Top Banner
DIRITTO PUBBLICO COMPARATO ED EUROPEO G. GIAPPICHELLI EDITORE 2014 – IV Estratto
34

La disciplina multilaterale del commercio digitale

May 16, 2023

Download

Documents

Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: La disciplina multilaterale del commercio digitale

DIRITTO PUBBLICO

C O M P A R A T O

ED EUROPEO

G. GIAPPICHELLI EDITORE

2 0 1 4 – I V

E s t r a t t o

Page 2: La disciplina multilaterale del commercio digitale

La disciplina multilaterale del commercio digitale

di Gianpaolo Maria Ruotolo

Sommario: 1. Premessa introduttiva. – 2. L’OMC e gli scambi internazionali di merci ad alto contenuto tecnologico: l’Information Technology Agreement. – 3. L’OMC e il commercio via Internet: la moratoria per il commercio elettronico diretto. – 4. Segue: il programma di lavoro sul commercio elettronico. – 5. Access denied: le limitazioni di accesso a Internet come barriere non tariffarie. – 6. L’applicazione delle norme del GATT alle merci “liquide”. – 7. Internet e gli scambi di servizi: il principio di technological neutrality e l’interpretazione delle liste di impegni. – 8. La tutela digitale della proprietà intellettuale tra TRIPs e accordi commerciali preferenziali. – 9. Le organizzazioni internazionali non commerciali e la disciplina degli scambi via Internet. – 10. Il commercio digitale nell’Unione europea. – 11. Conclusioni.

1. – L’affermazione secondo la quale Internet1, nata essenzialmente come strumento di comunicazione e trasferimento di dati e informazioni, negli ultimi anni, complice anche la sua diffusione capillare a livello planetario, si sarebbe trasformata nel “mercato globale”, è ripetuta in maniera talmente frequente da politici, opinionisti, operatori commerciali e anche dalla let-teratura scientifica2, da essere divenuta praticamente un mantra privo di ogni reale contenuto, che si limita a fare riferimento, complessivamente, a molteplici fenomeni, tra loro anche molto diversi, che meriterebbero un’analisi autonoma piuttosto che una descrizione “aggregata”.

Di certo c’è che l’uso della Rete come mezzo di contatto con i clienti, di conclusione dei contratti nonché, per alcune tipologie di prodotti e servizi, finanche di consegna dei beni venduti o di somministrazione dei servizi forniti3, oltre a permettere agli operatori economici una riduzione dei costi, ha offerto loro l’opportunità di raggiungere potenziali compratori fisi-camente distanti e in precedenza irraggiungibili; e anche per questi ultimi l’incremento della concorrenza reso possibile da Internet ha generato indiscutibili vantaggi come l’accresciuto numero dei fornitori cui rivolgersi e, di conseguenza, la diminuzione dei costi di prodotti e servizi reperibili.

La situazione descritta ha così aumentato in misura importante il volume degli scambi in-ternazionali on-line degli operatori commerciali tra loro (business to business, B2B) sia di que-sti con i consumatori (business to consumer, B2C) oltre a rappresentare, in quanto elemento

1 Internet è la rete “universale”che collega tra loro più sottoreti – si pensi, ad esempio, alla rete di computer presente in un ufficio o in un’abitazione – in base ad un pacchetto di protocolli di comunicazione complessivamente detto “suite di protocolli TCP/IP” (Transmission Control Protocol/Internet Protocol).

2 Cfr. S.A. Aaronson, Trade and the Internet, in International Economy, 2012, 75; M. Burri, T. Cottier, Digital technologies and international trade regulation, in Id. (cur.), Trade Governance in the Digital Age, Cambridge University Press, Cambridge, 2012, 3; F. Erixon, B. Hindley, H. Lee-Makiyama, Protectionism On-line: Internet Censorship and International Trade Law, in ECIPE Working Paper, 12, 2009, Brussels, ECIPE; J. Meltzer, The Internet, Cross-Border Data Flows and International Trade, in Issues in Technology Innovation, 2013, 22, 1.

3 Al riguardo si parla, spesso senza fare distinzione tra merci e servizi, di commercio elettronico “diretto” di “digitally-delivered content products”, le c.d. merci “liquide”; si pensi a tutti quei prodotti che possono essere di-stribuiti in forma digitale, indipendentemente da un supporto fisico, come film, immagini, musica, software, video-giochi. Per un esempio di servizio completamente on-line si pensi invece al cloud computing, su cui ci permettiamo di fare rinvio a G.M. Ruotolo, Hey! You! Get Off Of My Cloud! Accesso autoritativo alle nuvole informatiche e diritto internazionale, in Arch. pen., 2013, 853 ss. Per la relativa disciplina nel sistema OMC v. infra, par. 7.

Page 3: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1888 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

di crescita economica spesso sganciato da fattori rigidamente “territoriali”, un elemento di emancipazione delle persone che vivono in zone depresse4.

D’altro canto, l’uso commerciale di Internet ha accresciuto i rischi di violazione della riserva-tezza dei suoi utenti: la Rete consente difatti la raccolta e il trattamento, spesso mediante algo-ritmi automatizzati, di enormi quantità di dati relativi ad abitudini, azioni, convinzioni e opinioni degli individui, dati che possono essere così tramutati in preziosi archivi che possono essere venduti per una varietà di scopi; si pensi, ad esempio, a come i dati delle “schede fedeltà” di un supermercato o delle carte di credito possano essere elaborati per tracciare le preferenze (non solo) commerciali di un individuo o a come le informazioni raccolte da compagnie di telecomu-nicazioni, compagnie aeree e, ancora, società di emissione di carte di credito potrebbero essere trattate da uno Stato per cercare di individuare i movimenti di persone ritenute sospette o da privati o partiti politici per sviluppare un profilo molto dettagliato degli elettori in occasione di una campagna elettorale. Il valore economico di dati siffatti può essere immenso, incoraggiando così sia gli Stati sia i privati a raccoglierne ed elaborarne quantità sempre maggiori5.

Ancora, l’uso massiccio della Rete come strumento commerciale reca con sé importanti problemi di sicurezza informatica6, oltre ad accrescere i pericoli per la proprietà intellettuale, e solleva complesse questioni giuridiche come quelle relative al trattamento fiscale dei pro-venti ottenuti7 e all’individuazione del diritto applicabile e della giurisdizione nazionale cui devolvere eventuali controversie transnazionali8.

Peraltro, tutto il meccanismo degli scambi via Internet presuppone il possesso da parte de-gli utenti di apparecchiature ad alto contenuto di tecnologia (personal computer, modem et similia) che sono generalmente prodotte solo in alcune zone del mondo: la liberalizzazione internazionale degli scambi di queste merci, quindi, costituisce un presupposto indefettibile

4 Riconosce a Internet una funzione di promozione dello sviluppo economico dei Paesi meno progrediti la riso-luzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite A/RES/63/187/2010 – Information and communication techno-logies for development del 9 febbraio 2010, reperibile in www.un.org/en/ga/64/resolutions.shtml. Analogamente il Comitato commercio e sviluppo dell’OMC; cfr. infra par. 4.

5 M.J. Silverman (cur.), Inside The Minds: Privacy Matters. The Future of Privacy and How Every Individual and Business Will Forever Be Affected, Boston, Aspatore, 2002.

6 Con tale espressione si fa riferimento a quel settore dell’informatica che analizza le vulnerabilità di un dato sistema e il conseguente rischio di minacce o attacchi al fine di individuare i più idonei strumenti di prevenzione e protezione dell’integrità fisica e logica del sistema e dei dati ivi archiviati.

7 È infatti facile comprendere come la transnazionalità delle transazioni elettroniche ponga problemi in merito all’individuazione dello Stato cui spetta il potere di tassarne i proventi. Un ruolo di guida dei vari Paesi con riguardo al coordinamento dei rispettivi sistemi di tassazione nel caso di transazioni on-line con elementi di transnazionalità, alme-no negli ultimi dieci anni, è stato giocato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisa-tion for Economic Co-operation and Development, OECD). In letteratura v. A.J. Cockfield, The Rise Of The OECD As Informal “World Tax Organization” Through National Responses To E-Commerce Tax Challenges, in Yale Journal of Law and Technology, 2006, 136 ss.; Sul punto v. D. Liakopoulos, Imposizione dei redditi d’impresa nel commercio elettroni-co, in M. Romani, D. Liakopoulos, La globalizzazione telematica. Regolamentazione e normative nel diritto internazio-nale e comunitario, Milano, Giuffrè, 2009, 407 ss.; G. Corasaniti, P. De’ Capitani di Vimercate, V. Uckmar, C. Corrado Oliva, Diritto tributario internazionale, Padova, CEDAM, 2012, 45 ss.; G. Sacerdoti, G. Marino (cur.), Il commercio elettronico, profili giuridici e fiscali internazionali, Milano, EGEA, 2001.

8 Sul rapporto tra diritto internazionale pubblico e sistemi di conflitto per la disciplina di fattispecie on-line con elementi di transnazionalità, v. J.G. Castel, The Internet In Light Of Traditional Public And Private International Law Principles And Rules Applied In Canada, in The Canadian yearbook of international law, 2001, 3 ss.; T. Schultz, Carving Up the Internet: Jurisdiction, Legal Orders, and the Private/Public International Law Interface, in European Journal of International Law, 2008, p. 799 ss.

Page 4: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1889

per il collegamento alla Rete e, di conseguenza, per lo sviluppo di Internet stessa e degli scambi commerciali che avvengono per il suo tramite. E analoga funzione di enabler del colle-gamento a Internet viene svolta, evidentemente, da alcuni servizi, in particolare quelli di tele-comunicazioni, che hanno proprio ad oggetto la fornitura della connessione.

È poi il caso di chiarire anche come, sebbene, in un’accezione ristretta si tenda a far coin-cidere le sole operazioni realizzate tramite Internet con il commercio elettronico tout court, quest’ultimo comprenda, in realtà, in un’accezione più ampia, qualsiasi transazione che le parti effettuino “da remoto”, cioè senza entrare in contatto fisico tra loro, per il tramite di mezzi di qualunque mezzo di comunicazione elettronico9 come quelle concluse per telefono, via fax, le c.d. televendite o l’Electronic Data Interchange10. Tutte le transazioni in parola, pro-prio in quanto concluse senza l’incontro fisico delle parti coinvolte, peraltro, presuppongono l’uso di sistemi elettronici di trasferimento di documenti e di mezzi di pagamento.

Ciò premesso, resta comunque innegabile che quella via Internet rappresenti oggi, per mo-le di scambi, di gran lunga la principale forma di commercio elettronico, cresciuta parallela-mente alla diffusione esponenziale della Rete: nel solo 2013 la quantità di scambi commercia-li via Web è cresciuta del 33% rispetto all’anno precedente, con dati notevolmente più alti nelle regioni dell’Est Europa, nei Paesi BRICs (Brasile, Russia, India, Cina) e PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna)11.

Scopo del presente lavoro è quello di individuare le modalità attraverso cui il sistema norma-tivo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) – la principale organizzazione inter-nazionale a vocazione universale con competenze in materia di scambi commerciali internazio-nali – ha affrontato ed eventualmente risolto alcune questioni di disciplina giuridica degli scambi commerciali via Internet, sia con riferimento agli scambi internazionali dei prodotti che vengono utilizzati come strumento di connessione alla Rete sia con riguardo alle transazioni che avvengo-no on-line. Dopo aver esaminato i profili di cui si è appena detto passeremo altresì in rassegna le attività poste in essere, nelle medesime materie, dalle altre principali organizzazioni internazio-nali, al fine di comprendere se l’approccio adottato dall’OMC sia caratterizzato da qualche pe-culiarità.

2. – L’atto che istituisce l’OMC, con i suoi allegati, come noto, costituisce un sistema nor-

mativo di grande complessità che prevede ampi e dettagliati obblighi di liberalizzazione degli

9 Nel 2001 l’OECD, ha adottato infatti due distinte definizioni di commercio elettronico: per la prima, più ampia, sarebbe tale ogni «sale or purchase of goods or services, whether between businesses, households, individuals, gov-ernments, and other public or private organisations, conducted over computer mediated networks. The goods and ser-vices are ordered over those networks, but the payment and the ultimate delivery of the good or service may be con-ducted on or off-line»; la seconda, più ristretta, fa rientrare invece in tale definizione solo «the sale or purchase of goods or services, whether between businesses, households, individuals, governments, and other public or private or-ganisations, conducted over the Internet. The goods and services are ordered over those networks, but the payment and the ultimate delivery of the good or service may be conducted on or off-line»; cfr. OECD Guide to Measuring the Information Society, 2011, reperibile su www.oecd.org. Corsivi aggiunti.

10 L’Electronic Data Interchange (EDI) è un sistema di comunicazione di dati e informazioni commerciali tra operatori professionali (B2B) attraverso reti implementate appositamente per questo uso, dette Value Added Networks (VAN). Le VAN sono tuttora largamente in uso, grazie all’elevato grado di sicurezza che garantiscono, ma a esse si sono aggiunti oggi i protocolli di trasmissione generalmente utilizzati su Internet come l’FTP, l’http e le e-mail.

11 In particolare, tra questi, il Paese che fa registrare una performance migliore è la Grecia, che nonostante la crisi economica in cui versa, o forse proprio a causa di questa, ha riportato una crescita del 198% nel commercio elet-tronico.

Page 5: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1890 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

scambi internazionali di merci, di servizi, nonché degli aspetti commerciali della proprietà in-tellettuale12 e contempla altresì un sistema di soluzione delle controversie altamente evoluto.

Tuttavia il sistema in parola, nella sua formulazione originaria, eccezion fatta per alcune di-sposizioni relative alla liberalizzazione dei servizi di telecomunicazioni, di cui diremo più avanti, non contemplava alcun obbligo specifico con riguardo al commercio elettronico né alla liberalizzazione degli scambi di merci e servizi ad alto contenuto tecnologico, per il sem-plice fatto di essere stato concepito in un periodo storico durante il quale tali fattispecie ave-vano una rilevanza economica del tutto marginale13.

Ad ogni modo, fin dal 1996, in occasione della riunione della Conferenza ministeriale di Sin-gapore, gli Stati membri dell’OMC avevano pensato di colmare parzialmente la lacuna originaria del sistema commerciale multilaterale adottando una Dichiarazione ministeriale sul commercio dei prodotti delle tecnologie dell’informazione (alla quale è stato poi dato il nome di Information Technology Agreement, ITA)14 che, prescindendo dalla modalità di acquisto, tradizionale o elet-tronica degli stessi, prevede l’eliminazione completa dei dazi doganali su oltre 250 prodotti in-formatici elencati negli Allegati A e B alla Dichiarazione e relativo a sei principali categorie di prodotti: computer, apparecchiature per telecomunicazioni, semiconduttori, apparecchiature per la fabbricazione di semiconduttori, attrezzature scientifiche e software registrato su supporto fisico.

Come dicevamo, la liberalizzazione degli scambi internazionali di tali prodotti, i quali sono realizzati in larga parte solo in alcune zone del mondo e che sono indispensabili per la con-nessione a Internet, ovvia precondizione per la conclusione di transazioni elettroniche, è in grado di influenzare positivamente la diffusione del commercio elettronico: si pensi ad esem-pio alle apparecchiature hardware come i personal computer, i tablet, gli smartphone ma an-che i modem, i router, gli switches e le schede di rete, o software come i browser e i pro-grammi di protezione antivirus e antimalware. E proprio a tali beni hardware, nonché al soft-ware registrato su supporto fisico (modalità di distribuzione che, va detto, negli ultimi tempi sta però perdendo notevolmente di rilevanza essendole preferito l’acquisto e il download da remoto), sono quindi applicabili gli obblighi dell’Information Technology Agreement, che ne garantiscono l’esenzione da ogni dazio doganale.

L’accordo incorporato nella dichiarazione è entrato in vigore l’1 luglio 1997, quando è sta-ta soddisfatta la condizione della notifica al Segretariato OMC della sua ratifica da parte di un numero di Stati membri che rappresentassero il 90 per cento del commercio mondiale dei prodotti in questione15, e da quel momento esso è divenuto fonte di obblighi internazionali, a

12 Per una completa analisi del sistema istituzionale e normativo dell’OMC in italiano v., per tutti, P. Picone, A. Ligu-stro, Diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, Padova, CEDAM, 2002. Adde M.E. Footer, An Institutional and Normative Analysis of the World Trade Organization, Leiden, Brill, 2006; M. Matsushita, T.J. Schoenbaum, P.C. Mavroidis, The World Trade Organization: Law, Practice, and Policy, Oxford, Oxford University Press, 2006; A. Narlikar, M. Daunton, R.M. Stern (cur.), The Oxford Handbook on The World Trade Organization, Oxford, Oxford University Press, 2012; R.A. Reis, The World Trade Organization, New York, Chelesa House, 2008; P. Van den Bossche, The Law and Policy of the World Trade Organization: Text, Cases and Materials, Cambridge, Cambridge University Press, 2005.

13 L’OMC, come noto, è nata l’1 gennaio 1995 alla conclusione dell’Uruguay Round del GATT, svoltosi dal 1986 al 1993.

14 Ministerial Declaration on Trade in Information Technology Products, doc. WT/MIN(96)/16 del 13 dicembre 1996 reperibile all’indirizzo www.wto.org.

15 In seguito molti altri Paesi hanno aderito all’Accordo, il quale oggi copre il 97% del commercio mondiale dei prodotti ai quali è applicabile.

Page 6: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1891

loro volta coperti dal principio del trattamento generalizzato della nazione più favorita. In merito all’applicazione dell’ITA si registrano alcuni significativi elementi della prassi: nel

caso Tariff Treatment of Certain Information Technology Products16, alcuni Paesi membri del-l’OMC, tra cui USA e Giappone, contestavano alla Comunità europea (CE) di aver riscosso dazi doganali su alcuni prodotti – segnatamente dispositivi di visualizzazione a schermo piatto in grado di collegarsi a computer, stampanti multifunzione e, soprattutto, decodificatori televi-sivi in grado di connettersi a Internet – che, a detta dei Paesi ricorrenti, rientravano nell’elenco dei prodotti duty-free soggetti all’ITA, e che la CE aveva invece qualificato, ai fini doganali, in maniera differente, facendoli rientrare in categorie merceologiche in relazione alle quali non aveva assunto impegni di azzeramento dei dazi17.

Sotto il profilo giuridico il ricorso riguardava quindi il rapporto tra le previsioni dell’ITA (e, in particolare gli elenchi di prodotti contenuti negli Allegati che ne individuano l’ambito mate-riale di applicazione) e alcune disposizioni del GATT, in particolare gli articoli II (il quale, co-me noto, impone ad ogni Stato membro di concedere a tutti gli altri un trattamento non meno favorevole di quello previsto nella relativa lista di impegni con riguardo al prodotto di cui si tratta) e X (che prevede, tra gli altri, l’obbligo di tempestiva pubblicazione di tutte le misure nazionali relative al trattamento doganale dei prodotti importati) che gli Stati ricorrenti assu-mevano esser stati violati dalla CE.

Quest’ultima sosteneva, dal canto suo, la legittimità del suo operato e quindi la mancata violazione delle norme del GATT, dal momento che l’ITA costituirebbe, a suo giudizio, un ac-cordo internazionale autonomo, ovvero un «“full-fledged” international treaty» ai sensi dell’art. 2, par. 1 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati18, per il fatto di contenere «“unambiguously worded legal obligations” which are binding under public international law on all the parties to the declaration». Pertanto, a giudizio della CE, sotto il profilo giuridico, è del tutto irrilevante il fatto che tale accordo sia contenuto in una Dichiarazione ministeriale, anche in considerazione del fatto che il suo primo paragrafo usa esplicitamente il termine “agreement”.

A giudizio del Panel – il quale non ha però ritenuto necessario «to reach a finding on whether the ITA is a treaty or some other kind of agreement or declaration»19 – l’ITA rappre-senta invece «an instrument that was made by one or more parties in connection with the conclusion of the treaty and accepted by WTO Members as an instrument related to the trea-ty»20, cioè un elemento attraverso il quale alcuni Membri dell’OMC hanno concretamente de-finito gli obblighi tariffari relativi a determinati prodotti, ai quali si applicano pertanto in bloc-

16 European Communities and its Member States-Tariff Treatment of Certain Information Technology Products, Rapporto del Panel WT/DS375/R del 16 agosto 2010.

17 L’applicazione da parte della CE di tariffe doganali in misura superiore a quanto previsto dalla relativa lista (“schedule”) attraverso cambiamenti della classificazione doganale dei prodotti per la connessione a Internet – attrezza-ture per reti locali (LAN) e personal computer multimediali – era stata peraltro già oggetto di pronunce degli organi contenziosi nel 1998 in una controversia nata pochi mesi prima dell’entrata in vigore dell’ITA. Cfr. European Communi-ties -Customs Classification of Certain Computer Equipment, Rapporto del Panel WT/DS62/R del 5 febbraio 1998, Rap-porto dell’Ogano d’appello WT/DS62/AB/R del 5 giugno 1998, in www.wto.org.

18 Come noto, l’art. 2 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati prevede che «“treaty” means an interna-tional agreement concluded between States in written form and governed by international law, whether embodied in a single instrument or in two or more related instruments and whatever its particular designation».

19 Rapporto cit., par. 7.384. 20 Rapporto cit., par. 7.383.

Page 7: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1892 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

co le regole del sistema multilaterale degli scambi di merci, del quale l’ITA è parte integrante. Insomma, alla luce di quanto appena detto, sebbene una parte della dottrina lo qualifichi

come un autonomo accordo commerciale plurilaterale, l’ITA rappresenta semplicemente un insieme di concessioni tariffarie, adottate nel contesto del GATT e volte all’azzeramento dei dazi doganali per i prodotti ivi previsti, come sembra anche confermare l’assenza, in esso, di previsioni materiali specifiche21.

L’Accordo in parola, peraltro, non è esente da limiti sia sotto il profilo redazionale sia per quanto concerne il suo contenuto materiale.

In primo luogo va chiarito come gli elenchi dei prodotti cui sono applicabili gli impegni in parola siano stati stilati utilizzando l’Harmonized Tariff System, il noto sistema standardizzato di classificazione delle merci dell’Organizzazione mondiale delle dogane (World Customs Or-ganization, WCO) il quale, attraverso una serie di codici, consente una chiara e rapida identi-ficazione di un determinato bene. Il sistema, che individua un determinato prodotto mediante sezioni e capitoli tra loro in rapporto di genere a specie, e ne permette, così, un’identifica-zione via via più precisa in base alle caratteristiche possedute, contempla altresì la possibilità per gli Stati di prevedere unilateralmente ulteriori sottospecie di una determinata merce al fi-ne di distinguerne il trattamento doganale; nel caso dell’ITA ciò consente ai Membri che vo-lessero aggirare gli obblighi già assunti di escluderne un prodotto semplicemente inserendolo in una di tali “sottospecie” alla quale poi applicare un trattamento doganale differente rispetto a quello previsto per la più generale 22.

Peraltro, malgrado l’incontestabile risultato rappresentato dall’azzeramento dei dazi doga-nali sui prodotti tecnologici, l’ITA sconta anche l’ulteriore limite di rappresentare esclusiva-mente un meccanismo di taglio tariffario e di non contemplare, quindi, impegni in materia di barriere non tariffarie, se non quello, esclusivamente procedurale, della relativa revisione pe-riodica23: la liberalizzazione perseguita potrebbe, così, essere messa facilmente a repentaglio da barriere di tipo non tariffario, certamente idonee a impedire un concreto accesso al merca-to di prodotti pure fatti oggetto di abbattimento dei dazi24.

3. – Comunque, anche dopo l’adozione dell’ITA, l’ordinamento OMC continuava a non con-

21 Così già Picone, Ligustro, Diritto, cit., 73. In dottrina qualifica invece l’ITA come un accordo commerciale plu-rilaterale D. Ernst, Is the Information Technology Agreement Facilitating Latecomer Manufacturing and Innovation? India’s Experience, East-West Center Working Paper No. 135, 2014, 5 reperibile all’indirizzo www.eastwestcenter.org, nonché il paper predisposto dall’US International Trade Commission nel 2010, The Information Technology Agreement (ITA): An Assessment of World Trade in Information Technology Products, anch’esso reperibile all’indirizzo www.ssrn.com. Come noto, nel sistema normativo dell’OMC sono definiti accordi commerciali plurilaterali (ACP) gli Accordi che, a differenza dei c.d. Accordi commerciali multilaterali (ACM) – i quali, in base al c.d. principio dell’impegno globale (o single undertaking) vincolano tutti i Membri dell’Organizzazione per il solo fatto di essere tali – necessitano di un consenso (cioè di una ratifica) ad hoc.

22 Mentre le classificazioni di base sono armonizzate a livello globale, il sistema contempla infatti la possibilità che ogni Stato (o unione di Stati) suddivida ulteriormente le merci comprese in queste voci in base a determinate altre caratteristiche; J. Tasker Jr., The Information Technology Agreement: Building a Global Information Infrastriucture While Avoiding Customs Classification Disputes, in Brooklyn Journal of International Law, 2001, 917 ss.

23 Cfr. WTO, 15 Years of the Information Technology Agreement Trade, innovation and global production networks, Geneva, WTO Secretariat, 2012.

24 Analogamente v. H. Hauser, S. Wunsch-Vincent, A Call for a WTO E-Commerce Initiative, in International Journal of Communications Law and Policy, 2001, 6, 1 ss. in part. 16 dove si riconosce che «non-tariff barriers which are currently not dealt with by the ITA increasingly undermine ITA’s objective». Sul punto si veda infra, par. 5.

Page 8: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1893

tenere alcuna norma esplicitamente concepita per disciplinare gli scambi commerciali via Internet e il commercio elettronico. La prima previsione in materia fu infatti concordata solo in occasione della Conferenza Ministeriale di Ginevra del 1998, quando i Membri dell’OMC adottarono una dichiarazione sul commercio elettronico che prevedeva che gli stessi non avrebbero imposto dazi doganali sulle trasmissioni elettroniche (la c.d. “moratoria” sul commercio elettronico)25.

La moratoria in parola mirava a escludere dall’applicazione delle tariffe doganali i soli pro-dotti digitali acquistati mediante strumenti elettronici e consegnati per via elettronica (le c.d merci “liquide”, vendute mediante il c.d. commercio elettronico “diretto”: si pensi al caso del download di files musicali, film, e-books, ecc.), lasciando soggetti invece al tradizionale tratta-mento doganale i prodotti acquistati elettronicamente ma consegnati fisicamente (il c.d. commercio elettronico “indiretto”, che si verifica nel caso dell’acquisto on-line di prodotti che vengono poi consegnati materialmente).

Tale moratoria ha goduto di alterne fortune, generando non poche incertezze in merito al suo status giuridico: scaduta una prima volta, quando non fu reiterata in occasione della terza Conferenza ministeriale, tenutasi a Seattle nel novembre del 1999, è stata poi rinnovata nel 2001, in occasione del vertice di Doha26 ed è stata successivamente confermata ogni due anni fino alla fine del 201327. Attualmente essa non risulta oggetto di una ulteriore proroga, sebbe-ne alcuni tra i principali Membri dell’OMC, come l’Unione europea e gli Stati Uniti, abbiano sostenuto l’opportunità di una sua ulteriore conferma, quanto meno fino alla prossima confe-renza ministeriale dell’OMC 28.

E ad ogni modo, pur in assenza di delibere esplicite dell’Organizzazione, va segnalato co-me nessuno Stato membro, ad oggi, abbia dichiarato la propria intenzione di applicare oneri doganali sulle transazioni elettroniche né li abbia materialmente riscossi (probabilmente anche in considerazione della difficoltà materiale di riscuotere dazi in corrispondenza di transazioni che hanno luogo interamente on-line).

Ricordiamo che con il termine moratoria si fa riferimento alla temporanea sospensione di obblighi giuridici o alla proroga della scadenza di un termine già fissato per il loro adempi-mento; nell’ordinamento internazionale, in particolare, lo strumento in parola può essere pre-visto da norme pattizie, e assumere così valore vincolante, da atti adottati da organizzazioni internazionali – e in quest’ultimo caso gli effetti che ne scaturiranno dipenderanno dalla fonte che lo contiene – essere contenuto in dichiarazioni unilaterali di singoli Stati o, ancora, in atti dotati di solo rilevo politico, privi quindi di effetti giuridici29.

Per quanto riguarda specificamente la moratoria OMC sul commercio elettronico, una parte della dottrina nega alla stessa finanche i caratteri della giuridicità, attribuendole esclusivamente rile-vanza politica (senza peraltro spiegare i motivi di detta qualificazione) e afferma che il suo effettivo

25 Electronic Commerce: Declaration, doc WT/MIN(98)/DEC/2 del 25 maggio 1998, in www.wto.org. 26 S. Wunsch-Vincent, The WTO, The Internet and Trade in Digital Products: EC-US Perspectives, Oxford, Hart,

2006, 41. 27 L’ultimo rinnovo è contenuto nella decisione presa dalla Conferenza ministeriale in data 19 dicembre 2011,

doc. WT/L843, reperibile all’indirizzo www.wto.org. 28 Si veda, al riguardo, la decisione del Consiglio del 2 dicembre 2013 che stabilisce la posizione che l’Unione eu-

ropea deve adottare in seno alla Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio per quanto riguarda la proroga delle moratorie sui dazi doganali applicati alle trasmissioni elettroniche e la moratoria sui reclami relativi a casi di non violazione e ad altre situazioni (2013/728/UE), in G.U.U.E. L-332717 del 11-12-2013.

29 Si veda W. Yin, Moratorium in International Law, in Chinese Journal of International Law, 2012, 321 ss.

Page 9: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1894 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

rispetto da parte degli Stati – che pure si è sempre verificato nella prassi – sia stato una conseguen-za di mero fatto delle difficoltà riscontrate nella riscossione dei dazi doganali sul commercio elet-tronico diretto30. Altra dottrina ritiene che la moratoria in parola sia addirittura superflua, dal mo-mento che tutte le transazioni elettroniche sarebbero assimilabili a dei servizi e che «the GATS im-posed a prohibition on tariffs for all services. Thus, because electronic transmission is a service, Members enjoy the benefit of having trade in this service free from tariffs»31.

A noi pare che la moratoria sul commercio elettronico dell’OMC vada qualificata come un atto privo di effetti vincolanti, ma non di effetti giuridici tout court 32.

In questo senso sembra deporre sia il tenore letterale della moratoria stessa, che auspicava che i «Members will continue their current practice of not imposing customs duties on electronic transmissions (..) without prejudice to (…) the rights and obligations of Members under the WTO Agreements», sia il tipo di atto che la conteneva, una dichiarazione della Conferenza ministeriale oggetto di successive proroghe biennali. Sebbene, infatti, l’art. IV, par. 1 dell’Accordo OMC at-tribuisca alla Conferenza dei ministri la competenza a «prendere decisioni in relazione a tutti gli aspetti contemplati dagli accordi commerciali multilaterali», cioè atti dotati di forza vincolante, la dottrina ha condivisibilmente sottolineato l’opportunità di un’interpretazione restrittiva proprio di quelle disposizioni che consentono alla Conferenza ministeriale l’adozione di atti vincolanti33 e, ad ogni modo, l’art. X dello stesso Accordo OMC impone che le modifiche alla posizione giu-ridica degli Stati membri possano essere adottate, ed entrare in vigore, solo attraverso la previa ratifica di tutti gli Stati, ratifica che, nel caso della moratoria, non si è mai verificata. Né, d’altro canto, ci pare che alla stessa si possa attribuire la natura di un impegno tariffario nel contesto GATT, sempre a causa della sua mancata ratifica da parte dei competenti organi nazionali: è, infatti, evidente la differenza tra la procedura di adozione della moratoria e quella utilizzata con riguardo, ad esempio, all’ITA, un vero e proprio accordo internazionale che, come dicevamo poc’anzi, è entrato in vigore solo dopo aver raggiunto il numero di ratifiche richieste.

In buona sostanza, quindi, l’atto in parola ci pare vada qualificato alla stregua di una rac-comandazione rivolta dalla Conferenza ministeriale agli Stati, idonea comunque a produrre quanto meno l’effetto giuridico di obbligare i medesimi a fornire un’adeguata motivazione dell’eventuale violazione delle relative previsioni34.

30 Cfr. S. Wunsch-Vincent, The WTO, cit., 38. 31 E. Hernàndez-Lòpez, Trade in Electronic Commerce Services under the WTO. The Need to Clearly Classify

Electronic Transmission as Services and Not Tariff-Liable, in The Journal of World Intellectual Property, 2001, 559. Meno condivisibile ci pare l’affermazione secondo la quale il divieto di imporre dazi doganali sulle transazioni elettroniche sarebbe una «de facto obligation» dal momento che se esso discendesse dalla qualificazione di tali transazioni come servizi, e dalla conseguente applicabilità delle regole generali del GATS, sarebbe un obbligo giuridico a tutti gli effetti.

32 La dottrina più autorevole ha sostenuto, sebbene con sfumature diverse, che gli atti di diritto derivato adottati dalle Or-ganizzazioni internazionali sono fatti giuridicamente rilevanti, o fatti giuridici in senso stretto, i quali si limitano a esplicitare obblighi già previsti negli accordi istitutivi, essendo impossibile l’imposizione di obblighi nuovi non preventivamente accettati dagli Stati. Cfr. G. Arangio-Ruiz, Rapporti contrattuali fra Stati ed organizzazioni internazionali, in Arch. giur., 1950, 129 ss.; Id., The Normative Role of the General Assembly of the United Nations and the Declaration of Principles of Friendly Relations, in Rec. des Cours, 1972, III, 723 ss.; G. Morelli, Nozioni di diritto internazionale, Padova, CEDAM, 1967, 38 ss.

33 V. G. Adinolfi, L’Organizzazione mondiale del commercio. Profili istituzionali e normativi, Padova, CEDAM, 2001, 133 ss.

34 Sulle numerose tipologie di effetti che il c.d. soft law produce e, in particolare, sui rapporti tra questi e il diritto internazionale pattizio v. A.E. Boyle, Some Reflections on the Relationship of Treaties and Soft Law, in International and Comparative Law Quarterly, 1999, 901 ss.

Page 10: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1895

L’uso di uno strumento non vincolante per regolamentare, peraltro provvisoriamente, un aspetto complesso e strategico come quello in esame non deve stupire, dal momento che ciò potrebbe inserirsi in un più ampio e generale trend che secondo una parte della dottrina ca-ratterizzerebbe l’attuale fase di sviluppo del sistema normativo commerciale multilaterale, in cui, a causa dello stallo dei negoziati, si starebbe registrando un, seppur parziale, regresso del-l’OMC verso uno stadio più simile al “vecchio” GATT, dove, come noto, il rapporto tra regole da rispettare ed eccezioni a tali regole era sbilanciato a favore di queste ultime e le prime era-no, di conseguenza, caratterizzate da una maggiore flessibilità35.

Ad ogni modo la certezza del quadro normativo multilaterale del commercio digitale diret-to avrebbe grandemente beneficiato quanto meno di una nuova proroga della moratoria in parola e, in misura ancora maggiore, di una sua conversione in via definitiva in un vero e pro-prio obbligo tariffario. Comunque, anche nell’attuale assenza di previsioni esplicite, una più ampia liberalizzazione del commercio elettronico diretto potrebbe essere perseguita, seppur in misura ancora parziale, mediante l’applicazione analogica dell’Accordo ITA: come vedremo meglio più avanti, infatti, gli organi di soluzione delle controversie, seppur in una serie di obi-ter dicta, hanno chiarito che i prodotti consegnati digitalmente possono essere equiparati ai corrispondenti beni fisici (in quanto prodotti analoghi) e quindi ricevere il medesimo tratta-mento di questi ultimi36.

4. – Proprio perché l’ITA, da un lato, e la previsione della moratoria sui dazi doganali ri-

spetto al solo commercio elettronico diretto, dall’altro, non apparivano sufficienti a risolvere tutte le incertezze collegate all’applicazione delle norme commerciali multilaterali al commer-cio elettronico, con la medesima dichiarazione che nel 1998 istituiva la moratoria, la Confe-renza ministeriale dell’OMC incaricava il Consiglio generale di tracciare un programma di la-voro volto a individuare ulteriori questioni di rilevanza commerciale legate all’uso di strumenti informatici e le possibili soluzioni normative: il Consiglio adottava così una prima versione del programma il 25 settembre 1998 e ne continuava l’esame anche dopo il fallimento della Con-ferenza ministeriale di Seattle del 1999.

In occasione, poi, della quarta Conferenza ministeriale, svoltasi a Doha nel 2001 gli Stati membri assegnavano tale programma di lavoro al Consiglio per gli scambi di merci, al Consi-glio per gli scambi di servizi e al Consiglio TRIPs – cioè ai Consigli di settore, gli organi sussi-

35 Sul rapporto tra regole ed eccezioni nel sistema del vecchio GATT v. P. Picone, A. Ligustro, Diritto, cit., 10 ss. M.E. Footer, The (Re)Turn to ‘Soft Law’ in Reconciling The Antinomies in WTO Law, in Melbourne Journal of Interna-tional Law, 2010, 241 ss. sottolinea come, da ultimo, gli Stati dell’OMC stiano facendo sempre più largo uso di previ-sioni non vincolanti al fine di chiarire o approfondire norme degli Accordi allegati; peraltro l’incorporazione di norme siffatte nel sistema commerciale multilaterale agisce spesso come precursore per l’evoluzione delle norme giuridiche vincolanti. Ancora, si registra l’ingresso nel sistema OMC di raccomandazioni provenienti da fora esterni, come altre organizzazioni internazionali, ingresso che potrebbe avere un impatto sul futuro sviluppo di molte disposizioni sostan-ziali interne al sistema stesso. Sul tema v. anche J. Pauwelyn, Non-Traditional Patterns of Global Regulation: Is the WTO “Missing the Boat”?, in C. Joerges, E.U. Petersmann (cur.), Constitutionalism, Multilevel Trade Governance and Social Regulation, Hart, 2006, 199 ss.

36 La dottrina, prima dell’adozione dei rapporti relativi al caso China – Measures Affecting Trading Rights and Distri-bution Services for Certain Publications and Audiovisual Entertainment Products, di cui diremo nel par. 6, aveva già af-fermato che «the better position is that the digital versions of goods remain goods subject to GATT. Holding otherwise creates a potential to evade bound tariffs for a good as it takes on a new form, which represents backsliding from the commitment to liberalize trade in that good»; cfr. T. Wu, The World Trade Law of Censorship and International Internet Filtering, in Chicago Journal of International Law, 2006, 263 ss.

Page 11: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1896 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

diari del Consiglio generale competenti ratione materiae – e alla Commissione per il commer-cio e lo sviluppo, i quali provvedevano a individuare le specifiche criticità di disciplina per ogni settore e quelle di rilevanza più trasversale, i c.d. cross-cutting issues37.

In particolare, tra gli aspetti del commercio elettronico di rilievo per il sistema degli scambi di merci, venivano individuati problemi di applicazione della regola del trattamento nazionale (e in particolare dell’art. III, par. 4 del GATT), del principio di protezione doganale esclusiva (art. XI, par. 1 GATT) e delle modalità di applicazione delle eccezioni generali (e, soprattutto, di quella relativa alla morale pubblica, di cui all’art. XX, lett. a) del GATT) nonché, ancora, dell’Accordo sul valore delle merci in dogana, dell’Accordo relativo alle procedure di licenza e dell’Accordo sulle regole di origine38.

Non è un caso che la maggior parte delle criticità segnalate dal Consiglio per gli scambi di merci fosse relativa a norme volte a disciplinare ostacoli non tariffari.

Tali ostacoli (che, come noto, si caratterizzano per la loro estrema eterogeneità, potendo coincidere con qualunque condotta statale – ma anche posta in essere da privati: si pensi al dumping – restrittiva degli scambi e differente dall’imposizione dei dazi doganali) assumono infatti un rilievo del tutto peculiare nel contesto del commercio elettronico dal momento che assumono spesso la forma di firewall volti a bloccare i flussi internazionali di dati39, i quali so-no, almeno potenzialmente, idonei ad impedire del tutto gli scambi commerciali elettronici, come vedremo nel paragrafo che segue.

Per quanto concerne, invece, l’applicazione al commercio elettronico delle norme del GATS, il Consiglio per gli scambi di servizi ne individuava i profili di maggiore problematicità nella difficoltà di distinguere compiutamente le modalità di fornitura del servizio (art. I GATS), negli accresciuti rischi di violazione del principio del trattamento generalizzato della nazione più favorita (art. II GATS) e del principio di trasparenza (art. III GATS), nelle norme sulla rego-lamentazione e il riconoscimento (art. VI e VII GATS), nelle modalità di applicazione dell’ec-cezione volta alla tutela di vita privata e morale pubblica (art. XIV GATS) e, ancora, nelle diffi-coltà di garantire effettività agli impegni di accesso al mercato (inclusi gli impegni in materia di servizi di base e di telecomunicazione a valore aggiunto e sui servizi di distribuzione; art. XVI GATS), e trattamento nazionale (art. XVII GATS)40.

Quanto agli addentellati tra sistema TRIPs e commercio elettronico, il Consiglio competen-te sottolineava la necessità di garantire una protezione efficace e il rispetto dei diritti d’autore e dei diritti connessi e la protezione dei marchi e garantire, al contempo, l’accesso diffuso alle nuove tecnologie41.

Sui cross cutting issues e, in particolare, su quelli relativi alle problematiche dello sviluppo, si focalizzava invece l’attenzione del Comitato per il commercio e lo sviluppo, il quale esami-nava gli effetti dell’e-commerce sulle prospettive economiche dei Paesi in via di sviluppo e dei BRICs, cercando di individuare gli strumenti per massimizzarne i vantaggi evidenziando, al

37 A.M.K. Alzaabi, Regulations of Electronic Commerce in the WTO and Its Impact on Developing Countries and the United Arab Emirates, University of Kansas Working Paper, 2011, in www.ssrn.com.

38 In merito alla maggior parte di tali punti v. infra, par. succ. 39 A. Chander, U.P. Le, Breaking the Web: Data Localization vs. the Global Internet, in University of California Davis

School of Law, Legal Studies Research Paper Series, 2014, reperibile in www.sssrn.com. 40 In merito ai rapporti tra sistema GATS e scambi via Internet v. infra, par. 7. 41 Per un esame di alcune delle questioni sollevate dal rapporto tra scambi via Web e TRIPs v. infra, par. 8.

Page 12: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1897

contempo, anche i rischi connessi al possibile impatto negativo del commercio elettronico su mezzi più tradizionali di distribuzione di beni fisici, particolarmente importanti per i Paesi in via di sviluppo; sotto il profilo istituzionale, poi, il Comitato suggeriva come le tecnologie dell’informazione potessero costituire un importante elemento di promozione del processo di integrazione dei Paesi in via di sviluppo nel sistema commerciale multilaterale.

Ebbene, a dispetto delle voluminose conclusioni raggiunte dal Programma di lavoro di cui si è appena detto, l’Information Technology Agreement e la moratoria sono rimasti gli ultimi elementi normativi esplicitamente previsti dal sistema OMC nella materia di cui ci stiamo oc-cupando, e questo non solo a causa del complessivo stallo dei negoziati ma anche per il man-cato raggiungimento tra i Membri del consensus sulla qualificazione degli scambi elettronici come scambi di merci o, in alternativa, di servizi.

Mentre alcuni Membri, tra cui gli Stati Uniti, sono infatti propensi a qualificare esplicita-mente tutte le transazioni on-line come scambi di merci, al fine di promuoverne una liberaliz-zazione più spinta mediante la loro sottoposizione a un apparato normativo più definito ed evo-luto quale quello del GATT e dell’intero sistema degli scambi di merci, altri, tra cui l’Unione eu-ropea, tendono a considerare tali transazioni alla stregua di servizi, anche al fine di sottoporle al sistema a la carte del GATS42.

Quanto alla dottrina, essa appare abbastanza univocamente orientata nel ritenere applica-bili le norme GATT al commercio elettronico indiretto e, invece, quelle del GATS a tutti i ser-vizi offerti on-line che non implichino il download di materiali o la ricezione di oggetti fisici, come quelli offerti, ad esempio, da un motore di ricerca o dai servizi di prenotazione di voli e soggiorni43.

Da questa bipartizione, tuttavia, restano evidentemente escluse tutte le transazioni on-line che implicano l’acquisto di merci “liquide”, come quelle relative a e-book, musica, film, soft-ware, su cui, però, come vedremo subito nei paragrafi che seguono, si registrano alcune inte-ressanti prese di posizione degli organi di soluzione delle controversie, i quali, con riguardo al commercio digitale, hanno comunque cercato di definire i confini e i reciproci rapporti tra i vari sistemi di norme commerciali multilaterali confermando, così, il possesso da parte del di-ritto OMC di un elevato grado di adattabilità e resilienza.

5. – Il GATT è caratterizzato, come noto, dal principio della protezione doganale esclusiva, cui

fa da corollario «un netto disfavore per tutte le forme di barriere non doganali», la cui eliminazione è imposta, in generale, dagli articoli III (“Trattamento nazionale”), VIII (“Oneri e formalità relativi all’importazione e all’esportazione”), XI (“Eliminazione generale delle restrizioni quantitative”) 44.

Le norme in questione trovano applicazione anche a molte misure di limitazione o di blocco della connessione a Internet adottate dagli Stati, dal momento che tali misure possono avere l’effetto di «divieti o restrizioni diverse dai dazi doganali, tasse o altre imposizioni, siano

42 Per una spiegazione delle logiche di funzionamento del sistema GATS v. infra, par. 7. Per le differenti posizioni assunte da USA e UE v. B.H. Malkawi, E-Commerce in Light of International Trade Agreements: The WTO and the United States-Jordan Free Trade Agreement, in International Journal of Law and Information Technology, 2007, 153 ss., in part. 157.

43 C. Liu, Internet Censorship As A Trade Barrier: A Look At The WTO Consistency Of The Great Firewall In The Wake Of The China-Google Dispute, in Georgetown Journal of International Law, 2011, 1199 ss., in part. 1212; T. Wu, The World Trade Law of Censorship, cit., 263.

44 Cfr. P. Picone, A. Ligustro, Diritto, cit., 124 ss.

Page 13: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1898 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

essi attuati a mezzo di contingenti, licenze di importazione o d’esportazione o tramite altre misure di ogni altro procedimento» vietati, in particolare, dall’art. XI del GATT.

Va sottolineato in proposito come in molti Stati la restrizione dell’accesso a Internet faccia parte di una precisa scelta governativa, che viene attuata con strumenti sia tecnici sia giuridici45: si va dalla previsione di un provider unico, spesso di proprietà statale, che è così in grado di con-trollare il traffico Web dei residenti sul territorio nazionale, all’adozione di filtri che impediscono l’accesso a determinati siti o, ancora, alla richiesta di registrazione presso le autorità governative come condizione per la navigazione da parte delle persone fisiche, così da poterne costante-mente tracciare i comportamenti on-line46. Peraltro, anche quando le misure di restrizione dei dati che transitano sulla Rete vengono adottate dai privati, spesso ciò avviene in esecuzione di misure o sanzioni decise a livello governativo al fine dichiarato di tutelare interessi superiori, come impedire la diffusione di dati protetti da diritti di proprietà intellettuale, soprattutto attra-verso il file sharing nelle forme client-server e peer to peer (p2p)47 o tutelare la privacy degli uten-ti48; tuttavia misure siffatte producono l’effetto di rendere estremamente difficile, oneroso o im-pedire del tutto il contatto tra venditore e compratore on-line e, di conseguenza, in assenza di cause di giustificazione (quali quelle previste dagli art. XX e XXI del GATT e di cui diremo innanzi), potrebbero costituire un’illegittima restrizione degli scambi di merci “reali”, oltre che del commer-cio elettronico diretto, nonché, ovviamente, degli scambi internazionali di servizi digitali.

La prassi evidenzia come gli Stati tendano a giustificare misure siffatte, che possono essere di applicazione generalizzata (come avviene nel caso di leggi, decreti ecc.) o specifica (come si verifi-ca nel caso di sentenze o atti amministrativi relativi a casi concreti), essenzialmente sulla scorta di tre distinte motivazioni: politiche, morali ed esplicitamente commerciali; tutte, indipendentemente dalle motivazioni dichiarate, possono avere ripercussioni negative sugli scambi commerciali.

Nel primo caso le misure sono adottate al fine di limitare la diffusione di idee critiche nei confronti del potere costituito, così come la promozione di gruppi politici di opposizione al regime: il traffico Internet di questi è rigorosamente monitorato e l’accesso a siti stranieri rite-nuti politicamente pericolosi è generalmente bloccato in molti Paesi tra cui, tra gli altri, Cina, Iran, Maldive, Myanmar, Corea del Nord, Siria, Tunisia, Turchia, Uzbekistan, Vietnam.

Ma misure politiche di limitazione al traffico on-line sono rinvenibili anche nella prassi dei Paesi occidentali: al riguardo basti pensare al caso LICRA v. Yahoo!, instaurato dapprima dinanzi ai giudi-ci francesi e che ha poi avuto un seguito nell’ordinamento statunitense49, una controversia che, pur

45 F. Erixon, B. Hindley, H. Lee-Makiyama, Protectionism On-line: Internet Censorship and International Trade Law, in ECIPE Working Paper, 12, 2009, Brussels, ECIPE. In particolare sul caso della Cina si veda B. Carotti, Il controllo di Internet: Google e la Cina, in Riv. trim. dir. pub., 2010, 1153 ss.; F. Erixon, H. Lee-Makiyama, Digital Authoritarianism: Human Rights, Geopolitics and Commerce, in ECIPE Occasional Paper, 5, 2011, Brussels, ECIPE; C. Liu, Internet Censorship, cit., 1199 ss.; R. Patni, N. Joseph, WTO Ramifications of Internet Censorship: The Google-China Controversy, in National Uni-versity of Juridical Sciences Law Review, 2010, 337 ss.; T. Wu, The World Trade Law of Censorship, cit., 263.

46 Da ultimo v. D.C. Nunziato, The Beginning of the End of Internet Freedom, in Georgetown Journal of International Law, 2014, 383 ss.

47 E. Bertolini, La lotta al file sharing illegale e la “dottrina Sarkozy” nel quadro comparato: quali prospettive per la libertà di espressione e privacy nella rete globale?, in questa Rivista, 2010, 74 ss.; F. Macaluso, Distribuzione di contenuti digitali in rete, in Dir. comm. internaz., 2010, 821 ss.

48 In questo senso anche la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite A/RES/63/187/2010 – Informa-tion and communication technologies for development del 9 febbraio 2010, reperibile in www.un.org/en/ga/64/ resolutions.shtml.

49 Tribunal de grande instance di Parigi, Ligue contre le racisme et l’antisémitisme et Union des étudiants juifs de France c. Yahoo! Inc. et Société Yahoo! France (LICRA v. Yahoo!), ordinanza ad interim del 22 maggio 2000. In seguito

Page 14: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1899

essendo priva di riferimenti espliciti al diritto OMC, risulta sotto molti aspetti paradigmatica50. È il caso di riassumerne brevemente i fatti: la causa originava dal ricorso presentato da due associazioni francesi nei confronti del motore di ricerca statunitense Yahoo! per aver quest’ultimo consentito la vendita per il tramite del proprio servizio di aste on-line di memorabilia del periodo nazista, vendita vietata dal codice penale francese e aver, altresì, mantenuto on-line siti di propaganda nazista.

Il Tribunale di Parigi, rigettando le difese di Yahoo! che sosteneva, da un lato, il difetto di giurisdizione della magistratura francese per il fatto che i suoi servers erano situati sul territorio degli Stati Uniti e si rivolgevano essenzialmente ai cittadini statunitensi e, dall’altro, l’impos-sibilità di adottare mezzi tecnici idonei a impedire ai residenti francesi di partecipare alle aste senza compromettere l’esistenza stessa di Internet, accoglieva le richieste e imponeva a Ya-hoo! di adottare un meccanismo di localizzazione geografica dei suoi utenti al fine di visualiz-zare un disclaimer che indicasse loro che stavano per accedere a pagine il cui contenuto era vietato dal rispettivo ordinamento nazionale.

Il caso in parola, ampiamente esaminato da parte della dottrina51, risulta paradigmatico per aver sollevato, per la prima volta, al di fuori del sistema OMC ma con una rilevanza “globale”, importanti questioni quali il rapporto tra diritto di espressione e potere di governo delle autorità nazionali, la portata degli effetti extraterritoriali delle misure statali di limitazione di accesso alla Rete e, per quanto ci riguarda più da vicino, per aver posto all’attenzione della comunità inter-nazionale le conseguenze commerciali delle misure di restrizione alla connessione ad Internet nonché per aver evidenziato l’inesistenza di “international standards governing the regulation of on-line content”52.

Ancora più numerosi sono poi gli esempi delle restrizioni dell’accesso a Internet basate su motivazioni “morali”, idonee a produrre un impatto commerciale negativo: basti pensare alla messa al bando di siti con materiale per adulti o di quelli che consentono di praticare scom-messe o gioco d’azzardo o, ancora, i divieti adottati da Governi di Paesi a ordinamento con-fessionale, in cui è spesso vietato l’accesso a pagine Web che contengano argomenti ritenuti tabù come la religione e, in casi ancora più estremi, i diritti delle donne. Anche in questo ca-

Yahoo! ritenne di non utilizzare gli strumenti di appello previsti dall’ordinamento francese e di ricorrere invece alla United States District Court for the Northern District of California chiedendo che l’ordinanza del giudice francese fosse dichiarata inefficace negli USA, cosa che avvenne, in quanto la stessa fu ritenuta incompatibile con il Primo Emenda-mento alla Costituzione statunitense, relativo alla libertà di espressione. Questa decisione venne poi appellata dalle due associazioni francesi dinanzi alla U.S. Court of Appeals for the Ninth Circuit che, il 23 agosto 2004, ribaltò, in rito, la pronuncia della Corte distrettuale, ritenendola priva di giurisdizione nei confronti delle appellanti. Il 12 gennaio 2006 la medesima Corte, pronunciandosi en banc, confermò poi la decisione precedente e rimise il caso alla Corte distrettuale con indicazioni di rigettare il ricorso; cfr. United States Court of Appeals, Ninth Circuit. 433 F.3d 1199, Ya-hoo! Inc. v. LICRA and UEJF, January 12, 2006. Il 30 maggio 2006 la Corte suprema degli Stati Uniti, adita da Yahoo!, ha infine rigettato il certiorari richiesto, con l’order No 05-1302. In letteratura v., da ultimo, anche per ulteriori rifer-imenti, M.H. Greenberg, A Return to Lilliput: The LICRA v. Yahoo – Case and the Regulation of On-line Content in the World Market, in Berkeley Technology Law Journal, 2014, 1191 ss.

50 Cfr. R. Patni, N. Joseph, WTO Ramifications, cit., 342 ss. 51 Si vedano, tra gli altri, M. Chivvis, Reexamining the Yahoo! Litigations: Toward an Effect Test for Determining

International Cyberspace Jurisdiction, in University of San Francisco Law Review, 2007, 699 ss.; M. S. Kende, Yahoo!: national borders in cyberspace and their impact on international lawyers, in New Mexico Law Review, 2002, 1 ss.; H. Muir Watt, Yahoo! cyber collision of cultures: who regulates?, in Michigan Journal of International Law, 2003, 1052 ss.; M. Reiman, The Yahoo Case and Conflict of Laws in the Cyberage, in C. Ku, P.F. Diel (cur.), International law: classic and contemporary readings, Boulder, Rienner pub., 2009, 457 ss.; M.M. Winkler, Il caso Yahoo!: ovvero il buon senso alle prese col diritto, in Dir. comm. internaz., 2002, 357 ss.

52 V. Yahoo! 11,169 F. Supp. 2d 1181 (N.D. Cal. 2001).

Page 15: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1900 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

so, peraltro, i Paesi occidentali non sono estranei a misure protezionistiche di tal fatta, come nel caso della messa al bando del gioco d’azzardo on-line adottate dagli Stati Uniti53 e conte-stato in sede OMC, di cui diremo nel paragrafo che segue.

Un terzo motivo, anche se utilizzato più di rado, che può indurre gli Stati ad adottare misure di restrizione dell’accesso alla Rete è quello, esplicitamente commerciale, di tutelare le imprese nazionali dalla concorrenza estera; al riguardo il caso più noto è quello del Messico, dove l’operatore telefonico di proprietà statale aveva bloccato le applicazioni di telefonia via IP54.

Gli organi contenziosi dell’OMC si sono occupati proprio dell’impatto commerciale delle misure statali di controllo e restrizione delle trasmissioni via Internet (e segnatamente di quelle relative al download di prodotti digitali) nel caso China – Publications and Audiovisual Pro-ducts, in cui gli Stati Uniti avevano contestato alla Cina la violazione di numerosi obblighi OMC relativi all’importazione e alla distribuzione, anche via Internet, di merci e servizi relativi a materiali da lettura (libri, giornali, periodici elettronici), prodotti audiovisivi per l’home enter-tainment, registrazioni sonore e film destinati alla proiezione cinematografica55.

Il caso in questione, sebbene relativo ad alcune specifiche misure di restrizione adottate dalla Cina, traccia alcune direttrici applicative che potrebbero essere utilizzate anche con ri-guardo a misure restrittive più generali quali, ad esempio, il c.d. great firewall cinese56 o le re-strizioni adottate, in maniera analoga, dagli altri Stati di cui abbiamo detto.

Ricordiamo, innanzi tutto, che l’art. III del GATT impone ai Membri dell’OMC l’obbligo del trattamento nazionale, cioè di accordare ai prodotti importati un trattamento non meno favorevole di quello previsto per i prodotti nazionali similari; in particolare, poi, l’art. III, par. 4 vieta la discriminazione con riguardo alle misure interne diverse dalle imposizioni fiscali. La prassi contenziosa, nel corso degli anni, ha chiarito portata, funzioni e meccanismi applicativi della disposizione in parola57 e, proprio nel caso China – Publications and Audiovisual Pro-ducts, ha ribadito che una violazione dell’articolo in parola, anche via Web, si verifica in pre-senza di tre condizioni: che la discriminazione avvenga tra «like products», che le misure di-scriminatorie siano «laws, regulations, or requirements affecting internal sale, offering for sale, purchase, transportation, distribution or use» e che ai prodotti importati sia riconosciuto un «less favorable treatment» rispetto a quanto previsto per i corrispondenti prodotti nazionali.

Per quanto concerne il primo requisito, il Panel, rifacendosi ancora una volta a un orien-tamento giurisprudenziale ormai consolidato58, ha ribadito come la similarità tra prodotti si

53 United States – Measures Affecting the Cross-Border Supply of Gambling and Betting Services (US – Gambling), Rapporto del Panel WT/DS285/R del 10 novembre 2004, rapporto dell’Organo d’appello WT/DS285/AB/R del 7 aprile 2005, in www.wto.org.

54 Ricordiamo come il Messico, con riguardo al settore della telefonia, fosse già stato condannato dagli organi con-tenziosi dell’OMC per aver applicato agli operatori statunitensi delle tariffe spropositate per l’interconnessione; si veda il caso Mexico – Measures Affecting Telecommunications Services (Mexico – Telecoms), Rapporto del Panel WT/DS204/R del 2 aprile 2004, in www.wto.org.

55 China — Measures Affecting Trading Rights and Distribution Services for Certain Publications and Audiovisual Entertainment Products, Rapporto del Panel WT/DS363/R del 12 agosto 2009, in www.wto.org.

56 E. Bertolini, L’“apertura sorveglia”: la via cinese alla governance e alla censura di Internet, in questa Rivista, 2008, 1063 ss. Sulle misure normative adottate dal Governo cinese per limitare l’uso di Internet v. A. Gigante, Le imprese multinazionali di Internet in Cina: il problema della censura e il ruolo dei codici di condotta e dell’ATCA, in A.R. Gurrieri, M. Lorizio, C. Novi (cur.), L’ascesa delle economie emergenti. Implicazioni economiche e giuridiche, Milano, Franco Angeli, 2010, 347 ss.

57 Cfr. P. Picone, A. Ligustro, Diritto, cit., 117 ss. 58 Cfr. United States — Standards for Reformulated and Conventional Gasoline, Rapporto del Panel, WT/DS2/DS4/R

Page 16: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1901

possa individuare sulla base di quattro criteri, quali «(i) the properties, nature and quality of the products; (ii) the end-uses of the products; (iii) consumers’tastes and habits – more com-prehensively termed consumers’ perceptions and behaviour – in respect of the products; and (iv) the tariff classification of the products» sulla scorta dei quali ha dichiarato la similarità dei prodotti scaricati con i loro corrispettivi “materiali”59.

Il Panel ha poi proceduto a esaminare la tipologia delle misure contestate, accertando co-me le medesime fossero volte a verificare addirittura il contenuto dei prodotti oggetto di do-wnload, e in particolare dei files audio, «prior to transmission over the information network»60, al fine di impedire la trasmissione di messaggi sgraditi, e che questo avveniva anche qualora la corrispondente copia fisica fosse già stata importata nel territorio cinese: a giudizio del Panel, quindi, le misure in parola erano applicabili sulla base di «an internal factor separate from im-portation»61 e rientravano nell’ambito di applicazione dell’art. III, par. IV del GATT.

Le normative interne cinesi contestate, peraltro, disciplinano anche le modalità con cui giornali e riviste on-line «may be distributed (i.e., subscription channel) and who may distribu-te them (i.e., wholly state-owned enterprises)»62 e per questo influenzano negativamente la loro diffusione ai sensi dell’art. III, par. 4 del GATT 1994.

Insomma, le conclusioni raggiunte dal Panel in merito all’applicazione dell’art. III, par. 4 del GATT ai prodotti digitali (che, è il caso di sottolineare, non sono state oggetto di appello) fanno uso di meccanismi applicativi e modalità interpretative ormai consolidate nella prassi OMC relativa alle merci “reali”, indicando con ciò che le fattispecie via Web, e in particolare gli scambi di merci “liquide”, a parere degli organi di soluzione delle controversie, non abbi-sognano di norme ad hoc, ben potendo essere regolate mediante le disposizioni per così dire generali con (peraltro piccoli) aggiustamenti interpretativi.

Oggetto di appello (ma sostanzialmente confermate in secondo grado) sono state poi le conclusioni raggiunte dal Panel relative all’applicabilità, alle misure contestate, dell’eccezione generale di cui all’art. XX, lett. a) del GATT, che, come noto, consente agli Stati membri di de-rogare a qualunque obbligo del sistema al fine di tutelare la moralità pubblica, a condizione che le misure di deroga a tal fine adottate non costituiscano «un mezzo di discriminazione ar-bitraria o ingiustificata tra Paesi dove esistano le stesse condizioni» o «una larvata restrizione al commercio internazionale» (così il preambolo dell’art. XX) e che le stesse producano il minor impatto possibile sulla libertà di commercio63.

del 29 gennaio 1996, par. 6.8; Japan – Taxes on Alcoholic Beverages, Rapporto dell’organo d’appello WT/DS8/DS10/ DS11/AR/R del 4 ottobre 1996, 113 nota 46; ricordiamo anche l’Organo d’appello nel rapporto del caso European Communities – Measures Affecting Asbestos and Products Containing Asbestos, WT/DS135/AB/R del 12 marzo 2001, abbia affermato che «“likeness” under Article III:4 of the GATT 1994 is fundamentally, a determination about the na-ture and extent of a competitive relationship between and among products», par. 99.

59 Par. 7.1445 del Rapporto del Panel, cit. 60 Par. 7.1630 del Rapporto del Panel, cit. 61 Ivi. 62 Par. 7.1522 del Rapporto del Panel, cit. 63 Anche l’Organo d’appello, nel caso in esame, ha fatto applicazione di orientamenti giurisprudenziali ormai

consolidati secondo i quali l’analisi relativa al rispetto dell’art. XX GATT va condotta secondo un procedimento bifasico volto a determinare dapprima se la misura di deroga contestata rientri in una delle previsioni del medesimo articolo, e solo in un secondo momento se essa sia rispettosa dei requisiti contenuti nel preambolo dello stesso. Anche il requisito della necessità, a sua volta, si articola in due elementi, un principio di necessità in senso stretto, relativo alla indispensa-bilità della misura adottata rispetto al fine da questa perseguito, e un principio di proporzionalità, che impone di

Page 17: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1902 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

Anche su questo punto gli organi contenziosi hanno fatto riferimento a decisioni prece-dentemente adottate, ricordando di aver già statuito che «a necessary measure is located si-gnificantly closer to the pole of “indispensabile” than to the opposite pole of simply “making a contribution to”»64; nel caso di specie, vista l’assenza dichiarata di ogni collegamento tra «the challenged measures and the protection of public morals measures denying trading rights lie far too distant from the pole of indispensability to qualify as “necessary” within the meaning of Article XX»65 ed erano quindi da considerarsi adottate in violazione degli obblighi OMC.

Come già accennato, esulava dall’oggetto della controversia, invece, l’ipotesi dell’adozione di misure statali di rallentamento o blocco totale dell’accesso a un determinato indirizzo Web quando questo viene utilizzato per scaricare legittimamente musica, film, software o giornali e riviste, misure che potrebbero costituire una violazione dell’art. XI, par. 1 del GATT: sebbene, infatti, quella via Internet rappresenti solo una modalità di consegna della merce, il suo blocco totale o parziale potrebbe rappresentare una restrizione quantitativa paragonabile a un con-tingente globale, pari addirittura a zero nel caso del blocco totale.

Peraltro le misure – come quelle cinesi contestate dagli USA dinanzi agli organi OMC – volte a imporre il controllo del contenuto di un prodotto digitale come precondizione per il suo ingresso nel mercato, condizionandolo a un’autorizzazione dell’autorità amministrativa, a nostro parere possono essere a tutti gli effetti equiparate a delle procedure per la concessione di licenze di importazione, anch’esse esplicitamente contemplate dall’art. XI del GATT; tutta-via quest’ultimo profilo non era contestato dagli USA e non era quindi oggetto di esame da parte degli organi di soluzione delle controversie.

Ad ogni modo, la pronuncia nel caso China – Publications and Audiovisual Products, sep-pur non innovativa nelle soluzioni di merito adottate che, anzi, come abbiamo visto, riposano su orientamenti giurisprudenziali pregressi e largamente consolidati, costituisce il primo caso e, a oggi l’unico, di applicazione esplicita delle norme del sistema commerciale multilaterale degli scambi di merci a prodotti “liquidi”, e conferma la tendenza dell’OMC di applicare alle nuove fattispecie le regole pregresse.

Tale pronuncia, peraltro, costituisce un elemento della prassi che potrebbe giustificare quell’estensione degli obblighi di abbattimento dei dazi doganali previsti nell’ITA nei confronti anche alle versioni digitali dei prodotti ivi contemplati di cui dicevamo nel par. 2.

Non si può non notare, ancora, come una parte della dottrina abbia rilevato l’inadegua-tezza degli strumenti previsti dal sistema OMC, in particolare per tutelare i privati da eventuali violazioni di norme commerciali multilaterali perpetrate dagli Stati mediante misure di blocco delle connessioni ad Internet e abbia individuato come forme di tutela più efficaci quelle pre-viste dagli ordinamenti interni, in particolare quelle risarcitorie66: si tratta di una riproposizio-

verificare che la misura scelta sia, tra le idonee a raggiungere lo scopo voluto, quella che produca i minori effetti restrit-tivi degli scambi. Cfr. P. Picone, A. Ligustro, Diritto, cit., 328. Cfr. China – Measures Affecting Trading Rights and Distri-bution Services for Certain Publications and Audiovisual Entertainment Products, Rapporto dell’Organo d’Appello WT/DS363/AB/R del 21 dicembre 2009, par. 415.

64 Qui il Panel fa riferimento ad un passaggio della precedente pronuncia relativa al caso Korea – Measures Affecting Imports of Fresh, Chilled and Frozen Beef, Rapporto dell’Organo d’appello, WT/DS/1690/AB/R dell’11 dicem-bre 2000, par. 161, reperibile all’indirizzo www.wto.org.

65 Par. 4.211 del Rapporto del Panel, cit. 66 K.A. Knapp, Internet Filtering: The Ineffectiveness of WTO Remedies and the Availability of Alternative Tort

Remedies, in Marshall Journal of Computer & Information Law, 2010, 273 ss.

Page 18: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1903

ne, sotto nuove vesti, della annosa questione del difetto di rilevanza interna degli Accordi OMC67.

7. – Come dicevamo, la Rete ha apportato importanti vantaggi anche nel settore del terzia-

rio, dal momento che consente oggi di fornire praticamente a costo zero tutti i servizi per i quali non è indispensabile lo spostamento di persone fisiche. Peraltro, come abbiamo già visto verificarsi nel caso di alcune merci, l’accesso a determinate tipologie di servizi, come quelli di telecomunicazione, costituisce una condizione indispensabile per la connessione ad Internet, e la loro effettiva liberalizzazione, quindi, è un elemento di consolidamento delle tecnologie dell’informazione e di sviluppo della Rete e, quindi, delle transazioni che vi hanno luogo.

Il sistema normativo dell’OMC contempla due Allegati all’Accordo generale sugli scambi di servizi relativi alle telecomunicazioni i quali, nel complesso, impongono ai Membri di fare in modo che i fornitori nazionali di servizi siffatti consentano a quelli di altri Paesi l’accesso ai sistemi di telecomunicazione a condizioni ragionevoli, nonché di assicurare la libertà transfor-ntaliera di movimento dei dati attraverso l’interconnessione delle reti68 al fine di garantire la fornitura dei relativi servizi limitando le restrizioni a quelle strettamente necessarie a salva-guardare il servizio pubblico e l’integrità delle reti medesime. Gli impegni in parola sono poi completati dal c.d. Reference paper, un breve documento che contiene una serie di norme definitorie per le telecomunicazioni di base e impone agli Stati membri di istituire un’autorità indipendente in materia di telecomunicazioni per dirimere le relative controversie, adottare misure che impediscano comportamenti anticoncorrenziali, imporre ai fornitori in posizione di dominio l’interconnessione con gli altri sulla base di procedure trasparenti e non discrimi-natorie, allocare e assegnare l’uso di risorse esauribili (come, per quanto ci riguarda, gli indi-rizzi IP69) in maniera obiettiva, non discriminatoria e tempestiva70.

Anche i servizi finanziari, e in particolare i mezzi di pagamento, costituiscono una precon-dizione per un’effettiva liberalizzazione degli scambi on-line, e costituiscono per questo «the central nervous system of the body economic»71.

67 Ricordiamo però come dalla generale irrilevanza delle norme commerciali multilaterali in foro interno la Corte di Giustizia UE e i giudici dei principali Paesi occidentali abbiano fatto discendere l’impossibilità, per i privati, di agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una violazione degli Accordi OMC posta in essere dagli organi di uno Stato membro; sul tema v., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, v. i nostri lavori G.M. Ruotolo, L’applicazione interna degli Accordi OMC e la tutela dei privati, e-book, Luxemburg, Amazon, 2012; Id., L’applicazione interna degli Accordi OMC, la prassi occidentale e le peculiarità di alcuni Paesi emergenti, in A.R. Gurrieri, M. Lorizio, C. Novi (cur.), L’ascesa, cit., 323 ss.

68 È il caso di ricordare come del problema dell’interconnessione tra reti di telecomunicazioni si occupi anche, al di fuori del sistema OMC, l’International Telecommunications Union (ITU) che, a tal fine ha adottato le International Telecommincations Regulations (ITRs), da ultimo modificate alla fine del 2012; sul punto ci permettiamo di rinviare a G.M. Ruotolo, Internet-ional Law. Profili di diritto internazionale pubblico della Rete, Bari, Cacucci, 2012, 106 ss. Vedi anche A. Oddenino, Diritti individuali, sicurezza informatica e accesso alla conoscenza in rete: la revisione delle International Telecommunication Regulations dell’ITU, in Diritti umani e diritto internazionale, 2013, 532 ss.

69 Sulla natura esauribile delle risorse della Rete e sulle conseguenze giuridiche che ciò comporta v. ancora G.M. Ruotolo, Internetional Law, cit., 49 ss. e 87 ss.

70 C. Hung Lin, Conceptual Appraisal of Trade in Service on Telecommunications under WTO Legal System, in Miskolc Journal of International Law, 2009, 84 ss.; B. Wellenius, J. Gallarza, B. Guermazi, Telecommunications and the WTO: the case of Mexico, World Bank Policy Research Working Paper 3795, November 2005, reperibile all’indirizzo www.worldbank.org.

71 P. Sauvè, K. Steinfatt, Financial Services and the WTO: What Next?, in M. Pomerleano, P. Masson, R.E. Litan

Page 19: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1904 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

Nel sistema OMC essi sono regolati da un Allegato sui servizi finanziari che vincola tutti i Membri dell’OMC72 e che, oltre ad alcune norme definitorie, si occupa essenzialmente delle c.d. regolamentazioni interne, un secondo Allegato sui servizi finanziari, che prevede però esclusivamente alcune regole procedurali per ulteriori eventuali negoziati in materia, un’Intesa sugli impegni sui servizi finanziari, che contiene norme più penetranti relative all’accesso al mercato e al trattamento nazionale ma vincola i soli membri che l’hanno accettata e, infine, un Accordo sui servizi finanziari (il c.d. quinto protocollo al GATS), entrato in vigore nel l’1 marzo del 1999, che ha innalzato il livello degli impegni relativi ad accesso al mercato e trat-tamento nazionale e ridotto l’ampiezza delle relative eccezioni il quale, però, come l’Intesa, vincola esclusivamente i Membri che lo hanno ratificato73.

Peraltro, proprio in materia di servizi finanziari la diffusione degli scambi commerciali via Web solleva nuove questioni di difficile soluzione alla luce delle norme esistenti, in quanto imprevedibili per i negoziatori di solo qualche anno addietro: ci riferiamo alla recentissima diffusione delle c.d. cripto valute, e in particolare dei Bitcoin, una moneta digitale privata con-cepita per funzionare senza bisogno di una banca centrale emittente o di intermediari quali le banche commerciali e le società di carte di credito, che viene scambiata on-line tramite una rete peer-to-peer e la cui “autenticità” è garantita da alcuni algoritmi software integrati nella rete Bitcoin che garantiscono che i relativi file non siano contraffatti. Gli utenti, quindi, intera-giscono tra di loro direttamente, in modo anonimo e senza l’intervento di terzi, e i Bitcoins, che, in sostanza, sono utilizzati come mezzo di pagamento di transazioni concluse via Web (anche per l’acquisto di beni reali), vengono memorizzati come file elettronici sul disco rigido di un computer e possono essere così accumulati o trasferiti. Il sistema di pagamento in que-stione offre ai suoi utenti il vantaggio di minori costi di transazione nonché una tutela dalla perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, ma pone complesse questioni giuridiche e normative, tra cui il suo potenziale uso a fini di riciclaggio di denaro, e, soprattutto, per quan-to ci riguarda, solleva grosse incertezze relative al suo regime giuridico ai sensi delle norme sulla liberalizzazione degli scambi internazionali di servizi finanziari: lo strumento in questio-ne, infatti, pone problemi di qualificazione analoghi a quelli delle merci “liquide”, dal mo-mento che è dubbio se esso debba essere considerato come una moneta vera e propria o, più limitatamente, come un mezzo di pagamento74.

Ad ogni modo, malgrado la sottolineata centralità del settore terziario per lo sviluppo delle con-nessioni via Web, nonché la sempre maggiore rilevanza degli scambi internazionali di servizi on-line, anche in questo caso l’Organizzazione mondiale del commercio non si è dotata di norme specifiche e la prassi, in particolare degli organi di soluzione delle controversie, ha supplito al vuoto negoziale facendo applicazione al settore in parola delle regole per così dire generali del GATS.

(cur.), Open Doors: Foreign Participation in Financial Systems in Developing Countries, Washington, Brookings, 2001, 351 ss.; B. De Meester, Liberalization of Trade in Banking Services: An International and European Perspective, Cam-bridge, Cambridge University Press, 2014.

72 Così il Panel nel caso Mexico – Measures Affecting Telecommunications Services (Mexico – Telecoms), Rapporto del Panel WT/DS204/R del 2 aprile 2004, cit., par. 7.4.

73 Per una dettagliata analisi delle norme in parola cfr. W. Wang, National Treatment in Financial Services in the Context of the GATS/WTO, in J.J. Norton, K. Hadjiemmanuil (cur.), Global Financial Sector Development, London, British Institute of International and Comparative Law, 2005, 149 ss., in part. 174.

74 N. Plassaras, Regulating Digital Currencies: Bringing Bitcoin within the Reach of the IMF, in Chicago Journal of In-ternational Law, 2013, 377 ss.

Page 20: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1905

Prima di procedere all’esame della giurisprudenza in questione, è il caso di ricordare come il sistema multilaterale degli scambi di servizi contempli, accanto a un nucleo di norme di portata generale applicabili a tutti i Membri e relativo al trattamento generalizzato della nazione più fa-vorita, alle c.d. regolamentazioni interne, e all’obbligo di trasparenza (artt. da II a XV GATS), an-che i più penetranti obblighi di trattamento nazionale (art XV GATS) e accesso al mercato (art. XVII GATS), i quali, però, vincolano esclusivamente i Paesi che li hanno esplicitamente accettati con riguardo a specifici settori, indicati nelle rispettive schedules of committments.

È importante comprendere la centralità delle schedules nel sistema del GATS: esse, infatti, consentono a ogni Membro di specificare concretamente il livello di liberalizzazione che è disposto a garantire a determinati servizi, distinguendo tale livello in base alle modalità di for-nitura75; ciò consente di “adattare” il sistema commerciale multilaterale alle esigenze di cia-scun Paese, che potrà così procedere a la liberalizzare il terziario nella misura che ritiene più opportuna. Il sistema stesso è poi completato da obblighi di liberalizzazione specifici per setto-ri determinati (come, ad esempio, i servizi finanziari, i trasporti aerei e marittimi, e, per quan-to riguarda l’oggetto della nostra analisi, le telecomunicazioni) disciplinati da una serie di alle-gati all’Accordo. Ricordiamo anche come gli Stati possano derogare a tutti gli obblighi in paro-la ai sensi dell’art. XIV GATS al fine di tutelare interessi ritenuti prevalenti: si tratta di un mec-canismo analogo a quello previsto dall’art. XX del GATT ma che, rispetto a quest’ultimo, pre-vede una maggiore rigidità rispetto ad alcune cause di eccezione76.

Come dicevamo, quindi, la lacuna normativa prodotta dall’assenza di consenso negoziale sulle modalità di applicazione delle norme GATS ai servizi «electronically traded»77 è stata parzialmente colmata dagli organi contenziosi dell’OMC mediante una serie di principi elabo-rati nel caso US – Gambling78, la seconda controversia della storia dell’OMC ad avere per og-getto esclusivamente il GATS79 e la prima, e fino ad oggi l’unica decisa, a essere totalmente incentrata sugli scambi di servizi via Internet.

75 Tali modalità sono elencate nell’art. I, par. 2 lett. da a) a d) del GATT, che distingue tra la fornitura transfron-taliera (di cui alla lett. a) in cui è l’oggetto della fornitura a “viaggiare”, il consumo all’estero (lett. b) in cui è il fruitore del servizio a raggiungere il prestatore nel suo Paese di origine, la presenza commerciale (lett. c) la presenza di persone fisiche (in cui si verifica lo spostamento del prestatore verso il Paese del fruitore (lett. d).

76 La nota 5 all’art. XIV del GATS, in particolare, prevede che «the public order exception may be invoked only where a genuine and sufficiently serious threat is posed to one of the fundamental interests of society».

77 S. Wunsch-Vincent, Trade Rules For Digital Age, in M. Panizzon, N. Pohl, P. Sauvé (cur.), GATS and the Regula-tion of International Trade in Services, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, 497.

78 United States – Measures Affecting the Cross-Border Supply of Gambling and Betting Services (US – Gambling), Rapporto del Panel WT/DS285/R del 10 novembre 2004, rapporto dell’Organo d’appello WT/DS285/AB/R del 7 aprile 2005, in www.wto.org. Sul punto v. il nostro lavoro G.M. Ruotolo, La disciplina delle scommesse negli Stati Uniti e nella Comunità europea alla luce di alcune recenti pronunce dell’OMC, in questa Rivista, 2006, 433 ss., nonché M. Matsushita, A. Lino, Cross-border Gambling and Betting Services under WTO Disciplines, in Asian Journal of Comparative Law, 2006; F. Ortino, Treaty Interpretation and the WTO Appellate Body Report in US-Gambling: a Critique, in R. Kariyawasam (cur.), The WTO, Intellectual Property, E-commerce and the Internet, Cheltenham, Elgar Pub., 2009, 466 ss.; P. Mengozzi, Libera prestazione dei servizi, scommesse e giochi d’azzardo: organo d’appello dell’OMC e Corte di giustizia dell’Unione europea a confronto, in A. Ligustro, G. Sacerdoti (cur.), Problemi e tendenze del diritto internazionale dell’economia. Liber amicorum in onore di Paolo Picone, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, 405 ss.; J.D. Thayer, The Trade of Cross-Border Gambling and Betting: The WTO Dispute between Antigua and the United States in Duke Law & Technology Review, 2004, 13 ss.; S. Wunsch-Vincent, The Internet, cross-border trade in services, and the GATS: lessons from US-Gambling, in World Trade Review, 2006, 319.

79 La prima controversia decisa dall’OMC che aveva ad oggetto esclusivamente l’applicazione delle regole del GATS è Mexico – Measures Affecting Telecommunications Services (Mexico-Telecoms), Rapporto del Panel WT/DS204/R del 2 aprile 2004, cit.

Page 21: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1906 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

Il caso era promosso da Antigua e Barbuda, un piccolo Stato delle Antille, in cui l’industria di scommesse via Web è particolarmente fiorente, giungendo a rappresentare un quinto del prodotto interno locale, che chiedeva di verificare la compatibilità con il GATS di numerose disposizioni di diritto statunitense che, a vario titolo, vietavano di effettuare o raccogliere scommesse o di praticare il gioco d’azzardo per il tramite di Internet, che Antigua riteneva in contrasto con la disciplina delle c.d. regolamentazioni interne (art. VI GATS, il quale impone che, nei settori oggetto di impegni specifici, le misure generali relative agli scambi di servizi debbano essere applicate in modo «ragionevole, obiettivo ed imparziale»), con l’obbligo di liberalizzazione dei mezzi di pagamento (art. XI GATS, che vieta ai Membri dell’OMC di im-porre restrizioni ai trasferimenti e ai pagamenti internazionali, nel caso di specie, invocato per contestare l’illegittimità del divieto statunitense di utilizzare carte di credito e strumenti analo-ghi per effettuare le scommesse), nonché con gli obblighi di trattamento nazionale (art XVII, che, nei settori oggetto di impegni specifici, impone ai Membri di accordare ai servizi e ai pre-statori di servizi di un altro Membro un trattamento non meno favorevole di quello accordato ad analoghi servizi e prestatori di servizi nazionali) e di accesso al mercato (art. XVI, il quale vieta di adottare restrizioni quantitative alla fornitura di servizi).

Il rapporto del Panel e quello dell’Organo d’appello fanno luce su almeno tre punti fon-damentali e di impatto generale sull’applicazione del GATS ai servizi prestati via Web, relativi a) all’ambito di applicazione materiale degli obblighi di liberalizzazione degli scambi di servizi già assunti dagli Stati e, in particolare, alla questione della c.d. technological neutrality80, b) all’individuazione della modalità di somministrazione di un servizio via Web alla luce del testo dell’art. I, par. 2 GATS, e c) alla qualificazione delle restrizioni di accesso ad Internet come violazioni degli impegni di accesso al mercato.

Il principio di tecnological neutrality costituisce un’applicazione di quello, più generale, di non discriminazione, il quale impone che, in assenza di cause che giustifichino un trattamento differenziato, situazioni simili vadano trattate in modo uguale e situazioni diverse in modo dif-ferente81: secondo tale applicazione, quindi, gli Stati non dovrebbero differenziare la discipli-na giuridica di una determinata fattispecie commerciale esclusivamente sulla scorta del mezzo utilizzato per realizzarla; da ciò dovrebbe discendere la necessità di interpretare le liste di im-pegni relativi a servizi “tradizionali” in una chiave “tecnologica” idonea a farvi rientrare le pre-stazioni via Internet. La questione, peraltro, si ricollega anche al principio della c.d. conver-genza digitale: ricordiamo come Internet in quanto tale non sia un servizio in se, quanto un veicolo di trasmissione di dati che, a loro volta, possono essere relativi ai servizi più disparati (editoria, televisione, radio, telefonia, ecc.). A questa capacità della Rete di inglobare in sé contenuti e strumenti del tutto differenti si fa riferimento con l’espressione convergenza digita-le, con la quale, in ambito informatico, si intende proprio la fusione, resa possibile dalla tec-nologia digitale, di una pluralità di strumenti diversi, ognuno dei quali nella sua forma, per co-

80 Del tema della tech neutrality ha dimostrato di aver contezza anche il Consiglio degli scambi di servizi nel-l’ambito del programma di lavoro sul commercio elettronico; cfr. doc. S/C/8 del 31 marzo 199, Interim report to the General Council, in www.wto.org.

81 Tale principio, come noto, è codificato in via generale nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 all’art. 7, nel Patto internazionale sui diritti civili e politici all’art. 26, e, in ambito europeo, all’art. 14 della Con-venzione europea dei diritti dell’uomo, nonché nell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Più specificamente con riguardo agli scambi internazionali esso è fatto oggetto di numerose norme del sistema dell’Or-ganizzazione mondiale del commercio; cfr. P. Picone, A. Ligustro, Diritto, cit., 101 ss.

Page 22: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1907

sì dire, tradizionale, può essere oggetto di una regolamentazione giuridica autonoma – anche in termini di differenziazione degli impegni di liberalizzazione assunti dagli Stati – che differi-sce da quelle previste per gli altri. Resta da chiarire se tale regolamentazione pregressa, ove esistente, sia applicabile anche alla prestazione via Web di quel dato servizio e, nel caso con-trario dell’assenza di regimi specifici, se essi possano essere desunti in via interpretativa me-diante l’applicazione estensiva di impegni assunti con riguardo a settori più “generali”.

Nel sistema GATS la questione in parola, come pure accennavamo sopra, si traduce in una di qualificazione delle liste di impegni al fine di sussumere un determinato servizio digitalmen-te prestato all’interno delle categorie ivi (già) previste per poi individuare il livello degli impe-gni al riguardo assunti dagli Stati.

Su questo punto il Panel del caso Gambling ha chiarito che la modalità della fornitura tran-sfrontaliera di cui all’art. I, lett a) del GATS comprende tutti i possibili mezzi di fornitura di un servizio dal territorio di uno Stato membro dell’OMC al territorio di un altro; pertanto ogni impegno di accesso al mercato assunto relativamente a tale modalità implica, se non diversa-mente specificato, il diritto per i fornitori di tutti i Paesi membri di recapitare un servizio attra-verso ogni mezzo possibile, ivi compresa Internet82; a giudizio del Panel, infatti, questa appare l’unica interpretazione compatibile con il detto principio di neutralità tecnologica, ampiamen-te condiviso tra i Membri83.

Per quanto concerne, poi, le restrizioni agli scambi di servizi via Web, ricordiamo come l’Organo d’appello, confermando sul punto la decisione del Panel, abbia chiarito che le misu-re nazionali che comportano un divieto assoluto di fornire un determinato servizio on-line, equivalgono a dei «contingenti numerici con limite zero», una particolare forma di restrizione quantitativa che non ammette alcun fornitore straniero su un determinato mercato, restrizione che è vietata, in particolare, dall’art. XVI, par. 2, lett. a) del GATS.

Anche nel caso del GATS, quindi, si è assistito a una sorta di applicazione evolutiva delle norme concepite per forme più tradizionali di scambio di servizi per venire incontro alle esi-genze di disciplina che la modalità telematica reca con sé al fine di colmare il vuoto normati-vo del sistema commerciale multilaterale. Da una parte della dottrina, peraltro, si è sostenuto che la giurisprudenza di cui abbiamo appena detto, offrendo soluzioni chiare ai principali problemi connessi alla disciplina commerciale multilaterale degli scambi via Internet, abbia piantato «the last nail in the coffin of the WTO Work Programme on E-Commerce»84.

82 Par. 6.285 del rapporto del Panel. 83 Si veda sul punto esplicitamente anche il Work Programme on Electronic Commerce – Progress Report to the

General Council, doc. S/L/74 del 27 luglio 1999, par. 4, adottato dal Consiglio per gli scambi di servizi: «It was also the general view that the GATS is technologically neutral in the sense that it does not contain any provisions that distinguish between the different technological means through which a services may be supplied». Il documento è reperibile all’indirizzo www.wto.org. Va qui ricordato come, peraltro, alcuni Stati (e in particolare gli Stati Uniti) nel corso degli anni abbiano sostenuto l’opportunità di inquadrare gli scambi di servizi per via elettronica all’interno della modalità del consumo all’estero, dal momento che sarebbe stato il fruitore del servizio a “viaggiare”, seppure solo virtualmente, per utilizzare un servizio elettronico fornito in un altro Paese; secondo altri Membri, tra cui la CE, invece, il servizio, “pro-dotto all’estero” sarebbe inviato via Internet al suo destinatario e verrebbe quindi fornito con la modalità transfrontalie-ra. Avere una risposta chiara a questo dubbio interpretativo, nell’assenza di consensus degli Stati, costituiva un elemen-to centrale per ricostruire il quadro degli obblighi assunti dai vari Paesi dal momento che, lo ricordiamo, tali impegni possono differire proprio sulla scorta della modalità di fornitura e comunque, in via generale, le concessioni effettuate con riguardo alla modalità del consumo all’estero sono più ampie di quelle fatte con riguardo alla modalità transfronta-liera.

84 D. Hartridge, in WTO Symposium on Cross Border Supply of Services, 2005, in www.wto.org.

Page 23: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1908 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

8. – Anche l’Accordo TRIPs non contiene alcuna previsione concernente la tutela dei diritti di proprietà intellettuale su Internet e le modalità del loro sfruttamento commerciale on-line. Sebbene tale Accordo sia l’unico del sistema OMC ad aver beneficiato di alcune innovazioni nel corso del Doha Round85, infatti, esse non hanno riguardato alcuno dei profili del commer-cio digitale. Difatti, a dispetto del fatto che quasi i due terzi dei Membri dell’OMC abbiano firmato e ratificato gli Internet Treaties della WIPO86, nessuna delle questioni che sono state affrontate in quella sede è stata “riportata” nel contesto commerciale multilaterale, neppure in sede di prassi contenziosa: pare proprio che quasi quindici anni dopo l’avvio del Programma di lavoro dell’OMC sul commercio elettronico, i Membri considerino la tutela della proprietà intellettuale su Internet quasi come un tema secondario.

E invece, data per scontata, in linea di principio, l’applicabilità delle norme del TRIPs agli scambi via Internet, la diffusione della connessione a banda larga ha sollevato numerose que-stioni relative agli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale che sono state ogget-to di attenzione e regolamentazione internazionale in contesti diversi da quello multilaterale: si pensi al caso delle misure tecniche di protezione (technical protection measures, TPMs) e della gestione dei diritti digitali (digital rights management, DRM), strumenti informatici che possono essere utilizzati dai titolari dei diritti di proprietà intellettuale per impedire copie non autorizzate dei loro lavori nonché disciplinarne la distribuzione e l’uso on-line; tali misure, an-cora oggi estranee al TRIPs e alla relativa prassi applicativa, sono però regolamentate a livello internazionale dagli Internet Treaties della WIPO87.

Parimenti estranee al testo e alla prassi del TRIPs sono la questione della responsabilità de-gli intermediari su Internet per la violazione dei diritti di proprietà intellettuale (disciplinata invece in diversi fora regionali, tra i quali segnaliamo l’Unione europea)88 e quella della legit-tima titolarità dei nomi di dominio Internet89: anche qui il sistema OMC difetta di ogni riferi-mento normativo o di prassi, che è invece rintracciabile in alcuni accordi commerciali prefe-renziali90. Va segnalato anche come il quadro normativo internazionale in materia di diritto

85 Si veda la Dichiarazione ministeriale «on the TRIPS agreement and public health», adottata il 20 novembre 2001, doc. WT/MIN(01)/DEC/2, in www.wto.org.

86 Cfr. infra, par. 9. 87 Sugli Internet Treaties della WIPO v. il par. succ. L’art. 11 del WIPO Copyright Treaty prevede che «contracting

Parties shall provide adequate legal protection and effective legal remedies against the circumvention of effective tech-nological measures that are used by authors in connection with the exercise of their rights under this Treaty or the Berne Convention and that restrict acts, in respect of their works, which are not authorized by the authors concerned or permitted by law». Analogo tenore ha l’art. 18 del WIPO Performances and Phonograms Treaty, second il quale «Contracting Parties shall provide adequate legal protection and effective legal remedies against the circumvention of effective technological measures that are used by performers or producers of phonograms in connection with the exer-cise of their rights under this Treaty and that restrict acts, in respect of their performances or phonograms, which are not authorized by the performers or the producers of phonograms concerned or permitted by law».

88 Cfr. infra, par. 10 e, in particolare, la sentenza 13-5-2014 relativa al caso Google Spain, causa C-131/12, su cui v. infra, la nota 120 e il testo corrispondente e la sentenza 12-7-2011, L’Oréal, su cui la successiva nota 121 e testo corrispondente.

89 Accade di frequente, infatti, che soggetti non titolari dei relativi diritti di proprietà intellettuale procedano a regi-strare nomi di dominio corrispondenti, ad esempio, a marchi commerciali al fine di cercare poi di lucrarvi rivendendoli ai legittimi titolari; si parla, al riguardo di cybersquatting o di domain-grabbing.

90 Ad oggi la stessa OMC ha individuato 34 accordi commerciali che contengono norme sui nomi di dominio e le pro-cedure di soluzione delle relative controversie. Tra questi segnaliamo gli accordi USA-Australia (art. 17), USA/Bahrain (art. 14.3), USA-CAFTA (art. 15.4), USA-Cile (art. 17.3), USA-Colombia (art. 16.4), USA-Korea (art. 18.3), USA-Marocco

Page 24: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1909

d’autore sia di recente stato complicato dall’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA)91. Insomma, a differenza di quanto abbiamo visto accadere con merci digitali e servizi on-

line, in cui i Membri dell’OMC, pur non adottando regole ad hoc hanno, in via di prassi, co-munque utilizzato il sistema commerciale multilaterale, nel caso dei diritti di proprietà intellet-tuale pare proprio che gli Stati abbiamo in qualche modo preferito “aggirare” quasi del tutto il contesto dell’OMC92 per affidarsi a strumenti negoziali con un più ristretto ambito di applica-zione, come gli accordi commerciali preferenziali93, il cui contenuto materiale, con riguardo alla materia della proprietà intellettuale on-line, pare peraltro difettare di ogni coordinamento col sistema commerciale multilaterale94.

9. – Passiamo ora ad analizzare l’attività normativa delle altre principali organizzazioni in-

ternazionali con riguardo agli scambi commerciali via Web; tale attività, come vedremo, si è concentrata sugli aspetti più disparati dell’e-commerce, che vanno dall’utilizzabilità della Rete come mezzo di invio di documenti commerciali, alle tecniche per la certificazione di questi ultimi, alla privacy degli utenti.

Partendo dal presupposto dell’inadeguatezza e dell’obsolescenza di molte legislazioni na-zionali, che spesso prescrivevano che i documenti commerciali dovessero essere “scritti”, “firmati” o “originali” (e quindi incorporati in un supporto fisico) e imponevano così restrizioni all’uso dei moderni mezzi di comunicazione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 51/162 del 16 dicembre 1996, adottava la Model Law on Electronic Commerce e quindi, con la risoluzione 56/80 del 24 gennaio 2002, la Model Law on Electronic Signature; entrambi i testi erano predisposti dall’UNCITRAL (United Nations Commission on Internatio-nal Trade Law).

Come suggerisce il loro nome, le due Model Laws in parola rappresentano modelli normativi che l’Organizzazione ha offerto agli Stati per favorire l’adeguamento delle legislazioni nazionali

(art. 15.4), USA-Oman (art. 15.3), USA-Panama (art. 15.4), USA-Perù (art. 16.4), USA-Singapore (art. 16.3), e quello Cina (Taiwan)-Nicaragua (art. 17.2). V.R. Valdés, R. Tavengwa, Intellectual Property Provisions in Regional Trade Agree-ments, WTO working paper, 2012, 22, in www.wto.org.

91 Cfr. infra, nota 98. 92 Sul mancato adeguamento del sistema TRIPs alle esigenze sollevate dall’uso di Internet e, in particolare, in

merito all’interessante questione degli strumenti di tutela del copyright nel caso dei c.d. mashups, come sono definite le applicazioni che includono informazioni o contenuti provenienti da più fonti, come avviene, ad esempio, nel caso di un programma che, acquisendo da un una pagina web un elenco di monumenti, ne mostri l’ubicazione utilizzando il servizio Google Maps, si veda, di recente, J. de los Reyes, Examining Copyright Exemptions for Web Mashups in the International Context: Applying American Constitutional Considerations as Guideposts for the TRIPs Three-Step Test, in Hastings Constitutional Law Quarterly, 2011, 473 ss.

93 In sede OMC la prassi contenziosa, sul punto, è praticamente inesistente. Una questione di violazione di diritti di proprietà intellettuale via Internet era stata sollevata nel caso China – Measures affecting the protection and enforcement of intellectual property rights, Rapporto del Panel WT/DS362/R del 26 gennaio 2009, in cui gli Stati Uniti esprimevano il timore che «the Internet and digital technological advancements (…) can permit commercial piracy and counterfeiting that creates major damage to a market», ma la controversia veniva decisa con riguardo a profili che esulano del tutto dall’oggetto della nostra analisi. In dottrina v. R. Creemers, The Effects of WTO Case DS362 on Audiovisual Media Piracy in China, in European Intellectual Property Review, 2009, 11 ss.

94 A conferma di quanto detto, si deve sottolineare come la gran parte della letteratura scientifica che si è occupata del tema, nell’assenza di disposizioni applicabili e applicate, lo abbia fatto in una logica de jure condendo, limitandosi a suggerire soluzioni normative percorribili; cfr. M.S. Bains, Software, Sovereignity and the Internet: Circumventing Chaos Through TRIPs, in The Columbia Science and Technology Law Review, 2003, 1 ss.; M.P. Pendleton, Computer Programs, Internet Copyright and TRIPs Border Control, in Asia Pacific Law Review, 1999, 133 ss.

Page 25: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1910 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

alle nuove esigenze: la prima fornisce standard per consolidare il valore giuridico dei messaggi trasmessi per via elettronica e la seconda mira a ridurre le incertezze sulla rilevanza giuridica del-le tecnologie di autenticazione elettronica della paternità dei documenti, al fine di consolidarne l’uso. Entrambe perseguono l’obiettivo di indurre gli Stati a promuovere un più ampio uso delle tecnologie di trasmissione informatica prevedendo un divieto di discriminazione del valore dei documenti commercialmente rilevanti in base al mezzo utilizzato per formarli e trasmetterli, in ossequio al principio della technology neutrality di cui abbiamo già detto.

Ancora l’Assemblea generale, il 23 novembre 2005, adottava poi la Convenzione delle Nazioni Unite sull’uso delle comunicazioni elettroniche nei contratti internazionali, anch’essa predisposta dall’UNCITRAL, che è recentemente entrata in vigore, l’1 marzo 201395. Anche la Convenzione, sulla scorta dei modelli di cui abbiamo appena detto, mira a migliorare certezza e prevedibilità giuridica delle comunicazioni elettroniche utilizzate per concludere i contratti internazionali e a tal fine delinea i criteri per definire complesse questioni come la localizza-zione di una parte in un ambiente elettronico, identificare il momento di spedizione e rice-zione delle comunicazioni, oltre a tracciare le condizioni d’uso di sistemi automatizzati per la conclusione dei contratti.

Competenze in materia di commercio elettronico sono state esercitate anche da altri orga-ni delle Nazioni Unite: con riguardo alle prospettive di sviluppo delle tecnologie dell’informa-zione applicate a obiettivi commerciali, la Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo (United Nations Conference on Trade and Development, UNCTAD), con cadenza annuale, predispone infatti una Relazione sulla Information Economy e un E-Commerce and Development Report al fine di analizzare, appunto, l’impatto di siffatte tecnologie sulle eco-nomie in sviluppo, oltre a pubblicare periodicamente studi e rapporti su una vasta gamma di questioni legate all’economia dell’informazione96.

Per quanto concerne gli istituti specializzati, ricordiamo anche come l’Organizzazione del-le Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (United Nations’Education, Science and Culture Organization, UNESCO) eserciti competenze concernenti molte delle materie in-teressate dagli scambi commerciali via Internet, come l’accesso delle persone a una formazio-ne di alta qualità, il rapido trasferimento dello sviluppo scientifico, le conseguenze prodotte dalla diffusione della tecnologia sulle popolazioni indigene: proprio al fine di monitorare l’im-patto etico, giuridico e sociale dei sistemi di commercio via Web sulle materie di sua compe-tenza, l’UNESCO ha istituito sin dal 1998 un Osservatorio sulla società dell’informazione con il mandato di valutare, tra le altre cose, l’accesso alle informazioni di pubblico dominio e, in particolare, i problemi per la riservatezza, nonché quelli ingenerati dalla c.d. cyber-violenza97.

Come abbiamo già accennato, al tema del commercio elettronico si è interessata, ovvia-mente con un approccio settoriale, anche l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellet-tuale (World Intellectual Property Organization, WIPO), agenzia specializzata delle Nazioni Unite in materia di proprietà intellettuale: nel dicembre 1996 l’Organizzazione in questione ha così avviato un negoziato tra più di 160 delegazioni nazionali al fine di concordare norme

95 Sulla Convenzione si veda P.P. Polanski, International electronic contracting in the newest UN Convention, in Journal of International Commercial Law and Technology, 2007, 112 ss.

96 I rapporti sono reperibili all’indirizzo www.unctad.org. 97 www.unesco.org. In letteratura v. R. Capurro, Ethical Challenges of the Information Society in the 21st Century,

in International Information & Librarian Review, 2000, 257 ss.

Page 26: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1911

sulla tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi in una varietà di situazioni che coinvolgo-no le tecnologie dell’informazione, comprese le registrazioni digitali e le trasmissioni via satel-lite e via Internet. Il negoziato ha prodotto due accordi, il WIPO Copyright Treaty (WCT) e il WIPO Performances and Phonograms Treaty (WPPT), ai quali, come già detto, complessiva-mente si fa riferimento come “Internet Treaties”, i quali fissano un quadro di norme internazio-nali volte a prevenire l’accesso e l’utilizzo non autorizzato delle opere dell’ingegno sul Web98. In particolare il WCT mira a tutelare gli autori di opere letterarie e artistiche come scritti e pro-grammi per computer, databases originali, opere musicali, opere audiovisive e fotografie, mentre il WPPT si occupa di tutelare i diritti di autori, esecutori e produttori di registrazioni audio (che il Trattato definisce, con espressione alquanto paludata, fonogrammi). Lo scopo di entrambi i testi normativi è di aggiornare e integrare i trattati già amministrati dalla WIPO in materia di diritto d’autore e diritti connessi, in particolare le Convenzioni di Berna99 e Ro-ma100, al fine di adeguare il quadro normativo internazionale agli sviluppi della tecnologia e del mercato prevedendo, in particolare, sia che i titolari di diritti già tutelati dai testi previgenti siano adeguatamente ed efficacemente protetti anche in caso di diffusione delle loro opere in ambiente digitale, sia istituendo nuovi diritti on-line e, comunque, cercando di contemperare le opposte esigenze di tutela dei proprietari, da un lato, e del pubblico dall’altro, con partico-lare riguardo agli usi ritenuti di interesse generale, come quelli per fini didattici e di ricerca senza scopo di lucro101.

Spostandoci al di fuori della “famiglia” delle Nazioni unite, anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Co-operation and Deve-lopment, OECD), nell’esercizio delle sue competenze di monitoraggio delle tendenze globali in materia di sviluppo economico, cambiamenti sociali e modelli di evoluzione di commercio internazionale, fiscalità e privacy, a partire dal 1998, ha aperto un dibattito tra i suoi Membri per individuare i mezzi più opportuni da utilizzare per aumentare la fiducia degli utenti e dei consumatori nei confronti delle nuove tecnologie, promuovendo, al contempo, politiche na-zionali di raccolta dei dati personali che siano rispettose della riservatezza individuale. In que-sto contesto l’OCSE ha adottato numerosi atti non vincolanti che hanno influenzato la prassi

98 Va segnalato come il quadro normativo internazionale in materia di diritto d’autore sia di recente stato compli-cato dall’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), un accordo commerciale preferenziale firmato nell’ottobre 2011 da Australia, Canada, Giappone, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti cui, nel 2012, si sono aggiunti Messico, Unione Europea e 22 dei suoi Paesi membri che entrerà in vigore quando sarà ratificato da almeno sei dei Paesi che lo hanno firmato. L’accordo, violentemente criticato da una parte dell’opinione pubblica e da molte organizzazioni non governative per il fatto di mettere potenzialmente a rischio il diritto di espressione e quello alla riservatezza, mira a combattere la contraffazione delle merci e dei farmaci generici, nonché la violazione del copyright su Internet, pone complesse questioni di coordinamento con le norme ad esso preesistenti, che non ci è possibile affrontare in questa sede. Cfr. E. Ayoob, The Anti-Counterfeiting Trade Agreement, in Cardozo Arts & Entertain-ment Law Journal, 2011, 175 ss. Per alcune considerazioni sull’impatto degli accordi commerciali preferenziali sulla disciplina multilaterale del commercio digitale v. infra, par. 11.

99 La Convenzione per la protezione delle opere letterarie e artistiche, originariamente adottata a Berna nel 1886, ha subito numerose revisioni e, dal 1967, è amministrata dalla WIPO. Ricordiamo che l’Accordo TRIPs dell’Organizza-zione mondiale del commercio recepisce molte delle disposizioni della Convenzione di Berna.

100 Convenzione relativa alla protezione degli artisti interpreti o esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione, firmata a Roma il 26 ottobre 1961.

101 Sul punto v. M. Romani, La disciplina dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà intellettuale (WIPO) degli aspetti del copyright relativi alla trasmissione di informazioni in network digitali, in M. Romani, D. Liakopoulos, La globalizzazione, cit., 101 ss.

Page 27: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1912 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

dei Paesi membri: tra questi segnaliamo la Dichiarazione sulla tutela della privacy sulle reti globali102, la quale ribadisce, anche sulla scorta delle Linee guida già adottate dalla stessa OC-SE103, la natura di diritto fondamentale della riservatezza; la Dichiarazione sulla tutela dei con-sumatori nel commercio elettronico104, che sottolinea invece l’importanza della trasparenza per la protezione dei consumatori nel caso di transazioni concluse elettronicamente; la Rac-comandazione sull’autenticazione per il commercio elettronico105 che, riconoscendo l’esisten-za di molteplici approcci differenti adottati dagli Stati, promuove quello stesso principio di technological neutrality che abbiamo visto esser previsto nei modelli normativi UNCITRAL e di cui è stata fatta applicazione dagli organi di soluzione delle controversie dell’OMC nel caso US – Gambling di cui abbiamo detto.

Più di recente, nel 2008, l’OCSE ha approvato la Dichiarazione di Seul sul futuro del-l’economia di Internet106 la quale, confermando l’approccio multistakeholder che ne caratte-rizza la governance107, afferma la necessità per i Governi di lavorare a stretto contatto con le imprese, la società civile e la comunità di tecnici del Web, al fine di promuovere la concor-renza e l’accesso globale a Internet tutelando, al contempo, i consumatori.

Di particolare rilevanza è poi l’attività posta in essere nella materia in esame dall’Asia Paci-fic Economic Cooperation (APEC)108, dal momento che i suoi membri109 rappresentano circa il 41 per cento della popolazione mondiale, il 55 per cento del PIL mondiale e il 49 per cento del commercio mondiale. L’APEC, che costituisce una forma di cooperazione istituzionalizza-ta più che una vera e propria organizzazione internazionale110, ha adottato numerose iniziati-ve per sollecitare i suoi membri a promuovere il commercio elettronico, predisponendo, già nel 2000, un’“Agenda d’azione per la New Economy” al fine di fornire un quadro giuridico volto a sviluppare le infrastrutture, nonché la conoscenza e lo sviluppo delle necessarie com-

102 Ministerial Declaration On The Protection Of Privacy On Global Networks, adottata a Ottawa il 9 ottobre 1998, doc. DSTI/ICCP/REG(98)10/FINAL, reperibile su www.ocse.org.

103 La prima versione delle linee guida in materia di privacy adottata dall’OCSE risale al 1980; il testo è stato recentemente rivisto, nel 2013; cfr. Recommendation of the Council concerning Guidelines governing the Protection of Privacy and Transborder Flows of Personal Data (2013), doc. C(80)58/FINAL, as amended on 11 July 2013 by C(2013)79, in www.ocse.org.

104 Ministerial Declaration On Consumer Protection In The Context Of Electronic Commerce, adottata a Ottawa il 9 ottobre 1998, doc. DSTI/CP(98)12/FINAL; www.ocse.org.

105 Recommendation on Electronic Authentication and Guidance for Electronic authentication, adottata il 12 giugno 2007.

106 Seoul Declaration For The Future Of The Internet Economy, adottata il 18 giugno 2008. 107 Sul punto v. il nostro scritto G.M. Ruotolo, The Impact of the Internet on International Law: Nomos without

Earth?, in Informatica e diritto, 2013, 7 ss. e la letteratura ivi citata. 108 L’APEC, nata nel 1989, ha sede a Singapore. www.apec.org. 109 Australia, Brunei, Canada, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore,

Tailandia, Stati Uniti, Taipei, Hong Kong, Repubblica Popolare Cinese, Messico, Papua Nuova Guinea, Cile, Perù, Russia e Vietnam. L’APEC stessa definisce i suoi Membri come “economie”, piuttosto che Stati: probabilmente è ciò che consente a Taipei (Taiwan) e Hong Kong di risultare nell’elenco dei Membri accanto alla Repubblica Popolare Cinese, di cui sono parte.

110 La dottrina dibatte sul possesso della soggettività giuridica di diritto internazionale dell’organismo in parola: «as the name of APEC itself indicates, its precise character as an institution has been a matter of debate since its founda-tion». Secondo alcuni l’APEC è «a process that constrains and informs governments through ongoing dialogue», secon-do altri si tratterebbe di una «open economic association that represents economic integration without formal institu-tions»; cfr. M. Kahler, Legalization as strategy: the Asia-Pacific case, in J.L. Goldstein, M. Kahler, R.O. Keohane, A.M. Slaughter (cur.), Legalization and World Politics, 2001, 165 ss.

Page 28: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1913

petenze, oltre a garantire, quale precondizione, un accesso di qualità ai servizi di telecomuni-cazioni e ad Internet alle comunità di tutti i Paesi membri, a prezzi accessibili.

Nel 2001 l’APEC ha quindi adottato una strategia globale di promozione dell’e-commerce basata su tre pilastri volti, rispettivamente, a rafforzare le strutture e le istituzioni del mercato, facilitare gli investimenti nelle infrastrutture e nello sviluppo tecnologico e sviluppare le capa-cità umane e promuovere l’imprenditorialità nel settore. Sulla scorta di tale strategia è stato finanche istituito un Gruppo di indirizzo sul commercio elettronico (Electronic Commerce Steering Group) il quale, a sua volta, ha concentrato la sua attenzione sul tema della riserva-tezza dei dati conferiti in occasione delle transazioni on-line, sviluppando a tal fine un pro-gramma di cooperazione tra i Paesi membri denominato Data Privacy Pathfinder111 volto a mi-gliorare la condivisione delle informazioni tra le agenzie governative e le autorità di regola-mentazione dei Paesi associati, facilitarne il trasferimento sicuro, stabilire una serie di principi comuni in materia di privacy, incoraggiare l’uso di dati elettronici per migliorare ed espandere le attività economiche e fornire assistenza tecnica a quei Paesi che debbano ancora dotarsi di un regime normativo in materia di riservatezza.

10. – Ancora più incisivo è stato l’intervento dell’Unione europea la quale, rilevando come

in Europa l’e-commerce sia tuttora in larga misura circoscritto all’interno delle frontiere nazio-nali112 e al fine, quindi, di promuovere l’attività transfrontaliera, si è preoccupata di armoniz-zare gli ordinamenti degli Stati membri in materia mediante numerose direttive113, tra cui la direttiva 99/93/CE in materia di firme elettroniche114, la direttiva 2000/31/CE in materia di commercio elettronico115 e, da ultimo, la direttiva 2011/83 sui diritti dei consumatori116.

111 Cfr. APEC Data Privacy Pathfinder Projects Implementation Work Plan, doc. 2009/SOM1/ECSG/SEM/027, reperibile in www.apec.org.

112 Nel 2008 il 51% dei commercianti al dettaglio dell’Unione europea ha concluso transazioni on-line con acquirenti nazionali, ma solo il 21% con acquirenti di altri Paesi membri e nel biennio 2006-2008, mentre la per-centuale di consumatori UE che ha fatto acquisti on-line da rivenditori nazionali è passata dal 27% al 33%, la percentuale di coloro i quali hanno acquistato in un altro Paese europeo è cresciuta solo dal 6% al 7%.

113 Tra i testi normativi più risalenti vanno ricordate la direttiva 85/577/CEE del 20 dicembre 1985, in materia di contratti negoziati fuori dal locali commerciali, in G.U.C.E. L 372 del 31-12-1985, 31 ss., recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 50 del 15 gennaio 1992, (e poi abrogata nel 2011); la direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993, in materia di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in G.U.C.E. L 95 del 21-04-1993, 29 ss., recepita in Italia con la Legge n. 52 del 6 febbraio 1996; la direttiva 97/7/CEE del 20 maggio 1997, relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, in G.U.C.E. L 144 del 4-6-1997, 33 ss., recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 185 del 22 maggio 1999 (abrogata nel 2011).

114 Direttiva 1999/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 1999 relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche, in G.U.C.E., L. 13 del 13-12-1999, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 10 del 23 gennaio 2002.

115 Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, in G.U.C.E., L 178 del 17-7-2000, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 70 del 9 aprile 2003. V. M. Romani, Internet e il diritto, in M. Romani, D. Liakopoulos, La globalizzazione, cit., 66 ss.

116 Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consi-glio, in G.U.U.E. L 304 del 22-11-2011, 64 ss., recepita in Italia con il Decreto Legislativo del 3 dicembre 2013. In dot-trina v. M. Lehmann, A. De Franceschi, Il commercio elettronico nell’Unione europea e la nuova direttiva sui diritti dei consumatori, in Rassegna di diritto civile, 2012, 419 ss.

Page 29: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1914 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

Essenzialmente, le misure adottate, nel loro complesso, assoggettano il settore ai principi di libera circolazione e libertà di stabilimento.

Più in particolare, la direttiva sul commercio elettronico individua il proprio ambito di ap-plicazione materiale a una serie di settori e attività on-line come quelli di giornali, banche dati, servizi finanziari, servizi professionali (di consulenza legale, medica, contabile, ma anche di agenzie immobiliari) e ricreativi (come, ad esempio, quello di video on demand), commercia-lizzazione e pubblicità, nonché servizi d’accesso a Internet; ne restano invece esclusi il settore tributario, i servizi oggetto di altre specifiche direttive, le attività di notai e altre figure equiva-lenti nella misura in cui esercitino pubblici poteri, la rappresentanza e la difesa processuale e i giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria, comprese le lotterie e le scommesse117.

La direttiva, in estrema sintesi, prevede l’applicazione del principio del c.d. home country control (o principio dello Stato di origine), secondo il quale ai servizi prodotti legalmente in uno degli Stati membri deve essere consentito il libero accesso ai mercati degli altri Stati membri, i quali non possono richiedere, in linea di principio, il contemporaneo rispetto delle proprie normative nazionali118, salvo in circostanze specifiche, da verificarsi in base a una serie di principi di elaborazione giurisprudenziale, al fine, essenzialmente, di accertare la sussisten-za di un interesse pubblico generale che giustifichi l’applicazione delle norme nazionali del Paese in cui il servizio viene offerto119.

La direttiva, ancora, vieta agli Stati membri di prevedere per le attività on-line regimi autoriz-zatori non applicabili a servizi analoghi forniti con altri mezzi, prevede il principio della traspa-renza delle informazioni relative agli operatori, disciplina le comunicazioni commerciali impo-nendo che le medesime debbano essere identificabili come tali, e obbliga gli Stati membri a eli-minare qualsiasi divieto o restrizione concernente l’utilizzazione dei contratti elettronici.

Il medesimo strumento, peraltro, si occupa anche della responsabilità degli intermediari (tema che, come abbiamo visto, è rimasto estraneo al sistema OMC), esonerandoli qualora si limitino al mero “trasporto” di informazioni provenienti da terzi. Ricordiamo come il tema della responsabilità di un “intermediario” e in particolare di un motore di ricerca, rispetto alla gestione dei dati personali su Internet, sia stato di recente affrontato dalla Corte di giustizia120: la Corte ha chiarito che l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memoriz-

117 Per la disciplina comunitaria del gioco d’azzardo on-line v. il nostro lavoro G.M. Ruotolo, Gioco, diritto, diritto al gioco: libertà fondamentali dell’ordinamento comunitario e disciplina delle scommesse in Italia, in Studi sull’integrazione europea, 2007, 633 ss.

118 Gli elementi di base del principio in parola, che, in sostanza, vieta le misure di effetto equivalente alle restrizio-ni quantitative, sono stati elaborati dalla Corte di giustizia, con riguardo alle merci, nelle sentenze 20-2-1979, causa C-120/78, Rewe-Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, in Racc., 649 ss., e 24-11-93, cause riunite C-267 e 268/91, Procedimento penale a carico di Bernard Keck e Daniel Mithouard, in Racc., I-6097 ss. e, con riguardo esplicito ai servizi, nella sentenza 25-7-1991, causa C-76/90, Manfred Säger e Dennemeyer Se Co. Ltd., in Racc., I-4221 ss. Di recente, in dottrina, v. D. Diverio, Le comunicazioni commerciali nel mercato europeo dei servizi, in R. Cafari Panico e al., Da Internet ai Social Network. Il diritto di ricevere e comunicare informazioni e idee, Santarcangelo di Ro-magna, Maggioli, 2013, 169 ss.

119 Si parla, al riguardo, del c.d. general-good test. 120 Cfr. la sentenza 13-5-2014, causa C-131/12, Google Spain SL e Google Inc. c. Agencia Española de Protección

de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, inedita ma reperibile su curia.eu, in cui si discuteva dell’applicazione della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisi-che con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. In dottrina v. A. Palmieri, R. Pardolesi, Diritto all’oblio: il futuro dietro le spalle, in Foro it., 2014, IV, 317.

Page 30: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1915

zarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati perso-nali», e che il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabi-le» del trattamento stesso. Pertanto il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, di link verso pagine Web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome.

È anche il caso di ricordare come la Corte di giustizia si fosse già occupata degli oneri che gravano sui fornitori di servizi on-line, in particolare in merito alla tutela da garantire, su Inter-net, ad alcune forme di proprietà intellettuale, come i marchi di impresa, ai sensi della diretti-va 2000/31 sul commercio elettronico in un caso deciso nel 2011121.

La causa in questione originava da un ricorso presentato dalla multinazionale di cosmetici L’Oreal al giudice nazionale inglese con l’obiettivo di inibire a eBay, il noto sito di aste on-line, la prosecuzione di alcuni comportamenti ritenuti lesivi dei propri diritti di marchio e, in parti-colare, la vendita nel Regno Unito di prodotti L’Oreal contraffatti, non destinati alla vendita nello Spazio economico europeo o, ancora, privi delle confezioni o dei loro imballaggi, la-mentando altresì, anche a seguito di richieste specifiche, l’inadeguatezza delle misure predi-sposte da eBay per impedire la vendita irregolare di prodotti sul proprio mercato on-line.

La ricorrente, peraltro, sosteneva che eBay avesse ulteriormente violato i suoi diritti di pro-prietà intellettuale mediante l’utilizzazione dei suoi marchi come collegamenti ipertestuali e mediante l’acquisto non autorizzato di termini corrispondenti a tali marchi come parole chia-ve per collegamenti sponsorizzati su vari motori di ricerca, al fine di attrarre clientela verso il proprio sito.

La Corte, adita in via pregiudiziale dalla High Court, che le aveva posto ben dieci quesiti relativi all’interpretazione di numerose direttive (fra cui 2000/31 sul commercio elettronico e la n. 2004/48 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, oltre alla n. 89/104 sui marchi nonché al Regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario) ha così in primo luogo ribadito, come già chiarito in precedenti decisioni, che il titolare di un marchio registrato può legitti-mamente opporsi all’uso, da parte di un motore di ricerca su Internet, di una parola chiave corrispondente al marchio stesso qualora il messaggio pubblicitario collegato alla parola chiave non consenta all’utente di comprendere se i prodotti o servizi così pubblicizzati provengano dal titolare del marchio o da un’impresa a questi collegata o da un terzo.

La Corte ha poi provveduto a fornire un’interpretazione chiara dell’art. 14 della già citata direttiva 2000/31, il quale, come noto, prevede che il fornitore di un servizio Internet non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, chia-rendo che l’esonero in parola non si applica al caso in cui il fornitore, non limitandosi al mero trattamento tecnico e automatico dei dati forniti dal cliente, svolga un ruolo attivo e “di meri-

121 Cfr. la sentenza 12-7-2011, causa C-324/09, L’Oréal SA, Lancôme parfums et beauté & Cie SNC, Laboratoire Garnier & Cie, L’Oréal (UK) Ltd. c. eBay International AG, eBay Europe SARL, eBay (UK) Ltd, Stephen Potts et al., in Racc., 2011, I-06011 ss. In dottrina v., tra gli altri, C. Riefa, The end of Internet Service Providers liability as we know it – Uncovering the consumer interest in CJEU Case C-324/09 (L’Oréal/eBay), in Journal of European Consumer and Market Law, 2012, 2, 104 ss.; N. Rodean, Responsabilità del gestore del mercato online per le violazioni ai diritti di marchio altrui, in questa Rivista, 2011, 1594 ss.; P. Van Eecke, M. Truyens, L’Oréal v. eBay: The Court of Justice clarifies the Position of Online Auction Providers, in Computer Law Review International, 2011, 5, 129 ss.

Page 31: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1916 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

to”, prestandogli assistenza volta all’ottimizzazione della presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi e nel promuovere tali offerte o, ancora, se il fornitore, seppur limitandosi alla fornitura neutra del servizio, fosse a conoscenza di fatti e circostanze tali da rendere manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione. Infine i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che nel caso in cui il gestore del mercato on-line non agisca di propria iniziativa per sospendere l’utente che viola i diritti di proprietà intellettuale in modo da impedirgli di commettere ulte-riori violazioni, i tribunali nazionali possono ingiungergli di prendere tutte le misure necessarie non solo a far cessare le violazioni già commesse, ma anche a prevenirne di ulteriori, a condi-zione che tali misure siano effettive, proporzionate, dissuasive e non creino illegittimi ostacoli al commercio intracomunitario.

Ricordiamo poi che le disposizioni della direttiva 2011/83 impongono agli Stati membri di adottare norme interne volte a impedire le c.d. “trappole dei costi”, che si verificano in tutti i casi in cui un fornitore richiede ex post il pagamento di un servizio che, in maniera inganne-vole, appariva on-line come offerto gratuitamente; la direttiva richiede pertanto agli operatori commerciali di acquisire preventivamente il consenso informato dei consumatori quale condi-zione per ottenere legittimamente il pagamento di ogni servizio.

Gli Stati sono altresì obbligati a imporre ai fornitori di esplicitare chiaramente l’esistenza di eventuali costi supplementari al servizio offerto, i quali non saranno dovuti se non fatti oggetto di informativa preliminare. Ancora la direttiva introduce il divieto delle c.d. “caselle presele-zionate” sui forms offerti su Internet, relative a opzioni supplementari al bene o al servizio principale: mentre nella prassi pregressa i consumatori, in caso di mancato interesse per tali opzioni (si pensi al caso del noleggio dell’auto o dell’assicurazione in caso di acquisto di un biglietto aereo) avevano l’obbligo di deselezionare tali caselle (rischiando quindi di acquistare, in caso di mancato opt-out, un servizio accessorio non esplicitamente richiesto), con la nuova normativa le medesime dovranno essere offerte deselezionate dal fornitore, e sarà compito del cliente che desidera acquistare i servizi supplementari cui fanno riferimento quello di sele-zionarle. La direttiva, infine, innova il quadro giuridico anche dei c.d. contenuti digitali, pre-vedendo obblighi più penetranti in merito alle informazioni relative alla compatibilità con hardware e software e all’applicazione di eventuali sistemi tecnici di protezione, che ad esempio limitino il diritto del consumatore di fare copie del contenuto (come le TPMs e il DRM di cui abbiamo già detto).

In definitiva, l’approccio seguito dall’Unione europea nell’adottare le norme di disciplina del commercio via Internet fa segnare alcune importanti differenze rispetto a quello utilizzato nel complesso dalle altre organizzazioni internazionali fin qui esaminate e si inserisce nel solco dell’approccio tradizionalmente adottato dall’UE con riguardo alla disciplina del mercato, ca-ratterizzata in genere da una peculiare attenzione agli aspetti “sociali” delle attività economi-che a all’attenzione per la tutela di altri diritti e valori, quali quelli di proprietà intellettuale: l’UE, infatti, vede tali norme e, in particolare quelle relative alla gestione dei dati, come ine-renti alla dignità umana; la privacy è trattata come un diritto fondamentale, che, in quanto ta-le, può andare soggetta a restrizioni legittime solo in casi limitati122.

122 Per una recente applicazione di una logica analoga v. anche la sentenza 8-4-2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12, Digital Rights, inedita ma reperibile su curia.eu, in cui la Corte ha considerato invalida la direttiva 2006/24/CE, volta ad armonizzare le legislazioni degli Stati membri sulla conservazione dei dati di traffico telematico e telefonico al fine di renderli disponibili nel caso di indagini per l’accertamento di gravi reati; la direttiva imponeva agli Stati membri di

Page 32: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1917

Al contrario, l’approccio manifestato dalle altre organizzazioni (OMC a parte, sul cui me-todo in materia di commercio digitale tenteremo alcune conclusioni nel paragrafo che segue) appare maggiormente orientato al mercato, in un rapporto più, per così dire, dialettico tra co-sti e benefici: in particolare la raccolta dei dati è vista come “utile”, e quindi pienamente legit-tima, specie se idonea a promuovere la crescita economica, anche a costo di limitazioni più estese delle prerogative individuali.

11. – A conclusione della nostra analisi ci pare di poter affermare che l’ordinamento interna-

zionale, che pure non contiene norme specifiche sulla governance di Internet in quanto infra-struttura123, con riguardo all’e-commerce preveda invece un corpus normativo piuttosto ampio, sebbene alquanto eterogeneo quanto alla natura delle fonti utilizzate e agli effetti prodotti124.

Tale corpus è stato, in massima parte, elaborato dalle numerose organizzazioni internazio-nali con competenze in settori e materie interessate dal fenomeno.

Tuttavia, mentre la maggior parte di tali organizzazioni ha ritenuto di produrre sistemi di norme specifiche che tenessero conto delle peculiarità del fenomeno, l’Organizzazione mon-diale del commercio si è invece limitata a estendere alle nuove fattispecie di commercio digi-tale le regole multilaterali già concepite per forme di commercio più tradizionali.

Si tratta, a nostro giudizio, di una scelta comprensibile e, in considerazione del periodo storico attuale, in cui si assiste a un blocco pressoché assoluto dei negoziati commerciali multi-laterali, finanche condivisibile, dal momento che il sistema OMC, negli anni, ha dimostrato adattabilità e resilienza superiori a quelle di altri regimi di diritto internazionale. Come abbia-mo visto, il sistema in parola – che, comunque, «is much more» dell’attuale stallo negoziale125 – si basa infatti su alcuni perni normativi che sono risultati in massima parte idonei a gestire i profili giuridici (o almeno alcuni di questi) del commercio digitale senza dover necessariamen-te ricorrere a sistemi di regole ad hoc, la cui efficacia, peraltro, potrebbe essere inficiata dal fatto di esser adottati per venire incontro, o reagire, alle esigenze di gruppi di interesse e di pressione. Peraltro, come la prassi ci ha ormai insegnato, le evoluzioni del sistema commercia-le multilaterale, oltre che dalla volontà degli Stati, sono state spesso indirizzate dalle pronunce degli organi di soluzione delle controversie, i quali hanno in più di un’occasione dimostrato di essere in grado di svolgere non solo una funzione di interpretazione delle norme del sistema ma anche di assicurare un loro adattamento a nuove esigenze.

Resta però da segnalare come all’assenza di consensus sull’adozione di nuove norme commerciali multilaterali di disciplina degli scambi via Internet corrisponda il proliferare di ac-cordi commerciali regionali o preferenziali (Preferential Trade Agreements, PTAs) che invece contengono esplicite regolamentazioni della materia126.

introdurre nei rispettivi ordinamenti l’obbligo, per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, di conservare i dati relativi al traffico per un periodo minimo di 6 mesi sino a un massimo di 24 mesi affinché fossero, se necessario, a disposizione delle Autorità nazionali. Secondo la Corte tale Direttiva, in violazione del principio di proporzionalità, com-primeva in modo eccessivo i diritti fondamentali, e in particolare, quello alla privacy e alla protezione dei dati personali.

123 Sul punto ci permettiamo di rinviare a G.M. Ruotolo, Internet (diritto internazionale), in Enciclopedia del diritto. Annali, Milano, Giuffrè, 2014, 545 ss.

124 S.S. Malawer, Global Governance of E-Commerce and Internet Trade: Recent Developments, in Virginia Lawyer, 2001, June/July, 15 ss.

125 In tal senso v. M. Burri, T. Cottier, Digital technologies, cit., 3. 126 Sulla tendenza alla proliferazione di PTAs e sui rapporti di questi con il sistema commerciale multilaterale esiste

Page 33: La disciplina multilaterale del commercio digitale

1918 – Mercato, concorrenza e politiche sociali

A partire dall’accordo concluso tra Stati Uniti e Giordania il 24 ottobre del 2000 – il primo a prevedere norme esplicitamente dedicate al commercio digitale127 – si registra infatti un gran numero di accordi commerciali preferenziali che contiene delle sezioni specifiche in materia128.

È particolarmente interessante notare come tali sezioni, molto spesso, per un verso faccia-no rinvio alle norme commerciali multilaterali, di cui dichiarano esplicitamente l’applicabilità al commercio digitale129, e per altro utilizzino “modelli” normativi già sperimentati in sede OMC, prevedendo, ad esempio, l’esclusione del commercio elettronico diretto dall’imposizione di dazi doganali130 o l’applicabilità delle regole previste in generale per gli scambi di servizi anche a quelli forniti via Internet131. E dai testi che trapelano dai negoziati in corso disposizioni analo-ghe pare saranno contenute anche nei due maggiori accordi preferenziali in corso di negozia-to come il Trans-Pacific Partnership (TPP) tra gli USA e undici Paesi dell’area Asia-Pacifico132 e il “colossale” Trans-Atlantic Free Trade Agreement/Trans-Atlantic Trade and Investment Part-neship (TAFTA/TTIP) tra USA e UE133.

una letteratura oltremodo ampia. V., di recente, L. Bergkamp, L. Kogan, Trade, the Precautionary Principle, and Post-Modern Regulatory Process Regulatory Convergence in the Transatlantic Trade and Investment Partnership, in European Journal of Risk Regulation, 2013, 493 ss.; F. Bonciu, Transatlantic Economic Relations and the Prospects of a New Part-nership, in Romanian Journal of European Affairs, 2013, 3, 20 ss.; D. Cardoso, P. Mthembu, M. Venhaus, M. Verde Garrido (cur.), The Transatlantic Colossus, Berlin, Oktoberdruck, 2013; E. Fahey, D. Curtin (cur.), A Transatlantic Com-munity of Law: Legal Perspectives on the Relationship between the EU and US legal orders, Cambridge, Cambridge Uni-versity Press, 2014; K. Lannoo, Financial Services and the Transatlantic Trade and Investment Partnership, in Centre for European Policy Studies’ Brief, 302, 2013, in www.ssrn.com; P.C. Mavroidis, WTO and PTAs: A Preference for Multilat-eralism? (or, the Dog That Tried to Stop The Bus), in Journal of World Trade, 2001, 1145 ss.; WTO, World Trade Report 2011 – The WTO and preferential trade agreements: From co-existence to coherence, Geneva, WTO, 2011; P. K. Yu, The Non-Multilateral Approach To International Intellectual Property Norm-Setting, in D.J. Gervais (cur.), International Intellectual Property – A Handbook of Contemporary Research, Cheltenham/Camberley/Northampton, Elgar Publishing, 2015, anticipato su www.ssrn.com.

127 B.H. Malkawi, E-Commerce in Light of International Trade Agreements, cit., 160 ss. 128 S. Wunsch-Vincent, A. Hold, Towards coherent rules for digital trade: Building on efforts in multilateral versus

preferential trade negotiations, in M. Burri, T. Cottier (cur.), Trade Governance, cit., 179 ss. 129 L’articolo 14.1 dell’Accordo di libero scambio firmato il 6 maggio 2003 tra Stati Uniti e Singapore prevede che

«the Parties recognize the economic growth and opportunity provided by electronic commerce and the importance of avoiding barriers to its use and development and the applicability of WTO rules to electronic commerce». Analo-gamente l’art. 16.1 dell’Accordo di libero scambio USA – Australia, entrato in vigore l’1 gennaio 2005, secondo il quale «the Parties recognise the economic growth and opportunity that electronic commerce provides, the importance of avoiding barriers to its use and development, and the applicability of the WTO Agreement to measures affecting electronic commerce». I corsivi sono nostri.

130 Così l’articolo 14.3 dell’Accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Singapore: «a Party shall not apply customs duties or other duties, fees, or charges on or in connection with the importation or exportation of digital products by electronic transmission». E l’Accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Cile dell’1 gennaio 2004, all’art. 15.3, prevede che «neither party may apply customs duties on digital products of the other party».

131 Cfr. ancora l’Accordo USA-Singapore, all’art. 14.2: «the Parties affirm that measures related to the supply of a service using electronic means fall within the scope of the obligations contained in the relevant provisions of Chapters 8 (Cross-Border Trade in Services), 10 (Financial Services), and 15 (Investment), subject to any exceptions applicable to such obligations and except where an obligation does not apply to any such measure pursuant to Articles 8.7 (Non-Conforming Measures), 10.9 (Non-Conforming Measures), or 15.12 (Non-Conforming Measures)». Analogamente l’art. 15.2 dell’Accordo USA-Cile.

132 Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Cfr. L. Catà Backer, The Trans-Pacific Partnership: Japan, China, the U.S. and the Emerging Shape of a New World Trade Regulatory Order, in Washington University Global Studies Law Review, 2014, 49 ss.

133 Il negoziato in corso presenta molti punti oscuri, anche in considerazione del fatto che le delegazioni (la Commissione per l’UE e l’ufficio del Trade Representative per gli USA) tengono riservate molte delle questioni ancora in

Page 34: La disciplina multilaterale del commercio digitale

Mercato – 1919

Se da un lato, quindi, in materia di commercio via Internet si registra l’assenza di norme mul-tilaterali esplicite e la frammentazione della relativa disciplina in una serie di accordi preferenzia-li, dall’altro il sistema OMC, e in particolare la prassi degli organi di soluzione delle controversie di cui abbiamo detto, pare avere influenzato il contenuto materiale di tali accordi.

La reciproca influenza esistente tra sistema multilaterale e accordi preferenziali, che ri-prendono alcune soluzioni elaborate dalla prassi del primo e le sviluppano in testi normativi scritti, fungendo così da “breakthrough to the WTO deadlock”134, potrebbe insomma contri-buire a compattare il quadro giuridico internazionale del commercio digitale intorno ad alcuni principi generali attraverso la coincidenza del contenuto materiale delle regole e al di là dei meccanismi di coordinamento previsti dagli articoli XXIV GATT e V GATS, scongiurando così il rischio di uno spaghetti bowl in salsa elettronica, un e-spaghetti bowl, insomma135.

Va ribadito, però, come dal quadro appena descritto esuli, come abbiamo visto, il regime della tutela dei diritti di proprietà intellettuale, che ha invece trovato terreno fertile in accordi preferenziali quasi sempre privi di collegamento, non solo formale ma più strettamente conte-nutistico, con il sistema commerciale multilaterale.

Abstract

The paper examines the rules and the practice of the World Trade Organization legal system in the field of digital trade and compares them to the ones of some non commercial internation-al organizations in order to identify some peculiarities of the WTO context. It concludes that, although the WTO member States have not adopted specific rules for the digital environment, they somehow succeeded in applying to it the more general GATT and GATS rules which, in turn, have influenced the material content of some preferential trade agreements (PTAs) relating to trade in digital goods and services, thus avoiding the birth of an e-spaghetti bowl. On this point only the TRIPs system registers a peculiar phase of backwardness.

discussione; ad ogni modo alcune bozze sono trapelate come leaks e sono consultabili sul sito eu-secretdeals.info/ttip/. Tra i documenti trapelati è compreso un draft del regolamento del Consiglio che conterrebbe il mandato a negoziare alla Commissione, con l’indicazione delle materie oggetto del negoziato, tra le quali sono indicate le «information and communications technologies». Ad ogni modo è del 9 ottobre 2014 la notizia che il Consiglio europeo ha deciso di declassificare le direttive del negoziato TAFTA alla luce delle quali si sono svolti già sette cicli di negoziati, l’ultimo dei quali tenutosi a Washington dal 29 settembre al 3 ottobre 2014. Sull’impatto del TAFTA sulle norme in materia di commercio digitale v. J. Bühler, TAFTA/TTIP In The Light Of The Modern Digital Age And Its Significance For The Future Of The ICT Industry, in D. Cardoso, P. Mthembu. M. Venhaus, M. Verde Garrido (cur.), The Transatlantic Colossus, cit., 67 ss.

134 B.H. Malkawi, E-Commerce in Light of International Trade Agreements, cit., 168. 135 L’espressione “spaghetti bowl” – assieme alla più prosaica immagine di «an orgy, with bodies intertwined and

reaching out in different directions» – è stata usata per la prima volta da J. Bhagwati, U.S. Trade Policy: The Infatuation with Free Trade Agreements, in C. Barfield (cur.), The Dangerous Obsession with Free Trade Areas, Washington, AEI, 1995, per fare riferimento agli intricati rapporti giuridici che legano gli Stati che sono contemporaneamente parte di molteplici accordi commerciali preferenziali e del sistema commerciale multilaterale.