-
La dimensione apoLogetica deLLa teoLogia FondamentaLe :
Una RiFLessione sUL RUoLo dei PR EAMBULA FIDEI
Giuseppe Tanzella-Nitti
Sommario : I. Introduzione - II. La vocazione pubblica e
contestuale della Teologia fondamen-tale : 1. Dare le ragioni della
propria speranza. 2. Sul contenuto del termine apologia e
sull’esporsi ad extra della Teologia fondamentale. 3. La ragione a
cui fare appello nell’an-nuncio della speranza cristiana - III. I
mutamenti nella comprensione delle rationes credibi-litatis e dei
praeambula fidei nel passaggio dall’Apologetica cattolica alla
Teologia fondamen-tale : 1. Il magistero precedente il Concilio
Vaticano II e la trattazione neoscolastica della credibilità. 2. La
ricomprensione teologica della credibilità e la prospettiva del
Concilio Vaticano II. 3. Alcune precisazioni ermeneutiche ed il
permanere di alcune incertezze. 4. Navigando fra Scilla e Cariddi.
5. Alcuni punti fermi - IV. Evangelizzazione e appello alla ragione
nella temperie culturale odierna : 1. Il dibattito sulla
possibilità di un logos condiviso. 2. L’appello ad un logos
creatore - V. Per una comprensione dei preamboli della fede “in
dialo-go” con la Teologia fondamentale : 1. La collocazione dei
preamboli della fede nel percorso dialogico-apologetico della
Teologia fondamentale. 2. Le prerogative di una ratio capax fidei
situata fra rivelazione naturale e rivelazione storica. 3. Valenze
di una riflessione sulla religione e sull’epistemologia teologica -
VI. Per un discernimento dei preamboli della fede : alcuni spunti
tematici.
1. Introduzione
Al di là delle complesse vicende che, negli anni attorno al
Concilio Vaticano II, hanno condotto la contemporanea Teologia
fondamentale a sostituire, tanto nei metodi come in buona parte dei
contenuti, il precedente trat-tato di Apologetica cattolica, 1
esiste oggi una certa convergenza sul fatto che
1 Le linee essenziali che hanno guidato il passaggio
dall’Apologetica cattolica alla Teologia fon-damentale possono
rintracciarsi, ad. es., in H. Bouillard, De l’apologétique à la
théologie fondamental, « Le Quatre Fleuves » 1 (1973) 23-31 ; C.
Colombo, Dall’apologetica alla Teologia fondamentale, « Teolo-gia »
6 (1981) 232-242 ; R. Latourelle, Nuova immagine della Teologia
Fondamentale, in R. Latourelle - G. O’Collins (a cura di), Problemi
e prospettive di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 19822,
59-84 ; D. Tracy, Necessità e insufficienza della Fondamentale, in
ibidem, 41-58 ; R. Latourelle, Teolo-gia Fondamentale : storia e
specificità, in Dizionario di Teologia Fondamentale, a cura di R.
Latourelle e R. Fisichella, Cittadella, Assisi 1990, 1248-1257 ; G.
Lorizio Teologia Fondamentale, in G. Canobbio - P. Coda (a cura
di), La teologia del xx secolo : un bilancio, Città Nuova, Roma
2003, vol. i, 391-499 ; P. Sguazzardo, Storia della teologia
fondamentale, in G. Lorizio (a cura di), Teologia Fondamentale,
Città Nuova, Roma 2005, vol. i, 237-339.
annales theologici · 18, 2007 · pp. 11-60
-
12 giuseppe tanzella-nitti
anche la nuova disciplina debba ugualmente possedere una
dimensione apolo-getica. Ne è espressione la riproposizione
paradigmatica, frequente in numerosi saggi di Teologia
fondamentale, della nota affermazione dell’autore della Prima
Lettera di Pietro, il quale, dirigendosi ai primi cristiani, assai
probabilmente dei neocatecumeni, chiedeva loro di « essere sempre
pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza
che è in voi » (1Pt 3,15). Non esiste invece una sufficiente
convergenza su come tale dimensione apologetica debba operare
al-l’interno di un itinerario teologico-fondamentale.
Rimossa la tradizionale analysis fidei dal programma della
Teologia fonda-mentale ed una volta operata la riconversione dei
classici “motivi di credibilità” nei contemporanei “segni di
salvezza” della Rivelazione, la credibilità del cristia-nesimo
viene oggi centrata attorno al mistero pasquale di Gesù Cristo,
recupe-rando il momento apologetico nella presentazione
dell’appello di salvezza che tale mistero opera nei confronti
dell’uomo e delle sue domande più radicali. Al contrario di quanto
avveniva nell’Apologetica tradizionale, la contemporanea
riflessione sulla credibilità muove dalla Rivelazione verso la
ragione e non vicever-sa ; in particolare, le diverse “ragioni per
credere” presentate dalla rivelazione ebraico-cristiana vengono
tutte orientate verso un’unica ragione fondamentale e ad essa
sostanzialmente riferite : la credibilità della persona di Gesù
Cristo. In tale prospettiva le ragioni della fede, e in certo modo
anche la preparazione ad essa, non vengono più affidate al solo
“lume naturale della ragione”, tanto per ricordare una classica
terminologia tomasiana. 1 Così ricompresa, la dimensio-ne
apologetica non si giova più, in sede teologica, del contributo dei
cosiddetti praeambula fidei, in quanto il loro itinerario razionale
muoveva dalla ragione verso la fede, risultando perciò non più
facilmente integrabile, almeno a prima vista, nella attuale
impostazione della Teologia fondamentale.
Se nonostante questi importanti mutamenti la Teologia
fondamentale non ha mai rinunciato alla sua preoccupazione
apologetica, ciò dipende in fondo da una semplice ragione.
Consapevole che la Rivelazione si manifesta con i carat-teri non
solo del mistero ma anche dell’evento, la Teologia fondamentale sa
di dover entrare inevitabilmente in rapporto anche con quelle
discipline di ambito filosofico, storico, linguistico,
antropologico, e perfino scientifico-naturali, che esercitano la
loro prensione conoscitiva proprio su quegli eventi che la teologia
riconosce indissociabilmente legati al mistero in cui crede. 2 Tale
duplice valen-
1 Va certamente riconosciuto all’Apologetica della prima metà
del Novecento di non avere mai proposto le verità di ragione come
“motivi della fede”, bensì come “motivi della credibilità della
fede”. Come vedremo nel corso di questo studio, anche
l’impostazione classica impiegava l’espres-sione motivum fidei solo
in riferimento a Dio, poiché motivo della fede, in senso stretto, è
soltanto l’autorità di Dio che rivela.
2 Si tratta degli eventi che caratterizzano la storia di
salvezza del popolo Israele, che ammettono uno studio dal punto di
vista storico, antropologico, psicologico, linguistico, ma anche
degli eventi oggetto delle narrazioni bibliche delle origini,
attraverso le quali vengono offerte risposte sull’avvio della
storia del genere umano e sui suoi rapporti originari con un cosmo
creato, e che sono in parte anche oggetto delle scienze storiche e
delle scienze naturali. Si tratta, ancora, degli eventi che
ac-compagnano la storia terrena di Gesù di Nazaret, come essi
scaturiscono da quel mistero ed insieme
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 13
za della parola rivelata, come mistero e come evento, non
conduce ad operare alcuna separazione nell’unità del metodo
teologico-fondamentale, né implica abbandonare mai l’oggetto
formale della fede, 1 ma porta nondimeno a ricono-scere l’esistenza
di due versanti dai quali accedere al contenuto della rivelazione e
alla sua offerta di senso. L’esistenza di una dimensione
apologetica della Teo-logia fondamentale, sebbene con modalità e
contenuti diversi rispetto a quanto proposto nelle prime decadi del
xx secolo, viene così implicitamente convali-data riconoscendo la
necessità di un tale “duplice movimento”, da Dio verso l’uomo e
dall’uomo verso Dio.Sono espressione della ricerca di una
articolazione fra questi due itinerari le pro-poste
teologico-fondamentali di autori come Karl Rahner, Hans Urs von
Baltha-sar, ma anche quelle più recenti delle scuole tedesche di
Max Seckler, Heinrich Fries o di Hansjürgen Verweyen, quella della
scuola romana di René Latourelle e Rino Fisichella, e quella di
Salvador Pié-Ninot. 2 Secondo la specifica prospet-tiva dei
rispettivi autori, ciascuna di queste proposte cerca una
composizione fra momento apologetico e momento dogmatico,
sostanzialmente attraverso la ricerca di un’articolazione
cristologica capace di dare ragione dei due itinera-ri
complementari, evitando i precedenti errori della apologetica
classica, la cui incapacità di offrire una convincente
articolazione proprio in sede cristologica era sfociata, come si
ricorderà, in una scissione fra Gesù-Cristo “legato divino” e
Gesù-Cristo “Figlio del Padre”.
Ai fini del discorso che qui ci occupa non può però passare
inosservato che, a motivo di questa nuova impostazione, nel
discutere tale duplice movimento il momento apologetico sia stato
principalmente compreso come momento an-tropologico. Se da un lato
ciò ha l’importante vantaggio di non far riflettere su una
razionalità astratta, cogliendo il momento razionale sempre
all’interno di una richiesta di senso che coinvolga tutto l’uomo,
privilegiando così le impor-
evento costituito dall’Incarnazione del Verbo di Dio.
L’inevitabilità di tale rapporto veniva esposta in maniera
essenziale, ma lineare, già nei trattati classici : cfr. Relatio
Apologeticae ad scientias natura-les quas praesupponit, in R.
Garrigou-Lagrange, De Revelatione, Libreria Editrice Religiosa,
Roma 1929, 66-68.
1 Insiste in modo speciale su questa prospettiva R. Fisichella,
La Rivelazione : evento e credibilità, Dehoniane, Bologna 2002.
2 Per le edizioni in lingua italiana : cfr. K. Rahner, Uditori
della parola, Borla, Torino 1967 e Corso fondamentale sulla fede,
Paoline, Roma 19844 ; H. U. von Balthasar, Gloria. Una estetica
teologica, spec. vol. I : La percezione della forma, Jaca Book,
Milano 1971 ; sul pensiero di M. Seckler si vedano i suoi
contributi all’opera W. Kern, H. Pottmeyer, M. Seckler (a cura di),
Corso di Teologia Fonda-mentale, 4 voll., Queriniana, Brescia 1990
; H. Fries, Teologia Fondamentale, Queriniana, Brescia 1987 ; H.
Verweyen, La parola definitiva di Dio. Compendio di Teologia
Fondamentale, Queriniana, Brescia 2001 ; per l’opera di René
Latourelle, si vedano nel loro insieme i volumi, più volte
rieditati, R. La-tourelle, Teologia della rivelazione, Cittadella,
Assisi 1986, Cristo e la Chiesa, segni di salvezza, Citta-della,
Assisi 1971 e L’uomo e i suoi problemi alla luce di Cristo,
Cittadella, Assisi 1982 ; Fisichella, La Rivelazione ; Pié-Ninot,
La Teologia Fondamentale, Queriniana, Brescia 2002. Fra le proposte
recenti in campo italiano vanno annoverate anche P.A. Sequeri, Il
Dio affidabile, Queriniana, Brescia 1996 e i contributi di G.
Lorizio ai primi due volumi dell’opera G. Lorizio (a cura di),
Teologia Fondamentale, 4 voll., Città Nuova, Roma 2004-2005.
-
14 giuseppe tanzella-nitti
tanti categorie della testimonianza, della credibilità
dell’amore o dell’apertura costitutiva dell’uomo all’ascolto della
Parola, dall’altro potrebbe aver lasciato in ombra quegli aspetti
epistemologici, storico-empirici, ma anche cosmologici, che la
razionalità umana ugualmente impiega per formulare i suoi giudizi,
il cui ruolo nella comprensione e nell’accoglienza della Parola
rivelata è a volte tutt’altro che trascurabile. 1
I cambiamenti di prospettiva sperimentati nel passaggio dalla
tradizionale Apologetica cattolica alla contemporanea Teologia
fondamentale ci trovano senza dubbio d’accordo. Ne sono derivati
risultati fecondi, certamente anche sulla spinta di costituzioni
conciliari come furono la Dei Verbum e la Gaudium et spes, che di
tali cambiamenti, pur nella continuità della dottrina cattolica,
furo-no in certo modo fra i principali responsabili. Quanto
intendiamo qui mettere in luce riguarda invece due osservazioni. La
prima è che nella teologia del do-po-Concilio il nuovo stato di
cose ha determinato, quasi come sua conseguenza obbligata, una
drastica interruzione della riflessione sui cosiddetti “preambo-li
della fede”. Dall’itinerario della nuova Teologia fondamentale essi
restavano certamente esclusi, sia perché non immediatamente
riconducibili ad una episte-mologia teologica, sia perché
risultavano ancora troppo in sintonia – almeno nella comprensione
di essi veicolata dall’Apologetica classica – con quella ragio-ne
separata dalla fede che la teologia non era più disposta a
tematizzare.
La seconda osservazione riguarda la permanenza, anche nella
Teologia fonda-mentale odierna, di una certa tensione. Ci riferiamo
alla presenza di due esigenze diverse, non facilmente componibili.
Da una parte vi è il mai sopito desiderio di offrire una fondazione
razionale-antropologica all’apertura/attesa dell’uomo nei confronti
di una rivelazione divina e alla possibilità/significatività di
questa, con il corrispondente desiderio, anch’esso mai estinto, di
poterla basare su argo-mentazioni in certo modo fruibili anche da
chi ancora non crede ; dall’altra vi è la consapevolezza che la
Rivelazione contiene in sé il suo principio ermeneutico e la
ragione ultima della sua credibilità, che sfugge pertanto ad una
presa com-pleta della ragione, trattandosi di una Parola che
intende convertire prima che convincere. Si tratta di una tensione
fruttuosa, insita nella genetica e nel compi-to di questa
disciplina, 2 oppure di un intrinseco problema irrisolto che
potrebbe metterne in pericolo la coerenza globale ? Vi è qualche
rapporto fra il disagio
1 Gli autori dedicano spazio soprattutto a sviluppare le domande
fondamentali con le quali l’uo-mo si interroga sul significato
della propria esistenza, allo scopo di preparare poi la sua
risposta all’offerta di senso della Rivelazione divina. Cfr. ad
esempio : Fisichella, La Rivelazione, 141-162 ; Pié-Ninot, La
Teologia Fondamentale, 77-158 ; Fries, Teologia Fondamentale, 30-72
e 231-281 ; Verweyen, La parola definitiva, 129-233. Normalmente
non vengono sviluppati, se non occasionalmente, gli aspetti
metafisico-cosmologici, anch’essi terreno di incontro fra le
domande della razionalità umana e le risposte della
Rivelazione.
2 È significativo osservare che il dibattito circa la domanda se
l’Apologetica fosse parte o meno della Teologia era già presente a
cavallo fra il xix e il xx secolo. Ne offre una testimonianza
Garri-gou-Lagrange, De Revelatione, 52-68, il quale pone a
confronto diversi autori attorno ai due quesiti An Apologetica
specie distinguatur a sacra Theologia e An Apologetica recte
nominetur pars Theologiae funda-mentalis, offrendo le sue ragioni
personali per rispondere affermativamente ad entrambi.
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 15
recato da tale tensione e l’assenza di una riflessione
filosofica propedeutica alla fede ? Può il “momento apologetico”
della Teologia fondamentale spingersi fino ad una diaconia
all’opzione verso la fede, e in che misura tale servizio continua
ad esserle proprio – e la sua elaborazione necessaria al popolo di
Dio nel suo compito di evangelizzazione ?
In questo studio ci proponiamo di mettere a tema, per quello che
ci sarà pos-sibile, le precedenti domande. Desideriamo però subito
chiarire al lettore che consideriamo ormai acquisito lo statuto
teologico della Teologia fondamentale e non intendiamo mettere in
discussione il sofferto itinerario che le ha consentito di
approdare ad una proposta cristiana integrale, centrata, come deve
essere, su una autentica Teologia della Rivelazione. Si tratta,
piuttosto, di comprendere l’operatività apologetica della
Fondamentale, studiandone il dominio di esten-sione alla luce della
Rivelazione e sulla scorta delle odierne sollecitazioni
con-testuali. Precisiamo, inoltre, che ci muoveremo qui
esclusivamente all’interno della Teologia fondamentale cattolica, e
che non potremo pertanto considerare, almeno in questa sede, le
proposte sorte in altri ambiti della teologia cristiana.
Cominceremo la nostra discussione tentando di esplicitare gli
elementi che a nostro avviso caratterizzano la “dimensione
apologetica” della Teologia fonda-mentale, quale teologia di fronte
a un interlocutore e teologia in contesto, e co-me tali caratteri
ne individuino la sua natura di laboratorio per la formulazione di
una teologia pubblica (Sezione ii). Riepilogheremo in seguito
alcune tappe del cammino di emancipazione della Teologia
fondamentale dall’Apologetica classica per quegli aspetti di
maggiore pertinenza del nostro discorso, riassu-mendo quali sono i
“punti di non ritorno” che anche un’eventuale rivalutazio-ne del
momento filosofico-razionale (riconsiderando ad esempio la nozione
di praeambula fidei) non potrebbe ormai più ignorare (Sezione iii).
Esporremo quindi alcuni elementi di disagio che l’evangelizzazione
sperimenta nella tem-perie culturale odierna, specie in merito al
confronto con la ragione cosiddet-ta laica, interrogandoci su quale
diaconia al Vangelo la Teologia fondamentale dovrebbe oggi
esercitare in proposito, anche sulla scorta di alcune autorevoli
percezioni del problema da parte del recente Magistero della
Chiesa, nonché di singoli autori (Sezione iv). Suggeriremo infine
di vedere nei “preamboli della fede” uno snodo importante di tale
diaconia, suggerendo per essi il ruolo di mo-strare alla ragione la
significatività della Parola rivelata ; essi svolgerebbero tale
ruolo all’interno di un itinerario teologico e non meramente
filosofico, perché collocati fra le due modalità dell’unica
rivelazione divina, quella di una parola pronunciata attraverso il
creato e quella di una parola pronunciata nella storia (Sezione
v).
-
16 giuseppe tanzella-nitti
ii. Vocazione pubblica e contestuale della Teologia
fondamentale
1. Dare le ragioni della propria speranza
L’autore della Prima Lettera di Pietro, nel confortare i primi
cristiani di fronte al pericolo della persecuzione, li esortava ad
adorare Cristo nei loro cuori, ma an-che ad essere « pronti sempre
a rispondere a chiunque vi domandi ragione della spe-ranza che è in
voi » (1Pt 3,15). 1 Nella versione della Neovolgata, il “dar
ragione” è più esplicitamente una “difesa” (defensio), ovvero una
“apologia” (ajpologiva) in accordo con il testo greco, 2 un
“parlare di fronte” : « Dominum autem Chri-stum sanctificate in
cordibus vestris, parati semper ad defensionem (e{toimoi ajei provı
ajpologivan) omni poscenti vos ratione de ea, quae in vobis est spe
(lovgon peri ; thvı ejn uJmivn ejlpivdoı) ». Il testo in questione
mostra la simulta-nea presenza di tre importanti termini :
apologia, ragione e speranza. Ai cristia-ni può dunque essere
chiesta “ragione” (lovgoı), nel senso forte del termine, del loro
credere. Anche se il testo impiega qui il termine “speranza” e non
“fede”, si tratta tuttavia della speranza per antonomasia, del
“vivere nella speranza del Cristo risorto”, ovvero della ragione
del vivere cristiano. Ci si riferisce qui, in so-stanza, al
contenuto centrale della fede cristiana, perché essenzialmente fede
nella resurrezione di Cristo e attesa operosa del pieno compimento
di tutte le sue conseguenze, sia sul piano individuale che su
quello cosmico (cfr. Rm 8,19-25). 3 L’esortazione della Prima
Lettera di Pietro viene opportunamente completa-ta da un
riferimento al vissuto, dall’appello ad una testimonianza : «
Questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza,
perché nel momento stes-so in cui si parla male di voi rimangano
svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in
Cristo » (1Pt 3,15-16). Le ragioni della speranza e della fede,
dunque, non possono essere fornite come semplice gnosi,
soddisfacendo
1 Per un breve commento esegetico-teologico a questa pagina,
cfr. E. Cothenet, Le réalisme de l’espérance chrétienne selon 1
Pierre, « New Testament Studies » 27 (1981) 564-572 ; D. P. Senior,
1 Peter, in D. J. Harrington (a cura di), Sacra Pagina. 1 Peter,
Jude and 2 Peter, The Liturgical Press, Collegeville (mn) 2003,
93-99.
2 Esistono altri passi del Nuovo Testamento che suggeriscono di
comprendere tale difesa come una vera “testimonianza”. È un
ajpologevomai, ovvero un parlare in propria difesa, la
testimonianza che secondo Lc 12,11-12 i discepoli di Cristo devono
dare nelle sinagoghe, di fronte ai magistrati e alle autorità ; ed
è una ajpologiva quella che Paolo compie di fronte ai suoi
connazionali ebrei in occasio-ne dell’arresto a Gerusalemme (At
22,1) e di fronte a Festo e Agrippa, quando si trova in custodia a
Cesarea (At 25,16). Quanto sostenuto da Gesù di fronte a Pilato è
invece, secondo la Prima Lettera a Timoteo, una martiriva (1Tm
6,13).
3 Che l’esortazione petrina riguardi un dar ragione del
contenuto della fede e non la semplice partecipazione di una
speranza intesa in senso debole, lo si evince dall’impiego che
questa pagina ebbe in documenti dei primi secoli, come nella Fides
Pelagi, professione di fede di papa Pelagio I ri-salente all’anno
557 : « Questa è dunque la mia fede e la mia speranza, che è in me
per il dono della misericordia di Dio ; di esse dobbiamo, come ci
impone il beato Pietro apostolo, essere pienamente in grado di dare
spiegazione a chiunque ce ne chieda ragione (maxime paratos ad
respondendum omni poscenti nos rationem) » (DH 443).
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 17
cioè delle esigenze di conoscenza teoretica. Queste devono
essere consegnate corredate da una credibilità poggiata sulla
rettitudine interiore, sulla dolcezza e sul rispetto verso
l’interlocutore, non come semplice strategia dell’annuncio, ma come
qualità necessarie per la trasmissione di uno stile di vita, di una
“buona condotta in Cristo” (th;n ajgaqh ;n ejn Cristwv
ajnastrofhvn) che rappresenta in fondo l’oggetto stesso di quanto
si vuole annunciare e partecipare agli altri.
Sulla scorta dei numerosi riferimenti patristici che l’hanno
riproposta proprio in un contesto di credibilità della fede, 1 la
Teologia fondamentale ha sempre visto la pagina petrina come un
testo-chiave per comprendere il senso della sua dimensione
apologetica. Tuttavia, per ben comprendere in cosa consista tale
dimensione e come essa operi all’interno di un programma
teologico-fonda-mentale, è necessario intendersi proprio sul
significato dei principali termini in gioco. Di fatto, nel processo
di emancipazione della Teologia fondamenta-le dalla precedente
Apologetica cattolica, buona parte del linguaggio teologi-co ha
progressivamente impiegato il termine “apologetica” in modo
restritti-vo – quando non proprio in senso negativo –
sottolineandone principalmente l’aspetto di difesa razionalista,
spesso operata su un terreno non teologico. Tale comprensione
restrittiva pare essere oggi particolarmente evidente nei paesi di
tradizione anglosassone, ove l’aggettivo “apologetico”, quando
associato ad un discorso o ad un ragionamento, viene assimilato a
termini quali “esortativo”, “parenetico”, “enfatico”, e perciò
ritenuto inadeguato ad una trattazione teo-logico-scientifica. La
nozione di “ragione”, dal canto suo, ha subito anch’essa, in questo
medesimo contesto, interpretazioni riduttive. Quando impiegata da
coloro che ne vedevano uno strumento dialettico in difesa della
fede, ma anche da coloro che ne sostenevano l’insufficienza, tale
nozione si è difficilmente di-scostata da una comprensione che la
ha vista (e in buona parte ancora la vede) ridotta ad una ragione
di origine cartesiana, e dunque costitutivamente sepa-rata dalla
fede. 2 La delicatezza del tema sta proprio nel fatto che una
corretta intelligenza di cosa voglia dire il termine “ragione”
diviene irrinunciabile per comprendere cosa voglia dire, appunto,
“dar ragione della propria speranza”, o “dare le ragioni della
propria fede”. Desideriamo pertanto qui soffermarci brevemente sul
contenuto dei tre principali concetti in gioco nell’esortazione
paolina : apologia, ragione e speranza.
1 Cfr., ad es., Origene, Contra Celsum, vii, 12 ; iii, 33 ;
Agostino di Ippona, Epistula ad Cosentium, Ep. 120, 1, 4 ; Clemente
di Alessandria, Stromata, iv, 46, 3 ; Eusebio di Cesarea,
Preparatio evan-gelica, i, 3, 6 ; I, 5, 2.
2 Un riferimento obbligato circa la necessità di evitare di
comprendere o impiegare una ragione così intesa in teologia è
rappresentato, in proposito, dalle riflessioni svolte dalla “scuola
di Milano” : cfr. G. Colombo (a cura di) , L’evidenza e la fede,
Glossa, Milano 1988 ; Idem, La ragione teologica, Glos-sa, Milano
1995.
-
18 giuseppe tanzella-nitti
2. Sul contenuto del termine apologia e sull’esporsi ad extra
della Teologia fondamentale
Una apologia della fede non deve oggi necessariamente
comprendersi, a nostro avviso, come una difesa del credo cristiano
contro chi lo voglia combattere o svilire, quanto in primo luogo,
in accordo col senso principale-letterale della sua etimologia,
come la capacità di parlare di fronte ad un interlocutore. In tal
senso, la dimensione apologetica della Teologia fondamentale dovrà
includere la capacità di saper elaborare un’esposizione fruibile
anche ad extra. Con tale espressione non intendiamo certo che la
fede venga posta a latere del proprio teologare (come ogni altra
disciplina teologica anche la Teologia fondamentale deve svolgersi
all’interno della fede), ma segnalare piuttosto che l’esposizione
del contenuto della fede, per la Teologia fondamentale, agisce sul
prolunga-mento della missio ad extra della stessa Parola. Si
tratta, in senso etimologico, di una “esposizione”, ovvero di un
esporsi secondo la dinamica di un annuncio sempre disposto a
rischiare il vaglio critico della ragione. Se nessuna disciplina
teologica prevedesse tale esporsi ad extra, tutto il discorso
teologico diverrebbe ipso facto autoreferenziale, in quanto le
domande poste ai vari trattati teologici giungerebbero tutte
dall’interno della teologia stessa. La Teologia fondamenta-le
contribuisce pertanto a mantenere il discorso teologico aperto sul
reale e sul-la storia, ponendo il credente in grado di rivolgersi
anche a chi non condivide il proprio credo e, in generale,
attrezzandolo a poter svolgere le proprie tematiche come se queste
dovessero essere esposte di fronte ad un qualsiasi interlocutore,
di cui si conosce il contesto culturale e intellettuale. A ben
vedere, ciò è in accor-do con la logica più profonda dell’annuncio
cristiano : un annuncio che veniva proclamato da uomini i quali mai
misero da parte la loro fede nel Cristo risorto, eppure nel
predicare o nello scrivere quanto essi credevano, seppero farlo con
un fine dichiarato : « perché crediate che Gesù è il Cristo, il
Figlio di Dio e per-ché, credendo, abbiate la vita nel suo nome »
(Gv 20,30-31), e affinché, una volta abbracciata la fede, « ci si
potesse rendere conto della solidità degli insegnamenti ricevuti »
(cfr. Lc 1,4). In tal senso, la dimensione apologetica della
Teologia fon-damentale previene l’intera teologia dal rischio del
fondamentalismo, abituandola a svolgere le proprie argomentazioni
di fronte a tutti gli uomini, uomini dai quali essa impara a
condividerne le domande, le ansie, le aspettative.
Riteniamo che questo afflato apologetico, così come qui inteso,
possa e deb-ba accompagnare quella specifica trattazione della
Teologia fondamentale che chiamiamo “teologia della credibilità
della Rivelazione”, o semplicemente “cre-dibilità della
Rivelazione”, senza che ciò comporti alcuno spostamento della sua
fonte primaria – che resta di fatto la Rivelazione – ma sì un reale
sforzo di carattere contestuale, quello di un teologale a tutto
campo che non rinuncia mai a farsi carico delle circostanze del suo
interlocutore, consapevole che agisce sul prolungamento di quella
missio ad extra cui prima ci riferivamo. Non è senza interesse qui
precisare che, se è vero che un’analisi sistematica della
credibilità
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 19
compete in modo organico al sapere teologico-fondamentale,
fornire le ragioni della speranza, e dunque della credibilità
dell’annuncio cristiano, spetta invece a chiunque di tale annuncio
si faccia portatore. Infatti, secondo il testo petrino, il soggetto
cui viene richiesto di dare “ragione della propria speranza” non è
il teologo in quanto tale, bensì ogni credente. In armonia con la
propria esperien-za di fede e con una profondità di conoscenza
proporzionata al ruolo occupato nel popolo di Dio e nella società
civile, ogni battezzato deve dunque possedere tali ragioni, e
saperle spiegare, perché queste ragioni esistono. All’interno di
una prospettiva cattolica, rinunciare a fornirle sarebbe
manifestativo della precarie-tà della propria fede o, peggio, del
travisamento del suo contenuto e della sua dinamica, non
infrequente in chi ritenga che il confronto con la ragione sia
superfluo o inopportuno. La Teologia fondamentale trova qui un suo
impor-tantissimo ruolo di diaconia, capace di generare precise
proposte e itinerari di formazione in ambito pastorale e
catechetico. 1
Resta così esclusa dall’orizzonte del credente, per principio,
la facile soluzione del fideismo. Secondo tale prospettiva, la fede
ritiene di poter conservare la sua portata conoscitiva e salvifica
semplicemente affermando, per motivi epistemo-logici o anche
esistenziali, la propria incommensurabilità con la ragione. Non va
dimenticato che il fideismo, ancor prima di considerare la
razionalità umana e la filosofia inadeguate a formulare giudizi
sull’Assoluto, sulla verità e su Dio (questa è piuttosto la
posizione dell’agnosticismo), afferma in primo luogo che la
Rivelazione cristiana non possiede una credibilità capace di
operare un appel-lo significativo verso la ragione, in particolare
verso la ragione filosofica riflessa. L’atto di fede resta
pertanto, nella comprensione che il fideismo ha di esso, un atto
che l’essere umano compie sospendendo il giudizio della
ragione.
3. La ragione a cui fare appello nell’annuncio della speranza
cristiana
La ragione cui la dimensione apologetica della Teologia
fondamentale deve fare appello è la ragione che coinvolge tutto
l’uomo, la sua razionalità filosofica e la sua razionalità
scientifica, ma anche le ragioni più intime dell’esistenza umana e
del senso comune, che non possono trovare nel linguaggio filosofico
un’espres-sione esauriente. Si tratta di una ragione che viene
sempre esercitata da un sog-getto, e dunque una ragione personale,
in stretto rapporto con l’esercizio della volontà e della libertà ;
una ragione che non si dirige al suo oggetto in modo distaccato e
indipendente, ma sempre valutando anche il valore che l’oggetto
possiede in relazione ai temi fondamentali della propria esistenza.
La ragione cui l’annuncio della fede fa appello deve potersi
riconoscere capace non solo di
1 Non deve sorprendere che un itinerario teologico-fondamentale,
coerente ed organico, fini-sca col generare ricadute anche nella
formazione del popolo di Dio, anzi in certo modo le cerchi
programmaticamente. Così lo intese, fra gli altri, Karl Rahner, che
nel Corso fondamentale sulla fede (1976) intraprese una ricerca
teologico-fondamentale in buona parte orientata ad una sua
fruibilità pastorale.
-
20 giuseppe tanzella-nitti
raziocinio formale, ma anche di senso illativo, ovvero di quel
senso comune in grado di correlare insieme fra loro dati
provenienti da fonti conoscitive diverse, 1 ognuna delle quali,
presa individualmente, potrebbe non essere sufficiente per
formulare un giudizio certo, ma nel loro simultaneo apparire alla
mente e nel loro reciproco confrontarsi e confermarsi, spingono il
soggetto verso un’opzio-ne ritenuta ragionevole, ossia pienamente
umana.
Si tratta, ancora, di una ragione certamente forgiata, in misura
più o meno maggiore, dalla razionalità scientifica, 2 e dunque
avvezza ad una rigorosa veri-fica delle diverse fonti di conoscenza
e della loro attendibilità, rispettosa della logica del
ragionamento e sempre aperta a nuovi e più profondi livelli di
in-telligibilità. Si tratta di una ragione umana che dalla
razionalità scientifica ha imparato a riflettere entro orizzonti
spazio-temporali di respiro cosmico, che sanno spingersi verso
l’infinitamente grande e indagare l’infinitamente piccolo,
giungendo ad una comprensione del mondo, della vita e del loro
evolvere nel tempo, con la quale il pensiero filosofico, e dunque
anche quello teologico, de-vono saper dialogare e confrontarsi.
Ma la ragione umana alla quale l’annuncio cristiano si rivolge –
ed è questo un aspetto della massima importanza ai fini di quanto
si dirà più avanti circa i pream-boli della fede – è una ragione la
quale, pur consapevole della sua apertura all’in-finito e quindi
della sua capacità di interrogarsi sull’intero del reale e sul
senso del tutto, 3 si riconosce non competente a fornirne le
risposte davvero ultime, ac-cettando invece che queste le vengano
narrate, perché conscia che i fondamenti del proprio conoscere
giacciono nel mistero dell’essere, ricevuto e non posto, ascoltato
ma non detto. Una ragione così intesa può ben interpretare e fare
pro-prie anche le migliori aspirazioni del pensiero religioso
umano, apprezzandone il contributo fornito al logos, sebbene giunto
attraverso il veicolo del mythos. La ragione alla quale l’appello
della Rivelazione si rivolge occorre che sia, in defini-tiva, una
ragione non ideologica, aperta a lasciarsi svelare come ragione
creata.
Esistono infine alcune brevi precisazioni anche in merito alla
speranza le cui ragioni il cristiano è tenuto ad annunciare.
Speranza non vuol dire incertezza né attesa di qualcosa che non si
sa se giungerà. Eppure, trattandosi di beni sperati e non
consumati, creduti e non ancora in tutto posseduti, essa pone il
credente nella condizione di essere un vero compagno di viaggio in
mezzo e accanto agli altri uomini suoi fratelli, perché « le gioie
e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei
poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di
Cristo, e nulla vi è di
1 Cfr. J. H. Newman, Grammatica dell’assenso, Jaca Book -
Morcelliana, Milano - Brescia 1980, 211-237.
2 Non è senza interesse rileggere quanto la Gaudium et spes
segnalava in proposito già nel 1965 (cfr. n. 5).
3 È quanto Aristotele osservava, affermando che « l’anima umana
è in certo modo tutte le cose », De Anima, iii, 8 : o ciò che san
Tommaso intendeva osservando che « est autem appetitus naturalis
intellectus ut cognoscat omnium genera et species et virtutes, et
totum ordinem universi », Contra Gentiles, iii, c. 59.
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 21
genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore ». 1 La
dimensione apo-logetica della Teologia fondamentale dovrà pertanto
tradursi in serio interesse per la situazione contestuale,
esistenziale ed intellettuale, dell’interlocutore “di fronte a cui
si parla”, non sottovalutando il travaglio che la ricerca della
verità e del bene recano con sé e la diversità dei cammini lungo i
quali tale ricerca si realizza nella storia di ciascuno.
Se in passato il discorso teologico può aver dato l’impressione
di non ren-dersi sufficientemente conto di tale travaglio,
riteniamo che oggi non debba temere di mostrarsi anch’esso come un
cammino verso la verità, chiarendo, pro-prio in questo senso, la
sua specificità nei confronti del Magistero. Se quest’ulti-mo,
confortato dal « carisma certo di verità », 2 è chiamato ad
insegnare certezze estratte dal deposito della Rivelazione, il
teologo, che muove dalla certezza ver-so l’acquisizione di nuove
conclusioni, si troverà spesso a dover condividere nu-merosi degli
interrogativi che, di fronte ai problemi dell’esistenza umana e
della conoscenza del reale, coloro che ancora non credono si
pongono e gli segnalano come tuttora irrisolti. La differenza
importante sta, per il teologo, nel sapere che, nell’affrontarli,
egli ha a disposizione la grande stella di orientamento della
Rivelazione e la ricca trama di conoscenze già possedute che gli si
rendono di-sponibili attraverso la analogia fidei. Nella logica
della condivisione, messa assai bene in luce dall’immagine
dell’incontro fra il Risorto e i discepoli di Emmaus, dovrebbe
trovare spazio per la Teologia fondamentale anche il compito di una
paziente “spiegazione della storia” e talvolta di un necessario
“risanamento del-la ragione”, missioni difficilmente affrontabili
da altri trattati teologici. 3 Si tratta di un compito oggi
particolarmente urgente, perché l’annuncio della speranza cristiana
non può far leva soltanto sull’emotività e sul sentimento di coloro
ai quali ci si dirige, ma deve assumersi anche l’onere di fornire i
necessari elementi di istruzione e di formazione affinché la logica
della credibilità possa essere fi-nalmente riconosciuta come
ragionevolmente significativa.
iii. I mutamenti nella comprensione delle rationes
credibilitatis e dei praeambula fidei nel passaggio
dall’Apologetica cattolica
alla Teologia fondamentale
1. Il magistero precedente il Concilio Vaticano ii e la
trattazione neoscolastica della credibilità
A partire dalla metà del xix secolo, la parte dedicata
all’Apologetica conosce nel trattato sulla Rivelazione un
significativo sviluppo, 4 sia per la specifica congiun-
1 Concilio Vaticano ii, cost. past. Gaudium et spes, n. 12
Concilio Vaticano ii, cost. dogm. Dei Verbum, n. 8.3 Sull’odierna
necessità, in campo culturale, di apprendere nuovamente un modo
sano di pensare
(ratio) in vista di un modo sano del credere (fides), insiste A.
Strumia, Le scienze e la pienezza della razionalità, Cantagalli,
Siena 2003.
4 Ricordiamo che il trattato sull’Apologetica lo si incontra
all’interno, e al servizio, di un più am-
-
22 giuseppe tanzella-nitti
tura culturale in cui ci si muove – contrassegnata dalle spinte
del materialismo, del razionalismo e del fideismo prima, e del
modernismo poi – sia a motivo dei numerosi interventi del Magistero
in materia. Le indicazioni contenute nella enciclica Qui pluribus
(1846) di Pio IX e nella costituzione Dei Filius del Concilio
Vaticano I (1870), la rivalutazione della filosofia tomista operata
qualche anno più tardi dalla Aeterni Patris (1879) di Leone XIII, e
infine gli interventi disciplina-ri e dottrinali diretti contro il
modernismo, vengono tradotti dall’Apologetica di ispirazione
neoscolastica secondo un programma che elaborerà una trattazione
della credibilità centrandola sulla proposta di una analysis fidei
e su una sistema-tica filosofico-razionale delle rationes
credibilitatis.
Di “prove certe” circa la divinità della Rivelazione cristiana
avevano già parla-to alcuni chiarimenti disciplinari nei confronti
del fideismo. 1 All’interno di una più estesa trattazione della
credibilità e della fede, basandosi sul versetto paolino della
convenienza di un culto a Dio “secondo ragione” (Rm 12,1 : logikhv
latrei-va), l’enciclica Qui pluribus afferma che esistono « molti
ammirevoli e luminosi argomenti (argumenta) in base ai quali la
ragione umana deve essere perfetta-mente convinta che la religione
di Cristo è divina ». 2 Qualche anno più tardi, la costituzione Dei
Filius parlerà esplicitamente di “segni” (signa) della credibilità
e della divinità della Rivelazione (non di rationes, come farà
invece la manuali-stica successiva), riconducendoli sostanzialmente
a tre : i miracoli, le profezie e la Chiesa. 3 La Chiesa, a sua
volta, è essa stessa sede di numerosi segni disposti da Dio perché
apparisse la credibilità della fede cristiana, nonché soggetto di
“note” (notae) caratteristiche che consentono di riconoscerla come
custode e maestra della parola rivelata. Essa viene paragonata ad
un « vessillo levato in mezzo alle nazioni » (veluti signum levatum
in nationes ; cfr. Is 11,12), ovvero un soggetto di testimonianza
capace di mostrare a tutti i credenti che « la fede da loro
professata poggia su un solidissimo fondamento ». 4 Il documento
non enu-mera di quali notae si tratti, ma è lecito ritenere che il
Concilio si riferisse alle
pio programma in cui trova già posto una riflessione teologica
sulla Rivelazione, sebbene esposta con un metodo scolastico, che
eredita a sua volta il programma sorto in età moderna e articolato
come demonstratio religiosa - demonstratio christiana -
demonstratio catholica. Il nome di Teologia fonda-mentale, già
presente in questa manualistica (ben prima del Concilio Vaticano
ii), comprendeva gli aspetti metodologico-fondativi, ma andrà
imponendosi solo successivamente.
1 Il vescovo Jean-François-Marie Le Pappe de Trévern aveva
chiesto a Louis-Eugène Bautain di sottoscrivere nel 1835 che « la
prova della rivelazione cristiana tratta dai miracoli di Gesù
Cristo, sensi-bile e lampante per i testimoni oculari, non ha per
nulla perso la sua forza e la sua chiarezza di fronte alle
generazioni successive » (DH 2753). A questa affermazione si
aggiunge quella che la risurrezione di Gesù Cristo possiede « delle
prove certe » (DH 2754). Qualche anno dopo, nel 1844, sarà la Curia
Romana a chiedere al docente francese di non insegnare che « la
ragione non possa acquisire una vera e piena certezza dei motivi di
credibilità, cioè di quei motivi che rendono la rivelazione divina
evidentemente credibile (évidemment croyable), come lo sono
particolarmente i miracoli e le profezie, e soprattutto la
risurrezione di Gesù Cristo » (DH 2768).
2 Pio IX, lett. enc. Qui pluribus, 9 novembre 1946, DH 2779.3
Cfr. Concilio Vaticano I, cost. dogm. Dei Filius, 24 aprile 1870,
DH 3009 e 3012.4 Cfr. ibidem, DH 3012-3014.
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 23
quattro note classiche, verso le quali le numerose e
diversificate note del tratta-to De Ecclesia andavano ormai
confluendo : ovvero la sua cattolicità, apostolicità, unità e
santità. Si offre invece una enumerazione dei segni che
mostrerebbero chiaramente la credibilità della fede cristiana,
facendo della Chiesa, nel suo in-sieme, « un grande e perenne
motivo di credibilità » (magnum et perpetuum moti-vum
credibilitatis) : la sua ammirabile propagazione, la sua eminente
santità, la sua inesausta fecondità in ogni bene, a causa della sua
cattolica unità e della sua incrollabile stabilità. 1
Una prospettiva della Dei Filius destinata ad avere grande
influenza sulla ma-nualistica neoscolastica fu quella che i
miracoli e le profezie venivano lì quali-ficati come « segni
certissimi della divina Rivelazione, adatti alla ragione e
al-l’intelligenza di tutti (signa certissima et omnium
intelligentia accomodata) ». 2 Un canone ribadirà che non è
possibile negare l’esistenza di segni esteriori – la cui origine,
cioè, rimanda al di là dell’esperienza interiore del soggetto – né
affer-mare che gli uomini debbano essere mossi alla fede nella
rivelazione esclusiva-mente sulla scorta di fattori interiori o di
rivelazioni private. 3 Sebbene buona parte dei “segni” indicati in
questi interventi del Magistero fossero di per sé indissociabili
dalla Rivelazione, non vi è dubbio che la metodologia in seguito
adottata dai manuali sarà debitrice alla filosofia più che alla
teologia, in quanto l’analisi razionale si giovava soprattutto del
contributo di argomenti storico-em-pirici e della logica
dell’inferenza.
Allo scopo di comprendere la diversa impostazione dell’odierna
Teologia fondamentale e valutare come poter esplicitare anche oggi
la sua dimensione apologetica, è necessario richiamare brevemente
la trattazione razionale neo-scolastica della credibilità. 4 Questa
soleva iniziare esponendo il contenuto dei praeambula fidei, verità
religiose e morali che potevano essere conosciute dalla ragione
naturale senza alcun contributo della Rivelazione, verità di
ragione che non causavano la fede, ma la preparavano e ne erano,
appunto, come i pream-boli. Si procedeva quindi con la discussione
delle rationes credibilitatis, ovvero quei motivi che rendevano
possibile credere, facendone un atto ragionevole, divisi
tradizionalmente in motivi soggettivo-interni e motivi
oggettivo-esterni. I motivi soggettivo-interni venivano a loro
volta divisi in universali (conformità
1 Cfr. ibidem, DH 3013. 2 Ibidem, DH 3009. 3 Cfr. ibidem, DH
3033.4 Per una visione di insieme della tematica, R. Fisichella,
Credibilità, in “Dizionario di Teologia
Fondamentale”, a cura di R. Latourelle e R. Fisichella,
Cittadella, Assisi 1990, 212-230. Fra i rife-rimenti classici per
l’impostazione neoscolastica : A. Gardeil, Crédibilité, in
Dictionnaire de théologie catholique, vol. iii, 2001-2310 ;
Garrigou-Lagrange, De Revelatione, 515-556 ; S. Tromp, De
Revelatio-ne Christiana, Pontificia Università Gregoriana, Roma
1945, 61-106. Per una disamina storica delle problematiche
coinvolte, R. Aubert, Le problème de l’acte de foi. Données
traditionelles et résultats de controverses récents, Warny,
Louvaine 1950 e, più sinteticamente, Idem, Questioni attuali
attorno all’atto di fede, in Problemi e orientamenti di Teologia
Dommatica, Marzorati, Milano 1957, vol. II, 655-708. Sulla
problematicità dell’analysis fidei, come impostata dalla
neoscolastica, e sulle differenze rispetto al-l’originaria visione
medievale, G. Colombo, Grazia e libertà nell’atto di fede, in R.
Fisichella (a cura di), Noi crediamo. Per una teologia dell’atto di
fede, Dehoniane, Roma 1993, 39-57.
-
24 giuseppe tanzella-nitti
della dottrina cristiana con le aspirazioni più profonde del
cuore umano) e indi-viduali (esperienza di pace interiore e di
gioia causata dall’adesione personale-individuale alla fede). I
motivi oggettivo-esterni venivano a loro volta distinti in
estrinseci (miracoli evangelici e profezie) oppure intrinseci alla
dottrina cristiana in quanto tale (vita e testimonianza della
Chiesa, sublimità della dottrina cri-stiana se paragonata ad altre
dottrine filosofico-religiose). L’analisi si spostava
successivamente verso le rationes credentitatis, ovvero i motivi
per i quali bisogna-va credere, la cui considerazione avrebbe
dovuto essere percepita dal soggetto come un imperativo, qualcosa
non solo ragionevole ma anche esigibile. Con essi il soggetto si
sentiva interpellato a formulare una libera opzione e percepi-va la
responsabilità morale connessa alla sua scelta. Solo l’opzione
finale, quella che dal giudizio di credentità muoveva
definitivamente verso l’atto di fede, era interpretata come dovuta
al concorso della grazia divina e della libertà umana, mentre
libertà e volontà non venivano direttamente coinvolte negli stadi
prece-denti, a causa della scientificità e della razionalità con
cui il soggetto era chia-mato a prendere atto sia dei preamboli
della fede, sia dei motivi di credibilità e di credentità. Fonte
privilegiata della dottrina sui “preamboli della fede” era Tommaso
d’Aquino, meritevole di aver tematizzato in più luoghi il ruolo
della filosofia in teologia. Esplicito, in proposito, quanto
affermato nel suo Commen-to al De Trinitate di Boezio :
Così, dunque, nel campo della dottrina sacra [teologia],
possiamo servirci della filosofia in tre modi. Anzitutto per
dimostrare le premesse razionali della fede (praeambula fidei), che
si debbono necessariamente conoscere per poter credere. Preamboli
della fede sono ad esempio le verità riguardo a Dio che possono
essere provate con la ragione naturale, come che Dio esiste e che
Egli è unico ; e così ancora altre verità riguardanti Dio e le
creature che la fede presuppone. 1
2. La ricomprensione teologica della credibilità e la
prospettiva del Concilio Vaticano ii
Come è noto, l’insufficienza dell’impostazione neoscolastica fu
puntualmente segnalata dalla teologia successiva. Si mise in luce
che vi soggiaceva una certa visione impersonale e oggettiva
dell’idea di razionalità, anche quando applicata ad elementi
ordinati a realtà spirituali, e una scarsa attenzione alle
dinamiche psicologiche dell’uomo reale e della sua conoscenza
intellettuale. All’insistenza sui motivi oggettivi, allo scopo di
proteggersi dal soggettivismo, non corrispon-
1 Super librum Boethii De Trinitate, q. 2, a. 3, resp. Il
secondo e il terzo modo di impiego della filoso-fia, nel prosieguo
del testo, riguardano, rispettivamente, il ricorso all’analogia fra
verità di ragione e verità di fede per comprendere meglio queste
ultime, e l’aiuto prestato dalla ragione nel confutare le tesi
contrarie alla fede. Analoghe affermazioni sull’esistenza di verità
oggetto di dimostrazione razionale che sono prerequisite alle cose
di fede, in Summa theologiae, I, q. 2, a. 2., ad 1um ; ii-ii, q. 1,
a. 5, ad 3um ; De Veritate, q. 14, a. 9, ad 8um. Per una recente
trattazione del pensiero tomasiano sui praeam-bula, R. McInerny,
Praeambula fidei. Thomism and the God of the Philosophers, Catholic
University of America Press, Washington 2006.
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 25
deva il riconoscimento di una logica contestuale, né quello di
un respiro eccle-siale, restando i motivi di credibilità legati
quasi esclusivamente ad una fede che non andava al di là
dell’esercizio del soggetto. Da notare, infine, la mancanza di un
esplicito riferimento cristologico, che poteva essere rintracciato
indiret-tamente solo nel fatto che i miracoli evangelici avevano
Gesù per autore e che buona parte delle profezie erano orientate
verso il Redentore. Fra i maggiori responsabili di questo
superamento vanno ricordati Pierre Rousselot (1878-1915) e Jean
Mouroux (1901-1973). Il primo avvertì che i motivi di credibilità
dovevano lasciare l’ambito dell’Apologetica per essere interpretati
in chiave strettamente teologica ; così facendo, il giudizio di
credibilità non precedeva più l’atto di fe-de ma ambedue erano
considerati parte di un unico atto di indole teologica : il motivo
di credibilità verrebbe pertanto percepito “con gli occhi della
fede” e ser-virebbe a rassicurare il soggetto della piena umanità e
ragionevolezza dell’atto già compiuto. 1 Il secondo operò una
riconversione dell’atto di fede da termini logico–razionali a
termini personalisti, mettendo in luce come l’opzione della fede
fosse orientata verso Qualcuno e non verso un semplice contenuto
ogget-tivo, recuperando la ricchezza relazionale presente anche nei
motivi del credere e riaprendo così la strada verso una
ricategorizzazione cristologica della credi-bilità della fede.
2
Il Concilio Vaticano II fa proprie le migliori acquisizioni del
personalismo e del cristocentrismo – quest’ultimo aveva conosciuto
un buono sviluppo anche in aree prossime alla Teologia fondamentale
specie con Karl Adam e Romano Guardini – proponendo una dottrina
sulla credibilità della Rivelazione, e dun-que della fede
cristiana, centrata attorno a tre punti di riferimento fra loro
col-legati : Cristo, la Chiesa, la testimonianza cristiana. I
documenti maggiormente significativi in proposito sono, oltre
certamente alla Dei Verbum, anche Gaudium et spes e Ad gentes.
Secondo l’analisi presentata da René Latourelle, 3 in relazione
con la credibi-lità la persona di Gesù Cristo è ora presentata come
pienezza e compimento della Rivelazione, manifestando egli in sé
stesso l’intero disegno del Padre ; co-me fonte di intelligibilità
per comprendere qualsiasi altro segno (profezie, mira-coli,
santità) ; come chiave di discernimento che mostra come le
aspirazioni più profonde dell’uomo trovino compimento nella
dottrina evangelica. Attorno a Gesù Cristo si raccolgono pertanto
segni e motivi che la precedente Apologe-tica avrebbe chiamato sia
interni che esterni, invitando al tempo stesso l’inter-locutore a
rilevare non la singola o le singole profezie, ma la coerenza
interna del contenuto dell’intera Rivelazione, che punta a Cristo
come alla sua pienezza noetica ed ermeneutica.
1 Cfr. P. Rousselot, Gli occhi della fede (1910), Jaca Book,
Milano 1977.2 Cfr. J. Mouroux, Io credo in te. Struttura personale
della fede (1948), Morcelliana, Brescia 19664.3 Seguiamo qui da
vicino la sollecita analisi della nuova prospettiva conciliare da
lui fornita in
Cristo e la Chiesa, segni di salvezza e nel suo commento alla
Dei Verbum raccolto in Teologia della rive-lazione.
-
26 giuseppe tanzella-nitti
Il secondo grande segno, la Chiesa – che va a sua volta compresa
come segno di Cristo – corrobora la credibilità della fede in tre
modi sostanziali. In primo luogo con la sua predicazione e la sua
azione sacramentale, che manifestano come in essa permangano i
mezzi di salvezza voluti da Cristo stesso ; quindi, con i segni
della sua unità, santità e storicità, proposti dal Concilio anche
nella loro dimensione di paradosso, ovvero come tensione fra la
condizione terreno-umana dei cristiani e la sublimità dei frutti
che la Chiesa è in grado di produrre nonostante i limiti di tale
sua condizione ; e infine, con la testimonianza di vita, in modo
particolare quella del martirio, quest’ultimo inteso non come
evento le-gato al passato ma come segno che accompagna e
accompagnerà sempre la pre-dicazione del Vangelo. In particolare,
la Chiesa non è un segno qualsiasi, bensì un segno sacramentale di
Cristo, non solo lo indica ma lo rende anche presente, secondo la
dinamica salvifica tipica dei sacramenti.
In continuità con Cristo e con la Chiesa, la nozione di segno
viene accostata dal Concilio all’importante concetto di
“testimonianza”, che la teologia della Rivelazione aveva già potuto
mettere in luce come una delle categorie portanti di tutta la
storia della salvezza. 1 Quando si offre la testimonianza di una
fede viva e adulta, ovvero formata e matura, i figli della Chiesa
rendono presenti Cristo e l’intera Trinità, specie attraverso il
segno più alto, quello del martirio. Ma il Concilio sarà anche
particolarmente attento alle nozioni di “apertura” e di “dialogo”.
La rettitudine con cui il cristiano, attraverso il dialogo, rende
presente l’interesse di Cristo per tutto ciò che è umano, giunge
anch’essa a rappresen-tare, quale ulteriore specificazione nel
genere della testimonianza, una ragione che rende la fede
credibile.
3. Alcune precisazioni ermeneutiche ed il permanere di alcune
incertezze
Molto è stato detto ed è stato scritto sulla nuova impostazione
recata dal Va-ticano ii, se essa differisse dalle precedenti
soltanto nella forma oppure anche nella sostanza. Ed è stato a
lungo anche discusso se la visione neoscolastica fosse realmente
debitrice al Magistero precedente il Vaticano ii, o fosse invece
solo il risultato di una corrente teologica di maggioranza la cui
diffusione incontrò un terreno favorevole alla sua affermazione.
Non è nostro compito rispondere a questi interrogativi, ma
riteniamo utile fornire al lettore alcune brevi precisa-zioni. La
prima di esse è che il giudizio secondo il quale il Concilio
Vaticano II avrebbe introdotto una reale discontinuità nella
maniera di concepire la fede e la sua credibilità, è stato, in
passato, formulato in modo forse troppo severo. 2 A tale giudizio
potrebbe avervi inconsapevolmente contribuito anche la rapidità
1 Una trattazione teologico-fondamentale specialmente centrata
sulla categoria della testimo-nianza è quella di Pié-Ninot, La
Teologia Fondamentale.
1 Sulla continuità fra Concilio Vaticano I e Concilio Vaticano
ii, in merito alle tematiche teologi-co-fondamentali che qui ci
occupano, cfr. H. J. Pottmeyer, La costituzione Dei Filius, in R.
Fisichella (a cura di), La Teologia Fondamentale. Convergenze per
il Terzo Millennio, Piemme, Casale Monferrato 1997, 19-39 ; R.
Fisichella, Atto di fede : Dei Verbum ripete Dei Filius ?, in
ibidem, 105-124.
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 27
con cui autorevoli commenti del Vaticano II in materia
teologico-fondamentale si sono diffusi e affermati immediatamente
dopo la chiusura dei lavori concilia-ri, condizionando una esegesi
più accurata non tanto del Vaticano II, quanto del suo confronto
con il Magistero ad esso precedente.
A favore di una certa continuità negli insegnamenti magisteriali
si potrebbe ad esempio osservare che il primo degli argumenta
riportati dalla enciclica Qui pluribus possedeva già un esplicito
riferimento cristocentrico, quando si segna-lava che la fede è
corroborata « dalla nascita, dalla vita, dalla morte, dalla
re-surrezione, dalla sapienza, dai prodigi, dalle profezie del suo
divino autore e perfezionatore Gesù Cristo ». 1 È anche
significativo notare che la Dei Filius, al parlare della
credibilità, sceglie di impiegare proprio il termine “segno” in
luogo di “motivo” : in senso stretto, motivo del credere è solo
l’autorità di Dio, chiari-mento che il Vaticano I introduce in modo
netto nella sua definizione di fede, 2 perché della fede ne
rappresenta la causa, ovvero il motivo formale. Il Vaticano I vuole
lasciare ben chiaro che l’assenso della fede è un atto libero che
non può essere in alcun modo ricondotto ad una conclusione
necessaria di ordine razio-nale, perché esso si realizza
esclusivamente con il concorso della grazia di Dio. 3 L’espressione
“motivo di credibilità”, viene impiegata da questo documento
sol-tanto una sola volta e in riferimento alla Chiesa, peraltro
presentata anche come signum. 4
Occorre anche riconoscere, come seconda precisazione, che la
teologia post-conciliare, all’esporre l’evidente differenza fra la
nuova e la vecchia visione della credibilità, ha talvolta
accentuato la schematicità razionale e il riduttivismo
an-tropologico dell’impostazione neoscolastica. A discolpa di
quest’ultima andreb-be detto, ad esempio, che la nozione di
“credibilità” venne dalla critica posterio-re spesso inclusa nel
genere di “conoscenza razionale certa”, mentre con questo termine
si voleva indicare semplicemente la ragionevolezza di un’adesione,
giu-dicata maggiore di un’opinione ma senza dubbio inferiore
all’evidenza, e quindi mai cogente per il soggetto. In tutta
l’analysis fidei, inoltre, le rationes credibilita-tis non
svolgevano mai il ruolo di ragioni formali della fede, lasciando
sempre il necessario spazio alla libertà e, con essa, al dono di
grazia. Non mancarono neanche autori neoscolastici i quali,
stimolati dal dibattito instaurato dal sorgere del personalismo e
dell’esistenzialismo, considerarono l’importante contributo delle
disposizioni soggettive nella comprensione del valore oggettivo dei
motivi di credibilità.
Da questo excursus storico il lettore avrà forse tratto le
ragioni dell’esitazio-ne oggi avvertita al momento di porre la
Teologia fondamentale in più stret-
1 DH 2779.2 Cfr. Concilio Vaticano I, cost. dogm. Dei Filius,
cap. 3 : “De Fide”, DH 3008.3 Cfr. ibidem, DH 3008, 3010, 3035.4
Andrebbe, a nostro avviso, forse un po’ ridimensionata la
prospettiva di Latourelle secondo la
quale ci troveremmo di fronte ad un radicale cambio di
vocabolario : dall’idea di argomenti dimo-strativo-razionali, a
quella di segni personalisti e sacramentali : cfr. Latourelle,
Cristo e la Chiesa, 29.
-
28 giuseppe tanzella-nitti
to rapporto con quanto ancora chiamiamo “apologetica”, in modo
particolare quando con questo termine si desiderasse indicare un
corpus di riflessioni di ambito filosofico finalizzate a mostrare
il ruolo che i preamboli della fede o una razionalità condivisa
potrebbero giocare nell’annuncio della fede e nella sua
ac-coglienza da parte di un interlocutore.
Si tratta di incertezze – senza dubbio causate anche dalla
comprensibile diffi-coltà della tematica – che vengono a
riflettersi nella manualistica contempora-nea, ovvero in quel
genere di letteratura che ha come prima funzione la forma-zione
teologica di base dei futuri sacerdoti e di non poca parte del
popolo di Dio. Per quanto riguarda i praeambula fidei, sarebbe
facile constatare che, tranne rare eccezioni, gli odierni manuali
di Teologia fondamentale non vi dedicano qua-si alcuno spazio, 1
probabilmente anche a motivo della (più logica) scomparsa
dell’analysis fidei e della sua discussione teologico-razionale.
Alcuni commenti riguardanti il riferimento ai praeambula presente
nella Fides et ratio vengono pe-rò forniti da Salvador Pié-Ninot,
che ne offre anche una breve ermeneutica. 2 Si esprime invece a
favore di un loro recupero Giuseppe Lorizio, quasi in solitaria
controtendenza, allegandovi importanti precisazioni ermeneutiche,
insieme ad alcuni elementi di sviluppo per una loro possibile
operatività in un programma teologico-fondamentale. 3 Per questo
autore, « la possibilità di un’adeguata ela-borazione dei
praeambula fidei sembra non solo plausibile, ma necessaria, anche
perché la teologia possa svolgere un ruolo dialogico e apologetico
nei confronti delle culture e delle filosofie presenti nel proprio
areopago ». 4
Una certa esitazione viene percepita anche al momento di rendere
la rifles-sione teologica sulla credibilità maggiormente fruibile
ad un pubblico meno specializzato. 5 All’interno dell’appello a
Cristo e alla Chiesa segni di salvezza, i
1 Come tali, non vengono menzionati da Fisichella, La
Rivelazione ; Sequeri, Il Dio affidabile ; Fries, Teologia
Fondamentale. Richiamati tangenzialmente da Verweyen, La parola
definitiva (cfr. 23). Va comunque notato che Verweyen si occupa in
più luoghi del rapporto fra ragione e rivelazione e che Fries
sviluppa il tema della rivelazione naturale. Vengono appena
accennati da C. Izquierdo, Teología Fundamental, Eunsa, Pamplona
1998 (cfr. 331-332) e da F. Ocáriz, A. Blanco, Rivelazione, Fede e
Credibilità, Edusc, Roma 2001 (cfr. 226). Menzionati
incidentalmente in W. Kern et al., Corso di Teologia Fondamentale
(cfr. IV : 236, 547, 594), indicando che contribuirono all’idea
poco felice che la ragione dovesse fermarsi ai “preamboli” della
fede, senza contribuire alla sua elaborazione.
2 Pié-Ninot, La Teologia Fondamentale, 185-187.3 G. Lorizio,
Verso un modello di Teologia Fondamentale fondativo-contestuale in
prospettiva sacramen-
tale, in G. Lorizio (a cura di), Teologia Fondamentale, vol. I,
432-438. Più esplicitamente in Idem, Fede e ragione. Due ali verso
il vero, Paoline, Milano 2003, 108-118 ; secondo questo autore,
l’articolazione dei praeambula avverrebbe nella triplice direzione
(le tre vie) della interiorità, dell’alterità e della gratuità
(cfr. ibidem, 119-142), che da una parte una filosofia aperta alla
trascendenza e alla fede può previa-mente ed autonomamente
elaborare tramite il ricorso ad una fenomenologia metafisica,
mentre dall’altra una teologia (fondamentale) può esibire come
sviluppo speculativo dell’evento rivelativo e della sua valenza
filosofica. Si vedano anche le riflessioni, legate al nostro tema,
offerte in G. Lori-zio, Teologia della rivelazione ed elementi di
cristologia fondamentale, in G. Lorizio (a cura di), Teologia
Fondamentale, vol. ii, 12-28 e 54-71. 4 G. Lorizio, Verso un
modello, vol. i, 433.
5 Riteniamo sia tuttora valida l’osservazione di Fisichella : «
Sono trascorsi diversi anni da quando V. Boublick scriveva che
“manca un’autonoma e sistematica elaborazione del problema della
credibi-lità” [Orientamenti attuali della teologia fondamentale,
1974] ; eppure, fino ad oggi, si deve constatare che
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 29
manuali non ospitano facilmente una sistematica né di “motivi di
credibilità”, né di “segni della rivelazione”, rendendo così forse
più difficile l’impiego, alme-no per i non specialisti, di quella
“dimensione apologetica” della Fondamentale sulla cui opportunità,
almeno a livello teorico, esiste invece una sufficiente
con-vergenza. 1 La preoccupazione di procedere ad una presentazione
particolareg-giata di questi o di quei motivi di credibilità pare
in fondo venir meno, perché una volta confluiti nella logica
cristocentrica della Rivelazione, si ritiene che essi abbiano perso
un loro statuto autonomo che li comprendeva un tempo come passi
propedeutici verso la fede. Ciò ha condotto, a nostro avviso, ad
una non sempre felice distinzione fra motivi di credibilità e
preamboli della fede, con il rischio di aver assimilato parte dei
primi ai secondi, sancendone così la defini-tiva rimozione, a
motivo del loro statuto filosofico di fondo, dai programmi di
Teologia fondamentale.
Eppure, prescindere completamente da argomenti di ragione
naturale nel-l’esposizione della credibilità delle fede – sebbene
si riconosca, come già os-servato, che lo statuto dei motivi di
credibilità debba essere teologico e non filosofico – non sembra
del tutto praticabile. 2 Elementi di razionalità filosofica sono
infatti necessariamente presenti in approcci di carattere storico,
come nel-la odierna persistenza della via historica, nella
discussione della storicità/auten-ticità dei Vangeli o
nell’affermazione della continuità fra evento cristiano fon-dativo
e parola della Chiesa. Sono anche rintracciabili in approcci di
carattere antropologico, come nell’odierno tentativo di mostrare la
credibilità della fede mediante la predicazione di una convergenza
fra antropologia e cristologia, che impiega in fondo motivi che
l’Apologetica tradizionale avrebbe chiamato sog-gettivo-interni.
Infine, esiste oggi una notevole incertezza anche sullo spazio da
attribuire al ruolo del miracolo, vocabolo che nelle quattro grandi
costituzioni del Concilio Vaticano II compare soltanto due volte, 3
probabilmente anche a causa delle delicate questioni sia di
epistemologia scientifica, sia di esegesi bibli-ca, che esso
sottende, avendo però come effetto la quasi scomparsa dal
vocabo-lario teologico di uno degli elementi di forza della
comprensione classica della credibilità della Rivelazione. 4il tema
della credibilità non ha ancora trovato una sua elaborazione
sistematica né epistemologica. Le cause di questa carenza sono
multiple e di diversa natura ; una ricerca in tal senso ci
porterebbe troppo lontano », Fisichella, La Rivelazione, 291.
1 A favore di un più esplicito recupero del carattere
apologetico del lavoro teologico si esprime anche A. Staglianò, La
teologia che serve, sei, Torino 1996, 143-152.
2 A ben vedere, i motivi di credibilità e i preamboli della
fede, pur essendo fra loro certamente distinguibili, non sono del
tutto fra loro indipendenti : « A differenza dei praeambula fidei,
i motiva cre-dibilitatis non hanno carattere metafisico, bensì
storico-empirico ; ma la connessione tra i due ordini di premesse
della fede cristiana è stabilita dal fatto che determinati eventi
storici e determinate situa-zioni di fatto possono fare da “motivi
di credibilità” del teste solo se interpretati in un certo modo
alla luce dei principi metafisici, ossia in definitiva alla luce
dei praeambula fidei », A. Livi, Razionalità della fede nella
rivelazione, Leonardo da Vinci, Roma 2005, 107.
3 Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 5 ; Dei Verbum, 4.4
Sulla contemporanea proponibilità di una teologia del miracolo in
un’ottica interdisciplinare di
dialogo con le scienze naturali, rimandiamo al nostro saggio, G.
Tanzella-Nitti, Miracolo, in “Di-
-
30 giuseppe tanzella-nitti
4. Navigando fra Scilla e Cariddi
Al considerare la contemporanea teologia della credibilità e il
suo inevitabile legame con il rapporto fra fede e ragione,
all’interno del quale giacciono cer-tamente anche i “preamboli
della fede”, si ha come la sensazione di trovarsi di fronte ad un
lavoro avviato ma non ancora concluso, che lascia forse trasparire
alcune significative lacune. Ci permettiamo di interpretare ed
esprimere tale sensazione con le parole che Rino Fisichella
impiegava negli anni ’90 :
Tranne rari casi, comunque, la teologia di questi ultimi decenni
deve registrare un si-lenzio quasi totale intorno ad una
riflessione apologetica sull’atto di fede. Una simile di-menticanza
è spiegabile se si pensa alla crisi della teologia fondamentale
nell’immediato post-concilio e ad una forma di disaffezione che, a
partire dal Vaticano II, si estendeva per tutto ciò che sapeva di
“apologetico”, senza avere piena coscienza dei pericoli che una
simile opzione comportava. Forme di fideismo – mai definitivamente
debellate dal-l’animo credente – e sussulti di razionalismo –
costantemente presenti nelle ideologie, assillate dalla supremazia
della ragione a tal punto da non riconoscere più altre forme
cognitive nella persona – hanno finito per prendere sempre più
spazio nei diversi ambiti del vivere sociale, culturale ed
ecclesiale-teologico, sicure di non ritrovarsi di fronte ad una
apologetica ben preparata e in grado di corrispondere a pieno
titolo sui versanti contestati. 1
Non si tratta di un giudizio isolato. Giuseppe Lorizio,
riferendosi alla situazione odierna, ravvede una « certa
disinvoltura nell’auspicare e nell’attuare da parte dei teologi la
pura e semplice evacuazione della tematica dei praeambula fidei
nell’elaborazione dei motivi di credibilità della rivelazione e non
solo a causa della loro qualità precipuamente filosofica, bensì a
motivo dell’invocato caratte-re intrinseco che la razionalità della
fede esigerebbe ». 2
Può essere istruttivo, in tal senso, riconsiderare quanto Henri
De Lubac af-fermava in una sua lezione inaugurale pronunciata a
Lione nel 1929, intitolata Apologetique et théologie. 3 L’interesse
di questo testo precoce nasce dal fatto che De Lubac, proprio nel
dare avvio alla critica ad una apologetica che egli stesso
definisce in questo medesimo testo « puramente difensiva, troppo
opportunista o troppo esteriore » – critica destinata come abbiamo
visto ad avere importanti conseguenze nei decenni posteriori –
riafferma al tempo stesso lo stretto rap-porto che deve esistere
fra apologetica e teologia. La teologia, sostiene il teologo
gesuita, non deve mai perdere il suo afflato apologetico, e osserva
« che, da una
zionario Interdisciplinare di Scienza e Fede”, a cura di G.
Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città
Nuova, Roma 2002, 958-978.
1 R. Fisichella, Ecclesialità dell’atto di fede, in Noi
crediamo. Per una teologia dell’atto di fede, Deho-niane, Roma
1993, 60-61.
2 G. Lorizio, Quale metafisica per, dalla, nella teologia ?, in
Hermeneutica. Annuario di filosofia e teolo-gia, Morcelliana,
Brescia 2005, 191-230, qui 194.
3 H. De Lubac, Apologetica e teologia, in Paradosso e mistero
della Chiesa, Jaca Book, Milano 1979, 213-227. Pubblicata
originariamente in « Nouvelle Revue Theologique » 37 (1930)
361-378.
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 31
parte, una teologia si dissangua e si falsa se non conserva
costanti preoccupazio-ni apologetiche e che, dall’altra, non v’è
apologetica che, per essere pienamente efficace, non debba sfociare
nella teologia ». 1 Se da un lato permane l’esortazio-ne a non
abbandonare la dimensione apologetica della Teologia fondamentale,
dall’altro deve trattarsi di « un’apologetica che sfoci in teologia
», eppure non una teologia qualsiasi, bensì una teologia chiamata
ad « ascoltare incessantemente le generazioni che si succedono,
ascoltare le loro aspirazioni per rispondervi, comprendere i loro
pensieri per assimilarli ». 2
Che il teologo fondamentale sia comunque e sempre destinato a
navigare fra Scilla e Cariddi, nonostante il risultato qui
apparentemente acquisito e che vedrebbe legittimato il suo
adoperarsi per una rivalutazione della apologetica della fede, lo
mostra un altro testo, tratto dalla relazione tenuta da Joseph
Rat-zinger nel maggio del 1996 a Guadalajara (Messico) :
Ritengo che il razionalismo neoscolastico sia fallito nel suo
tentativo di ricostruire i Praeambula Fidei con una ragione del
tutto indipendente dalla fede, con una certezza puramente razionale
; tutti gli altri tentativi che procedono su questa medesima
strada, otterranno alla fine gli stessi risultati. Su questo punto
aveva ragione Karl Barth nel ri-fiutare la filosofia come
fondamento della fede, indipendentemente da quest’ultima : la
nostra fede si fonderebbe, allora, su mutevoli teorie filosofiche.
3
Il giudizio qui formulato è anch’esso sufficientemente chiaro :
nessuna messa a tema dei motivi di credibilità o dei preamboli
della fede può mai auto-proporsi come fondazione della fede, 54
anzi la ragione cui far appello non potrebbe mai essere una ragione
totalmente indipendente o separata. Ed è proprio individuare
correttamente quest’ultima caratteristica della ragione – come
cercheremo di mostrare nel prosieguo del nostro saggio – a fornire
un importante orienta-mento affinché la navigazione possa
continuare senza terminare in un amaro naufragio.
5. Alcuni punti fermi
Come venire incontro a questa esigenza e rinvigorire la
dimensione apologetica della Teologia fondamentale allo scopo di
favorirne la diaconia intellettuale nel-
1 De Lubac, Apologetica e teologia, 219.2 « Come sarebbe
colpevole e vano “adattare” il dogma, l’accomodarlo ai capricci
della moda in-
tellettuale, altrettanto è necessario non solamente studiare la
natura umana in generale per scoprirvi l’invito della grazia, ma
ancora ascoltare incessantemente le generazioni che si succedono,
ascoltare le loro aspirazioni per rispondervi, comprendere i loro
pensieri per assimilarli. A questo prezzo sola-mente, la teologia
rimane integra e viva », De Lubac, ibidem.
3 J. Ratzinger, La fede e la teologia ai giorni nostri,
Conferenza tenuta durante l’incontro tra la Congregazione per la
Dottrina della Fede e i presidenti delle Commissioni per la
Dottrina della Fede delle Conferenze Episcopali dell’America
latina, tr. it. in « Civiltà Cattolica » 147 (1996) 490.
4 Così anche lo esprime, con giudizio equilibrato, Lorizio : «
La dottrina classica dei praeambula fidei è ben lungi
dall’attribuire un ruolo fondativo della ragione rispetto alla
fede, piuttosto vede in essa una sorta di praeparatio evangelii,
conferendole una sorta di carattere di avvento rispetto all’even-to
che salva », Lorizio, Verso un modello, vol. i, 433.
-
32 giuseppe tanzella-nitti
la complessa temperie culturale odierna ? Da quanto appena
visto, risulta chiaro che ogni tentativo in tal senso – incluso
quello di porre nuovamente a tema se e come i “preamboli della
fede” abbiano ancora qualche funzione in un discorso teologico
sulla fede – può oggi essere compreso solo come sviluppo a partire
da alcuni “punti di non ritorno”, non come rimbalzo al passato. Va
infatti certa-mente conservata la riconduzione cristologica dei
motivi di credibilità, operata dal Vaticano ii, e la loro
ricomprensione nell’orizzonte personalista della fede ; così come
va riaffermato, in ogni confronto con il sapere filosofico, che il
fon-damento della fede non radica sulla ragione, ma sulla Parola di
Dio. Proviamo ad esplicitare, seppure in modo schematico, in cosa
consisterebbero tali punti fermi.
In primo luogo, va mantenuta la convinzione che le ragioni
ultime che giusti-ficano l’accoglienza della Rivelazione giacciono
entro la Rivelazione stessa e non fuori di essa. 1 La credibilità
della Rivelazione non va dimostrata in sede di razionalità
filosofica lungo un itinerario che si muova dalla ragione naturale
verso la fede, ma va messa in luce dirigendo l’attenzione
dell’interlocutore in primo luogo alla Rivelazione e, a partire da
essa, muovendo poi dalla Rivelazione verso l’uni-versalità della
ragione. Ciò equivale ad affermare, in sintonia con il carattere
personalista della Rivelazione, che i motivi ultimi della
credibilità vanno cercati nel-la credibilità del Soggetto che si
rivela, nella affidabilità della sua testimonianza e nella
coerenza/fascino del contenuto rivelato. Prima di verificare la
testimonianza che altri danno sulla parola di Dio, è la stessa
auto-testimonianza di Dio, e di Dio in Cristo, che si impone allo
studio del teologo. Se la Rivelazione è compresa come un rapporto
personale-dialogico e la fede come fede in qualcuno, allora la
credibilità della Rivelazione e la credibilità della fede sono, di
fatto, la credibilità di una persona, la Persona di Gesù Cristo,
testimone del Padre nel quale l’intera Rivelazione si esprime.
In secondo luogo, in quanto contenuti all’interno della
Rivelazione, i “motivi di credibilità” della fede – qualunque sia
la terminologia con la quale li si de-sideri indicare e la
sistematica con la quale li si intenda organizzare – sono da
considerarsi anch’essi donati insieme alla Rivelazione, e dunque da
annunciarsi congiuntamente ad essa, non come suoi preamboli.
Sebbene nel loro svolger-si essi debbano senza dubbio ricorrere ad
argomentazioni di ambito storico-empirico, antropologico,
psicologico, ecc., il loro appello resta dalla fede alla ragione,
ma una ragione riconosciuta depositaria di precise istanze di
carattere critico-scientifico. I motivi di credibilità soddisfano
la ragione di chi ha accolto la Rivelazione nella fede,
contribuendo a corroborare la fede stessa al crescere delle
conoscenze umane e della razionalità critica del soggetto. Per
coloro che non l’hanno ancora accolta, sapere che l’annuncio della
Rivelazione trae con sé specifici motivi per credere, accredita il
soggetto cristiano come un testimone
1 Con parole della Fides et ratio : « Il Dio che si fa
conoscere, nell’autorità della sua assoluta trascen-denza, porta
anche con sé la credibilità dei contenuti che rivela » (n. 13).
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 33
credibile, mostrandolo al suo interlocutore come soggetto
consapevole della profondità delle questioni che la fede coinvolge
e rispettoso delle istanze che la ragione critica reclama.
In terzo luogo, la credibilità della Rivelazione ammette una
logica propria, quella di una dinamica che si snoda storicamente
dalla promessa al compimento. Tale logica, che suggeriamo di
considerare come la logica fondamentale della credibilità della
Rivelazione, ha il suo apice nella credibilità del compimento di
una promes-sa/donazione di amore. Essa si mostra altamente
congruente sia con la storici-tà dell’essere umano, sia con la sua
apertura al riconoscimento supremo della credibilità nel segno del
dono di sé. Promessa e compimento caratterizzano lo stesso mistero
pasquale di Gesù Cristo, apice di tutta la Rivelazione, di cui
l’Eu-caristia – promessa di un sacrificio redentore, realmente
accettato e compiuto – rappresenta il paradigma sacramentale.
Infine, l’appello formulato da una teologia della credibilità
della Rivelazione deve essere rivolto ad una antropologia completa.
Deve tener conto non solo delle esigenze del senso comune, ma anche
di quelle della razionalità filosofica rifles-sa – incluse le
istanze della razionalità scientifica – , e di tutto quanto il
desti-natario riconosca esistenzialmente significativo, non escluso
nemmeno il ruolo che le passioni svolgono proprio in merito al
riconoscimento di tale significato. 1 Ciò equivale ad accettare di
farsi carico della situazione completa dell’interlocu-tore, tanto
delle ragioni della sua intelligenza come di quelle del suo cuore.
Una teologia della credibilità che privilegiasse specialmente le
ragioni del cuore o, alternativamente, ritenesse maggiormente
adatte come preparazione alla fede solo quelle dell’intelletto,
partirebbe a nostro avviso già su un binario sbagliato, quello di
un’antropologia riduttiva, con conseguenze che non tarderebbero a
farsi sentire.
Le problematiche storico-ermeneutiche prima evidenziate e i
punti fermi ap-pena riepilogati consentono ora di riprendere con
maggiore cognizione di causa la domanda postaci in apertura : la
dimensione apologetica della Teologia fon-damentale si esprime solo
nella ricerca di una soddisfacente “sistematica inter-na della
credibilità”, di interesse unicamente per il teologo fondamentale,
o è chiamata a generare anche un intellectus fidei che prepari e
sostenga l’annuncio della Parola ? Riteniamo che affrontare con
coerenza tale domanda conduca ine-vitabilmente a chiedersi quale
rapporto vi debba essere tra la Teologia fonda-mentale e i
“preamboli della fede”. A differenza della credibilità, che resta,
come
1 « Io sono persuaso che il rifiuto del cristianesimo deriva da
un difetto del cuore, non dell’intel-letto ; l’incredulità non
nasce mai da un mero errore di ragionamento, ma nasce o dalla
superbia o dalle passioni. È importante capire questo fin
dall’inizio del discorso, perché altrimenti sembrerebbe assurdo
quello che io ho sempre detto, ovvero che i motivi di credibilità
del cristianesimo sono oltre-modo convincenti e allo stesso tempo
sono incapaci di convincere coloro che non ne vogliono tener conto.
Alla radice dell’incredulità c’è sempre il rifiuto aprioristico dei
contenuti della rivelazione divi-na, e proprio per giustificare
questo rifiuto si cercano ragioni per respingere i motivi di
credibilità », J. H. Newman, Letter to Ch. R. Newman, 24.3.1825, in
I. Ker, T. T. Gornall (a cura di), Letters and Diaries of John
Henry Newman, vol. i, Clarendon Press, Oxford 1978, 219 ; la
traduzione è nostra.
-
34 giuseppe tanzella-nitti
abbiamo visto, nozione necessariamente collegata alla
Rivelazione, sono infatti questi preamboli a rappresentare un
terreno di riflessione che, al tempo stesso, giova alla
comprensione della Rivelazione e interessa un logos condivisibile,
a partire dal quale si possono dare le condizioni di una certa
preparazione alla fe-de. È dunque ai praeambula fidei che
rivolgeremo ora più direttamente la nostra attenzione,
premettendovi però un breve sguardo alla situazione socio-culturale
odierna e a quanto, a partire da essa, suggerirebbe di
riconsiderare un loro pos-sibile ruolo nel compito di annunciare il
Vangelo.
iv. Evangelizzazione e appello alla ragione nella temperie
culturale odierna
La crescente spinta del laicismo e della secolarizzazione fa
oggi avvertire con sempre maggiore urgenza che le ragioni della
fede cristiana devono essere pre-sentate in un contesto
intellettuale profondamente mutato. Se da un lato tale contesto
dichiara di voler far ricorso alla ragione, dall’altro è disposto a
farlo solo con un linguaggio e con categorie “che prescindano da
ogni confessione e credenza”. Di più, si ricerca (tuttavia senza
esito) il modello di una ragione neutra (e perciò sterile) ove le
grandi questioni dell’esistenza restino pregiudizial-mente
delegittimate, perché ritenute mero confronto fra opinioni
soggettive e fonte implicita di conflittualità. In sostanza,
bisogna riconoscere che da qualche decennio è stato ingaggiato un
radicale ed energico confronto fra due conce-zioni globali : l’una
che considera l’umano normato da un principio di creazione, l’altra
che considera l’umano norma a sé stesso.
1. Il dibattito sulla possibilità di un logos condiviso
Questo stato di cose fa sì che la discussione sui praeambula
fidei non riguardi più una semplice disquisizione di scuole e di
accademia, ma costituisca, a nostro avviso, uno snodo centrale dal
quale dipenderà in buona parte il peso della pro-posta cristiana
nel suo dibattito con il pensiero non credente, laicista in modo
particolare. 1 L’operazione della cultura prevalente di relegare in
un ambito di
1 Già 50 anni fa, R. Aubert offriva una descrizione del clima
culturale generale in materia di as-senso a nozioni ritenute una
volta fondative e ora non più condivise : « Nel medioevo tutti,
cattolici, eretici, musulmani e giudei, erano d’accordo su una
serie di presupposti : l’esistenza di un Dio per-sonale la cui
provvidenza governa il mondo ; obbligo per l’uomo di ricercare il
modo migliore di servire questo Dio ; certezza del fatto che Dio
s’è manifestato ad alcuni privilegiati, incaricandoli di comunicare
agli altri uomini un certo numero di verità utili per la vita
religiosa. Perciò il problema della fede si poneva a proposito di
questa o di quella affermazione dogmatica particolare, chieden-dosi
se facesse davvero parte del messaggio rivelato : Le opposizioni
tra i cattolici e i loro avversari non si manifestavano, come
avviene ai nostri giorni, su tutta una concezione del mondo. […]
Per i nostri contemporanei, invece, quando si parla della loro
fede, non si tratta più nella maggior parte dei casi di scegliere
fra giudaismo, islamismo o cristianesimo, e nemmeno di riconoscere
ove è la vera Chiesa ; in realtà di tratta per essi soprattutto di
rinunciare a una visione relativistica del mondo per accettare
l’Assoluto nella loro vita e inchinarsi a un Dio trascendente che è
una persona. Devono scegliere tra una concezione del mondo in cui
l’uomo appare come dipendente da un Essere tra-
-
la dimensione apologetica della teologia fondamentale 35
credenze confessionali alcune importanti tematiche –
originariamente apparte-nenti proprio a quei “preamboli” –
giudicandole in tal modo non più condivi-sibili da tutti, ha
generato infatti un drammatico iato fra cristianesimo e l’idea di
ragione oggi dominante. Osservatori qualificati si fanno interpreti
del disagio di molti fedeli al constatare di non possedere
strumenti razionali adeguati ad una difesa pubblica delle ragioni
della fede. Anche in ambienti di natura intel-lettuale, buona parte
dei credenti pare ricorrere sempre più spesso ad elementi di
carattere esclusivamente soggettivo, quando non semplicemente
emotivo, trovando così un’uscita obbligata verso la direzione del
fideismo. La centralità della persona di Gesù Cristo in ogni
annuncio della fede non è qui in discus-sione, poiché in Lui
soltanto la proposta cristiana acquista la sua piena luce, e l’uomo
vi trova rivelati la verità e il senso della propria esistenza : ad
essere in discussione è, invece, quale sia la strategia
intellettuale maggiormente adeguata a rendere tale proposta
pienamente intelligibile, e a farlo sulla base di un’antro-pologia
completa, che includa cioè anche la dimensione della razionalità
scien-tifico-filosofica.
Quali sono i temi per i quali la cultura laicista denuncia oggi
uno statuto confessionale, ovvero non li considera più parte di una
razionalità condivisa ? Proviamo ad evidenziarne alcuni fra i più
importanti : la convinzione circa l’esi-stenza di un fondamento
ontologico trascendente e necessario, capace di giusti-ficare
l’essere del mondo, la sua intelligibilità e la sua contingenza,
escludendo il quale la ragione umana cadrebbe in una radicale e
insolvibile autoreferenzialità, sia logica che ontologica ; la
trascendenza della persona umana sul resto del-la vita animale
presente sul nostro pianeta, perché sede di una fenomenologia non
riducibile ad un materialismo autopoietico ; la verità della
libertà umana, riflesso dell’autodominio e della consapevolezza di
sé, manifestazione della tra-scendenza della cultura sulla natura e
vera cifra dell’umano ; la piena legittimità delle domande ultime
sul senso della vita e della morte, sull’origine e sul fine di
tutto, sul ruolo dell’uomo nel cosmo ; l’esistenza di una legge
morale naturale riconoscibile sia in un giudizio di coscienza che
avverte di fare il bene e di evita-re il male, sia nella percezione
di un certo numero di obblighi morali (in buona sostanza
coincidenti con il Decalogo trasmesso dalla tradizione
ebraico-cristia-na). Possono considerarsi ulteriori specificazioni
di quest’ultimo punto, quello dell’esistenza di una legge morale
naturale : l’obbligo che ogni essere umano ha cercare la verità
nella libertà, specialmente in ciò che riguarda le risposte al-le
domande radicali dell’esistenza, e dunque in materia finalmente
religiosa ; il rispetto dovuto alla vita umana, specie nelle sue
fasi di inizio e di termine ; ma anche la natura dell’amore
coniugale in rapporto alla procreazione e ai suoi caratteri di
unità e indissolubilità quali condizioni necessarie per la
protezione della prole e per consentirne un’autentica maturazione
personale. In definitiva,
scendente personale, e una concezione del mondo in cui l’uomo
appare, almeno in pratica, come il centro di tutto », Aubert,
Questioni, 660-661.
-
36 giuseppe tanzella-nitti
l’esistenza di alcune verità non-negoziabili, nelle quali ogni
discorso razionale, ma anche ogni legislazione e lo stesso
ordinamento democratico, t