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E D I Z I O N I C A P I T O L O V A T I C A N O LA CRUX VATICANA O CROCE DI GIUSTINO II MUSEO STORICO ARTISTICO DEL TESORO DI SAN PIETRO
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LA CRUX VATICANA O CROCE DI GIUSTINO -The Crux Vaticana or Cross of Justin II

May 14, 2023

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Page 1: LA CRUX VATICANA O CROCE DI GIUSTINO -The Crux Vaticana or Cross of Justin II

EDIZIONI

CA

P I T O L O V A T I CA

NO

LA CRUX VATICANAO

CROCE DI GIUSTINO IIMUSEO STORICO ARTISTICO DEL TESORO DI SAN PIETRO

€ 20,00

7 8 8 8 6 3 3 9 0 0 5 6

ISBN 978-88-6339-005-6

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STUDI E DOCUMENTI SULLA STORIA DEL CAPITOLO VATICANO E DEL SUO CLERO

Collana diretta da Mons. Prof. Dario Rezza, canonico vaticano

ARCHIVUM SANCTI PETRI

2009

Bollettino d’archivio

4-5

LA CRUX VATICANA O CROCE DI GIUSTINO II

MUSEO STORICO ARTISTICO DEL TESORO DI SAN PIETRO

Edizioni Capitolo Vaticano

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GRUPPO FANTAUZZIitalo american ortopedic

Si ringrazia il Sig. Tonino Fantauzzi

per il prezioso sostegno alla realizzazione di questa opera

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L a Croce come simbolo di identità del cristiano ha avuto una

lunga e diffi cile gestazione. Benché nei Vangeli e nelle lettere

paoline sia ben presente il messaggio della croce, ne abbiamo invece

scarsi cenni nei primi scrittori ecclesiastici, i Padri apostolici, e

presso gli apologisti. Perché questo silenzio? Di certo la croce era di

scandalo per gli ebrei e follia per i pagani (1Cor1,23), per cui nelle

prime comunità cristiane si preferirono altri simboli per indicare la

propria appartenenza al Cristo: il pesce (in greco ictùs, acronimo di

Jesus Cristos theou uios soter), o l’immagine del buon pastore.

Dai Padri del IV secolo la croce venne celebrata descrivendola con

immagini tratte dalla tradizione biblica: immagini che anticipano

la rifl essione teologica sulla croce ma ne celano tuttavia la fi gura.

Sarà l’inventio crucis (325) a dare particolare visibilità alla croce, ma

come signum victoriae : la crux invicta, la croce gemmata. Fu soprat-

tutto usanza bizantina considerare la croce quale solium regale, se-

condo l’espressione di Giovanni Crisostomo: «Io lo vedo crocifi sso

e lo chiamo Re».

È a tale concetto di glorifi cazione che si ispirano le preziose stauro-

teche o croci-reliquario sparse in santuari e cattedrali, che custodi-

scono frammenti della croce di Gesù. La così detta Crux Vaticana,

custodita nel Museo storico artistico del Tesoro di San Pietro, ri-

veste particolare importanza tra le stauroteche sia per la ricchezza

degli ornamenti, sia per l’antichità, in quanto risalente al VI secolo,

sia per la dignità del donatore, Giustino II, e del destinatario, la

città di Roma.

Il recente restauro del prezioso manufatto, di cui qui viene data

notizia, ha rivelato, nonostante le manomissioni e i vari interventi

conservativi cui è stato sottoposto attraverso i secoli, la complessiva

autenticità della struttura nelle sue componenti e proporzioni. Più

diffi cile è invece stabilire i tempi e le modalità dell’uso rituale che

ne è stato fatto nei diversi secoli, sia come croce stazionale nelle

processioni durante la quaresima, sia come oggetto esposto alla ve-

nerazione dei fedeli il venerdì santo e il lunedì di Pasqua.

Simbolo della regalità di Cristo, sottolineata dal corredo di perle

e pietre preziose, riservate un tempo all’ornamento cerimoniale

dell’imperatore, la Croce gemmata vaticana esalta la passione e mor-

te di Gesù sulla croce quale preludio della gloria della risurrezione.

Dario Rezza

Città del Vaticano, 14 settembre 2009

Festa della Esaltazione della Croce

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La Crux Vaticana o Croce di Giustino IILa Crux Vaticana e la Roma ‘bizantina’di Valentino Pace

L a Crux Vaticana è altrettanto celebre, quanto

è stata fi no ad oggi enigmatica. Il suo auspi-

cato restauro ha fi nalmente permesso di ottene-

re una chiara defi nizione del suo stato origina-

rio e delle sue alterazioni successive, spazzando

via autorevoli e sofi sticate ipotesi e restituendoci

l’obiettiva realtà dell’‘oggetto’. È una realtà che,

ancora una volta, ci dimostra quanto le nostre

conoscenze, al seguito delle immense distruzioni

e perdite, siano lacunose e come ogni seria ope-

razione di restauro porti nuove conoscenze che

ci costringono a rimeditare sulle trame storiche

costituite dagli scarsi frammenti di evidenza do-

cumentaria in nostro possesso (1).

A Roma e per gli studiosi di Roma il nome

dell’imperatore Giustino II non evoca tanto la

Crux Vaticana, quanto la chiesa di Santa Maria

Antiqua, perché è lì che, durante gli scavi con-

dotti da Giacomo Boni all’inizio del sec. XX, fu

trovata una moneta, in seguito scomparsa, che ne

‘avrebbe’ recato l’effi gie(2). Alla presenza di quel-

la moneta viene infatti di consueto agganciata la

sacralizzazione dell’antico spazio imperiale, fi no

ad allora usato come una sorta di vestibolo della

residenza sul Palatino(3). Ma l’imperatore è pe-

raltro ricordato esplicitamente, ancor oggi, dalla

preziosa croce del Tesoro della basilica petrina,

da lui donata alla città di Roma. Che di questo

imperatore, il ‘II’ del suo nome, si tratti e non del

‘I’ è adesso stato ulteriormente chiarito da Pao-

lo Radiciotti nel saggio qui pubblicato, in linea

con l’originaria proposta avanzata fi n dal ’700 dal

card. Borgia(4).

Quando questa croce fu donata, fra il 565 e il 578,

Roma andava saldamente defi nendo la sua nuova

confi gurazione cristiana sulle spoglie della me-

tropoli imperiale(5). I principali templi della fede

cristiana avevano già trovato nell’urbe la loro po-

sizione ed erano stati riccamente dotati di corredi

e di rivestimenti parietali. Con il metro dell’espe-

rienza visuale di oggi è diffi cile ricostituirne con

precisione l’impatto, perché sia la sua cattedra-

le, dedicata al Salvatore, sia San Pietro che San

Paolo, sia pure le basiliche extramuranee di età

costantiniana non sono sopravvissute ai secoli

e ai ‘restauri’, talora distruttivi. L’abside musiva

di Santa Pudenziana, i resti del mosaico di con-

trofacciata di Santa Sabina, i mosaici di navata e

dell’arco trionfale di Santa Maria Maggiore ancor

oggi ci trasmettono eloquentemente la straordi-

naria grandezza di quel recente V secolo(6). Con

essi dovettero confrontarsi le ambizioni del patro-

cinio artistico del secolo seguente, quando la città

del pontefi ce cristiano fu prima sotto il governo

del re Teoderico e poi, dopo la guerra greco-go-

tica, tornò a essere saldamente sotto il controllo

imperiale(7).

La più esemplare testimonianza delle inerenze

artistiche della capitale dell’impero a Roma è of-

ferta dall’arredo liturgico della basilica di San Cle-

mente di cui tuttavia, per l’assenza di comparabili

e signifi cative precedenze nella città stessa, non

siamo in grado di cogliere le eventuali valenze di

novità, che si sarebbero dovute confrontare con

quanto era stato già messo in opera nelle altre

grandi basiliche. Di certo l’eleganza dei marmi e

la sottigliezza esecutiva dei trafori ‘a giorno’ sui

capitelli si allineano comunque a un linguaggio

comune alla nuova sensibilità estetica promossa

dalla capitale imperiale(8).

È soprattutto nelle chiese del Foro, dei Santi Co-

sma e Damiano e di Santa Maria Antiqua, che pe-

raltro la ‘questione bizantina’ è stata discussa. Le

due chiese sono accomunate dal prestigio di esse-

re stati i primi edifi ci cristiani a essere consacrati là

dove una volta era il centro dell’impero. La chiesa

dedicata ai santi medici istituzionalizzava un culto

a santi di diffusa venerazione nell’Oriente cristia-

no, dei quali forse erano anche custodite reliquie,

comunque importando da lontani territori la de-

vozione per attori della fede cristiana(9). Nel suo

apparato fi gurativo essa era tuttavia sostanzialmen-

te connotata da caratteri – di organizzazione spa-

ziale e plastica monumentalità – di forte inerenza

alla tradizione antica e tardoantica, in sostanza

estranei al linguaggio di irradiazione costantino-

politana con cui pure è stata confrontata (per es.

con San Vitale)(10).

Diversamente avviene a Santa Maria Antiqua,

dove da un lato la dedicazione alla Madre del

Signore non costituisce per Roma una novità,

dall’altro nella qualità delle sue frammentarie

espressioni fi gurative iniziali – ovvero le due fasi

del palinsesto con Maria Regina (I fase) e l’An-

nunciazione (II fase) – sono stati discussi con

diversa valutazione i gradi di ‘bizantinità’(11). La

regalità che contraddistingue Maria, segnalata

dalla corona ed esaltata dal Suo abbigliamento,

è in primo luogo un segnale di percezione della

santità che diffi cilmente può accreditarsi all’una

o all’altra capitale, senza correre il rischio di in-

staurare un inverosimile clima di concorrenza fra

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1. Roma, Santa Maria Antiqua. Parete ‘palinsesto’ con affreschi frammentari: Maria Regina con Cristo Bambino e angelo offerente (VI sec.); Annunciazione (VI sec.); Volto di Padre della chiesa (VIII sec.).

le due comunità cristiane. Se però è vero che nei

testi di nostra conoscenza nulla ci testimonia di

una particolare valenza devozionale verso Maria

nella città sul Tevere, a differenza di quanto av-

veniva sul Bosforo, è comunque altrettanto vero

che a Roma le testimonianze fi gurative, pur esse

testimonianze di ‘storia’, depongono a favore di

un forte clima devozionale verso la Madre del Si-

gnore(12). Qui Maria è rappresentata come ‘regi-

na’ (con il Figlio in grembo, a ricevere l’omaggio

dell’offerta delle corone d’oro), secondo canoni

d’immagine che diverranno parte integrante del-

la devozione e della cultura fi gurativa romana dei

secoli a venire(13). Rappresentata in precedenza

già nella basilica mariana per eccellenza, ovvero

sull’arco absidale (poi ‘trionfale’) di Santa Maria

Maggiore, tuttavia l’iconizzazione della Sua im-

magine, che a Santa Maria Antiqua La trasforma

in una impassibile creatura regale, segna una ce-

sura di rilievo rispetto all’affl ato narrativo della

basilica sull’Esquilino(14). I labili indizi di qualità

esecutiva (di ‘stile’) testimoniano peraltro un

radicamento romano del pittore che, almeno a

livello esecutivo, ne certifi ca l’appartenenza alla

cultura fi gurativa romana.

Negli anni di regno dell’imperatore Giustino pro-

prio questa ‘icona murale’ di devozione mariana

venne cancellata con la sovrapposizione dell’An-

nunciazione, ma nello stesso tempo riproposta ed

enfatizzata, assai verosimilmente, sull’abside. Nes-

sun indizio ci permette d’individuarne con preci-

sione la committenza, invece sicuramente accredi-

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La Crux Vaticana o Croce di Giustino II

Nuovi dati e osservazioni tecniche emerse dalle operazioni di restaurodi Sante Guido

La Crux Vaticana o Croce di Giustino II

Un’iscrizione latina incisa a Costantinopolidi Paolo Radiciotti

SOMMARIO

La Crux Vaticana, prestigiosa testimonianza dell’orefi ceria bizantina custodita nel Museo del Tesoro della

Basilica di S. Pietro, rappresenta uno dei rarissimi esempi di committenza imperiale ancora conservato.

Grazie alla fase preliminare di studio e alle successive operazioni del recente restauro, l’acceso dibattito

sull’originaria consistenza e sull’autenticità della croce trova oggi risposte convincenti e nuove certezze

su manomissioni e sostituzioni. Inoltre, sulla base delle testimonianze documentarie e iconografi che e a

seguito della valutazione delle materie costitutive della croce e del suo apparato decorativo, è stato possi-

bile ricollocare la scomparsa corona di perle attorno alla reliquia e inserire nuovamente singole perle sul

fronte con un intervento di parziale ripristino che consente, nel rispetto dell’equilibrio tra facies originaria

e manipolazioni storicizzate, la piena leggibilità dell’armoniosa e signifi cante sequenza di gemme fatta di

precise alternanze cromatiche.

La Crux vaticana è altrettanto celebre, quanto è stata fi no ad oggi enigmatica. Il suo auspicato restauro

ha fi nalmente permesso di ottenere una chiara defi nizione del suo stato originario e delle sue alterazioni

successive. Opera di sicura committenza imperiale, per l’ostentazione della scrittura di dedica e delle im-

magini di Giustino e della consorte, ne sono di conseguenza sicura datazione (565-578) e localizzazione

(Costantinopoli), che ne fanno un preziosissimo testimone dell’orefi ceria costantinopolitana del VI seco-

lo, ancor più importante per la controversia critica sull’origini di altre opere discusse fra la Capitale e la

Siria. Se possono restarne enigmatiche le scelte di iconografi a (dalla duplice presenza dell’immagine di

Cristo all’abbigliamento della coppia imperiale, e altro) e le diffi coltà di confronti, tuttavia non per questo

se ne può ormai più legittimare la totale genuinità solo per un più facile ossequio a visioni storiografi che

‘convenzionali’. La Croce venne inviata dalla coppia imperiale alla città di Roma, urbs christiana le cui più

recenti espressioni di committenza religiosa la affi ancavano degnamente alla nuova capitale dell’impero.

La Crux Vaticana, resta ancora oggi esemplare testimonianza di fede di un imperatore, Giustino II, che

volle inviare alla città dei martiri in ricordo di se stesso e di sua moglie, la preziosa reliquia della passione

di Nostro Signore.

L’iscrizione posta sulla Crux Vaticana qualifi ca l’oggetto come donazione alla città di Roma da parte

dell’imperatore Giustino II e di sua moglie Sofi a, opportunamente menzionata come socia. L’uso della

lingua latina, ben attestata a Costantinopoli alla fi ne della tarda antichità, e della scrittura onciale ‘di tipo b’,

adoperata nelle legende monetali bizantine, prova la sostanziale autenticità della croce, che, prima di

entrare a far parte del Tesoro di San Pietro, fu forse conservata, almeno inizialmente, nella chiesa di Santa

Maria Antiqua, cappella palatina di Roma al tempo del ducato bizantino.

La Crux Vaticana o Croce di Giustino II

La Crux Vaticana e la Roma ‘bizantina’di Valentino Pace

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SUMMARY

The Crux Vaticana, a prestigious testimony to the skills of the Byzantine goldsmiths kept in the Treasury Museum of Saint Peter’s Basilica, represents a rare example of imperial patronage still in existence. Thanks to the preliminary phase of stud-ies and to the subsequent works of recent restoration, the lively debate over its original consistency and the authenticity of the cross is today met by convincing responses and new certainties about its modifi cation and substitution. Furthermore, on the basis of prime documents and images and following valuations of the materials that constitute the cross and its decorative elements, it has been possible to reattach the lost crown of pearls around the reliquary and add once again single pearls on its front, in an act of partial restoration. Whilst respecting the balance between original appearance and historical manipulation, this act helps us to better perceive the harmonious composition of the signifi cant sequence of gemstones which are placed in a precisely alternating chromatic sequence.

The Crux Vaticana, the reliquary-cross of the passion of Our Lord, is as much a celebrated object as it is an enigmatic one. Its long-awaited restoration has fi nally allowed us to obtain a clear idea of its original state and subsequent alterations. Evidently a work of imperial patronage - from its ostentatious text which records the pious gift of the emperor Justin and his consort, as well as their images (signifi cantly in the gesture of prayer) - we can consequently date the object (565-578) and defi ne its place (Constantinople). It is a key work of reference among the silver objects produced in Byzantium in the 6th c., especially in the context of their often controversial attribution to Costantinople or Syria. Even if some of its iconographic choices (e.g. the duplication of the image of Christ, or the imperial garb) and stylistic comparisons with this work may still cause controversy, its genuine nature can no longer be denied.The Cross was sent by the imperial couple to Rome, the city of the martyrs, whose most recent works of religious patronage had aligned it appropriately with the empire’s new capital. These monuments and the Crux Vaticana still testify powerfully today both to the links between Rome and Costantinople and to the faith of this pious emperor and of his wife.

The inscription on the Crux Vatican qualifi es the object as a donation to the city of Rome from the emperor Justin II and his wife Sophia, rightly mentioned as partner. The use of the Latin language, known in Constantinople well into the period of late antiquity, and the uncial style of writing “of type b”, adopted for the legendary Byzantine coin, prove the substantial authenticity of the cross, which, before becoming part of the Treasury of Saint Peters, was perhaps kept at least initially in the church of Santa Maria Antiqua, a palatine chapel in Rome dating to the time of the Byzantine duchy.

The Crux Vaticana or Cross of Justin II

New data and technical observations emerging from restoration operationsby Sante Guido

The Crux Vaticana or Cross of Justin II

A Latin inscription carved in Constantinopleby Paolo Radiciotti

The Crux Vaticana or Cross of Justin II

The Crux Vaticana and ‘Byzantine’ Rome by Valentino Pace

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©2009 - Edizioni Capitolo Vaticano

La Crux Vaticana o Croce di Giustino IIMuseo Storico Artistico del Tesoro di San Pietro

Direttore di collana:Mons. Prof. Dario Rezza

Responsabile editoriale:Mons. Giuseppe Bordin

Testi di:Valentino Pace, La Crux Vaticana e la Roma ‘bizantina’Sante Guido, Nuovi dati e osservazioni tecniche emerse dalle operazioni di restauroPaolo Radiciotti, Un’iscrizione latina incisa a Costantinopoli

Traduzione in lingua inglese:Isobel Lee

Realizzazione editoriale:ATS Italia Editrice- Brenda Maroni (impaginazione e grafi ca)- Leandro Ricci (scansioni e correzioni cromatiche)- Flavio Zancla (coordinamento tecnico)

Coordinamento fotografi co:Angela Giommi (ATS Italia Editrice)

Referenze fotografi che:Capitolo Vaticano, archivio (Mallio Falcioni, ATS Italia Editrice), p. 14Museo Storico Artistico Tesoro S. Pietro (Mallio Falcioni, ATS Italia Editrice), pp. 12, 13, 15-18, 21, 24-27, 30-35Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, p. 5

Documentazione grafi ca:Silvia Orsi

ISBN 978-88-6339-005-6Stampa:Papergraf - Padova

Si ringrazia in modo particolare per la cortese collaborazione nella realizzazione dell’opera il dott. Mirko Stocchi

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