomina-tamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli altri cheli somigliano, e per l’uso de’ poeti di questo e dell’ultimo secolo, l’Italia ha og-gidì una lingua poetica a parte, e distinta affatto dalla prosaica, una doppia lin-gua, l’una prosaica l’altra poetica, non altrimenti che l’avesse la Grecia, e più chei latini (Zib 3416-3419).

La storia della lingua non ha in genere concesso molto all’analisi delle di-namiche della lingua poetica settecentesca, avendo buone ragioni perconcentrare le proprie energie sulla componente inversa del movimen-to, quella appunto del riflusso dal letterario, in cui si situano le svolte piùpropulsive e feconde del Settecento linguistico. Il linguaggio poetico èin genere guardato dal punto di vista della permanenza e della conser-vazione dell’antico, provate dalla conservatività fonomorfologica (peral-tro relativa e niente affatto puristica, come hanno mostrato alcuni con-tributi di Luca Serianni) 2 e soprattutto dal persistente antirealismo, chesi traduce in sostituzione sinonimica o perifrastica dei termini concreti erealistici, in linea con i canoni della continiana “funzione Petrarca”. Pervalutare l’impatto dei Lumi sul linguaggio poetico si guarda quindi so-prattutto all’apertura lessicale di fatto nuova, indice di un ampliamentotematico, e di un contrastato sforzo di avvicinamento della poesia allarealtà della lingua e della società del tempo. Il che è naturalmente vero,ma in questa direzione la poesia non poteva dare molto: ogni acquistolessicale nel senso del concreto e del prosastico era possibile solo inquanto l’insieme si faceva più aulico, ed è proprio in quest’ultima dire-zione che andrebbe semmai cercato, seguendo l’indicazione di Leopar-di, l’acquisto più solido del rinnovamento settecentesco della lingua poe-tica. Il vettore di tale rinnovamento era dunque orientato in senso op-posto per la poesia e per la prosa: si potrebbe dire che tanto questa an-dava democratizzandosi quanto quella inseguiva un ideale aristocratico.

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2. Cfr. in particolare Serianni (2002, p. 227): «I poeti del tardo Settecento [...] ar-caizzano (benché non sempre né sistematicamente) anche dal punto di vista grammati-cale. Ma spesso vanno oltre: la consuetudine con la grande lingua poetica trecentesca nonè quella che aveva il Bembo; soprattutto, manca lo spirito emulativo e la cautela nel mo-dificare il canone tràdito che era propria dei cinquecentisti. Il risultato è che si diffondo-no istituti linguistici che hanno carattere aulico (perché ricorrono tipicamente nella poe-sia elevata) e che presentano una patina arcaizzante, ma che in realtà erano sconosciuti al-l’italiano antico».

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In generale un tale processo di specializzazione si interpreta facil-mente nel quadro dell’arricchimento e diversificazione funzionale chel’italiano conosce nel corso del Settecento, secolo in cui «si “libera” [...]la gamma di possibilità dell’italiano rimaste finora seppellite sotto il fi-lone della lingua letteraria, e cominciano a delinearsi le diverse varietàdella lingua» (Matarrese, 1993, p. 9). Nondimeno una tale forbice lingui-stica costituisce di per sé un problema storiografico interessante, e nonsolo dal punto di vista oggettivo della lingua, ma anche (se non soprat-tutto) da quello soggettivo della mentalità o “coscienza linguistica” chepresuppone e stimola. Perché di fatto tale sublimazione non può impu-tarsi alle sole correnti neoclassiche di fine secolo, ma anzi vi collaboratutto il Settecento e gli impulsi più vivaci in questo senso vengono pro-prio dall’interno degli ambienti illuministi e riformatori: curioso para-dosso, in fondo, per una cultura che faceva della divulgazione e della so-cializzazione del sapere un suo caposaldo.

1.2. Prendiamo per cominciare un caso insieme particolare ed esempla-re di questa vicenda, scegliendolo tra i nomi citati da Leopardi. Nel Gior-no di Parini, com’è noto, la scelta linguistica è largamente condizionatadall’adozione del modello eroicomico, basato proprio sull’applicazionedi una forma nobile a un contenuto basso ad essa “sconveniente”. Dal-la distanza reciproca tra questi due termini scaturiscono l’effetto paro-dico e il riso: maggiore distanza (maggiore “sconvenienza”) fa maggioreeffetto comico, come quando nella Batrachomyomachia il formulario del-l’Iliade è applicato alla guerra tra i topi e le rane, per cui opportunamenteGérard Genette ha usato per questo tipo di testi la metafora del voltag-gio (differenza di potenziale) 3. È attraverso questo meccanismo, dunque,che il sublime stilistico e un classicismo formale spinto alle estreme con-seguenze penetrano in un poemetto di critica sociale e di ispirazione il-luminista e riformatrice qual è il Giorno. Parini ne è spinto ad appro-priarsi di stereotipi tematici e linguistici propri dell’epica (la vestizionedelle armi, la battaglia, il banchetto degli dei, e via dicendo), della poe-sia didascalica latina e volgare, non senza un costante riferimento, comeha mostrato Marco Tizi, al genere encomiastico consacrato a modello dalsuccesso editoriale dei Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori del1757: la scelta lessicale e soprattutto sintattica è conseguente, anzi il gio-

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3. Cfr. Genette (1997, pp. 151 ss.), studio che peraltro ignora il Giorno, arrestandosial Rape of the Lock di Pope (1712-14): sull’eroicomico pariniano cfr. invece il saggio in ap-pendice a questo volume.

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co dell’ipercaratterizzazione spinge addirittura a superare i modelli sulterreno dell’elevatezza stilistica e del latinismo 4.

Del resto, a ben vedere, l’applicazione distorta e ironica di tali mo-delli letterari all’aristocrazia contemporanea non avviene senza una seriedi infrazioni rispetto agli stessi canoni dell’eroicomico: procedimentoquantomai sintomatico della complessità e dello spessore, anche ideolo-gico, dell’aulicismo pariniano. Ad esempio: la sconvenienza eroicomicaè tendenzialmente anche sconvenienza sociale, si vuole cioè che le vestieroiche siano calate su personaggi borghesi o popolari (il Lutrin di Boi-leau narra in toni omerico-virgiliani di una baruffa tra il tesoriere e il can-tore della Sainte-Chapelle; la Secchia rapita è un’epopea di osti, macellaie cavalieri dai nomi improbabili, in cui il ruolo di Elena è coperto da unasecchia); ma il Giorno, al contrario, applica lo schema a personaggi diestrazione nobilissima, proprio a quei personaggi cioè che la gerarchiatradizionale vorrebbe adeguati allo stile sublime e ai temi epici o tragici.Questa semplice trasformazione si traduce ipso facto in giudizio su quel-la classe sociale, non più all’altezza delle insegne di classe dirigente chela cultura tradizionale le aveva foggiato: l’alterità contenuto-forma si ca-rica così di valenze inedite. Più in generale: se di norma il cortocircuitoeroicomico brucia nella scintilla del riso entrambi i poli che mette a con-tatto (la forma aulica è trascinata verso il basso dalla materia cui si ap-plica, e l’intera operazione si risolve in presa in giro di uno stile a scopiludici) 5, nel Giorno le cose vanno diversamente: qui non sono certo lalingua o lo stile classicheggianti ad essere colpiti dalla parodia, ma quel-lo che in linguistica si chiama “referente”, ossia la società contempora-nea. L’altro polo, il classicismo formale e linguistico, diventa invece por-tatore (per la grande tradizione di civiltà che vi si è espressa, per la di-mensione fabrile e operativa che presuppone, per la sua aspirazione alconcluso e al definitivo) di una sua intrinseca carica morale, ed è per co-sì dire il punto di osservazione da cui Parini si pone per giudicare larealtà contemporanea, e insieme l’unità di misura di questo giudizio.

Questa ri-motivazione della sconvenienza eroicomica è nuova nellastoria del modello, apporto di un illuminismo fortemente nutrito diumanesimo. Si può affermare che l’opposizione contenuto-stile è la for-ma peculiare che nel Giorno assume la tipica frizione illuminista trarealtà e raison; sennonché in quest’ultimo polo confluisce in modo or-ganico un culto per la poesia come valore in sé e come veicolo di valori,

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4. Cfr. Tizi (1996, pp. XLI-CIV). 5. Cfr. Genette (1997, p. 161).

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in cui è di fatto riconosciuta l’essenza stessa del classicismo: «eternità sucui viene commisurata la miseria del presente» (Isella, 1984, p. 76). Nonsi tratta con questo di sminuire la modernità degli spunti filosofici e diriflessione sociale ed economica presenti nel Giorno, ma di sottolinearele premesse da cui scaturisce la spinta a un’elaborazione formale per co-sì dire autonoma, un tutt’uno con l’intransigenza morale del poeta giu-dicante che, nata dall’esigenza di restituire alla poesia una funzione spe-cifica all’interno dell’avanguardia culturale, collega in un’arcata unitariail travagliato percorso redazionale del poemetto e del suo autore dai Lu-mi al neoclassicismo.

1.3. Si tratta ora di capire in cosa consista la particolarità del caso Pari-ni, e in cosa la sua esemplarità, rispetto alla particolare congiuntura sto-rico-linguistica di cui ci occupiamo. Proveremo dunque ad allargare ilcerchio, senza tuttavia allontanarci troppo dall’ambiente lombardo e set-tentrionale che costituisce l’area più propulsiva e aperta all’Europa delnostro illuminismo.

Nella prefazione al primo volume del suo Settecento riformatore,Franco Venturi sentiva il bisogno di giustificarsi per «aver scritto un li-bro sull’epoca centrale del nostro Settecento [...] senza occupar[si] nédi Algarotti, né di Goldoni e neppure di Parini» (Venturi, 1969, p. XV).Ne uscì un grande affresco del secolo visto sotto il profilo dei program-mi e delle iniziative di riforma e di razionalizzazione della realtà socio-politica, insomma dell’aspetto pragmatico, applicativo, della cultura set-tecentesca. Ci si può chiedere ora se le linee di quel grande affresco na-to deliberatamente fuori dalla letteratura, e con l’implicita constatazio-ne che la letteratura strettamente intesa era elemento più frenante chetrainante dell’innovazione culturale settecentesca, non possano servireper la letteratura stessa, aiutando a leggere la storia delle evoluzioni for-mali e linguistiche della poesia del Settecento. La domanda da porsi saràallora la seguente: quali sono i percorsi dell’innovazione e della criticaalla tradizione nella poesia del Settecento? Il che equivale a chiedersinon tanto come e quando i poeti abbiano iniziato a trattare temi di at-tualità e di riforme, ma piuttosto come sia evoluta la poesia stessa neisuoi istituti specifici formali e teorici sotto la spinta del nuovo spirito cri-tico: non tanto di letteratura delle riforme, insomma, si dovrà trattare,quanto di riforma della letteratura.

L’idea di riformare la poesia come istituzione, facendola uscire dauna situazione di stallo sempre più evidente e che rischiava di condan-narla alla marginalità culturale, gode di una certa diffusione dopo la

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metà del secolo nella cultura più avanzata6. L’uso della parola non è ar-bitrario: sono gli stessi protagonisti a servirsene, consapevoli o meno diinserirsi con la loro iniziativa nel grande moto rinnovatore del secolo.Così lo scopo di «riformare gli abusi introdotti nell’Italiana Poesia»7 fualla base dei già citati Versi sciolti, stampati a Venezia nel 1757 e poi piùvolte fino ai primi dell’Ottocento, uno dei libri che fece parlare di sé ametà del secolo. Iconoclasta più nella forma provocatoria che nella so-stanza, il libro di Bettinelli può essere un buon punto di partenza per va-lutare le direttrici di questa riforma della poesia.

Com’è noto, il libro è diviso in due: a una pars destruens affidata al-le dieci lettere di Virgilio agli arcadi di Roma seguono i testi che inten-dono mostrare con l’esempio come si possa essere a un tempo modernied eccellenti. Le Lettere virgiliane sono un attacco nei confronti di unapoesia formalista e incapace di rinnovarsi, schiacciata dal peso di una tra-dizione superstiziosamente elevata a norma di ogni scrittura. La via d’u-scita era sintetizzata al termine della lettera IX in una Scelta e Riforma[appunto] de’ Poeti Italiani per comodo della vita e della Poesia: una dra-stica potatura del canone a beneficio di una maggiore libertà di movi-mento, che nell’edizione veneziana era commentata da una incisione con«la Poesia coricata, ed oppressa da lire, stromenti, e Libri in gran nu-mero, e di gran mole: vedesi uno coronato di Alloro [Virgilio?], che get-tando all’aria que’ Volumi cerca di sollevarla» 8. Le vestali di tale cultodel passato, Arcadia e Crusca, erano legate nella condanna: «L’Arcadia

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6. In continuità con istanze arcadiche, giusta l’impostazione storiografica di Fubini(1975, pp. 335-425). Lo stesso termine riforma ebbe ampio corso in Arcadia per indicare larestaurazione della poesia dal cattivo gusto marinista, ad esempio nella Perfetta poesia diMuratori (cap. I, 4, ma passim: cfr. Puppo, 1975, p. 32). A metà Settecento, in ambito let-terario, la riforma per eccellenza è invece quella teatrale, metastasiana, ma soprattutto gol-doniana (sistematico ad esempio l’uso in questo senso del Baretti nella “Frusta lettera-ria”). Ma la continuità di parole e (almeno in parte) schemi concettuali poteva coprire po-sizioni sostanzialmente di rottura: significativo, ad esempio, che il giovane Pietro Verri fa-cesse della «lodevol riforma» del teatro un cavallo di battaglia del proprio antitradizio-nalismo («L’impostura de’ vecchi pedanti è ormai mercanzia di poco spaccio», scrivevanel 1754 presentando la traduzione di Maria Vittoria Ottoboni del teatro di Destouches)e di un’idea socialmente attiva della letteratura (Goldoni e Molière avevano «riscossi mol-ti dalla loro oziosa sofferenza» e mostrato «anche al popolo che si può ridere con qual-che profitto»: cfr. Venturi, 1969, p. 662, da cui traggo le citazioni).

7. Cornaro, Lettera di Filomuso Eleuterio, p. 19. La lettera, sorta di commento-in-troduzione al libro di Bettinelli, fu riproposta davanti alle Lettere virgiliane nella secon-da edizione dei Versi sciolti (Giuseppe Marelli, Milano 1758). Sul patrizio veneziano An-drea Giulio Cornaro e sul ruolo da lui svolto nell’iniziativa editoriale dei Versi sciolti, cfr.la documentata introduzione di A. Di Ricco ai Versi sciolti (pp. VII-XL).

8. Lettera di Filomuso Eleuterio, p. 28.

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stia chiusa ad ogn’uno per cinquant’anni, e non mandi Colonie, o di-plomi per altri cinquanta. Colleghisi intanto colla Crusca in un riposo adambedue necessario per ripigliar fama, e vigore» (Versi sciolti, p. 66).

Gli umori antitradizionalisti sono evidenti. Per questo l’iniziativapiacque ai Verri (ma anche a Voltaire), che in Bettinelli videro un allea-to nella critica alla tradizione retorica e un anticipatore della loro rinun-zia alla Crusca. In una lettera del 1767 al fratello, Pietro si esprime in ter-mini significativi:

Io attualmente lavoro l’estratto de’ versi sciolti de’ tre Poeti, Lettere di Virgilioe Lettere Inglesi, tutta roba buona, raccolta in un volume che i pedanti vorreb-bero sepellire per sempre e ch’io voglio far suonare tant’alto quanto potrò: bi-sogna preparare una generazione per i posteri migliore della nostra, e ciascunovi travagli a misura delle proprie virtù e forze (Viaggio a Parigi e Londra, p. 436).

Ma già nel “Caffè”, di cui Bettinelli fu vicino a diventare uno dei colla-boratori, risuonano le lodi delle Virgiliane («uno de’ più benemeriti libriche da molto tempo siansi fatti», Pietro; «veramente pregevolissim[a]opera e scritt[a] con una illuminata libertà», Alessandro) 9.

Sennonché l’istanza di rinnovamento espressa da Bettinelli eratutt’uno con un ideale classicista, come denuncia la forma stessa delpamphlet, che attraverso la finzione delle lettere di Virgilio chiama di fat-to la poesia italiana a rispondere dei propri “abusi” di fronte al tribuna-le dei greci e dei latini («Costor [i poeti italiani] ci trattano con disprez-zo, non fan conto di Greci, nè di Latini, e dicono apertamente di voleroscurare la nostra fama, e scuotere il giogo dell’antichità per tanti seco-li, e da tante nazioni portato», Versi sciolti, p. 1). E anche la pars con-struens non si espone di meno, proponendo all’imitazione versi scioltiscopertamente emulativi, soprattutto nella sintassi, dell’esametro latino:non a caso, nelle proprie Opere del 1880-82 Bettinelli si appellerà «agli

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9. P. Verri, Dell’onore che ottiensi dai veri uomini di lettere (Caffè, p. 287); A. Verri,Dei difetti della letteratura e di alcune loro cagioni (Caffè, p. 542). La recensione di Pietronell’“Estratto della letteratura europea” alla ristampa dei Versi sciolti (accresciuta delleLettere inglesi, in origine composte per il “Caffè”) definisce il libro una delle opere «piùbenemerite e luminose che siano uscite mai sulla letteratura italiana [...], piene di utilitàe di filosofia». Tra le parti presentate sono le «sagge riforme» che chiudono le Virgiliane,perché «è un privilegio delle nazioni barbare quello di credersi perfette e non bisognosed’alcuna riforma» (t. II, apr.-giu. 1767, pp. 28 ss.; e t. III, lug.-sett. 1767, pp. 161 ss.: citazio-ni da Venturi, 1987, p. 628). Sui rapporti tra Bettinelli e gli intellettuali del “Caffè” cfr. Bo-nora (1953), Fabrizi (2008, pp. 39-42), oltre al citato lavoro di Venturi. Anche il ruolo svol-to da Pietro Verri come curatore della prima stampa milanese dell’Entusiasmo è indicati-vo della collaborazione instauratasi.

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amici più intimi di Virgilio» (si ricordi l’appunto leopardiano citato inapertura) per giustificare «certe maniere di dire, certe trasposizioni, cer-ti vocaboli non volgari» che si trovano nei suoi sciolti 10.

L’entusiasmo dei Verri per i Versi sciolti stupisce il lettore modernoche confronti, poniamo, i versi di Frugoni con le prose del “Caffè”. Puòanche darsi che alcuni versi dei tre autori potessero passare per poesia“di pensiero”, ma non poteva certo sfuggire il carattere elitario e l’ol-tranza classicista che ne costituiva la cifra più evidente, né il primato del-lo stile, rivendicato apertamente nelle Virgiliane: «Pur nondimeno tuttoperdonasi, quando trionfi la Poesia dello stile. Lo stile elegante, chiaro,armonico, sostenuto, questo è ciò che ricopre ogni altra iniquità d’unpoeta, poiche lo stile è quel poi finalmente che fa un poeta» (Versi sciol-ti, p. 11); «Lo stile delle parole vi salverà. Questa è l’impronta, che fa pas-sare con sicurezza la memoria degli scrittori con le loro fatiche fino al-l’ultima posterità» (ivi, p. 45), affermazioni che paiono fare a pugni conil famoso motto «cose non parole» adottato dal “Caffè”, ma che invecevi collimano più di quanto non sembri, come vedremo 11. Intanto è ne-cessario fermare l’attenzione su un altro aspetto della questione non pri-vo di implicazioni linguistiche.

1.4. Uno dei mali più evidenti della poesia italiana era la sua inflazione.L’inclinazione al verso degli italiani era diventata un blasone nazionale,al quale il Candide non aveva risparmiato una frecciata en passant («C’é-taient des fêtes, des carrousels, des opéra buffa continuels – dice la vec-chia ricordando le proprie nozze da principessa –; et toute l’Italie fitpour moi des sonnets dont il n’y eut pas un seul de passable»). Il «poe-tico libertinaggio di verseggiare» riprovato da Alessandro Verri nel“Caffè” 12 è anche il punto di partenza delle Virgiliane: «Ogn’italiano,che scende tra noi da alcun tempo in qua, parla di versi, recita poemet-ti, è furibondo amatore di rime, e recasi in mano, a dispetto di tante leg-gi infernali, o tometto, o raccolta, o canzoniere, o sol anche Sonetto, e

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10. S. Bettinelli, Opere, t. VII.11. Per l’interpretazione di questo passo delle Virgiliane, cfr. Jonard (1963, pp. 186 ss.).

La preoccupazione antiformalistica per i contenuti (le cose) rispetto alla forma che li vei-cola (le parole) ricorre spesso nel “Caffè”, fino a diventare una specie di formula riassun-tiva della polemica linguistica del gruppo dei Pugni (cfr. Fabrizi, 2008, pp. 25-36). Il nes-so cose-parole ha peraltro un significato più vasto, come in parte vedremo in seguito; co-stituisce uno dei temi più dibattuti dei Lumi, con punte (ad esempio Diderot) di radica-le problematizzazione: cfr. Dardano Basso (1984, pp. 5-20), Proust (1967).

12. Dei difetti della letteratura e di alcune loro cagioni (Caffè, p. 549).

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Canzone, che vantasi d’aver messa in luce, benche a tutt’altro mestierfosse nato» (Versi sciolti, p. 1).

La positiva opera di divulgazione svolta dall’Arcadia nel formare unpubblico nazionale per la poesia, nel diffondere l’italiano nelle periferieculturali, si basava su un’idea di poesia come rito sociale, la cui produ-zione, semplificata in omaggio alle regole razionaliste del “buon gusto”,era resa accessibile a un vasto pubblico grazie alla priorità del fatto tec-nico (le regole) e dell’imitazione: quando la critica riformista protestacontro questi vincoli astratti intende insieme colpire i fondamenti di unapoesia alla portata di tutti, e come tale votata alla mediocrità 13. Non so-lo infatti tanta inflazione di poeti rappresentava un ingiustificabile spre-co di energie intellettuali, e un indice di arretratezza culturale, ma finivaper screditare l’istituzione stessa, privandola di ogni difendibilità difronte alle istanze della nuova cultura utilitarista: «Questo gran numerodi verseggiatori, adunque – questa volta sono parole di Parini –, è la ca-gione per cui da molte altronde savie persone viene in sì piccol conto te-nuta la poesia» (Discorso, p. 161). Di qui la duplice portata delle prese diposizione contro le istituzioni che a vario livello erano il supporto a unatale diffusione: opera di svecchiamento culturale, parallela alla promo-zione dei saperi tecnico-scientifici e alla mobilitazione della cultura in-torno ai temi pratici delle riforme, ma anche di igiene nei confronti ditroppa pseudopoesia, igiene necessaria proprio a ristabilire dignità eruolo sociale della poesia “vera”. Si trattava in definitiva, con le paroledel Cornaro, di «diminuire il numero de’ Poeti e de’ Versi per farne sor-gere di buoni, e che nuove e poetiche cose producano».

Così Alessandro Verri prende posizione nel “Caffè” contro le trop-pe accademie italiane (sarcasticamente elencate: Torbidi, Addormentati,Infernali, Lunatici, Insensati, Fumosi...), distinguendo l’utilità di quellescientifiche dall’inutilità o peggio di quelle poetiche sulla base delle dif-ferenze specifiche dei due saperi:

Gli uomini uniti per raccogliere fatti, rischiarare la storia, investigare in dettagliola natura, cose tutte che dal mecanismo della industria dipendono e dalla freddasagacità, possono esser utili gli uni agli altri; e la lor opra comune può dar urtoalle scienze. Ma non così dov’entra il sentimento, il sublime, il genio. Ognuno intali arti ha il suo pensare, il suo proprio sentire. Esse non si raffinano, non si sol-levano che per un caldo ardire, et ardire proprio, non acquisito (Caffè, p. 550).

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13. Sintomatiche le parole di Alessandro Verri contro gli improvvisatori nel citato ar-ticolo del “Caffè”: «Questo è un gran capitale d’ingegno che spendiamo in frivolità, si-mili ad un gran maestro di musica, che potendo fare delle eccellenti opere, non si dia chea comporre minuetti ed arie per li brindisi» (ibid.).

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Più lapidario Bettinelli: «Le Accademie piu non ammettano fuor che co-loro, che giurino legalmente di voler esser mediocri tutta la vita» (Versisciolti, p. 66). Contro l’insegnamento della poesia nelle scuole protestaParini:

Le scuole pubbliche istesse contribuiscono a disonorare la poesia. Non conten-to, chi lor presiede, d’insegnar male le arti che servir debbono d’introduzione alviver civile, si sbraccia nel volere che gli scolari diventino poeti. E perché que-sto mai? E a che può bisognare nel mondo ad un giovine un’arte ch’è di puropiacere? (Discorso, p. 161).

Bettinelli: «Non si mettano i giovani allo studio di Poesia come le greg-ge. Un di cento si coltivi»; «Non usurpino piu le scuole i talenti dal Cieldestinati alla Milizia, all’Aritmetica, ed all’Aratro» (Versi sciolti, p. 65).Altro obiettivo polemico (che ispira anche le satiriche Lacrime in morted’un gatto promosse dai Trasformati) sono le raccolte poetiche. Betti-nelli: «Pongasi Dazio su le Raccolte per Nozze per Lauree ec. Un tantopaghi lo Stampatore, un tanto il Raccoglitore, un tanto il Poeta pro rata»(Versi sciolti, pp. 66-7; risparmio varie possibili citazioni dal Discorso pa-riniano e dal “Caffè”).

La nuova idea di poesia è selettiva, dunque aristocratica: «[la poe-sia] di pochi esser dee per poter esser gentile, ed illustre. Il fuoco poeti-co sempre fu sacro, e a pochissimi confidato come quello di Vesta» (Ver-si sciolti, p. 52). Tutta la cultura più aggiornata avrebbe potuto ricono-scersi sulla base di comuni radici empiriste nell’affermazione parinianache «non ognuno può esser poeta, come ognuno può esser medico o le-gista». Il poeta infatti «dee aver sortito dalla natura una certa disposi-zione degli organi e un certo temperamento, che il renda abile a sentirein una maniera, allo stesso tempo forte e dilicata, le impressioni degli og-getti esteriori» (Discorso, p. 161) 14. Così le estetiche empiriste venivano a

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14. Cfr. anche la prolusione pronunciata il 6 dicembre 1969 per l’insediamento nelleScuole Palatine: «Quell’estro, quell’entusiasmo, quel genio finalmente, sentito assai meglioche dai filosofi definito, si va lungamente preparando nelle segrete officine della natura,finchè, o per opera di mille impercettibili combinazioni da se medesimo prorompe, o perindustria, che vi si applichi, vien suscitato» (Prose II, p. 306), dove pure è notevole la pre-cisazione relativa all’industria. Sulle posizioni degli uomini del “Caffè” basti rinviare al pas-so già citato di Alessandro Verri sulle accademie, che continua: «Tutti i grandi uomini han-no composte le loro massime opere con qualche sorta di mistero. [...] I più grandi uoministanno da sé» (Caffè, p. 551); cfr. inoltre P. Verri: «colui che, assistito dalla natura di un’a-nima più elevata ed una più fertile immaginazione, esercita una di quelle che con univer-sale vocabolo chiamiamo belle arti, intraprenda ed ardisca, né tema i difetti servilmente,

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offrire una legittimazione filosofica sul fronte della guerra alla poesia dimassa e ai “versificatori”, ma almeno in Parini un tale apporto della fi-losofia non fa che innestarsi su quella concezione, intrinsecamente elita-ria, della poesia come «esperienza assoluta» (Isella, 1984) di cui si è det-to e che in lui è veramente un primum. Un tale senso dell’autonomia edella selettività della poesia, nutrito oltretutto di senso agonistico nellaricerca di una legittimazione di fronte all’utilitarismo montante (unapreoccupazione che si affaccia spesso negli scritti del Parini), non pote-va che tendere anche linguisticamente verso l’alto 15.

Ma erano in generale la nuova idea del poeta come uomo d’eccezio-ne e l’incipiente percezione dell’autonomia del bello (una delle conqui-ste del pensiero settecentesco) che tendevano naturalmente a tradursi inelezione formale e linguistica. Nella sua lettera Cornaro lamentava nona caso che la poesia fosse divenuta «commune al volgo, alle Femmine,ed a qualunque sorta di gente ignorante, e stolta» da «sublime e nobile»qual è di sua natura. E anche la proposta dello sciolto, che «niente ha perse stesso di dilettevole, e che alletti e trattenga, se non quanto riceve dal-la nobiltà, e vaghezza delle immagini, dalla forza e vigore de’ sentimen-ti, dalla sceltezza delle parole, e dal giro e profluvio [...] del ragionare»,si giustifica in questi termini, era l’indicazione dello stile difficile comevia per uscire dalle secche dell’Arcadia: solo «quando sieno essi [i gio-vani, alla cui educazione è destinata la raccolta] accostumati ad una Poe-sia vera e nobile, ed in essa riescano, potranno poi passare francamentead usare la rima, che maggior pregio, ornamento, e diletto aggiungerà al-li loro componimenti, quando siano veramente Poetici» 16.

1.5. I temi di tale “riforma” si intrecciano con quelli di una riflessione fi-losofica intorno al proprium della poesia, a sua volta un filone della piùampia scoperta dell’autonomia dell’estetico che percorre il secolo, se-condo una costante della mentalità illuminista bene illustrata da Cassi-rer, per cui istanze conoscitive e analitiche e istanze riformiste (applica-tive) non sono in essa che manifestazioni complementari e interdipen-denti del principio assolutamente unitario che è la ragione. La stessa so-stituzione di una gnoseologia dell’a priori con una dell’a posteriori, mo-dellata sulla fisica newtoniana, determina infatti tanto la critica alle re-

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ma secondi quel caldo genio che lo agita e vada con una sorta di feroce talento a carpir lebellezze dell’arte» (Ai giovani d’ingegno che temono i pedanti, in Caffè, p. 393).

15. Cfr. ancora Isella (1984, p. 74).16. Lettera di Filomuso Eleuterio, pp. 3-5. Cornaro svolge comunque idee di Bettinelli

(cfr. Di Ricco, 1997, pp. XXIII ss.).

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gole astratte e all’autorità della tradizione (tipiche forme dell’a priori),quanto la dimensione progettuale e applicativa della ragione: che a suavolta altro non è che lo sforzo di adeguare la realtà al proprio essere na-turale, scoperto dall’analisi sotto le distorsioni introdotte dall’ignoranzae dal pregiudizio.

Questo nesso si coglie bene in uno dei testi più citati nei paragrafiprecedenti, ossia il Discorso pariniano: testo tutto giocato sui temi del-l’utilità e della decadenza della poesia, che tuttavia si apre su un robustoelogio dello «spirito filosofico» che in tutta Europa spingeva al progres-so parallelamente le scienze e le arti 17:

La poesia medesima [...] ha nuovi lumi acquistati dallo spirito filosofico, e co-mechè abbia per una parte perduti i pomposi titoli, che non solo i poeti ma imaggiori filosofi ancora donati le aveano, di celeste, di divina, e di maestra ditutte le cose, ha nondimeno ricevuto dall’altra un merito meno elevato, a dir ve-ro, ma più solido e più certo (Discorso, p. 153).

È nell’indagine sul proprio specifico che la poesia poteva trovare le ra-gioni del proprio esistere e della propria necessità da opporre alle istan-ze utilitarie: si può dire che il diagramma tratteggiato da Leopardi nelloZibaldone non sia altro che il risvolto linguistico di tale scoperta.

Com’è noto, le basi di tale riflessione filosofica sono essenzialmenteempiriste: per gli illuministi italiani si trattò soprattutto dell’empirismolockiano nella declinazione che ne diedero l’estetica francese (Du Bos,Batteaux) e il sensismo di Condillac 18, un complesso di teorie e idee, noncerto unitario, sebbene convergente su alcuni principi basilari, che da uncerto punto divenne una sorta di patrimonio comune. Le ricadute lin-guistiche di tale teoria sono per noi del massimo interesse. Possiamo iso-lare tre punti, che svilupperemo nella restante parte di questo saggio.

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17. Vero topos illuminista, su cui cfr. l’analisi documentatissima di Dardi (1996). Si ve-da anche P. Verri: «Lo spirito filosofico s’è dilatato oltre i confini della fisica, egli reggeed anima l’eloquenza, la poesia, la storia, le bell’arti tutte in somma; il cuore umano ed iprincipii della sensibilità sono alfine più conosciuti di quello che in prima non lo eranoed il senso della maggior parte degli Europei è reso molto più squisito e dilicato di quel-lo che da lungo tempo non lo sia stato giammai» (Pensieri sullo spirito della letteratura d’I-talia, in Caffè, p. 218).

18. Le opere principali a cui si fa riferimento sono le Réflexions critiques sur la poë-sie et sur la peinture di Du Bos (1719), Les Beaux Arts réduits à un même principe di Bat-teaux (1746), l’Essai sur l’origine des connoissances humaines di Condillac (1746). Sulla dif-fusione in Italia delle teorie del Du Bos (e più in generale delle idee estetiche francesi) cfr.Jonard (1963); per Parini resta ancora fondamentale Spongano (1969).

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a) Sostanza della poesia è l’immaginazione. Le parole sono segni susci-tatori di idee e la poesia è, con definizione di Parini, «l’arte d’imitare odi dipingere in versi le cose in modo che sien mossi gli affetti di chi leg-ge od ascolta, acciocchè ne nasca diletto» (Discorso, p. 154). b) Il linguaggio poetico conserva tratti tipici di forme primitive di co-municazione, in cui erano in primo piano i valori dell’immaginazione ri-spetto a quelli della razionalità discorsiva.c) È possibile, tramite un’analisi che potremmo definire psicolinguisti-ca (che interpreta alla luce della psicologia empirista le forme della co-municazione poetica), ricostruire sotto forma di regole di stile i modi lin-guistici di questa conservazione.

Dal primo punto vengono almeno due conseguenze importanti. Pri-mo: se il piacere estetico deriva «non dall’opinione degli uomini, ma dafisiche sorgenti» (Discorso, p. 155), è possibile sostituire la precettistica apriori delle poetiche tradizionali con una stilistica physico more demon-strata, che è quella annunciata al punto c) e su cui torneremo 19. Secon-do: se il proprium della poesia consiste in un piacere che fa leva sull’im-maginazione e la sensibilità, l’uso poetico del linguaggio è irriducibile aquello referenziale proprio della prosa. Infatti,

la poesia ha un linguaggio diverso da quello della prosa, che esprime più ardi-tamente e più sensibilmente i nostri pensieri, e vien sostenuto dalle immagini eda certi tratti più vivaci e lampeggianti; in guisa che corre tra il linguaggio dellaprosa e quello della poesia lo stesso divario che corre tra l’uomo che riflette e di-scorre, e tra l’uomo ch’è commosso ed agitato, le cui idee sogliono essere più ra-pide e, per così dire, dipinte a più sfacciati colori. Perciò il linguaggio della poe-sia è così naturale come quel della prosa; e quindi è che sì l’uno come l’altro so-no sempre stati comuni ad ogni nazione (Discorso, pp. 157-8).

Questa teoria del doppio linguaggio, di cui si danno varie formulazioniin ambito illuminista e che sembra a tratti anticipare la moderna nozionedi lingua poetica come scarto, è fondamentale: quando si considerano le

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19. Questo punto suscita anche resistenze (Dardi, 1996). Si veda ad esempio il Discourspréliminaire di d’Alembert: «On abuse des meilleures choses. Cet esprit philosophique,si à la mode aujourd’hui, qui veut tout voir, et ne rien supposer, s’est répandu jusques dansles Belles-Lettres. [...] Notre siecle porté à la combinaison et à l’analyse, semble vouloirintroduire les discussions froides et didactiques dans les choses de sentiment. Ce n’est pasque les passions et le goût n’ayent une Logique qui leur appartient: mais cette Logique ades principes tout différens de ceux de la Logique ordinaire» (Encyclopédie, t. I, p. XXXI).Del resto tali prese di posizione non incidono sull’uso che qui (come vedremo) si inten-de fare delle stilistiche illuministe.

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varie prese di posizione settecentesche intorno alla lingua è necessario di-stinguere ciò che riguarda la prosa da ciò che riguarda la poesia, il chevarrà anche per le proposizioni più iconoclaste del “Caffè” 20. Una voltatanto l’analisi razionale infatti non giungeva a contraddire i dati della tra-dizione, ma in qualche modo a confermarli: l’italiano, come si è detto,aveva già tra le sue invarianti più solide proprio una differenziazione lin-guistica tra poesia e prosa, minuziosamente codificata dai trattatisti insenso normativo. Si può notare d’altra parte che Parini, parlando di lin-guaggio, sembra fare riferimento a un concetto dinamico più che statico:più cioè a una modalità dell’esprimersi che a un insieme di forme e co-strutti che possa qualificarsi come varietà linguistica. Ma il passo tra l’u-na e l’altro era breve: una volta stabilito il principio di una necessaria di-stinzione tra le due lingue, era inevitabile che per realizzarla ci si servissedei mezzi che il sistema offriva, mettendosi quindi quasi inavvertitamen-te in continuità con il passato. Si veda infatti come Parini declina la suaprima osservazione del ’61 nelle più tarde Lezioni di belle lettere:

[gli autori classici e illustri] diedero forma e consistenza a quella parte della Di-zione, che serve di base a quello, che chiamasi Linguaggio poetico, per il qualela lingua italiana si distingue così notabilmente dalle altre lingue moderne, e siagguaglia colle antiche Greca e Latina (p. 257).

Naturalmente il principio della differenza tra le due lingue era scopertadell’osservazione, un a posteriori, il che faceva perdere rilevanza alle indi-cazioni di lingua dei grammatici e dei trattatisti: anche questo intreccio traun acquisto della teoria linguistica e la refrattarietà alle regole introdottadagli illuministi avrà certamente contribuito a quella relativa disinvolturanel trattare la fonologia e morfologia dell’italiano riscontrabile talvolta neipoeti neoclassici, su cui ha richiamato l’attenzione Luca Serianni 21.

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20. Anche per la poesia la polemica del “Caffè” può essere ricondotta a una totalesvalutazione del dibattito linguistico e retorico, e in generale di ogni approccio normati-vo: si veda l’articolo di Pietro Verri dedicato Ai giovani d’ingegno che temono i pedanti, già citato alla nota 14. Questo peraltro nulla toglie alla percezione della differenza lingui-stica tra prosa e poesia, che può ritenersi contenuta nella salda distinzione tra «ciò che al sentimento, [e] ciò che all’intelletto appartiene» (A. Verri in Caffè, p. 559), distinzione pe-raltro sanzionata teoricamente, e per così dire ufficialmente, dall’autorevole Discours pré-liminaire di d’Alembert. Sulle posizioni linguistiche di Alessandro Verri, e sull'evoluzio-ne della sua scrittura, si veda ora un'approfondita analisi in Bellomo (2013).

21. Cfr. nota 2. Esemplare da questo punto di vista sarà l’esperienza del Cesarottiossianico, per cui cfr. CAP. 5. Aggiungerei a riprova l’esito delle perizie fonomorfologichesvolte da Marco Tizi sulle correzioni del Giorno, che evidenziano «un processo corret-

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1.6. La scoperta “scientifica” della separatezza della lingua poetica in-terseca il tema lockiano dell’origine del linguaggio: si affacciano i nomidi Vico («il nostro grande e stranissimo autore Vico»: Alessandro Ver-ri) 22 e soprattutto di Condillac. Per quest’ultimo l’origine delle linguecoincide con un langage d’action sorto dall’associazione di grida e gesti,in cui istintivamente si traducevano gli stati di eccitazione emotiva, congli oggetti o azioni che avevano cagionato quelle emozioni. Un tale lin-guaggio originario si sarebbe poi evoluto in linguaggio articolato via viache si sviluppava nell’uomo la capacità di differenziare i suoni, e si fis-sava un rapporto convenzionale tra segno vocale e idea o oggetto. Si eb-be così la transizione da un linguaggio dell’evidenza sensibile, in cui isentimenti e le idee erano in un rapporto di simultaneità (insieme al-l’oggetto è dato il giudizio su di esso e i sentimenti da esso suscitati), aun linguaggio in cui è obliterata la relazione sensibile tra segno e idea, ein cui sentimenti e idee sono disposti in un rapporto di successione 23.

La storia delle lingue ha dunque un orientamento preciso: da unaminore a una maggiore evidenza, dall’implicito all’esplicito, dalla sinte-si all’analisi. Questa evoluzione complessiva delle lingue determina an-che il progresso generale della capacità umana di produrre conoscenza:solo con lo strumento analitico della lingua è infatti possibile scompor-re l’unitarietà delle impressioni e dunque conoscere la realtà. Linguag-gio e conoscenza al limite coincidono: «une science bien traitée n’estqu’une langue bien faite» 24. Ma se il linguaggio può essere polarizzato

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torio in cui la personale sensibilità in ambito di storia della lingua si sottrae a normative“grammaticali” predefinite (si pensi ad esempio alla Crusca), di cui non è dato scorgereuna rilevanza tale da prevalere sulle locali intenzioni stilistiche dell’autore» (Tizi, 1996,p. CXXXIII). Si noti del resto che Parini, le cui posizioni all’altezza delle Lezioni di bellelettere sono sostanzialmente conservatrici, teorizza la libertà di ampliare la lingua permezzo dell’analogia (Lezioni, pp. 257 ss.).

22. Dei difetti della letteratura e di alcune loro cagioni (Caffè, p. 542). Sulle teorie lingui-stiche di Vico cfr. Marazzini (2009a, pp. 113-8); l’accostamento tra Vico e Condillac è argo-mentato in Rosiello (1967, pp. 60-79) e in Gensini (1987, pp. 54-74). Più in generale, per leteorie linguistiche di Condillac e la loro collocazione storica, si vedano i due lavori citati perultimi, e soprattutto Aarsleff (1984, pp. 147-307); in particolare, sulla distinzione tra usi poe-tici e referenziali della lingua introdotta dal filosofo francese, cfr. anche Hobbs Peaden (1993).

23. Più in generale, la polarità successivo (o lineare)-simultaneo, a cui faremo spessoriferimento in seguito, è un luogo comune dell’estetica dei Lumi, inserito nella più ampiapolarità ragione-immaginazione: cfr. Dardano Basso (1984, pp. 56 e 77).

24. La langue des calculs (Œuvres philosophiques, II, p. 420). Cfr. anche il Coursd’études pour l’instruction du Prince de Parme: «Si toutes les idées, qui composent unepensée, sont simultanées dans l’esprit, elles sont successives dans le discours: ce sont doncles langues qui nous fournissent les moyens d’analyser nos pensées» (ivi, I, p. 436).

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verso un tale uso conoscitivo, esiste nondimeno il polo opposto di un usoespressivo-emotivo proprio della poesia: se il primo guarda per così direavanti, alle facoltà analitiche, il secondo guarda invece indietro, alle ca-ratteristiche di immediatezza sensoriale proprie del linguaggio d’azione,da cui, secondo Condillac, discendono le arti che agiscono eccitando di-rettamente i sensi e l’immaginazione: la musica, la danza, la poesia.

È evidente come all’occorrenza una tale visione potesse fornire unagiustificazione teorica all’arcaismo linguistico e al latinismo: se le linguepiù antiche sono anche quelle più vicine al linguaggio d’azione, ne con-segue che sono intrinsecamente più adatte alla poesia. Non siamo anco-ra alla “poeticizzazione” leopardiana dell’antico linguistico, ma certo sene pongono qui alcune premesse sostanziali. Tale argomentazione, chevedremo implicita in certe formulazioni della stilistica sensista, trova ap-poggio nello stesso Condillac, che proprio nel latino cerca conferme spe-rimentali alla sua ricostruzione ipotetica della lingua primitiva: infatti «ilparoît que cette langue tient comme un milieu entre les plus ancienneset les plus modernes, et qu’elle participe du caractère des unes et des au-tres» (Essai, p. 84). Del resto l’idea di una superiorità in poesia delle lin-gue classiche sulle moderne era un lascito ancora vivo e discusso dellaQuerelle des anciens et des modernes: era stata tra l’altro argomentata dalDu Bos, e diffusa in Voltaire, d’Alembert ecc., fino a Bettinelli 25, che nel-le Virgiliane raccomanda non a caso che «la poesia latina si legga, ed in-tenda affin di perfezionare l’Italiana» (Versi sciolti, p. 65).

1.7. Veniamo infine all’ultimo dei tre punti anticipati al paragrafo prece-dente. I punti di riferimento teorici saranno i trattati degli anni Settantadi Parini e Beccaria (nonché, marginalmente, dello stesso Condillac e diBettinelli) 26. Va peraltro ricordato, con Spongano, che il metodo sensi-sta era divenuto per gli ambienti aperti alla nuova filosofia una sorta diforma mentis, o forse – si potrebbe dire più precisamente – di paradig-ma, nel senso kuhniano, per l’interpretazione scientifica della realtà neisuoi vari aspetti: ci potremo quindi servire di queste sistemazioni teori-che per desumerne alcuni caratteri di una sensibilità linguistica più fon-damentale e al limite implicita nella concreta scelta linguistica di testi an-che precedenti ad esse. Nel caso di Parini si può anzi pensare che la stes-

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25. Cfr. Jonard (1963, pp. 186-7).26. Bettinelli, Dell’entusiasmo delle belle arti (1769); Beccaria, Ricerche intorno alla

natura dello stile (1770); Parini, Lezioni di belle lettere (primi anni Settanta: cfr. CAP. 2, no-ta 4); Condillac, Cours d’études pour l’instruction du Prince de Parme (1775). Cfr. Fabrizi(2008) per una panoramica sulle rispettive posizioni in materia di lingua.

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sa attività di scrittore del Giorno abbia avuto una sua influenza sulle teo-rizzazioni del decennio successivo.

In generale la differenza tra queste poetiche “filosofiche” e le tradi-zionali precettistiche è la pretesa di fornire leggi e non regole: «Questeregole non erano per lo più che il ridurre a canoni generali le bellezze giàcombinate dai maestri dell’arte, quando piuttosto dovevano essere os-servazioni pure generali sulla maniera con cui essi le avevano combina-te» (Beccaria, Ricerche, p. 77) 27. Ritorna in questa citazione l’approcciogià notato per Parini, consistente nel guardare la poesia nel suo funzio-namento segnico e comunicativo: ne discende l’assoluta marginalità del-la questione linguistica (nel senso della “questione della lingua”: com-pletamente al di fuori della portata di queste teorie) e l’interesse com-plementare per lo stile inteso come modo di servirsi della lingua. Quan-do Parini dedica nelle sue Lezioni ampio spazio ai problemi di lingua, lofa abbandonando il piano della filosofia del linguaggio e dell’estetica perscendere su quello filologico e grammaticale necessario alla sua attivitàdi docente 28. Può considerarsi emblematica la posizione di Bettinelli,che parlando dell’uomo «di genio» dice:

Ha una eleganza sua propria, una sua propria lingua non dai dizionarj, o dallegrammatiche appresa, ma da buone letture principalmente, e dall’intimo suosentimento, e gli si perdonano facilmente le negligenze in parole, perchè le ri-compensa in abbondanza di cose. Più spesso è chiaro, lucente, e colto di linguaancor più dell’altro [cioè dell’uomo “d’ingegno”] (Entusiasmo, p. 147) 29.

Perfettamente in linea con i principi guida del “Caffè”, la stilistica sensi-sta va soggetta a una forte ipoteca semanticista: «Ogni discorso è una se-rie di parole che corrisponde ad una serie d’idee; ogni discorso è una se-rie di suoni articolati: dunque ogni differenza di stile consiste o nella di-

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27. È notevole che Beccaria considerasse queste sue ricerche come un naturale pro-seguimento della sua opera maggiore, con la quale condividono di fatto l’impostazionepsicologista e alla quale furono unite in un’unica edizione. La prefazione A chi legge siapre con un’eloquente giustificazione: «Parrà a molti che, avendo io scritto in materie po-litiche, e la natura delle infelici procedure criminali in altra mia opera esaminata [...] ioabbia non di leggieri traviato dal mio cammino [...]. Ma cesserà la sorpresa ed il rimpro-vero per chi considera che la bellezza, la bontà, l’utilità hanno la più grande affinità tra diloro, e che tutti questi modi o concetti della mente nostra finiscono, in ultima analisi, nel-l’amore della felicità» (ivi, p. 71). Per un’interpretazione complessiva del lavoro di Bec-caria nel quadro dell’illuminismo milanese ed europeo cfr. Venturi (1987, pp. 441 ss.).

28. Per la distinzione tra lingua e stile, cara al Parini fin dagli anni Cinquanta, cfr.Morgana (2000, pp. 349 ss.).

29. Sul pensiero linguistico di Bettinelli, cfr. Gensini (1998) e Fabrizi (2008, pp. 39-42).

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versità delle idee o nella diversa successione de’ suoni rappresentatori»(Ricerche, p. 81). Di fatto però gli sforzi descrittivi di Beccaria sono quasiesclusivamente dedicati al primo aspetto, quello contenutistico: buonaparte delle Ricerche analizza il tema dei rapporti tra parole, visti come rap-porti tra idee, il che vuol dire soprattutto sintassi e teoria dei tropi.

Il «principio fondamentale di ogni stile», dunque, è per Beccaria «ilmassimo di sensazioni compossibili tra di loro» (ivi, p. 108). Dato che l’a-nima ama il movimento, e che l’arte appaga questa esigenza fondamenta-le, ne consegue che maggiore movimento produce maggiore piacere, equindi maggiore bellezza: più bella è dunque l’espressione che condensaun maggior numero di sensazioni-idee in uno spazio più ristretto. Si no-terà che questo precetto spinge verso l’ideale simultaneità del linguaggiod’azione teorizzato da Condillac. Ma a questo fondamentale precetto sene aggiunge un altro contenuto nell’aggettivo limitante compossibili: l’ec-cesso di impressioni e la loro confusione (indistinzione) sono due fonti diun dolore che l’anima avverte come conseguenza della sproporzione trale proprie facoltà percettive e l’oggetto della percezione. Ne deriva l’im-perativo razionalista della chiarezza e della distinzione 30: in fondo con-traddittorio rispetto alle basi della teoria di Condillac, e che porta il ba-ricentro dell’estetica sensista nel segno del più rigoroso classicismo. Ri-mando al lavoro di Spongano (1969) per una dimostrazione di come taleestetica arrivasse a ricostruire uno per uno, in base alla teoria delle im-pressioni, i punti salienti della codificazione retorica classica. Piuttosto èutile notare come anche in questo caso la teorizzazione si sforzi di getta-re un ponte verso la letteratura antica: questo è evidente nel caso delle Ri-cerche, dove l’intenzione di costruire una teoria dello stile valida univer-salmente, a prescindere dalla lingua in cui si scrive, è sorretta da un’ana-lisi e da un’esemplificazione tratta esclusivamente da poeti latini (quasisempre Virgilio: ancora ci si può richiamare all’osservazione di Leopar-di) evidentemente assunti ad archetipi metastorici del bello, che è anchenatura. Come scrisse programmaticamente Bettinelli: «Studiando l’anti-

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30. Cfr. Lezioni, p. 154: «La Chiarezza, che da’ Latini Maestri, applicandola massi-mamente all’Orazione, veniva chiamata Perspicuitas è la distinzione degli oggetti presen-tatici dall’Arte in modo, che vengano compresi e sentiti dall’anima nostra al primo pre-sentarsi che fanno sia nell’essenza loro, sia nella relazione, che hanno col tutto». La stes-sa argomentazione di Beccaria troviamo in Diderot: «Le beau qui résulte de la perceptiond’un seul rapport, est moindre ordinairement que celui qui résulte de la perception deplusieurs rapports. [...] Cependant il ne faut pas multiplier le nombre des rapports à l’in-fini; et la beauté ne suit pas cette progression: nous n’admettons de rapport dans les belleschoses, que ce qu’un bon esprit en peut saisir nettement et facilement» (Encyclopédie, s.v.Beau, t. II, p. 179).

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chità noi pur diveniamo antichi, imitandoli imitiam la natura, e la naturaimitando con loro siamo originali» (Entusiasmo, p. 103) 31.

1.8. Tale panorama teorico rimarrebbe però sterile se non ci si sforzassedi saggiare, seppure in misura molto limitata, le correlazioni con la vi-cenda oggettiva dei fatti linguistici. Il caso del Giorno di Parini, in quan-to esempio proverbiale di “poesia illuminista”, si presta bene a questaoperazione: di seguito proverò ad affrontare con la lente delle teorie sen-siste tre punti critici dello stile pariniano (ma più in generale settecente-sco), dalla sintassi al lessico 32.

Partiamo dunque dalla questione dell’ordine delle parole nella fra-se. Si tratta notoriamente di uno dei nodi cruciali della riflessione lin-guistica europea nel Settecento, e insieme del settore in cui è forse piùvistoso nell’italiano il progressivo isolamento del linguaggio poetico ri-spetto alle varie tipologie della prosa, dove la tendenza alla semplifica-zione sintattica e all’ordine progressivo dei costituenti si rafforza nel cor-so del secolo in uno con l’affermazione di un’idea funzionale e non arti-stica del linguaggio, e con un’inedita importanza attribuita ai rapportitra scrittura e uso. Come scrisse Folena (1983a, pp. 37-8), «la conseguen-za è un deciso allontanamento dai moduli latini classici che fin dalle ori-gini della nostra lingua e poi soprattutto nel Rinascimento in tutta l’Eu-ropa, avevano largamente rimodellato la sintassi delle lingue europeenon solo romanze sulla sintassi latina» 33. Non così in poesia, soprattuttose si guarda al metro più rappresentativo e sentito come organico al nuo-vo clima culturale, ossia lo sciolto, in cui l’alterazione dell’ordine basicodei costituenti è considerata necessario contrappeso all’assenza della ri-ma, e viene coltivata con crescente ricercatezza, con un occhio semprefisso al modello del latino esametrico 34.

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31. Ma si noti che la frase citata non c’era nella prima edizione (Galeazzi, Milano1769): compare solo nella Zatta (1780), entro un ampio paragrafo introdotto nel tentativodi conciliare ispirazione (entusiasmo) e imitazione, natura e gusto.

32. Il discorso verrà poi ulteriormente sviluppato nel CAP. 2. 33. Cfr. anche Serianni (1998, pp. 196-7): «Se volessimo riconoscere una tendenza do-

minante nella polimorfia che segna la prosa letteraria settecentesca, potremmo indicarlanella crisi del periodare classicheggiante, a forte coefficiente ipotattico, e nel decremen-to dell’elaborazione retorica di marca secentesca». Per un’analisi che copre gli sviluppidel secondo Settecento, cfr. Patota (1987, pp. 127-52).

34. Da notare che per Leopardi «il divario tra il linguaggio della poesia lat. e dellaprosa, consiste principalm. nella diversità di molta parte delle trasposizioni, ossia nell’or-dine e costruzione delle parole, ch’in parte è diversa» (Zib, 3414). Vasta e articolata la bi-bliografia relativa al dibattito settecentesco sull’ordine delle parole. Per una sintesi del

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Ora, è noto che in questo campo la teoria linguistica era venuta pro-gressivamente modificando nel corso del secolo il modello razionalistache identificava ordine diretto (SVO), ordine logico e ordine naturale: ilparadigma sensista, collocando i fondamenti del linguaggio non più nel-la razionalità a priori ma nella sensibilità, stabiliva che «l’idée dont on estle plus frappé, est celle qu’on est naturellement porté à énoncer la pre-mière» (Condillac, Essai, p. 85). All’origine delle lingue c’era dunque lacostruzione inversa (oppure la libertà di costruzione), ancora operantenella frase latina, e solo l’evoluzione in senso analitico e filosofico del lin-guaggio aveva portato all’adozione dell’ordine diretto:

Si è creduto generalmente sino a questi giorni che la costruzione diretta fossequella della natura, quella dell’arte l’inversa: i ragionatori di questo secolo os-servarono sagacemente che la cosa è tutta all’opposto, e che la sintassi inversa èfiglia spontanea della natura, la diretta è frutto della meditazione e dell’arte, enata solo dall’impotenza di spiegar i nostri sentimenti coll’altra in un modo pie-namente e costantemente intelligibile (Cesarotti, Saggio, II, XVIII, p. 353) 35.

Tale argomentazione è basilare per la distinzione tra usi conoscitivi e usiartistici del linguaggio. Questi ultimi, dominati dall’immaginazione, pro-ducono volentieri costruzioni “inverse”, e le lingue a ordine “libero” (co-me l’italiano, il latino e il greco) tendono ad essere giudicate più adatte al-la poesia rispetto al francese, lingua strutturalmente filosofica a causa diun ordine SVO pressoché obbligatorio in prosa come in poesia. Con que-sto, e soprattutto in Italia, la teoria sensista poteva innestarsi sulla diffusapercezione di un’intrinseca poeticità degli ordini marcati, e in pratica ag-

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confronto linguistico-filosofico in area francese, cfr. Dardano Basso (1984, pp. 55-86); piùanaliticamente, Ricken (1978). Sulla cosiddetta polemica Orsi-Bouhours che a inizio seco-lo estese il dibattito all’Italia, e sui successivi sviluppi italiani della questione, cfr. Viscardi(1947), Puppo (1975, pp. 135-40, ma cfr. anche il cap. I, pp. 11-134), Vitale (1988, pp. 355-87),Gensini (1987, pp. 3-35), Matarrese (1993, pp. 119-25). Dal punto di vista stilistico-lettera-rio il problema interseca l’altro tipico dibattito settecentesco relativo alla rima e al versosciolto, sul quale cfr. Fubini (1971a), Placella (1969), Martelli (1984, pp. 530-74), da inte-grare, per un’analisi dei problemi tecnici dello sciolto al momento della sua codificazio-ne, con Soldani (1999a), nonché con le analisi di Zanon (2009, pp. 19 ss. e 89 ss.: sulle tra-duzioni dei tragici francesi) e Zucco (2006: sul Monti neoclassico).

35. Cfr., ancora, l’Essai di Condillac: «Le nom de la chose se présenta naturellementle premier, comme étant le signe le plus familier. [...] Ainsi l’ordre le plus naturel des idéesvouloit qu’on mît le régime avant le verbe: on disoit, par example, fruit vouloir» (p. 83).Analogamente, per il nesso nome-aggettivo: «Un homme surpris de la hauteur d’un arbre,disoit grand arbre, quoique dans toute autre occasion il eût dit arbre grand» (ivi, p. 85).

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giornava all’avanguardia culturale un apparato di idées reçues sostanzial-mente ereditate dalla tradizione retorica del classicismo rinascimentale.

Un analogo appello all’immaginazione producono del resto anche ifenomeni più complessi e deliberatamente “artificiali” del linguaggiopoetico come l’iperbato e la sinchisi, che comportano non semplice in-versione ma spezzatura dei costituenti frasali. Nelle Ricerche, appro-priandosi di un esempio di Condillac, Beccaria mette a confronto Buc V,20-21, «Exstinctum Nymphae crudeli funere Daphnin / flebant», con il ri-spettivo ordine diretto «Nimphae flebant Daphnin exstinctum funerecrudeli», e ne ricava che se quest’ultimo offre all’immaginazione duequadri distinti e successivi (il pianto delle ninfe e la morte di Dafni), lasuperiorità del primo consiste viceversa nel proporre un unico quadro:il lettore è costretto a considerare insieme i due oggetti, che da questa re-ciproca compenetrazione ricavano maggiore intensità semantica e poe-tica. Nel secondo – aveva concluso Condillac – si ha un récit, nel primoun tableau. Due movimenti opposti, di analisi e composizione, stanno se-condo Beccaria all’origine del verso virgiliano:

Ecco dunque in che consiste l’ordine nello stile: in due artifici, cioè nel divide-re le serie di sensazioni in serie parziali, passando dall’una all’altra pel legamedelle associazioni; e l’altro nello sforzare l’attenzione su tutto il fascio delle ideeche si debbono rappresentare simultaneamente (Ricerche, p. 93).

L’artificio trova insomma la sua giustificazione profonda nello sforzo diriprodurre, dall’interno di una lingua intrinsecamente analitica («Toutelangue est une méthode analytique», dirà Condillac), l’ideale simultaneitàdi impressioni propria del linguaggio d’azione e dei linguaggi visivi 36.

Spostando ora l’attenzione ai testi, non c’è bisogno di dire che il ca-so Parini offre una dimostrazione lampante della forbice che, sulla basedi una simile percezione del fatto linguistico, si apre in questo settoredella sintassi tra lingua poetica e lingua non poetica. È ben noto infattiche quello dell’ordo verborum è tra i settori più sollecitati nella lingua delGiorno (ma non molto diversa è la situazione delle Odi), fin dal pro-grammatico, notissimo incipit 37:

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36. Per l’analisi di Condillac, cfr. Essai, pp. 93-4. «Toute langue est une méthode ana-lytique, et toute méthode analytique est une langue» è l’incipit della Langue des calculs,uscito postumo nel 1798 (Œuvres philosophiques, II, p. 419).

37. Cfr. Tizi (1996, pp. CXXVI-CXXXII), e soprattutto Berra (1998); un’analisi sistema-tica e quantitativa è in Roggia (2001); per le Odi, cfr. Mengaldo (2003, pp. 87-8).

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Giovin Signore, o a te scenda per lungodi magnanimi lombi ordine il sanguepurissimo celeste, o in te del sangueemendino il difetto i compri onorie le ADUNATE in terra o in mar ricchezzeDAL GENITOR FRUGALE in pochi lustri,me Precettor d’amabil Rito ascolta (Mt I 1-7)

dove, entro le campiture di un periodo complesso, che significativa-mente a Fubini ricordava quello boccaccesco, si susseguono ben tre mar-cati iperbati transversali: lungo-ordine (Aggettivo-Nome, vv. 1-2); del san-gue-il difetto (Complemento-Nome, vv. 3-4); adunate-dal genitor frugale(Participio-Complemento, vv. 5-6), quest’ultimo intrecciato all’altro, me-no esteso, le-ricchezze (Articolo-Nome, v. 5), che insieme ad altre minoriinversioni (a te-scenda ecc.) e alla collocazione finale del verbo concor-rono a costruire un tessuto di marcata impronta latineggiante. E il calcodal latino si fa talora più allusivo, come nelle strutture basate sulla con-catenazione di sintagmi nominali, del tipo A1B1A2B2:

che DEGLI ALTI SIGNOR ministri AL FIANCO

siete incontaminati, or dunque voi (Mt I 250-251)

variante di quello che Conrad (1965) ha chiamato appunto interlockedword-order, tipico dell’esametro latino (tipo «Impiaque AETERNAM ti-muerunt saecula NOCTEM», Georg I 468). O, anche più sottilmente, nellaNotte, dove tra i costituenti interni a un iperbato Agg.-Nome c’è una se-quenza polisindetica con valore appositivo:

qual d’ogni lato i molti servi in tantoE SEGGI E TAVOLIERI E LUCI E CARTE

supellettile augusta entran portando? (Nt 528-530)

a imitazione di un tipico pattern della poesia augustea, noto ai filologiclassici come apposizione parentetica, o schema cornelianum, dal nomedel poeta neoterico Cornelio Gallo, presunto introduttore dello sche-ma nella poesia latina 38: «Ite, meae, FELIX QUONDAM PECUS, ite, capel-lae» (Buc I 74); «Quattuor hic, PRIMUM OMEN, equos in gramine vidi»(Aen III 537); «ad altos / deducit iuvenem, VULCANIA MUNERA, currus»(Met II 105-106) ecc.

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38. Cfr. Solodow (1986).

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Fatte salve tali raffinatezze, un approccio analogo è sostanzialmenteravvisabile, ad esempio, in un poeta come Rezzonico, organico alle nuo-ve idee francesi fino al punto di comporre un poemetto in sciolti (L’ori-gine delle idee) intorno alle teorie di Condillac. Il suo poemetto dida-scalico sulle scoperte ottiche e astronomiche di Newton (Il sistema de’cieli, 1773) si apre con un attacco ampio e fortemente scandito da iper-bati, non immemore dell’esempio pariniano:

O candido censor di quante vergodi vigile lucerna al cheto lumeo sul roseo mattin delfiche carte,caro alle muse ed al cetrato Apollo,del mio libero canto oggi tu seil’auspice degno; e nel sermon de’ numi (SC 1-6).

E perfino l’insospettabile Pietro Verri, in alcuni sciolti inediti del 1763,scritti per Beccaria (ma forse in origine dedicati proprio a Parini), sfog-gia un attacco stilisticamente affine, caratterizzato dal verbo a fine frasee soprattutto dall’anticipazione di due pesanti sintagmi aggettivali tra ar-ticolo e nome:

La lungo tempo oziosa, e la non maiper vile encomio profanata cetradel ver ministro in man riprendo e sciolgo per te Cesare il canto (vv. 1-4)

cui va aggiunto il commento di un’orgogliosa postilla autografa: «È for-se troppo presto perché questa maniera di Poetare piaccia agl’Italiani;per altro piace molto a me» 39. Del resto alle spalle di tutti costoro, e divari altri che in questa forma si cimentarono con lo sciolto nello stessogiro di anni, c’erano ancora una volta i tre eccellenti autori, soprattuttoFrugoni e Bettinelli, la cui sintassi a forte matrice latineggiante aveva spe-rimentato pressoché tutte le possibilità di manipolazione retorica del-l’ordine delle parole, talora, come capita soprattutto a Frugoni, con epi-sodi che già toccano i limiti di quanto successivamente sperimentato daipoeti del medio e tardo Settecento.

Tornando ora a Parini, è noto che l’intricato percorso redazionaledel poemetto conferma e approfondisce l’incidenza di un tale modellosintattico. Claudia Berra (1998) ha dimostrato nella sua analisi puntuale

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39. Cfr. Barbarisi (1998, pp. 220-4).

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del passaggio dal primo Mattino (1763, ma composto almeno due anniprima) al Mezzogiorno (1765) che già all’interno della prima stesura è av-vertibile un movimento sostanziale, per quanto poco percettibile, ricon-ducibile a spinte classicistiche, che si fa via via più pressante nella suc-cessiva revisione degli anni Ottanta e Novanta, da questo punto di vistala più sperimentale. È possibile dimostrare che molto del travaglio stili-stico pariniano in questo settore si riconduce all’infittirsi e al sovrapporsidelle diverse figure di alterazione dell’ordine naturale, arrivando a esiti-limite come i seguenti:

così a queste, o signore, illustre ingannoore lente si faccia. E s’altri ancora (Mg 1090-1091)

qual primiera sarà che da gli amativoi sul vespro nascente alti palagi fuor conduca o Signor voglia leggiadra? (Vp 84-86)

tu in van chiedi mercè; di mente in vanotu a lei te stesso sconsigliata incolpi: (Nt 112-113).

Si tratta di saggi di esasperato latinismo, a proposito dei quali giova rian-dare all’analisi di Beccaria sopra citata, che si rivela qui per nulla inge-nua o astratta, ma al contrario risponde all’intuizione di un meccanismolinguistico ben reale, che è quello per cui nel discorso retoricamente ma-nipolato la successione delle parole contraddice l’attesa, frustrando queitentativi di micro-pianificazione attraverso cui procede la nostra lettura.Chi legge infatti non deve normalmente aspettare la fine di una frase pri-ma di iniziare a capirla: il significato si costruisce via via che la letturaprocede, integrando una dopo l’altra le unità lessicali in un piano che ini-zia a essere costruito dopo la prima parola e che in ogni momento com-porta predizioni sugli elementi non ancora incorporati. Nei passi pari-niani citati da ultimo, invece (e in diversa misura anche nei precedenti),si è costretti ad accumulare nella memoria vari nuclei semantici prima dipoterli ordinare in un sistema di relazioni coerente: che potrebbe essereuna riformulazione aggiornata dell’osservazione di Beccaria intorno al-lo «sforzare l’attenzione su tutto il fascio delle idee che si debbono rap-presentare simultaneamente».

1.9. Secondo esempio. Un ampio settore della stilistica di Beccaria è de-dicato alla teoria degli aggiunti («o sieno gli epiteti», Ricerche, p. 118). Ilnesso nome-aggettivo è infatti la cellula minima di aggregazione sintatti-ca e dunque di legame tra idee, in questo caso tra un’idea principale e

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una o più idee accessorie 40, e l’imperativo del massimo di sensazionicompossibili induce a caricarla di forti responsabilità semantiche: gli ag-giunti infatti «non debbono essere inutili ed oziosi» (ibid.), e soprattut-to da evitare sono «quelli che ripetessero quella qualità che è più facil-mente e comunemente suggerita dal nome dell’oggetto» (ivi, p. 120). Lalotta pariniana «all’epiteto ornante, ovvio e banale» (Mengaldo) può tro-vare qui la sua teorizzazione sistematica, non solo in generale, ma pro-prio nelle strategie semantiche attraverso cui questo istituto della tradi-zione petrarchesca viene restituito a una nuova verginità 41: l’analisi psi-cologica dello stile porta a ritrovare per via induttiva il precetto orazia-no e classicista della callida iunctura. Mi limito a un esempio. Beccariatrova «bellissima quella combinazione in cui all’oggetto morale si dà unaggiunto fisico, ed all’oggetto fisico si dà un aggiunto morale [...]; op-pure ad idea principale morale, accessorie fisiche; ad idea principale fi-sica, accessorie morali» (Ricerche, p. 102), che è come ognun sa uno deimoduli preferiti della iunctura pariniana. Appartengono a questa cate-goria le spesso citate oziose lane che trattengono a letto il Giovin Signo-re (Mt I 244), prodotte dall’intreccio di una sineddoche (coltri → lane) edi una sarcastica ipallage, con cui l’attributo che compete al Giovin Si-gnore è trasferito alle coltri entro cui è coricato, come accade anche a Nt566: «De lo infelice oro perduto incolpi». Questi stilemi, secondo Becca-ria, devono la loro efficacia a un meccanismo della ricezione per cui leidee fisiche «scolpiscono nella mente la volubile complicazione de’ fe-nomeni morali, e quelle [le idee morali], richiamandoci in noi stessi overso i nostri simili, ci rendono più interessanti le immagini», e così i dueelementi si rafforzano porgendosi «vicendevole aiuto» (ivi, p. 104): unasintesi di definito e indefinito il cui lontano modello sembra essere an-cora la simultaneità di sentimento e oggetto caratteristica del linguaggio

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40. Per la distinzione cfr. il Frammento sullo stile (Caffè, p. 278): «Ogni discorso ècomposto d’idee principali e d’idee accessorie; chiamo idee principali quelle che sono so-lamente necessarie acciocché dal loro paragone risultar possa la loro identità o diversità,cioè o la verità o la falsità. Una dimostrazione di geometria è tutta composta d’idee prin-cipali; chiamo idee accessorie quelle che ne aumentano la forza, ed accrescono l’impres-sione di chi legge. Ogni discorso non semplicemente scientifico contiene più o meno diqueste idee accessorie. La diversità dello stile non può consistere nella diversità delle ideeprincipali ma delle accessorie, se per diversità di stile intendasi l’arte di esprimere in di-versa maniera la stessa cosa, cioè, per parlar con maggior precisione, l’arte di aggiungerediverse idee alle idee principali».

41. Cfr. Coletti (1993, p. 203), Mari (1998, pp. 358-9) e Mengaldo (2003, p. 74). Sul nes-so organico tra classicismo e realismo in Parini, oltre al citato Isella (1984), si veda un pe-netrante bilancio in Bigi (1999).

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d’azione. Anche l’altro slittamento semantico (la sineddoche) troverà delresto facile giustificazione in quanto riduce un’“idea complessa” aun’“idea semplice” (un semema a uno dei suoi sèmi), con conseguenteacquisto di icasticità. Alla figura nel suo insieme si adatta infine un’af-fermazione dello stesso Parini, che attribuisce al poeta «quella momen-taneità di cogliere i finissimi rapporti delle idee, che alla comune degliuomini paiono separate da un’infinita estensione, per poi di tutto que-sto crearne a propria voglia una interessante novità» (Prose II, p. 306) 42.

Un medesimo intreccio di figure semantiche produce oltre ai dueesempi citati anche ardite vele Mt I 145; gelose mura Mz 77 (“harem”);stupido papavero Mz 414 (“oppio”) ecc. Più in generale, esempi del tipodi quelli suggeriti dalle Ricerche si trovano in grande abbondanza nelGiorno: patetico gioco Mt I 66; fiaccole superbe Mt I 72; ignavo tepor Mt I246; fida carta Mt I 399-400; vigile mano Mt I 418; importune risa Mt I 727;sagace tabacchiera Mt I 740; furibonda destra Mt I 816; maligno occhio MtI 877-878; cupide [...] anella Mt I 923-924; oziosi sughi Mz 57; gomito ma-ligno Mz 155; vanni audaci Mz 406; erbe innocenti Mz 421; feri dicchi Mz891 (“dighe”); pignone audace Mz 892-893; cortese man Mz 952; man in-dotta Mz 955; argute lingue Vp 103 (“malignamente spiritose”); tesserabeata Vp 165; labbri desiosi Vp 183; ginocchio sollecito Vp 184 (“impa-ziente”); dotti fianchi Vp 274; ventagli sdegnati Vp 301; corni irati Nt 210;stupide micranie Nt 400; ostinata man Nt 450; aula beata Nt 601; pertina-ce piè Nt 630 ecc. E ci si potrebbe anzi chiedere quanto tale trasferimentopsicologico a carico degli oggetti e delle parti del corpo (l’opposto si ve-rifica di rado: genio bituminoso Mz 643; ispida virtude Vp 224; agil pen-sier Nt 188) non sia direttamente proporzionale al complementare svuo-tamento interiore delle marionette umane che popolano il Giorno.

1.10. Tocchiamo infine il tema sintomatico delle perifrasi poetiche, no-toriamente uno dei meccanismi di straniamento letterario del linguaggiopiù usati e caratteristici del Settecento. Il tema è sintomatico anche per-ché, come si diceva in apertura di saggio, la perifrasi costituisce lo stru-mento principe a disposizione del linguaggio poetico per arginare lespinte all’allargamento del vocabolario indotte dalla nuova temperie cul-turale, soprattutto in alcuni campi più esposti come la poesia didascali-ca (cfr. CAP. 4). Tuttavia i possibili impieghi delle perifrasi sono molte-plici, e (anche a prescindere dalla loro funzione argomentativa, sempreinteressante e che va valutata caso per caso) non è detto che l’esigenza di

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42. Si tratta della prolusione già citata alla nota 14.

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sostituzione lessicale sia preminente. Non lo è, ad esempio, nella celebreperifrasi pariniana per il caffè:

de’ tuoi labbri onorala nettarea bevanda ove abbronzatofuma, ed arde il legume a te d’Aleppogiunto, e da Moca che di mille navipopolata mai sempre insuperbisce (Mt I 139-143)

spesso chiamata in causa a dimostrazione del pudore perifrastico e del-l’antirealismo della lingua poetica settecentesca. In realtà è chiaro che quinon agisce alcuna inibizione lessicale: poco sopra troviamo usato ciocco-latte, mentre il caffè è nominato nel Mezzogiorno (v. 1049: «ond’empie /l’aria il caffè che preparato fuma»). Il problema è semmai quello di esse-re interessanti nel senso etimologico 43: all’idea principale della bevandasi associa naturalmente una serie di idee accessorie legate alla sua origineremota (per l’uomo del Settecento il caffè è una presenza tutt’altro chefamiliare, carica di sottintesi esotici), e la perifrasi serve appunto a libe-rare queste idee accessorie portandole in primo piano. Secondo Beccariaesistono infatti due modi di «rinforzare un’idea»: «coll’analisi dell’ideamedesima nelle sensazioni dalle quali è occasionata, vale a dire nella enu-merazione di tutti o di parte de’ componenti i più energici che immedia-tamente non sono presentati dall’espressione propria ed adequata dell’i-dea totale», oppure con l’«esprimere le sensazioni associate naturalmen-te coll’idea principale» per successione di tempo, coesistenza di luogo, si-militudine di qualità (Ricerche, p. 88). Entrambi questi modi rimandanoalla perifrasi in nome del solito postulato del «massimo di sensazioni».Quindi la perifrasi del Mattino ha una funzione dilatante, più che sosti-tutiva: schiude dietro il singolo termine una veduta esotica che moltipli-ca il piacere della sensibilità immaginativa. La sua preoccupazione non ètogliere una parola ma aggiungere più cose, coerente in questo con l’im-postazione digressiva di tutto il procedere pariniano nel Giorno. Così èinfatti anche poco sopra, dove la menzione del cioccolatte aveva offerto lospunto per una parallela e del tutto gratuita apertura esotica, che tuttavialì espandeva sintatticamente la voce propria anziché sostituirla:

Scegli ’l brun cioccolatte, onde tributoti dà il Guatimalese e il Caribbèoc’ha di barbare penne avvolto il crine (Mt I 134-136).

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43. Cfr. Parini, Prose I, pp. 292-3.

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E lo stesso dicasi per altre celebri perifrasi pariniane, come quella che in-dica la pasta di mandorle (Mt I 268-271), o quelle meno vistose che nelMezzogiorno designano i cavalli del Giovin Signore:

qual coppia di destrieri oggi de’ il carro guidar de la tua Dama; o l’alte moliche su le fredde piagge educa il Cimbro;o quei che abbeverò la Drava, o quelliche a le vigili guardie un dì fuggìroda la stirpe Campana (Mz 1083-1088).

L’articolo Génie dell’Encyclopédie del resto aveva argomentato proprioquesta possibilità riservata al poeta di ampliare a fini immaginativi il se-gno linguistico: «Cette force de l’enthousiasme inspire le mot proprequand il a de l’énergie, souvent elle le fait sacrifier à des figures hardies,elle inspire l’armonie imitative, les images de toute espece, les signes lesplus sensibles, et les sons imitateurs, comme les mots qui caractéri-sent» 44. Affermazione particolarmente calzante al caso pariniano, dovele perifrasi si trovano inserite in un tessuto lessicale notoriamente poli-cromo, ricco degli apporti tecnico-scientifici studiati da Fubini (1971b),aperto a termini anche crudi (pustula Mt II 477), fino alla deliberata vio-lenza verbale di ruttare Mt I 168, stallone Mt I 291, e simili.

Ma non è difficile rintracciare anche al di fuori di Parini esempi diun tale uso dilatante della perifrasi. Il caffè e la cioccolata, per le ragionidi cui si è detto sopra, potrebbero offrire materiale per un ampio reper-torio di perifrasi esotizzanti simili a quelle pariniane. Per Bettinelli, adesempio, la seconda è

il don salubrede la gradita nereggiante pasta,che a ricolmar le mattutine tazzedi farmaco febeo Messico manda (Versi sciolti, 108, 10-13)

o più sobriamente la «spumosa tremula fumante / odorata bevanda mes-sicana» (ivi, 22, 6-7) ecc. Ma anche una voce di largo uso poetico comefulmini può essere sostituita e analiticamente scomposta dallo stesso inuna sequenza descrittiva:

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44. Encyclopédie, t. VII, p. 582. L’articolo, steso da Saint-Lambert, fu ampiamente ri-maneggiato da Diderot: cfr. Vernière (1959).

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come i rappresi e fermentati in altosottili effluvj, che rompendo in fiammacaggion segnando in ciel lucidi solchi (Versi sciolti, 77, 13-15).

Con quest’ultimo esempio, in cui il termine proprio di un fenomeno na-turale è sostituito da una descrizione scorciata del suo meccanismo fisi-co, si tocca a dire il vero un altro, e notevolissimo, aspetto del problema,che è quello della perifrasi tecnico-scientifica e del suo rapporto con ilcorrispondente lessico: punto critico del settecentesco incontro-scontrotra le due culture. Da un lato, infatti, come vedremo meglio in seguito(CAP. 4), c’è la ben nota diffidenza nei confronti del tecnicismo propriadel linguaggio poetico, altra prerogativa riservata a una lingua che è isti-tuzionalmente diversa dall’ordinaria. Un ostracismo a cui ad esempioBeccaria dà veste teorica sulla scorta delle ormai note istanze regressive:

Tali sono i termini delle arti e i termini tecnici tutti, che per voce universale ditutt’i conoscitori debbono sfuggirsi da chi scrive per dilettare e per persuaderevivamente l’animo; perché troppo lontane, per così dire, sono dalla parola leidee, né queste senza il corteggio di molte altre parole vengono dietro al nomeche le deve rappresentare. Le lingue sono state formate gradatamente prima daibisogni, dalle passioni, dalle impressioni originali che largamente sono sparsenella natura, costanti e comuni a tutt’i tempi ed a tutt’i luoghi; poi dalle circo-stanze locali, dalle volubili ed artificiali combinazioni dei complicati sentimentidegli uomini colti. Quest’ultima classe di parole dovrà essere usata con sobrietà,perché più tardamente e più inviluppate e confuse risvegliano le idee corri-spondenti (Ricerche, pp. 124-5).

Dall’altro lato c’è invece l’effettivo, misurabile, ampliamento tecnico-scientifico del lessico poetico settecentesco, specialmente nei didascali-ci e non di rado con effetti di vigorosa precisione, come notava ancoraFubini; ma ci sono anche le nuove possibilità di scomposizione analiticadegli oggetti e dei fenomeni che la moda scientista schiude alla poesia.Si veda come il Rezzonico nell’Origine delle idee significhi “gli odoribuoni e i cattivi” attraverso una succinta fenomenologia dell’olfatto:

le nervee fila dolce vellicandocogli effluvi rotondi o coll’urto aspropungendo d’inclementi atomi acuti (OI 253-255)

dove è da notare (insieme alla pregnanza tutta particolare dell’ellittico ef-fluvi rotondi: un’ipallage in cui rotondi sono propriamente gli atomi cheprovocano la sensazione olfattiva) come la perifrasi introduca, anziché

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eliminare, i tecnicismi (atomi, nervee). Analogamente rifratta luce di SC

382 («ad indagar colla rifratta luce / degli attoniti cieli ogni segreto») de-signa, alludendo in modo scorciato al suo funzionamento, il telescopiogalileiano (rifrattore, appunto), contrapposto così al telescopio riflettoredi Newton il cui meccanismo è descritto poco oltre. Anche Parini, a suomodo, è sensibile a un analogo gusto per la dilatazione tecnico-scientifi-ca dell’immagine. Basterà qui citare la lunga perifrasi che indica il cam-panello con cui il Giovin Signore chiama i servi nel Mattino (vv. 102-103)45,o quella del Mezzogiorno per cui il gelato (altrove gelo)46 diviene

I latti tuoi cui di serbato vernoRassodarono i sali, e reser attiA dilettar con subito rigoreDi convitato cavalier le labbra (Mz 1035-1038).

Sono perifrasi, queste ultime, nel complesso distanti da quelle citate inapertura di paragrafo, e che tuttavia obbediscono a un medesimo gustoper la dilatazione del segno, e ben si prestano a rappresentare (in dire-zioni diverse) quei procedimenti di significazione più complessi e tor-tuosi per cui la poesia si differenzia dalla comunicazione ordinaria: il chenon vuol dire che tali esempi siano in contrasto con il motto progressi-sta del “Caffè”, ma piuttosto che nel Settecento anche il rapporto tra co-se e parole si poneva teoricamente e praticamente in forma assai diversaper la poesia e per la prosa.

LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ETÀ DELL’ILLUMINISMO

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45. Su cui cfr. Fubini (1971b, pp. 97-8), e CAP. 2, pp. 54-5.46. Fr I 37, «di gelo / inavvertita stilla»: gelato è registrato dal GDLI solo dal XIX se-

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