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LA CAMERA APOSTOLICA FULCRO DELL’AMMINISTRAZIONE DELLO STATO DELLA CHIESA TRA QUATTRO E CINQUECENTO 1
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La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Jan 11, 2023

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Marco Canciani
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Page 1: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

LA CAMERA APOSTOLICA FULCRO

DELL’AMMINISTRAZIONE DELLO STATO DELLA CHIESA TRA

QUATTRO E CINQUECENTO

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LA CURIA ROMANA

L’insieme degli organi e degli uffici nati per coadiuvare e

coordinare l’attività del Sommo Pontefice è chiamata Curia Romana.

Il termine “Curia,” secondo gli studi più recenti, deriva

dall’arcaico Coviria o Covehria (assemblea). Nel mondo romano con tale

termine si indicava il luogo in cui i cittadini si ritrovavano per

celebrare riti sacri, o il posto in cui si prendevano decisioni.

Successivamente iniziò a chiamarsi Curia il Senato Romano (Curia

Hostilia).

Durante i secoli V, VI, e VII la medesima parola era usata per

chiamare il foro giudiziario, i raduni, i convegni, l’aula del

principe ecclesiastico, del patriarca, del metropolita e del

vescovo. Solo a partire dal XI secolo fu adottato per intendere la

Corte papale, mentre nel XII secolo “Curia Romana” divenne il

sinonimo di Chiesa di Roma.

Le sue origini risalgono alla prima età della Santa Sede,

quando un’assise di preti e diaconi (Presbyterium) si riuniva intorno

al vescovo di Roma. Oltre a questo operava il Sinodo o Concilio

Romano, che assumeva decisioni riguardanti la fede, promuoveva

condanne o infliggeva pene canoniche.

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Nel IV secolo si ampliò il primo ufficio, da cui presero

origine alcuni tra i più importanti ministeri della Curia moderna:

la Cancelleria, i cui membri erano i notarii o scrinarii ed erano

coordinati da un primicerius notariorum. Intorno a questo primo nucleo

di cariche, nacquero l’arcarius e il sacellarius, che si occupavano

della cassa e della tesoreria, e il nomenculator, che doveva

analizzare le suppliche indirizzate al papa. Vi erano poi i

defensores, che curavano sia settori giuridico-amministrativi che

economico-sociali, coordinati da un primus defensorum e il vestiarius, a

cui erano affidati gli arredi sacri del pontefice.

Coloro che avevano mansioni concernenti l’amministrazione dei

beni e dei diritti temporali della Chiesa Romana, confluirono

nella Camera Thesauraria, la quale successivamente prese il nome di

Camera Apostolica. Quest’ultima aumentò nel corso dei secoli la

sua importanza per la gran quantità di beni gestiti dalla Chiesa e

divenne nel secolo XV l’organismo assolutamente più importante

della Curia;1 mentre le cause giudiziarie erano affidate ai capellani

papae.

Nel XII e nel XIII secolo la Curia aumentò il numero dei suoi

funzionari, tanto che fu necessaria la stesura dei primi

regolamenti per poter stabilire le funzioni, i diritti e i doveri

degli impiegati che ne facevan parte.�

Nel XIV secolo, con il`trasferimento della Sede papale ad

Avignone (1378-1417), sorsero e si svil}pparono compiutamente la

Segnatura, la Sacra Romana Rota, la Penitenzieria, la Cancelleria,

la Segreteria, la Dataria, che ebbe attribuzioni sue proprie, e la

Camera Apostolica.

1 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici , Libreria Editrice Vaticana,1998, p. 25.

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Ilcuni`pontefici!che tentarono la via$delle riforme

furono(Sisto IV(1471-1484), Alessandro VI(1492-1503), Paolo

IV(1555-q559) e Pio V(1566-1572); tuttavia nessuno di loro rkuscì

a rycavarne alcun risultato pratico. Sisto IV coo la pubblicazione

della bolla Quoniam regnantibus cura del 1480 tentò l’attuazione di

una riforma,`ma il documento non venne mai pubblicato; anche

Alessandro VI pose la Curia al primo posto all’interno di un vasto

proge|to di rinnovamento;`Paolo`III ebbe un parziale successo con

lc Penitenzieria, la Camera Apostolica e la Cancelleria, la quale

ebbe dei nuovi statuti. Dwrante il pontificato di Paolo III!(1534-

154=) sorse, poi, la prima Congregazione permanente, quella dglla

Santa Romana e Unmversale Inquisizione, detta anche del Sant’Offizio, nata

per arginare e combattere il protestantesimo. Pio V nel 1571 fissò

quella dell’Indice, che doveva verificare il contenuto dei testi e

stilare una lista di quelli che dovevano essere condannati, e

quella dei Vescovi. Allo stesso tempo istituì alcune Congregazioni

temporanee.

Contemporaneamente si svilupparono dei tentativi di riforma

della Curia, dovuti principalmente a Niccolò da Cusa e a Domenico

de Domenichi.

Paolo IV affidò i propri progetti sulla macchina

amministrativa statale ad una Congregazione, composta da venti

cardinali, sette prelati di Curia, dodici referendari della

Segnatura di Grazia, sei Uditori di Rota, il Generale dei

domenicani e quello dei francescani osservanti e dei conventuali,

nove impiegati di Curia e cinque teologi. Tra costoro vi erano

Michele Ghislieri, il futuro Pio V, commissario dell’Inquisizione

e il gesuita spagnolo Giacomo Lainez, il successore di S. Ignazio

di Loyola a capo della Compagnia di Gesù. L’ assise nel corso dei

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suoi lavori vide aumentare il numero dei suoi componenti di 144

elementi. I risultati di questa Congregazione portarono delle

modifiche soltanto all’assetto della Dataria.

Pio V continuò la linea intrapresa dai suoi predecessori, ma

la maggior parte degli sforzi furono vanificati dalla pratica

della venalità delle cariche.

Gregorio XIII fondò alcune speciali Congregazioni non

permanenti, tra le quali ricordiamo quelle “ per la questione

dell’arcivescovado di Toledo, per la lega antiturca, per il

disbrigo degli affari tedeschi, per la riforma in genere, per la

riforma del diritto canonico, per il Giubileo, per le finanze, per

le strade e per la vigilanza di Roma e acque e infine per gli

interessi dello Stato pontificio.”2

Sisto V ne fu il vero riformatore; egli con la costituzione

Immensa Aeterni Dei il 22 gennaio 1588 formò quindici Congregazioni,

alcune delle quali già esistenti, ma completamente rivedute in una

nuova ottica che doveva assicurare singulisque certa negotia e attribuire

unicuique earum suas facultates et auctoritatem.3 Le Congregazioni si potevano

dividere tra quelle che riguardavano argomenti di tipo spirituale

e quelle riguardanti materie amministrative. Tra le prime vi erano

le Congregazioni dell’Inquisizione, del Concilio, dei Riti, mentre

tra le seconde si ricordano la Congregazione navale, quella

dell’Annona, quella delle Strade, Ponti ed Acque.

Le modifiche apportate da papa Peretti diedero alla Chiesa

maggiore uniformità, segretezza, economicità ed efficienza e

alcune delle strutture da lui create sono presenti ancora oggi

nella Curia moderna.

2 Cfr. PASTOR, Storia dei papi, IX, Roma, 1925, p .45.3 Cfr. ibidem, p. 33.

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STORIOGRAFIASui tribunali apostolici

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Irene Polverini Fosi si è trovata ad analizzare i tribunali

presenti a Roma, traendone, attraverso le carte da essi prodotti,

un quadro della situazione demografica e storica della Roma del

Cinquecento. Con il suo lavoro ha potuto, così, operare su una

un’ampia documentazione, che le ha permesso di affermare che il

panorama dell’apparato giudiziario dell’epoca era piuttosto

frammentato, a causa delle conflittualità tra popolazione, governo

centrale e territori. Non è riuscita, però, a capire le

motivazioni che spingessero un suddito del papa a scegliere un

tribunale piuttosto che un altro, poiché ha trovato difficoltà a

raccogliere materiale utile a comprendere quali erano le procedure

con le quali si giudicava a Roma. Si è infine soffermata ad

approfondire i seguenti tribunali: Curia di Borgo, Curia Savelli,

Tribunale del Vicario, Tribunale del Governatore e Auditor

Camerae.4

Niccolò Del Re, oltre a fare uno studio sull’intera Curia

Romana, ha dedicato un volume specificatamente a quella

capitolina. In particolare, rispetto ad altri, si è dedicato ad

alcune carceri collegate ai tribunali cittadini e alle condizioni

in cui versava chi si trovava ad esservi rinchiuso. Ad esempio

dice che le segrete delle carceri della Curia Savelli, così come

quelle di Tor di Nona, in questo periodo, avevano ciascuna un nome

proprio, quale: Abisso, la Bassa, la Cancellata, la Caserma, la

Flaminia, il Paradiso e il Passatempo. Dai decreti dei carcerati e

dai loro atti ricava: che si trattava di luoghi malsani, che a

differenza di quelle di Tor di Nona, quelle della Curia Savelli

non avevano locali che distinguessero le donne povere da quelle

ricche, che non vi erano luoghi specifici dove incarcerare i4Cfr. I POLVERINI FOSI, Fonti giudiziarie e tribunali nella Roma del Cinquecento, cit. , pp. 592-596.

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giovani e che i religiosi erano tenuti insieme ai laici in uno

stesso posto, chiamato “la sala,” mentre gli ebrei dovevano stare

in un locale a loro specificatamente dedicato, detto “alla larga”.

Per far comprendere quale era lo stato d’animo dei reclusi

pubblica, infine, una loro poesia:

“A voi a cui non è l’alma ribella

d’ogni pietà, udite il gran lamento

delle prigioni di corte Savella

credo i dannati ne l’eterno stento

che stanno in braccio, o in bocca a Satanasso

non paton quanto questi aspro tormento.

Massimamente quei che stan da basso

Et non han soldi per farsi le spese

Ch’è meglio assai esser di vita casso.

Chi vi va per un’hora vi stan un mese,

et vi si muoion tutti della fame,

né si rimedia, et pur si sa palese.

Quivi non giova ch’altri pietà chiave,

che quivi è la pietà morta, e sepolta

nel fango, nello sterco et nel letame.”5

Per quanto riguarda il tribunale di Borgo, Del Re descrive la

nascita e lo sviluppo del territorio di competenza dell’organo

giudiziario in questione dalla sua fondazione, durante il

pontificato di Leone IV (846-852), e prosegue il suo lavoro,

citando tutti i Governatori di Borgo; da Ascanio della Cornia,

fidato collaboratore di Giulio III a Gaspare Palazzi Altieri

(1670-1676).6 Non manca, poi, di nominare il tribunale del Senatore5 Cod. Vat. Lat. 7182 (ff 475-477) della Biblioteca Apostolica Vaticana. Lo stesso autore di questa ha scritto altre quattro poesie, pubblicate da V. PAGLIA, La città dei carcerati 6 Cfr. N. DEL RE, La Curia Capitolina, cit. , pp. 156-147.

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Romano e quello del Governatore. Si sofferma, infine, sulla

conflittualità che nei secoli ha caratterizzato il rapporto tra

questi due organi giudiziari: l’uno rappresentante il potere

romano, l’altro quello centrale dei pontefici.

Per quanto riguarda l’organo giudiziario del Senatore, Del Re

parla delle sue carceri, dicendo che esse erano le più antiche e

che avevano al loro interno principalmente debitori insolventi, ma

capitava che vi si fermassero anche detenuti in attesa della pena

capitale. Le esecuzioni si tenevano sulla pianura ai piedi del

Monte Tarpeo, detta “Plenum Capitolii” oppure, per i nobili, sullo

stesso Campidoglio.

È interessante notare come Niccolò del Re abbia voluto

interessarsi tanto alla situazione delle carceri di Roma in un

volume dedicato al sistema giudiziario. Il suo intento era in

questo modo certamente quello di far cogliere implicitamente al

lettore come si svolgeva la vita nella Roma moderna e come

vivevano i cittadini attraverso i loro tribunali, mediante le loro

carceri, riuscendo ad inserire l’elemento umano all’interno delle

descrizioni delle strutture curiali.

Camerano, nel suo articolo apparso sulla rivista Roma moderna e

contemporanea, confrontando il tribunale del Senatore con quello del

Governatore, si trova a presentare uno Stato della Chiesa che, tra

il XVI e il XVII secolo, appare contrastato tra il desiderio di

accentramento dei papi e la necessità di preservare alcune cariche

comunali, utili sia per l’amministrazione delle città sottoposte

alla giurisdizione del pontefice, sia per preservare i rapporti

tra il potere centrale e le comunità, sempre desiderose di nuovi

margini di autonomia. Nella sua analisi, inoltre, non manca di

evidenziare l’esistenza di sovrapposizioni di ruoli tra gli

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incarichi giudiziari dello Stato, che rendevano complicata la

proclamazione di una sentenza, dal momento che, a causa dei

numerosi tribunali esistenti, vi era sempre la possibilità di

presentare una stessa causa a più giudici e in più tribunali. A

questo proposito Camerano, per rafforzare la propria opinione

sulle strutture pontificie cita Tommasini, il quale diceva che le

istituzioni che a Roma esercitavano la giustizia, quando si

confrontavano, non aspiravano a svolgere ognuna la propria azione,

ma spesso si trovavano ad occuparsi della stessa causa, ciascuna

partendo dalla propria apparente o presunta competenza,

“incontrandosi a metà strada.”7 Tuttavia a differenza degli storici

dell’Ottocento, che criticavano lo Stato della Chiesa, ritenendo

che una simile situazione fosse sorta per la cattiva struttura

burocratica creata dai pontefici, Camerano ritiene colpevoli di

ciò gli stessi funzionari e non le strutture, le quali a suo

avviso invece costituivano un buon esempio per tutte le altre

formazioni politiche nascenti in quei secoli e un’ottima base

solida su cui edificare una burocrazia, che si sarebbe

ulteriormente sviluppata e accresciuta nei secoli a venire.

Un’analisi di questo tipo viene supportata dallo storico, mediante

lo studio di una grande mole di documentazione proveniente dai

palazzi di giustizia di quel tempo, attestante la frenetica

funzionalità delle strutture giudicanti dello Stato retto dai

papi: infatti, tanto materiale non poteva essere stato creato da

uffici che non erano in grado di svolgere le loro funzioni.8

Del Re, nel suo volume sulla Curia Romana, mentre ripercorre la

storia di tutti i suoi organi, descrivendo la difficoltà dello

7 Cfr. TOMMASINI, Nuovi documenti illustrativi del diario di Stefano Infessura, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, XII, 1889, p. 9.8 Cfr. A. CAMERANO, Senatore e Governatore, cit. , pp.41-43.

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Stato della Chiesa di destreggiarsi tra decentramento dei poteri

verso le autonomie locali e desiderio dei papi di concentrare

tutte le forze nelle loro mani, per quanto riguarda il tribunale

della Segnatura, ci illustra tutta l’incertezza degli storici

sull’esatto periodo in cui quest’ultimo si divise tra la Segnatura

di Grazia e quella di Giustizia. Infatti cita sia l’ipotesi che

questa divisione fosse sorta durante il pontificato di Innocenzo

VIII, sia quella che sosteneva che tale separazione fosse avvenuta

quando sul soglio pontificio sedeva Alessandro VI. Concordando,

comunque con tutti gli altri che già sotto il pontificato di

Giulio II entrambi i tribunali erano completamente formati.9

Per quanto riguarda la Segnatura, Della Rocca una somiglianza

nelle cariche tra i referendari dei primi secoli della storia

dello Stato della Chiesa e quelli che operavano nell’ultima fase

dell’Impero Romano, i quali erano impegnati a riferire

all’imperatore le suppliche che gli rivolgevano i sudditi. Si

trattava di figure di funzionari che secondo lo storico, in epoche

successive furono considerati preziosi all’interno delle curie

episcopali e che, alla fine si inserirono in quella Romana,

attraverso la nascita degli iudices palatini del IV secolo d. C. Anche

Ortì fa risalire la loro origine al periodo dell’Impero di Roma,

quando operavano i giudici curiali, i consiglieri pontifici e i

notai, ed è proprio a quest’ultima categoria di funzionari che

secondo lo storico si deve l’origine degli impiegati della

Segnatura, i quali nel XI secolo subirono dei cambiamenti nelle

loro mansioni, mentre sparirono definitivamente tra il XII e il

9 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana. Lineamenti storico giuridici, libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998, p. 213.

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XIII secolo, proprio quando si svilupparono la Dataria, la Rota,

la Penitenzieria, la Cancelleria e la Camera Apostolica.10

Plochl, invece, ipotizza un’origine bizantina: a suo parere i

referendari erano chiamati a supportare la decisione del

pontefice, offrendogli materiale sulle questioni che venivano

presentate e ad accompagnare questo iter fino alla firma papale.

Della Rocca prosegue affermando che già ai tempi di Eugenio

IV esisteva una divisione nella Segnatura tra gratiae et commissionum,

suddivisione che si è resa maggiormente esplicita sotto i

pontificati di Sisto IV e Alessandro VI e si è realizzata

compiutamente durante il pontificato di Giulio II, il quale ha

dato a ciascuna Segnatura un prefetto. Infine continua il suo

scritto citando gli innumerevoli tentativi di riformare i due

tribunali.11 Plochl e Lorenzo Spinelli, che ha curato la voce del

tribunale della Segnatura in “Enciclopedia del diritto,”

ipotizzano che la creazione delle due Segnature si è avuta per

volontà di Alessandro VI, il quale aveva anche studiato di fare

una distinzione tra suppliche e questioni processuali.

Plochl termina il suo discorso, spiegando che tra il XV e il

XVI secolo le competenze all’interno della Curia non erano ancora

ben definite, quindi a proposito della Curia, preferisce parlare

più di una improvvisazione che di una organizzazione.12

Moneta affida alla Segnatura il compito di supremo tribunale

posto al vertice dell’intero ordinamento giuridico. Egli cita come

primo documento che la menziona quello di Benedetto XIII del 1404.

Asserisce che in tale documento era scritto che le suppliche

dovevano essere affidate a determinati referendari, secondo le

10 Cfr. ORTI’, Il supremo tribunale della Segnatura apostolica, cit. , pp.175-178.11 Cfr. DELLA ROCCA, Tribunali ecclesiastici, cit. , p. 757.12 Cfr. PLOCHL, Storia del diritto canonico, cit. , pp. 91-92.

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origini di provenienza delle medesime; inoltre afferma che si

svolgevano riunioni differenti dipendentemente dal fatto che

queste fossero ad gratias expediendas per concessum, o ad expediendas

supplicationes de iustitia. Con ciò lo storico voleva dimostrare che già

vi era una distinzione tra le due segnature, la quale si fece

esplicita durante il pontificato di Sisto V.13

Ramos in merito alla sua competenza ne espone le funzioni

parlando a proposito della giurisdizione ordinaria, amministrativa

e giudiziaria mentre, trattando l’ organizzazione, parla del

collegio giudicante, dei consultori, dei procuratori e degli

avvocati. Inoltre fa riferimento al lavoro del tribunale nei casi

di conflitto di competenza, nei casi di richiesta di grazia, in

ordine all’amministrazione della giustizia e in materia di

vigilanza sulla rete dell’amministrazione della giustizia.14

Un contributo importante per lo studio del funzionamento della

Segnatura lo offre certamente Beltrami, che ha fatto una ricerca

presso l’Archivio dei Brevi Apostolici all’Archivio Segreto

Vaticano, analizzando e riportando in un volume i brevi di nomina

dei referendari. Gordon, invece, si occupa dello stesso tribunale,

ricercando i privilegi di cui godevano questi funzionari del papa.

Egli del resto non fa dimenticare quanto fosse importante per una

personalità che volesse fare carriera in Curia, avere avuto

un’esperienza all’interno della Segnatura. Tali privilegi vengono

dallo storico divisi per: Gratiae ac privilegiis spiritualia-liturgica, Privilegia

iurisdictionem respicentia, Gratiae et privilegia onorifica e De praecedentia.

Bruno Katterbach elenca nel suo lavoro i referendari da

Martino V a Leone XIII, nella praefatio afferma che la Segnatura è

uno dei tribunali più importanti dello Stato della Chiesa insieme13 Cfr. MONETA, Segnatura apostolica, cit. , pp. 941-942.14 Cfr. F. RAMOS, I tribunali ecclesiastici, cit. , pp. 205-234.

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alla Sacra Rota, al Tribunale della Camera Apostolica e al

Tribunale Auditoris Camerae. Con Ortì ritiene che l’origine del

tribunale sia da attribuirsi all’antica opera dei notai e degli

abbreviatori. Dichiara che Pietro Roderici fu il primo

referendario e sostiene che questi funzionari, per essere eletti,

dovevano avere un’ottima conoscenza del diritto, essere uomini

eccellenti, avere una vita integerrima e essere stati scelti dalla

maggior parte del consiglio dei cardinali di ogni nazione.

Negli Inventari dell’Archivio Segreto Vaticano, invece, Lo stesso

Katterbach analizza i registri delle suppliche, riportando nel suo

volume in una tabella la loro condizione, la loro grandezza, il

tipo di numerazione con la quale sono conservati e il loro stato,

ovvero se sono cuciti, macchiati, bucati, se si trovano fuori

posto e se vi è traccia della presenza di una qualche rilegatura.

I registri studiati da Katterbach partono dal 1342, in quanto lo

storico ha trovato che così vi era scritto nella seconda vita di

papa Benedetto XII.15

Nella sua griglia sullo stato di questi documenti vi è lo

spazio per inserire da una parte le suppliche presenti e

dall’altra quelle mancanti e per ognuna delle due sezioni vi è una

ulteriore divisione per meglio catalogarle: vi è, infatti, lo

spazio per quelle che sono pubbliche; per quelle che sono segrete,

che cioè contengono soltanto la firma del pontefice; per quelle

che riguardano gli uffici, che cioè trattano la nomina degli

impiegati, dette officiorum, e per quelle chiamate mandatorum

secretorum, le quali sono mandati segreti e di nomina.

Infine un contributo chiarificatore del periodo di governo di

Sisto V tanto importante per la Chiesa è quello della lezione

15 Cfr. ST. BALUTIUS, Vitae paparum Avenionensisum, I, Ed. G. MOLLAT, 1916, p. 211.

14

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dello stesso Del Re intitolata Sisto V e la sua opera di riorganizzazione del

governo centrale della Chiesa e dello Stato. In questi appunti lo storico

ripercorre tutto il pontificato di papa Peretti, con particolare

cura nei confronti delle Congregazioni cardinalizie. Tra queste

non manca di citare quella di Grazia, detta anche Segnatura Santissimi

perché era presieduta dal papa. Essa a suo parere necessitava di

una riforma poiché la Dataria Apostolica, aumentando le proprie

competenze, si stava occupando di tutte le concessioni di Grazia e

delle cause non dipendenti dai tribunali ordinari.16

Della Rocca trovandosi a trattare sia il tribunale della Rota

che quello della Segnatura all’interno della grande opera Novissimo

digesto italiano, si inserisce insieme a Plochl tra gli storici che,

riguardo alla Rota, ipotizzano le origini del suo nome. Egli

nomina quelle più diffuse: un’origine dovuta la fatto che i

giudici erano disposti intorno ad un recinto, che durante le cause

seguivano un certo ordine per poter dare ciascuno il proprio

parere e che, all’interno dell’aula utilizzata per le discussioni

dei casi presentati al tribunale, vi era un mobile che nella sua

forma e nel suo funzionamento ricordava proprio una ruota. Afferma

che l’organo giudiziario in questione è sorto nei primi anni del

Trecento e che sotto Sisto V i magistrati divennero stabilmente

dodici, mentre prima il loro numero era incerto.

Moneta sostiene, invece, che il termine “Rota” deriva dallo

scaffale utilizzato per la conservazione dei documenti del

tribunale dal momento che in alcuni scritti viene menzionato come

mobilio esistente all’interno della sede, nella quale nel periodo

avignonese si tenevano le riunioni.17

16 Cfr. DEL RE, Sisto V e la sua opera di riorganizzazione del potere centrale della Chiesa, cit. , p. 16.17 Cfr. P. MONETA, Rota Romana, cit. , p. 138.

15

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Oltre alle voci Rota Romana e Segnatura Apostolica

dell’Enciclopedia del diritto, infine, Moneta ha trattato i due

tribunali all’interno del suo testo La giustizia nella Chiesa, facendo una

breve narrazione storica degli eventi che hanno portato alla loro

nascita e parlando di loro all’interno del capitolo denominato:

L’ordinamento giudiziario canonico.18

Francisco J. Ramos si occupa dei tribunali della Segnatura e

della Sacra Romana Rota all’interno della sua pubblicazione,

intitolata, I tribunali ecclesiastici. Dopo una breve introduzione a

proposito della Rota, espone le funzioni, lo sviluppo storico

dell’organo della Curia, le competenze, l’organizzazione e il

funzionamento, le finalità, la ratio studiorum e il titolo di avvocato

rotale.

Antonino Cordova esalta nel suo scritto il ruolo della Rota,

affermando che essa visse un periodo di splendore e grandezza,

finché non furono fondate le Congregazioni. In particolare lo

storico valuta il ruolo dei suoi giudici, i quali erano

considerati molto esperti in materia e le decisioni che prendevano

risultavano importanti per il diritto, tanto che sulle sue

sentenze Cordova ha potuto citare i nomi di coloro che le

raccolsero e pubblicarono; tra i quali vi erano Cassiodoro,

Cencio, Martino, Merlino, Ansaldo e Palma.

Santangelo Cordani ha considerato nel suo studio: le origini e

lo sviluppo, la procedura e gli autori delle raccolte trecentesche

di Decisiones. Per quanto riguarda la sua genesi, fa riferimento agli

antichi Presbyterium e Synodus, cita tra i primi autori di

raccolte il noto Thomas Fastolf e si ricollega alla Cancelleria e

ai notai, divide gli uditori del XIV secolo in tre gradi, secondo

18 Cfr. P. MONETA, La giustizia nella Chiesa, cit. , pp.53-68.

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la loro importanza e quella delle sentenze di cui si occupavano e

ricorda che il medioevo era il periodo in cui il tribunale era

considerato l’organo principale della Curia. Tuttavia afferma che

la sua influenza continua anche successivamente a tale periodo,

sia all’interno dello Stato della Chiesa che all’estero, grazie

alla professionalità dei suoi giudici, tanto da essere reputato un

punto di riferimento non solo per i Paesi cattolici, ma anche per

i laici.19

Sibila cita tra i funzionari di Stato che hanno preceduto

quelli della Rota i Seniores Consiliarii et Decuriones Reipubblicae, i

Cubiculari, i Cappellani e i Magistri Ecclesiae Romanae. Dopo una breve

introduzione, il suo lavoro procede con la descrizione di tutti i

privilegi di cui godevano gli Uditori. Prima di ciò, tuttavia,

lascia a un non meglio definito “insigne giurisperito”20 la

seguente considerazione: “ Ejus quanta sit auctoritas, nemo

nescius est, unde non iniuria dici potest, quod tanta est

Auditorum Rotae opinio, quanta Pythagorae apud Pythagoricos fuit,

ut nullus non satis esse putet dicere sit Rotae definivit.”21

Non rimane difficile allo studioso, l’analisi del libro, in

quanto egli divide le riforme attuate dai papi a favore degli

Uditori secondo l’ordine cronologico dei pontificati e aiuta la

lettura del testo, inserendo ai lati delle pagine un breve

riassunto di tali vantaggi.

Lefebvre, infine, si occupa del tribunale della Rota nel

periodo in cui sul soglio pontificio sedeva Pio II: cita i

19 Cfr. SANTANGELO CORDANI, La giurisprudenza della Rota Romana, cit. , pp. 32-33.20 Cfr. SIBILIA, Privilegi conferiti dai sommi pontefici agli uditori della Sacra Rota Romana, Tipografia Guerra e Mirri, Roma, 1880, p.5.21 Vestr. Lib. 2 cap.17. in annot-bern.pag.2.

17

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progetti di riforma di Nicolò da Cusa e di Domenico de Domenichi e

la situazione del tribunale in quel dato momento storico.22

Villetti parla della Rota Romana e della Segnatura di Grazia e

Giustizia senza farne una trattazione storica, ma esponendo la

situazione, il funzionamento e talvolta gli stessi orari degli

organi giuridici ai tempi in cui l’opera fu scritta.23

In merito alla Penitenzieria, poi, riconosce la particolarità

del tribunale e, ravvisando la difficoltà di individuare il

periodo in cui è sorta, cita la fase storica che altri hanno

individuato come quella che ha visto nascere un tribunale tanto

speciale: l’epoca in cui sul soglio pontificio sedeva Benedetto II

(684-685). Sostiene che quando era Penitenziere Maggiore il

Cardinale Berengario Fredol, il numero dei penitenzieri scese da

21 a 12 e non venne più modificato. Infine, come quasi tutte le

strutture burocratiche di questo periodo, afferma che anche la

Penitenzieria visse la sua massima attività nel Quattrocento e il

suo ridimensionamento nel corso del Cinquecento.24

Lo storico italiano che più degli altri si è occupato della

Penitenzieria, però, è Filippo Tamburini. Egli ha curato la voce

Sacra Penitenzieria Apostolica all’interno del Dizionario degli Istituti di

Perfezione. Secondo la sua tesi l’origine del tribunale si deve far

risalire allo sviluppo della legislazione canonica e alla

centralizzazione della disciplina penitenziale presso il Concilio

di Clermont (1130), mentre altri ritengono che la sua nascita

fosse dovuta alle pratiche dei pellegrinaggi penitenziali,

chiamati anche giudiziari o espiatori, che facevano accorrere a

Roma i fedeli, portando con sé le lettere dei vescovi indirizzate

22 Cfr. ibidem, pp. 204-210.23 Cfr. VILLETTI, Pratica della Curia Romana, cit. 24 Cfr. ibidem, p. 201.

18

Page 19: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

al papa. Tuttavia afferma che non è facile risalire all’origine

della struttura burocratica. I funzionari avevano incarichi anche

di natura diplomatica e di fiducia. L’analisi dello storico è

dettagliata e divisa per periodi, specificando le fasi in cui la

Penitenzieria si occupava anche di cause da trattarsi in foro

esterno: espone, infatti, la sua origine, le competenze dei

religiosi nel medioevo, nel periodo della Riforma, attraversa la

Rivoluzione Francese, fino a raggiungere i nostri giorni.

Nell’opera “Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dei

registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-

1586)” cita i cardinali e futuri pontefici che si rivolsero al

tribunale, quali: il cardinal Capranica, Carlo Borromeo, Enea

Silvio Piccolomini, Ippolito Aldobrandini e Francesco Saverio

Castiglioni e spiega l’iter di una supplica indirizzata al papa.25

Elenca santi e peccatori: i primi desiderosi di avere conferme sul

proprio operato e i secondi bisognosi di ottenere il perdono.

Nell’ambito dello stesso testo, parla della convenienza che

avevano i sudditi del papa nello scegliere la Penitenzieria come

organo giuridico, poichè risultava più efficiente degli altri

tribunali. Elenca, infine, le questioni che venivano trattate nel

tribunale.26

In un altro articolo lo stesso studioso tratta la

Penitenzieria nel periodo in cui erano Penitenzieri Maggiori i

membri della famiglia Pucci. In particolare polemizza con

Simoncelli e Aubert sul tipo di rapporto esistente tra la

Penitenzieria e il tribunale dell’Inquisizione di quegli anni,

negando che la penitenzieria fosse stata coinvolta nelle cause25 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Istituto di propaganda Libraria, Milano 1995, p. 5.26 Cfr. ibidem, p. 15.

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riguardanti l’Inquisizione. Allo stesso tempo presenta uno

spaccato della situazione del tribunale durante il pontificato di

Pio V.27

Andreatta, infine, nel suo articolo su Le istituzioni e l’esercizio del

potere del volume Roma nel Rinascimento, parla dei principali tribunali

dello Stato della Chiesa, compresi quelli la cui competenza si

esercitava all’interno del territorio romano, notando di essi la

loro frammentarietà e analizzando il rapporto tra potere centrale

e comunale mediante lo sviluppo degli organi giuridici, le fasi

del loro sviluppo e della loro decadenza, a seguito

dell’accentramento del potere dei papi, e del processo di

aristocratizzazione delle città, fino alla considerazione finale

che alla fine del XVI secolo Roma fosse diventata “la città del

papa.”28 In merito alla Penitenzieria, poi, riconosce la

particolarità del tribunale e, ravvisando la difficoltà di

individuare il periodo in cui è sorta, cita la fase storica che

altri hanno individuato come quella che ha visto nascere un

tribunale tanto speciale: l’epoca in cui sul soglio pontificio

sedeva Benedetto II (684-685). Sostiene che quando era

Penitenziere Maggiore il Cardinale Berengario Fredol, il numero

dei penitenzieri scese da 21 a 12 e non venne più modificato.

Infine, come quasi tutte le strutture burocratiche di questo

periodo, afferma che anche la Penitenzieria visse la sua massima

attività nel Quattrocento e il suo ridimensionamento nel corso del

Cinquecento.29

27 Cfr. F. TAMBURINI, La riforma della Penitenzieria nella prima metà del secoloXVI e i loro cardinali Pucci in recenti saggi, cit. , pp. 116-123.28 Cfr. ANDREATTA, Le istituzioni e l’esercizio del potere, in Roma nel Rinascimento, cit. , p. 121.29 Cfr. ibidem, p. 201.

20

Page 21: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Lo storico italiano che più degli altri si è occupato della

Penitenzieria, però, è Filippo Tamburini. Egli ha curato la voce

Sacra Penitenzieria Apostolica all’interno del Dizionario degli Istituti di

Perfezione. Secondo la sua tesi l’origine del tribunale si deve far

risalire allo sviluppo della legislazione canonica e alla

centralizzazione della disciplina penitenziale presso il Concilio

di Clermont (1130), mentre altri ritengono che la sua nascita

fosse dovuta alle pratiche dei pellegrinaggi penitenziali,

chiamati anche giudiziari o espiatori, che facevano accorrere a

Roma i fedeli, portando con sé le lettere dei vescovi indirizzate

al papa. Tuttavia afferma che non è facile risalire all’origine

della struttura burocratica. I funzionari avevano incarichi anche

di natura diplomatica e di fiducia. L’analisi dello storico è

dettagliata e divisa per periodi, specificando le fasi in cui la

Penitenzieria si occupava anche di cause da trattarsi in foro

esterno: espone, infatti, la sua origine, le competenze dei

religiosi nel medioevo, nel periodo della Riforma, attraversa la

Rivoluzione Francese, fino a raggiungere i nostri giorni.

Nell’opera Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dei registri della Penitenzieria

dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586) cita i cardinali e futuri

pontefici che si rivolsero al tribunale, quali: il cardinal

Capranica, Carlo Borromeo, Enea Silvio Piccolomini, Ippolito

Aldobrandini e Francesco Saverio Castiglioni e spiega l’iter di

una supplica indirizzata al papa.30 Elenca santi e peccatori: i

primi desiderosi di avere conferme sul proprio operato e i secondi

bisognosi di ottenere il perdono. Nell’ambito dello stesso testo,

parla della convenienza che avevano i sudditi del papa nello

30 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Istituto di propaganda Libraria, Milano 1995, p. 5.

21

Page 22: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

scegliere la Penitenzieria come organo giuridico, poichè risultava

più efficiente degli altri tribunali. Elenca, infine, le questioni

che venivano trattate nel tribunale.31

In un altro articolo lo stesso studioso tratta la

Penitenzieria nel periodo in cui erano Penitenzieri Maggiori i

membri della famiglia Pucci. In particolare polemizza con

Simoncelli e Aubert sul tipo di rapporto esistente tra la

Penitenzieria e il tribunale dell’Inquisizione di quegli anni,

negando che la penitenzieria fosse stata coinvolta nelle cause

riguardanti l’Inquisizione. Allo stesso tempo presenta uno

spaccato della situazione del tribunale durante il pontificato di

Pio V.32

Romeo nel suo volume Ricerche su Confessione dei peccati e Inquisizione

nell’Italia del Cinquecento, raccogliendo gli appunti di lezioni tenute

presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, analizza il

tema della penitenza in rapporto con l’istituzione della

confessione e con il tribunale dell’Inquisizione. Egli parla delle

relazioni esistenti tra confessori e inquisitori alla luce dei

decreti tridentini ed espone il ruolo rilevante dei Gesuiti in

merito. Negli ultimi due capitoli esamina il tema della

confessione per i malati terminali e la difficoltà di gestire

quelle confessioni che riguardavano la sessualità.33

Paolo Ostinelli dedica un testo alla Penitenzieria, in

particolare raccoglie le suppliche provenienti dalla diocesi di

Como nel periodo compreso tra il 1438 e il 1484. Prima di

presentare la sua documentazione il curatore offre al lettore

31 Cfr. ibidem, p. 15.32 Cfr. F. TAMBURINI, La riforma della Penitenzieria nella prima metà del secolo XVI e i loro cardinali Pucci in recenti saggi, cit. , pp. 116-123.33 Cfr. G. ROMEO, Ricerche su Confessione dei peccati e Inquisizione nell’Italia del Cinquecento, La Città del Sole, Napoli, 1997.

22

Page 23: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

un’ampia introduzione, in cui si parla del tribunale, di quali

erano le sue competenze, di come si è sviluppato, di come

funzionava, del tipo di personale che lavorava al suo interno, di

come produceva la sua documentazione e dei suoi registri. Infine

pone in relazione la struttura centrale del tribunale con quella

curiale della diocesi di Como, offrendo uno spaccato di governo

locale.34

Prodi parla della Penitenzieria anche nei testi dedicati a

Gabriele Paleotti, in quanto il prelato ha istituito il Collegio

dei penitenzieri locali seguendo i modelli fissati dal Concilio di

Trento. Nella sua opera lo storico illustra tutta la vita del

cardinale: i suoi studi, il suo percorso carrieristico,

l’esperienza del Tridentino prima tra i legati discordi e poi

vicino al Morone, le direttive che ha imposto al suo governo, la

riforma del clero, del popolo cristiano, religiosa e della

cultura: Nel volume si offre al lettore una illustrazione sui

problemi economici del governo episcopale e vengono citati i testi

che il prelato ha scritto sulla sua esperienza.35

Per quanto attiene alla curia vescovile di Milano, De Boer

presenta un volume intitolato La conquista dell’anima. In questo testo,

in particolare nel capitolo VI, l’autore tratta la riforma in

materia di confessione operata dal cardinale a Milano piuttosto

dettagliatamente, dando la possibilità al lettore di cogliere i

rapporti intercorrenti tra poteri curiali, autorità centrale.36

34 Cfr. P. OSTINELLI, Penitenzieria Apostolica. Le suppliche della Sacra Penitenzieria Apostolica provenienti dalla diocesi di Como. ( 1438-1484), Edizioni Unicopli, Milano, 2003.35 Cfr. P. PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), Roma, edizioni di storia e letteratura.36 Cfr. W. DE BOER, La conquista dell’anima : fede, discipline e ordine pubblico nella milano della Controriforma, Einaudi, Torino, 2004.

23

Page 24: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

La bibliografia sui tribunali apostolici è vasta, così come

tanti risultano i tribunali operanti a Roma tra il XV e il XVI

secolo. Non è facile, quindi, dare ad essi un ordine espositivo, o

riunirli in un’unica struttura burocratica amministrativa. Gli

storici, tuttavia, hanno trovato pressocché tutti una stessa linea

evolutiva generale dello Stato della Chiesa: la nascita e lo

sviluppo di uno stato tendente all’assolutismo.

Sui collaboratori del papa

Paolo Prodi con Il sovrano pontefice, ha svolto un ruolo rilevante

in questo studio, realizzando un tipo di volume incentrato sul

ruolo del pontefice come sovrano di uno Stato e parlando di come

si è formato e sviluppato dalle Terre di San Pietro alla nascita

del principato, del ruolo di potere e dell’importanza

dell’immagine, del diritto canonico e del diritto civile, della

duplice funzione temporale e spirituale e del modo di agire del

papa in politica estera e all’interno dei suoi territori,

approfondendo la situazione bolognese. L’attenzione di Prodi si è

in particolare concentrata proprio sulla bidimenzionalità del

pontefice, ad un tempo universale e particolare. L’autore ha

cercato di cogliere le stesse peculiarità anche all’interno delle

sue strutture amministrative e curiali. Per questo motivo il

testo, anche se non più recente e ormai superato da studi ad esso

successivi, mantiene ancora oggi il suo fascino per chi è

interessato a questi argomenti e vuole approfondire le tematiche

riguardanti la Curia Romana e i suoi uffici.

24

Page 25: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Schimmelpfennig ne Il Papato si occupa della Storia di

quest’ultimo dal periodo in cui operavano gli Apostoli al

Rinascimento. Attraversa tutte le fasi della storia della Chiesa e

del cattolicesimo: la dominazione bizantina, quella carolingia, la

fase caratterizzata dalla nobiltà romana, La “lotta per le

investiture,” l’apice del potere intorno agli anni 1198-1303,

Avignone, fino Rinascimento e quindi ai primi pontefici del

Cinquecento.37

Carocci con il Nepotismo nel Medioevo tratta uno degli argomenti

più scottanti che riguardano la Curia Romana. Egli dimostra che

quel fenomeno non è soltanto rinascimentale, ma coinvolge la

Chiesa fin dal medioevo. Parla dei papi che hanno maggiormente

posto l’accento sulla propria famiglia durante il loro

pontificato come Innocenzo III(1198-1216), Innocenzo IV(1243-

1254), Nicola III(1277-1280), Nicola IV(1288-1292) e Bonifacio

VIII(1294-1303); rende chiara la differenza tra il nepotismo di un

papa e quello di un cardinale ed evidenzia le relative conseguenze

sul Lazio e a Roma.

Il libro si conclude con Avignone e con qualche considerazione

sui papi rinascimentali.

Anche Duchesne38 si occupa delle origini dello Stato

pontificio. Egli parte da Liutprando (VIII secolo) e arriva ai

papi tedeschi. Si trova a trattare i primi tre secoli dello Stato

retto dai pontefici. Ritiene che essi siano importanti sia perché

si sta parlando della Chiesa, sia per riconnettere essa alla

storia d’Italia.

37 Cfr. B. SCHIMMELPFENNIG, Il Papato. Antichità Medioevo e Rinascimento, Viella, Roma, 2006.38 Cfr.L. DUCHESNE, I primi tempi dello stato pontificio, Torino, Einaudi, 1947.

25

Page 26: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Moisset nella sua Storia del cattolicesimo, più che occuparsi delle

istituzioni pontificie, si dedica allo studio della religione.

L’amministrazione pontificia è, quindi, inserita in un discorso

concernente principalmente la sfera spirituale e dottrinale.

Offre, in tal modo, un nuovo punto di vista nell’approfondimento

del Papato. Il testo inizia da Gesù di Nazaret e arriva alla

mondializzazione della Santa Sede. Egli approfondisce il passaggio

dall’Ebraismo al Cristianesimo, la fondazione della Chiesa, le

prime eresie, la nascita di una gerarchia, il rapporto con la

Chiesa d’Oriente, quello tra fede e ragione, la Riforma cattolica

e la Controriforma, il Giansenismo, il periodo dei Lumi, fino a

trattare le tematiche della Chiesa del Novecento.39

Menniti Ippolito nel testo Il tramonto della Curia nepotista fa una

trattazione sulla situazione dell’amministrazione pontificia tra

il XVI e il XVII secolo, caratterizzata principalmente dalle

figure dei nipoti dei papi e dall’inserimento di quest’ultimo

all’interno della Curia come la personalità più vicina al

pontefice.

Il tema è posto all’interno di un discorso molto più ampio che

non coinvolge soltanto i prossimi del pontefice ma si estende a

tutta l’amministrazione e che da Menniti Ippolito viene chiamato

con il nome di patronage.

Lo stesso autore presenta anche i difetti della nuova

istituzione: un eccesivo aumento delle spese statali che hanno

convinto la Santa Sede a sostituire nel XVII secolo questa figura

di parente del papa con quella più distaccata di Segretario di

Sato.

39 Cfr. J. P. MOISSET, Storia del cattolicesimo, Lindau, Torino, 2008.

26

Page 27: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Il paragrafo più interessante per questo studio è proprio

quello determinato dal passaggio da una carica ad un’altra,

segnando il tramonto del Cardinal Nepote e, di fatto, chiudendo

una fase della storia della Chiesa.40

Un altro testo di Menniti Ippolito è quello su Il governo dei papi

nell’età moderna. In questo volumetto l’autore fa alcune

considerazioni sulla storia del papato, sulla formazione dei

pontefici e sulla loro elettività, sul problema legato ai

cardinali e ai vescovi, sul sistema di governo nepotista, sulle

residenze papali e sulle rendite del pontefice. Il linguaggio

usato è chiaro. Interessante, anche perché utile riassunto dei

pontefici da Martino V (1417-1431) a Pio VII (1800-1823), è

l’appendice sulle carriere papali che arriva a trattare in un

simpatico fuori tema anche i papi del Novecento.41

Il medesimo discorso viene approfondito anche nelle Note sulla

Segreteria di Stato come ministero particolare del pontefice romano. In questo

contesto l’autore ha potuto scorgere una frammentarietà negli

studi che non rende l’ufficio omogeneo, facendo ritenere allo

storico che il Segretario di Stato fosse una presenza-assenza

nella Curia, 42 caratterizzante o meno a seconda della personalità

che la dirigeva. Anche per ciò questo genere di approfondimento

spesso si è avvalso del supporto delle figure dei segretari che si

sono trovati a ricoprire quel ruolo nel corso delle epoche

storiche. Soltanto tra il XV e il XVI secolo con la nascita di

altri uffici di sostegno al lavoro della Segreteria, si è potuto

scorgere una parvenza di struttura nel ministero, così come ha

40 Cfr. A. MENNITI IPPOLITO, Il tramonto della Curia nepotista. Papi, nipoti e burocrazia curiale tra il XVI e il XVII secolo, Viella, Roma, 1999, p. 42.41 Cfr. A. MENNITI IPPOLITO, Il governo dei papi in età moderna, Viella, Roma, 2007.42 Cfr. A. MENNITI IPPOLITO, Note sulla segreteria di Stato come ministero particolare del pontefice, in La corte di Roma tra Cinque e seicento, Bulzoni, Roma, 1998, p.170

27

Page 28: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

evidenziato Menniti Ippolito, parlando del Segretario dei Brevi e

dei Brevi ai Principi. Il maggiore sviluppo della Segreteria, però

vi fu verso il Seicento come si evince dai testi e dagli articoli

del medesimo.

Serafini nel suo volume43 si è dedicato alla ricostruzione

della storia della Segreteria dal Medioevo alla Sapienti Consilio del

1908. Egli, partendo da questa, ha trattato le Segreterie

palatine, i brevi, il numero dei segretari nel medioevo, i loro

compiti, la nascita del Segretario Apostolico e di quello

domestico al tempo di Innocenzo VIII(1484-1492) e di Sisto V(1585-

1590), la corrispondenza diplomatica in volgare e come Menniti

Ippolito il passaggio dal Cardinal Nepote al Segretario di Stato,

fino a tornare alle soglie del Novecento.

Frenz nei suoi volumi si occupa dei documenti provenienti

dallo Stato retto dai successori di Pietro. La sua analisi

dettagliata e specifica ci permette di avere un’idea del tipo di

carte provenienti e uscenti dalla Curia: lettere, bolle, lettere

segrete, suppliche, motu proprio, minute e cedole concistoriali.

Lo stesso autore evidenzia il percorso che doveva seguire il

documento prima di raggiungere il pontefice, le raccolte di

formule, i sigilli come la bolla di piombo, la bolla d’oro, il

sigillo di ocra e il timbro colorato. Uno specifico capitolo lo

dedica ai registri, specificando la fase precedente e quella

successiva al pontificato di Innocenzo III.

In seguito si sofferma sulla Cancelleria, l’organo che ha dato

origine a diversi uffici della Curia. Un ulteriore capitolo lo

dedica a quei documenti non papali riguardanti concilii, cardinali

o l’intero Collegio cardinalizio. Infine, vi sono alcuni paragrafi43 Cfr. A. SERAFINI, Le origini della pontificia segreteria di Stato e la “Sapienti Consilio” del B. Pio X ,Città del Vaticano, Pont. Instituti utriusque iuris, 1952.

28

Page 29: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

rivolti alle altre cariche, alla Penitenzieria e alla Camera

Apostolica, anche esse produttrici di incartamento.

Il secondo volume lo indirizza maggiormente verso l’analisi

delle insigni personalità che collaboravano nella Curia alla

stesura della documentazione nel XV secolo: si trattava infatti

spesso di letterati dell’Umanesimo.

Ancel ha lavorato principalmente sulle riforme apportate da

Paolo IV alla Segreteria di Stato; si è interessato, quindi, ad

una ben delimitata fase storica della Segreteria. Il suo studio si

basa su quello di Giovanni Carga.44 In questa fase la Segreteria

venne divisa in tre sezioni: gli affari di Stato erano stati

affidati a Mons. Della Casa, gli affari dello Stato ecclesiastico

a Mons. d’Avignon, gli affari fiscali e tutto ciò che riguarda

Roma, le questioni civili e criminali a Silvestro Aldobrandini. Il

ruolo del Segretario di Stato e del Legato erano spesso confusi,

pur in un’ottica di riforma tendente a dare maggiore organicità ai

due uffici. Il testo parla, inoltre, dei segretari particolari,

tra i quali Alessandro Martio, Francesco spini e Andrea Sacchetti;

di quelli a litteris italicis e del ruolo della Segreteria dei Brevi, che

durante il pontificato di Paolo IV godeva di una certa

indipendenza. Per gli affari più importanti lo stesso Cardinal

Nepote dell’epoca, secondo Ancel, si serviva di collaboratori,

quali: Antonio Elio, vescovo di Pola, Giovanni Francesco

Commendane, Angelo Massarelli, Gerolamo Soverchio e Trifone

Bencio. È l’unico testo della bibliografia che fa un’analisi

dettagliata della situazione della Segreteria, seppur ristretta

44 Cfr. Informatione del segretario e secreteria di Nostro Signore et di tutti gli offitii che da quella dipendono del Sgr. Giovanni Carga, Laemmer, Monumenta Vaticana, appendix II, p.457 e seguenti.

29

Page 30: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

cronologicamente; rappresenta, quindi un interessante punto di

partenza per studi successivi sull’argomento.

Londei afferma che la Segreteria è sorta nel XIV secolo, a

seguito della separazione di alcuni uffici e di alcuni compiti

della Cancelleria; a suo parere è una delle istituzioni più

specificamente temporali. Espone la differenza tra Segreteria di

Stato e Cardinal Nepote: il primo era un parente del papa e il

secondo un prelato. Ricorda che la sua funzione si è arrichita

durante il pontificato di Peretti e ha visto aumentare i suoi

compiti. Infatti doveva sottoscrivere le lettere e altri

provvedimenti emessi per conto del papa nell’esercizio del governo

e dell’amministrazione temporale del principato. Tra le competenze

di carattere spirituale cita quelle di tipo politico e civile,

come corrispondere con i sovrani esteri, con i nunzi e con gli

altri rappresentanti esteri della Sede Apostolica. Il suo lavoro,

tuttavia, è soprattutto incentrato nei secoli XVII e XVIII. La sua

analisi, così, arriva fino alla fine dello Stato pontificio, con

la breccia di Porta Pia (1870).45

Richard si occupa del medesimo argomento di Londei, ma il

periodo che osserva va dal 1417 al 1823. Non può fare a meno di

affermare lo stretto legame esistente tra la Segreteria e le

nunziature,46 oltre a evidenziare il suo ruolo di tramite tra i

vari uffici della Curia come la Dataria, la Penitenzieria e il

Sant’Uffizio. Parla della separazione tra la Segreteria Apostolica

e la Segreteria di Stato. Soltanto due pagine sono dedicati ai

secoli XV e XVI, il resto del lavoro riguarda il VII, XVIII e gli

inizi del XIX secolo.45 Cfr. L. LONDEI, L’ordinamento della Segreteria di stato e tra Antico Regime ed età della Restaurazione, in Mélanges del’ Ecole francaise de Rome. Italie et Méditerranée, Vol. II, p.473.46 Cfr. P. RICHARD, Origines et developpement de la secretarerie d’Etat Apostolique, in Revue d’histoire ecclesiastique, X, 1910, p. 729.

30

Page 31: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Daniela Frigo si è occupata nel suo studio del ruolo

dell’ambasciatore in età moderna. L’articolo non riguarda solo il

ruolo del legato nello Stato della Chiesa, ma in generale

dell’attività di tutti gli ambasciatori degli Stati tra il Cinque

e il Seicento. Si presenta quindi come un utile mezzo per poter

confrontare il sistema governativo della Santa Sede con quello

delle altre formazioni statali dell’epoca.47

Nel suo articolo su Storia degli antichi Stati italiani attraversa tre

secoli: il XV, il XVI e il XVII secolo, esaminando le

trasformazioni della diplomazia nel tempo. Durante questo percorso

non può che esporre la situazione della classe dirigente

dell’epoca, della cultura, della concezione della sovranità che

trapela dalla corte, della situazione sociale, economica,

commerciale e dinastica degli stati che approfondisce. Per quanto

riguarda il Quattrocento e il Cinquecento analizza la condizione

italiana, poi lo sguardo si sposta sulla politica estera, sui

principi e sulle repubbliche del Cinquecento e del Seicento.

Espone lo stato della nobiltà delle corti, parlando anche delle

cerimonie. L’ultimo capitolo le consente di dedicarsi

definitivamente al secolo XVII e al Settecento.

Blet, invece, traccia un quadro della diplomazia nello Stato

della Chiesa, dalle origini alle soglie del XIX secolo.48 Anch’egli

tramite l’oggetto della sua analisi offre uno spaccato della vita

del papato e delle problematiche che si trova ad affrontare a

partire dalle missioni dei primi secoli, sostenute dagli Apostoli,

i canoni di Sardica, i legati di Leone il Grande, quelli di

Gregorio il Grande, il periodo caratterizzato da Bisanzio e47 Cfr. D. FRIGO, Ambasciatori e nunzi. Figure della diplomazia in età moderna, in Cheiron.Materiali e strumentini aggiornamento storiografico. Roma, 1999.48 Cfr. BLET, Histoire de la Representation Diplomatique du Saint Siege des origines à l’aube du XIX siècle, Archivio Vaticano, Città del Vaticano, 1982.

31

Page 32: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

dall’epoca carolingia e quindi il rapporto tra Roma e la Francia,

i legati di Gregorio VII(1073-1085), e via di seguito fino a

raggiungere l’Ottocento, offrendo, così, ancora una volta

l’occasione per confrontare i vari autori tra loro e sapere cosa

accadeva intorno allo Stato della Chiesa e al suo interno.

Gardi si dedica ai legati in un periodo della storia

ecclesiastica che va dal XIV al XVII secolo. In primo luogo fa una

distinzione tra cardinale, rettore provinciale e legato. A parere

di Gardi lo sviluppo delle ambasciate si ha con il periodo

avignonese. Egli, infatti, nota che la principale attività dei

legati era rivolta verso l’interno dello Stato, verso le sue

periferie dal momento che si sentiva soprattutto la necessità di

tenere unito il territorio.49

I nuovi funzionari sono indirizzati soprattutto a combattere

la corruzione e le malversazioni finanziarie. Il loro ruolo nei

territori era di supporto alla nascente Camera Apostolica e

talvolta finiva per confondersi con quello dei vicari.

Capitava, poi, che si trovassero anche a svolgere mansioni di

natura spirituale.

Lo stesso autore specifica, nel corso del suo lavoro, la

differenza tra l’invio di un Governatore o di un legato: il

Governatore veniva mandato quando nelle aree specifiche non vi

erano problemi di stabilità, mentre il legato occorreva in caso di

crisi. Infine a partire dal Cinquecento e questi ultimi venivano

dati, in periodi di emergenza, poteri pluriprovinciali militari e

di polizia.

Il testo affronta tutte le fasi vissute da questa figura della

Curia, le personalità con cui si trovava a lavorare, le sue49 Cfr. GARDI, Il mutamento di un ruolo. I legati nell’amministrazione interna dello Stato pontificio dal XIV al XVII secolo, in Ofices et papauté, collection de l’Ecole francaise de Rome, 2005.

32

Page 33: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

trasformazioni e confusioni di ruoli. Consente di capire quali

doti doveva possedere chi aspirava ad una simile carriera: doveva

avere esperienza in più settori, essere versatile e diplomatico,

avere una certa esperienza nel mondo finanziario ed economico,

essere conoscitore del territorio ed avere una certa

consapevolezza del diritto.

La storiografia della

Camera Apostolica

Pastura Ruggiero parte nella sua ricerca dall’analisi delle

linee evolutive dell’amministrazione periferica, parlando dei

governatori delle province e dei tesorieri provinciali,

successivamente la sua attenzione si sposta verso gli organi

centrali: la Camera Apostolica e la Piena camera; soffermandosi in

particolare sul Camerlengo, sulla Prefettura dell’Annona, sulla

Presidenza della Grascia e delle Dogane, sulla Presidenza delle

Strade, sulla Presidenza degli Acquedotti Urbani, sulla Presidenza

delle Ripe, sulla Prefettura degli Archivi, sulla Presidenza delle

Carceri, sul Commissariato delle Armi, sul Commissariato del Mare,

sulla prefettura di Castel Sant’Angelo, sulla Presidenza della

Zecca e sulle magistrature preposte alla monetazione. Infine parla

del Commissario Generale, del Vice Camerlengo, del Governatore di

Roma e dell’Auditor Camerae.

Per quanto riguarda invece le Congregazioni, introdotte da

Sisto V, quelle che interessano l’aspetto economico dello Stato

della Chiesa, citate dal testo di Caravale-Caracciolo, sono quelle

dell’Annona e della Grascia, delle vie, di ponti e fontane, dei

33

Page 34: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Maestri delle Strade, della Zecca e degli Spogli.50 Successivamente

lo stesso volume espone, così come fa anche Palermo, la situazione

delle banche e il ricorso al debito, parlando dei banchieri che

operavano in quel periodo: dopo i Fugger e i Chigi, infatti,

giunsero i toscani e i genovesi come gli Altoviti, gli Ubertini, i

Primi, i Pinelli e i Giustiniani. Costoro secondo Palermo

curavano la gestione e l’intermediazione finanziaria e, in alcuni

casi, divennero i veri finanziatori dello Stato retto dai papi. Il

volume di Caravale-Caracciolo ordina, infine, per importanza dal

punto di vista contributivo le regioni governate dal pontefice nel

seguente modo: Marche, Romagna, Umbria, Patrimonio, la Campagna e

Camerino.

Mario Caravale è, poi, autore di un testo sulla finanza

pontificia nel Cinquecento in cui fa un quadro della situazione

economica dei territori dello Stato della Chiesa. Un volume utile

in questa ricerca perché aiuta a vedere come venivano gestite le

zone periferiche, da chi erano governate, chi riscuoteva le tasse

e quali erano gli apparati statali di supporto al sistema

periferico. In cinque capitoli attraversa tutto il secolo XVI,

passando per il Sacco di Roma, i pontificati di Giulio III e Paolo

IV, fino agli ultimi decenni del secolo.51

Del Re nella sua Curia Romana dedica un capitolo alla Camera

Apostolica. Cita le varie ipotesi sull’origine di un organo tanto

importante e su quella del suo più alto rappresentante: il

Camerlengo. Dal suo studio e da quello del Moroni52 risulta che

inizialmente era il palatium o fiscus a svolgere lo stesso ruolo della

Reverenda Camera Apostolica, a capo della quale vi era un

50

51 Cfr. M. CARAVALE, La finanza pontificia nel Cinquecento. Le province del Lazio, cit. 52 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, Vol. VII, pp. 5 e 6.

34

Page 35: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

arcidiacono; mentre il Camerlengo veniva chiamato cubicularius papae,

secretarius intimus papae e archiprestbyter papae. Il potere di questa figura

era grande: questi due autori pensano che i suoi collaboratori

avevano la sola funzione di consiglieri. Successivamente,

tuttavia, ebbero anche loro una propria giurisdizione in campo

civile, grazioso ed economico. Entrambi, poi, passano a parlare

degli altri membri della R. C. A: del Vicecamerlengo, dell’Uditore

della Reverenda Camera Apostolica, del Tesoriere Generale, dei

Chierici di Camera, dei Procuratori e degli Avvocati del fisco.

Una attenzione particolare è dedicata dal Del Re al periodo in cui

era pontefice Paolo IV: infatti in quella fase della storia della

Curia, il Camerlengo fu sostituito dalla figura del Reggente di

R.S.C. della Camera Apostolica, che durò quanto il pontificato del

Carafa.53

Il lavoro di Felici approfondisce lo studio della Camera

Apostolica e ha costituito la base per lavori successivi sullo

stesso argomento. Infatti, oltre a trattare tutti gli uffici ad

essa collegati, parla anche dell’Annona, della Grascia, delle

Strade, delle Ripe, degli Archivi, delle Carceri, delle Zecche,

delle Dogane, delle Armi e del Mare.54

Michele Monaco nel suo studio su La situazione della Reverenda Camera

Apostolica nell’anno 1525, pubblica l’inventario delle entrate e delle

uscite di quell’anno. L’opera offre un quadro della condizione

finanziaria della Santa Sede nel periodo che va dal pontificato di

Adriano VI (1521) al Sacco di Roma ( 1527). Il documento appare

ripartito per capitoli ed è anticipato da alcune considerazioni

dell’autore sull’organizzazione finanziaria della Chiesa, in modo

da fornire al lettore una chiave di lettura sufficiente a53 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana, cit. , pp.285-293.54 Cfr. G. FELICI, La Reverenda Camera Apostolica. Studio storico giuridico, cit.

35

Page 36: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

contestualizzare il testo pubblicato, così da inserirlo nel

tessuto storico, economico e politico dell’epoca in cui fu

compilato. Nello stesso vi è esposto anche il “nuovo indirizzo di

politica finanziaria seguito dal pontefice, la situazione

monetaria dell’Europa agli inizi del XVI secolo e l’importanza

delle fonti documentarie per la conoscenza delle condizioni

finanziarie della Chiesa.”55

Per quanto riguarda la voce Tesoriere, Moroni fa risalire

l’origine al XII secolo, mentre Spizzichino parla più

dettagliatamente del 1254, e afferma che erano i primari e gli

intimi famigliari del sommo pontefice, chiamati anche Procuratori

del Patrimonio di San Pietro, Cappellani del papa, Consiglieri del

papa e consiglieri della Reverenda Camera Apostolica. Parla poi

dei loro privilegi e del loro numero all’interno della Curia, che

variò nel corso dei secoli.

Massimo Carlo Giannini scrive un articolo sui Tesorieri e

sulle loro carriere tra i secoli XVI e XVII. Egli cita i compiti

di una simile figura tra i quali quelli di occuparsi delle annate

e dei quindenni, di verificare il versamento delle tasse, di

sorvegliare il lavoro dei tesorieri provinciali, dei gabellieri,

dei collettori e del depositario generale.56

Afferma che anche in questo caso si doveva trattare di persone

di fiducia del papa poiché, analizzando le loro caratteristiche,

nota molte differenze tra loro. Infine parla di alcuni di loro

come Giovanni Ricci, Francesco Massari, Cristoforo Cenci, Donato

Mattei Minali, Tommaso Gigli, Ludovico Taverna, Rodolfo Bonfigli,

Benedetto Giustiniani, Guido Pepoli e Bartolomeo Ceci.57 Dà, in55 Cfr. M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica nell’anno 1525, Biblioteca d’Arte Editrice, Roma,1960.56 Cfr. M. C. GIANNINI, I Tesorieri Generali della Camera Apostolica, cit. , p.860.57 Cfr. ibidem, pp.860-873.

36

Page 37: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

questo modo, al lettore un’idea di cosa doveva essere assumere

questo pubblico ufficio. Afferma che prima bisognava aver fatto un

determinato percorso che consisteva nell’essere stato referendario

delle due Segnature o membro dell’avvocatura concistoriale,

Commissario Generale o Chierico di Camera. Inizialmente non era

necessario avere una laurea in diritto, poi divenne

indispensabile.

Nel volume di Caravale e Caracciolo, intitolato Lo stato pontificio

da Martino V a Pio IX vi sono in particolare due capitoli dedicati alla

finanza pontificia: il primo tratta della situazione economico-

finanziaria al tempo di Sisto IV e l’altro fa riferimento alle

riforme attuate da papa Peretti. I due studiosi parlano della

necessità di riformare l’istituto dei tesorieri provinciali.

Tramite la creazione di una commissione, che informò il papa degli

abusi che gli impiegati del governo della Santa Sede compivano. Il

testo prosegue con l’esposizione della relazione prodotta dalla

stessa, con la quale il pontefice ha potuto abolire le compagnie

che i tesorieri avevano creato e dalle quali ricavavano in prima

persona un profitto, costringerli a rispettare le costituzioni

egidiane e obbligarli a giurare in presenza del Camerlengo. Infine

Caravale e Caracciolo parlano della riforma della Camera

Apostolica di Sisto V, operazione questa che ha consentito di

lasciare ancora oggi un esempio di bilancio completo: quello degli

anni 1480-1481.58

Vitale si occupa dei Tesorieri generali, ricava la loro

origine facendola risalire all’Arcario, al Sacculario e al

Vestiario. Afferma che l’ufficio della Camera Apostolica ha

assunto un tale nome perché erano i sovrani di Francia a chiamare

58 Cfr. CARAVALE CARACCIOLO, Lo Stato pontificio: da Martino V a Pio IX, cit., pp.115-116.

37

Page 38: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

il vestiario camera; così i papi hanno preso il termine Camera

Domini Papae da questa corte europea.

Il Tesoriere è nato, a suo parere, dalla necessità di chiamare

uno dei Chierici di Camera alla custodia del Tesoro pontificio. La

prima menzione di tesoro pontificio per Vitale è del 1303, mentre

il primo ad essere stato nominato tesoriere era un certo Magister

Richardus.

Spizzichino, inoltre, fa una aggiuntiva divisione tra il

Tesoriere Segreto e il Tesoriere di Camera, affermando che solo

quest’ultimo in un primo tempo veniva scelto dal Camerlengo,

mentre successivamente fu nominato dal papa. Conclude asserendo

che a partire da Sisto V il Camerlengo assunse sempre di più le

mansioni riguardanti la materia fiscale, mentre il Tesoriere

specializzò i suoi compiti, occupandosi della finanza.

Andrea Chiari e Pio Pecchiai59 affermano che la Camera

Apostolica era gestita dal Tesoriere e che il ruolo del Camerlengo

era soltanto quello di presiedere le riunioni quando l’organo si

riuniva in collegio.60 La sua analisi si sofferma, però,

soprattutto sui vacabili, cui è dedicato lo stesso volume: egli li

divide tra quelli aventi rendita certa e quelli aventi rendita

incerta. Inoltre ne specifica l’uso a partire dal 1316 fino al

1814. Parla, infine, del rapporto tra la Dataria e la Camera

Apostolica.

Lodolini ha divulgato una piccola pubblicazione, in cui lo

studioso ha riportato notizie importanti su alcune regioni dello

Stato della Chiesa, tra le quali: Ascoli, Avignone, Benevento,

Bologna, Camerino, Fermo, la Marca, Urbino, Ferrara, Marittima,

59 Cfr. P. PECCHIAI, Roma nel Cinquecento, cit. ,p. 273.60 Cfr. A. CHIARI, Memoria giuridico storica, cit. , p.35.

38

Page 39: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Campagna, Lazio, Sabina, Patrimonio, Romagna, Spoleto, Umbria,

Perugia, Urbino e Città di Castello.

In questi atti ha notato che spesso vi erano informazioni che

andavano oltre il ristretto ambito della provincia di loro

competenza: poteva, ad esempio, capitare che nei registri vi

fossero riportate spese eccezionali per conto del pontefice o del

Camerlengo.

Nel volume Monsignor Governatore di Roma, invece, Del Re tratta

l’evoluzione storico-giuridica di una delle principali cariche

municipali dello Stato della Chiesa, i governatori sono citati in

ordine cronologico e vanno da Giuliano Ricci, prima metà del

Quattrocento, a Domenico Savelli, prima metà dell’Ottocento.

Ognuno è accompagnato da una sua breve biografia.

Nell’ introduzione Del Re afferma che la sua origine si deve

far risalire al tempo in cui governava Eugenio IV, grazie ad una

lettera datata 17 gennaio 1436.

Lo storico tratta le fasi in cui il Governatore di Roma fu

allo stesso tempo anche Vice Camerlengo e quelle in cui ricoprì

solo la carica di Governatore di Roma; quella in cui sotto il

papato di Paolo IV potè disporre di un palazzo come residenza;

quella in cui Pio IV gli permise di operare contro i mercanti

della città, che esercitavano cambi illeciti e di infliggere pene

sancite contro gli usurai; quella in cui Pio V gli concesse

l’oracolo vivae voces nell’agosto del 1570; quella del motuproprio In

sublimi Beati Petri Sede del 1 dicembre del 1587 e quella in cui perse

definitivamente il Vicecamerlangato durante il pontificato di

Sisto V.61 Attraversa quindi tutte le fasi dello sviluppo di questa

61 Cfr. N. DEL RE, Monsignor Governatore di Roma, cit. p. 27.

39

Page 40: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

complessa carica curiale, dal suo apogeo alla sua decadenza a

vantaggio del potere centrale.

Bauer si sofferma ad analizzare nello specifico la commissione

finanziaria del 1477, che aveva scoperto irregolarità sull’operato

dei tesorieri provinciali.62 All’interno dello stesso lavoro vi è

la pubblicazione dell’ Ordo Camerae, che presenta i tratti

fondamentali della riforma di Sisto IV. A parere dell’autore il

testo non rivoluzionò l’ordinamento, ma aiutò ad avere un quadro

piuttosto chiaro della situazione amministrativa e finanziaria

dello Stato della Chiesa nella seconda metà del Quattrocento,

costituendone un monito e tentando di ripristinare la situazione

precedente a quelle riforme che hanno dimostrato nel tempo essere

per la Chiesa più dannose che utili; infine presenta nello

specifico il bilancio degli anni 1480-1481: diviso in Introitus ed

Exitus. Lo stesso testo evidenzia le peculiarità dello Stato retto

dai papi di quel tempo: come il tentativo di accentrare i poteri e

il nepotismo di Sisto IV.

Parlando di simili argomenti Bauer non può non esprimersi

anche sulla Dataria, sulla Camera Apostolica e sulla Tesoreria,

oltre a fare anche un quadro della situazione degli organi

economici e finanziari romani come le dogane di Ripa e Ripetta, le

dogane delle Merci o di Sant’Eustacchio e la dogana della Grascia,

detta anche Tesoreria di Roma.

La struttura della finanza camerale secondo l’autore si

sovrapponeva a quella già esistente comunale e feudale.63 In

accordo con Reinhard,64 riporta la situazione della venalità delle

cariche e la nascita di tre importanti collegi: quello dei62 Cfr. BAUER, Studi per la storia delle finanze papali durante il pontificato di Sisto IV, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, Vol V, p. 321.63 Cfr. ibidem, p. 336.64 Cfr. REINHARD, Finanza pontifica, sistema beneficiale e finanza papale nell’età confessionale, cit.

40

Page 41: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Settantadue abbreviatori delle lettere apostoliche, quello dei

cento Sollecitatori, detti anche Giannizzeri, e quello dei

Settantadue Notai della Curia Romana.

Un lavoro interessante per conoscere l’economia dello Stato

della Chiesa è quello condotto dalla Lombardo sulla Camera Urbis. La

studiosa dedica due testi a questo argomento: uno più specifico

sulle dogane di Ripa e Ripetta e sul liber introitus del 1428 e il

secondo più generico sull’organizzazione amministrativa della

città di Roma. Il primo parla delle scritture contabili di Ripa e

Ripetta, del traffico di merci presente a Roma, delle navi e degli

armatori. Il secondo, partendo dagli statuti del 1363 e dalle

riforme intraprese da Martino V, espone la situazione della Camera

Apostolica: i suoi organi centrali e le sue strutture periferiche.

Dedica un capitolo, infine, alla Camera cittadina: parla del

sistema delle entrate e delle spese, del Liber Grossus e delle casse

che ricevevano le entrate. La Palermo trova, infine, che il lavoro

del Camerlengo era a volte simile a quello del Segretario di Stato

in quelle occasioni in cui si trovava a redigere, registrare e

spedire gran parte delle lettere papali e ribadisce la natura

collegiale della R. C. A., negando che vi possa essere la

possibilità di assimilarla ad un moderno ministero.65

Spizzichino, affronta il medesimo argomento trattando le

figure del Camerlengo Capitolino, del Giudice di Camera, del

notaio della Camera Capitolina, dei giudici collaterali,

dell’Avvocato Camerale e dell’Uditore del Camerlangato. Egli è

l’unico che fa una chiara distinzione tra l’Uditore del

Camerlangato, l’Uditore di Camera e gli Uditori privati del

Camerlengo. Presenta il Camerlengo Capitolino, descrivendo le sue

65 Cfr. M. L. LOMBARDO, La Camera Urbis. Premesse, cit. , p. 5.

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Page 42: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

mansioni tecniche nell’amministrazione e gli uffici di supporto

come il bollo del Registro delle gabelle, i Sali, i Tabacchi, le

Polveri, le Poste, la Grascia, l’Annona, le Strade e altri.

Pio Pecchiai, invece, tratta in special modo la rendita e le

spese, i vacabili e i monti, le dogane di Roma, le saline e le

miniere di Allume. In merito al rapporto tra il sistema economico

della città di Roma e quello statale, ha notato che spesso vi era

una confusione e i cittadini pagavano le tasse e le gabelle senza

sapere con certezza a chi andavano o per quale causa o servizio

erano state imposte; del resto il “porro unum est necessarium” e i

cespiti pagati al comune altro non erano se non una parte di

quelli statali. Interessanti, inoltre, sono i paragrafi dedicati

alla situazione dell’industria, dell’agricoltura e della

pastorizia. In essi vi è spiegata, secondo l’autore, in accordo

con quanto afferma Palermo, la motivazione della crisi che Roma

ebbe alla fine del XVI secolo e il suo ulteriore mancato sviluppo,

dovuto alla pressoché totale assenza di un sistema industriale;

infatti, solamente il settore legato all’edilizia era sviluppato a

Roma. Mentre, per quanto riguarda l’agricoltura, cita ed espone le

opere di riforma dei papi Clemente VII, Paolo IV, Gregorio XIII e

Sisto V, che si sono impegnati per la sua crescita nello Stato.

Palermo, curando la voce economica del testo Roma nel

Rinascimento, ci parla del sistema economico urbano rinascimentale,

della popolazione, dell’offerta di lavoro, dei consumi, della

rendita agraria, dell’indebitamento pubblico crescente, della

rendita immobiliare urbana e del progressivo appesantimento

dell’esazione fiscale, gravante sempre di più sulla platea dei

consumatori, tramite le imposte indirette, e degli scambi e delle

attività produttive tra il XV e il XVI secolo.

42

Page 43: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Anzillotti ha dedicato un testo allo studio delle finanze del

Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Egli ha analizzato i libri e i

conti del tesoriere, i libri della dogana dei Pascoli, i registri

delle tratte e del sale, i terratici delle tenute della Camera.

Attraverso lo studio del territorio della Tuscia, contributo

interessante anche per quei studiosi che si occupano della storia

locale, Anzillotti approfondisce la figura del tesoriere

provinciale, affermando che “la sua amministrazione costituiva il

nerbo delle finanze provinciali.”66 Oltre a ciò il testo offre una

nuova visione a chi si occupa della Camera Apostolica, presentando

per la zona del territorio di San Pietro in Tuscia, anche i beni

patrimoniali di proprietà della R. C. A., come terratici, canoni

di affitto delle tenute e dei beni immobili di sua appartenenza,

terre pascue, seminative e boschive.67

Angela Maria Girelli ha pubblicato un libro sulla genesi del

Catasto, sorto sotto il pontificato di Innocenzo XI(1611-1689). A

suo parere si è sentita la necessità di un simile strumento quando

Paolo III ha introdotto il Sussidio Triennale nel 1543. Esso,

infatti, ha costituito una vera e propria rottura secondo Stumpo.68

La Girelli, tuttavia, considera anche che la stessa imposta da

diretta sarebbe potuta facilmente trasformarsi in indiretta,

rendendo il mezzo del catasto completamente inutile. Questo

dibattito che ha lanciato nel suo testo è rimasto senza una

soluzione, permettendo ad altri di approfondire la sua ricerca o

di rimanere con il suo stesso dubbio.

Paolo Colliva si è interessato al Cardinale Albornoz e alla

pubblicazioni del documento scritto in lingua volgare delle66 Cfr. ANZILLOTTI, Cenni sul Patrimonio di San Pietro in Tuscia, cit. ,p. 350.67 Cfr. ibidem, p. 381.68 Cfr. STUMPO, Il capitale finanziario a Roma tra Cinque e Seicento. Contributo alla storia della fiscalità pontificia in età moderna (1570-1660), Milano, 1985, pp. 84-218.

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Page 44: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Constitutiones Aegidianae: la prima forma di amministrazione dello Stato

retto dai papi e il primo passo verso la nascita di uno Stato

della Chiesa. In un primo capitolo espone le valutazioni

storiografiche, poi passa alla restaurazione albornoziana. In

questo secondo capitolo, in particolare, Colliva parla dell’azione

romana del cardinale, dello scontro con i Visconti, della sua

attività di legato pontificio e della sua visione frammentata

dello Stato.

Penuti nell’ articolo apparso sulla rivista Annali dell’ Istituto

italo germanico di Trento si occupa delle visite che papa Peretti fece

fare a cinque Chierici di Camera per verificare e monitorare la

situazione della provincia, in vista di un progetto di riforma.69

Penuti vede queste visite nell’ottica di quelle riforme dei papi

del Cinquecento, tendenti ad accentrare il potere nelle loro mani.

Riporta, infine, gli esiti di queste verifiche e le proposte di

intervento, che sono: moderare le spese ordinarie, ricondurre in

pareggio i bilanci, allargare la base dei contribuenti,

individuare imposizioni alle quali far ricorso per i pesi camerali

e uniformare l’amministrazione delle entrate al sistema

dell’appalto.70

Tuccimei, invece, ha fatto uno studio sul Tesoro di Castel

Sant’Angelo, partendo dai depositi del 1300 fino al pontificato e

alle iniziative economiche di papa Peretti. Egli analizza

l’origine e la formazione dell’Erario Sanziore, la sua separazione

dall’Erario Vecchio, le fasi della sua formazione, attraverso le

tre bolle del 21 aprile 1586, del 6 novembre del 1587 e del 17

agosto del 1588, l’intangibilità del tesoro, la sua messa in

69 Cfr. PENUTI, Aspetti della politica economica nello Stato pontificio sul finire del Cinquecento, cit. p. 184.70 Cfr, ibidem, p. 201.

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Page 45: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

sicurezza, la formalità, le garanzie e le cautele, i locali, i

cassoni e le chiavi. 71

I lavori che consentono di avere un’idea sull’intera Camera

Apostolica, quindi, non sono molti e ormai risultano datati. I

testi recenti mostrano di voler trattare singoli aspetti

dell’istituto, settori, porzioni di competenza. Qui si è tentato

con il sostegno di questi ultimi di dare nuovamente una visione

complessiva della Reverenda Camera Apostolica, aggiornando il

materiale che già era stato scritto con gli studi ad esso

successivi e più specifici.

I TRIBUNALI APOSTOLICI

Il canone 1442 asserisce che “il Romano Pontefice è giudice

supremo in tutto l’Orbe cattolico” e determina che lo stesso “può

giudicare personalmente, tramite i tribunali ordinari della Sede

Apostolica oppure per mezzo di giudici da lui delegati.”

I primi tribunali ecclesiastici sorsero in epoca romana,

quando i cristiani, rifiutando la giurisdizione dei tribunali

pagani, decisero di crearne di propri per dirimere le proprie

questioni; in seguito, quando il cristianesimo fu accettato ed

anzi divenne una religione di Stato,72 essi furono inglobati nel

sistema romano. Erano i vescovi a rivestire il ruolo di giudice.

Nel Medioevo, con il crescere delle competenze e del potere

dei papi, sia quello spirituale che quello temporale, aumentarono

anche le prerogative di questi tribunali, inglobando al loro

interno l’intero arco delle relazioni umane.

71 Cfr. TUCCIMEI, Il tesoro di Castel Sant’Angelo, cit. 72Nel 380 d. C. per volere dell’imperatore Teodosio.

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I primi funzionari di Stato chiamati a sostenere il papa nell’

amministrazione della giustizia furono i Giudici palatini

coordinati da un Primicerio, dal Nomenclatore e dal Sacellario.

Operavano principalmente nel territorio della città di Roma ed

erano sottoposti alla sua amministrazione. Il processo che portò

all’accentramento del potere operato dai vertici della Santa Sede

già a partire dal pontificato di Gregorio VII (1073-1085), limitò

le prerogative di questa figura di collaboratore pontificio fino

alla sua definitiva scomparsa nel XIII secolo.73

A partire da questo momento tribunali sorsero e si

svilupparono nel corso dei secoli su tutto il territorio

pontificio, ogni città aveva la sua Rota, che gestiva potere e

competenze secondo il grado di autonomia posseduto rispetto al

potere centrale. A Roma, città che ha sempre e per ovvie ragioni

esercitato un ruolo chiave nello Stato della Chiesa, esistevano

diversi tribunali: vi erano quello del Governatore, quello del

Senatore, quello della Curia di Borgo, della curia Savelli, il

tribunale del vicario, dell’ Auditor Camerae e altri minori.74

Il tribunale del Governatore era l’organo principale

cittadino, la sua competenza si estendeva su tutta Roma e sul suo

distretto e esercitava il potere su chierici, laici, privilegiati

e non. Le sue sentenze erano inoppugnabili e irrevocabili, poteva

utilizzare il rito sommario e punire con censure ecclesiastiche;

godeva del diritto di prelazione, che gli consentiva di occuparsi

di cause di altri tribunali, mentre altri organi giudiziari non

potevano giudicare cause di sua spettanza.

73 Cfr. W. M. PLOCHL, Storia del diritto canonico, vol. II, Milano, p. 87. 74 Cfr. I. POLVERINI FOSI, Fonti giudiziarie e tribunali nella Roma del Cinquecento, problemi metodologici per una ricerca di demografia storica, in Popolazione e Società a Roma dal medioevo all’età contemporanea, a cura di E. SONNINO, Il calamo, Roma, 1998, p. 592.

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I Capitula declaratoria iurisdictionum Curiarum Urbis, promulgati da Sisto

IV nel 1473, stabilivano che il tribunale del Governatore aveva un

ruolo di garante della giustizia urbana e poteva ridistribuire le

cause tra i diversi organi giudiziari, se qualcuno si appellava al

suo giudizio. Infine, verificava l’operato di magistrati quali

notai e malefici, che spesso venivano scoperti a commettere frodi,

pericolose per la solidità del sistema da poco costituito.

Lo storico Marta nel suo Tractatus de tribunalibus urbis et eorum

praeventionibus del 1589, confronta il tribunale del Governatore con

la magistratura del Praefectus urbis, di origine romana e nota che vi

sono delle somiglianze tra i due uffici; infatti anche il Prefetto

aveva la precedenza sulle altre cariche, non necessitava di

intermediari, svolgeva un ruolo di controllo e poteva intervenire

nelle questioni sorte all’interno di altri tribunali, punendo i

colpevoli e ristabilendo la pace. La tesi esposta da Marta voleva

dimostrare che la carica di Governatore non doveva più essere

vista come una novità nel panorama delle amministrazioni, ma come

un segno di continuità con la tradizione giuridica romana.

Il tribunale del Senatore, detto anche della Curia Capitolina,

si componeva di sei giudici, che duravano in carica sei mesi.

Lavoravano all’interno del palazzo senatorio quasi da reclusi ed

erano circondati dal fasto e dalla ricchezza. Le cause che

trattavano erano sia civili che penali e riguardavano sia laici

che ecclesiastici, sia cives che incolae, purché risultassero romani e

privi di qualsivoglia relazione con la Curia pontificia. Dalla sua

giurisdizioni erano esclusi, in base alla Decet Romanum Pontificem

del 1512: i campsores, i notabiles, i mercatores Romanam Curiam sequentes, gli

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oratores principum, gli aliarum Communitatum familiares cardinalium, i continui

tamen commensales o gli officiales Romanae Curiae.75

Solitamente si chiedeva al tribunale di risolvere questioni

riguardanti l’esecuzione di testamenti e dei legati notarili, le

questioni datali e l’attribuzione del tutorato ai minori.76

Con la bolla Dum singularem e del 1512 e del 1513 il papa

Medici ripristinava le antiche prerogative dei tribunali

cittadini, mentre fu nel 1514 che operò nuove riforme a favore di

quello del Governatore mediante la Etsi pro cunctarum, la quale

autorizzava il suddetto tribunale a occuparsi anche delle cause

sia civili che criminali, sia spirituali che temporali, dei

cittadini romani; tuttavia la manovra del papa non riuscì e le

autonomie locali continuarono a fare le loro richieste al potere

centrale per tutto il XVI secolo. Così, ancora nel 1566 il

Campidoglio chiedeva che fosse totalmente reintegrata la

giurisdizione del Campidoglio, che fossero osservate le norme

statutarie e che i cittadini potessero essere convocati soltanto

dal Campidoglio.

Nel 1580 i nuovi statuti prevedevano la presenza di tre

giudici, scelti in base ad un procedimento di estrazione a sorte.

Il loro numero veniva, quindi ridotto e il senatore non aveva più

il potere di nominarli in prima persona. Queste modifiche resero

la figura di giudice capitolino più autorevole.77

Lo stesso Marta nel 1589 si occupò anche del tribunale del

Senatore, così come aveva fatto per quello del governatore; in

75 Cfr. A. CAMERANO, Senatore e Governatore. Due tribunali a confronto nella Roma del XVI secolo, in Roma moderna e contemporanea, Università degli Studi di Roma Tre, Roma, 1997, V/1, p. 49.76 Cfr. L’amministrazione della giustizia e dei poteri civici, in Roma nel Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 2001, p.114.77 Cfr. A. CAMERANO, Senatore e Governatore, cit. , p. 56.

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Page 49: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

questo caso lo storico aveva notato delle somiglianze tra la

carica del senatore e quella del Pretore romano.

A partire dagli anni Novanta del secolo, infine, il tribunale

cittadino non fu più al centro degli interessi dei papi, i quali

preferivano indirizzare i loro progetti di riforma verso i

Conservatori

La curia di Borgo nacque per volere di Giulio III nel 1550.78

Il governatore, che oltre a tale carica era anche nominato

Capitano generale della Guardia di sua Santità, era nella maggior

parte dei casi un parente del pontefice. Era chiamato a nominare

un notaio e un procuratore fiscale, il quale aveva la competenza

di trattare tutte le cause criminali, percependo per il suo

operato la terza parte di ciò che spettava al giudice per cause

riguardanti decreti e tasse e un centesimo degli incameramenti e

delle confische. Trattava materie molto ampie, poteva infatti

giudicare cause sia civili che penali e infliggere anche pene

capitali, oltre ad occuparsi anche dell’ordine pubblico con il

supporto di quindici bargelli a sua disposizione, ma la sua

competenza era limitata ad un territorio piuttosto ristretto;79

infatti esso corrispondeva al borgo della città leonina, voluta da

Leone IV a seguito dell’assalto alla tomba di Pietro da parte dei

Saraceni nell’ 846 d. C. Il suo territorio andava dalla porta

dell’Adrianeo, presso Castel Sant’Angelo, fino alla porta

Settimiana e al suo interno, oltre ad esserci la residenza del

papa, vi abitavano anche degli stranieri che non accettavano di

essere soggetti alla giurisdizione ordinaria.

78 Cfr. N. DEL RE, La curia capitolina e tre altri antichi organi giudiziari romani, Collana Marco Besso, Roma 1993, pp. 134.79 Cfr. I. POLVERINI FOSI, Fonti giudiziarie e tribunali nella Roma del Cinquecento, cit. , p. 596.

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Pio IV nel 1562 si preoccupò di far sì che la struttura

giuridica avesse le stesse caratteristiche delle altre presenti a

Roma e nelle località governate dal papa; così la munì di carceri

e diede al giudice la possibilità di beneficiare della quarta

parte delle confische, delle retribuzioni delle cause e di quei

beni che risultavano privi di eredi.

Gregorio XIII restrinse i poteri del tribunale, impedendogli

di giudicare cause riguardanti religiosi, familiares del papa,

campsores, mercatores, officiales Romanam Curiam sequentes, nationes straniere,

enti assistenziali, luoghi di devozione e una serie di cause di

tipo civile e fiscale che risultarono di competenza della Camera

apostolica e non più del tribunale di Borgo.

Tutto ciò provocò un allontanamento dei cittadini di Roma da

questo tribunale, che non era più in grado di occuparsi delle loro

vertenze e che finì per considerarsi obsoleto.

La Curia Savelli si sviluppò quando la famiglia che portava

questo nome prese possesso del nuovo organo giudiziario nella

prima metà del secolo XV. Il responsabile di questo nuovo

apparato, chiamato Maresciallo era dipendente del Vicecamerlengo e

Governatore di Roma. Una prima restrizione si ebbe già con i

Capitula declaratoria iurisdictionum Curiarum Urbis del 12 luglio 1473; i

quali stabilirono che il collegio giudicante si doveva occupare

soltanto di “qui sequntur Curiam laici tam mares, quam foeminae,

et non alii.” Ulteriori limitazioni si ebbero con Giulio III

attraverso la costituzione Decet Romanum Pontificem del 28 marzo 1512.

Infine la costituzione Dum recte administrandae del 27 gennaio 1575

fissò più dettagliatamente la durata, il compenso e gli uffici a

disposizione del Maresciallo: egli non doveva ricevere alcun

compenso per la sua attività, che doveva durare un anno con la

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possibilità di una riconferma della durata di altri dodici mesi,

al termine del mandato doveva presentarsi davanti al Governatore

di Roma e davanti all’Uditore Generale, chi era carceriere o

capitano non aveva la possibilità di vendere il proprio ufficio, a

meno che non volesse perdere la propria carica e essere frustato

in pubblico; infine nel tribunale dovevano lavorare solo due

notai, mentre la sua corte d’appello era quella dell’Uditore

generale della Reverenda Camera Apostolica.80

Un altro tribunale importante romano era poi l’Auditor camerae,

che insieme a quello del vicario, si occupava di cause riguardanti

chierici ed ebrei. Secondo la bolla Decet Romanum Pontificem del 28

marzo 1512 esso esercitava la sua giurisdizione su ambasciatori,

banchieri, rappresentanti di comunità e familiari di cardinali e

si occupava di cause riguardanti delitti successi a Roma e nel

territorio pontificio.

La Segnatura Apostolica

Il tribunale della Segnatura Apostolica era uno di quegli

uffici della Santa Sede che offriva la possibilità ai funzionari

che vi lavoravano di intraprendere una carriera all’interno della

Curia. In tale ufficio avveniva la schedatura delle suppliche; il

papa stesso o il vicecancelliere gestivano questo tipo di

documentazione per “concesso” o per “concesso in presenza del

nostro papa.”

80 Cfr. N. DEL RE, La curia capitolina e tre altri antichi organi giudiziari romani, cit. , p. 114.

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Page 52: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Le suppliche, che inizialmente erano fatte a viva voce e

rivolte a cardinali e cappellani chiamati auditores,81 a partire dal

XIII secolo, furono composte da scrivani pubblici o dallo stesso

oratore per iscritto e nel tempo seguirono formulari specifici di

compilazione per facilitarne l’analisi.

Non è possibile conoscere con esattezza quando il tribunale

entrò in funzione, ma certamente a partire dalla seconda metà del

secolo XIII vi operavano dei relatori, chiamati a esaminare

richieste che, filtrate dall’organo giuridico, erano presentate al

pontefice.82

Diversi, infatti, sono stati gli storici che hanno cercato

quale fosse l’origine di questo ministero tra i quali Lunadoro,83

Cohellus,84 il card. De Luca,85 Danieli,86 Villetti,87 il vescovo di

81 Cfr. RAMOS, I tribunali ecclesiastici: costituzione, organizzazione, norme processuali, cause matrimoniali, Millennium Romae, Roma, 1998, p. 177.82 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana, cit., p.212.83 Cfr. Relatione della corte di Roma e de riti da osservarsi in essa e dei magistrati et offitii con la loro distinta giurisditione, 1611; nel 1830 con il titolo: Relazione della corte di Roma, ritoccata, accresciuta e illustrata da Fr. Zaccaria, ora di nuovo corretta, P.I. , I-II, Roma, 1824. 84Cfr. Notitia Cardinalatus, in qua nedum de S.R.E. Cardinalium origine, dignitate, proeminentia et privilegiis sed de praecipuis Romanae Aulae Officialibus uberrime pertractatur. Opus nemini iniunctundum, at in Romano Foro versantibus utilissimum, Romae, 1653.85 Cfr. Relatio Romanae Curiae forensis eiusque Tribunalium et congregationum, in Theatrum Veritatiset justitiae..., Roma, 1673, liber XV, pars. II ; idem, Il cardinale della S.R. Chiesa pratico. Nell’ozio Tuscolano della primavera dell’anno 1675 con alcuni squarci della relazione di corte circa le congregazioni e le cariche cardinalizie, Roma, 1980; idem, Il dottor volgare, ovvero il compendio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale nelle cose più ricevute in carica dal Card. Giambattista De Luca e dal medesimo moralizzato in lingua italiana, I-IV, parte III, della Relazione della Curia Romana Forense non già della corte.86 Cfr. P. A. DANIELI, Institutiones canonicae, civices et criminales cum recentiori praxi romanae, Curiae, Romae, 1759, IV.87Cfr. A. VILLETTI, Pratica della Curia Romana che comprende la giurisdizione dei tribunali di Romae dello Stato e l’ordine giudiziario che in esso s’osserva, Stamperia di Antonio fulgoni, Roma1781.

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Page 53: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Sarno Gomez,88 Giovanni battista Marchesani,89 Jacopo Giandemaria,90

Francesco Antonio Vitale,91 Gaetano Moroni,92 Giuseppe Fameli93 e

Rosario Fiamingo,94 senza però arrivare a nessun risultato.95

In una prima fase, a partire dal pontificato di Innocenzo III

( 1198-1216), furono i notai della Cancelleria Apostolica a

svolgere queste mansioni in collaborazione con gli abbreviatori, i

quali per il loro operato erano tenuti a prestare giuramento in

presenza dello stesso vicecancelliere; lentamente il lavoro di

analisi delle suppliche fu affidato totalmente nelle mani di

questi funzionari;96 successivamente, già a partire dal pontificato

di Innocenzo IV (1243-1254), l’intero lavoro passò nelle mani di

specifiche figure chiamate referendari, le quali non erano sorte

in quegli anni, ma erano presenti già nelle corti dell’Impero

Romano. Tra i referendari del periodo imperiale vi erano Ulpiano97

e Papiniano,98 in seguito lo stesso Giustiniano ebbe dei88 Cfr. Commentaria in regulas Cancellariae Iudices quae usu quotidiano in Curia et foro saepe versantur…quae utriusque Signaturae compendium ac quingentas fere novissimas Rotae decisiones continent…Venetiis, M. Tramezzini, 1540.89 Cfr. Commissionum ac rescriptorum utriusque Signaturae , S.D.N. papae praxis sive tractatus, Romae,1615, 3v.90 Cfr. Riflessioni sopra la costituzione LXXXVIII d’Alessandro VII…per l’evoluzione del collegio de’referendari d’ambedue le Segnature di Grazia e di Giustizia, Parma, Alberto Pazzani e Paolo Monti, 1693.91 Cfr. De iure Signaturae iustitiae in ordine redacto, Romae, ex. Tipografia De Rubeis, 1756,Editio altera ab eadem aucta et ercognita, romae Of. Salamoniana, 1789.92 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S, Pietro sino ai nostri giorni,Dalla Tipografia Emiliana, Venezia, 1841.93 Cfr. G. FAMELI, Sulla competenza del supremo tribunale della Segnatura Apostolica, consultazione canonica con riscontri di diritto civile antico e moderno, Roma, Tipografia Unione Editrice, 1916.94 Cfr. R. FIAMINGO, La Sacra Romana Rota e la Segnatura, in Il diritto ecclesiastico e rassegna di diritto matrimoniale, 43, (1932).95 Cfr. C. ORTI, Il supremo tribunale della Segnatura Apostolica, in Dilexit iustitiam. Studia in honorem Aurelii Card. Sabattani, Città del Vaticano, 1984pp. 170-172. 96 Cfr. KATTERBACH, Referendarii utriusque Signaturae a Martino V ad Leone XIII, Biblioteca Apostolica Vaticana, MCMXXXI, p.XI.97 Giurista romano, visse nel III secolo d. C. e scrisse circa 280 volumi che diventarono la fonte principale della dottrina giuridica.98 Giureconsulto romano, che visse tra il II e il III secolo, fu prima magister libellorum, successivamente ebbe la carica di prefetto del pretorio di Settimio

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referendari di propria fiducia e anche tra i barbari vi era chi

aveva questo ruolo. Nello Stato della Chiesa si può con qualche

forzatura ritenere che gli antenati dei referendari fossero i

sette giudici palatini, anche se non si è riusciti a trovare un

diretto collegamento tra le due tipologie di magistrati. Giovanni

Diacono99 ha ritenuto che costoro fossero in origine consiglieri

del pontefice, i quali in un secondo momento assunsero il nome di

referendari. Questi impiegati operarono nella Curia in un periodo

compreso tra il VI e il X secolo, vi è una testimonianza di ciò

nelle cause trattate coram pontifice, che il papa talvolta affidava al

loro giudizio; oltre a questo ruolo i funzionari sopra menzionati

potevano concedere grazie e amministrare la giustizia per conto

del Capo della Santa Sede. Scomparvero tra XI e il XII secolo,

quando iniziarono a potenziarsi gli uffici della Cancelleria,

della Dataria, della Camera Apostolica, della Rota e della

Penitenzieria. Prima della venuta dei referendari erano i notai ad

occuparsi delle suppliche e a poterle cestinare, se non erano

conformi allo schema di redazione che era stato per loro studiato;

nello svolgere questo lavoro erano supportati dall’operato degli

abbreviatores notariorum. La Curia Romana provvide a creare uno schema

di supplica a partire dal XII secolo, che ovviamente veniva

opportunamente modificato secondo il tipo di supplica. Il

cardinale Giacomo Guala Bicchieri ( 1167-1227) nel suo Libellus de

formis petitionum secundum cursum Romanae Curiae raccolse questi

formulari.

Chi aveva bisogno di un supporto per redigere questo tipo di

documentazione perché o non era capace di fare le richieste, o non

voleva occuparsi dell’aspetto burocratico delle medesime, siSevero. Fu autore di molte opere.99 Cfr. J. DIACONUS, Vita S. Gregorii Magni, lib. 2, n° 11 (m.l. 75, col. 92)

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poteva rivolgere a figure specifiche che, posizionandosi nei

pressi del Palazzo Lateranense, dove si trovava la Cancellaria,

erano chiamate a comporre lo schema di una supplica.

In questo periodo apparvero per la prima volta i referendari.

Gli impiegati della Segnatura apostolica, a differenza degli

impiegati della Cancelleria, avevano con il papa un rapporto di

maggiore familiarità e confidenza e riunivano in loro i compiti

dei consiglieri del pontefice, dei giudici curiali e dei notai.

Mentre, però le prime due cariche scomparvero con l’arrivo dei

referendari, la terza, quella dei notai rimase, pur vedendo

ridursi le proprie competenze, fino a scomparire del tutto quando

il numero dei referendari aumentò visibilmente. Il primo che

ufficialmente ebbe questa carica fu lo spagnolo Petrus Roderici,

vicino a papa Bonifacio VIII. Per tutto il suo pontificato di

Bonifacio VIII fino a quello di Clemente V erano pochissimi i

Referendari.

Il nome Segnatura derivò dal fatto che il compito che doveva

svolgere chi vi lavorava era di porre sulle suppliche presentate

un particolare fiat, fiat ut petitur, fiat et dispensamus o fiat motu proprio.

Queste formule erano utilizzate per indicare che il documento era

stato visionato dal tribunale.100 Successivamente la supplica veniva

firmata dal papa con una sigla riportante l’iniziale del suo nome

di battesimo. Allora l’intera carta prese il nome di Segnatura.101

In un primo tempo i nuovi funzionari dovevano soltanto aver cura

delle domande di grazia e ricevere le suppliche, poi il loro ruolo

crebbe sia per prestigio che per responsabilità, tanto che le

suppliche che venivano fatte oralmente già a partire dal

100 Cfr. F. DELLA ROCCA, Tribunali ecclesiastici in Novissimo digesto italiano, vol 19, Unione tipografica, Torino, 1973, p. 753.101 Cfr. C. ORTI, Il supremo tribunale della Segnatura Apostolica, cit. , p. 175.

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pontificato di Innocenzo III (1198-1216) iniziarono a essere

composte per iscritto.

La supplica doveva essere scritta nella prima metà di un

foglio di carta papiracea, l’intestazione doveva contenere il nome

della diocesi di origine o la residenza dell’oratore; vi doveva

essere esposto, in forma sintetica, l’argomento che si voleva

trattare. Il testo doveva iniziare con una supplica rivolta al

pontefice, Beatissime Pater, a cui doveva seguire la richiesta,

supplicat Sanctitati Vestrae devotus orator quotenus…dispensare (vel restituire,

reintegrare, commettere, etc…) degnimini de Gratia speciali, la cui conclusione

consisteva in una formula che poteva essere scelta tra le

seguenti: non obstantibus proemissis oppure et cum obsolutione. Si usava

prevalentemente il latino, anche se non mancarono, quando si

trattò di pontefici provenienti dalla Francia come durante il

pontificato di Innocenzo VI (1352-1362), scritti in francese o

composizioni in italiano come durante il pontificato di Niccolo V

(1447-1455).102

Già a partire dal 1342 le suppliche furono raccolte in

registri e conservate fino ai giorni nostri. Essi contengono novae

provisiones, resignationes, cessiones, surrogationes, coadiutoriae, dispensationes,

indulgentiae, absolutiones, commissiones, reformationes, prorogationes, uniones

beneficiorum e moratoriae.

Questi documenti costituiscono un materiale prezioso per gli

storici, poiché contengono i nomi delle persone che hanno fatto le

richieste al papa e altre informazioni utili a loro riguardo.103

Ogni persona poteva rivolgersi al Santo Padre per presentare le

proprie suppliche. Vi erano, infatti, laici provenienti da diversi

102 Cfr. ibidem, p.176.103 Cfr. B. KATTERBACH, Inventari dell’archivio segreto vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Città del Vaticano, 1931, p. IX.

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ceti sociali come re, principi, nobili, cavalieri, militari e

semplici cittadini; così come potevano presentarsi confraternite,

università e capitoli. Le stesse istanze cambiavano così come le

personalità che erano autori delle richieste: si poteva chiedere

la grazia per ottenere benefici ecclesiastici, dispense

matrimoniali o di voti religiosi, licenze varie, giudici speciali

o titoli nuovi.

I registri nel corso dei secoli ebbero diverse collocazioni:

nel periodo avignonese si trovavano nella stessa sede del Palazzo

Apostolico fino al pontificato di Urbano VI (1378-1389) che li

volle spostare nella rocca di Lucera. Bonifacio IX li portò a

Castellamare di Stabia l’11 febbraio 1390, affinché fossero

collocati “ad presenciam nostram et ad Cameram apostolicam.”

Alcuni volumi, poi, si persero in questi spostamenti e nel corso

di rivoluzioni come quella del 1405 contro Innocenzo VII.

I documenti contenenti le suppliche del pontificato di Martino

V furono poste prima a Costanza, poi a Firenze, successivamente a

Roma nel convento di S. Maria sopra Minerva e nel 1428 nel palazzo

apostolico presso la Chiesa dei Dodici Apostoli. Sotto il

pontificato di Paolo II (1464-1471) furono collocati presso la

chiesa di Santa Maria in via Lata e successivamente trovarono

collocazione all’interno delle sale del Palazzo Vaticano.

Ogni volume è composto da 300 fogli che misurano 420 per

290mm, ad eccezione di alcuni che risultano di dimensioni

inferiori, come ad esempio quelli riguardanti i pontificati di

Clemente VII e Paolo III. I volumi possono essere composti anche

da più di quindici fascicoli. Il primo è numerato con 1, il

secondo con 21 e così di seguito.104

104 Cfr. ibidem, p.XIII.

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I documenti raccolti in questa maniera venivano rilegati.

Infatti, nelle note poste alla fine di diversi volumi del XV

secolo si trova la scritta “computatus pro legatura.”

La parte più antica dei registri è costituita dai volumi del

registro pubblico o comune e dai volumi segretorum, che si trovano

conservati a partire dal pontificato di Leone X (1513-1521).105

Successivamente nei secoli XV e XVI vennero catalogati anche

quelli definiti officiorum, che riguardavano suppliche per le nomine

di impiegati, quelli definiti mandatorum segretorum e quelli

nominationum ad pensiones et canones.

Nel periodo comprendente i secoli tra il pontificato di

Martino V (1417-1431) e quello di Sisto IV (1471-1484) vi era

anche una distinzione nei titoli fra i libri per fiat ed i libri per

concessum. I primi indicavano le suppliche firmate dal papa o da un

referendario per concessum in presentia, i secondi si caratterizzavano

per il fatto che le suppliche erano firmate dal vicecancelliere o

dal reggente della Cancelleria.

La maggiore produzione di testi per concessum si ebbe all’inizio

del pontificato di Martino V (1417-1531). Successivamente essi

furono solo uno o due l’anno. Sotto i pontificati di Paolo II

(1464-1471) e Sisto IV (1471-1484) vi fu una forte riduzione di

volume di queste raccolte, tanto che sette libri formarono due

volumi durante il pontificato di Paolo II e durante il pontificato

di Sisto IV otto libri costituirono un solo volume.

La Segnatura del vicecancelliere finì quando sul soglio

pontificio sedeva proprio Sisto IV, quindi nei registri non si

trovò più né il titolo per concessum né quello per fiat, in quanto non

c’era più motivo di fare la distinzione tra i due.

105 Cfr. ibidem, p.XVIII.

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Talvolta capitava che alcune di queste carte presentassero

illustrazioni o ornamenti; oggi essi si mostrano con frequenti

macchie, lesioni e corrosioni che Katterbach, nella sua analisi

non manca di evidenziare.106

Durante il Concilio Tridentino (1545-1563) si parlò anche di

riformare il sistema delle suppliche e l’attività dei referendari:

Primus quidam abusum in Segnatura perspicitur infinitus prope refferendariorum

numerus; sunt enim ultra quadraginta utriusque Signaturae referendari.107

Il primo documento ufficiale che nominava i funzionari della

Segnatura risale al 1404, nel periodo dello Scisma d’Occidente.108

In esso era spiegato che i referendari dovevano riunirsi in

determinati giorni della settimana, all’interno del Palazzo

apostolico. Le assise potevano svolgersi ad gratis expediendas

supplicationes de iustitia oppure ad expediendas per concessum, dipendentemente

dal fatto che si volesse seguire più propriamente la via della

giustizia o si volesse ottenere un provvedimento di grazia da

parte del pontefice. Le suppliche, infine, venivano consegnate ai

funzionari in base alla loro provenienza geografica.

Durante il Concilio di Costanza (1414-1418) fu deciso di

ridurre il loro numero a sei: Referendarii non sint ultra sex homines

excellentes et in iure famosi et integerrimae vitae et assumantur cum maioris partis

cardinalium et de omni natione.109 Tuttavia il pontificato di Martino V

( 1417-1431) vide la presenza di settantacinque referendari.

106 Cfr. B. KATTERBACH, Inventari dell’archivio segreto vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Città del Vaticano, 1931.107 Concilium Tridentinum, Ed. Societas Goerresiana, XIII Friburgi in BR, 1938, pp. 240-245.108 Periodo compreso tra il 1378 e il 1417 in cui papi e antipapi si succedetterosul trono di Pietro combattendosi a vicenda.109 ? Cf. Acta Concilii Constanciensis, herausgegeben von H. Finke, II, Muster, 1932, p. 647.

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Eugenio IV (1431-1447) offrì loro la possibilità di siglare

le suppliche, secondo la formula: “ Concessum in praesentia domini

nostri papae, ut petitur.” La differenza principale tra i

referendari e coloro che lavoravano nella vicecancelleria

consisteva proprio nel fatto che i primi avevano questo potere

soltanto quando il pontefice era presente.

Sisto IV nella bolla non pubblicata De reformanda Curia Romana

stabilì che ci dovessero essere sei referendari a disposizione

della Segnatura di Grazia e uno per la vicecancelleria.

In un secondo momento fu fatta la distinzione tra la Segnatura

di Grazia e quella di Giustizia; la prima era più legata a

questioni di carattere amministrativo, mentre la seconda si

occupava di attività riguardanti più specificatamente il diritto.

Non si è sicuri sull’anno in cui fu attuata la distinzione tra le

due Segnature: alcuni storici ritengono che sia stato Innocenzo

VIII a volerla, tramite la costituzione Officii nostri debitum del 25

gennaio 1491, con essa il papa decise che i referendari dovevano

gestire le cause che gli altri Stati affidavano alla Santa Sede e

concesse loro di risolvere le questioni di spettanza del tribunale

a nome del papa; altri come il Moroni pensano che sia stato

Alessandro VI nel 1492 a dividere i due tribunali,110 definendo con

maggior attenzione i compiti spettanti a ciascuna sezione della

Segnatura. 111 A partire da Giulio II (1503-1513) i due tribunali

erano già perfettamente separati.

La Segnatura di Giustizia andava configurandosi come un vero

e proprio tribunale, avente per ogni dicastero il suo prefetto, un

segretario chiamato auditor e diversi referendari. Giuseppe Beltrami

110Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, p. 223 111 Cfr. L. SPINELLI, Segnatura apostolica, (Supremo tribunale della ) in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1989, p. 76.

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nel suo volume riporta in ordine cronologico questi funzionari del

tribunale secondo la data del breve di nomina, citando anche la

collocazione di archivio con la quale sono conservati tali

documenti.112

Per accedere ai servizi di questa struttura curiale bisognava

pagare una somma di denaro. Così facendo dai decreti del prelato

uditore, si poteva passare all’uditore di camera del cardinale

prefetto, fino a raggiungere la piena Segnatura, la quale si

occupava di quelle cause che erano già in corso chiamate

commissiones. Esse offrivano la possibilità di impugnare sentenze

come quelle di appello, la querela nullitatis o la restituito in integrum, ma

consentivano di seguire anche cause provenienti da altri

tribunali.113 Il papa aveva solo il compito di garantire una più

efficace tutela dei diritti riconosciuti, quella che oggi viene

chiamata “certezza del diritto,” senza entrare nel merito delle

questioni.

La Segnatura rivedeva le sentenze e i decreti dei giudici

ordinari prima di stabilire se accettare o meno di occuparsi del

loro appello e aveva il potere di stabilire a quale giudice

affidare le cause sottoposte al suo giudizio, le quali per una

prima analisi finivano nelle mani del prelato uditore secondo la

formula “ previa circumscriptione actorum factotum in Curia N.

declarari Causam spectare ad Curiam N., attenta obbligatione

Camerali,” ovvero “attento privilegio legis unicae”, ovvero

“attenta praeventione et pendentia litis.” 114

112 Cfr. G. BELTRAMI, Notizie su prefetti e referendari della Segnatura apostolica desunte dai brevi di nomina, Città del Vaticano, 1972.113 Cfr. P. MONETA, Segnatura apostolica (Supremo tribunale della) in Enciclopedia del diritto, vol 41, Giuffrè, Milano 1989, p. 941.

114 A. VILLETTI, Pratica della Curia Romana che comprende la giurisdizione dei tribunali di Roma e dello Stato e l’ordine giudiziario che in esso s’osserva, Stamperia di Antonio fulgoni, Roma

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Page 62: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Ampio era il numero delle clausole sospensive, che si

adattavano alle situazioni che di volta in volta venivano

approfondite. Tra queste vi era la clausola De appellatione, usata in

tutti i giudizi ordinari, che aveva il potere di sospendere il

giudizio, di ridurre la causa a giudizio ordinario e di non

rendere più valido tutto quello che era stato deciso in

precedenza; la clausola Constito quod sit locus Aegidianae, che derivava

direttamente dalla costituzione redatta dall’Albornoz, ma non

aveva efficacia nei casi riguardanti chierici; la clausola Si quid

exequendum, che aveva effetto soltanto nei giudizi esclusivamente

esecutivi, sospendeva ciò che era stato deciso nel primo giudicato

e la sua presenza condizionava anche quelle situazioni che

implicavano l’esecuzione delle lettere apostoliche, lasciando al

giudice la decisione se far eseguire o meno il primo giudicato e

la clausola Alteri cum facultate manutenendi quem de jure, che era usata nei

giudizi sommissimi riguardanti la manutenzione di mobili e

immobili tenuti in possesso di qualcuno. Ve ne erano, però, anche

altre. Alcune erano dette devolutive, in quanto non sospendevano

il giudicato: le clausole De Causis sine praejudicio Rei judicatae, Non ritardata,

Parito, Ab excessiva e infine la clausola Nihil, che veniva usata quando

non si concedeva nessun appello e il giudicante era obbligato ad

obbedire al giudicato.115

La Segnatura di Grazia, invece, finì per occuparsi solo delle

cause ex bono et aequo quae indigent suprema extraordinaria Principis potestate. Lo

stesso papa la dotò della figura di un prefetto. I suoi componenti

avevano solo un potere consultivo, mentre era sempre il pontefice

ad avere quello decisivo. Non erano molto frequenti le riunioni di

questo tribunale, infatti, poteva capitare che passassero anche1781, pp. 124-125.115 Cfr. ibidem, pp.139-140.

62

Page 63: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

degli anni senza che questo organo operasse. Le cause che venivano

trattate al suo interno riguardavano quelle questioni che non si

potevano giudicare nella segnatura di Giustizia e potevano far

riferimento a cause arrivate in Curia dai cardinali legati che

lavoravano nelle province, oppure a cause di congregazioni in

attesa del giudizio di altre congregazioni, oppure ancora a cause

che riguardavano chirografi, o ancora a cause che avevano visto

negarsi l’appello dalla Segnatura di Giustizia o da altri

tribunali, o a cause che per trovare soluzione necessitavano di

una riforma costituzionale o legislativa, o ancora a cause che il

papa aveva il desiderio di visionare o giudicare in prima persona.

Infine coloro che lavoravano nella Segnatura di Grazia dovevano

aver precedentemente trascorso tre anni nella Segnatura di

Giustizia.

Per ricorrere a questo tribunale c’era bisogno di ottenere il

consenso dell’uditore del papa e le cause dovevano essere a lui

destinate. Spesso si trattava, quindi di una corte di appello per

questioni di una certa delicatezza istituzionale.

Adriano VI (1534-1549) nel 1522 volle diminuire il numero dei

referendari e li ridusse a trenta per tagliare le spese della

Curia pontificia, non risparmiandosi critiche da parte di chi,

agendo il papa in quel modo, vedeva ridotti i propri privilegi e

poteri.116

Paolo III tramite la costituzione Debita consideratione del 30

luglio 1540 stabilì : “…Referendarii nostri, qui, prae caeteris

officialibus et ministris nostris, propinquius nobis assistunt

circa ipsas supplicationes et commissiones…gratis prompta

voluntate, indefesse laborant…” Infatti, se non si vogliono116 Cfr. ibidem, vol. LXII, p. 3.

63

Page 64: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

considerare i grandi favori di cui godeva questa carica, chi era

referendario doveva trovarsi ad avere più oneri che onori, poiché

non riceveva alcuno stipendio per il proprio operato e si trovava

a dover risolvere spesso anche cause molto spinose, per le quali

era richiesto tempo, solitamente uno o due giorni, e cura e che

frequentemente erano già state analizzate più volte dalla Rota.

Questi impiegati ricevevano solo il necessario per il proprio

sostentamento, dipendevano dalla Curia e quindi non ricevevano una

ricompensa dalle parti in causa nei processi. Ciò fu considerato

il segno di quanto fosse potente la Curia Romana e di quanto

fossero privi di avarizia e di incorruttibilità i funzionari della

Segnatura.117

Lo stesso documento conteneva, però anche Privilegia et gratiae

praelatorum referendariorum utriusque Signaturae Romani Pontificis. Essi potevano

dividersi in privilegi spirituali-liturgici, giuridici e

onorifici. Si trattava di poter legittimare i figli bastardi,

usare la mitra e il pastorale, essere esenti dalla giurisdizione

vescovile e impartire la benedizione solenne in alcuni casi.118 Il

pontefice diede loro lo stemma dei Farnese e concesse loro il

potere di creare notai, giudici ordinari e di conferire lauree

dottorali e magisteri. Infine conferì loro il titolo di notaio e

Conte palatino. Ebbero l’esenzione dalla gabella del vino nei

porti di Ripa e Ripetta, dalle decime e dalle tasse. Potevano

spedire gratuitamente le bolle, venivano giudicati solo dal

tribunale pontificio, potevano ricevere i benefici dai Paesi

stranieri come fossero nazionali, eleggersi un confessore ed117 Cfr. J. GORDON, De referendariorum ac votantium dignitate, privilegiis, labore in aetate aurea Signaturae Iustitiae in Dilexit iustitiam. Studia in honorem Aurelii Card. Sabattani, Città del Vaticano, 1984, pp. 201-202.118 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana, cit., p.214.

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Page 65: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

essere liberati dalle censure canoniche. Avevano il beneficio

dell’altare portatile, potevano celebrare davanti all’aurora e

ebbero la possibilità di mangiare carne in quei periodi in cui era

vietato. Infine Paolo III decise che la carica di referendario

dovesse durare tutta la vita.

Pio IV (1559-1565), tramite le costituzioni Cum nuper Nos del 1

luglio 1562; In eligendis del 9 ottobre e il motuproprio Cum nuper nostri

litteris pensò a definire i compiti che la Segnatura di Giustizia era

chiamata a portare a termine. Di questi il secondo documento

vietava a cardinali e prelati interni al tribunale di operare

nelle fasi della vacanza della sede e a seguito della morte del

papa

Sisto V (1585-1590) con la costituzione Quemadmodum del 22

settembre 1586 decretò i vantaggi e i poteri che spettavano ai

referendari, ridusse il loro numero, che era cresciuto

notevolmente ed eccessivamente, portandolo a cento, ne dignitas ob

eorum multitudinem vilescat e stabilì che di questi solo settanta

potessero considerarsi effettivi mentre gli altri dovevano

considerarsi in soprannumero. Ancora una volta, infatti, la nuova

carica curiale aveva offerto ai papi la possibilità di elargire

posti prestigiosi e incarichi a chi doveva essere premiato o a chi

doveva essere ringraziato e, come era avvenuto per altri uffici,

aveva fatto sì che i pontefici sfruttassero eccessivamente questo

nuovo potere, aumentando oltre misura il numero dei nuovi

funzionari che andava a pesare sui bilanci dello Stato. A tal

proposito anche le decisione prese da questo papa furono

indirizzate a rendere l’ufficio sopra menzionato degno di essere

agognato. Egli, infatti, nella costituzione Benevolentissimae disse: “

eiusdemque Referendariis, nunc et pro tempore existentibus, in

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signum honoris et verae nobilitatis, insignia nostra gentilitia,

una cum suis annis et insignis gestare [ concedimus] ac omnibus et

singulis privilegiis praeminentiis…uti potiri gaudere possunt et

poterunt …perinde ac si de nobilium etiam illustrium genere, vere

et non ficte procreati, et geniti farent, uti et potiri et

gaudere.”119

Papa Peretti poi, mediante la costituzione Immensa Aeterni Dei

del 1587, attivò la congregazione della Segnatura di Grazia,120

detta anche Segnatura Sanctissimi, alla quale partecipavano il

Penitenziere maggiore, il Prefetto della Segnatura di Grazia,

quello della Segnatura dei Brevi, il Datario, qualora avesse avuto

il ruolo di cardinale e dodici votantes con voto consultivo. Inoltre

nella stessa carta del 1587 vi era scritto “ad quam ex diversis

orbis terrarum partibus, ob multiplices gratias obtinendas, magni

concursus fiunt, suppplices quae libelli referuntur, ut quae ex

iudicum ordinaria facultate expedire nequeunt, potestate

principis, qui viva est lex, in istis de causis explicantur et

conceduntur.”121 Essa si occupava di questioni provenienti da ogni

parte del mondo e tralasciava soltanto quelle sulle quali doveva e

poteva decidere esclusivamente il principe. Il De Luca a proposito

di questo scrisse: “ De regulare vero natura huius tribunalis est,

se non ingerire in causis indifferentibus in quibus opposuit vel

opponere, potest Segnatura iustitiae, minusque in iis quae de iure

competant, sive per ordinarios iudices concedi vel explicari

possunt, sed solum in iis quae indigent suprema, extraordinaria

119 SISTO V, Quemadmodum providus, 22 settembre 1586, in bull. Rom., 8, pp.750-751.120 Cfr. N. DEL RE, Sisto V e la sua opera di riorganizzazione del governo centrale della chiesa e dello Stato, Accademia Sistina, 3 novembre 1979, p.16.121 Cons. Ap. Immensa aeterni dei, (Bullarum Romanum, VIII, 988)

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Page 67: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Principis potestate.”122 Nel corso degli anni e con il succedersi

delle riforme la struttura giuridica perse parte del suo potere,

venendo sostituito nelle sue funzioni da altri dicasteri come la

Dataria o la Segreteria dei Brevi. Il tribunale della Segnatura di

Giustizia, invece, si riuniva periodicamente nella Stanza della

Segnatura, affrescata da Raffaello123 ed era costituito da diciotto

referendari: dodici erano giudici, coloro che avevano maturato una

maggiore esperienza, e sei erano addetti a riferire le suppliche

che giungevano all’ufficio.124 Infine, con la bolla Laudabilis il

pontefice nominò referendari i protonotari apostolici partecipanti,

offrendo loro gli stessi privilegi concessi agli altri

referendari. Il prestigio di questa carica crebbe, essendo

costituito da homines excellentes et in iure famosi et integerrime vite,

provenienti da diverse nazioni del mondo allora conosciuto.125

Tuttavia anche questa struttura giuridica della Curia pontificia

divenne con il passare degli anni un semplice tribunale e nel

tempo perse gran parte del suo potere.

La Sacra Rota

122 DE LUCA, Relatio Romanae Curiae forensis eiusque`tribujalium et congregationum, in Teatrum"veritatis et iustitiae…, Romae, 1673, liber XV, pars. iI.123 La Stanza della Segnatura in origine doveva ospitare la biblioteca del papa,il ciclo di affreschi rappresenta le idee neoplatoniche del Vero, del Bello edel Bene all’interno del sapere divino. L’opera, iniziata da Sodoma, fucontinuata da Raffaello, il quale, ha realizzato lo schema del dipinto medianteun sistema complesso di cornici dipinte a grottesche e composte da tredicicomparti disposti intorno ad un ottagono con impresso lo stemma papale, retto daputti. Alle pareti poi dentro tondi vi sono state disposte le allegorie dellateologia, della filosofia, della giustizia e della poesia. 124 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, vol. LXII, p. 7.125 Cfr. F. DELLA ROCCA, Tribunali ecclesiastici in Novissimo digesto italiano,cit. , p.542.

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Page 68: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Non si conosce l’origine degli uditori della Sacra Rota, ma

già negli anni in cui governava l’imperatore Costantino vi erano

dei Seniores consiliarii et decuriones reipublicae, che si occupavano di

comporre i decreti e gli statuti. Successivamente furono chiamati

cubiculari, si riunivano in una cappella dove erano custoditi e

conservati le vesti e gli arredi dei pontefici. A partire dal V

secolo (intorno al 460 d. C.) mutarono il loro nome in quello di

cappellani del papa. San Leone Magno affidò loro l’incarico di

curare i corpi degli apostoli Pietro e Paolo. Cambiarono di nuovo

il loro nome in quello di Magistri Ecclesiae Romanae e infine divennero

Auditores Rotae.

Nei primi tre secoli i chierici uditori indossavano un abito

bianco, poi ne portarono uno che si componeva di una gonna e di

una mantella di colore grigio o rosso. Oltre a questa categoria di

prelati componevano l’assise anche monaci e laici. Così vi erano

tre abiti che venivano indossati secondo la condizione

dell’uditore: i laici avevano un abito rosso, i monaci l’avevano

nero e i chierici indossavano una veste che era prima di colore

rosso e successivamente nero. A partire dal XV secolo

frequentavano la Rota solo prelati e chierici domestici, che

vestivano tutti un abito nero con la cappa rossa e il rocchetto.126

Due erano i nomi delle assise chiamate a redimere le questioni

giudiziarie: il Presbyterium e il Synodus. Quando si trattava di

affari che avevano una maggiore importanza interveniva il Synodus.

Si trattava di un organo soltanto consultivo e in esso vi operava

tutto il clero romano e tutti i vescovi della provincia romana,

oltre ad alcuni prelati che provenivano da altre regioni o

italiane o straniere.126 Cfr. A. SiBIlLA, Privilegi conferiti dai sommi pontefici agli uditori della Sagra Rota Romana, Tipografia Guerra e Mirri, Roma, 1880, pp.3-6.

68

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A partire dall’XI secolo il Presbyterium cominciò a perdere la

sua importanza in funzione del Concistoro.127

L’aumento di cause e vertenze verificatesi nel XII secolo,

spinse i pontefici a dar vita ad un tribunale in grado di

occuparsene. Il concistoro che era l’organo prescelto per

accoglierle non era più in grado di gestirle. Bernardo di

Chiaravalle128 nel 1149 fu il primo ad accorgersi di questa

necessità, rimproverando Eugenio III (1145-1153) dell’eccessiva

lunghezza dei tempi dei processi. Egli infatti scriveva: “ Quaeso

te, quale est istud, de mane usque ad vesperam litigare aut

litigantes audire?” e aggiungeva: “Ita nempe non pauca tibi

momenta redimes ad vacandum considerationi, quaedam, ut dixit,

negotia, nec audiendo, quaedam aliis committendo.”129 Fu così che il

lavoro che gravava in precedenza sui cardinali fu affidato, sotto

il pontificato di Innocenzo III ( 1198-1216), ai capellani papae,

detti anche auditores causarum della Cancelleria Apostolica.

Inizialmente questi funzionari dovevano solo ascoltare le cause e

predisporre il materiale necessario al papa per risolverle;

successivamente, già a partire dal 1212, fu permesso loro di

giudicarle in prima persona, lasciando comunque al pontefice il

potere di confermare la decisione da loro presa a riguardo.

Costoro erano nominati in qualità di giudici istruttori e per

l’accettazione dei mezzi di testimonianza.

Nel XIII secolo fu introdotta la collegialità: l’uditore

incaricato di una sentenza, riferiva le proprie conclusioni, in

127 Cfr. A. SANTANGElO cORDAnI, La giurisprudenza della Rota Romana nel secolo XIV,Giuffre Editore, Milano 2001, p.3.128 Bernardo di Chiaravalle nacque nel 1190 e morì nel 1153. Era un abate, fondò l’abbazia di Clairvaux e fu un teologo. Venne canonizzato nel 1174 da papa Alessandro iIi.129" n. DeL Re, La Curia Romana,`cit., p.227.

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Page 70: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

seguito raccoglieva i consilia dei suoi aiutanti ed emetteva la

sentenza. Essa poteva essere stata espressa sia all’unanimità, sia

a maggioranza, qualora fossero comparsi pareri discordanti.

In quel periodo i funzionari del tribunale divennero dei veri

giudici, vennero chiamati Auditores generales causarum Sacri Palatii apostolici e

si costituirono in un collegio: “de consilio coaditorium […] facta

super praedictio cum aliis Palatii apostolici coaditoribus

generalibus collatione sive relatione fideli”

Infatti Gregorio X (1271-1276) dedicandosi alla struttura che

doveva ospitarli, si preoccupò di costituire un tribunale stabile,

mentre Bonifacio VIII (1294-1303) concesse loro il titolo di

cappellani papae ac auditores causarum Palatii papae.130

Nel corso del pontificato di Niccolò IV (1288-1292) i giudici

erano cinque, ma mezzo secolo più tardi erano già diventati

ventuno. Si differenziavano per i gradi, ma i compiti che

svolgevano erano simili.

Nei primi anni del XIV secolo e in particolare durante il

pontificato di Giovanni XXII (1316-1334) gli uditori erano divisi

in tre gradi in base all’età che avevano. Nacquero così cause di

primo, di secondo e di terzo grado. Inoltre “gradus

intelligebantur de iudicialibus instantiis palatii, nulla abita

ratione praecedentium instantiarum coram inferiore iudice.”131

Il primo livello era costituito dagli uditori più giovani e

giudicava le cause di prima istanza, mentre il terzo grado era

formato dagli uditori più anziani, che giudicavano le cause di

terzo grado. Ogni vertenza doveva essere riferita ai soli uditori

appartenenti allo stesso livello.130 Cfr. RAMOS, I tribunali ecclesiatici, cit., p. 166.131 E. CERCHIARI, Capellani papae et Apostolicae Sedes auditores causarumSacri Palatii Apostolici seu Sacra Rota Romana ab origine ad diem usque 20 septembris 1870. Relatio historica-iuridica, IV , Roma, 1924, p. 39.

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I giudici di secondo grado avevano il potere di rivedere e

riformulare le sentenze degli uditori di primo grado. Talvolta

capitava che alcuni casi fossero giudicati da uditori di gradi

diversi, i quali, in quella occasione, godevano di pari importanza

e livello. Questo spinse a considerare, sotto il pontificato di

Benedetto XII ( 1334-1342), inutile fare questa distinzione tra i

giudici, mentre fu preservata la differenza dei gradi per quanto

riguarda le cause.

Giovanni XXII con la bolla Ratio iuris exigit del 1326 ufficializzò

per gli uditori l’utilizzo della cappa e del rocchetto: “[…]

Statuimus et ordinamus quod Auditores sine cappa e roquet in loco

ubi residet Curia in publico non incedant.”  Mentre con la

costituzione Ratio iuris del 16 settembre 1331 fissò il primo

ordinamento stabile del sistema giudiziario e decise che era

giunto il momento di creare lo statuto degli uditori. Esso

rappresentò il primo documento che menzionava il nuovo organo.132

Il papa aveva trovato alcune imperfezioni nel sistema

giudiziario e desiderava impedire il perpetuarsi di certi

comportamenti non proprio ortodossi degli uditori, prima che fosse

troppo tardi e non si riuscisse più a controllarli.

I giudici erano nominati direttamente dal Capo della Chiesa

con motuproprio; negli anni tale privilegio fu anche concesso ad

alcune città. Tra di essi il decano aveva un ruolo di primus inter

pares. Nel periodo avignonese gli uditori furono anche chiamati a

svolgere missioni diplomatiche, come inviare istruzioni ai legati,

renderli procuratori e, se necessario, concedere loro le più alte

dignità ecclesiastiche.133

132 Cfr. MONETA, Rota Romana (tribunale della), Enciclopedia del diritto, vol. 41, Giuffrè, MILANO, 1989.133 Cfr. A. SANTANGELO CORDANI, La giurisprudenza della Rota Romana, cit.. , p.20.

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L’uditore appena era eletto, doveva prestare giuramento di

fedeltà, rispettare la segretezza degli atti, tutelare i diritti

della Santa Sede e rifiutare doni, doveva indossare in pubblico la

cappa e il rocchetto, essere puntuale, accettando di lavorare

anche nei giorni festivi e occuparsi soltanto delle cause che gli

erano state affidate, senza intromettersi in quelle che erano

state affidate ad altri. Era in stretto collegamento con i vertici

della gerarchia ecclesiastica, dalla quale riceveva le

interpretazioni autentiche delle leggi e otteneva preziosi

suggerimenti. Aveva, infine, a sua disposizione al massimo quattro

notai, incaricati di redigere e tenere in ordine i registri,

contenenti gli atti delle cause di cui l’uditore si era

incaricato;134 i soprannominati funzionari erano presentati

dall’uditore e dipendevano dal vicecancelliere che controllava il

loro operato e presso il quale dovevano prestare giuramento. La

carica che andavano ad assumere era venale e anche in questo caso

non mancarono abusi da parte loro: capitava frequentemente,

infatti, che si facessero rimpiazzare illegalmente da altri con

l’approvazione dell’uditore, generando casi di cumulo di ruoli e

rendendo necessario un intervento da parte dell’autorità che

trasformò l’ufficio in pubblico e gli tolse la caratteristica

della venalità. Al servizio della struttura vi erano, poi, gli

auditores studii, detti anche familiares, che venivano scelti dagli stessi

magistrati presso i quali dovevano prestare servizio; un certo

numero di segretari; i procuratori e gli avvocati. Di questi gli

uni avevano l’incarico di difendere i propri clienti nelle cause e

gli altri dovevano scrivere le memorie e gli atti. Entrambi

prestavano giuramento presso il vicecancelliere. Tra gli avvocati

134 Cfr, ibidem , pp.10-11.

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Page 73: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

era rilevante la posizione di chi operava in Concistoro,

solitamente gestivano le cause di canonizzazione e di

beatificazione.

Ad Avignone i giudici del tribunale costituivano una categoria

ben definita grazie alle costituzioni Ad regimen del 10 gennaio 1335

e Cum sicut accepimus del 1 ottobre 1336.

La raccolta di decisiones inizialmente era tramandata oralmente,

in un secondo momento si avvertì la necessità di riportare le

cause discusse dal tribunale per iscritto, con l’obbiettivo di

creare una antologia di precedenti da poter utilizzare per

l’analisi di future cause. Infatti in questi testi non era tanto

rilevante la parte che riguardava la soluzione che la Rota aveva

trovato per risolvere le questioni, quanto i dubia, le motivazioni

del disaccordo, gli orientamenti contrari e discordanti dei

giudici, il ruolo delle altre autorità chiamate a parlare in

tribunale con i loro nomi e i loro consilia per la causa in esame. In

particolare a proposito di queste personalità si trattava spesso

di cardinali, vescovi, arcivescovi ed ex uditori, che avevano

raggiunto i più alti livelli della gerarchia ecclesiastica.135

Nell’ordine di esposizione prima venivano trattate le ragioni

opposte alla decisione definitiva, poi quelle ad essa favorevoli e

le opinioni dei contrari ai pareri della maggioranza. Oltre a

queste decisiones, erano conservate per lo stesso motivo anche i

resoconti giudiziari, le conclusioni e le massime. Non mancavano,

poi, i commenti favorevoli o contrari al giudizio e ai consilia di

chi aveva raccolto il materiale, che indicavano la competenza

giuridica anche di chi aveva curato la raccolta. Talvolta, infine,

vi era a conclusione dell’esposizione della causa, la prosecuzione

135 Cfr. ibidem, p.652.

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della stessa in altri gradi, o all’inizio era riassunto ciò che

era stato deciso in precedenza nei primi giudizi trattanti la

medesima causa. Inoltre spesso capitava che anche dopo la sentenza

venissero aggiunti ulteriori elementi, sempre con lo scopo di

arricchire la causa di informazioni che potessero ritornare utili

in futuro.

Nelle cause il minore doveva avere il permesso dal padre di

intervenire nel giudizio, gli scomunicati potevano partecipare ai

processi, mentre le monache non potevano farlo: al loro posto e in

loro rappresentanza interveniva il prelato come legittimo

amministratore della Chiesa.

Durante il pontificato di Clemente VI una bolla del 1 luglio

1349 stabilì che era proibito giudicare un uditore, a meno che non

si riuscisse ad avere un permesso speciale del pontefice. Questi

ultimi infatti già dal pontificato di Benedetto XII erano stati

considerati familiari, commensali e domestici, secondo il

motuproprio del 1 ottobre 1335 che recitava: “ […] declaramus

praefatos Auditores a tempore quoad apicem fuimus Apostolatus

assumiti nostros, familiares, domesticos, commensales ac nostros

et sedis praedictae speciales ac veros officiarios fuisse […].”

Il nome “Rota” tuttavia appare per la prima volta in un

documento dell’uditore Tommaso Fastolf136 nel 1337, mentre è solo

nel 1424 che compare in una costituzione: quella di Martino V

chiamata Romani Pontificis. Non è certa l’origine di un simile nome;

secondo alcuni tale denominazione fu data a causa dell’esistenza136 Fastolf era un chierico di Nortwich, aveva la qualifica però di magister iurisperitus, lavorò al seguito del cardinale Giovanni Caretani come familiaris domesticuset continuus commensalis. Il 30 settembre del 1338 divenne cappellano del papa e arcidiacono nel 1341, infine l’11 ottobre 1352 fu inviato in Inghilterra come vescovo di S. Davids. Morì il 19 giugno 1361. Scrisse sulla procedura rotale e il suo materiale fu utilizzato per comporre la collezione di Decisiones, costituite da 65 dubia su 36 causae.

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di un recinto circolare nel luogo nel quale gli uditori

lavoravano; altri ritengono che un tale nome si debba ai turni che

i giudici erano tenuti a seguire quando esercitavano la loro

attività; l’Ehrle137 pensa, invece, che si doveva chiamare Rota un

particolare mobile usato per la conservazione delle cause, altri

ancora a tal proposito consideravano il fatto che i giudici si

sedevano in circolo durante le assise, ipotesi quest’ultima

avvalorata dall’osservazione di una miniatura del 1468,

riproducente gli uditori disposti in quel modo, mentre invocavano

la presenza dello Spirito Santo prima di pronunciare le

deliberazioni; alcuni, infine, fanno derivare l’origine del nome

dal rotulus di atti che l’organo studiava e produceva.

Successivamente insieme all’appellativo “Rota” si aggiunsero i

termini “Sacra”, per evidenziare il fatto che si trattava di una

struttura al cui vertice vi era il pontefice e “Romana,” per

distinguerla dagli altri tribunali presenti sul territorio.

Essa era composta da dodici prelati chiamati Uditori di Rota, cioè

Sacri Palatii Apostolici Auditores o semplicemente luogotenenti, qualora

fossero vescovi o arcivescovi. Questi funzionari dovevano avere

provenienze varie e rappresentare nel tribunale la propria zona di

origine. Tra costoro cinque erano eletti direttamente dal papa,

mentre gli altri erano scelti da monarchi o senati attraverso una

rosa di nomi che era presentata al pontefice, il quale infine in

base all’elenco che gli era stato offerto nominava il proprio

preferito. Risultavano, quindi essere composti da tre romani, uno

fiorentino, uno ferrarese, uno bolognese, uno veneziano, un ottavo

di un’altra regione italiana, due spagnoli, uno francese e un

137 Cfr. F. EHRLE, Historia bibliothecae Romanorum Pontificum, tum Avenionensis, I, Roma, 1890, p. 694.

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tedesco.138 I dodici trovavano la propria posizione all’interno

dell’organo secondo la propria anzianità, infatti il primo posto

spettava al decano e gli altri lo seguivano nell’ordine stabilito.

Come diceva anche l’origine del nome, le cause venivano giudicate

a turno: l’uditore, posto a ponente, riferiva la causa senza

votare; votavano i quattro prelati alla sua sinistra, poi, secondo

il voto che avevano espresso, tornava la parola a ponente per

declamare la decisione che era stata presa. Poteva capitare che

due dei quattro prelati esprimessero una opinione e due fossero

contrari, in quel caso si scriveva: Iterum proponatur; a questo punto

i quattro votavano nuovamente e se il risultato non cambiava

allora si chiamavano anche gli altri due componenti presenti

secondo la formula Iterum proponatur, et videant quintus et sextus; se ancora

non si era riusciti a trovare la soluzione alla questione, allora

si chiedeva il parere di tutti i membri secondo la dicitura Iterum

proponatur et videant omnes.139

Nel 1418 Martino V con la costituzione In apostolicae dignitatis

del 1 settembre stabilì l’obbligo del giuramento per coloro che ne

facevano parte, volle fissare i loro requisiti e quelli dei notai,

chiese che le decisioni del tribunale fossero conformi alla

legislazione civile e canonica, decise le pene contro chi avesse

operato con leggerezza o si fosse lasciato corrompere ed emanò

leggi speciali per l’esercizio dell’avvocatura all’interno della

Rota.140 Infine ottenne che al suo interno non si trattassero cause

penali. Tramite la costituzione Statuimus fissò le norme

procedurali, determinò le fasi del giudizio e stabilì in quali

casi si dovesse utilizzare il procedimento sommario.

138 Cfr. A. CORDOVA, Digesto italiano, vol. XX. p. 1647.139 Cfr. A. VILLETTI, Pratica della Curia Romana, cit. , pp.159-161.140 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana, cit. , p.229.

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Lo stesso papa in un primo tempo decise con la bolla del 1422

Romani Pontificis providentia circumspecta che tutti coloro che operavano

nei tribunali sarebbero stati soggetti a pene e a scomuniche se

non si fossero mostrati sottomessi alle costituzioni e alle

ordinazioni dei pontefici anche a lui precedenti. Successivamente

ritirò questa decisione, dando agli uditori un nuovo privilegio.

Lo sviluppo del sistema del tribunale della Rota spinse

giuristi in viaggio in Italia, provenienti da altre terre ad

analizzare la sua struttura per riportare nel proprio Paese le

innovazioni di un organismo, che si nutriva dell’esperienza degli

esperti di diritto dell’antica Roma; così infatti fece il vescovo

di Lisieux Thomas Basin nei primi anni del XV secolo, egli aveva

visitato diverse città della penisola italica come Pavia, Bologna,

Ferrara, Firenze e Roma, trovando soggiorno presso Eugenio IV;

così notò per prima cosa quanto era diverso il sistema romano da

quello germanico: infatti mentre quello usato dai pontefici si

serviva addirittura di funzionari, i notai, chiamati a regolare e

conservare in archivi le carte dei processi, l’altro era basato

sull’oralità; in particolare, quindi, l’attenzione del vescovo

francese si soffermò proprio su coloro che segnavano in modo tanto

marcato la differenza tra i due sistemi di gestione della

giustizia. Da questi viaggi e da queste sue osservazioni nacque il

Libellus de optimo ordine forenses lites audiendi et deferendi. Gli stessi notai

furono oggetto, poi, anche delle attenzioni di Enea Silvio

Piccolomini, il quale si occupò della loro idoneità e regolarità.141

I riformatori Nicolò da Cusa e Domenico De Domenichi si sono

soffermati ad analizzare il problema delle spese processuali e più141 Cfr. C. LEFEBVRE, Le tribunal de la Rote romaine et sa procedure au temps de Pio II, pp. 200-203.

77

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specificatamente mentre Nicolò da Cusa si era dedicato alla

Penitenzieria, Domenico De Domenichi si interessò allo scandalo

delle imposte sulle spese processuali, che riguardavano proprio i

notai della Rota, ma anche gli abbreviatori, gli avvocati, le

parti in causa e i procuratori. Il riformatore, infatti, aveva

notato che i notai per ricevere somme più alte utilizzavano per i

loro atti una scrittura non molto minuta e maggiormente

trascurata, a sua volta, poi, questo avveniva poiché gli uditori

prelevavano dai notai le somme necessarie per il loro stipendio.

Per porre rimedio a ciò il De Domenichi propose di stabilire delle

tassazioni fisse per l’operato dei notai, i quali dovevano curare

i registri, far sì che essi fossero completi e seguire le

prescrizioni che li riguardavano a proposito della loro età e

dello stile di vita cui erano tenuti per l’attività che

svolgevano: dovevano infatti avere più di venticinque anni, aver

superato un esame in grado di valutare le loro competenze ed

esperienze, così come dovevano fare anche gli uditori e prestare

giuramento. Lo stesso progetto di riforma prevedeva che vi fosse

del personale chiamato a ricevere le lamentele delle parti del

processo, per togliere questa incombenza ai notai stessi, che, in

quel modo potevano dedicarsi al loro lavoro con maggior cura.142

Pio II con il motuproprio Romanus Pontifex in eminenti specula del 18

novembre 1458, poi, si dedicò anche alla posizione ricoperta dagli

uditori, desiderando che raggiungessero una posto di maggiore

prestigio rispetto ai suddiaconi sia nella cappella che nelle

processioni e inoltre concesse loro il privilegio delle grazie

aspettative.

142 Cfr. ibidem, p. 106.

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Sisto IV ( 1471-1484) con la costituzione Romani Pontificis del 14

maggio 1472 decretò che gli uditori dovessero essere dodici e tale

numero rimase invariato fino al 1870, quando il tribunale venne

abolito; inoltre diede loro la possibilità di spedire le lettere

apostoliche gratuitamente.

Innocenzo VIII (1484-1492) tramite la costituzione Finem litibus

del 10 gennaio 1488 permise alla Rota di occuparsi anche di cause

civili e fissò l’ordine e la forma dei giudizi che al suo interno

venivano pronunciati, per rendere la loro lettura più rapida e

facilmente comprensibile.

Per quanto concerneva la materia penale, invece, anche se fino

al pontificato di Pio IV alla Rota non ne era vietata la

competenza, era il Camerlengo che ne aveva cura.

Giulio II offrì ai giudici della Rota Romana la possibilità di

godere dei benefici e degli edifici comprati con i loro frutti

tramite la costituzione Romani Pontificis tamquam boni patris familias del 26

luglio 1507.

Clemente VII (1523-1534) con la costituzione Convenit aequitati del

5 agosto 1525 e Paolo III (1534-1549) con la costituzione Romani

Pontificis del 17 agosto 1537 aumentarono i privilegi dei suoi giudici.

In particolare Giulio De Medici permise loro di avere più

benefici anche non compatibili l’uno con l’altro, di poterli

ricevere in qualunque terra si trovassero come se fossero nella

propria, di potersi considerare nazionali e di poter godere di

servizi concessi per istituzione e per consuetudine soltanto ai

sacerdoti, di poter assolvere le persone sottoposte al loro

giudizio, di poter permutare e cedere qualunque beneficio senza

l’intervento della Chiesa, di poter scegliere il loro confessore,

di poter utilizzare l’altare portatile, di poter celebrare messa

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Page 80: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

in posti interdetti, di poter mangiare latticini e carni in

periodi proibiti con il parere del proprio medico e di poter

essere esenti da decime, pedaggi, gabelle e imposte. Infine ordinò

che tali privilegi valessero per tutti gli uditori, a meno che i

nomi di chi doveva essere escluso per qualunque motivo non fossero

stati espressamente dichiarati.143

Paolo III ( 1434-1549) sostenne l’operato degli uditori con

tre brevi che in parte andavano a confermare i privilegi che gli

altri capi di Stato avevano loro concesso e in parte li

accrescevano. Questi erano il Romani Pontificis consueta benignitas del 17

agosto 1537, che fece sì che i privilegi degli uditori fossero

parificati a quelli dei referendari; l’ Attendentes continuos labores del

1537, che consentiva loro di portare a Roma quindici botti a quel

tempo chiamate veggie e di poterle utilizzare per sé e il Noverint

universi et singuli del 13 maggio, che confermò la possibilità per gli

uditori di inviare gratuitamente le lettere apostoliche.

Pio IV estese le competenze della Rota a tutto il mondo con la

costituzione In throno iustitiae del 27 dicembre 1561, chiese ai giudici

di considerare nelle loro decisioni le sentenze precedenti per

evitare la nascita di dubbi interpretativi sulle norme espresse

dalla Santa Sede e un maggior rispetto delle leggi. Infine con la

costituzione Dudum siquidem del 27 luglio 1562 eliminò alcune

formalità procedurali del tribunale e aumentò il numero dei

processi sommari a patto che non si verificassero casi di

pregiudizi a danno di terzi e ostacoli giudiziari. Infine con la

costituzione In throno Iustitiae del 1563 vietò in modo esplicito alla

Rota di trattare cause di diritto penale.

143 Cfr. A. SIBILLA, Privilegi conferiti dai sommi pontefici agli uditori della Sagra Rota Romana, cit. , p.18.

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Page 81: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Verso la fine del secolo anche questo organo della Curia

attraversò la sua fase critica soprattutto a seguito della

formazione e consolidamento degli Stati nazionali e per la

crescente diffusione del protestantesimo. Le congregazioni

cardinalizie volute da Sisto V contribuirono a diminuire il suo

potere, rubandone progressivamente parte delle competenze. Allo

stesso tempo, però, papa Peretti offrì agli uditori il suo

contributo per rafforzare le loro immunità attraverso la bolla

Laudabilis Sedis Apostolicae del 5 febbraio 1585, la quale li anteponeva

ai protonotari onorari che, a parere del pontefice, non erano

capaci di fare altro, una volta terminato il loro ufficio, di

mantenere i propri favori.144

La Penitenzieria Apostolica

L’origine della Penitenzieria si può far risalire al periodo

in cui sul soglio pontificio sedeva Benedetto II ( 684-685).

Inizialmente il tribunale si occupava solo di casi di coscienza e

di alcune questioni che dovevano avere carattere riservato. In

particolare curava le dispense papali. Il Concilio Lateranense del

1139 per primo volle dare alla struttura nascente un assetto

giuridico. Con Onorio III ( 1216-1227) la struttura fu posta sotto

la guida di un cardinale e di penitenzieri minori. Inizialmente il

suo compito era quello di raccogliere le confessioni di casi

riservati, anche inviando lettere per le assoluzioni o per

dispense.

Tra i primi documenti che riguardano il tribunale si ricordano

le due raccolte di trascrizioni per la stesura delle lettere al

tempo in cui penitenzieri maggiori erano Tommaso di Capua ( morto

144 Cfr. ibidem, p. 21.

81

Page 82: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

nel 1243) e Bentevenga de Bentevenghi (1279-1289) e la Summa de

absolutionibus et dispensationibus, risalente al pontificato di Niccolò IV

( 1288-1292).

Tuttavia il primo documento che contiene il termine

“penitenziere” è del 24 novembre 1256. Si trattava di una carta

nella quale Ugo da San Caro, esegeta e teologo domenicano e

poenitentiarius summus o Sedis apostolicae poenitentiarius generalis, assolveva un

Magister Albertus, canonico in Halberstadt: Nos […] auctoritate domini

papae, cuius penitenziariae curam gerimus, super irregularitate inde contracta

dispensavimus […]145

Nella seconda metà del XIII secolo il tribunale funzionava per

quelle cause di specifica gravità che richiedevano pellegrinaggi

penitenziali, chiamati anche giudiziari o espiatori, per la loro

assoluzione e necessitavano di una specifica richiesta del vescovo

del territorio dal quale provenivano; tale richiesta doveva essere

fatta secondo la formula: quo citius misericordiam Domini consegui possint. I

penitenziari erano chiamati pro audiendis confessionibus (in casibus dumtexat

eis concessis) et aliis exequendis que spectant ad officium eorum. Il loro potere

derivava direttamente dal pontefice ed avevano la carica di

cappellani et familiares continui commensales summi pontificis.

La dimostrazione di quanto fosse importante questo nuovo

organo della Curia si rinviene nel fatto che Clemente V in un

concilio svoltosi a Vienna nel 1311-1312 decise che la carica di

penitenziere si dovesse mantenere anche nei periodi critici di

vacanza della sede. Lo stesso pontefice con la costituzione Dignum

est del 2 settembre 1311 dava l’incarico al cardinale Berengario

Fredoli di riorganizzare l’intera struttura, riducendo per prima

cosa il numero degli scrittori da ventuno a dodici.145Cfr. E. GOLLER, Die Papstliche Ponitentiarie vom ihrem Ursprung biszu ihrer Umgestaltung unter Pius V., I, Roma, 1907, p. 82 e I, 2, p. 96.

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L’ atto di Benedetto XII In agro domino dell’8 aprile 1338

stabilì la procedura delle cause che giungevano al tribunale e le

sue abilità. Il penitenziere doveva, quindi essere assistito da un

canonista, unum peritum et expertum doctorem in iure canonico, che lo aiutava

nell’analisi delle cause, da un determinato numero di penitenzieri

minori, da procuratori, da correttori, scrittori e da

distributori.

La figura più importante del dicastero era quella del

cardianale Penitenziere, la sua influenza non si estingueva con la

morte del pontefice, ma continuava anche successivamente e

terminava solo con la morte del Penitenziere o con il suo

trasferimento.

Durante i cortei queste importanti figure erano posizionati

tra i prelati della Curia e i cardinali. Capitava, poi, che

assumessero ruoli tanto prestigiosi da essere chiamati anche a

svolgere missioni diplomatiche e a curare il papa in punto di

morte; così venivano contattati anche per vestire il cadavere del

Capo della Chiesa. Una ricerca del XIV secolo aveva stabilito che

il numero di questi funzionari oscillasse tra le otto e le

diciannove unità; appartenevano, poi agli ordini domenicano,

francescano, agostiniano, carmelitano, benedettino e cluniacense e

alcuni di loro avevano il titolo di maestro in teologia o di

dottore biblico e canonista.

Al vertice del dicastero vi era l’officium maius, che si occupava

direttamente delle assoluzioni, delle dispense e delle licenze.

Questa sezione dell’ufficio ha prodotto molta documentazione che

ha permesso di conoscere il suo funzionamento. Al suo servizio vi

erano quei funzionari, chiamati a ricevere le richieste

provenienti dall’esterno, i quali facevano da tramite tra la

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Penitenzieria e i penitenti. Questa incombenza veniva svolta

attraverso le confessioni auricolari: all’interno delle basiliche

romane di S. Pietro, S. Giovanni in Laterano e di S. Maria

Maggiore operavano dei penitenzieri minori che dovevano valutare

la posizione dei fedeli; dovevano inoltre avere l’ordinazione al

sacerdozio, la legittimità dei natali, non dovevano essere troppo

giovani e essere privi di qualunque condanna o censura

ecclesiastica. Dovevano conoscere le lingue per essere in grado di

comprendere qualunque idioma, spesso appartenevano agli ordini

mendicanti. Il lavoro dei penitenzieri minori non richiedeva la

creazione di molta documentazione, le poche carte che riguardano

il cosiddetto ufficium minus, sono le lettere con le quali i

penitenzieri dichiaravano di aver ascoltato diverse confessioni,

senza specificarne i contenuti.

Un altro membro importante della Penitenzieria era il

Reggente, che seguiva, per importanza il Penitenziere Maggiore e

aveva la facoltà di approvare le suppliche. Gli uditori,

competenti in diritto canonico, curavano le cause meno chiare.

Gli scriptores erano riuniti in un collegio composto da 24 membri

e avevano il compito di redigere materialmente le lettere; si

dividevano tra l’ufficio maius e l’ufficio minus. A loro

disposizione avevano due assistenti: i baiuli. Nel Quattrocento

furono supportati anche da otto aggregati. Nel 1449 ottennero il

privilegio del riconoscimento di familiares papae; mentre il loro

ufficio fu reso venale; quindi divenne maggiormente appetibile.

Nel corso del XIV secolo erano attivi anche i correctores

litterarum penitenziariae, che rileggevano le lettere dell’ufficium maius e

la verifica della condotta dei colleghi.

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I Distributores maioris si occupavano della distribuzione dei

documenti da redigere, verificavano le carte dal punto di vista

formale, gestivano dal punto di vista amministrativo le tasse

insieme al computator. Altre mansioni specifiche erano affidate al

sigillator e ai clerici dell’ufficium minus.146

Per il rilascio di documenti scritti provenienti dalla

Penitenzieria i fedeli dovevano pagare una tassa, con il denaro

ricavato si permetteva all’ufficio di mantenere l’apparato

amministrativo.

Le competenze del Penitenziere maggiore, supportato da

scrittori, procuratori e penitenzieri minori, aumentarono a tal

punto che divenne difficile capire di cosa esattamente si dovesse

occupare e come evitare una sovrapposizione di ruoli tra i

magistrati pontifici. Era, quindi, necessario riformare la

Penitenzieria, operazione che fu fatta più volte dai pontefici,

non riportando il risultato sperato.

Durante il concilio di Costanza (1415) si incominciò ad

avvertire la necessità di riconsiderare i poteri del penitenziere

e di tutti i funzionari del tribunale, anche perché le sue

competenze continuavano ad aumentare e sempre più frequenti erano

i ricorsi alla nuova corte, la quale rispetto alle altre appariva

molto più rapida nelle procedure, oltre al fatto che le sue tasse

erano meno costose. Successivamente sempre con lo scopo di

innovare l’ufficio intervennero anche Martino V nel 1425 e Eugenio

IV con la costituzione In apostolicae dignitatis del 14 ottobre 1438.

146 Cfr. P. OSTINELLI, Penitenzieria apostolica. Le suppliche alla Sacra Penitenzieria apostolica provenienti dalla diocesi di Como ( 1438-1484), (a cura di), Edizioni Unicopoli, Milano, 2003, p. 16.

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Sisto IV con la costituzione Quondam nonnulli del 9 maggio 1484

stabilì che le cause spettanti alla Penitenzieria potessero

riguardare anche materie da giudicarsi in foro esterno.147

Leone X definì l’istituzione come quell’ufficio in qua morum

censura et animarum precipue salus vertitur.148

A partire dal pontificato di Callisto III i costi del

tribunale aumentarono, tuttavia erano sempre inferiori a quelli

degli altri dicasteri. Le compositiones invece avevano un’altra

natura, era il denaro versato per sanare le colpe di peccati

particolarmente gravi, per chi chiedeva dispense matrimoniali o ex

defectu natalium e per chi voleva liberarsi dall’osservanza di

determinati voti.

Nel XVI secolo Paolo III volle creare una commissione

cardinalizia per riordinare le mansioni di questa figura della

Curia pontificia, ma fu ostacolato dallo stesso penitenziere.

Lo stesso organo, chiamato anche “il confessionale del papa,”

poi era utilizzato anche per la risoluzione di cause ritenute

tanto rilevanti da dover essere trattate direttamente dal vicario

di Cristo. Inoltre capitò che le carte appartenenti a questo

tribunale fossero tante da far diventare complessa la loro

conservazione negli archivi. Esse finirono per riguardare non solo

le questioni da giudicarsi in foro interno, ma anche nel foro

contenzioso e penale. Infatti, le cause che venivano giudicate

dall’ente riguardavano casi di infanticidio, aborto, sodomia,

omosessualità, bestialità, ermafrodismo, concubinaggio, adulterio,

castrazione per vendetta, malattie vergognose e incurabili come

sifilide e peste, stregoneria, sortilegi, eresia, omicidi,147 La divisione tra foro interno e foro esterno esiste solo nel diritto ecclesiastico; per foro interno si intendono tutte quelle questioni che fanno riferimento alla sfera della coscienza, al rapporto privato tra Dio e l’uomo.148 Cfr. ibidem, p. 7.

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violenza, delinquenza, pirateria, apostasia della fede,

sacrilegio, confessione e sigillo sacramentale, monacazione,

matrimoni forzati, separazione consensuale, illegittimità dei

natali e latrocini.

Chi chiedeva l’assoluzione al tribunale era una persona che

era entrata in conflitto con le norme ecclesiastiche, oppure

desiderava evitare di infrangerle. I chierici che speravano

nell’intervento della Penitenzieria erano persone cadute nella

irregularitas o nella inhabilitas dovuta sovente ad accessi compiuti

nell’esercizio dei loro compiti. Spesso si trattava di casi di

scomunica, la quale poteva essere “legislativa,” causata per

l’infrazione di determinati precetti e “giudiziaria” stabilita,

cioè da un giudice. La prima comportava l’esclusione dall’intera

comunità cristiana: non si potevano più ricevere i sacramenti, non

ci si poteva seppellire in terra consacrata, non si poteva

partecipare ad uffici divini e si aveva l’impossibilità di avere

una qualunque forma di contatto con la comunità cristiana; mentre

la seconda rendeva impossibile l’uso dei sacramenti. La

Penitenzieria assolveva anche da forme di interdetto, liberava i

membri del clero dalla sospensione degli ordini, cancellando gli

eccessi commessi e concedeva dispense.

Un eretico, utilizzando la struttura della Penitenzieria,

poteva, dietro pagamento, inviare una lettera confessionale al

tribunale, che gli permetteva di scegliere il proprio sacerdote

per la confessione, oltre ad consentirgli la revoca dall’apostasia

o dall’eresia. Questa possibilità era offerta anche al peccatore

che fosse già stato scoperto da un inquisitore.

A partire dal XV secolo tutta la documentazione prodotta dal

dicastero fu riunita in tre gruppi: del matrimonio, dell’accesso

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Page 88: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

agli ordini sacri e delle lettere confessionali. Le altre cause

erano raggruppate in de diversis formis e de declaratoriis.149

Le lettere declaratorie erano profondamente diverse dalle

richieste di assoluzioni, in quanto si richiedeva una

dichiarazione, non una assoluzione.

Al dicastero, infine, giungevano anche le lettere

confessionali. Il concilio Lateranense IV (1215) sancì l’obbligo

per il fedele di rivolgersi al proprio confessore per la

confessione annuale. Tuttavia tale obbligo era facilmente

aggirabile già a partire dal XIII secolo. I documenti che

riguardano il ruolo del confessore vi erano ad esempio le littere

confessionales in forma “provenit”, che permettevano al confessore di dare

l’assoluzione plenaria di tutti i peccati in determinati casi; le

littere in forma “ cupientes”, che riguardavano esclusivamente il clero e

concedevano ai prelati di assolvere i propri parrocchiani anche in

forma privata e le littere de sententiis generalibus, che permettevano a

chierici e laici di ottenere l’assoluzione da sentenze di

scomunica, interdetto o sospensione.

Il richiedente la supplica compilava una lettera indirizzata

al papa nella quale vi era la richiesta che egli voleva fare,

poteva trattarsi di una grazia, una assoluzione, una dispensa, un

indulto; talvolta in cambio il principale responsabile dell’organo

rilasciava una carta; nel frattempo l’ente si occupava di

prepararne un’altra, la cosiddetta littera Poenitentiariae, che aveva il

potere di assolvere dalla censura e che era inviata ad una

autorità religiosa o per posta o a mano. Essa aveva valenza di

documento pubblico e doveva dispensare l’imputato dalle

conseguenze giuridiche esterne alla materia sacramentale. Soltanto

149 Cfr. ibidem, p. 29.

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se l’imputato era un uomo appartenente alla Curia non era

necessario compilare la lettera che liberava il penitente dalle

pene giudiziarie previste nel foro esterno; la formula usata in

tal caso era: Cum hoc penitus sit occultum potest (Penitentiaria) dispensare cum eis

in foro confessionis sine litteris et sine testibus.150 Nonostante ciò le generalità

del penitente erano comunque riportate, anche se i nomi non erano

registrati per riservatezza.

Non erano però solo i peccatori che si rivolgevano alla

struttura, ma talvolta anche alte personalità ecclesiastiche dalla

morale giudicata irreprensibile, come il cardinale Borromeo o

Francesco Borgia,151 chiedevano il supporto dell’organo giuridico

per avere da lui conferme e approvazioni.152

A causa della rilevanza che aveva in Curia e in tutto lo Stato

il Penitenziere era spesso una figura di spicco tra i più fedeli

collaboratori del pontefice; infatti ricoprirono una tale carica

il cardinale Capranica, Carlo Borromeo, Enea Silvio Piccolomini e

altri che anche in epoche successive riuscirono, dopo aver avuto

quel ruolo, a salire al soglio pontificio come Clemente VIII e

Francesco Saverio Castiglioni, il futuro Pio VIII.153

L’attività della Penitenzieria si legava sensibilmente al

sacramento della confessione, che costituiva la prima verifica

utile per monitorare i fedeli e poterli controllare meglio. Vi era

150 GOLLER, o.c., ½, p.2.151 Francesco Borgia fu paggio alla corte di Carlo V, dopo la morte della moglie Eleonora de Castro, dalla quale ebbe otto figli, entrò nella Compagnia di Gesù edivenne sacerdote. Fu Commissario Generale della Compagnia e fondatore delle prime missioni in America Latina.152 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria dell’Archivio segreto Vaticano (1451-1586), Istituto di propaganda libraria, Milano, 1995, p. 69.153 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria, cit. , p. 5.

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poi una ulteriore stretta relazione tra confessione e tribunale

dell’Inquisizione.154

Infatti quando in confessione venivano trattati peccati

considerati gravi come bestemmie, sortilegi di ogni genere o frasi

sconvenienti pronunciate in particolari situazioni, si negava al

penitente l’assoluzione in foro interno, scattava la scomunica e

il divieto di somministrare la comunione. A quel punto diventava

quasi obbligatoria per il peccatore l’autodenuncia presso un

inquisitore, anche perché altrimenti sarebbe stato impossibile per

il confessore dichiarare ciò che aveva ascoltato nel segreto della

confessione.

Per l’amministrazione del sacramento della Confessione erano

stati incaricati anche i Gesuiti, i quali avevano il potere di

assolvere gli eretici e chi era stato scoperto a leggere libri

proibiti.155 La più evidente prova della relazione tra Gesuiti,

Inquisizione e Confessione è data dall’attestata partecipazione di

alcuni gesuiti al massacro dei valdesi in Calabria.156 La linea

generale della Compagnia era morbida nei confronti degli eretici,

ma nulla poterono contro l’intransigenza del Ghislieri.

Una spinosa questione riguardava il tema della confessione per

quei malati che stavano per morire. Un simile compito era affidato

alle cosiddette compagnie della buona morte. Per ricevere una

trapasso cristiano, infatti, era necessario confessarsi e

comunicarsi, altrimenti si rischiava di cadere nell’eresia. I

154 Cfr. G: ROMEO, Ricerche su Confessione dei peccati e Iinquisizioni nell’Italia del Cinquecento, La città del Sole, 1997, p. 10.155 Cfr. ibidem, p. 43.156 La comunità valdese in Calabria aveva delle colonia a Montalto, S. Sisto e Guardia ed erano presenti sul territorio dal XIII secolo. A partire dal 1532 interessarono ad interessarsi al Calvinismo e nel 1556 si convertirono a questareligione, iniziando a suscitare l’interesse degli inquisitori. Il massacro avvenne negli anni 1561-1563.

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medici avevano l’autorizzazione a sospendere le cure qualora il

malato avesse rifiutato il confessore. Vi erano, però, spesso

delle forti resistenze da parte dei familiari dei malati a far

parlare il proprio congiunto con un prete, in primo luogo perché

temevano che quest’ultimo si approfittasse della buona fede del

malato e sottraesse parti dell’ eredità destinata ai suoi

congiunti, inoltre avevano paura che il familiare vedendosi

arrivare il confessore capisse che stava per morire e si lasciasse

andare prima del tempo.

Le confessioni delle donne, poi, creavano non pochi problemi

alla Chiesa, in quanto spesso si trattava di questioni intime, che

spingevano le autorità ad assumere posizioni talvolta

antifemminili, ma allo stesso tempo consentivano che tra

confessore e penitente si creasse un rapporto speciale.

Anche questo organismo, come gli altri del giovane Stato della

Chiesa, non era esente da illegalità e scandali, provocati da

scrittori, procuratori e Penitenzieri minori. Queste irregolarità

potevano riguardare la divisione del ricavato delle tasse, la

gestione di doni e offerte che arrivavano all’interno del

tribunale, le assoluzioni per particolari reati come quello di

apostasia dagli ordini religiosi, le licenze standi extra per

religiosi e religiose, le dispense per non celebrare matrimoni o

le questioni riguardanti il concubinato.157

Pio IV limitò di molto le attribuzioni del Penitenziere

soprattutto in quei periodi di vacanza della Sede e stabilì pene

severissime come la perdita dell’ufficio, l’impossibilità di

ottenere altre cariche e anche la scomunica contro chiunque non

157 Cfr. F. TAMBURINI, La riforma della Penitenzieria nella prima metà del secolo XVI e i cardinali Pucci in recenti saggi, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, Herder editore, p.115.

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avesse rispettato i suoi voleri, esplicati nella costituzione In

sublimi del 4 maggio 1562.

Una commissione nel 1563 fu incaricata di preparare un

documento in cui fossero esplicati tutti gli abusi che erano stati

compiuti in materia di confessione. Intervennero, così,

personalità del mondo curiale dell’epoca quali il Carafa, il

Gonzaga e il Contarini158 che rilevarono errori soprattutto nella

giurisdizione degli ordinari delle diocesi.159 In generale si può

dire che nel XVI secolo i prelati e gli ecclesiastici avevano un

largo margine di libertà, che permetteva ad esempio a chi faceva

parte dell’ordine domenicano, francescano o benedettino di

diventare gesuita, teatino, barnabita o somasco; così come era

possibile a chi si arruolava per combattere contro i turchi

ottenere la dispensa dal voto di religione e vivere libero anche

se costretto al celibato, a patto che fosse caduto prigioniero, e

una volta liberato dimostrasse di essere artis nauticae vel linguae turcicae

sufficientes perites et habentes notitiam regionum Turcarum cupiunt interesse

prosecuzioni belli contra eosdem.

Pio V (1566-1572) con le costituzioni In omnibus rebus, Ut bonus e In

earum rerum del 18 maggio 1569 trasformò l’aspetto che il tribunale

aveva assunto, decretandone la temporanea soppressione, ut […] novam

futuris formam de integro praescribere valeamus.160 Per prima cosa fu rinnovato

il personale e fu previsto un reggente, collaboratore del

penitenziere; un datario; un correttore; un teologo; un canonista;

due procuratori, quando in precedenza erano ventiquattro; due

scrittori, ve ne erano stati anche ventisette ed un sigillatore.

Il papa permise al tribunale di assolvere sia laici che158 Cfr. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, vol. I, p. 139.159 Cfr. F. TAMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria, cit., p.14.160 N. DEL RE, La Curia Romana, cit. , p. 202.

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Page 93: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

ecclesiastici, uomini o donne, personale di Curia e non, da ogni

causa, anche quella che era stata destinata al pontefice e alla

Sede Apostolica.161 Infine sempre con la costituzione In omnibus rebus

il papa decise che le cause si sarebbero trattate solo in foro

interno e fissò per il tribunale una nuova competenza: risolvere

le questioni di coscienza e definirle authentice. Lo scopo del

pontefice era quello di riportare la Penitenzieria alle sue

funzioni originarie, ma nonostante questo sforzo capitò di nuovo

che il tribunale travalicasse quelli che erano le motivazioni per

le quali era nato. Infatti i pontefici Pio V, Gregorio XIII fino a

Urbano VIII aumentarono le prerogative vivae vocis oraculo della

Penitenzieria e quelle nel foro esterno.

Sisto V, infine, permise al Penitenziere maggiore di poter

commutare i propri voti di religione e castità etiam ad effectum

nubendi absque relazione SS facendo.

L’ incertezza sulle competenze di questo nuovo strumento della

Curia, ha spinto alcuni autori a trovarsi in disaccordo sui

compiti e le relazioni che intercorrevano tra questo tribunale ed

altri: in particolare Aubert162 e Simoncelli163 hanno ritenuto nei

loro saggi che nella seconda metà del XVI secolo vi dovesse essere

una relazione tra la Penitenzieria e il Sant’ Uffizio;164 altri come

Tamburini165 hanno rifiutato questa tesi, pensando che l’organo

161 Cfr.F. TAMBURINI, Sacra Penitenzieria Apostolica, in Dizionario degli istituti di Perfezione , VIII,Edizioni Paoline, Roma, 1989, p.174.162 Cfr. A. AUBERT, Alle origini, pp. 336-337.163 Cfr. P. SIMONCELLI, Inquisizione Romana e riforme in Italia, pp. 10-11.164 Tribunale fondato da papa Paolo III nel 1542 e riformato da Sisto V nel 1588 per combattere i protestanti, era composto da sei cardinali che avevano a loro disposizione personale incaricato di viaggiare in tutti i luoghi della cristianità.165 Cfr. F. TAMBURINI, La riforma della Penitenzieria nella prima metà del secolo XVI e i cardinali Pucci in recenti saggi, cit.

93

Page 94: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

giuridico si occupasse soltanto di assoluzioni, dispense, censure,

grazie e indulti.

Si trattava di un tribunale molto particolare, esso poteva

rappresentare per le sue caratteristiche e la sua moltiplicità di

ruoli l’ organizzazione dell’ intera Curia Romana: i funzionari

svolgevano compiti diversi e il tribunale aveva valenza sia nel

foro interno che in quello esterno. Le due tipologie della

Penitenzieria erano fuse nello stesso organo a dimostrazione di

quanto il potere temporale e spirituale fossero uniti in uno solo

nello Stato governato dal papa. I sudditi del pontefice, proprio

perché si trovavano in uno Stato tanto particolare, godevano

allora di uno strumento in grado di punirli davanti agli uomini e

davanti a Dio. Esso era un tribunale che giudicava come gli altri

e puniva con la stessa severità, ma in più era in grado di

occuparsi anche delle coscienze di chi ad esso si rivolgeva.

Nelle diocesi

Un buon vescovo doveva saper controllare e guidare i propri

fedeli.

Tutta la materia penitenziale era affidata a loro, avevano il

potere di assolvere in foro interno. Successivamente passava nelle

mani dei penitenzieri, che agli occhi di queste autorità locali

stavano togliendo loro prerogative e competenze.

Accadeva così che le pratiche legate alla confessione uscite

dal Concilio di Trento non riuscissero a entrare a far parte della

quotidianità della diocesi: il penitente non era costretto a

94

Page 95: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

recarsi sempre dallo stesso confessore e veniva richiesta soltanto

la confessione annuale.166

Nel periodo in cui sul soglio pontificio sedeva Nicolò V, Il

cardinale Capranica si trovò, a pubblicare un testo intitolato

Advisamenta super reformatione papae et Romanae Curiae in cui era evidente

quanto a suo giudizio fosse importante l’opera dei vescovi per la

Chiesa e la cura delle anime. Per questo voleva anche che vi

fossero degli ottimi sacerdoti scelti da un pastore a sua volta

esaminato mediante una commissione di indagine, che ha potuto

verificare la situazione della diocesi e le caratteristiche dei

candidato pronto a ricoprire la carica di vescovo.167 Secondo

Capranica il pontefice doveva solo applicare le riforme esistenti,

non aveva bisogno di crearne di nuove, ma le idee del cardinale

furono realizzate solo un secolo dopo, a seguito dello scoppio

della Riforma protestante e all’interno del Concilio di Trento.

Questa importantissima assise aveva confermato il canone Omnis

utriusque sextus del Lateranense IV che costringeva i fedeli a

confessarsi almeno una volta l’anno; le religiose erano le uniche

a dover svolgere questo sacramento più spesso, almeno una volta al

mese, così ogni monastero necessitava di un confessore, infine la

scelta dei parroci era totalmente affidata ai vescovi.

Il Concilio di Trento e i Decreti Tridentini facenti

riferimento a questo settore (1551) permisero ai vescovi di

giudicare alcuni gravi peccati non solo in foro esterno ma anche

in foro interno.

Tra gli argomenti toccati dalla riforma ecclesiastica vi era

la questione riguardante la residenza, ovvero, l’obbligo per i

vescovi di rimanere nel territorio che era stato loro assegnato e166 Cfr. G. ROMEO, Ricerche su Confessione, cit. , p. 70.167 Cfr. JADER, Il Concilio di Trento, cit. , p. 138.

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Page 96: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

avente come confini quelli della diocesi; tra i suoi limiti, oltre

al fatto che alcuni vescovati non avevano disponibilità di denaro

sufficiente per garantirsi una certa autonomia e libertà di

azione, vi erano infine questioni irrisolte come la specificazione

del rapporto tra braccio secolare e Penitenzieria. Infine si

voleva assicurare una buona gestione nella cura delle anime da

parte dei sacerdoti.

In particolare si diceva che se un vescovo avendo già un

vescovato, ne avesse ricevuto un altro da amministrare, questo

sarebbe stato automaticamente “vedovo.”

Il pontefice doveva evitare di inserirsi nell’amministrazione

locale per quanto gli era possibile e alleggerire le imposte a suo

carico.

Le proposte erano tese ad un rinnovamento delle istituzioni

locali, avendo maggiore cura per quanto riguarda la nomina dei

pastori e dando loro maggiori poteri. Il cardinale Morone si

interessò affinché queste proposte trovassero una attuazione,

insieme ad altri uomini come Calahorra, vicario generale di

Salamanca e presidente del tribunale ecclesiastico di Toledo. Egli

pensava che il vescovo dovesse personalmente scegliere chi

indirizzare alla cura delle anime, istituendo l’esame del parroco.

Le soluzioni a vantaggio di questa autorità locale sono

presenti nelle sessioni XXIV e XXV: la Penitenzieria e

l’Inquisizione Romana vennero alleggerite da quei casi ritenuti di

coscienza che furono posti nelle mani dei vescovi.168

A Milano Carlo Borromeo utilizzò l’interdetto e la scomunica

come ultime armi nelle sue mani. Le usava per impedire che fossero

celebrati matrimoni illeciti, per impedire che fossero fatte feste

168 Cfr. ibidem, vol IV, p. 262.

96

Page 97: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

in occasione di particolari momenti del calendario liturgico, per

impedire quelle unioni costrette con le arti magiche o con il

veleno; inoltre le applicava anche nei monasteri, cercando di

evitare che i capofamiglia costringessero le figlie a chiudersi in

convento per questioni ereditarie.

Deciso ad organizzare la diocesi secondo i dettami usciti dal

Concilio, Borromeo pubblicò un trattato utile ai parroci; per far

ciò affidò il lavoro a un canonista. Secondo De Boer si doveva

trattare di Michele Thomasius (conosciuto come Texaquet). Il

trattato fu stampato alla fine del pontificato di Borromeo negli

Acta Ecclesiae Mediolanensis.169 I casi riservati all’autorità vescovile

riguardavano lo stupro di monache, l’incesto, le pratiche magiche,

la contraffazione di monete o di misure, la falsa indicazione di

impedimenti matrimoniali e il rifiuto da parte delle donne di

mettere il velo in chiesa. Nel 1572 si aggiunsero all’elenco i

giochi pubblici, la pubblica bestemmia, l’organizzazione o la

partecipazione a balli e a mascherate. Per questa attività il

vescovo di Milano si faceva aiutare a livello locale dai vicari

foranei e in Curia dai penitenzieri del Duomo di Milano. I

penitenzieri, solitamente teologi o canonisti qualificati, di età

non inferiore ai quarant’anni, avevano il potere di assolvere da

quei peccati per i quali si richiedeva l’intervento del vescovo,

erano presenze esistenti in Curia fin dal XIII secolo. Nel 1563,

il Concilio di Trento decise che dovevano essere presenti in ogni

cattedrale.

Tuttavia per un parroco, mentre era fonte di soddisfazione

dichiarare il giorno di Pasqua il numero di fedeli che aveva sotto

la sua giurisdizione, allo stesso tempo risultava molto più

169 Cfr. DE BOER, La conquista dell’anima, Einaudi, p. 216.

97

Page 98: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

complicato denunciare chi tra loro era entrato nell’eresia. Quindi

il sistema così creato risultò nella gran parte dei casi

fallimentare.170

Carlo Borromeo diede vita a una commissione permanente

presieduta dall’arcivescovo e composta dal teologo ufficiale della

cattedrale, da altri tre teologi laici, da uno studioso

appartenente al clero regolare e da sei dottori in diritto

canonico. Nel 1578 si aggiunsero un vicario dei casi civili e

l’inquisitore. Successivamente furono chiamati a partecipare alle

riunioni anche alcuni assistenti, che dovevano ascoltare le

confessioni in Duomo.

I vicari foranei invece venivano mandati in tutte le realtà

rurali e sostituivano il vescovo, il quale aveva il potere di

rimuoverli in qualunque momento. Ognuno di lorosi occupava di una

parte di territorio, il vicariato. Avevano anche il compito di

trovare chi non si confessava, i libri proibiti, gli eretici, gli

stranieri e chi non rispettava il riposo festivo.

Questo enorme organismo di verifica e controllo dei fedeli

della diocesi di Milano, conteneva delle pecche: innanzitutto si

produceva molto materiale cartaceo, inoltre dal punto di vista

della diocesi non si potevano escludere un gran numero di fedeli,

perché alla fine ciò sarebbe risultato controproducente. Si

doveva, quindi, non rendere irreversibile l’allontanamento del

peccatore.

Nei periodi di maggiore richiesta di confessioni le

assoluzioni le poteva dare anche il semplice prete. Non si può

parlare di una reale subordinazione del confessore

all’inquisitore, in quanto il primo era colui che guidava la vita

170 Cfr, G: ROMEO, Ricerche su Confessione, cit. , p. 25.

98

Page 99: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

civile del fedele ed aveva un potere diffuso, mentre il secondo si

trovava a trattare da una parte con i superiori centrali e

dall’altra con i subordinati locali, che avevano iniziato a

guardarli con diffidenza crescente.

Nel periodo di quaresima del 1578 in un documento che spiegava

i comportamenti che i fedeli dovevano tenere in determinati

momenti del periodo quaresimale, quali le stazioni della Via

Crucis, le indulgenze e le preghiere delle Quarant’ore, Borromeo

decise di aggiungere ai casi riservati anche tutti i peccati

mortali che si potevano commettere con parole e con gesti.

Tuttavia si preferì limitare la riserva ai soli casi capaci di

provocare scandalo e solo dentro le chiese.

Per le penitenze pubbliche, invece, si voleva che il penitente

nei giorni festivi stesse fuori dalle chiese con in mano una

candela e una corda al collo. Questi casi diminuirono nel corso

del tempo in quanto si tendeva a commutare le pene da pubbliche in

private.

In generale si può dire che i provvedimenti presi dalla

diocesi di Milano ebbero come unico evidente effetto un sensibile

aumento delle carte, la maggior parte delle volte le questioni

erano risolte a livello locale, spesso direttamente dal parroco,

anche i vicari foranei non ebbero molto lavoro, alcune pene

pubbliche furono inflitte ma nella maggior parte dei casi si

chiedeva una penitenza “grave o salutare.”171

Il vescovo di Milano era talmente interessato a questi temi

che si dedicò anche alla creazione di come doveva essere

materialmente costruito un confessionale e sicuramente Milano fu

la prima diocesi che l’adottò.172 Il confessore sedeva su una171 Cfr. ibidem, p. 133.172 Cfr. ibidem, p. 93.

99

Page 100: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

piccola panca mentre il penitente era inginocchiato ai suoi lati

con il capo chino. Un pannello con una finestra chiusa da una

intelaiatura metallica separava i due. Lo spazio dedicato al

confessore era chiuso da una porta o da una larga inferriata senza

intelaiatura. Dai gesti e dalle posizioni dei due interlocutori

doveva essere evidente la sottomissione del peccatore di fronte ai

confessore, il tutto doveva compiersi in uno spazio a tutti

visibile.

A Bologna c’era un altro arcivescovo che si è trovato a

cercare di interpretare le disposizioni del Tridentino,

combattendo contro chi voleva togliergli prerogative che fino a

poco tempo prima erano state sue: il vescovo Gabriele Paleotti

(1522-1597). Infatti, vi erano dei documenti che limitavano il

potere di questa autorità. Questi erano divisi in Impedimenta ab

Urbe, A princibus circumvicinis, A legato vel gubernatore, A redimine Bononiae, Ab

hospitalibus et piis locis, A canonicis, a regularibus.

Paleotti organizzò per il suo territorio visite pastorali e

sinodi seguendo le direttive conciliari; inoltre chiamò sacerdoti

con un nuovo spirito di fede e di pietà per le direzioni

parrocchiali.

Il suo interesse si risolse in special modo verso il

sacramento della penitenza.173 Lo preoccupavano il ruolo dei

confessori, i casi che dovevano essere di competenza esclusiva del

vescovo, i compiti spettanti ai penitenzieri della cattedrale, la

promozione agli ordini sacri. Per seguire queste questioni

Paleotti si uniformò alle decisione che altri vescovi avevano

assunto e si informò circa il loro operato prima di assumere

l’incarico che lo vide arcivescovo di Bologna.

173 Cfr. P. PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti, p. 123.

100

Page 101: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Egli istituì la figura del canonico penitenziere della

cattedrale, prevista dai Decreti Tridentini e il collegio dei

penitenzieri, i quali si dovevano occupare dei casi riservati al

vescovo, che venivano citati in un elenco presentato durante il

periodo quaresimale. Tale numero era fissato a trenta, ma il

cardinale lo ridusse ad otto, per poi farlo risalire a diciotto.

La diminuzione dei casi riservati al vescovo fu fatta per

permettere una più facile gestione della vita della diocesi e

dimostrava che l’autorità si fidava del personale posto alle sue

dipendenze.

Interessante è stato vedere la cura del Paleotti verso la

preparazione necessaria a diventare sacerdoti. A Bologna per

questi casi ci si avvalse della Congregazione dei casi di

coscienza, istituita dal Concilio di Trento; stessa attenzione per

il Concilio ci fu anche per le unzioni degli infermi, del resto

Gabriele Paleotti aveva avuto la possibilità di collaborare con il

Morone durante quel periodo; quindi aveva seguito in prima persona

le discussioni che avevano animato l’Assise.

La sua attività si indirizzò poi verso le comunità femminili

conventuali, cercando di convincere le famiglie di quelle giovani

costrette a prendere il velo a non far seguire loro quella strada,

anche fornendo la necessaria dote per il matrimonio.

Tra le sue opere vi fu l’Episcopale Bononiensis civitatis et diocesis del

1580. Essa costituiva una raccolta degli editti e degli

ordinamenti, utili alla creazione ed elaborazione di ulteriori

riforme; mentre l’Archiepiscopale bononiense del 1594 descriveva la sua

esperienza di venticinque anni di vescovato a Bologna, nel

tentativo di lasciare anche una storia delle istituzioni e dei

101

Page 102: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

costumi della Chiesa bolognese.174 L’opera è divisa in sette parti,

ventuno capitoli e 164 colonne in cui viene trattato l’ufficio

episcopale, i problemi della fede, la vita sacramentale,

l’organizzazione di quella ecclesiastica e di pietà, le

istituzioni particolari della diocesi, il funzionamento della

curia episcopale ed esempi di discorsi tenuti dal vescovo durante

la sua attività.

Il cardinale riteneva che il vescovo fosse un agente

principale al pari delle autorità centrali. I sacerdoti,

dipendenti da quest’ultimo, avevano anch’essi un potere proprio e

originario, ma il vescovo era l’autorità che aveva la

giurisdizione piena sui sacramenti, sui poteri liturgici e sul

ministero della parola. Il vescovo era quindi visto come un

vigilante. Il modo più comune per diminuire il suo potere era

quello di inserire nelle amministrazioni legati o governatori,

nominati dal potere centrale, affidando loro dei compiti che

inevitabilmente finivano per sovrapporsi a quelli del vescovo e

nello specifico di Paleotti;175 il quale ebbe per questi motivi più

di un incontro anche epistolare con lo stesso Borromeo. I

Governatori sotto il pontificato di Boncompagni finirono per avere

il potere di giudicare anche gli ecclesiastici.176 La situazione non

migliorò certamente, poi, quando salì al soglio pontificio Felice

Peretti (1585). Costui anzi confermò i poteri dei governatori nei

territori e affidò al tribunale secolare tutte le cause giudicate

più gravi, richiedenti la pena capitale. Le norme uscite dal

Tridentino in questo modo non avevano più alcun valore e i

174 Cfr. ibidem, pp. 7-8.175 Cfr. P. PRODI, Il sovrano pontefice, cit, p. 253.176 Cfr. ibidem, p. 287.

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Page 103: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

governatori, ebbero nelle loro mani oltre alla giurisdizione

temporale anche quella spirituale.

I FIDATI COLLABORATORI DEL PAPA

I più intimi collaboratori dei papi erano coloro che avevano

il privilegio di godere della fiducia del pontefice regnante. Ciò

voleva dire che si occupavano di tutte quelle materie che il

successore di Pietro affidava loro, come l’amministrazione, sia

centrale che locale; la pubblica sicurezza; i rapporti con le

periferie dello Stato e con gli altri Stati e le scelte di natura

economica e fiscale. Incarnavano il collante di tutti gli organi

della Curia e spesso si occupavano anche di quelle funzioni che

sarebbero spettate ad un giudice di tribunale o ad un funzionario

del principale organo economico dello Stato: la Camera Apostolica,

così come avvenne con i collettori, che erano in parte legati e in

parte esattori.

La Segreteria di Stato e la Cancelleria: dalla

gestione della corrispondenza alla gestione dello

Stato.

103

Page 104: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Nell’antichità il Secretarium era “il luogo in cui si

custodivano i registri dei decreti e delle lettere come le

risoluzioni del principe e i ministri suoi custodi si dissero A.

Secretis, da Secretum nei tempi di Carlo Magno si fece Asecreta e

finalmente Secretarius,”177 da cui derivò il termine, ancora oggi

usato, di Segretario. Secondo il Parisi, che rivestiva un simile

incarico, colui che svolgeva le mansioni di Segretario doveva

avere tre doti: essere un buon cittadino, un uomo di corte, un

uomo di lettere. Doveva, inoltre, svolgere diversi compiti, tra i

quali: occuparsi della pace, della guerra, delle alleanze, delle

unioni di principi, della salvezza dei cittadini, delle leggi,

delle magistrature, delle pene e dei premi. Tutte queste

occupazioni dovevano essere portate avanti come se a svolgerle

fosse stato il signore in persona. Doveva, poi, esporre nello

stile più appropriato i comandi del suo signore e, in qualche

modo, era l’unico funzionario che si potesse permettere di

correggere, di aggiungere e di modificare le volontà di colui dal

quale dipendeva. Egli, quindi, secondo l’analisi del Parisi,

doveva godere più di ogni altro della fiducia, della confidenza e

quasi dell’amicizia del suo principe. Successivamente, nel 1753,

lo scrittore Filippo Buonamici fece diffondere il testo De claris

pontificiarum epistolarum scriptoribus. In tale scritto l’autore chiariva

quali dovevano essere, a suo parere, i tratti caratteristici di un

buon Segretario. Egli, infatti, doveva avere “una profonda

conoscenza delle cose riguardanti la politica, molto studio delle

scienze sacre e un puro stile latino, il quale tuttavia per

soverchia delicatezza, o piuttosto superstizione di valentuomini

177 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni,Venezia, dalla Tipografia Emiliana, 1840 ,LXIV, p. 245.

104

Page 105: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

ripresa nel Longalio e nel Bembo,178 non isdegni di adottare certe

formali e maniere di dire della religione cristiana quasi

consacrate.”179

Originariamente per segretario si intendeva uno degli

officiali maggiori del Palazzo o Patriarcho Lateranense. Il primo

tra questi era il primicerio, al quale fu affidato lo Scrigno

Santo, l’archivio della Santa Sede. Alle dipendenze di questa

figura c’erano gli Archivisti della Chiesa romana, detti

scriniari, retti da un protoscriniario. Le epistole che scrivevano

erano autenticate da un sigillo di piombo.

Alcuni ritennero che il primo Segretario Apostolico fosse San

Gerolamo, al tempo di Damaso I, nel 367 e il secondo fosse

Prospero, durante il pontificato di Leone I, nel 440. Altri

pensarono che il primo segretario doveva essere San Gregorio, al

tempo di papa Pelagio II, il quale, in un secondo momento, divenne

successore di Pietro con il nome di Gregorio I. Ma tale

discussione su chi fosse il primo Segretario pontificio è un

genere di ricerca che gli storici hanno tentato di fare ma che non

si è rivelata di facile soluzione e, nel tempo, si è ritenuto che

non fosse neanche più tanto interessante sapere il nome del primo

che ha ricoperto un simile ruolo.180

Non si sa esattamente da quale momento in poi sia sorto questo

ufficio, in particolare non è noto se esso fosse già esistente nel

XIII secolo. Da un certo periodo in poi, però, è sicuro che i

pontefici avvertirono la necessità di avere un personale178 Pietro Bembo fu uno dei maggiori letterati italiani del Rinascimento, visse tra il 1470 e il 1547, di origini veneziane ebbe il padre che gli fece conoscerele maggiori personalità politiche e culturali dell’epoca.179 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, cit.,p. 259.180 Cfr. I. A. MENNITI, Note sulla segreteria di Stato come ministero particolare del pontefice romano, in La corte di Roma tra Cinque e Seicento, Bologna, Bulzoni, 1993, p. 169.

105

Page 106: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

specifico, al quale affidare lettere importanti che, per la loro

riservatezza, non potevano essere lasciate alla competenza della

Cancelleria, come era accaduto fino a quel momento. Il personale

della Cancelleria era, infatti, molto numeroso e diventava

difficile confidare nella discrezionalità che tale organo poteva

offrire.

Tuttavia i rapporti tra i due organi della Curia non si

interruppero mai, probabilmente proprio perché la relazione tra

gli uffici era dovuta al fatto che una era sorta da una

particolare sezione dell’altra.

Nell’antichità la Cancelleria era legata al notariato di Roma.

I notai avevano una struttura che li riuniva in una schola, al cui

vertice era posto un primicerius ed un secundicerius. I membri più

rappresentativi di tale organo erano considerati i Sette notai

regionari. I termini notarius e scriniarius avevano lo stesso

significato. Nell’XI secolo scriniari e notai si facevano

concorrenza. Questi ultimi accompagnavano il pontefice durante i

suoi viaggi, mentre gli scriniari rimanevano a Roma. Costoro

erano, inoltre, soliti usare una scrittura curiale romana, mentre

i notai palatini si servivano della minuscola. Con Innocenzo III

si ebbe una spaccatura tra i due tipi di funzionari: i notai

finirono per diventare una carica onorifica, si costituirono in un

Collegio e goderono di diversi privilegi, ma, in epoca moderna,

cessarono di svolgere quelli che originariamente erano i loro

compiti. Il vicecancelliere e i notai potevano usufruire del

personale che veniva assunto a titolo privato; essi furono

chiamati abbreviatori o anche breviatores. Pio II li riunì in un

collegio di settanta membri. Tale Collegio fu sciolto da Paolo II

nel 1464 e ricostituito da Sisto IV nel 1479. Gli abbreviatori erano

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divisi, al loro interno, in tre classi: dodici abbreviatores de parco

maiori, ventidue abbreviatores de parco minori e trentotto abbreviatores primae

visionis.181 Non compreso all’interno del Collegio c’era l’abbreviator de

Curia, la cui esistenza è stata documentata nel 1478. Questo

funzionario si occupava dei documenti di maggior valore.

Gli scrittori, chiamati anche scriptores domini papae apostolici, o

anche scriptores litterarum apostolicarum erano numerosi. Nel 1436 andarono

a costituire un collegio di centouno membri. Innocenzo III

aggiunse, all’interno della Cancelleria, la figura del corrector

litterarum apostolicarum.

Nell’ufficio del sigillo c’erano due plumbatores, che erano

dipendenti dai magistri plumbi o bullatores, o anche lectores et taxatores in

bullaria, che avevano anche il compito di riscuotere le tasse e ai

quali, nel 1486, si aggiunsero anche i collectores taxae plumbi,

anch’essi con il compito di riscuotere le tasse. Costoro, poi,

erano riuniti in un Collegio composto da cinquantadue membri, che

dal 1497 salirono a centoquattro.

Anche nell’Ufficio del registro lavoravano gli scriptores. Tale

organo era, però, dipendente dalla Camera apostolica182 ed era retto

dai magistri registri litterarum apostolicarum.

I Segretari erano degli scrittori o degli abbreviatori

particolarmente degni di fiducia, che il pontefice utilizzava per

la stesura di documenti importanti e segreti.

Alcuni pontefici, nel periodo in cui regnarono, crearono per

la Cancelleria nuovo personale e nuovi Collegi, che giudicavano

181 T. FRENZ I documenti pontifici nel Medioevo e nell’età moderna, Città del Vaticano, Scuola italiana di paleografia, diplomatica e archivistica, 1989, p. 64.182La Camera apostolica era uno dei più antichi dicasteri della Curia Romana.Essa si occupava prevalentemente dell’amministrazione dei beni della Chiesa.Sorse all’inizio con il nome di palatium o di fiscus. Il camerlengo era la figura cheall’interno di questo ufficio aveva il ruolo di maggiore responsabilità.

107

Page 108: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

utili per svolgere le funzioni necessarie ad uno Stato o per

organizzarne la struttura. Infatti, ad esempio, nel 1482 Sisto IV

istituì il Collegio dei sollicitatores litterarum apostolicarum, esso

comprendeva milleduecento membri, era nato soprattutto per ragioni

finanziarie ed aveva la funzione di seguire l’iter dei documenti

all’interno della Cancelleria. In Curia essi presero il nome di

genicerii (giannizzeri). Alessandro VI nel 1503 fondò il Collegio di

scrittori di brevi, alle dipendenze della Segreteria, che ebbe

anche il pregio e la fortuna di resistere alla soppressione del

Collegio dei Segretari. Giulio II, infine, creò il Collegio di

centouno scriptores archivii Romanae Curiae. Questa struttura era composta

da pubblici notai che, per la loro qualifica, dovevano gestire un

archivio e compilare delle suppliche.

I documenti pontifici venivano solitamente chiamati con il

termine di lettere apostoliche, ma, al loro interno, potevano ad

esempio essere distinte in: littere in forma brevis, litterae gratiae

(concessione di grazia) littere iusticiae (trasmissioni in ordine e

deliberazioni in casi di giustizia) litterae communes (documenti per i

quali poteva generalmente verificarsi la lettura al cospetto del

papa, come supplica e/o minuta, e/o bella copia), litterae dandae

(documenti che venivano emanati senza lettera) litterae cum serico

(documenti con sigillo appeso al filo di seta) e litterae cum filo canapis

(documenti con sigillo appeso al filo di canapa).183

Il termine “bolla” derivava, invece, dal sigillo di piombo.

Essa era chiamata anche constitutio, mentre quei documenti che

presentavano la firma del pontefice erano chiamati chirographis.

Tali scritti, di provenienza della Sede apostolica, dovevano

avere uno stile particolare, detto stylus Curiae. Qualora le epistole

183 Cfr. T. FRENZ I documenti pontifici nel Medioevo e nell’età moderna, cit. ,p. 14.

108

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non avessero tale tipo di scrittura potevano essere sospettate di

essere false.

I principali sigilli usati dalla Segreteria di Stato e dalla

Cancelleria potevano, in epoca moderna essere di tre tipi; c’era

infatti la bolla di piombo, la bolla d’oro e il sigillo di cera

(l’anulo piscatoris). Nel corso dell’Ottocento ad essi si sostituirà il

sigillo colorato184

Le bolle di piombo erano quelle di origine più antica. Esse

avevano un diametro di circa 3-3,5 cm ed uno spessore di 0,5 cm.

Erano poi impresse su entrambi i lati. Il documento più antico che

presenta questo sigillo è del papa Deusdedit (615-618 d. C.) e

presenta davanti la scritta Deusdedit papae e nella parte posteriore

del documento l’effige del Buon Pastore con le lettere greche

iniziali e finali dell’alfabeto, indicanti il principio e la fine,

erano quindi i simboli che esprimevano il concetto di eternità. A

partire da Pasquale II sino ad oggi, tale tipo di documento è

rimasto immutato nella sua struttura. Esso presentava da un lato

su tre righe il nome del pontefice, titolo e ordinale,

quest’ultimo entrato in uso a partire dal IX secolo, mentre

l’altro lato aveva le teste di Pietro e Paolo con la scritta S.

PE/S. PA. Fino a Martino V si usava la maiuscola gotica, mentre a

partire da Eugenio IV fu utilizzata la capitale quadrata. Il

sigillo era posto attraverso due fili di canapa o di fili giallo

rossi, nella plica ripiegata si facevano due becchi, attraverso i

quali passava il filo più di una volta e infine veniva posto il

sigillo. Si imprimeva, come ultima operazione, il documento con

uno strumento a tenaglia che, successivamente, verrà sostituito

con una specie di morsa. Quando moriva un papa, il timbro con le

184 Cfr. Ibidem, p. 48.

109

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sue iniziali veniva distrutto dal camerlengo,185 mentre le immagini

degli apostoli Pietro e Paolo erano conservate fino a che non si

rovinavano.

La bolla d’oro era usata più raramente. Il più antico

documento con questa bolla risale al 1524, all’epoca di Clemente

VII. Tale genere di pratica era adottata per la corrispondenza tra

il pontefice e i familiari.

Il sigillo di cera, infine, era caratterizzato dell’uso della

cera rossa. Il tipo di documento che lo presentava era spesso

scritto sotto forma di breve o come lettera segreta cartacea.

L’impronta del sigillo aveva l’immagine di Pietro sulla barca, era

di forma ovale e aveva sulla sommità, in piccolo, la scritta con

il nome del capo della Chiesa regnante.

I documenti che si presentavano con la formula sola signatura non

necessitavano di alcuna approvazione e potevano essere emessi

direttamente. Era il richiedente che aveva la possibilità di

scegliere il tipo di spedizione e quindi le modalità di pagamento

che tale scelta comportava. Secondo gli studi del Frenz, alla fine

del XV secolo circa i 4/5 di tutti i documenti erano spediti con

il sigillo plumbeo, un ottavo come brevi e la rimanente parte

della documentazione tramite suppliche sola signatura o come motu

proprio186. Nel XV secolo sorsero, inoltre, dei volumi, all’interno

dei quali erano spiegate le modalità con le quali dovevano essere

185 Il camerlengo era un funzionario che aveva la responsabilità della tesoreria,era il sovrintendente per le riscossioni e per la custodia ed erogazione dellerendite. Era una carica che solitamente veniva affidata a laici, la sua originerisale al medioevo. Nella Curia pontificia è il maggiore responsabiledell’organo della Camera apostolica e ha il compito di gestire e curare i benidel Collegio cardinalizio.186 L’origine dell’espressione motu proprio indicava che era il pontefice che siassumeva la responsabilità dell’emissione di un documento. A partire dalla finedel XV secolo tale vocabolo iniziò ad essere usato per indicare un tipo diprovvedimento da attuarsi su richiesta.

110

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spedite le lettere nello Stato della Chiesa. Il più antico libro

di questo genere è del 1480 c.a. ed era intitolato Pratica ed. Schmitz

Kallemberg, l’ autore è rimasto sconosciuto.187

La spedizione per Cancellariam poteva dividersi in sei passaggi,

che erano i seguenti: compilazione della minuta, esecuzione della

bella copia, computo della tassa e suo pagamento, controllo della

bella copia e pagamento della imposta, ulteriore verifica della

bella copia, sigillazione e nuova tassazione, registrazione e

pagamento del relativo tributo. Tali operazioni potevano essere

svolte ed eseguite dallo stesso richiedente oppure da un

procuratore, che veniva pagato dal richiedente stesso.

L’ expedictio per Cameram seguiva, invece, il seguente iter:

autorizzazione del notarius Cancellariae, scrittura del sommarium,

sottoscrizione del Segretario, controllo della tassa, pagamento di

tre esazioni ( del sigillo, del registro e del Segretario),

applicazione della bolla plumbea, annotatio dei sollecitatores (somma

delle tasse), approvazione del papa nella Camera Segreta e

registrazione.

L’expedictio per viam correctoris seguiva, invece, il seguente

procedimento: inoltro del memoriale, redazione della minuta ad

opera del procuratore, esecuzione della bella copia, quietanza

della tassa per gli scrittori, autorizzazione del correttore (o

del capo della Cancelleria), sottoscrizione del protonotaio,

lettura dell’audientia pubblica, discussione dell’audientia litterarum

contradictarum, applicazione della bolla plumbea e pubblicatio in valvis.

L’expedictio per breve vedeva la partecipazione dei Segretari, dal

momento che tale tipo di documento proveniva direttamente dalla

Curia. Costoro abbozzavano il testo e lo riportavano in bella

187Cfr. T. FRENZ I documenti pontifici nel Medioevo e nell’età moderna, cit. , p. 72.

111

Page 112: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

copia. Il nome del Segretario era posto a destra in basso. Era il

pontefice a dare l’ordine di emettere il documento. Non si sa se

quest’ultimo lo rileggesse prima di spedirlo. Attraverso

l’istituzione dei brevi ai principi del 1503 è possibile ricavare

diverse conoscenze in merito. Inizialmente veniva stilata la

supplica, dalla quale derivava la minuta che, a sua volta, veniva

analizzata dal Segretario. Il Segretario firmava il documento a

destra, in basso, mentre lo scrittore firmava dietro. Alcuni

particolari brevi, spediti per ottenere indulgenze, recavano la

scritta Gratis pro deo etiam scriptura in fondo a sinistra del documento.

Il documento era, poi, piegato, provvisto di indirizzo e siglato.

Il registro dei brevi era composto dalle minute che avevano nella

parte posteriore la scritta Registrata.

Una procedura a parte era seguita, infine, per quei brevi

absque signatura. Tali documenti erano esaminati dal cardinale

prefetto della Segnatura, la procedura per la loro spedizione

partiva direttamente dalla minuta e della spedizione si occupava

personalmente il Segretario domestico, non l’intero Collegio dei

Segretari.

Per quanto riguarda il pagamento delle tasse versate allo

Stato per il servizio di spedizione di una epistola, c’era la

possibilità di ottenere delle riduzioni e in alcuni casi anche

delle esenzioni quando erano dei parenti del pontefice a

richiedere il servizio, o quando si era in grado di dimostrare che

si era troppo indigenti per pagare la tassa dovuta.

Accadeva, poi, che in questo sistema si verificassero degli

abusi: così talvolta il funzionario riceveva delle mance per

assicurare chi voleva spedire la lettera che questa giungesse a

destinazione in tempi brevi.

112

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Il tipo di documentazione che si ricavava dalla Segreteria di

Stato, invece, era diversa per importanza sia dalle bolle che dai

brevi prodotti dalla Cancelleria. Essa era sigillata con l’anello

del Pescatore, invece che con il piombo. L’uso dell’anello del

Pescatore per sigillare la corrispondenza pontificia fu usato

senz’altro dal pontificato di Clemente IV (1266-1268). Infatti il

primo scritto, conservato in quel modo, risaliva proprio a quegli

anni. Riguardo a ciò, il Segretario Pietro Grosso diceva che “ Non

scribimus tibi nec familiaribus nostris sub bulla sed sub Piscatoris anulo quo Romani

Pontifices in suis secretis utuntur”. Inoltre ci sono testimonianze che

attestano l’esistenza di un segretario, Riccardo da Pofi, già a

partire dal 1243, quando sul soglio pontificio sedeva Innocenzo IV

(1243-1254). Fu però Benedetto XIII (1334-1342) che nel 1338

ricavò dalla Cancelleria un certo numero di Segretari per

occuparsi di quella corrispondenza che doveva essere trattata con

maggiore riservatezza.188 Fu, infatti soprattutto nel periodo

avignonese che, come vi sorsero le più importanti istituzioni

dello Stato della Chiesa, così si sviluppò anche l’ufficio della

Camera Segreta, che divenne, in breve tempo il “centro delle

relazioni politiche” della Santa Sede.189

In tempi brevi tale carica fu utilizzata anche per portare a

termine compiti speciali. Infatti, il segretario Cristoforo

Garattoni fu inviato come nunzio speciale a Costantinopoli per

parlare a proposito dell’Unione delle Chiese nel 1433 e

successivamente fu inviato anche a Basilea nel 1435.

Non si sa con precisione quanti dovevano essere questi

segretari, alcuni affermavano che dovevano essere molti, altri188Cfr. A. SERAFINI Le origini della Segreteria di Stato e la « Sapienti Consilio »del B. Pio X, Città del Vaticano, Pont. Instituti utriusque iuris, 1952, p.170.189 Cfr. P. RICHARD, Origines et développement de la secrétairerie d’Etat Apostolique(1417-1823), in Revue d’histoire ecclesiastique, XI, 1910, p. 58.

113

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dicevano che dovevano essere un numero ristretto e che erano

sostituiti ogni volta che moriva un papa. Spesso, poi, capitava

che non tornassero dalle missioni che gli erano state affidate.

A proposito delle origini di questo ufficio, De Luca nel XVII

secolo scriveva che inizialmente solo a pochi funzionari erano

affidate le questioni più importanti dello Stato della Chiesa; in

particolare il cardinal vicario doveva occuparsi di ciò che era

materia spirituale insieme al penitenziere, il cardinal camerlengo

aveva la responsabilità di tutti gli affari politici ed economici

riguardanti, quindi, il campo più strettamente temporale e il

cardinal cancelliere aveva il potere di gestire tutti i rapporti

con le altre realtà esterne allo Stato governato dal successore di

Pietro, ma comunque sempre appartenenti al mondo cristiano. Lo

stesso scrittore affermava che la necessità di separare i compiti

della Cancelleria da quelli della Segreteria di Stato cominciò a

manifestarsi dai tempi di Martino V, quando si ritornò a Roma e ci

fu il conseguente bisogno di riorganizzare la struttura statale.

Analizzando quello che era il vero e proprio giuramento che

tali personalità della Curia facevano al momento di accettare la

loro carica all’interno dell’amministrazione pontificia, si ricava

che costoro dovevano essere veramente molto devoti al pontefice.

Nel XIV secolo i Segretari papali sostituirono gli

abbreviatori per la gestione della corrispondenza che

originariamente era di competenza della Cancelleria. Iniziarono

così ad occuparsi di brevi, di lettere petentes, di lettere clausae e

di bolle. Non tutte le minute erano scritte personalmente dai

Segretari, ma certamente quelle che riguardavano argomenti di

grande interesse per lo Stato, sia a carattere spirituale, che a

114

Page 115: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

carattere temporale, erano trattate direttamente dal Segretario di

Stato.

Quando divennero sei, assunsero il nome di numerari. Tale nome

fu loro dato da Callisto III con la bolla Decet Romanum pontificem del

7 maggio 1456.190 Tutti questi Segretari non si occupavano solo di

predisporre e scrivere brevi, seguendo le direttive del papa, ma

si dedicarono anche alle questioni amministrative e alle faccende

di diverso e vario contenuto. In seguito Sisto IV li chiamò

domestici. Tra loro fin dai tempi di Callisto III si ha

testimonianza dell’esistenza di uno che, preferito rispetto agli

altri, veniva chiamato segreto. Tra i seguenti Segretari, al tempo

di Eugenio IV, c’era Bartolomeo Roverella. Presso Pio II,

l’Ammanati Piccolomini era considerato il Segretario che più degli

altri godeva della simpatia del papa.

Al tempo di Paolo II c’era Leonardo Dati che era considerato

il Segretario dell’epoca, ma il pontefice provava anche della

simpatia e si fidava del cardinale Bessarione e del cardinale

Barbo; a costoro venivano affidate le mansioni più segrete.

Sotto Sisto IV fu considerato uomo di fiducia del pontefice,

Leonardo Grifi. Tali funzionari non si occupavano solo di redigere

e ricevere la corrispondenza destinata al capo della Santa Sede,

ma spesso gestivano anche gli affari amministrativi dello Stato, i

rapporti con i principi e con le loro corti. Presto i segretari

si trovarono a godere di un potere non indifferente, dovuto al

fatto che tale carica serviva da punto di raccordo tra la

Cancelleria, la Camera Apostolica, la Penitenzieria e il

Concistoro. Inoltre quando i pontefici iniziarono ad accentrare il

loro potere, essa prese le sembianze di un vero e proprio

190 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana, cit. , p. 76.

115

Page 116: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

ministero. Per questo Innocenzo VIII, quando si trovò costretto a

vendere alcune cariche curiali per riempire le casse della Chiesa,

pensò subito proprio a coloro che in Curia svolgevano questo

compito.

La bolla di questo pontefice, la cosiddetta Non debet

reprehensibile Iudicavi, del 31 dicembre 1487 fu scritta dal papa stesso

con l’ausilio di sedici cardinali. Essa cominciava con le seguenti

parole: “ Ampliatio Collegii sex Secretariorum Apostolicorum ad numerum vigenti

quattuor: et praefinitio officii unius Secretarii domestici:cum emolumentarum tam ipsius

Secretarii, quam totius Collegii privilegiorumque concessione”.191

Il nuovo Collegio fu così composto definitivamente da

ventiquattro membri. A seguito, poi, di questa bolla, essi

ottennero di avere un proprio sigillo, un proprio statuto, una

propria cappella, un luogo fisso dove riunirsi (la cappella

paolina) e anche una Chiesa, quella della Pace. Essi non erano più

Segretarii papae, ma divennero Segretari Apostolici. La stessa bolla aveva,

poi, permesso che i brevi del papa potessero, da quel momento in

poi, uscire da due diversi organi della Curia: dalla Cancelleria,

infatti, uscivano quei documenti Tam sub cera quam sub plumbas, muniti

della signatura e considerati comuni, mentre dalla Segreteria

Apostolica provenivano quei documenti considerati più importanti

e maggiormente riservati, quelli absque signatura e quelli motu proprio.

Riguardo a questa nuova riforma voluta da Innocenzo VIII,

l’umanista e funzionario di Stato Sigismondo de Conti secondo il

Pastor disse “d’ora in poi questa carica diventò venale, mentre

prima era conferita quale premio di salvezza, di fedeltà e di

meriti oratori. I titolari dei nuovi impieghi cercavano ben presto

di rifarsi a spese altrui. Questi avidi officiali di Curia, odiati191 G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri, cit. , p.263.

116

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in tutto il mondo, non pensavano ad altro che ai loro personali

vantaggi e a cercare sempre nuovi mezzi onde dissanguare le Chiese

e riluttavano, s’intende, ad ogni misura di riforma.”192 L’opinione

di Sigismondo De Conti non era, dunque, buona sul ruolo che queste

personalità, sostenute dalle recenti riforme statali, stavano per

assumere all’interno dello Stato. Questa soluzione che Innocenzo

VIII aveva trovato per risolvere la crisi economica che affliggeva

il territorio che era chiamato ad amministrare in quel periodo, fu

sostenuta anche da Alessandro VI, sotto il cui pontificato fu

istituito il Collegio scriptorium breviorum. Questo organo era composto

da ottantuno membri, che, a loro volta, potevano avere alle loro

dipendenze altri lavoratori amovibili, scelti tra quelli impiegati

nella Cancelleria.193 Anche Alessandro VI si servì di queste

personalità di fiducia per affidare loro gli affari più delicati.

Tra costoro, in particolare, ci furono Alvise Podocataro, vescovo

di Capaccio, cardinale nel 1500 e vescovo di Nepi e Sutri e

Bartolomeo Floridi, arcivescovo di Cosenza nel 1495. La bolla di

Innocenzo VIII aveva avuto, quindi, come effetti dovuti alla sua

creazione, sia la nascita di questo Collegio, sia la consacrazione

dell’esistenza di un particolare tipo di Segretario, chiamato

domestico. Il primo funzionario definito in tale modo fu Girolamo

Balbano. Tale carica frequentemente fu confusa e, in alcuni casi,

osteggiata dal ruolo che veniva riservato ai parenti del

pontefice, inseriti nell’amministrazione dello Stato attraverso

quella figura di collaboratore del papa che assunse il nome di

Cardinal nepote, destinata e svilupparsi anche di più nei secoli

successivi rispetto a quello in cui visse Innocenzo VIII e che

192 L. V. PASTOR, Storia dei papi, III, cit. , p. 261.193Cfr. A. SERAFINI, Le origini della pontificia segreteria di Stato e la “Sapienti Conilio”, cit. , p.186.

117

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finì, nella seconda metà del Seicento, per essere del tutto

assorbita dalla funzione del Segretario di Stato. 194

Una rivoluzione nell’organizzazione di questa attività vi fu

durante il pontificato di Giulio II, il quale introdusse l’uso

dell’archivio per la conservazione dei documenti diplomatici e

istituì la figura del praefictus o revisor o corrector minutarum brevium,195

la cui esistenza è stata provata dagli scritti del Carga. Secondo

costui i Segretari dipendevano direttamente dal capo della Chiesa,

mentre alcuni documenti particolarmente importanti erano gestiti

direttamente da un “cardinale che è detto avere la segnatura

segreta”. Il primo che ricoprì un tale ruolo fu il cardinale dei

S.S. Quattro Coronati Lorenzo Pucci, che ebbe questo incarico dal

1513 al 1531. In seguito la stessa funzione la svolsero Gerolamo

Ghinucci, Marcello Crescenzi e il cardinale Giovanni Pozzo.

Al tempo di Leone X la Segreteria Segreta era divisa in due

parti: al Secretarius Litterarum principalium venivano affidate le questioni

riguardanti la fede, le cose di Stato e le cose segrete del

pontefice, mentre al praeest minister collegii Segretariorum in Vaticano

spettava la spedizione di brevi che erano vivae voces oracolo absque

signatura e quindi facevano parte di quella documentazione che, per

la sua classificazione non poteva seguire la via “comune”.

Nonostante esistesse tale divisione, fino a Leone X una sola

persona aveva la responsabilità di entrambe le sezioni. Tra le

innovazioni che il pontificato di Leone X portò in Curia ci fu la

creazione di una terza sezione della Segreteria di Stato che

doveva occuparsi più strettamente della politica estera.

194Cfr. A. M. IPPOLITO, Il tramonto della Curia Nepotista. Papi, nipoti e burocrazia curiale tra XVI e XVII secolo,Roma, Viella, 1999.195 Cfr. A. SERAFINI, Le origini della pontificia segreteria di Stato e la “Sapienti Conilio” cit. , p. 189.

118

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Durante il pontificato di Paolo III si sviluppò con maggior

forza la figura del Cardinal nepote. A tale carica era affidata la

gestione degli affari politici e diplomatici. D’ora in poi,

infatti, nacque e si sviluppò la figura del Segretarius intimus.196

Questo compito veniva dato per lo più a chi aveva svolto un ruolo

di Segretario di quel cardinale che successivamente era diventato

papa. Il pontificato di Paolo III si caratterizzò, così, per le

innovazioni che introdusse all’interno dell’organo della

Segreteria di Stato. Per prima cosa egli nel giugno del 1548 “

rivoltò la Segreteria tutta sossopra dicendo che non gli piacevano

tanti Segretari e che non ne vuole sapere se non di due che

saranno il Dandino [Girolamo Dandini]197 per le cose imperiali e il

Cavalcanti198 per le franzesi. Sebbene poi Trivultio199 attenderà

alla protezione del cardinal [nipote] e Annibale Caro200 alle

lettere private di Sua Santità reverendissima et li altri tutti

come il Giugno e il Ghirardini sotto li due segretari maggiori.”

Il pontefice che scelse di utilizzare un proprio parente per

ricoprire una carica così importante, anche se giustificato dal

bisogno di avere al proprio fianco persone fidate, fu proprio

Paolo IV. Egli aveva da una parte la fedeltà del cardinale

Lippomano, dall’altra si servì del nipote Carlo Carafa. La

principale differenza tra coloro che lavoravano nella Segreteria

di Stato e coloro che lavoravano nella Segreteria dei brevi era

196 Cfr. A. SERAFINI Le origini della pontificia segreteria di Stato e la “Sapienti Consilio” del B. Pio X, cit. , p. 194.197 Girolamo Dandini fu vescovo di Imola e cardinale a partire dal 1551.198 Bartolomeo Cavalcanti era un trattatista italiano che visse tra il 1503 e il1562, nemico dei Medici, collaborò con Paolo III. Scrisse l’opera Trattato ovverodiscorsi sopra gli ottimi reggimenti delle repubbliche antiche e moderne, che uscì postuma del1571. Precedentemente lavorò ad una Retorica di stampo aristotelico.199 Ambasciatore.200 Annibale Caro era un letterato, che visse tra il 15007 e il 1566. ScrisseLettere e commedie, ma soprattutto tradusse l’Eneide di Virgilio.

119

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che questi ultimi non avevano la stessa indipendenza dei primi, ma

erano semplicemente dei funzionari che dovevano eseguire ordini

dati da altri. Il loro diretto superiore era il papa stesso.201

La struttura della Segreteria gestita da Carlo Carafa, al

tempo di Paolo IV, era quindi piuttosto complessa: il cardinale si

serviva di molto personale e si comportava come se fosse il papa

in persona. Lo stesso Paolo IV si pentì della scelta di nominare

il nipote per una carica tanto prestigiosa, ma la stessa poco dopo

sarebbe stata impersonata da un uomo molto più adatto al ruolo e

destinato a rivoluzionare la concezione che si aveva dell’organo

della Segreteria di Stato.

Il Cardinal nepote, invece, scelto da Paolo IV, Carlo Carafa,

si dimostrò presto inadatto a svolgere quei compiti che erano

affidati solitamente ad un Segretario di Stato. Era, infatti, una

persona valida, ma priva di moralità. Finì per sostituirsi al

pontefice in quasi tutti i ricevimenti che dava, ciò era anche

dovuto al fatto che Paolo IV non amava particolarmente questo

genere di incombenze e non aveva problemi a cederle al suo

parente, il quale, nel frattempo, si era affrettato ad occuparsi

di tutta la corrispondenza indirizzata al pontefice, riceveva i

nunzi ed era l’unica persona ad avere libero accesso alle stanze

pontificie e ad essere ricevuta da Paolo IV ogni volta che fosse

necessario. Si interessava, poi, delle finanze, della giustizia,

dell’amministrazione di Roma e dello Stato della Chiesa.

Per portare a termine una tale mole di lavoro il cardinale

Carafa era supportato dalle segreterie particolari e da quelle a

litteris italicis. Le prime non avevano un carattere ufficiale, ma erano al

servizio del nepote, le altre erano inserite nel sistema della

201 Cfr. L. V. PASTOR Storia dei papi, cit. ,VI, p. 360-361.

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Page 121: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Segreteria pontificia.202 Inoltre si circondava di uomini fidati,

tra i quali Giovanni Della Casa, che era il Segretario intimo o

maggiore e si occupava di tutti gli affari di Stato; Annibale

Bozzuto, arcivescovo di Avignone e soprintendente dello Stato

ecclesiastico203 e Silvestro Aldobrandini, che aveva in mano la

gestione del fisco e la repressione della criminalità.204 Carafa si

serviva di tali collaboratori quotidianamente, mentre gli affari

più importanti venivano trattati in riunioni alle quali

partecipavano tutte e tre le personalità (il papa, il Cardinal

nepote e Giovanni Della Casa). Per gestire la corrispondenza

italiana il Cardinale nepote era supportato da una Segreteria

composta da: Antonio Elio, vescovo di Pola, Giovanni Francesco

Commendone, Angelo Massarelli, Gerolamo Soverchio e Trifone

Bencio. Tutti questi collaboratori avevano a loro volta alle loro

dipendenze altro personale. Tutti avevano il titolo di Segretario,

ma non la stessa importanza. Questa era resa evidente dal numero

di cavalli che ciascuno aveva a sua disposizione: ad esempio della

Casa ne aveva tre, mentre il vescovo di Pola due soltanto.205

Sicuramente, quindi, il ruolo che in Curia aveva della Casa era

maggiore: egli si occupò di tutta la corrispondenza politica negli

anni 1555-1556 ed era a conoscenza di tutti gli intrighi politici

e dei secondi fini del Carafa. Morì di gotta e di febbre nel mese

di novembre del 1556. Lo sostituì Silvestro Aldobrandini, il padre

del futuro Clemente VIII, il quale, però cadde in disgrazia e

venne imprigionato a Castel Sant’Angelo con l’accusa di aver letto

la corrispondenza privata del pontefice, di ricevere regali e

pensioni e di provocare liti tra il papa e suo fratello, il duca202Cfr. Ibidem, p. 419.203 Cfr. Ibidem, p. 462.204 Cfr. ibidem, p. 412.205 Cfr. ibidem, p. 420.

121

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di Paliano. Inutili furono i tentativi del Carafa di aiutare

l’amico, proponendo allo zio di creare una commissione di

inchiesta per verificare la posizione di Aldobrandini; infatti,

nonostante fosse riuscito ad evitargli la prigione, il Segretario

del Cardinal nepote morì nel giugno del 1558. 206

Di Antonio Elio e Giovanni Francesco Commendone non si riesce

a sapere quali erano le loro mansioni. Dallo studio del Carga si

apprende che avevano la qualifica di “sostituti o coadiutori

maggiori”207

Trifone Bencio aveva l’incarico di numerare i dispacci

confidenziali e di decifrare quelli che arrivavano.

Il nome di Girolamo Soverchio compare nei documenti pontifici,

ma non è stato possibile ricavare quali erano i suoi compiti nella

Segreteria.208

Angelo Massarelli si mise in luce durante il Concilio di

Trento, mentre rimase in ombra durante il pontificato di Paolo IV.

Il Carafa, poi, aveva come Segretari particolari Alessandro

Martio, Francesco Spini e Andrea Sacchetti.209

La Segreteria dei brevi durante Paolo IV godette di una certa

autonomia, fu Leone X a separarla dal collegio dei Segretari, ne

facevano parte il cardinal Berengo, che in Curia aveva una

posizione simile a quella di Giovanni Della Casa e Giovanni

Francesco Bini, umanista della scuola di Sadoleto210. In tale 206 Cfr. ibidem, pp. 427-428.207 Cfr. G. Carga, Informazione del secretario e secreteria di Nostro Signore et di tutti gli offitii che da quella dipendono del Sgr Giovanni Carga, Laemmer, Monumenta Vaticana, appendix II, p. 457 e segg.208 Cfr. ibidem, p. 431.209 Cfr. ibidem, p. 437.210 Sadoleto era un cardinale umanista che si caratterizzò per il tentativo chefece di dialogare con i protestanti, nacque da una famiglia di giuristi masubito mostrò di essere più interessato agli studi classici e alla filosofia.Nel 1503 fu nominato canonico di San Lorenzo, fu segretario di Leone X e diClemente VII. Nel 1536 divenne cardinale. Scrisse l’epistolario In Pauli epistolam ad

122

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Segreteria erano, inoltre, impiegati anche Antonio Fiordibello e

Cesare Glorierio.

Sotto Sisto V, la Segreteria era composta da diversi uffici

come il Segretario dei memoriali, che doveva riferire al pontefice

le suppliche che gli erano state spedite, gli uffici dei Segretari

delle congregazioni, del Segretario della cifra e del Segretario

dei brevi. Quest’ultima Segreteria era una derivazione della

Segretaria Apostolica. Fu Innocenzo VIII con la sua famosa bolla a

renderla autonoma.

Il Segretario dei brevi ai principi aveva il compito di

compilare le encicliche e le altre lettere apostoliche,

solitamente aveva a sua disposizione un sostituto e due scrittori.

Spesso, poi, veniva chiamato a scrivere orazioni funebri per i

papi e componeva le allocuzioni latine che il papa pronunciava in

Concistoro, ma alla fine egli si dovette occupare quasi

esclusivamente dei brevi e delle bolle segrete.

Oltre a tale Segreteria un altro ufficio importante e

strettamente legato alla Segreteria Apostolica, era la Segreteria

delle lettere latine. Essa si occupava di stilare in lingua latina

le epistole indirizzate a cardinali patriarchi, arcivescovi,

vescovi superiori di istituti religiosi di ogni specie, rettori di

università cattoliche ed altre figure sia laiche che

ecclesiastiche. Anche questo organo era direttamente dipendente

dal pontefice e talvolta gli ordini ad esso indirizzati

provenivano anche dal Segretario di Stato.211

Durante il pontificato di Pio IV il responsabile della

corrispondenza dei brevi segreti era il mons. Cesare Glorierio, diRomanos nel 1536, che fu costretto a rivedere e correggere l’anno successivo,perché era stato messo in guardia dato che l’opera poteva sembrare di caratteresemipelagiano.211 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana, cit. , p. 457.

123

Page 124: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

origine francese. Egli aveva come collaboratori altri tre

scrittori, che dovevano corrispondere alle mansioni sopra

descritte. Sisto V diede un tale incarico a Giovanni Battista

Canobio e successivamente al Gualteruzzi.212 Questo papa, poi,

concesse a coloro che facevano parte dei Segretari dei brevi ai

principi una onorificenza che visivamente consisteva nel lascito

di un cappello con un fiocco e un ornamento di colore rosso.213

Soppresse, inoltre, la carica di Segretario domestico, tenuta

all’epoca da Giovan Battista Canobio e affidò il potere di

conferire un tale incarico al Collegio dei Segretari Apostolici, i

quali, per ottenere un simile privilegio, versarono nelle casse

pontificie 25000 ducati. Concesse a chi svolgeva l’ufficio curiale

un alloggio corrispondente all’abitazione palatina e fissò per

costoro la porzione di tasse che avrebbero dovuto versare allo

Stato. Ciò fu espresso nella bolla Romani Pontificis del 1 aprile 1586:

“ Reformatio officiis emolumentorum Secretarii domestici summi romani Pontificis; cum

indultorum Collegi Segretariorum concessione et ampliatione.”

Verso la fine del secolo si assistette ad una perdita di

importanza, quasi ad una decadenza del Collegio dei Segretari

Apostolici. Ciò perché si era abusato della venalità delle cariche

e si era data troppa importanza al Segretario domestico rispetto

agli altri segretari. Almeno queste erano le motivazioni secondo

Giovanni Carga. Lo studioso auspicava che la Segreteria Apostolica

fosse in collegamento con il Collegio dei Segretari, proponeva,212 Carlo Gualteruzzi visse tra il 1500 e il 1577. Studiò legge, si interessòalla filosofia e alla letteratura, conobbe Ludovico Beccatelli, Giovanni dellaCasa e il Bembo. Iniziò la sua carriera lavorando presso il vescovo di Fano,Goro Gheri, poi si trasferì a Roma e si inserì all’interno prima della Dataria,in seguito entrò nella Penitenzieria finchè il Bembo e il Della Casa non gliaffidarono la cura dei loro affari. Scrisse un epistolario interessantesoprattutto dal punto di vista storico.213 Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni,cit. ,p. 264.

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Page 125: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

poi che quest’ultimo fosse retto da un cardinale e che fungesse da

serbatoio dal quale estrarre valide personalità da inserire nei

ruoli più prestigiosi dell’amministrazione pontificia. Le finalità

ultime di queste proposte del 1582, studiate dal Carga e da un

anonimo, a parere di Antonio Menniti Ippolito, avevano lo scopo di

ridurre la possibilità per i nuovi Segretari delle congregazioni

di entrare nella Segreteria e puntavano ad aumentare le entrate

sia dello Stato che del Collegio stesso.

Sisto V nel 1586 aumentò le entrate dei Segretari apostolici,

rendendo venale questa carica e, in un secondo momento, anche la

Segreteria dei brevi ai principi fu resa venale.

Di questi suggerimenti, poi, anche Gregorio XIII colse solo

il vantaggio economico che simili riforme potevano portare alle

casse pontificie. Egli, infatti, aumentò l’ufficio di Segretario

Apostolico e ne diminuì il reddito. L’ufficio fu venduto a 9000

scudi con un reddito di circa l’8 %.

Tutte queste modifiche della concezione del Segretario di

Stato acuirono le rivalità tra quest’ultimo e il Cardinal nepote.

Ciò accadeva perché le importanti personalità che andavano ad

occupare questi posti provenivano da ambienti diversi. Il Cardinal

padrone, infatti, spesso era un parente del pontefice, mentre il

Segretario di Stato era più specificamente un prelato. Tuttavia,

quello di Cardinal nepote non era l’unico incarico che il papa

poteva dare ai suoi parenti per inserirli nella Chiesa, infatti,

anche altre carriere all’interno della Santa Sede permettevano ai

papi di garantire ai propri congiunti un posto di prestigio nel

governo dello Stato e con esso di salvaguardare il ruolo di primo

piano della famiglia di appartenenza, come quella di Generale di

S. Romana Chiesa, di Generale delle Galere e della Marina

125

Page 126: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Pontificia e di Castellano di Castel Sant’Angelo; quella di

Cardinal nepote, però, dava maggiori possibilità di occuparsi più

direttamente degli affari di famiglia, di stringere alleanze con

altre nobili casate, se possibile, di ampliare i propri

possedimenti e di gestire questi rapporti in modo diplomatico,

fungendo spesso da mediatore. Tale ruolo poi dava accesso ad altri

titoli come quello di Soprintendente Generale e quello di Prefetto

della Congregazione della Consulta. Fu nell’epoca di governo di

Sisto V che le due figure finirono per confondersi, o, per essere

più precisi, la seconda inglobò la prima. Così il Cardinal nepote

finì per svolgere anche quegli incarichi politico-diplomatici e

spirituali che, fino a quel tempo, erano stati di competenza del

Segretario di Stato. Tra le funzioni che, invece, non spettavano

al cardinal nepote c’erano “le questioni implicanti l’uso delle

chiavi”,214 la collazione dei benefici, le provviste della Chiese e

le dispense. Di queste questioni solitamente si occupavano altri

funzionari di Stato come coloro che lavoravano all’interno della

Dataria, della Segreteria dei brevi o delle congregazioni. Il

Cardinal nepote allora si trovò a gestire tutte quelle faccende

riguardanti la politica estera e che consistevano nel ricevere

ambasciatori, nunzi e i più alti magistrati. Una volta che questi

incontri avevano termine era ancora compito del Cardinal nepote

riferire al pontefice le questioni più importanti, per le quali si

dovevano prendere² le decisioni e sulle quali solo la più alta

autorità ecclesiastica poteva assumersi la responsabilità di ciò

che veniva stabilito a riguardo. Si diceva, inoltre, che il

Cardinal padrone avesse il potere dell’ “oracolo generale di vivae

voces”, tale facoltà gli permetteva di eseguire la volontà del214Cfr. L. LONDEI, L’ordinamento della segreteria si Stato tra Antico Regime ed età moderna dellaRestaurazione,in Mélanges de l’Ecloe francaise de Rome. Italie et Méditerranée, 1998, p. 461-463.

126

Page 127: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

papa senza bisogno di alcuna autorizzazione scritta. Come il

Segretario di Stato aveva la residenza nel palazzo apostolico e

aveva la responsabilità di determinate legazioni, quali quelle di

Avignone, del Contado Vanassino di Francia e dello Stato di Fermo.

Riguardo al rapporto tra le due importanti figure gli storici

Serafini e Del Re videro nella figura del Segretario di Stato, il

tutore del Cardinal nepote, colui che doveva insegnare al parente

del papa, destinato quindi a fare carriera in Curia, il

funzionamento della “macchina statale”. Non tutti gli storici,

però, sono d’accordo a riguardo, uno di questi è Antonio Menniti

Ippolito che su tale tesi si mostra piuttosto scettico.

Effettivamente, se ci fossero stati veramente questi rapporti di

collaborazione tra le due cariche, rapporti che dovevano essere

simili a quelli che si instaurano tra un maestro e il suo scolaro,

essi non dovevano portare alla rivalità, dal momento che sarebbe

dovuta subentrare anche una qualche forma di riconoscenza o

rispetto, inoltre entrambe le figure sarebbero dovute permanere

all’interno dell’amministrazione se i compiti di ciascuna erano

tanto bene distinti e definiti, mentre sappiamo che il Cardinal

nepote scomparve, a differenza del Segretario di Stato che ancora

oggi rappresenta una carica importante dello Stato pontificio. La

motivazione di una simile scelta effettuata dai papi che si

succedettero sul trono di Pietro è frutto delle rielaborazioni e

degli insegnamenti che costoro trassero dalle esperienze dei loro

predecessori. Infatti, chi con più forza e tenacia, chi con meno

vigore e volontà, avvertirono i pericoli e gli aspetti negativi

che i parenti in Curia recavano allo Stato e, con esiti differenti

nei secoli successivi, cercarono di trovare per questo una

soluzione. La risposta che essi ebbero, appunto, fu quella di

127

Page 128: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

considerare il Cardinal nepote come una carica scomoda e quando

costui si dimostrò inadatto ad assumere un simile ruolo, come

accadde, ad esempio con i nipoti di Innocenzo X un secolo dopo, lo

si sostituì con la figura che dava ai capi di Stato pontifici la

possibilità di scegliere i propri collaboratori in modo più

obbiettivo e con maggiore libertà

Non si sentì più la necessità di “sistemare” i propri parenti

in Curia, i tempi erano davvero cambiati, ma non smise mai di

essere utile la figura del Segretario di Stato. Ancora oggi essa è

al centro degli interessi della struttura vaticana. Il nuovo

Segretario di Stato è sempre un punto di riferimento della Santa

Sede, ma anche di tutto il popolo cristiano e non. Egli ha infatti

seguitato a mantenere una funzione di portavoce autorevole della

Chiesa Cattolica presso tutte le altre realtà politiche e

spirituali esistenti nel mondo.

L’ultima riforma che riguarda il ruolo che questo funzionario

deve assumere in Curia risale alla costituzione Pastor Bonus del 28

giugno 1988, scritta da papa Giovanni Paolo II. Questo documento

ribadisce i compiti del collaboratore del pontefice, il quale deve

dimostrarsi attento sia al rapporto tra il capo della Santa Sede e

le questioni spirituali, sia al mantenimento di una relazione tra

il vertice del governo della Chiesa e gli altri organi interni ad

essa. È dunque ancora una figura cardine della Santa Sede, che

necessita di una personalità che abbia doti politico-diplomatiche

e organizzativo-gestionali non indifferenti. Deve, insomma,

dimostrare di essere un buon ministro degli esteri e un buon

ministro dell’interno. Nella realtà politica contemporanea è uno

dei pochi funzionari che ancora oggi è riuscito a mantenere

128

Page 129: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

entrambe queste funzioni direttamente ereditate dall’epoca

moderna.

Il legato pontificioL’impiegato dello Stato della Chiesa che per primo si avvicinò

alla carica di legato, funzione che diventerà nell’epoca moderna

molto importante per consolidare il potere temporale e spirituale

dei papi, fu quella di vicario, titolo derivato direttamente dal

diritto romano, ma che è stato subito accolto dal mondo

ecclesiastico fin dal Concilio di Calcedonia. I vicari erano dei

rappresentanti papali. Essi dovevano essere trattati come si

doveva trattare con il papa stesso: “eum in his fratribus etiam

mea sit aestimanda praesentia.”215 Leone il Grande vide che con

l’istituzione del legato poteva nascere una figura in grado di

sostituirlo nelle periferie dello Stato. Tuttavia il pontefice che

maggiormente ha contribuito a rendere l’immagine del legato più

complessa e strutturata è stato Innocenzo III. Costui utilizzava i

monaci cistercensi per portare a termine le missioni diplomatiche

dello Stato. L’ istituzione delle nunziature nacque e si sviluppò

sulle preesistenti strutture delle legazioni e delle

collettorerie.

Inizialmente la carica di legato pontificio e quella del

collettore spesso coincidevano o per meglio dire, capitava di

frequente che i collettori si dovessero occupare di questioni

politico-diplomatiche e che i legati avessero tra le loro mansioni

quella di raccogliere i denari spettanti alla Santa Sede dai

territori periferici dello Stato. Ciò ha fatto pensare ad alcuni

studiosi che la collettorerie avrebbero dato vita alle nunziature

215Cfr. P. BLET, Histoire de la Representation Diplomatique du Saint Siege des origines à l’aube du XIX siècle, Città del Vaticano, Archivio vaticano, 1982, p. VII della prefazione.

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Page 130: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

permanenti, anche se Pierre Blet non è d’accordo con questa

ipotesi. Egli, infatti, ha notato che le nunziature permanenti si

sono formate sia dove era presente la collettoreria, sia dove

questa non operava. Una relazione tra i due uffici non si può

tuttavia escludere, dal momento che le condizioni in cui si

trovavano a lavorare e i problemi che dovevano risolvere erano

simili, oltre al fatto che entrambi insistevano su un territorio

che era loro stato assegnato specificamente. 216

La differenza principale tra le due figure era che per

diventare legati si doveva avere la carica di cardinale mentre il

collettore poteva avere solo, in aggiunta al suo titolo quello di

nunzio che, rispetto al legato, era una carica inferiore, che dava

accesso a poteri e competenze limitate se confrontate con quelle

del legato.

Il collettore poteva essere un incaricato del papa ma anche di

un vescovo o di un capitolo, di un monastero, di un ordine o di

una confraternita. Solitamente aveva la denominazione di nuntius o

collector, o di receptor. Il commissarius invece era chiamato a trattare

questioni finanziarie che a volte venivano affidate anche al

collettore.

Al collettore veniva assegnata, come al legato pontificio, una

porzione di territorio e per questo lo Stato della Chiesa fu

diviso in collettorerie, che corrispondevano a province dello

Stato o a diocesi. Una collettoria poteva riunire anche più

province o più diocesi.

Ancora una volta fu il periodo avignonese che vide lo sviluppo

di queste istituzioni. Inoltre i documenti che i collettori

producevano hanno permesso di avere un quadro piuttosto

216 Cfr. ibidem, p. 158.

130

Page 131: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

dettagliato dell’attività finanziaria che costoro svolgevano, ma

anche di individuare la zona dove operavano e le condizioni in cui

lavoravano.

Per portare a termine le loro missioni questi funzionari

dovevano risiedere nel luogo dove riscuotevano le imposte. Per

questo accadeva frequentemente che il collettore fosse un vescovo.

Per essere nominato, un collettore doveva ricevere un atto di

nomina, le proprie procure e altri incarichi particolari, tra i

quali anche talvolta la gestione dei beni di un ecclesiastico

defunto, che era morto prima di aver versato quanto dovuto alla

Camera Apostolica; riceveva da questa, infine, le liste dei

benefici e delle tassazioni. Quando la Camera non forniva la

documentazione dovuta, il collettore doveva farsela consegnare dal

suo predecessore. Aveva poi la facoltà di assumere i subcollettori

del funzionario che lo aveva preceduto, oppure poteva scegliere

nuovi collaboratori. Oltre ai subcollettori aveva bisogno, un po’

come il legato, di altro personale al suo servizio, come: servi,

cuochi, stallieri, assistenti qualificati, notai scribi, messi,

fratelli, nipoti, luogotenenti, accompagnatori esperti della zona,

interpreti, personale di guardia, etc…

Inoltre chi doveva svolgere queste funzioni aveva anche

bisogno di materiale cartaceo, di pergamene, della cera per i

sigilli, dei contenitori per il trasporto, di cavalli. Alcuni di

questi documenti riguardavano questioni strettamente economiche e

fiscali, altri dimostravano i rapporti tra i collettori e l’organo

centrale della Camera Apostolica e facevano riferimento a

richieste di chiarimenti, rapporti e rendiconti. A partire dal XII

secolo i pontefici crearono una struttura stabile di riscossione

delle imposte. Queste si dividevano in decime, annate, spogli,

131

Page 132: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

riscossione di frutti e benefici etc… I servitia communia erano delle

tasse che dovevano servire per finanziare i viaggi che i legati e

i collettori facevano nei territori pontifici. Esse permettevano

di fornire la cancelleria per la spedizione di bolle, presenti che

i vescovi erano soliti donare quando si spostavano e andavano a

visitare qualche illustre personalità e i diritti di pallio.

Tuttavia non erano somme che entravano nella Camera Apostolica,

quindi non erano inserite all’interno dei circuiti che

riguardavano i collettori. Le decime erano chiamate così perché si

doveva versare nelle casse dello Stato la decima parte dei redditi

dei benefici. Quando Gregorio XV nel 1274 decise di creare una

decima universale, per organizzare la struttura di pagamento di

questa tassa, sorsero ventisei collettorerie. Le annate

corrispondevano, invece, ai redditi di un anno di benefici; infine

il sussidio caritativo era una forma di tassazione più libera che

si basava sulla generosità dei contribuenti. Un’ ultima forma di

tassazione erano le procurazioni, queste permettevano ai nunzi di

avere il seguito, di cui erano soliti contornarsi ed erano proprio

le comunità visitate a versare questo tributo. In un secondo

momento ci si accorse che questa tassa era pagata anche quando i

prelati non visitavano le comunità.

Il lavoro di collettore non era infine esente da rischi. Il

pericolo maggiore che questi impiegati correvano era costituito

dal momento in cui si aveva il bisogno di trasportare il denaro.

In quel caso era necessario il supporto di una scorta anche

armata. A volte capitava che i contribuenti si rifiutassero di

pagare le tasse alla Santa Sede e che scoppiassero rivolte che

potevano anche portare all’imprigionamento del funzionario.

132

Page 133: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Chi aveva la carica di legato, invece, era già dal medioevo

una persona molto vicina al pontefice. A partire da questo

periodo, i papi sentirono la necessità di unificare il proprio

territorio e, per far ciò, crearono l’amministrazione provinciale,

il sistema fiscale e le legazioni.217 Fu il cardinale Gil Albornoz

che, per primo, offrì ai pontefici un modello di amministrazione

periferica che costoro utilizzarono per molto tempo,

condividendone l’impostazione: tale modello era costituito dalle

Costituzioni Egidiane. La loro struttura si basava su due

pilastri: da un lato c’era il piano giurisdizionale, dall’altro

quello fiscale. Il primo pilastro si basava sull’operato di

quattro giudici, dei quali uno si occupava delle cause civili, uno

delle penali, uno di quelle d’appello e uno di quelle

ecclesiastiche, e di numerosi notai. Il secondo, invece, si basava

sull’opera di un tesoriere e di diversi dipendenti. Un

maresciallo, infine si occupava di garantire la pubblica

sicurezza. La figura che dava unità alle singole sezioni di questa

struttura periferica era il rettore, che in questi territori era

il punto di collegamento con il potere centrale. I luoghi fisici

in cui si verificavano questi confronti tra centro e periferia,

tra feudatari, clero, città e rettore erano i parlamenti

provinciali.

Sotto l’aspetto finanziario, il tesoriere provinciale era

incaricato di raccogliere le tasse e di versare ciò che avanzava

nelle casse della Camera Apostolica che, in caso di necessità,

avrebbe sostenuto la provincia colmando l’eventuale deficit. In

tale contesto sorse la figura del legato, che si trovò ad offrire

un ulteriore aiuto al potere centrale, sempre più bisognoso di217Cfr. A GARDI, Lo Stato in provincia: l’amministrazione della legazione di Bologna durante il Regno di Sisto V, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1994, p. 22.

133

Page 134: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

entrate economiche e di controllo sui territori sottomessi, per

evitarne eventuali ribellioni. Uno dei primi legati pontifici fu

proprio l’Albornoz. Egli aveva unito nella sua persona sia la

carica di legato che quella di vicario, che comprendeva tra le sue

funzioni quella di gestire tutti i dipendenti del pontefice, di

esercitare il potere giudiziario e di grazia, di lavorare per

assicurare la pace tra i sudditi e di assicurare loro stabile

fedeltà al sovrano. Godeva sia del potere temporale che di quello

spirituale su tutto il territorio della penisola. Aveva gli stessi

poteri del capo della Chiesa, si occupava, quindi, sia di

questioni politiche che di faccende amministrative. Proprio a

partire dal sistema studiato da questo servitore dello Stato della

Chiesa, i pontefici successivi fino al XVI secolo ripartiranno per

creare l’ossatura dello Stato da loro governato.218

Soprattutto nei primi tempi gli ambasciatori dello Stato

della Chiesa si dovevano confrontare con i reami delle altre

nazioni, ma tra i loro compiti c’era anche quello di convocare i

sinodi, che erano l’occasione per rendere note le decisioni prese

in campo ecclesiastico, ma anche per uniformare la giurisdizione

della Santa Sede.

Capitava poi che fossero chiamati a svolgere anche incarichi

che concernevano la vita comune della comunità ecclesiastica come

l’elevazione delle reliquie, la dedicazione di chiese, le

concessioni di indulgenze e di benefici, etc…219

Un’altra caratteristica del legato pontificio era che per

effettuare i viaggi che doveva compiere e per portare avanti

quegli incarichi che gli erano stati affidati, egli come anche il218 Cfr. ibidem, p. 27.219 C. SCHUCHARD, Legati e collettori pontifici a Nord delle Alpi, in “Comunicazione e mobilità nel medioevo, Incontri tra il Sud e il Centro dell’Europa (secoli XI-XIV)”, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 454.

134

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collettore, aveva bisogno di un seguito di personale non

indifferente; costituito scribi, servitori personali, parenti, un

padre confessore, assistenti, consiglieri, segretari, notai,

cappellani e messi. Tutto questo seguito non sempre era gradito,

infatti nel 1215, durante il terzo e quarto Concilio Lateranense,

si stabilì che tale personale al servizio del nunzio non dovesse

necessitare di più di 25 cavalli, ma tale prescrizione durò solo

poco tempo. Infatti già a partire da Urbano IV tale regola non

venne più osservata. Così presto sorse la necessità di creare un

apposito contributo per finanziare questo tipo di viaggi: la

cosiddetta procurazione. Essa si sviluppò proprio per il fatto che

questi funzionari ricevevano “dei doni o che godevano

dell’ospitalità dei principi ecclesiastici e secolari.”220 Inoltre

questi diplomatici avevano anche dei poteri che permettevano loro

di arricchirsi. Avevano, infatti, la possibilità di concedere

agevolazioni, indulgenze e dispense, tramite il sistema della

delega. Le entrate che i legati sotto varie forme percepivano

potevano suscitare anche molto malcontento, in grado di mandare a

monte la stessa missione dell’inviato del papa. Probabilmente si

cercava di venire incontro alle richieste di questi diplomatici

anche perché, oltre ad essere in ottimi rapporti con lo stesso

pontefice che li nominava, spesso rischiavano la propria vita

nelle loro missioni. Non sempre, infatti, la lettera di

presentazione del pontefice bastava a far accettare la presenza

del nunzio nei luoghi dove era stato inviato. Altre volte, invece,

capitava che i legati ricevessero dei doni e fossero bene accolti.

I compiti che riguardavano un legato, poi, spesso erano tanto

delicati, da richiedere molte doti politiche. Infatti, le

220Cfr. ibidem, p. 460.

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comunicazioni tra la Santa Sede e questi territori dove venivano

inviati i nunzi non erano facili: la corrispondenza impiegava

molto tempo per raggiungere la sua destinazione, così capitava che

le informazioni arrivassero in ritardo rispetto alla necessità e

urgenza della situazione, oltre al fatto che inviare un corriere

richiedeva del denaro e a volte c’era bisogno di economizzare.

Così il legato era costretto per la maggior parte delle volte a

prendere decisioni da solo.

Il nunzio dell’epoca moderna era, quindi, un magistrato

pontificio, avente il compito di sostenere la Sollicitudo continua

omnium ecclesiarum.221 Egli aveva funzioni prevalentemente politiche

anche se le origini del suo ufficio erano soprattutto pastorali.

Infatti, in un primo momento, le nunziature servivano a creare una

via di comunicazione tra la Chiesa di Roma e le altre Chiese che

erano sorte dalle missioni svolte dagli Apostoli dopo la morte di

Gesù. Così erano nate la Chiesa di Corinto, fondata da San Paolo;

la Chiesa di Antiochia, fondata da Pietro; la chiesa di

Alessandria, fondata da Marco, etc… L’esistenza di una

corrispondenza tra le varie comunità cristiane ci è stata

trasmessa dai riferimenti presenti negli Atti degli apostoli e

dalle lettere di Pietro e di Paolo, dove si parla dell’attività di

alcuni messi inviati per mettere in comunicazione le varie realtà

cristiane tra loro. Tra questi sono stati tramandati i nomi di tre

corrieri: Claudio Efebo, Valerio Bito e Fortunato, che dovevano

costituire la prima delegazione romana, la quale, tra l’altro

doveva dimostrare il primato di Roma sulle altre Chiese.222 La

lettera che accompagnava la loro missione riportava le seguenti

parole: “ Noi abbiamo inviato delle persone fedeli e sicure che221Cfr. P. BLET, Histoire de la Representation Diplomatique, cit. , p. VII della prefazione.222 Cfr. ibidem, p.2.

136

Page 137: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

dalla giovinezza alla vecchiaia hanno vissuto senza lamentele tra

di noi e che saranno mantenuti testimoni tra di noi. Noi agiamo

affinché voi sappiate che noi abbiamo sempre avuto e che noi

abbiamo il più grande desiderio di procurarvi la pace al più

presto. Questi che abbiamo inviato presso di voi, Claudio Efebo,

Valerio Bito con Fortunato rinviateceli al più presto, affinché

essi possano annunciarci la pace e l’unità sperabile e

desiderabile, affinché anche noi possiamo rallegrarci della vostra

tranquillità.” Tale scritto ha fatto ritenere a studiosi come Fink

che queste personalità svolgessero già il ruolo di legato per

conto della Santa Sede.

Successivamente i Concili di Nicea e di Sardi sancirono il

diritto di legazione del vescovo di Roma e stabilirono il ruolo di

quello che sarebbe stato il legato a latere. D’ora in poi, infatti, “

un vescovo deposto da un altro vescovo può appellarsi al vescovo

di Roma; se il papa rifiuta l’appello, la sentenza è confermata;

se il papa accetta l’appello, questo costituisce un tribunale di

seconda istanza; il papa può inviare degli ambasciatori per sedere

sul tribunale di seconda istanza, secondo alcuni autori egli

presiederebbe di persona il tribunale; una volta che l’accusato è

ricorso in appello e finchè la sentenza definitiva non è stata

pronunciata, sia per il papa che conferma la sentenza, sia per il

sinodo provinciale costituito per il papa nel ricorso d’appello,

non c’è il diritto di istallare un altro vescovo al suo posto;

infine, i ricorsi del papa si fondano sul rispetto per la memoria

di San Pietro.”

Da questo momento in poi le legazioni iniziarono a lavorare

per l’unità della fede cristiana, per la sua difesa e per lo Stato

della Chiesa.

137

Page 138: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Nacque così la figura di legato de latere. Tale personalità era

solitamente un cardinale o, per meglio dire, solo i cardinali

potevano averne la qualifica, mentre chi non lo era poteva

comunque assumerne i poteri. Con il termine de latere si voleva,

invece, dire che il diplomatico agiva come se fosse il pontefice

in persona.

Oltre al legato c’erano altre due figure che agivano nelle

periferie dello Stato della Chiesa in nome del pontefice ed erano

i rettori e i vicari.

I rettori rappresentavano il potere temporale del papa nei

suoi territori. Attraverso una bolla veniva loro dato il potere di

reprimere i ribelli e di fare tutto quello che ritenevano utile

alla Chiesa e ai suoi sudditi, a questi ultimi veniva ordinato di

obbedire ai rettori, inoltre in tale scritto era spiegato che

questa figura doveva ricevere per il suo lavoro una entrata che

doveva essere reperita localmente. I vicari, invece, sorsero nel

Trecento ed erano inviati straordinari della Santa Sede,

incaricati di occuparsi delle riforme amministrative

Certamente il periodo avignonese fu molto importante per

sviluppare le potenzialità di questo nuovo ufficio, del resto i

capi della Chiesa dell’epoca sentivano il peso della guerra dei

Cento Anni e avevano, come loro principale obiettivo, il

ristabilimento della pace. Costoro, inoltre, usavano i legati

anche come mezzi per estendere il proprio potere e il proprio

controllo nei territori di loro competenza, così inviavano

frequentemente delle persone di fiducia per portare a termine

missioni diplomatiche; il fatto, poi, di essere costretti a

rifugiarsi ad Avignone rendeva ancora più utile la presenza dei

legati per tenere unita la Cristianità in un periodo che si

138

Page 139: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

dimostrava difficile: in quel tempo, infatti si doveva affrontare

la lotta tra guelfi e ghibellini e la lontananza da Roma

contribuiva a rendere difficile il rapporto tra il pontefice e le

periferie. Senza contare che per effettuare i viaggi, si aveva

bisogno di molto denaro che doveva essere gestito dai nunzi stessi

e che veniva raccolto prevalentemente dai conventi francescani e

domenicani, posizionati negli stessi luoghi di destinazione dei

nunzi. Questi conventi finivano per costituire, così, la più

solida ossatura dello Stato della Chiesa.223

Tra i nomi dei legati che compaiono in questa epoca si possono

ricordare Pileo da Praga, che operò durante il pontificato di

Urbano VI, mentre Clemente VII inviava suoi cardinali in Francia,

nell’Impero, nella penisola Iberica e nelle isole britanniche. Tra

il personale alle dipendenze di Clemente VII c’era Pedro de Luna,

il quale con il supporto di Vincenzo Ferrer, generale de

domenicani e futuro Benedetto XIII, riuscì ad avvicinare i

principi di Spagna alla causa avignonese. Fu proprio questo

pontefice che rivoluzionò l’idea di nunzio: egli riuscì a far

svolgere alle nunziature quel ruolo di amministratori che prima

non avevano, dando la possibilità anche a chi non era cardinale di

assumere un simile incarico. I nuovi nunzi potevano, così, punire

i corrotti e le malversazioni. Il primo di questi nunzi-

riformatori fu Bertrand de Deaux.224 Costui il 15 marzo 1346 fu

nominato legatus et reformator e ricette plenae legationis et reformationis

officium. Successivamente, il 30 marzo, divenne vicarius generalis… in

temporalibus. La sua competenza era estesa a tutta la penisola

italiana, anche se le aree interessate erano soprattutto quelle223Cfr. A. GARDI, Il mutamento di un ruolo. I legati nell’amministrazione interna dello stato pontificio dal XIV al XVII secolo,in “Offices et papauté”, Collection de l’Ecole Francaise de Rome, 2005, p.375.224 Cfr. ibidem , p. 378.

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della Marca, quelle della città e del distretto di Roma, del

Patrimonio di San Pietro e del Ducato. Benedetto XII aveva,

quindi, affidato al legato il compito di pacificare, difendere,

governare e amministrare le regioni affidategli. Poteva, in queste

zone, cioè, amministrare la giustizia, nominare o rimuovere i

rettori, togliere ai sudditi ogni diritto, onore, carica, feudo o

proprietà. Queste erano le mansioni di quello che venne chiamato

il cardinal vicario.

Il Concilio di Costanza, con la successiva nomina di Martino V

a pontefice e con la ritrovata unità della Chiesa di Roma, portò a

sentire ancora una volta il bisogno dell’opera dei legati a latere,

degli ambasciatori, dei nunzi e degli oratori del papa per

affrontare e risolvere problemi come la soppressione dell’eresia,

la difesa delle immunità ecclesiastiche e la difesa dell’Occidente

dai turchi.225 In questo periodo sorse anche la figura del legato

vicario generale in spiritualibus et temporalibus, che andava a governare,

avendone la responsabilità, intere province. Durante il concilio

di Costanza vengono fissati alcuni punti per garantire l’unità

dello Stato che culminano con disposizioni anche di natura

amministrativa per quanto ridotte all’osso. In essi era stato

stabilito che venissero revocate le concessioni di vicariati

apostolici, territori e domini della Chiesa romana di durata

eccedente il quinquennio compiute durante lo scisma senza

l’approvazione del concilio e della maggioranza del Sacro

collegio, che venissero limitate a tre anni per il futuro e che

non si concedessero regimina terrarum, provinciarum, civitatum et dominiorum

Ecclesiae Romanae…nulli nisi cardinali vel prelato ecclesiastico.”226

225 Cfr. P. BLET, Histoire de la Representation Diplomatique, cit. , p. 160.226 Cfr. A. GARDI, Il mutamento di un ruolo, cit. , p. 403.

140

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I legati di questo periodo si trovarono, quindi, a risolvere

problemi complessi, il successo di una missione dipendeva

soprattutto dalle doti politiche, diplomatiche e amministrative

che aveva il funzionario, che era stato mandato dal papa, quindi,

la scelta dei pontefici doveva cadere su dirigenti qualificati e

dei quali ci si potesse fidare.

Del resto, la stessa situazione politica spingeva i governanti

alla creazione di queste strutture. Infatti tra il Trecento e il

Quattrocento frequentissime erano le guerre tra i numerosi stati

della penisola, l’autorità imperiale andava perdendo il proprio

potere, vi era, infine, una estrema frammentazione di realtà

politiche come i comuni, le province, le signorie, i poteri

feudali, gli Stati cittadini etc.. Tutto ciò spingeva alla

creazione di una organizzazione diplomatica.

Una data importante per lo sviluppo della diplomazia nel

territorio italiano è stata la Pace di Lodi del 1454. Le

trattative che ebbero come epilogo la stipulazione di questa pace

sono state la prova più evidente del livello raggiunto dalle

ambasciate di quel tempo. Essa ha segnato il punto di rottura tra

una condizione di guerre continue e l’inizio di una politica volta

alla stabilizzazione della pace e alla nascita di una diplomazia

che aveva come obbiettivo il raggiungimento di un equilibrio tra

le forze in campo.

Questo nuovo modo di ragionare si era diffuso quando ci si

accorse che con la creazione di alleanze non si otteneva lo scopo

di un maggiore forza, ma di una somma di debolezze.

Una delle prime differenze tra le strutture diplomatiche che

sorgono nel Quattrocento è quella che si evidenzia analizzando

come erano sviluppati i rapporti tra gli Stati quando questi erano

141

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governati da sovrani e quando invece erano retti da un regime

repubblicano. Nel primo caso era solo l’autorità del sovrano che

decideva i comportamenti che il legato doveva avere, mentre nel

secondo caso costui era soggetto all’organo legislativo; il suo

raggio d’azione era, quindi, più limitato. Il ruolo

dell’ambasciatore in uno Stato retto da una Signoria era spesso

basato sulla fiducia che il Principe aveva nei confronti del

collaboratore, egli era spesso il suo segretario, il suo ministro,

il suo consigliere. La posizione invece che era chiamato a

ricoprire il legato che lavorava al servizio di una repubblica

corrispondeva al significato originario del termine nuncius, cioè

“lettera parlante”. Il diplomatico doveva essere tanto neutrale

nei confronti delle mansioni che gli venivano affidate, che non

poteva neanche partecipare alle decisioni che si prendevano nel

consiglio e che avrebbero delineato i caratteri e le finalità

delle sue missioni. Questa era la prassi che, ad esempio, seguiva

Venezia. Una testimonianza di questo diverso trattamento dei

legati nei principati e nelle repubbliche lo ricaviamo anche delle

osservazioni di Torquato Tasso, il quale, ne Il Messaggero diceva:

“sì come la podestà de’ principi è più assoluta che quella delle

repubbliche, così la trasfondono più assolutamente ne gli

ambasciatori i principi che non fanno le repubbliche.”227

Lentamente, però, anche Venezia si adeguò e il legato non svolse

più un ruolo di servizio, ma iniziò a ricevere direttive più

duttili sul modello delle signorie dei Medici e degli Sforza. Ciò

comportò che “la progressiva istituzionalizzazione della figura

dell’ambasciatore coincise con un accentramento dell’autorità, ma

227 D. FRIGO, Politica estera e diplomazia: figure, problemi e apparati in “Storia degli antichi Stati italiani”, a cura di G. GRECO e M. ROSA, Laterza, 1996, p. 126.

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Page 143: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

anche con un tendenziale ricorso a procedimenti decisionali più

diretti e segreti di quanto la legislazione comportasse.”

La nascita delle nunziature nelle repubbliche permise a queste

ultime, proprio in virtù del fatto che non erano così libere di

comportarsi come volevano come, invece, accadeva nei principati,

di creare una serie di norme in grado di regolare il modo di agire

dei nunzi nello svolgimento del loro lavoro. Questa elaborazione

normativa verrà successivamente utilizzata anche dai principati,

quando, anche loro, avvertiranno la necessità di regolare la

materia. Tali norme riguardavano: l’elezione degli ambasciatori,

le loro prerogative, i loro doveri, l’obbligo della corrispondenza

e del rendiconto finale, le spese di rappresentanza e i tempi

delle missioni. Il ruolo del diplomatico nelle repubbliche non era

un privilegio, ma era considerato un dovere, esso costituiva una

tappa obbligatoria per chi volesse fare carriera politica. A

Venezia si doveva addirittura controllare che i cittadini, quelli

ovviamente più nobili, non si rifiutassero di fare il legato,

qualora ci fosse stato bisogno di loro. In un secondo momento,

però, anche il legato di Venezia ebbe più potere e maggiore

indipendenza. Infatti, quando era in servizio, egli finì per fare

le veci di un vero e proprio principe.

Inizialmente non era difficile comprendere se una provincia

stava vivendo una situazione tranquilla oppure se stava

attraversando una fase critica. Nel primo caso era il governatore

che l’amministrava, nel secondo il potere centrale inviava il

legato a risolvere i problemi che in essa erano sorti.

Successivamente, invece, questa netta differenza tra i due compiti

assegnati ai due funzionari venne meno. Ciò accadde quando la

carica di legato fu affidata ai nipoti o a familiari del

143

Page 144: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

pontefice. A costoro iniziarono, infatti a venire affidate le

legazioni più prestigiose, come quelle di Bologna, della Romagna,

di Avignone e del Vanassino. Alcuni di questi legati, poi, neanche

si recavano nei luoghi che erano stati loro affidati, limitandosi

a percepirne i proventi. Al loro posto, a stretto contatto con le

popolazioni locali, gli stessi legati mandavano loro sostituti.

Costoro avevano la carica di luogotenenti o vicelegati.

Dal 1417 al 1500 furono 44 i legati nominati dalla Santa sede,

il loro numero salì a 87 nel XVI secolo e seguitò ad aumentare nel

XVII, per arrivare a raggiungere il numero di 95 funzionari.228

Coloro che operarono dal XV al XVIII secolo, provenivano per la

maggior parte dei casi dall’Italia. Le loro nomine rispecchiavano

la composizione del Collegio cardinalizio: venivano, infatti,

soprattutto dalla Toscana e da Genova. Questi impiegati della

Santa Sede erano spesso appartenenti a nobili famiglie dello Stato

della Chiesa o a casate principesche italiane come i Gonzaga, gli

Este e i Cornaro. Alcuni erano vicini alle famiglie che gestivano

le più importanti banche dell’epoca come quelle toscane e

genovesi, tra costoro c’erano gli Acciaioli, i Bonvisi e i

Durazzo. Quei legati che, invece, non erano italiani avevano

ottenuto una nomina di un tale valore in quanto erano considerate

delle importanti figure di quel periodo. Alcuni di loro furono, ad

esempio Borbone, Carrillo e Pole. Non mancarono, poi, legati che

in precedenza avevano ricoperto il ruolo di notabile della

provincia come furono i Bevilacqua, i Capranica e gli Spada.

Sei furono quelli che portavano il cognome Savelli, cinque

furono i Farnese e i Barberini, quattro gli Orsini, i Gonzaga, gli

Sforza e i Carafa. La presenza dei membri di queste storiche

228Cfr. A. GARDI, Il mutamento di un ruolo, cit. , p. 411.

144

Page 145: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

famiglie della nobiltà romana all’interno del sistema delle

legazioni era la dimostrazione che molte delle personalità che i

pontefici chiamavano per ricoprire questo incarico, appartenevano

ad una ristretta oligarchia di famiglie le quali, di fatto,

amministravano lo Stato della Chiesa. Riuscire ad inserire,

infatti, all’interno di queste strutture i loro parenti, era

l’occasione per dare maggiore lustro alla propria casata e offrire

alle giovani generazioni di questa, la garanzia di un buon posto,

in grado di permettere loro di sviluppare le proprie potenzialità.

Il Cinquecento acuì il bisogno di ricevere informazioni

dall’estero. Questa volta fu la conquista della penisola da parte

degli stranieri a segnare la differenza con il periodo precedente.

In particolare ciò avvenne a partire dal 1494. I nuovi compiti

affidati alla diplomazia consistevano nel conoscere le mosse

altrui in tempo utile, facendo sapere, procurando notizie,

offrendo dati precisi sulle forze rivali, avanzando ipotesi e

congetture, per consentire scelte maggiormente meditate. Così,

“nei primi del Cinquecento, nel periodo più significativo dei

contrapposti interessi tra Francia e Impero, fra il papato e una

qualsiasi ipotesi di unità nazionale, fra famiglie cittadine e

dinastie feudali, le corti italiane, coinvolte in ciascuno di

questi conflitti, erano innanzitutto sedi di incontro e di

negoziato diplomatico.”229 Avvenne quindi, che la condizione

irrinunciabile per far sopravvivere le piccole realtà politiche

della penisola italiana come quelle dei Gonzaga, degli Este, dei

Farnese, dei lucchesi etc… era quella di far correre quanto più

velocemente possibile le informazioni provenienti dagli altri

Stati. Soprattutto divennero importanti le relazioni con le

229 Cfr. BARBERIS, Uomini di corte nel Cinquecento, p. 864.

145

Page 146: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

principali sedi dell’Impero, come Vienna, Praga e Ratisbona.

Questo periodo vide anche aumentare l’interesse per formazioni

politiche anche molto diverse e lontane da quelle presenti nella

penisola; come quelle oltreoceano, come la Polonia e come i Paesi

dell’Europa orientale.

Questo aumento dell’importanza dello strumento diplomatico ha

portato anche alla sostituzione delle vecchie Cancellerie con le

Segreterie ed ha reso il rapporto tra signore e dipendente sempre

più riservato e intimo man mano che il potere dei principi tendeva

a diventare assoluto.

Si rilevò allora, analizzando le differenze tra il

Quattrocento e il Cinquecento, che mentre precedentemente nel

clima culturale dell’umanesimo gli ambasciatori degli Stati

operavano per stabilire la pace, successivamente sembrava che

costoro lavorassero proprio per prepararsi alle guerre, per

acquistare territori, per negoziare confini e per gestire

trattative matrimoniali, doti e investiture.230

I compiti che doveva portare a termine un legato potevano

avere natura molto varia. Alcuni di questi funzionari ricevevano

la nomina, ad esempio, di legati straordinari. Quando ciò

accadeva, voleva dire che la zona nella quale si sentiva la

necessità di una simile presenza, soffriva di instabilità e doveva

essere ricondotta alla tranquillità. Erano le lettere che questi

collaboratori del papa scrivevano, le credenziali e le istruzioni

che ricevevano dalla sede centrale, a dire che cosa si dovesse

fare in un determinato territorio e sono proprio questo genere di

documenti a informare gli storici sulle molteplici varietà di

incarichi che potevano essere affidati al corpo diplomatico di uno

230 Cfr. D. FRIGO, Ambasciatori e nunzi. Cit. , p. 20.

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Page 147: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Stato cinquecentesco. Inoltre la scelta di chi doveva andare a

ricoprire un simile incarico non era casuale, ma anzi era molto

studiata. Essa dipendeva: da reali capacità e inclinazioni della

persona che si aveva intenzione di chiamare e dal tipo di incarico

che gli si doveva affidare, ma era anche basata su strategie di

carattere familiare e personale, su convenienze politiche e su

implicazioni di carattere sociale e economico.

Una ulteriore riforma che portò ad una nuova interpretazione

del ruolo di ambasciatore si ebbe, infine, grazie alla

costituzione Immensa aeterni Dei del 22 gennaio 1588. Da questo momento

in poi, infatti, il ruolo del nunzio, sebbene sempre supportato

dal collegamento con il potere centrale attraverso il canale delle

Segreterie di Stato, assunse una maggiore importanza per il fatto

che si era creata una ulteriore rete di relazione con gli altri

cardinali che facevano parte delle congregazioni. Questo faceva sì

che i legati potessero svolgere il ruolo di mediatori.

La Segreteria di Stato e le strutture diplomatiche si

trovarono a svilupparsi contemporaneamente ed ad essere sempre in

stretto legame tra loro.231 Non poche erano infatti le somiglianze

tra i due tipi di incarichi, ciò fu particolarmente evidente sia

quando sorsero le nunziature permanenti e i legati si

trasformarono in amministratori, sia quando capitava che un legato

svolgesse anche il ruolo di Segretario di Stato.

Il lavoro di équipe svolto dai due uffici, permetteva al corpo

diplomatico di ricevere le direttive che provenivano dal potere

centrale ma, dal momento che questi collegamenti non sempre erano

semplici, capitava frequentemente che il legato si trovasse in

condizioni di emergenza e che dovesse risolvere da solo i problemi

231 Cfr. ibidem, p. 41.

147

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che di volta in volta gli si presentavano. Finì così per

affiancarsi alle autorità locali nell’amministrazione periferica

del territorio dello Stato della Chiesa. La nascita poi di una

nuova istituzione come la nunziatura permanente estese i compiti

che spettavano ad un nunzio semplice, spingendo le sue competenze

proprio verso questa direzione.

Il primo nunzio permanente fu considerato Francesco da

Prato.232 Costui operò in Spagna, le caratteristiche principali

della sua missione erano le seguenti: obbligo della residenza,

competenza esclusiva negli affari diplomatici e successione

regolare.

Oltre alle questioni di carattere giurisdizionale i

diplomatici in questione avevano la possibilità di nominare notai,

protonotari apostolici e conti palatini, potevano attribuire gradi

accademici, dottorati, licenze, magistrati, dispense

dall’incompatibilità dei benefici ecclesiastici, dispense da

alcune irregolarità canoniche per le ordinazioni sacre, avevano la

facoltà di visitare, riformare chiese, monasteri ed enti

ecclesiastici, avevano le dispense per impedire le consanguineità

e le affinità e per i delitti. I privilegi che avevano erano:

l’altare portatile, che consisteva nella possibilità che veniva

concessa a questi impiegati di celebrare le messe anche in luoghi

che non fossero le chiese canoniche; la possibilità di scegliere

il proprio confessore; di concedere ai sacerdoti il permesso di

assolvere dai peccati e dai crimini riservati all’ordinario; di

commutare voti; di sciogliere giuramenti, legittimare i figli nati

fuori dal matrimonio; di conferire benefici ecclesiastici; di

232Cfr. P. BLET, Histoire de la Representation Diplomatique cit. , p. 189.

148

Page 149: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

concedere indulgenze; di assolvere da pene e censure; di sanare i

vizi dei rescritti e di derogare al diritto di patronato.233

Da questa carrellata di esempi sui vari modi con i quali i

legati che si sono succeduti nel tempo, hanno svolto la loro

funzione, quella per la quale erano stati chiamati, si è potuta

ricavare la grande estensione del loro potere, che dava

l’opportunità al diplomatico di spaziare e di dimostrare il

proprio valore su diversi fronti, come quello giudiziario, di

polizia, economico e politico. Le nunziature, infatti, davano loro

l’occasione di venire a conoscenza dei meccanismi profondi di

funzionamento di uno Stato, di stringere alleanze con altre nobili

casate anche per finalità strettamente personali, facevano sì che

chi ne fosse a capo potesse esercitarsi nel non facile ruolo di

mediatore sociale e costituivano un buon banco di prova per poter

accedere ad incarichi superiori, qualora si fosse dimostrato il

proprio valore. A tal proposito, infatti, Vincent Ilardi definì la

diplomazia come “l’espressione di tutte le attività di uno Stato

determinato.”234

La trasformazione che tale ruolo subì nei secoli, lo rese uno

dei principali e più evidenti segni della commistione tra Stato e

Chiesa. Tale fenomeno fu particolarmente chiaro proprio nei secoli

XV e XVI.235 In tale periodo, secondi il Prodi, si assistette ad una

statalizzazione delle strutture ecclesiastiche che portò alla

creazione di un percorso carrieristico tutto concentrato

all’interno di cariche, aventi valore più temporale che

spirituale. Questa era ancora una volta la grande rivoluzione che

lo Stato della Chiesa stava compiendo in questi anni. Ciò era

233 Cfr. ibidem, p. 78.234 ILARDI, I documenti diplomatici, p. 351.235 Cfr. P. PRODI, Il Sovrano pontefice, cit. , p. 218.

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dimostrato dal fatto che gli apparati, facenti capo ai legati e

alla Segreteria di Stato, videro sempre di più nei secoli

aumentare le loro competenze.236 Anche i contemporanei si accorsero

di questo cambiamento nella gestione delle questioni che

riguardavano lo Stato governato dal papa. Infatti, a tal

proposito, Lorenzo Campeggi parla di: “de depravato statu

Ecclesiae”.

Volendo, infine, confrontare due importanti settori dello

Stato gestito dal pontefice, quello di Segretario e quello di

legato, si può ricavare che senza dubbio le due cariche avevano

diversi punti in comune: oltre al fatto che alcuni impiegati

riuscirono a ottenerle entrambe durante la loro carriera, spesso

accadeva che tra legato e Segretario si instaurasse una relazione

non solo basata sul fatto che per necessità erano due figure che

dovevano tenersi in contatto, ma capitava che tra le due

personalità nascessero dei rapporti di amicizia, rafforzati dalle

affinità di carattere culturale. Entrambi mostravano di avere la

stessa passione per l’arte e per la letteratura dell’epoca e dal

punto di vista sociale entrambi provenivano dallo stesso ambiente.

Senza contare il fatto che il rapporto di fiducia tra il pontefice

e questo genere di funzionari doveva essere il medesimo. Il papa,

infatti, aveva bisogno di potersi fidare di entrambi. Infine,

sebbene inizialmente si potesse pensare che le due cariche curiali

fossero nettamente distinte, nelle loro funzioni, l’una

dall’altra, poiché l’una era maggiormente rivolta verso i rapporti

con l’esterno dello Stato, il legato, e l’altra era più

indirizzata verso quei problemi di carattere interno alla

formazione politica pontificia, si verificò che il legato si

236 Cfr. ibidem, p. 225

150

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occupasse di questioni amministrative e il Segretario di Stato,

attraverso le istruzioni che doveva inviare ai suoi nunzi, si

trovasse a dover risolvere faccende anche di politica estera.

Lo Stato della Chiesa così non costituiva solo una

particolarità per l’assenza di una netta distinzione tra piano

temporale e piano spirituale, come ha brillantemente evidenziato

Paolo Prodi, ma anche la divisione dei compiti del legato, di

natura diplomatica e del Segretario di Stato, di natura più

strettamente governativo-amministrativa, non era molto evidente.

Questa peculiarità della Curia Romana si riscontra anche in un

altro suo importante organo: la Camera Apostolica, che però, a

differenza degli altri ministeri al servizio del papa, riuscì a

mantenere un apparato molto strutturato e particolareggiato al suo

interno.

LA CAMERA APOSTOLICA

Nascita e sviluppo della finanza dello Stato della

Chiesa

La Camera Apostolica è citata nei documenti ufficiali dello

Stato della Chiesa a partire dal 1017 e nominata precisamente

nella bolla di Benedetto VIII Quoties illa Nobis del 24 maggio.237

Inizialmente era il palatium o fiscus che aveva l’incarico di badare

agli aspetti temporali della Chiesa, compresa l’attenzione nei

riguardi delle rendite, da essa incamerate.

237 Cfr5. N. DEL RE, La curia romana, cit. p. 285.

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Alcuni ritennero secondo il Del Re che l’origine di questa

figura curiale si potesse far risalire al vestiarius, che aveva il

compito di amministrare il palazzo apostolico; altri reputarono,

invece, che la sua genesi fosse stabilmente legata al cubicularius

papae, secretarius intimus papae, archipresbyter papae etc… Un’ ultima ipotesi è

quella di chi pensò che il Camerario dovesse essere una persona

che si occupava di più mansioni, come quelle di carattere

economico, quelle di natura liturgica, quelle riguardanti

l’amministrazione del palazzo apostolico e quelle di grazia nel

foro esterno.238 Inoltre, poi, Moroni nel suo Dizionario afferma che

Arcario e Sacculario, termine che deriva proprio da sacculus, borsa,

erano chiamati coloro che custodivano il denaro insieme al

Vestiario, che era il responsabile della cura delle Sacre Vesti e

degli oggetti preziosi. Quindi anche questi potevano essere

ritenuti i primi funzionari che si occupavano di questioni di

carattere finanziario.

Fu per imitazione della corte di Francia che il luogo in cui

era amministrato il denaro dello Stato cominciò a chiamarsi

Camera.239 I primi documenti che contengono questa parola risalgono

all’813 e all’889.240 Benché le carte riguardassero attività che

facevano riferimento al Regno longobardo e franco e, quindi, non

avessero niente a che fare con la Roma dei papi, tuttavia, secondo

Felici241 è facile che i capi di Stato del nascente dominio

pontificio si siano lasciati contaminare dall’organizzazione delle

popolazioni barbare con le quali erano venuti a contatto. Nel

238 Cfr. ibidem,p. 287.239 G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, vol. VII, cit. , p. 6.240 Cfr. MURATORI, antiquitates Italicae Mediolane, 1738, vol. I Col. 932c e MURATORI, Antiquitates Italicae Mediolane, 1738, vol. I, col 938B.241 Cfr. G. FELICI, La Reverenda Camera Apostolica. Studio storico giuridico, Tipografia poliglotta vaticana, Roma, 1940, p. 4.

152

Page 153: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

mondo antico con tale termine si indicava il luogo in cui era

custodito il tesoro dell’imperatore, poi divenne il posto in cui

era conservato il pubblico denaro; fino a comprendere, nel suo

significato, anche le attività amministrative e finanziarie,

intorno all’anno 1000. Il termine camerarius, invece, fu per la prima

volta usato nel 1159.

I principi carolingi, non riuscendo più a difendere i

territori di cui avevano preso possesso, non furono più in grado

di garantire ai propri sudditi quella sicurezza che tanto

cercavano, così questi ultimi iniziarono a chiedere protezione

alla Chiesa in cambio di denaro che veniva versato annualmente e

che prese il nome di “censo”. Non erano solo i semplici cittadini,

le abbazie o i monasteri che pagavano questo contributo, ma anche

gli stati nascenti dal dissolto Impero Romano sentirono la

necessità di farsi riconoscere dalla Santa Sede, versando

l’imposta e garantendosi così la protezione di San Pietro. La

prima tassa dei pontefici veniva, quindi, depositata sulla stessa

tomba dell’Apostolo. Le somme ricevute erano divise tra la Camera

Apostolica e il Capitolo Vaticano. Per quanto, poi, concerneva il

denaro necessario per il culto del Santo, esso era pagato

direttamente al Capitolo di San Pietro.

Fu così che iniziarono ad essere creati dei registri per

annotare queste entrate della Santa Sede. Il primo fu quello di

Gregorio VII del 1089 circa; poi vi fu il polittico di Benedetto,

risalente all’anno 1185 circa. Tramite questi il Camerlengo Cencio

Savelli, il futuro papa Onorio III, riuscì a creare il suo Liber

censuum Ecclesiae romanae nel 1192. In questo testo erano riportati

tutti i tributi che giungevano nelle casse pontificie, provenienti

da terre e monasteri, principati e regni che si consideravano

153

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appartenenti al territorio e sotto la giurisdizione del papa. Il

volume era diviso in due parti: nella prima erano elencati tutti i

censuali della Santa Sede, ovvero coloro che erano in ius et

proprietatem beati Petri et Sanctae Romanae Ecclesiae persistentes e vicino ad ogni

nome era riportato l’ammontare che ciascuno era tenuto a versare;

la seconda parte, invece, conteneva un inventario delle proprietà,

sotto forma di testamenti, donazioni, contratti e attestati di

omaggio.

La Camera Apostolica si interessava, poi anche di finanziare

le spese della corte pontificia e di tutto il personale della

Curia, oltre a gestire le cause giuridiche e amministrative

riguardanti la materia camerale.242

La direzione della struttura era affidata ad un arcidiacono.

Per il genere di materie di cui era chiamato ad occuparsi,

Gregorio X (1271-1276) decise, tramite la costituzione Ubi periculum

del 7 luglio 1274, che il magistrato non sarebbe decaduto nei

periodi di vacanza della Sede; la stessa decisione fu confermata

anche da Clemente V (1305-1314), con la costituzione De Romani del

1310. In questo modo Il Camerlengo diventò il custode dei beni

della Santa Sede, pronto a consegnarli al nuovo papa intatti, come

vuole la Romanus Pontifex, Christi vicarius, uti prudens paterfamilias.243

Non bisogna dimenticare che un ruolo importante nel modo di

organizzare la struttura fiscale lo hanno avuto anche le

costituzioni egidiane del 1357, dalle quali, secondo lo studio

fatto da Ermini, si può ricavare che le imposte del governo

centrale si potevano dividere in quattro voci: gabelle dello

242 Cfr. N. DEL RE, La curia romana, cit. p. 287.243 Cfr G. FELICI, La Reverenda Camera Apostolica. Studio storico giurdico, cit. , p. 80-82.

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Stato, gabelle del Comune, pene pecuniarie, multe e solutiones e

pagamenti degli atti.244

Nella Costituzione dell’Albornoz, infatti, due interi capitoli

riguardano la Camera Apostolica: il 13 “Di caposoldi o salarij chi

denno fir pagadi a la camera da litiganti” e il 14 “ l’advocato e

procuratore del fischo alle questioni della camera e dei poveri e

del procuratore a li facti de la camera”245

Non si può, tuttavia, affermare l’esistenza di un vero e

proprio sistema finanziario nel periodo avignonese. Infatti, tutto

il settore ruotava intorno alle decime delle rendite

ecclesiastiche e ai servitia dei vescovi e delle abbazie.

A partire da Clemente V (1305-1314) e da Giovanni XXII (1316-

1334) anche le annate e le prebende inferiori entrarono nel

circuito fiscale dello Stato nascente. Del resto la grande

crescita della burocrazia curiale di quegli anni, il mantenimento

della corte e il costo delle milizie mercenarie costituivano un’

elevata spesa per la Chiesa; da ciò si può ricavare che, insieme

alla nascita dello Stato e alla crescente necessità di fondi per

sostenere le Crociate, si è dovuto pensare anche allo sviluppo

dell’apparato tributario.246

I provvedimenti che crearono l’ossatura della Camera

Apostolica furono la bolla apostolatus officium del 12 ottobre 1363

(Jurisdictio Camerarii S. R. E. procedendi contra piratas, nova pedagogia imponentes

eaque perpetrantes, quae in bulla in coena domini vetantur) e la bolla Apostolicae

Camerae dell’8 settembre 1379, ribadita con la bolla Apostolicae

244 Gli ordinamenti politici ed amministrativi nelle “Costitutiones Aegidianae”, Torino, 1893, p. 137.245 Cfr. P. COLLIVA, Studi sul Cardinale Albornoz e sulle constitutiones aegidiane con in appendice il testo volgare delle costituzioni del 1357 dal ms Vat.3939, Publicaciones del Real Colegio de Espana en Colonia, Cooperativa Tipografica Editrice P. Galeati, Imola 1970, p. 93-94.246Cfr. L. V. PASTOR, Storia dei papi, vol. I, p. 67-69.

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Camerae del 15 giugno 1407, che stabiliva le competenze del

Camerario su tutte le questioni riguardanti il fisco dello Stato.247

Il sistema finanziario dei territori entrati in possesso della

Chiesa prevedeva una serie di autonomie che comprendevano comuni,

proprietà, città signorili e realtà feudali, in grado di

permettere alle famiglie nobili locali il mantenimento dei propri

poteri, indipendentemente dalla coesistenza con le strutture del

nuovo Stato ecclesiastico.248 Con la fine dello scisma e il ritorno

a Roma le entrate un tempo spettanti alla Camera Urbis, divennero

una competenza della Camera Apostolica.249

Martino V (1417-1431) affidò al Camerlengo l’amministrazione

del fisco, il demanio dello Stato, l’Annona, la Grascia, le

Strade, le Acque e la Monetazione.

Sotto il suo pontificato responsabili del versamento delle

imposte erano i Comuni, si trattava per lo più di tasse dirette su

vino, carne e pesce, oltre a comprendere anche i dazi sulle merci

in entrata nelle città o nella campagna circostante. A gestire

questi tributi erano i mercanti locali, mentre le città più

popolose e importanti erano incaricate di raccogliere le imposte

dei Comuni minori, dei castelli vicini e dei piccoli centri

rurali. La finanza pontificia non fece altro che confermare il

sistema esistente e imporvi la propria autorità. In alcune zone,

dove possibile, essa si sostituì alle pratiche già in vigore, come

accadde a Perugia. In questo comune il Tesoriere Apostolico, dopo

il 1424, ottenne di poter verificare l’operato dei funzionari

247 PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi Archivi (secoli XV-XVI ), Scuola di archivistica e paleografia e diplomatica, Archivio di Stato di Roma, Roma, 1987,p. 63.248 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 46.249 Cfr. M. CARAVALE, La finanza pontificia nel Cinquecento. Le province del Lazio, Jovene editore, Camerino, 1974, p. 5.

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Page 157: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Comune, dei conservatori della moneta e dei massari, avendo così

il potere di incamerare le entrate provenienti dalle gabelle del

sale, dai diritti doganali e da diritti sui contratti. Alla città

restava il potere di riscuotere, attraverso la figura del

depositario, il focatico nel contado, basato sul numero dei

componenti di una famiglia; anche se una parte di questa entrata,

circa 8000 fiorini l’anno, era destinata direttamente alle casse

della Camera Apostolica.

La giurisdizione finanziaria dello Stato prevalse sulle realtà

locali anche a Città di Castello e ad Ascoli, mentre ad Ancona

aumentarono gli obblighi tributari nei confronti dell’autorità

centrale, anche se furono mantenuti i poteri delle cariche

comunali che si occupavano della gestione dei tributi. In altre

realtà locali lo Stato della Chiesa chiedeva la riscossione dei

focatici e dei malefici, che erano denari destinati ai magistrati

pontifici che amministravano la giustizia. A Roma nel primo

Quattrocento la Camera Apostolica aveva già iniziato il processo

di assorbimento delle entrate comunali: dal 1419, infatti, il

potere centrale poteva nominare il tesoriere della città e, in un

secondo momento, anche il gabelliere maggiore. I conservatori

versavano direttamente le tasse cittadine alla Camera Apostolica,

lo stesso avveniva per i centri di Avignone, Bologna e Ancona.

Tuttavia la Camera Urbis era ancora competente per quanto

riguardava le entrate delle dogane di Ripa e Ripetta che si

occupavano delle merci giunte per via fluviale, delle dogane della

Merce e di S. Eustacchio, che gestivano i prodotti arrivati

attraverso le vie di terra, di quelle della grascia, che

raccoglievano i dazi sulla carne`e sul grano e di quelle minori.

157

Page 158: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Le dogane di Roma, di Campagna e di Marittima erano

amministrate da compagnie mercantili, che duravano in carica un

anno; mentre nel Patrimonio era un funzionario ad occuparsi della

dogana, oltre ad avere il potere di affidamento delle tratte, le

licenze di esportazione del grano e di altri cereali.

Durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484) non ci furono

cambiamenti nell’organizzazione del settore finanziario dello

Stato: il fisco pontificio continuava a sovrapporsi a quello

comunale, i funzionari rimasero i medesimi, ma migliorò la loro

efficienza. Infatti, nel 1477 Sisto IV, per porre rimedio alla

penuria di denaro, dovuta alle ingenti spese dello Stato per

l’abbellimento di Roma e per finanziare la corte pontificia, volle

creare una commissione, per controllare l’attività dei tesorieri

provinciali nei territori della Marca di Ancona e della Romagna e

per eliminare gli uffici improduttivi.250 La commissione aveva

poteri ampi che le permettevano di sopprimere uffici in tempi

rapidi.

Nel 1478 lo stesso pontefice ricevette una relazione in cui si

evidenziavano le violazioni che ogni zona ispezionata presentava,

rispetto alle costituzioni egidiane. Inoltre aveva constatato che

si era venuta a creare una concorrenza improduttiva tra le curie

dei legati e i tribunali di prima istanza dei governatori, che le

competenze giudiziarie non erano rispettate, che vi era una

eccessiva pratica della venalità degli uffici e una altrettanto

alta compartecipazione dei medesimi.251 Dal documento sopra

menzionato risultava, poi, che i vescovi provinciali non

esercitavano il loro ruolo e avevano costituito società per la

250 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 116.251 Cfr. C. BAUER, Studi per la storia delle finanze papali durante il pontificato di Sisto IV, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, vol. L, p. 321-322.

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Page 159: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

riscossione delle imposte, con il fine di prendere parte essi

stessi agli utili.

Per porre un freno a tutto questo, mediante la bolla Etsi

cunctarum del 30 maggio, Sisto IV riuscì a far abolire queste

organizzazioni, costrinse i tesorieri ad assumersi le proprie

responsabilità, giurando alla presenza del Camerlengo di

rispettare le costituzioni egidiane e le leggi ad esse successive;

riformò la Camera Apostolica, migliorando il funzionamento del

sistema finanziario, immettendo nuovi strumenti di contabilità in

grado di creare una struttura efficiente delle entrate e delle

uscite. Più che di una vera e propria riforma si è trattato di un

tentativo per abbattere le abitudini che non giovavano

all’amministrazione e per ripristinare la struttura che si era

istaurata in precedenza. Vi era quindi la necessità di produrre un

documento, all’interno del quale fosse chiaro di quali entrate

ordinarie e periodiche poteva disporre il papa, quali erano i

titoli di possesso e quali erano le spese ordinarie.

Il risultato di questo lavoro fu il bilancio dell’anno 1480-

1481, ancora oggi presentato come esempio di un rendiconto

completo. Esso conteneva l’insieme delle spese ordinarie sia

dell’amministrazione centrale dello Stato, sia

dell’amministrazione del comune di Roma, le entrate

dettagliatamente specificate del monopolio del sale per la zona di

Roma, del Patrimonio, di Campania e Marittima e le entrate delle

province.252

Nel complesso si può affermare che il progetto di riforma di

Sisto IV ha spinto un maggior numero di signori e comunità a

252 Cfr, ibidem, p. 324.

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Page 160: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

pagare il censo, ma non ha tolto le immunità del fisco della

grande nobiltà romana.

Infine, per frenare le speculazioni che in città venivano

fatte per la costruzione e abolizione di edifici urbani, lo stesso

pontefice ideò un piano per disciplinare l’assetto edilizio con la

costituzione Etsi de cunctarum civitatum del 30 giugno 1480 e creò una

tassa sulle rovine o taxa jectiti o gettito, che veniva pagata per la

manutenzione del sistema fognario, per l’abbattimento di case, per

l’apertura di nuove strade e piazze e per la fondazione di nuovi

quartieri. Tuttavia non risultò facile calcolare l’importo che

doveva essere versato per ogni lavoro che veniva realizzato e

frequenti erano i ricorsi e le lamentele per evitare di pagare il

tributo.

Il sistema più usato per finanziare le casse dello Stato

della Chiesa era, così, sempre quello della vendita delle cariche

o delle composizioni, che erano somme versate alla Santa Sede da

privati per ottenere grazie. Ciò spinse alla separazione

dell’ufficio del datario da quello del Camerlengo ed è proprio

sotto il pontificato di Sisto IV che la Dataria si affermò come

organo finanziario della Curia.253

Uno degli avvenimenti che ha portato ad un aumento delle

entrate pontificie fu quando, nel 1492, venne scoperta la miniera

di allume a Tolfa, grazie agli studi e all’esperienza di Giovanni

de Castro. Egli, infatti, aveva lavorato a Costantinopoli presso

una tintoria ed aveva appreso quali erano le caratteristiche di un

terreno ricco di questo minerale. Con questa scoperta le casse

pontificie si arricchirono di 100000 ducati l’anno e Roma

253 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 118.

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Page 161: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

risparmiò 300000 ducati che precedentemente era costretta a

versare per importare il minerale dall’Oriente.254

Gli anni che hanno visto la fiscalità pontificia più

sviluppata furono quelli in cui era papa Leone X. Infatti, se da

una parte il Medici ha rappresentato il massimo dello splendore

della corte di San Pietro, generando anche scandalo;255 dall’altra

il continuo bisogno di denaro ha condotto l’amministrazione dello

Stato della Chiesa a migliorare la propria organizzazione

economica.256 Fu così riformata la Camera Apostolica, cercando il

modo per ottenere entrate di natura straordinaria da affiancare a

quelle di tipo ordinario. Tuttavia ciò non fu sufficiente a

risolvere il problema del continuo bisogno di denaro da parte

dello Stato; Nello spazio di tempo compreso tra il 1513 e il 1519

furono fatte molte riforme della Curia: il 13 dicembre 1513 la

bolla Pastoralis officia si occupò dei Chierici di Camera, disponendo il

loro ruolo all’interno della R. C. A.; il 28 giugno 1514 la Bolla

Etsi pro cunctarum decise quale doveva essere la giurisdizione e le

facoltà del Governatore dell’alma Urbe, del suo distretto e del

vicecamerario; la bolla del 12 giugno 1517 fissava la

giurisdizione dei Chierici di Camera e del Camerario nelle cause e

nei contratti che li riguardavano e nel governo dei luoghi a loro

spettanti; infine la bolla Sicut prudens del 3 gennaio 1518

confermava le disposizioni prese in materia dai pontefici Eugenio

IV (Inter cetera gravia), Innocenzo VIII ( Cum sicut accepimus) e Giulio II

(Ex injucto e Licet felicis).

254 Cfr. ibidem, vol II, p. 224-225.255 Lutero a tal proposito in quegli anni sosteneva che “…La terra tedesca paghi assai più che nei tempi andati agli imperatori. Anzi molti stimano che ogni annopiù di tre volte centomila fiorini passino di Germania a Roma…”.256 Cfr. M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica nell’anno 1525, Biblioteca d’ Arte Editrice, Roma, 1960, p. 10.

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Page 162: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Con la bolla del 20 luglio 1520 Leone X fondò il collegio dei

Cavalieri di San Pietro, si trattava di una carica esclusivamente

onorifica: essa permetteva vantaggi sul piano economico e

implicava anche il ruolo di Conte Palatino, ma non incarichi

amministrativi.257 Ogni cavalierato costava 1040 scudi e rendeva il

10%; due erano posizionati nel tinello pontificio e venti erano al

servizio del vicecancelliere. Si occupavano del commercio

dell’allume, impedendone le frodi e verificavano i conti dei

Chierici di Camera. Dopo questa iniziativa di Leone X, altri papi

tentarono di istituire nuovi cavalierati per aumentare le casse

pontificie come i Cavalieri di San Paolo, nel 1540, voluti da

Paolo III, che erano duecento e ognuno valeva 1000 ducati, i

Cavalieri Lauretani del 1547, creati sempre da Paolo III, quelli

del Giglio, voluti da Paolo II (1464-1471) e riformati da Paolo

IV e i Cavalieri di Pio, creati da Pio IV ( 1559-1565).258

Essi facevano parte degli uffici vacabili e venali, (Officiorum

venalium et vacabilium Romanae Curiae) appositamente sviluppati per

aumentare il gettito fiscale, in un periodo in cui bisognava

soccorrere i principi cristiani.

Solitamente si strutturavano in un collegio, composto da un

numero variabile di membri, che godeva di una giurisdizione

autonoma, ma era comunque diretto dal cardinale Prodatario. Alcuni

di questi avevano la gestione di un ufficio autonomo, in grado di

amministrare anche settori rilevanti dello Stato, altri erano meno

importanti e avevano solo un potere di rappresentanza. La loro

vendita non era una competenza che riguardava solo la Camera

257 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 204.258 P. PECCHIAI, Roma nel Cinquecento, cit. , p. 284.

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Apostolica, ma anche altri organi come la Dataria e la

Cancelleria.259

Chi prendeva parte a queste assise era chiamato Vacabilista e

riceveva una pergamena, che conteneva le leggi che erano alla base

della costituzione dell’ufficio. Tramite questo documento,

chiamato Vacabile, si poteva cedere il beneficio ad altri, ma

soltanto prima della morte e con il permesso del papa. Lo stesso

poteva poi essere ereditato, ma l’erede aveva 40 giorni per

rivendicarlo, qualora non lo avesse fatto, tutto sarebbe tornato

nelle mani del pontefice.

Dal momento che si trattava di un vero e proprio debito

contratto dallo Stato, per assicurare ai creditori la restituzione

del denaro erano state ipotecate le rendite dei beni appartenenti

alla Camera Apostolica stessa.

Questi apparati per la loro costituzione, possono essere

divisi in tre parti: gli Officia praelatizia et primis ordinis, i De officiis secondi

generis quae non sunt praelatitia, sed aliquam habent administrationem e i De officiis

tertiae classis, quae nullam habent administrationem. Il primo gruppo

rappresentava le cariche più costose, quelle che erano accessibili

solo a chi già era inserito nell’amministrazione pontificia ed

erano considerate utili nell’avanzamento di carriera. Solitamente

si offriva un simile ruolo a chi, già inserito tra le alte cariche

prelatizie, sperava di ottenere il cardinalato, il pontefice

stesso incrementava il sistema, nominando cardinali per liberare

gli uffici e poterli facilmente rivendere. Il secondo gruppo era

costituito da cariche che potevano essere ricoperte anche da laici

e si distinguevano dalle altre per il fatto che erano meno costose

259 Cfr, CHIARI, Memoria giuridico storica sulla Dataria, Cancelleria, R. Camera Apostolica.Compenso di Spagna, vacabili e Vacabilisti, Stabilimento tipografico via delle Coppelle n° 35, Roma,1900, p. 36.

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Page 164: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

delle precedenti ed erano per metà effettive e per l’altra metà

onorifiche. Il terzo gruppo aveva un carattere nominale,

costituiva la maggior parte degli uffici di questo tipo, garantiva

alcuni privilegi, ma non permetteva l’inserimento nelle cariche

curiali e poteva essere ceduto sia per atto inter vivos che mortis

causa.260

Tra questi ricordiamo il collegio dei 141 presidenti

dell’Annona, voluto da Giulio II, quelli dei 60 Cubicolari

Apostolici, dei 612 Proporzionari di Ripa e dei 401 Cavalieri di

San Pietro.261

Successivamente la politica pontificia si indirizzò sempre

di più verso l’offerta di privilegi economici e di benefici,

piuttosto che verso la proposta di cariche curiali, che finivano

comunque per appesantire l’apparato statale.

In questo senso Sisto IV aveva già fondato le prime Societates

Officiorum, che si interessavano alla riscossione dei risparmi dei

piccoli e medi investitori per prestarli a chi voleva comprare un

ufficio; la quota ricavata veniva spartita tra compratore e

prestatore, che era garantito anche qualora il titolare morisse.

Ciò permise alla Chiesa di entrare in contatto con nuovi ceti

sociali e di aumentare l’uso del risparmio privato.

Un’altra fonte di entrate della Camera Apostolica di natura

straordinaria fu la realizzazione del primo monte; quello della

Fede, istituito nel 1526. Chi acquistava le cartelle di monte non

riceveva alcun ufficio, ma soltanto un titolo di credito. Ogni

cartella aveva un valore non elevato, corrispondente a 50 o 100

ducati. Il modo che seguivano questi monti era simile a quello

260 Cfr. ibidem, p. 120-121.261 Cfr. Cfr. M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica nell’anno 1525, cit. , p. 57.

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Page 165: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

delle Societates Officiorum e garantiva alla Chiesa gli stessi

vantaggi: nuovi ceti che entravano in contatto con la Santa Sede e

credito che entrava nelle casse pontificie senza il bisogno di

dare vita a nuove cariche curiali. Le quote del monte della Fede

si potevano trasmettere agli eredi ed erano cedibili inter vivos, gli

interessi avevano un tasso del 10% ed erano collegati ai guadagni

della dogana di Ripa.

Successivamente nacque la distinzione tra quelli vacabili e

quelli non vacabili, la differenza tra i due era costituita dal

fatto che i vacabili non si potevano avere in eredità, ma alla

morte del creditore i proventi passavano nelle casse della Camera

Apostolica. In questa maniera non si sentiva più la necessità di

istituire nuovi enti privi di reale utilità, dal momento che era

sorto un nuovo modo per aumentare le casse pontificie.262

Non è facile analizzare i documenti di quegli anni, perché

molte sono state le devastazioni che hanno portato alla

distruzione di materiale valido per questo genere di studio; la

maggiore tra queste fu senza dubbio il Sacco di Roma del 1527.263

Nel 1529 Clemente VII istituì nuovamente, sempre nell’ottica

del bisogno di imporre tasse di natura straordinaria, la taxa equitum

levis armaturae, che era un’ imposta spettante alle università

pontificie a vantaggio della cavalleria statale.

Nel 1531 lo stesso capo della Chiesa istituì il tributo di un

ducato d’oro per ogni focolare, che andava ad incidere

direttamente sulle famiglie e doveva avere il medesimo valore sia

nelle terre di dominio diretto che in quelle mediate subiecte. Tuttavia

non tutti i sudditi del papa obbedirono alle disposizioni sopra

citate nella stessa maniera: i baroni del Lazio e in generale un262 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 233.263 Cfr. M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica nell’anno 1525, cit. , p. 23.

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po’ tutta la grande feudalità romana insieme a quella del

Patrimonio si opposero a tale genere di tributo. Inoltre l’anno

precedente la Santa Sede aveva creato una nuova tassa che colpiva

la proprietà: si doveva versare nelle casse pontificie mezzo

ducato ogni cento ducati di valore delle terre possedute.

Si può dire che questo genere di imposte non ebbe l’effetto

desiderato: molti furono coloro che riuscirono a non pagare e

presto questa modalità di versamento nelle casse pontificie fu

abbandonata.264

Sicuramente è stata un’epoca difficile per la popolazione

romana, nella quale si verificarono imposizioni di gabelle,

aumento dei prezzi, di dazi all’entrata e di transito di

vettovaglie. Tutto ciò a lungo andare provocò scontento tra la

gente, che se la prese con i registri camerali. Una testimonianza

di questo ci è stata tramandata dallo stesso Clemente VII, che nel

1528 diceva “…et in dicta Urbe direptione et eiusdem palatii preda

libri predicti perdidi fuerint una cum aliis scripturis rationem

huiusmodi concernentibus. Et dum in Arce predicta dedineremur

omnia tumultuose agerentur librique et scripturae receptorum et

expositorum predictorum et quae consueverant accuratione teneri

non potuerint”.265 Inoltre anche la stessa maniera con la quale

venivano prese decisioni riguardanti la fiscalità, tramite bolle o

comandi indirizzati direttamente al Camerlengo, rese complicato

qualunque ricerca sulla Camera Apostolica.

I Diversorum Cameralium, però, ancora oggi costituiscono una

fonte importante per affrontare lo studio dell’economia pontificia

di questo periodo. Tali scritti erano chiamati “…libros in quibus

Camerae Apostolicae notarij, instrumenta particularium personarum,264 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 229.265Cfr. M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica nell’anno 1525, cit. , p. 24.

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brevia Summorum Pontificum, mandata officialium et alias tabulas

pubblicas transcribebant, et eis iura Sedis et Camerae

Apostolicae, Ecclesiaeque Romanae quae sine ordine, sine indice,

et caractere saepe rudi et incomposito scripta delitexebant in

lucem protuli, et brevioribus, quibus potui verbi indicari.”266 Essi

rappresentano una raccolta di materiale in grado di riassumere la

vita finanziaria della Chiesa al di fuori delle bolle ufficiali.

Con tale materiale si poterono capire anche i sentimenti e le

ansie dei pontefici che si succedettero sul trono di Pietro.

Una rivoluzione dei tributi si è verificata quando Paolo III

ha deciso l’imposta del Sussidio Triennale nel 1543. La

caratteristica principale di questa tassa era che aveva un

carattere generale, con essa lo Stato della Chiesa affermava la

sua influenza e il suo potere su tutto il territorio. Doveva

durare solo tre anni, invece fu rinnovata da Paolo III per due

volte, da Giulio III ( 1550-1555) una terza volta e da Marcello II

una quarta che la rese stabile. In quello stesso periodo, del

resto, anche altri Stati avevano studiato di inserire nel proprio

sistema fiscale tasse simili a questa: infatti nel 1536 a Milano

era stato introdotto il mensuale, nel Ducato di Savoia esisteva

dal 1560, anno in cui la nobile casata tornò a governare Milano

dopo la dominazione francese, il tasso e nel Regno di Napoli nel

1530 fu introdotto il donativo ordinario.267 La creazione del

Sussidio provocò un generale aumento del gettito fiscale, che in

alcuni casi divenne intollerabile.268 Tuttavia, però, non si può

266 ibidem, p. 31.267 Cfr. A. GIRELLI, La genesi del primo catasto dello Stato pontificio, in Quaderni di studi e ricerche , n°1, Dipartimento di studi geoeconomici, statistici e storici per l’analisi regionale, Roma 1988, p.316.268 Cfr. J. SPIZZICHINO, magistrature dello Stato pontificio, Giuseppe Barabba Editore, Lanciano, 1930, p. 329-330.

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Page 168: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

affermare che fosse la prima tassa estesa all’intero territorio

pontificio, poiché esistevano altre imposizioni locali, che

successivamente divennero statali. Ad esempio tra queste c’erano

l’estimo e la libra, che erano tassazioni che erano state fissate

dallo Stato prima del Sussidio Triennale. Quest’ultimo, infine,

strutturato in modo da essere vigente in tutto il territorio di

competenza dei papi, sarà di impulso per la realizzazione del

primo catasto dello Stato della Chiesa nel 1681, sotto il

pontificato di Innocenzo XI (1676-1689).

Le entrate papali erano, quindi, ripartite in redditi che

provenivano dalle proprietà ecclesiastiche, come la Salaria di

Roma, la dogana del Patrimonio, la miniera di Allume di Tolfa, le

saline di Cervia e di Porto Cesenatico e redditi che avevano

origine dall’esercizio della sua sovranità; anche se in uno Stato

del Cinquecento, ancora non totalmente formato nei suoi organi,

non sempre era facile distinguere questi due aspetti.269

Alcune imposizioni come i sussidi, le taglie, i focolini

giungevano nelle casse camerali direttamente dalle Comunità e nel

tempo assunsero la forma di imposte dirette, calcolate in base ad

ogni singolo focolare o casa, per poi diventare una forma di

tassazione fissa per la Comunità. Oltre a queste vi erano i “sali

affocatici”, che erano basati sulla quantità di sale che una

comunità era costretta a comprare e anch’essi potevano

considerarsi una tassa diretta, i caposoldi, che erano una tassa

rivolta alle parti interessate in un giudizio e i malefici, che

erano pagati da chi aveva ricevuto una multa dai tribunali

provinciali e costituivano il ricavato della confisca e della

vendita dei beni dei condannati.269 295 Cfr. M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica nell’anno 1525, cit. , p.46.

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Mentre la dogana del bestiame, che doveva essere pagata ogni

volta che i capi erano trasferiti da una regione ad un’altra per

la transumanza e le tratte del grano, basate sul trasporto del

grano da una zona ad un’altra e versate indipendentemente se lo

spostamento avveniva all’interno dello Stato o se il frumento

veniva importato o esportato, insieme alla fida e l’erbatico

avevano un’altra natura, dipendendo dal tipo di politica che i

papi volevano attuare.

Altri tipi di entrate erano i censi, di origine medievale.

Questi avevano natura patrimoniale, ma la loro esistenza poteva

anche essere dovuta al riconoscimento dell’autorità sovrana. Altri

ancora, infine, erano direttamente destinati alla Chiesa di Roma e

provenivano dai monasteri, dalle città e dai sovrani; questi si

differenziavano ulteriormente dalle altre forme di tassazione.

Inoltre non tutte le forme di imposizione giungevano alla

Camera: infatti, alcune erano versate alla Segreteria come quelle

pro minutis, pro bulla grossa, pro bulla, pro registro e taxa quinta, altre erano

destinate alla Tesoreria segreta e altre ancora finivano nelle

mani degli ufficiali interessati come le resignationes et consensi, cedole

concistoriali e jocalia.270

L’evoluzione che la Camera Apostolica ha subito negli anni è

stata lenta, essa si è rapidamente modificata solo in presenza di

importanti stravolgimenti.

I pontificati di Paolo III e di Paolo IV furono caratterizzati

dal bisogno di aumentare il gettito fiscale. Per far ciò i papi

studiarono nuove forme di tassazione come quella denominata

“quattrino della carne,” il rinnovo della tassa dei cavalli e la

nascita di quella sulla cancelleria.271

270 Cfr. ibidem, p. 55.271 Cfr. M. CARAVALE, La finanza pontificia nel Cinquecento, cit. , p. 91.

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Durante il XVI secolo, precisamente sotto il pontificato di

Paolo IV (1555-1559), l’Uditore della Camera Apostolica fu

sostituito con il Reggente di S. R. C. e della Camera Apostolica,

attraverso la costituzione Si ex praecepto della fine del 1558. Fu

Alfonso Carafa il primo a ricoprirne il ruolo. La nuova carica,

però, resistette appena trenta mesi. Infatti Pio IV (1559-1565) la

abolì con la costituzione Romanus Pontifex del 14 aprile 1561, dal

momento che la nuova carica aveva creato conflitti di competenza e

contrasti con tutti gli altri magistrati della Curia, e ricostituì

l’ufficio di Uditore con la costituzione In eligendis del 9 ottobre

1562. Quest’ultimo papa stabilì anche che sarebbe stato proprio il

Camerlengo e tre cardinali capi d’ordine a disporre la chiusura

del suo governo.

Il responsabile principale della Camera Apostolica era anche

il presidente del tribunale della piena Camera e gestiva la

riunione generale, che si teneva nella camera dei tributi il

giorno prima della festa di S. Pietro e S. Paolo, nella quale

riceveva l’elenco aggiornato ogni anno di tutti censi, ottenuti a

qualunque titolo.

Quando si attraversavano delle fasi di vacanza della sede, era

il Camerlengo che assumeva il governo dello Stato insieme al sacro

Collegio e rappresentava la R. C. A. Alla morte del papa, infatti,

tutti gli Uffici, ad eccezione del Camerlengo e del penitenziere

maggiore dovevano considerarsi decaduti.

Del resto già le disposizioni dell’Ordo Camerae di Sisto IV

affermavano che, alla morte del pontefice, spettava proprio al

Camerlengo visionare il cadavere e occuparsi dei palazzi,

chiedendo la verifica degli arredi e dei valori.

170

Page 171: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Erano diverse la materie di cui la R. C. A. si occupava;

Spizzichino le ha divise in tre parti: una prima concerneva

questioni come il bollo, il registro, le gabelle, il sale, i

tabacchi, l’acquavite, le polveri, le dogane, le cartiere e le

carte da gioco; le seconde riguardavano affari quali

l’agricoltura, la grascia, l’annona, le strade e le acque, l’agro

romano, la stamperia, le antichità e le belle arti, la biblioteca

vaticana, la sanità, le paludi pontine, le carceri, il commercio,

l’industria, le arti e i mestieri, la depositeria, le statistiche,

gli ebrei, i lavori pubblici, i pesi e le misure, la calcografia,

gli archivi e le carceri e una terza che faceva riferimento a

materie come il collegio dei cardinali, i luoghi di monte, le

nunziature, le ipoteche, il notariato, le decime, la nobiltà e i

feudi, i consolati, la camera dei tributi, la cancelleria, la

segreteria, i conclavi, le collettorie camerali, i confini e il

Tevere e gli ufficiali di Camera. Anche Pastura Ruggiero ha

riassunto le competenze della Camera Apostolica; tra queste ha

inserito l’affidamento degli appalti dei beni, la liquidazione

delle rendite statali, i permessi di esportazione di generi

annonari e della grascia e la nomina di ufficiali di Curia, come

appartenenti alla cosiddetta “giurisdizione economica.”272

Alcuni di questi affari andarono nel tempo ad assumere una

tale importanza da diventare essi stessi uffici della Curia, altri

rimasero di competenza della Camera.273

Senza dubbio Pio IV è stato un papa che si è molto interessato

della riforma della Camera Apostolica e famosa è rimasta la sua

Romanus pontifex, Christi vicarius del 1562 con la quale ha deciso che

l’organo in questione doveva curare anche la concessione di272 Cfr. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi, cit. , p. 54.273Cfr. J. SPIZZICHINO, Magistrature dello Stato pontificio, cit. , p. 324-325.

171

Page 172: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

moratorie, rappresaglie, tolerantias agli ebrei, autorizzazione

all’esportazione di grano e generi di grascia, dilazione o

remissione di crediti camerali, collazioni di benefici. Con lo

stesso documento fu vietato, infine, al tribunale camerale di

occuparsi della giustizia tra privati e fu obbligato a gestire

cause riguardanti esclusivamente il fisco.

Nel frattempo la Camera divenne anche un organo di controllo

di merito per quanto riguarda la registrazioni dei documenti che,

però, in ogni caso dovevano essere approvati dal papa.

Nello stesso tempo, sotto il pontificato di Sisto V (1585-

1590), cambiò anche il ruolo dei banchieri all’interno degli

organi finanziari dello Stato della Chiesa, poiché si legarono

maggiormente all’ufficio della Camera Apostolica e si inserirono

all’interno della Depositeria generale, che svolgeva il ruolo di

cassa camerale e gestiva quelle del municipio, del sacro collegio

dell’Annona e delle tesorerie provinciali.274

Infine, pur non addentrandoci nel settore economico dello

Stato della Chiesa che faceva riferimento alle entrate spirituali,

quelle dovute al ruolo del papa di Vicario di Cristo sulla terra,

per avere un quadro di insieme sulla fiscalità pontificia non si

possono non ricordare quegli uffici come la Dataria e quei sistemi

come i benefici, che permettevano alla Chiesa di avere un

ulteriore fonte di entrata. A tal proposito una metafora della

prima età moderna vedeva nel simbolo del papa delle doppie chiavi

proprio questa doppia origine delle entrate pontificie. Non era

poi sempre facile distinguere le tasse provenienti dallo Stato

della Chiesa dai gettiti dovuti alla figura spirituale del

pontefice. Così come non era semplice capire la differenza tra

274 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 389.

172

Page 173: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

entrate e uscite ordinarie e straordinarie, vedi la nascita della

tassa chiamata Sussidio Triennale, o la differenza tra imposte

dirette e indirette, con le gabelle del sale che seguivano il

metodo della ripartizione pur essendo imposte indirette, o

talvolta la stessa differenza tra entrate e uscite, quando

capitava che delle entrate fossero trasformate immediatamente in

uscite. Il sistema creato dai pontefici non seguiva gli schemi che

usiamo noi oggi; per i funzionari alle dipendenze del papa era

molto più facile comprendere le differenze tra grazia e giustizia,

tra diritto e benevolenza e tra amministrazione volontaria e

coattiva; del resto questo era il punto di vista degli Stati

dell’Ancien Regime.

Alcune scuole di pensiero ritennero che se nel Medioevo la

Chiesa universale permise la crescita dello Stato della Chiesa,

successivamente lo Stato della Chiesa riuscì a mantenersi grazie

alle entrate provenienti dal settore spirituale del potere

pontificio. Una simile posizione oggi Reinhard275 la considera

superata, egli ha notato che tra il 1525 e il 1619 mentre erano

raddoppiate le entrate spirituali del papato quelle temporali

erano quadruplicate. Certamente un papa rispetto a qualsiasi altro

sovrano poteva permettersi di chiedere ai suoi sudditi oltre alle

imposte ordinarie anche altre forme di tassazione di carattere più

prettamente spirituale come le decime. Anche studiando la finanza

pontificia non si può, quindi, dimenticare questo duplice potere

in mano ai successori di Pietro, esso si presenta come il filo

conduttore di tutta la storia del papato dagli inizi fino ai

nostri giorni.

275Cfr. W. REINHARD, Finanza pontificia, sistema beneficiale e finanza papale nell’età confessionale, inFisco, Religione, Stato nell’età confessionale, Il mulino, Bologna, 1989, p. 461.

173

Page 174: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Gli uffici al servizio del Camerlengo

Oltre al Camerlengo, altre persone lavoravano per il suo

stesso ufficio, come il Vice Camerlengo e Governatore di Roma,

l’Uditore Generale delle cause della Curia della Reverenda Camera

Apostolica, il Tesoriere generale, il Vice Uditore, l’ Avvocato

fiscale, il Procuratore fiscale, il Computista, i Presidenti di

Camera e altri Chierici di Camera.276

Nel XV secolo e precisamente nel 1436, fece la sua prima

apparizione nei documenti pontifici la carica di Vice Camerlengo,

sotto il pontificato di Eugenio IV che, durante la fuga a Firenze

per la rivolta romana (1434), diede il governo di Roma a Giuliano

Ricci, arcivescovo di Pisa, concedendogli ampi poteri in materia

civile, criminale e mista. Aveva, infatti il potere di governare

sub censura iusticiae…iuvando bonos et reprobos et inoboedientes quoslibet

compescendo.277 Da quel momento in poi furono 126 i Vice Camerlenghi,

alcuni dei quali ebbero anche il privilegio di salire sul soglio

pontificio, come Giulio III nel 1550 e più tardi Clemente IX nel

1667.

Fu, però, solo con Sisto IV ( 12 luglio 1473 ) che il Vice

Camerlengo, mediante i Capitula declaratoria iurisdictionum Curiarum Urbis,

divenne anche Governatore di Roma (Gubernator in alma Urbe eiusque

territorio et districtu et in Camera Apostolica vice camerarius vel camerarii

locumtenens).278 In parte l’iniziativa presa dal papa impediva quella

confusione che in quel periodo vigeva tra Vice Camerlengo e

Tesoriere Generale e permise al pontefice di far sì che fossero

276 Cfr. N. DEL RE, La curia romana, cit. p. 288.277 N. DEL RE, Monsignor Governatore di Roma, istituto di studi romani editore, Roma, 1972, p. 12.278 PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi, cit. , p. 207.

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Page 175: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

limitati i poteri locali della città di Roma, togliendo loro ogni

competenza per quanto riguardava le cause criminali di natura

privata, in compenso aumentò le prerogative di questa figura di

amministratore romano, affidandogli il compito di verificare e

reprimere ogni abuso di potere del Maresciallo e dei giudici

capitolini. Inoltre, diede al Governatore di Roma un’altra

incombenza: quella di visitare periodicamente le carceri cittadine

per impedire eventuali soprusi del personale carcerario.

Una bolla di Innocenzo VIII del 23 dicembre 1487 ribadiva

l’unione delle due cariche di Vice Camerlengo e di Governatore di

Roma e restituiva a quest’ultimo la facoltà di decidere sulle

cause civili e criminali.

Leone X, tramite la costituzione Etsi pro cunctarum del 28 giugno

1514, decise quali sarebbero stati i compiti da affidare a queste

personalità, compresi quelli riguardanti la polizia giudiziaria e

la vigilanza. Restituì al Governatore le mansioni che in

precedenza gli erano state tolte e gli permise di trattare anche

determinate questioni con rito abbreviato per evitare lungaggini

processuali, gli diede il potere di irrogare scomuniche, di

infliggere pene pecuniarie, di effettuare sentenze di morte, di

aumentare o diminuire, secondo il suo volere, pene già sancite, di

promulgare editti e decreti, di operare pro bono pacis et utilitate

subditorum, et correctione delictorum ac inductione bonorum morum, rese

inoppugnabili e irrevocabili i processi in mano al Governatore di

Roma, volle che i funzionari urbani fossero sottoposti alla sua

autorità e decise che i suoi atti dovessero considerarsi privi di

irregolarità.

Giulio II stabilì che il Governatore avrebbe dovuto occuparsi

anche delle cause intentate contro i baroni romani, avrebbe dovuto

175

Page 176: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

curare quelle riguardanti le pene capitali e quelle fracte pacis;

aveva in mano la cura delle vertenze per salari e mercedi insieme

alla carica di Senatore, non poteva però infliggere scomuniche,

mentre per le esecuzioni capitali, che dovevano tenersi in

Campidoglio, aveva a disposizione venticinque uomini; il bergello

del Governatore, infine, doveva essere solo un mero esecutore.279

Paolo III con la costituzione Romani pontificis del 25 novembre

1544 sottopose nuovamente il Governatore di Roma al Camerlengo e

decise che qualora si fosse rifiutato la pena sarebbe stata la

scomunica. Successivamente il 4 luglio 1548 con la costituzione Ad

onus apostolicae servitutis diede al Governatore la possibilità di

incarcerare qualcuno anche senza indizi, ma con l’obbligo di

rilasciarlo se, nel giro di 48 ore, non fossero stati trovati

elementi utili all’arresto.

Paolo IV offrì, per dimostrare quanto la carica di Governatore

di Roma fosse importante per lui, un intero palazzo come residenza

per le attività del Vice Camerlengo e come sede del tribunale del

Governo, chiamato Iudicum novae Rotae. Questa nuova struttura avrebbe

dovuto avere ampie aule, le zone riservate alle cause civili e

quelle spettanti a quelle criminali avrebbero dovuto essere

separate, i giudici dovevano lavorare consecutivamente per tre ore

e la loro durata in carica doveva essere pari ad un anno, anche se

con la possibilità della rielezione e con l’obbligo di essere

sottoposti al sindacato per la verifica del loro operato. Era

inoltre impossibile per i giudici ricevere doni di qualsiasi

specie.

Pio V, con il motuproprio Cum Apostolica Sedes del 9 agosto 1570,

concesse al Vice Camerlengo l’oracolum vivae vocis. Con tale potere il

279 Cfr. N. DEL RE, Monsignor Governatore di Roma, cit. , p. 17-18.

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funzionario aveva la forza di essere ascoltato come se fosse stato

il papa in persona.

In seguito Sisto V (1585-1590) fissò le norme procedurali che

il Governatore era tenuto a rispettare e che parzialmente

diminuirono il suo prestigio: Il motuproprio In sublimi beati Petri del 1

dicembre 1587 stabilì che il Governatore doveva essere affiancato

soltanto da un luogotenente, che doveva conoscere tutte le cause

sia civili che commissorie iuxta suas facultates. Con lo stesso

documento si definivano anche i giorni e i luoghi delle udienze,

si stabiliva quando si poteva amministrare la giustizia, la

modalità degli appelli, la misura delle sportule, del salario e

degli emolumenti, le pene per il giudice contravventore, si

gestivano le procedure per le cause ordinarie, si specificavano le

pene per i notai e gli esecutori, le spese processuali per le

parti in causa e, infine erano descritti altri criteri per il

miglior funzionamento del tribunale delle cause civili.

Nel 1589 il Governatore perse il Vice Camerlangato e di

conseguenza fu escluso da tutte le attività camerali. In

precedenza, infatti, chi ricopriva questo ruolo, oltre a essere

aiutato da un luogotenente civile, da due luogotenenti criminali e

da altri funzionari poteva, pur continuando a essere Governatore

di Roma, partecipare pienamente alle attività proprie del potere

centrale: era secondo solo al Camerlengo in Curia, poteva

partecipare alle sedute della Camera come gli altri magistrati,

frequentava i Chierici di Camera e rappresentava le istanze

statali per qualunque contratto camerale. Come supporto al suo

lavoro aveva degli archivi, che contenevano soprattutto documenti

su processi criminali, interrogatori, libri di testimonianza,

sentenze e registri di sentenze, ma custodiva anche carte

177

Page 178: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

riguardanti la tenuta dell’ordine pubblico, di cui il Governatore

aveva la responsabilità insieme ai bargelli e ai birri, che erano

un corpo di polizia, operante a Roma e nella campagna circostante.

Papa Peretti se da una parte tolse una porzione di potere al

Governatore di Roma, impedendogli l’ingresso negli affari della

Camera Apostolica, dall’altra tentò di restituirgli prestigio,

offrendo una nuova sede per il tribunale da esso gestito; in un

Avviso del 10 gennaio 1587 si diceva infatti : “Viene il papa

persuaso (per quanto s’intenda) a voler fare acquisto di Monte

Giordano in servitio del Tribunale del Vicario del papa, del

Governatore di Roma et dell’auditore di Camera.” Un altro Avviso

del 1 luglio 1589 diceva : “N. S. si lascia intendere di voler

finire la fabbrica in strada Giulia incominciata già da Giulio II

per habitatione perpetua et comodo di tutti li tribunali di

Roma.”280

Si trattava di una figura particolare, la cui storia è

fortemente legata alle fasi in cui Roma vide aumentare o diminuire

lo spazio della sua autonomia, essa costituisce uno dei punti di

collegamento più interessanti tra il potere centrale e quello

locale.

Auditorium era, invece, il luogo in cui si giudicavano le cause.

L’Uditore sostituì l’antica immagine del nomenclatore, che era uno

dei sette maggiori ufficiali del S. Palazzo Apostolico

Lateranense, a capo dei quali si trovava il Primicerio. Questa

figura dello Stato della Chiesa curava le cause di chi si

appellava al Santo Padre e insieme al Sacculario, il custode del

tesoro, ne chiudeva le pratiche; inoltre cavalcava al fianco del

papa per ricevere le suppliche.

280 N. DEL RE, Monsignor Governatore di Roma, cit. , p. 30.

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Pio IV ristabilì l’ufficio di Uditore nel maggio del 1561 e

Pio V con la bolla intollerabilis multorum pervenutos del 1 giugno 1569281

volle che fosse posto un freno alla simonia legata ai benefici di

confidenza, ma il suo tentativo fallì; così Sisto V il 1 novembre

1586, attraverso la bolla Divina Dei Providentia, istituì una nuova

struttura di supporto alla Camera: l’Uditore generale delle

confidenze beneficiali e la rese vacabile, valutandola 2000 ducati

d’oro.

L’Uditore gestiva le cause che riguardavano il suo tribunale;

questo organo giudiziario si occupava di malversazioni di

collettori, delle contestazioni tra questi e i contribuenti, delle

concussioni e dei rifiuti di pagamento. Non erano esenti da simili

giudizi baroni, principi, ambasciatori, dignitari, vescovi,

patriarchi e cardinali.

Il collegio giudicante della Camera Apostolica era

considerato il primo tribunale del papa, dal momento che era

quest’ultimo a decretare l’esecuzione delle bolle pontificie,

delle sentenze dei magistrati e delle lettere apostoliche. Esso

trattava sia questioni ecclesiastiche sia faccende più profane, si

diceva che l’Uditore operava “sin dove era accesso alla Croce”,

nel senso che aveva un potere che si estendeva in tutti i

territori dove la Chiesa poteva avere influenza. Giudicava in

prima istanza quelle cause che non erano di competenza degli altri

tribunali come quelle del cardinal Vicario, del Senatore, del

Governatore e altre ancora.282

Il tribunale era formato, quando si riuniva, dal cardinal

Camerlengo, dal Governatore di Roma, nel ruolo di vice Camerlengo,

dal Tesoriere Generale, dall’Uditore Generale e da nove Chierici281 Bull. Cit. par. 3, p. 67.282Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, cit. , vol. XI, p. 162.

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di Camera, che svolgevano i compiti di presidente dell’Annona e

della Grascia, di presidente delle zecche, di presidente delle

Armi, di presidente delle acque e delle strade, di presidente

degli archivi, di prelato Uditore del Camerlangato, di avvocato

dei poveri, di avvocato generale del fisco e della Reverenda

Camera Apostolica e di commissario generale della Reverenda Camera

Apostolica. Oltre a questi vi erano i sostituti commissari, il

sostituto di monsignor Procuratore Generale del Fisco e della

Reverenda Camera Apostolica, i segretari cancellieri, detti anche

notai della Camera Apostolica ed altri.283

Secondo il volere di Leone X il tribunale si riuniva due volte

a settimana, il lunedì e il venerdì, mentre a marzo era attivo il

mercoledì, all’interno del Palazzo Apostolico.

Pio IV con la costituzione Cum inter ceteras del 1 novembre 1564

stabilì quali dovevano essere i compiti dell’organo giudiziario:

da una parte la sua opera doveva essere rivolta al settore

amministrativo e gestire gli appalti tramite l’utilizzo di

tecniche capaci di garantire maggiore trasparenza come l’asta;

dall’altra si doveva interessare all’aspetto più prettamente

giurisdizionale attraverso il libero e imparziale giudizio del

tribunale. La stessa disposizione prevedeva un maggior controllo

dell’operato dei tesorieri provinciali mediante la verifica del

saldo annuale che questi ultimi erano tenuti a presentare.

Un’ulteriore esame dei conti che giungevano alla Camera era svolto

in due fasi: la prima era basata sul confronto tra il conto

riassuntivo e i documenti di riscossione ad esso collegati, il

secondo era caratterizzato da un vero e proprio giudizio

sull’esattezza del conto stesso.284

283 Cfr. ibidem, vol VII, p. 12.284 Cfr. M. CARAVALE, A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio : da Martino V a Pio IX, cit, p. 315.

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Un altro tribunale legato alle questioni economiche e alla

Camera Apostolica era il tribunale criminale della R. C. A. Esso

si divideva in due sezioni: la prima era formata da un

vicepresidente, che solitamente era scelto tra i Chierici di

Camera, da un Commissario generale delle dogane, da un giudice

relatore, da un procuratore fiscale e da un Segretario della R. C.

A.; la seconda, di secondo grado, era formata da un Tesoriere

Generale, da un presidente del tribunale, da un Chierico di

Camera, da un avvocato generale della R. C. A., da un giudice

relatore e da un Segretario cancelliere.285

Diverso dall’Uditore di Camera era l’Uditore del camerlangato,

che era nominato da un prelato ed era destinato all’ufficio e non

al Camerlengo. Due personalità ricoprivano questa carica: uno si

dedicava alle cause civili e l’altro a quelle criminali. Gestivano

direttamente il tribunale del Camerlangato e potevano essere

sostituiti dal Vicario, dall’Ordinario e da altri delegati.

Potevano essere anche chiamati domestici o aulici. I pontefici,

infine, che riformarono negli anni questo ufficio furono Eugenio

IV, Innocenzo VIII e Gregorio XIII.

I notai erano importanti perché avevano il compito di

conservare le carte della Camera, in aggiunta a ciò erano tenuti

“… in primo libro ipsius Camerae ad id deputatis registrent

estense et ad longum omnes et singulos contractus, inter eam, et

quamcumque personam Collegium vel Universitatem initos, et

quasqumque scripturas ad ipsam Cameram perinentes, infra sex dies

a die stipulationis sive revisionis illorum Clericum, cui id

commissum fuerit, computandos, qui contractus et scripturae per

Notarios ipsius Cam. et non per alios registrentur…”. A questi

285 Cfr. J. SPIZZICHINO, Le magistrature dello Stato pontificio, cit. , p. 329.

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spettava anche la conservazione dei libri della Camera

Apostolica.286 La contabilità dello Stato si basava su un sistema

di registri, che possedevano anche i tesorieri, i doganieri, i

commissari e i collettori, nei quali venivano annotate le entrate

e le spese. Tutto questo materiale, sparso nei vari uffici

dell’amministrazione pontificia, rese ulteriormente difficile la

ricostruzione della sua condizione finanziaria. Senza contare il

fatto che alcune entrate non facevano riferimento all’aspetto

temporale ma a quello spirituale.

Altri tribunali che servivano la Camera erano, poi, il

tribunale Plenae Camerae, all’interno del quale operavano il

Camerario, il Tesoriere Generale, i Chierici di Camera e il

tribunale del Governatore di Roma. Infine il tribunale del

Tesoriere generale aveva competenza per quanto riguardava le

tesorerie, le collettorerie e le subcollettorerie.287

Il Tesoriere Generale, sul quale Vitale288 alla fine del

Settecento ha fatto uno studio, citando tutti coloro che hanno

ricoperto la carica a partire dal pontificato di Giovanni XXII,

doveva verificare i conti della cassa e supervisionare l’operato

di tutti i tesorieri dello Stato della Chiesa e di tutte le

collettorerie e sottocolletterie, informando, poi, la Camera

Apostolica del loro operato.289 Aveva, infatti, il compito di

verificare le entrate e le uscite delle talee, il census e l’ affictus

“ultra quam locator et conductor rispective exigere non possit.”

Per contratto si occupava, poi dello judicatus spiritualium, delle

appellationes, dell’advocatus fiscalis, del notarius cameralis, del procurator

286 M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica, cit. p. 35.287 Cfr. ibidem, p. 36.288Cfr. F. A. VITALE, Memorie istoriche dei tesorieri generali pontifici dal pontificato di Giovanni XXII sino ai nostri tempi, Stamperia simoniaca, Napoli, 1782 .289 Cfr. N. DEL RE, La curia romana, cit. p. 290.

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fiscalis, del notarius thesoreriae, degli officiales resignationum, del procurator

ad negotia, del revisor arcium, del cursor cameralis, del castellanus Mundavii,

Rotondi et Saxoferrati. Riscuoteva, infine i subsidia episcoporum et cleri e il

subsidium ebreorum.290

A parere del Moroni questo ufficio nacque quando, all’interno

del Collegio il pontefice scelse una persona per la custodia del

tesoro della Chiesa. Questi era presente già sotto il pontificato

di Giovanni XXII, verso il 1320.291

Era una figura dipendente dal Camerlengo, ma talvolta il

pontefice preferiva rivolgersi direttamente a lui, saltando il

principale referente della Camera Apostolica.292

Doveva essere in grado di saper trattare con le banche che

concedevano prestiti allo Stato della Chiesa, poteva essere sia

laico che ecclesiastico, spesso era un banchiere privato, talvolta

era un docente universitario. In ogni caso si doveva trattare di

persone con una elevata esperienza pratica. Così lentamente si

formò un percorso carrieristico anche per accedere a questo

importante ufficio. Infatti, chi desiderava diventare tesoriere

della Camera Apostolica doveva prima essersi laureato in diritto,

essere stato referendario delle due Segnature e commissario

generale o Chierico di Camera.293

Il Tesoriere provinciale, invece, fin dai tempi delle

costituzioni dell’Albornoz svolgeva un ruolo cardine per quanto

riguarda la riscossione delle imposte nella provincia, la difesa

del territorio e il mantenimento delle imposte locali, dei censi

290 M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica, vol LXXIV, cit. , p. 39. 291 G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, cit. p.7.292 Cfr. M. C. GIANNINI, I tesorieri della Camera Apostolica, in Offices et papauté( XIV_XVII siecle), Charges, hommes, sous la direction d’Armand et Oliver Poncet, Collection de L’Ecole francaise de Rome, 2005, p. 860.293Cfr. ibidem, p. 873.

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feudali che venivano pagati il giorno prima della ricorrenza di

San Pietro e Paolo, degli affitti dei beni camerali, dei malefici,

della tassa del sale, delle dogane del Lazio, della dogana delle

tratte, della fida, dei focolini, dei caposoldi etc… Si trattava

di entrate che insistevano sulle comunità immediate subiecte, ma non

riguardavano quelle baronali.

I denari raccolti servivano per le spese della provincia: per

pagare gli stipendi ai funzionari e ai soldati, per il

mantenimento delle proprietà della Camera come rocche o palazzi,

per i messi, per l’amministrazione della giustizia e per le spese

del tribunale di cui egli stesso era a capo. Dal momento che

godeva di una certa autonomia nei territori periferici dello

Stato, era tenuto a fornire periodicamente alla Camera Apostolica

il rendiconto del suo operato. Per tutto questo guadagnava sei

scudi al mese.

Dalle informazioni estratte dal regestrum secundum quietantiarum

alias quam communium et minutarum servitiorum degli anni 1423-1426, il

tesoriere doveva anche spedire e ricevere le lettere di quietanza

e le composizioni camerali, in particolare il funzionario faceva

capire che il tutto era stato supervisionato da lui attraverso

l’uso della formula recepi, il Camerlengo doveva invece curare la

dilazione dei debiti, tutte le altre dilazioni lasciate dai

collettori delle decime e le entrate spirituali della Chiesa.

Per annotare tutti i dati e i documenti che un tesoriere

provinciale era abituato a trattare furono creati, a partire dal

1397, dei registri. Essi si sono rivelati utili per uno studio non

solo della zona dal quale provenivano ma anche per approfondire

aspetti e questioni riguardanti territori più ampi. Infatti con i

proventi delle Tesorerie provinciali si potevano finanziare le

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guerre contro i turchi, soccorrere Costantinopoli, mantenere i

rapporti con l’Etiopia cristiana e accumulare i fondi delle

tesorerie della Marca, dell’Umbria, della Romagna e del

Patrimonio. Infatti il Tesoriere provinciale poteva non solo

provvedere alle spese della sua normale amministrazione, ma su

ordine del pontefice e del Camerlengo poteva anche occuparsi di

altri tipi di pagamenti, che venivano successivamente e

regolarmente riportati nei registri della Tesoreria.

Secondo le leggi risalenti al XIV secolo i libri che

contenevano i registri dovevano essere conservati in tre

originali, uno dei quali doveva essere consegnato alla Camera

Apostolica e supervisionato dai Chierici di Camera, chiamati a

svolgere proprio questo compito; sono proprio questi documenti che

ancora oggi sono conservati all’Archivio di Stato di Roma.

Il testo di Elio Lodolini,294 che ha analizzato i registri, ci

ha lasciato un esempio di come essi erano ordinati, descrivendo

cosa era scritto nelle documentazioni della Marca degli anni 1449-

1453. Non si tratta della spiegazione di come erano fatti tutti i

registri di quel tempo, poiché ognuno era organizzato in maniera

diversa, ma della esposizione di un modello, utile per avere una

idea di ciò che in essi poteva essere riportato. Le entrate erano

costituite da tallie, imposizioni fisse, census, affictus, subsidium clericorum,

subsidium ebreorum, condempnationes, retentiones, extraordinarius introitus e

sextariae. Vi erano accuratamente riportati i nomi di cittadini di

Firenze, Cremona, Vicenza, Capodistria, Ragusa, Vienna e Ungheria.

Interessante poi è la documentazione della tratta del grano, che

294 Cfr. E. LODOLINI, I registri delle tesorerie provinciali dello Stato pontificio (1397-1816), nell’Archivio di Stato di Roma, estratto da Studi in memoria di F. Melis, Giannini Editore, vol. II, 1978, pp. 431-439.

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dà la possibilità di apprendere anche oggi quale era la situazione

del commercio nella metà del Quattrocento.

Per quanto riguarda le uscite vi erano gli stipendi sia degli

impiegati che dei militari, le spese per l’acquisto di libri per

la Biblioteca Vaticana, per le ristrutturazioni di Castel

Sant’Angelo, per missioni politiche e militari, per restituzioni

al banco dei Medici in Ancona e per il mantenimento della flotta

da guerra. Vi erano anche dei rinvii sia allo stesso registro che

ad altri, conservati altrove.

Tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento,

si verificarono delle modifiche che riguardavano la gestione delle

tasse provinciali; infatti, se inizialmente le principali imposte

che raccoglieva il tesoriere erano censi, focolini, sali,

composizioni e malefici, in un secondo momento la maggior parte

delle imposte delle province entrarono direttamente nelle casse

della Camera Apostolica, furono gestite dalla depositeria generale

e in parte furono utilizzate per finanziare il debito pubblico. La

Camera, secondo Bauer,295 aveva la responsabilità poi delle

questioni economiche di maggiore rilevanza come le chiese, i

monasteri e le abbazie; mentre i tesorieri avevano competenza in

materie di minore rilevanza come la collazione dei benefici

minori.

Non tutti i territori della Chiesa erano amministrati nella

stessa maniera: molto dipendeva dalla loro ricchezza. Tra i più

ricchi c’era senz’altro il Lazio, specialmente la zona del

Patrimonio, grazie alle entrate della dogana del bestiame, della

dogana del sale e della dogana delle tratte, mentre le terre più

povere erano quelle di Campagna, Marittima e della Sabina. 295 C. BAUER, Studi per la storia delle finanze papali durante il pontificato di Sisto IV in Archivio della Società Romana di storia patria, 1927, p. 392.

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Nella seconda metà del Cinquecento i vicari sostituirono i

tesorieri e la Tesoreria perse parte del suo potere, poiché non

riuscì a aggiornare i suoi metodi di riscossione delle imposte,

rimanendo legata ai vecchi sistemi che, ormai, non venivano più

utilizzati. Fu così che un importante organo dell’ R. C. A. finì

per rappresentare soltanto un retaggio di un’organizzazione del

passato superata. Il risultato della perdita di centralità di

questo importante ufficio periferico fu la decisione di dare in

appalto l’incarico che una volta spettava al Tesoriere. Nacque,

così, una burocrazia che era strettamente al servizio dei

banchieri e che si arricchì, appaltando porzioni di gettito

fiscale più o meno grandi, unendo i loro interessi a quelli di

Roma.296 Il nuovo sistema supportato dai banchieri faceva sì che ci

fosse nella riscossione dei tributi una maggiore efficienza e una

maggiore presenza dello Stato in periferia,297 ma permise anche a

questi ultimi di sostituirsi allo Stato in quei luoghi dove

operavano.

Accanto ai tesorieri c’erano coloro che ricoprivano la carica

di Computista. Secondo l’Ordo Camerae di Sisto IV, chi aveva un

simile ruolo doveva aggiornare i registri delle soldatesche, dei

castelli, delle rocche e di vari ufficiali camerali. Aveva la

responsabilità della tenuta del libro mastro generale o di un

giornale dal quale prendere comunque spunto per la revisione del

libro mastro. Il documento, tuttavia, che per primo fa un’ampia

trattazione dell’incarico di Computista è la Cum inter ceteras di Pio

IV. Dalla costituzione si ricavava che riceveva questo incarico

chi raccoglieva e catalogava tutti i rendiconti che giungevano296 Cfr. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi (secoli XV-XVI), Archivio di Stato di Roma, Scuola di Paleografia e diplomatica, Roma, 1987, p. 32-33.297 Cfr. ibidem, p. 25-28.

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Page 188: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

alla Camera, per presentarli al Presidente della Camera e al

Tesoriere Generale. L’ultima verifica prima della definitiva

archiviazione spettava ai Chierici di Camera. Infine, se il

computista non svolgeva bene il suo compito veniva allontanato

dall’incarico, mentre per qualunque colpa da imputare ai

Tesorieri, al Vice Camerlengo e agli altri camerali era il papa a

decidere la pena.298

Alcuni organi della Curia erano, poi, strettamente legati tra

loro, come la Depositeria, la Dataria e la Camera Apostolica. Al

loro interno circolava la maggior parte del denaro raccolto nel

Territorio pontificio. Mentre la Dataria, però, era un ufficio

legato principalmente all’aspetto religioso e spirituale della

Santa Sede, la Depositeria era gestita da banchieri privati. Era

il depositario una delle persone che aveva più potere in Curia,

poiché amministrava una gran quantità di denaro, proveniente sia

dalle casse di natura spirituale sia dalle gabelle, censi, affitti

e imposte, oltre a gestire quelle entrate provinciali che non

erano spese nei territori dai quali provenivano, ma erano

destinate direttamente all’ufficio camerale. Con i soldi che aveva

a disposizione, doveva affrontare tutte le spese necessarie per il

governo dello Stato. Non è facile capire il reale potere del

funzionario in questione, perché non si riesce a comprendere

quanto potesse agire in autonomia e quanto fosse condizionato dal

Camerlengo o dal Tesoriere Generale.

Nella maggior parte dei casi si trattava soltanto di un lavoro

di cassa. Sempre più spesso capitava che il ruolo del depositario

fosse ricoperto poi da mercanti che, specialmente a partire dagli

anni Quaranta del Cinquecento, si trovavano ad anticipare le

298 Cfr. ibidem, cit. , p. 184-185.

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Page 189: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

entrate dello Stato per finanziare spese ordinarie e

straordinarie. Ciò permetteva loro di avere la libertà di nominare

i propri commissari senza che questi rendessero conto del loro

operato a nessun altro se non al depositario che li aveva scelti.299

Il Presidente di Camera era una persona vicina al pontefice,

che aveva il compito di essere presente a tutte le riunioni che

trattavano della Camera Apostolica e doveva riferire al papa

quello che in esse era stato detto.300

La Camera Apostolica, poi, doveva amministrare diversi

territori, di cui era diretta proprietaria e beneficiaria delle

relative rendite. Si trattava di terreni coltivati a coltura

estensiva o lasciate a prato o a bosco. Nel solo territorio del

Patrimonio, come ci riferisce Anzillotti301, possedeva terre pasque

seminative e boschive nelle zone di Ronciglione, Vetralla, Bieda,

Capranica, Cerveteri, Monteranno e Giulianello.

Esse permettevano a chi le coltivava di ricevere il

necessario per sopravvivere, mentre una parte del raccolto doveva

essere lasciata al proprietario. Si trattava di grano, vino, orzo,

olio, lupini, lino e fieno che in parte era venduto dai fattori e

in parte era destinato alle dispense e ai magazzini dei palazzi

pontifici. Una quantità, infine, del ricavato ottenuto da questi

terreni era impiegato per la restaurazione delle rocche o per

pagare i soldati. Solitamente era il doganiere che doveva

occuparsi di queste entrate della Camera Apostolica, ma talvolta

gli stessi fattori delle tenute avevano il compito di incassare i

censi, sotto il controllo dei doganieri.

299 Cfr. M. G. PASTURA RUGGIERO e M. G. PANCALDI, Commissariati, cit. , p. 201.300 Cfr. G. FELICI, La Reverenda Camera apostolica. Studio storico giuridico, cit. , p. 22.301 Cfr. A. ANZILLOTTI, Cenni sulle finanze del patrimonio di S: Pietro in Tuscia nel secolo XV, Archivio della Società Romana di storia patria, Roma, 1919, vol. 42, p. 381.

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Page 190: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Per completare la rete economica e strutturale dello Stato

della Chiesa, bisogna aggiungere che alcuni settori di

amministrazione godevano di una certa autonomia dal punto di vista

finanziario, come il Collegio dei Cardinali e il Maestro di Casa,

che gestiva la vita di palazzo e riceveva i fondi necessari per

svolgere questo compito direttamente dal papa, dal Datario, dal

Depositario e dal Governatore di Roma.

Il ruolo dei Chierici di Camera. Dalla Piena Camera

alle Congregazioni sistine

I cosiddetti Chierici di Camera si riunivano in un collegio.

Originariamente, nel XII secolo, si trattava di personalità

particolarmente vicine al pontefice; erano chiamati “Procuratori

del Patrimonio di San Pietro, cappellani del papa, consiglieri del

papa e consiglieri della Camera Apostolica.”302

L’ Udienza della Camera era quel genere di riunione privata

che il capo della Chiesa teneva, radunando i suoi più intimi

collaboratori nella sua camera da letto. Da ciò derivò il loro

nome di Chierici di Camera. Non avevano, quindi, compiti

determinati, le loro mansioni erano di volta in volta assegnate

dai papi che si succedevano sul trono di Pietro. In seguito

cominciarono a occuparsi di questioni più specifiche come quelle

riguardanti il fisco, il tesoro pontificio e le attività

amministrative derivanti dalle proprietà ecclesiastiche, che

avevano come responsabile principale il Cardinale Camerlengo. Il302G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, cit. , vol XI, p. 182.

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Page 191: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

loro lavoro crebbe di importanza insieme all’aumento del prestigio

di questa figura di impiegato statale, il quale, infatti, andava

ad occuparsi sempre di più di tasse, oblazioni, decime, censi e

battitura delle monete. Nel XIV secolo si costituì, allora il

collegio dei Chierici di Camera, inizialmente composto da tre

membri, che dovevano affiancare il Camerlengo nell’adempimento dei

suoi doveri. Non avevano molto potere decisionale, erano

soprattutto considerati i consiglieri del Camerlengo.

Nel 1438 Eugenio IV ne volle aumentare il numero, così

divennero sette. Con la costituzione In eminenti, del 1444, che

confermò gli statuti della Camera Apostolica, si è venuti a

conoscenza dell’esistenza di un collegio dei ministri camerali,

chiamati “genti di Camera”, composto dal Cardinale Camerlengo, che

lo presiedeva, dal tesoriere e dai suoi assistenti, i Chierici di

Camera. All’interno di questo collegio vi era una personalità, il

prelato decano. Riguardo a questi il Moroni riferisce: “ Essendo

opportuno che fra i chierici uno a nome degli altri debba

addossarsi le cure continue di varie cose, quello sarà meritamente

che da più lungo tempo fu ammesso nel collegio, purché sia

presente in Curia: allorché poi sarà assente, o infermo, gli verrà

surrogato il prossimiore di tempo, col nome di pro-decano.

Incomberà ad esso di obbligare i Chierici di Camera di numero, e

oltre a questo, di proporre le cose da trattare e di eseguire i

loro voti e secondo essi conchiudere e risolvere, accettuate le

cause fiscali e i tempi in cui i Chierici fossero occupati in

affari maggiori. Il decano deve avere cura diligente dell’altare e

delle suppellettili pel divino sacrificio e pel sacerdote ed a

tutto ciò che queste cose riguarda: il sigillo del collegio e il

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Page 192: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

volume delle costituzioni si terrà presso di sé e finito l’anno

dovrà rendere ragione delle predette cose.”303

In alcuni periodi, sotto il pontificato di Alessandro VI

(1492-1503), tramite la bolla Etsi ex pastoralis del 29 aprile 1502, che

indicava espressamente quali erano le zone che dovevano essere

amministrate dai Chierici del collegio, questi ebbero il potere di

governare diverse città.

La costituzione di Giulio II “Ex iniucto Nobis” del 22 luglio

1506, affidò ai prelati del collegio il compito di verificare il

lavoro dei governatori locali dello Stato della Chiesa, tramite

visite periodiche che erano tenuti a fare, potevano così anche

essere a conoscenza delle cause intentate da comunità o da privati

cittadini nei confronti di questi amministratori, “per tormenta,

carceres et alios legitimos modos veritatem ergere possunt.”304 Lo

stesso papa Medici confermò ciò che già aveva stabilito Giulio II

con la bolla Licet felicis del 12 giugno 1517; inoltre decise nel 1518

che la Camera dovesse verificare che i tesorieri svolgessero i

propri compiti in modo retto e volle che i Chierici controllassero

che i delitti nella provincia non rimanessero impuniti, che la

giustizia fosse amministrata in modo retto e che i funzionari

locali non si approfittassero della loro carica e del loro potere

per aumentare il proprio personale patrimonio; inoltre li utilizzò

come commissari e prefetti presso le due Prefetture dell’Annona e

della Grascia, per le presidenze delle Strade, delle Ripe, degli

Archivi, delle Carceri, della Zecca e delle dogane, delle Armi e

del Mare. Il loro numero, infine, variò nel corso dei secoli: dopo

Eugenio IV, che volle che fossero sette, Pio V (1566-1572) li

portò a dodici in un primo tempo e a dieci successivamente; Sisto303ibidem, p. 184. 304 PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi, cit. , p. 57.

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Page 193: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

V nel 1587 li aumentò di due unità; divennero così nuovamente

dodici.

I Chierici di Camera ricevevano a turno, tramite estrazione a

sorte, il compito di amministrare alcune presidenze, commissariati

o prefetture. Soltanto le presidenze dell’Annona, della Grascia,

delle Strade, degli Archivi e delle Ripe venivano nominati

direttamente dal papa. Se, nel corso dell’anno, un chierico moriva

la sua carica era ricoperta dal decano.

La costituzione Romanus pontifex, Cristi vicarius, proclamata da Pio IV

nel 1562, inizia a delimitare i poteri di questo organo

soprattutto per quanto riguarda le moratorie, le rappresaglie, le

tolerantia agli ebrei, le autorizzazioni all’esportazione di grano e

di generi di grascia, dilazioni o remissioni di crediti camerali,

collazione di benefici. Lo stesso documento stabiliva che la Piena

Camera dovesse occuparsi soltanto di questioni riguardanti il

fisco, ovvero lo Stato. Le erano, cioè precluse tutte quelle

attività che facevano riferimento alla giustizia tra privati. Si

creava una prima vera e propria divisione dei compiti tra la Piena

Camera e altri tribunali, come quello dell’Auditor Camerae. Si ribadiva

il concetto che le decisioni avevano valore soltanto se venivano

prese collegialmente.

Secondo la costituzione Cum inter ceteras del 1564 il decano era

deputato all’allestimento di tutto il necessario per lo

svolgimento e la discussione delle riunioni dei Chierici, quindi

doveva curare le istruttorie, partendo dal chierico scelto dal

Camerlengo o estratto a sorte, doveva chiedere il voto ai colleghi

sui vari argomenti che di volta in volta erano trattati, era

responsabile del tesoro e della cura dei registri, doveva poi

anche conservare le chiavi delle cassette che contenevano le bolle

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Page 194: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

di concessione delle chiese e dei monasteri, doveva curare il

registro delle riunioni del collegio e dare gli stipendi,

rendendone conto in un apposito documento. La stessa bolla dava il

potere ai Chierici di presiedere alcuni importanti uffici della

Camera, che però, non potevano definirsi autonomi, così come

prevedevano alcune bolle precedenti. Il loro ruolo era

essenzialmente quello di referendari e istruttori. I primi a

ritagliare per se una porzione di autonomia furono il Tesoriere

Generale e l’Auditor Camerae.

Nei registri cinquecenteschi,305 compilati dal chierico mensario,

venivano riportate brevemente le cause trattate. Spesso accadeva

che una causa fosse discussa per più giorni e ogni volta veniva

riportato l’oggetto e le novità che erano trapelate dalle riunioni

animate dai membri dell’organo. Le assise avevano luogo tre volte

a settimana: il lunedì, il mercoledì e il venerdì. I documenti che

attestano l’attivita della Piena Camera sono in ordine

cronologico: ogni volume è diviso in anni, mentre all’interno dei

medesimi è possibile visualizzare la produttività dell’ufficio, in

quanto sono sempre riportate il giorno, il mese e, talvolta, il

chierico scelto per la trascrizione del registro306 e il nome del

Decano, anche se la precisione con la quale veniva scritta la data

cronica dipendeva dalla cura che il mensario aveva nel registrare

le singole cause, a dimostrazione del fatto che questi volumi

rimanevano una documentazione prevalentemente ad uso interno

dell’organo. La dimostrazione di ciò è che, a differenza di altri

registri dello Stato ecclesiastico, come quelli della

Congregazione Super viis, pontibus et fontibus, che presentavano anche una

305 Scrivere i numeri di corda dei Decretorum!!!306 Tra i nomi dei mensari citati nei Registri dei Decreti del Cinquecento vi è Puccio e Ghinucci, Armellino.

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Page 195: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

rubrica, nei Decretorum Camerae Libri non vi è traccia di

quest’ultima. La rubrica, infatti, viene creata per quei documenti

che si pensa necessitino di essere facilmente consultati, i

registri della Piena Camera, invece, ancora una volta appaiono

poco facilmente consultabili, sembrano delle vere e proprie brutte

copie, dei libri di appunti.

A sinistra del foglio si dava una breve descrizione della causa o

della richiesta che si faceva e a destra veniva riportata la

decisione che il collegio prendeva a riguardo. Talvolta era

esplicitata anche la pena inflitta,307 a riprova del fatto che

ancora nella prima metà del Cinquecento si trattava di un vero e

proprio tribunale. Poteva accadere che la soluzione definitiva

fosse rimandata e trattata nei giorni seguenti, talvolta

trascinata per mesi, in tal caso si incaricava uno dei chierici di

approfondire l’argomento308 e di aggiornare gli altri membri

dell’organo sulla situazione. Ogni giorno venivano trattate in

media una ventina di cause, vi erano giorni in cui tale numero

aumentava e giorni che diminuiva. Quando il numero di questioni

trattate era particolarmente esiguo, nei registri si nota una

maggiore cura nella descrizione dei temi discussi, a dimostrazione

del fatto che evidentemente i chierici impiegavano più tempo a

risolverle.

Alcuni nomi dei chierici ricorrono nelle risposte che l’organo dà.

Tra questi vi sono: Phy, Laurentinus, Soderino, De Gonzaga,

Puccio, Florentino, Torcellano, De Grassis, De Torres, Gachum.

Tra le persone che potevano appellarsi a questo antico tribunale

vi erano comunità (in epoca moderna intese come città),

governatori locali, il Collegio degli Archivi, i mercanti di Ripa,307 Talvolta si parla anche di omicidi.308 In tal caso si trovava la dicitura: Ad Phy o ad papam.

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castellani, ecclesiastici, gabellieri che chiedono la loro

ricompensa, segretari riuniti nel loro collegio, ma talvolta anche

singole persone. Le popolazioni maggiormente citate erano quelle

più ricche, appartenenti ai territori della Marca come Fano, Fermo

Macerata e quelle dell’alto Lazio come Viterbo e Corneto. Per le

note attività estrattive dell’allume molto citata è la popolazione

di Tolfa e in particolare chi si appellava a questo importante

organo erano appaltatori e commissari che pagavano le tasse.309

Venivano trattate questioni riguardanti decreti, stipendi, nomine,

cauzioni, proprietà, eredità, o argomenti che fanno riferimento a

attività particolarmente produttive per lo Stato ecclesiastico del

Cinquecento, come i già citati affari intorno alla scoperta

dell’allume a Tolfa. Ho cercato di vedere se a chierici, aventi un

ruolo particolare nel collegio, come il Decano, fossero affidate

durante il XVI secolo particolari tipologie di cause e ho potuto

notare che spesso le questioni riguardanti le magistrature romane

o cause tra magistrature e singoli spettavano proprio a questa

importante figura.

A livello paleografico è interessante il registro dell’anno 1534,

il quale ha una scrittura molto più elegante degli altri, che

ricorda, pur se con le dovute differenze, la minuscola

cancelleresca. Infatti si possono notare svolazzi, aste allungate

e piegate in basso a sinistra o alte e curvate a destra. I mensari

di quell’anno evidentemente avevano compreso che bisognava dare un

carattere di ufficialità a quei volumi. Una cura che scompare di

nuovo successivamente.

Analizzando le carte prodotte dall’organo della Piena Camera si

intravede anche lo sviluppo dell’attività “burocratica” del

309 Oggi Tarquinia.

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Page 197: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

tribunale quando, ad esempio, si trova nel commento a destra delle

cause inviat copiam.

E’ Stupefacente la vastità di tematiche che l’organo collegiale

era in grado di trattare, in questo modo il potere centrale

controllava l’intero Stato, così come veniva controllata la stessa

Roma anche per questioni riguardanti l’annona, la grascia e il

commercio sul Tevere. Il ruolo della Piena Camera era simile,

anche se tale paragone con l’attualità delle istituzioni italiane

post unitarie sembra azzardato, ad una moderna Corte

Costituzionale: era un organo collegiale, cioè, che cercava di

dirimere le questioni tra centro e perferia, tra uffici dello

Stato e tra poteri centrali e singoli sudditi, con la specificità

che la Piena Camera, essendo un ufficio della Camera Apostolica,

aveva come suo compito principale quello di occuparsi di fatti

attinenti la “giurisdizione economica”310.

Confrontando il contenuto del Tribunale della Piena Camera con

quello della Congregazione super viis pontibus et fontibus si può facilmente

notare la differenza tra un’organo statale e una Congregazione.

Quest’ultima si occupa strettamente di ciò che le compete, in

questo caso di concessioni edilizie, di spurghi, di costruzioni di

strade, di esercizi commerciali, etc; mentre la Piena Camera aveva

una giurisdizione molto ampia, inoltre chi si rivolgeva alla

congregazione era una particolare tipologia di utenti: spesso

proprietari di palazzi o nobili che desideravano aumentare e

abbellire le proprie proprietà; chi aveva a che fare con la Piena

Camera invece poteva essere anche un semplice cittadino, un

ecclesiastico o un funzionario statale o provinciale.

310 M. G. PASTURA RUGGERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi. (secoli XV-XVIII), p.14.

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Una particolarità che si nota nei registri della Congregazione e,

purtroppo, non è presente nei Decretorum, è l’elenco dei

partecipanti alle assise. Nei Decretorum i nomi dei chierici si

possono trovare solo nell’affidamento che il collegio faceva delle

singole cause a ciascun suo membro.

I Decretorum Camerae Libri finora sono stati molto studiati e sulle

loro pagine, talvolta, resta traccia delle mani che hanno

sfogliato i registri, per questo motivo rimane difficile attestare

se alcune scritte apparse in più di un volume, nelle prime pagine

e alla fine, sono della stessa epoca in cui furono compilati i

registri o se sono ad essi successive, magari aggiunte da studenti

che si sono trovati a dover consultare la documentazione del

Tribunale della Piena Camera. Tra queste vi era:

“Careze di cani,

amor de putane,

amicizia de preti,

inviti de osti,

non po far che non ti costi.”

E ancora:

“Aspra colonna il cui bel sasso indura

L’onda del p(io)? canto di questi occhi sparso

Ove repente hora è fugeto e sparso

Tuo lume altero o che ne’s toglie e fura.”311

A partire dalla fine del Cinquecento, però, il tribunale inizia a

perdere la sua funzione collegiale, rendendo le funzioni che i

singoli chierici assumevano solo temporaneamente, perenne. Il

colpo di grazia definitivo all’organo collegiale lo darà Sisto V

con la sua Immensa Aeterni Dei del 1588, che diede un notevole

311 Camerale I, Liber Propositionum Tribunale Plena Camera ab anno 1546 ad 1549, 293.

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contributo allo sviluppo delle Prefetture, delle Congregazioni e

delle Presidenze.

Tra questi vi era il Prefetto dell’annona. Il primo documento che

attesta la presenza di questo organo dell’amministrazione

Capitolina è del 1576.312 E’ la Inter Ceteras pastoralis di Gregorio XIII

(1576) che descrive le competenze di questa figura, che doveva

registrare tutto il frumento che ogni cittadino possedeva, facendo

pagare chi non denunciava regolarmente i propri averi con censure

e pene ecclesiastiche, che arrivavano fino alla confisca dei beni

o altro a sua discrezione. Suo era anche il compito di acquistare

il grano per la comunità, evitando, così, speculazioni sul prezzo

di generi così importanti. Aveva facoltà di nominare commissari,

officiali o ministri, poteva stabilire a proprio piacimento i loro

salari, era insomma il loro superiore, potendone verificare tutto

l’operato. Per quanto, infine, riguardava ciò che atteneva al

frumento non era secondo neanche al Camerlengo e al Tesoriere, i

quali dovevano obbedire alle sue direttive in merito e, in

generale, nessuno poteva permettersi di disturbare o intralciare

il suo operato.

Sisto V con la costituzione Immensa aeterni Dei creò una

congregazione cardinalizia quae ad abundantiam frumenti atque aliarum huius

generis frugum parandam atque conservandam erunt opportuna praecipiat. Le

competenze di questa congregazione finirono per interferire con

quelle del prefetto dell’Annona, ma dal momento che il pontefice

non aveva specificato i compiti che il nuovo organo doveva avere,

fu facile risolvere il problema che si era creato.

Un altro Chierico di Camera doveva aver cura delle strade e

dal 1549 assunse il titolo di viarum praesidens. Quello addetto alle

312 Cfr. G. FELICI, La Reverenda Camera Apostolica. Studi storico giuridici, cit. , p. 118.

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Ripe fu istituito a partire da Giulio II; dal 1507 fu anche scelto

un Chierico di Camera che si occupasse degli Archivi. Giulio II

infatti nella Sicut prudens paterfamilias ad laudabilem, istituì un collegio

di scrittori dell’Archivio della Curia Romana e decise

l’inserimento nel nuovo organo di dieci correttori di bozze, uno

dei quali era un Chierico di Camera. Sisto V, infine, volendo che

ogni provincia e città dello stato ecclesiastico fosse fornita di

un archivio, stabilì che ogni anno la presidenza degli archivi

dovesse essere affidata ad un Chierico di Camera diverso.313 Egli

poteva obbligare comunità, università, chiese, collegi, nobili e

persone dello Stato ecclesiastico a svolgere tutte quelle

operazioni necessarie per conservare i propri documenti e aveva la

possibilità di giudicare cause civili e criminali che

riguardassero gli archivi o ne fossero collegate, intervenendo

anche per paghe, subappalti e norme pontificie sugli archivi.

Le stesse visite alle carceri erano affidate ad un Chierico di

Camera sicuramente a partire dal pontificato di Paolo III (1534-

1549). Egli doveva pensare a incarcerare i colpevoli e a

rilasciarli, quando avessero scontato la loro pena, al loro vitto

e agli indizi trovati a loro carico.

Le Zecche e il bollo dell’oro e dell’argento erano altre

competenze che, insieme alla finanza e alla giustizia, spettavano

alla Camera Apostolica, tramite il Camerlengo prima, questi e il

Tesoriere Generale successivamente e infine con il supporto di una

riunione di tutti i componenti. La Zecca doveva occuparsi della

battitura, del saggio delle monete, della compilazione dei suoi

capitoli e della dichiarazione del valore delle monete. Nel XVI

secolo fu affidata ad un Chierico di Camera la carica di Camerae

313 Cfr. ibidem, p. 133.

200

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apostolicae clericus zecchiae praefectus, che aveva la responsabilità di

lasciare sui documenti e atti particolari visa che dovevano essere

posti subito dopo la firma del Camerlengo. Nasceva, così, la prima

Presidenza della Zecca,314 In realtà analizzando i testi si trova

sia la voce “Presidenza della Zecca” sia la voce “Presidenza delle

Zecche”. Secondo Felici si deve intendere la prima come la

sopraintendenza che essa ha sulla Zecca di Roma, che è la più

importante, mentre con la seconda si voleva creare un ufficio in

grado di riunire e coordinare le altre Zecche presenti sul

territorio.315 Il motivo per cui vi erano più luoghi deputati alla

battitura delle monete è dovuto a due fattori: il primo è che

questa attività dipendente dalla Zecca di Roma, la cui sede era in

via dei banchi presso ponte S. Angelo, era naturalmente in

collaborazione con la banca che operava nella stessa zona, così

spesso capitava che dove vi era una banca vi era anche una Zecca,

il secondo motivo è che il lavoro all’interno della struttura

deputata al conio delle monete era basato su una divisione dei

compiti per tipologia dei coni, per materia coniata e per

intensità dei processi di coniazione. Ogni ufficio, quindi,

svolgeva una diversa lavorazione ed era organizzato in modo

diverso da un altro.316

Il Presidente della Zecca doveva essere presente al momento

del conio delle monete per evitare le frodi e verificare che non

fosse alterata la lega che le componeva, aveva per questa attività

la giurisdizione su tutti gli impiegati che lavoravano nel suo

stesso settore. Doveva controllare sia le monete dello Stato della

Chiesa già in corso, sia quelle degli altri Stati che circolavano314 Cfr. ibidem, p. 141.315 Cfr, ibidem, p. 139.316 Cfr. G. DE GENNARO, L’esperienza monetaria di Roma in età moderna, Edizioni scientificheitaliane, Napoli, 1980, p. 225.

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nel territorio pontificio. Il ruolo di Presidente della Zecca

durava un anno, ma era facilmente rinnovabile.

La gestione della Zecca cambiava così come i papi si

succedevano sul trono di Pietro: essa era affidata a persone di

fiducia dei pontefici. Nel 1518, però, con la pratica

dell’appalto, la sua amministrazione passò totalmente nelle mani

dei banchieri Fugger, che operavano a Roma già dal 1495 e che fin

dal pontificato di Giulio II se ne occupavano. La nuova conduzione

la divise in due sezioni: una tecnica e una amministrativa. La

prima l’allora papa Leone X decise di darla ai suoi conterranei e

la seconda ai banchieri per ringraziarli del sostegno economico

che gli avevano offerto. Nello stesso periodo all’interno della

struttura furono inseriti ispettori, sorveglianti, notai,

stimatori, assaggiatori e pesatori. L’appalto offrì a questo

ufficio l’occasione di essere riformato e di essere reso più

efficiente.317

Un ultimo incarico, che in questi due secoli era gestito da un

Chierico di Camera consisteva nell’occuparsi della flotta

pontificia e della difesa delle coste dalle invasioni corsare.

Esso esisteva già nel XI secolo, ma dal pontificato di Leone X,

quando coloro che lo rivestivano ebbero il presbiterio prelati et alii

omnes usque ad praefectos navalem ducatum et unum iulium, non si hanno più

informazioni sulla sua esistenza all’interno dell’apparato statale

ecclesiastico.318

I Chierici di Camera erano, quindi, fondamentalmente dei

consiglieri e, in questo senso, rappresentano il settore

dell’apparato della Camera Apostolica più moderno e interessante,

317 Cfr. E. MARTINORI, Annali della zecca di Roma, MCMXVIII, Roma, vol. VII, pp.15-16.318Cfr. G. FELICI, La Reverenda Camera Apostolica. Studi storico giuridici, cit. , p. 148.

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anche se sempre ostacolato nel suo sviluppo dal potere assoluto e

crescente dei pontefici succedutisi sul trono di Pietro.

Durante il pontificato di Sisto V, poi, questa figura di

funzionario si trovò a svolgere nuovi compiti per poter portare a

termine i progetti di riforma del papa. Infatti le innovazioni

attuate da questo pontefice e culminate con la costituzione Immensa

Aeterni Dei del 22 gennaio 1588, riguardarono anche i Chierici di

Camera, i quali si trovarono catapultati nelle realtà locali del

territorio pontificio, creando non pochi sconvolgimenti. Papa

Peretti volle che cinque Chierici di Camera fossero inviati nelle

periferie del territorio pontificio per verificare l’operato dei

governatori e la situazione della loro contabilità. La loro

attività divenne, inoltre, sempre più dipendente dalle

congregazioni, a dimostrazione di quanto il potere ecclesiastico

stesse sempre più accentrandosi, inglobando anche le autonomie

delle città che erano sotto la sua giurisdizione. Essi, riunendosi

in una commissione, avevano compiti di varia natura: oltre a

visionare i conti, analizzando i preventivi, i consuntivi, le

spese straordinarie e i salari percepiti dagli ufficiali, avevano

poteri esecutivi per quanto riguardava il settore economico e,

anche se le verifiche che andavano ad effettuare non riguardavano

direttamente i funzionari locali, potevano incidere sulle loro

proposte di riforma. Avevano il potere di riformare le

amministrazioni comunali, così come accadde a Bologna, dove il

senato fu costretto a giustificare la “regalia alle porte”, a

Cesena, dove si dovette procedere alla riduzione di alcuni uffici

e a Città di Castello, dove i funzionari dovettero rinunciare agli

aumenti dei salari. Ciò rientrava in un generale progetto di

contenimento delle spese ordinarie, di raggiungimento dei pareggi

203

Page 204: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

di bilancio e di riduzione delle immunità, per affrontare quelle

derivanti dall’impegno del papato sul fronte religioso, che

risultavano sempre crescenti. Importante poi era il ruolo che i

Chierici in questione avevano assunto in quella veste di

ispettori: dovevano, infatti, riferire all’autorità papale la

condizione sia economica che della viabilità dei luoghi che

visitavano.

Il compito che Sisto V diede ai Chierici di Camera non era

nuovo per loro, dal momento che anche Giulio II aveva provveduto a

creare una organismo chiamato a supervisionare e verificare le

amministrazioni periferiche dello Stato della Chiesa.319

Inizialmente il Chierico in questione era chiamato “nostrum et

Apostolicae Sedis commissarium et visitatorem;” i legati, gli

amministratori locali, i governatori e i podestà dovevano essere a

sua disposizione. Non era il tribunale di Piena Camera che

ratificava le decisioni che la commissione prendeva quando

svolgeva il suo lavoro di “controllore itinerante,” ma una

apposita congregazione, composta dal cardinal Montalto, dal

Camerlengo cardinale Enrico Caetani, da camerali, dal Tesoriere

generale, dal decano dei Chierici e dal Commissario di Camera.

Il sistema inaugurato da Sisto V delle visite pastorali fu

confermato nelle costituzioni sul buon governo e amministrazione

delle entrate e dei beni della comunità del 1592, all’interno

delle quali era disciplinata tutta l’amministrazione delle

periferie pontificie: le spese ordinarie e straordinarie, le

locazioni, gli appalti delle gabelle e le spese per donativi e

ambascerie. Con il controllo da parte dei Chierici di Camera del

319 Cfr. C. PENUTI, Aspetti della politica economica nello Stato pontificio sul finire del Cinquecento: le visite economiche di Sisto V , in Annali dell’istituto italo germanico in Trento, vol. II, Il mulino, Bologna, 1976, pp.184-187.

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sistema delle esenzioni, le città persero la possibilità di

gestire in autonomia la ripartizione delle imposte.

Non mancarono casi in cui le realtà comunali cercarono di

frenare questa ulteriore ingerenza del potere centrale nelle loro

amministrazioni. Bologna fu una di queste; presso la città,

infatti, era stato inviato Fabio Della Cornia e il primo a

mostrare viva contrarietà all’arrivo di questo funzionario della

Santa Sede fu proprio il legato Lorenzo Campeggi, il quale temeva

che l’attività del visitatore andasse a scontrarsi con la sua e

venisse meno quel ruolo di “…persona molto più informata, atta et

proporzionata a rivedere i conti et a fare tutto quello ordinasse

Sua Beatitudine che qualunque altra persona” che egli aveva

assunto.320 Per evitare una simile ingerenza, rivendicò le

capitolazioni di Niccolò V, che confermavano l’autonomia della

quale la città godeva. Gli stessi cardinali Paleotti e Facchinetti

furono chiamati in causa contro la pratica delle visite. Oltre a

ciò la stessa città tentava di dimostrare quanto fosse

sconveniente per il commercio cittadino una rigida

regolamentazione dell’appalto delle gabelle e la creazione di una

distinzione tra esenzioni concesse dalla città e dal principe.321

Anche se non si può non considerare rilevanti le opposizioni

che queste realtà locali tentarono di manifestare nei confronti

dell’autorità papale, poiché dimostrano che il processo di

accettazione del potere pontificio è stato graduale, tuttavia il

ruolo giocato da questi magistrati pontifici permise di scoprire

le disparità esistenti tra i contributi che versavano i residenti

nelle città e coloro che vivevano nelle campagne: questi ultimi,

infatti, erano più tassati. Fu proprio Della Cornia a raccogliere320 ASB, Senato, Litterarum, 23, ff.297-298, 12 settembre 1597.321 ASB, Assunteria dei Magistrati, Affari diversi, b. 31, fase 5.

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le lamentele provenienti dai contadi di San Giovanni in Persicelo,

Sant’Agata, Budrio, Castel Bolognese e Crevalcore e ne trasse la

conclusione che un simile malgoverno derivava dall’assenza di

coloro che erano stati chiamati a svolgere i ruoli di Vicario,

Podestà e Capitano; anche a Città di Castello fu riformato il

sistema impositivo, dal momento che danneggiava eccessivamente le

zone rurali.

Per andare a colpire con maggior precisione ciò che

squilibrava il sistema fiscale delle periferie pontificie il

Chierico inviato a Bologna fece fare un questionario, composto da

quarantaquattro domande, concernenti le magistrature locali, la

situazione della città, l’operato degli esattori, le esenzioni

fiscali e gli aumenti dei salari.322 Il moderno strumento di lavoro

del Della Corna gli consentì di trovare le cause del cattivo

funzionamento della macchina amministrativa locale nelle

inadempienze dei dazieri, nei pagamenti alla Camera di Bologna e

nel mancato controllo delle spese effettuate dal legato.

Nonostante lo sforzo di papa Peretti, le visite non riuscirono

fino in fondo a far passare tutte le entrate comunali sotto la

stretta vigilanza della Camera Apostolica; infatti i tentativi di

costruire una struttura che si basasse sugli appalti e che potesse

sostituire l’ufficio di Tesoreria fallirono a Bologna. La città

dimostrò di voler mantenere in piedi un sistema contributivo che

le garantiva la possibilità di fare speculazioni e che si reggeva

sul credito di Tesoreria.

A Cesena, invece, era operativo il visitatore Alessandro

Centurioni, che si adoperava nella riforma delle amministrazioni

del contado, del sistema utilizzato per l’elezione dei procuratori322 Cfr. C. PENUTI, Aspetti della politica economica nello Stato pontificio sul finire del Cinquecento, cit. , p.195.

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dei quartieri cittadini e di quella dei revisori dei conti annuali

delle amministrazioni e delle esazioni del contado; anch’esso si

trovò ad affrontare le resistenze dei residenti.323

Non erano poche, quindi, le manovre tentate contro questi

funzionari pontifici che da una parte dovevano lavorare per

ottenere che le città dello Stato della Chiesa fossero governate

in modo più efficiente e dall’altra non riuscivano a celare il

piano che il pontefice, che le aveva volute, voleva realizzare con

la loro creazione e cioè un maggior controllo a livello centrale

delle amministrazioni locali e un ulteriore affievolimento della

loro autonomia. Un progetto che i papi della seconda metà del

Cinquecento tentarono di realizzare in tutte le realtà

amministrative che componevano il sempre più complesso apparato

statale pontificio.

Durante le riunioni dei Chierici di Camera assumeva rilevanza

l’operato dei Commissari. A parere del Garampi costoro erano anche

più importanti dei Chierici.324 Del loro ruolo in Curia ne parla

espressamente e per la prima volta la costituzione Cum inter cetaras

del 1564. Il loro compito era quello di dare ai Chierici di Camera

le carte necessarie per le discussioni durante le loro riunioni in

Piena Camera e, solitamente, ciò doveva avvenire tre giorni prima

della convocazione delle assise, per dar modo ai prelati di avere

il tempo di informarsi a dovere sugli argomenti che dovevano

essere trattati.

Se non riuscivano a svolgere il loro lavoro nei tempi dovuti,

era loro tolto un mese di salario e, nei casi più gravi,

rischiavano anche il licenziamento.325

323 Cfr, ibidem, p.192.324 Cfr. GARAMPI, Saggi di osservazione sul valore delle antiche monete pontificie, Roma, 1766.325Cfr. G. FELICI, La Reverenda Camera Apostolica. Studi storico giuridici, cit. p. 204.

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Durante il pontificato di Pio IV, le loro mansioni

aumentarono: infatti, con la costituzione Attendentes dell’8 gennaio

1568, il papa decise che senza il parere del commissario non si

doveva prendere alcuna decisione in materia di Spogli e

negoziazioni.

Sisto V infine con la costituzione Ad excelsum Universalis Ecclesiae

rese l’ufficio vacabile, affidandone la responsabilità della

gestione ad un prelato non sposato, con una moralità

irreprensibile e laureato in utroque iure. Confermò i compiti che gli

erano stati affidati da Pio IV e Pio V, gli diede in consegna la

cura degli archivi delle scritture della Camera Apostolica e gli

offrì la possibilità di decidere a proposito dei mutui concessi

dal prefetto dell’Annona e dal tesoriere.

Riguardo alla Camera Apostolica De Luca afferma che anche se

l’organo era strutturato in modo tale da godere del supporto di

diversi funzionari, alla fine l’ultima parola spettava comunque al

pontefice e il loro parere serviva esclusivamente come sostegno

alla decisione e al voto finale del solo cardinale Camerlengo, che

era l’unico ad avere il privilegio di confrontarsi con il papa.326

 Roma e la Camera Urbis tra dipendenza e autonomia

Un capitolo a parte è costituito dalle entrate provenienti

dalla città di Roma. A fasi alterne, infatti, alla città più

importante dello Stato della Chiesa fu concessa o estorta parte

della sua autonomia secondo le necessità e gli interessi dei

periodi presi in esame. Negli anni che videro la costruzione

dell’apparato statale, la maggior parte delle entrate di Roma326 CARD. DE LUCA; Rel. Rom. Curia, 33 disc.

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furono consegnate alla Camera Apostolica. In particolare gli

introiti provenienti dalle dogane delle mercanzie, di Ripa e delle

Grasce erano gestite direttamente dal potere centrale.327

Tra le fonti di entrate più importanti per la città di Roma

c’erano le dogane di Ripa e Ripetta. Uno studio approfondito sulle

merci che vi giungevano, su chi vi lavorava e sui mezzi utilizzati

per il loro trasporto lo ha svolto per l’anno 1428 Maria Luisa

Lombardo, facendo ricerca nell’Archivio di Stato di Roma.328

Attraverso la sua ricostruzione si è potuto percepire quale doveva

essere il livello di commercio che gravitava intorno al territorio

di Roma, come la città era collegata al mare attraverso le vie

fluviali e come si rapportava con le altre capitali straniere.

Essa, infatti, era strettamente legata alla zona intorno a Napoli:

Gaeta, Pozzuoli, Ischia, Maggiore e Sorrento ed era ben collegata

al resto dei centri che si affacciano sul Mediterraneo.

La dogana di Ripa e Ripetta vide aumentare le proprie

competenze a partire dal XII secolo. Con questa i romani cercavano

di agevolare quanto più possibile il commercio in città; la

responsabilità della sua gestione era inizialmente della Camera

Urbis, ma già a partire dal XV secolo il suo ricavato entrava nelle

casse della Camera Apostolica. Ciò è stato possibile verificarlo

analizzando gli stipendi che ricevevano i funzionari:

osservandoli, infatti, si è potuto vedere che fino al XIV secolo

erano simili a quelli degli altri impiegati del comune, mentre a

partire dal XV secolo le nomine venivano effettuate per mezzo

delle bolle pontificie.

327 M. MONACO, La situazione della Reverenda Camera Apostolica, cit., p. 39.328 Cfr. M. L. LOMBARDO, La Camera Urbis, dogana Ripe et Ripecte liber introitus 1428,Istituto diStudi Romani, Roma, 1978.

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Nel XIV secolo la gestione di questi porti era data in

appalto. Ciò permetteva ai mercanti locali di avere un potere

assoluto sulle merci in entrata e in uscita da Roma, senza

l’intermediazione dell’amministrazione comunale. Nel 1416 si

stabilì di porre a capo della dogana un Camerarius, che doveva

badare all’amministrazione e al controllo, svolgere il ruolo di

giudice per le cause che riguardavano i porti, cercando di

risolverle nel più breve tempo possibile, tenere aggiornati i

registri e riscuotere le imposte.

Successivamente nel 1463 sorse la figura del doganiere, che

assicurava al pontefice maggiori entrate. Egli doveva soltanto

occuparsi della giurisdizione e del controllo.

A queste figure si unì nel 1445 quella del Castellano di Ostia

che, stipendiato dalla Camera Apostolica, era stato incaricato del

controllo sui carichi329

Ogni merce che entrava nei porti di Ripa e Ripetta fruttava

allo Stato una percentuale compresa tra il 4 e il 6,5%. Tale

valore era indicato nei registri camerali con la voce “pro iure

dohane”. Capitava, tuttavia, che non venissero registrate tutte le

merci che entravano a Ripa e Ripetta, ciò consentiva ai romani di

trattenere una parte dei gettiti destinati alla Camera Apostolica.

Fu soprattutto con le entrate che giunsero da queste dogane che

Martino V ebbe i primi fondi necessari per risanare lo Stato della

Chiesa.

La dogana della Grascia, situata tra via della Scrofa e la

nuova via Ripetta, riceveva le imbarcazioni che contenevano merci

provenienti dai paesi a nord del Tevere e nel Cinquecento

329 Cfr. F. GUIDI BRUSCOLI, Benvenuto Olivieri: i mercatores fiorentini e la Camera Apostolica nella Roma di Paolo III Farnese, cit. , p. 141.

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comprendeva la dogana di Ripetta, che si era distinta da quella di

Ripa, e quelle minori di Pescaria, Borgo e Camigliano.

Quella di S. Eustacchio, detta anche delle merci, registrava

tutti i prodotti, ad eccezione del vino, dei cereali che venivano

trasportati via terra secondo uno statuto del 1398 e dei prodotti

in franchigia, quelli sui quali non vi era imposizione dal momento

che erano destinate alle dispense dei palazzi pontifici.

I papi sostenevano un tipo di regime economico piuttosto

protezionistico, dovuto alla continua paura di carestie; così la

merce che era destinata all’esportazione veniva colpita

pesantemente, si arrivava a pagare il doppio e talvolta il decuplo

di quello che si dava per quella che entrava in città. I dazi

aumentavano qualora si trattava di cereali e capitava che ne

venisse vietato il trasporto anche da un castello ad un altro

dello stesso territorio. Per il grano si doveva spendere una cifra

talmente alta che i coltivatori non erano incoraggiati ad

incrementare questo tipo di produzione, dal momento che erano

costretti a vendere la merce a basso costo nella zona di

provenienza. L’unico permesso di esportare un prodotto giudicato

così prezioso era la tratta. Con essa ci si assicurava prima della

uscita del frumento dal territorio che fosse garantito il consumo

interno, che ci fosse quantità sufficiente per la semina e che

fosse stato accantonato il grano necessario per il fabbisogno dei

cittadini romani.330

Nel Patrimonio di San Pietro era il doganiere del sale e delle

tratte a svolgere questo ruolo di vigilanza sulla merce in entrata

e in uscita con l’obbligo di assicurare a Roma le scorte

necessarie a prevenire carestie, la cosiddetta “Abbondanza di330 Cfr. L. NINA,Le finanze pontificie nel Medioevo, Fratelli Treves, Milano, 1929-1932, vol. III, pp.302-307.

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Roma”. Egli riceveva i permessi per le tratte e le esportazioni

tramite lettera o breve del Tesoriere o del Camerlengo e percepiva

per il suo lavoro dalla Camera Apostolica 36 bolognini ogni moggio

di grano che poteva essere esportato. La merce che aveva il

permesso di uscire dallo Stato della Chiesa doveva essere munita

di bollette, chiamate apodixe. Tramite queste si dimostrava sia che

l’imposta sulla merce era stata pagata, sia che sui prodotti vi

era il privilegio di esenzione. Oltre al frumento anche il

bestiame veniva trattato nella stessa maniera e frequenti erano le

sue esportazioni. A Roma si pagavano otto denari le merci giunte

da fuori e quattro quelle che venivano dall’interno, mentre

portare fuori merci come masseritiae, arnesia et suppelletilia vel ornamenta et

instrumenta ad usum deputata costava un denaro. In generale ogni città

era libera di gestire la sua “dogana” secondo le proprie

convenienze e necessità.331

L’economia dell’Urbe è sempre stata legata strettamente al

ruolo di capitale dello Stato del pontefice ed ha, quindi, potuto

godere dei vantaggi di una attività commerciale sempre viva. La

presenza di banchieri, mercanti ed operatori mercantili e

finanziari, poi, che volevano fare affari con il Santo Padre la

sviluppò ulteriormente.332

All’interno della città più importante dello Stato della

Chiesa vi era un Camerlengo capitolino, Camerarius Urbis. Il suo

compito era quello di verificare la registrazione di tutte le

entrate e le uscite della città, avendo cura di presentare ogni

due mesi una relazione e il bilancio relativo al periodo di

331 Cfr. ibidem, pp.315-316.332 Cfr. L. PALERMO, L’economia, in Roma nel Rinascimento. Storia di Roma dall’antichità ad oggi, acura di A. PINELLI, Laterza, Bari, 2001, p.77.

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Page 213: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

riferimento, oltre a controllare che i residui delle entrate

venissero realmente versate nelle casse dello Stato.

Non si sa quando questa figura dell’amministrazione cittadina

fosse stata inserita tra gli organi statali pontifici; un primo

documento che la menziona è una lettera di Martino V ai Romani,

citata dal Malatesta. In essa si dice: “ Dabimus…et Camerarius ad

certum solarium ordinarium…qui redditus et proventus urbis

recipiat”.333 A parere dello storico l’origine dell’istituzione del

ruolo di Camerarius Urbis doveva risalire al 1285, ma la Lombardi

ritiene che doveva essere precedente a tale data.334 Esso era

aiutato da tre Conservatori, che avevano il compito di vegliare,

anche con possibilità di sanzionare, l’operato del personale

addetto alla Camera Urbis. Potevano, nello specifico, sostituire

il Senatore e si occupavano di garantire i servizi urbani.

Oltre al Camerlengo l’intera struttura amministrativa della

Camera Urbis comprendeva: il Notarius conservatorum Camerae Urbis, lo

scriptor Conservatorum Camerae Urbis, il Cancellarius Urbis, gli Extraordinarii Urbis,

il Notarius et Arbitri pacis, i Magistri Edificiorum, quattro Cives in officio

Balistariorum e i Comestabiles, il numero dei quali variava da 50 a 130.

Mentre il settore che riguardava le questioni finanziarie e di

controllo aveva il supporto dei seguenti funzionari: i Conservatores

Camerae Urbis, il Thesaurarius pecuniarum Camerae Urbis pro domino nostro Papa et

romana Ecclesia, il Depositarius Generalis, il Gabellarius maior, il Notarius

gabellarii maioris, il Registrator gabellarium, gli Scriptores gabellarium, il

camerarius Ripe et Ripette, il Dohanerius salarie maioris, il Notarius dohanerii salis

grossi, il Notarius ad recipiendum numerum salis in salaria maiori, gli antepositi et

suprastantes salis novi, l’Appretiatos salis, il Dohanerius salis ad minutum, il

333 Cfr. MALATESTA, Statuti delle gabelle.334 Cfr. M. L. LOMBARDO, La Camera Urbis. Premesse per uno studio sull’organizzazione amministrativa della città di Roma, Il centro di ricerche editore, Roma, 1970, p. 50.

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Page 214: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

dohanerius pecudum, i suprastantes pecudum, i sindici senatoris, i sindici officialium

etc…335

L’avvocato e il procuratore fiscale o camerale, advocatus et

procurator camerae, invece, erano scelti dai conservatori, essi erano

competenti per tutte quelle cause riguardanti il fisco,

verificavano l’operato del Senatore e dei Conservatori, avevano la

facoltà di informare i sindaci, qualora avessero trovato delle

irregolarità, controllavano il loro lavoro, avevano il compito di

difendere la Camera nelle cause e potevano portare in tribunale

ogni magistrato, indipendentemente dal suo rango. Il loro

stipendio era di 15 fiorini al mese per l’avvocato e 7 e mezzo per

il Procuratore ed era gestito dal Camerlengo. Potevano essere

rieletti, ma tra un mandato e un altro doveva essere trascorso

almeno un anno, due se nel frattempo avevano ricoperto qualche

altra carica.336

Il giudice di Camera, Judex praesidens Camerae, si occupava del

rapporto tra Camera capitolina e contribuenti, in particolare era

competente per le imposte riguardanti le saline, il focatico e i

tributi delle città soggette, si occupava delle sentenze che

avevano come oggetto materie fiscali, vegliava sulla conservazione

delle entrate, aveva il compito di curare le procedure necessarie

per i casi di confisca, e aveva la responsabilità delle imposte

ordinarie. E’ facile pensare che per questo ruolo non era molto

amato dalla popolazione. Il tribunale al quale apparteneva

giudicava sia cause civili che criminali e godeva del supporto

dell’avvocato e del procuratore fiscale.337

335 Ibidem, pp. 38 e 39.336 Cfr.J. SPIZZICHINO, Magistrature dello Stato pontificio, Lanciano, Giuseppe Barabba Editore, 1930, p. 169.337 Cfr. N. DEL RE, La Curia Capitolina e altri antichi organi giudiziari romani, Collana della fondazione Marco Besso, Roma 1993.

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Page 215: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

Il notaio della Camera capitolina era incaricato di aggiornare

i due registri che contenevano dati riguardanti entrate sia

ordinarie che straordinarie sulla proprietà del bestiame, le

multe, le ammende, la cassa camerale e a la dogana minuta;

partecipava al Consiglio Generale e con l’aiuto dello scriba

senatus ne stendeva il verbale, verificava periodicamente in

collaborazione con il Notaio dei Conservatori il registro di quei

cittadini che, per qualunque motivo, non potevano più essere

eletti alle cariche municipali; per un simile lavoro la modalità

di pagamento era fissata da una tariffa, che dipendeva dalla

distanza del posto nel quale si trovavano le parti e

dall’importanza del titolo.338 Un Sindacato verificava il suo

operato. Lo stesso Notaio di Camera poteva essere citato in

giudizio per frode se portava in casa propria i registri

contabili.

La Camera riceveva le entrate provenienti dall’appalto delle

gabelle, della Cancelleria del Campidoglio e della Porta di San

Paolo, dalla dogana minuta, dalla dogana del terzo vino, dalla

dogana di Ripa e Ripetta, dal monopolio del sale e dall’imposta

del Sale e del Focatico.

Quattro, poi, erano le casse che ricevevano il denaro

proveniente dalla città: la cassa del Camerarius generalis gabellarum, la

cassa del Camerarius Ripe et Ripecte, la cassa degli Exactores salis et focatici e

la cassa del Dohanerius salis.

Le spese consistevano principalmente nel dare lo stipendio a

tutti i dipendenti dello Stato. La maggior parte delle entrate

erano versate alla Camera Apostolica, mentre la parte rimanente

338Cfr.J. SPIZZICHINO, Magistrature dello Stato pontificio, cit. , p. 170.

215

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finiva nelle mani del Thesaurarius pecuniarum Alme Urbis pro domino Papa et

romana Ecclesia.

I Conservatori, che assumevano gli incarichi del Senatore,

quando quest’ultimo era assente, e che solo grazie a ciò

ricevevano uno stipendio, avevano il compito di gestire i

contratti, mentre per le aste pubbliche erano aiutati dal

Gabelliere Maggiore, tranne quando i prezzi erano già stati

stabiliti dalla Camera Apostolica: in quel caso erano solo i

Conservatori ad occuparsi degli affari della R. C. A. Affari che

riguardavano solitamente: baractarie camigliani, carnium, lignaminis, musti,

pannorum, plani, sigilli, sirici, vini per terram, vini ad grossum.339

All’interno del sistema finanziario di Roma, poi, gli stessi

Conservatori avevano sempre incarichi di poco valore; essi

prevalentemente dovevano raccogliere tutti i proventi della città

di Roma e versarli al Tesoriere, il quale li avrebbe a sua volta

depositati nelle casse della Camera Apostolica. Diventare

Conservatore voleva dire assumere uno status più elevato, avere

una carica onorifica, ma comunque sempre all’interno delle

mansioni comunali, che nell’ottica accentratrice dei papi di

questo periodo, tendente a dare un prestigio sempre maggiore alle

cariche di sostegno al potere centrale, valeva ben poco.

L’ultimo tassello per completare la struttura della Camera

Urbis è costituito dal Depositario, che però, non era un

funzionario di Stato, ma un banchiere privato, che riceveva somme

di denaro provenienti dalle casse della città solo a titolo

conservativo.

Successivamente, nel XVI secolo la Camera Urbis perse gran

parte del potere che aveva precedentemente. Chi lavorava per essa339 Cfr. M. L. LOMBARDO, La Camera Urbis. Premesse per uno studio sull’organizzazione amministrativa della città di Roma, cit. , p. 54.

216

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era direttamente sottoposto alla Camera Apostolica, oltre a

consegnarle tutte le entrate che riceveva in eccesso. Questo era

un fenomeno che non riguardava solo Roma ma tutti i territori

appartenenti al papa. Tuttavia la condizione che si era presentata

non fu un peso per coloro che operavano nella struttura comunale,

i quali si sentivano integrati in un sistema che tendeva ad

accentrare il potere, un fenomeno costante nell’epoca

rinascimentale. La maggior parte delle entrate romane erano

sostenute da quei cittadini che si potevano permettere di

anticipare le entrate delle gabelle e finanziare gli interventi

necessari per la viabilità e la difesa. Si trattava principalmente

di banchieri come i fiorentini Medici, i Doni, gli Zanchini, i

Guicciardini, gli Altoviti, i Capponi, i senesi Chigi, i Comaschi,

gli Oliati e i genovesi Grimaldi, Sauli, i Pallavicino, i Pinelli

e i Giustiniani.

Del resto erano soprattutto le città maggiori che potevano,

per la loro struttura, avere la possibilità di far pagare

regolarmente le tasse ai loro cittadini ed era proprio da questi

centri, specialmente da Roma, che giungeva il gettito più grande

per rinforzare le casse statali.

La situazione economica al centro dello Stato retto dal papa

nel Cinquecento era piuttosto critica: i prezzi aumentarono a

seguito della crisi dell’argento e, in aggiunta, i salari non

seguivano ²l’andamento dei prezzi, creando nel complesso una

condizione di maggiore povertà, acuita da periodici cicli di

carestie. Per cercare di migliorare il quadro economico statale, i

pontefici dimezzarono il tasso medio di interesse, che raggiunse

il 5% dal 10% iniziale e aumentarono le riserve aurifere

depositate e conservate a Castel Sant’Angelo; anche per questo la

217

Page 218: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

presenza dei banchieri a Roma crebbe, supportando, in parte, le

finanze statali.

Castel Sant’Angelo è sempre stato luogo di conquista, di

assedi, di rifugio per papi. Fu perso e conquistato, servì da

fortezza, da caserma e da carcere. Durante i pontificati di

Alessandro VI e di Paolo III fu ulteriormente fortificato; ciò lo

rese il punto più sicuro per custodire i beni preziosi dello Stato

retto dai papi. In esso erano conservati mitrie e triregni che si

usavano per le celebrazioni di Natale, Pasqua e per la festa di

San Pietro e Paolo. Questi ori erano poi conservati in un cassone

di bronzo e venivano registrati attraverso un atto notarile. Solo

il Maggiordomo, il Tesoriere Generale e il Prefetto di Castel

Sant’Angelo avevano le chiavi dei forzieri, mentre la cura dei

beni in essi custoditi spettava al gioielliere pontificio. Nello

stesso luogo vi erano anche delle carte ultramillenarie dello

Stato non inferiori per valore ai gioielli di proprietà del

pontefice e che meritavano di essere conservate in un simile

luogo.340

Sisto V il 21 aprile 1586 decise, con la bolla Ad Clavum

apostolicae servitutis, che, per sostenere lo Stato, c’era bisogno di

conservare in detto luogo un milione di scudi d’oro; esso fu

chiamata Aerarium sanctius, Erario sanziore. Così andò a sommarsi a

quella parte di denaro che già esisteva e che ora prese il nome di

Erario vecchio. Successivamente, il 6 novembre 1587 tramite la

costituzione Anno superiore decies centina millia nummum aerorum in Pontificia

Sancti Angeli Arce…, aggiunse alla somma già depositata un altro milione

di scudi d’oro. Infine una terza bolla del 17 agosto 1588 Etsi Nos per

multis superiorum temporum experimentis edocti aumentò il valore dell’Erario340 Cfr.F. S. TUCCIMEI, Il tesoro dei pontefici in Castel Sant’Angelo, Industria tipografica romana, Roma, 1937, pp. 5-6.

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Page 219: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

di un altro milione di scudi. Per rendere quanto più difficoltoso

possibile impegnare queste somme di denaro le circondò di vincoli,

rendendole inviolabili e intangibili; anche qualora si fosse reso

necessario utilizzare il denaro dell’Erario, esso doveva essere

speso cinquecento scudi alla volta, dilazionando il prelievo nel

tempo.341

I casi per i quali queste somme potevano essere usate erano i

seguenti: la riconquista della Terra Santa e la vittoria sui

turchi, l’armamento necessario per sconfiggerli, carestie,

pestilenze, occupazione di qualche provincia cristiana da parte

dei mussulmani, guerra contro lo Stato della Chiesa e recupero di

qualche città dello Stato che si era ribellata al potere del papa.

Sisto V dedicò i beni che aveva accumulato a Cristo, alla beata

Vergine Maria e ai santi apostoli Pietro e Paolo: fece giurare ai

suoi collaboratori e giurò egli stesso che non avrebbe toccato il

denaro conservato in quel modo a Castel Sant’Angelo e decretò che

non lo avrebbero toccato neanche i suoi successori, dal momento

che tali beni dovevano considerarsi pubblici, che si trattava di

disposizioni prese da un predecessore e che il denaro era stato

dedicato a Dio. Per poter usufruire di quella liquidità c’era il

bisogno del consenso dei due terzi dei cardinali del Concistoro

segreto e nel 1587 si stabilì che il consenso doveva essere dei

tre quarti. Per aprire i forzieri si dovevano chiamare sei

schiavi. Le chiavi di tre casse erano custodite dai cardinali capi

d’ordine; una quarta dal Cardinale Camerlengo; la quinta dal

decano dei Chierici di Camera, il quale aveva l’obbligo, qualora

avesse deciso di affidarla a qualcun altro, di farlo alla presenza

e con il consenso di altri due Chierici e una sesta dal Tesoriere

341 Cfr. ibidem, p.10.

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generale. Le due chiavi delle porte dell’Erario le aveva in

custodia una il Cardinale decano del S. Collegio e, in mancanza di

questi, il cardinale più anziano presente a Roma e l’altra il

Tesoriere segreto. Nessuno dei funzionari citati poteva dare ad

altri le chiavi che erano state consegnate loro. Lo stesso

Prefetto aveva il dovere di non far toccare a nessuno il tesoro,

pena la scomunica. Coloro che fossero stati scoperti a utilizzare

illecitamente il denaro dell’Erario avrebbero dovuto con i propri

beni, attuali e futuri, restituire il valore del prelievo che

avevano fatto.342

Nello stesso posto vi era anche conservato del contante, che

non era soggetto agli stessi vincoli di quello appena trattato e

che era a disposizione per le spese di chiese, basiliche,

acquedotti e per combattere la delinquenza.343

Due erano dunque i tipi di fondi conservati a Castel

Sant’Angelo: uno più facilmente spendibile, al quale fu aggiunta

con la bolla del 14 marzo 1588 …Abundantes Divinae Gratiae divitias…, la

somma di duecento mila scudi per la conservazione dell’abbondanza

frumentaria, l’altro conservato per far fronte alle spese per la

difesa dello Stato e della Cristianità.344

Il governo romano era stato reso fragile, a parere di L.

Palermo345, perché l’attività finanziaria non era sostenuta da una

fiorente produttività, questo andava a ripercuotersi

inevitabilmente anche sulla più importante città dello Stato della

Chiesa, Roma. Questa tesi è stata sostenuta anche da Guidi

Bruscoli346 quando, analizzando le merci delle dogane cittadine, ha

potuto osservare che queste ultime erano tutti prodotti finiti e342 Cfr. ibidem, p.15.343 Cfr. ibidem, p.13.344 Cfr. ibidem, p.19.345 Cfr. L. PALERMO, L’economia, in Roma nel Rinascimento, cit. , p. 91.

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che non c’era nessun semilavorato. Infatti, nell’intero territorio

pontificio l’agricoltura, che rappresentava il settore più

sviluppato, non versava in buone condizioni, non si pensò mai

seriamente ad una riforma fondiaria e anche le bonifiche, che

furono fatte sotto i pontificati di Leone X, Gregorio XIII,

Clemente VIII e Sisto V, non seguirono un progetto organico e

strutturato per sviluppare il territorio e renderlo maggiormente

produttivo.

In una simile situazione era evidente che perfino gli

investimenti privati non fossero interessati a supportare il

settore agricolo: i grandi proprietari terrieri non avevano alcun

interesse a spendere il proprio denaro e i piccoli e medi

proprietari erano talmente tassati da non poter incrementare la

propria attività con attrezzature come case, stalle, servizi e

irrigazioni.

Ancora peggiore era, poi, la situazione dei semilavorati e

della manifattura: la stessa lavorazione della lana, che nella

capitale durante il Medioevo poteva considerarsi un’ attività

redditizia, nel XVI secolo attraversò un periodo difficile. Così

come risultò complicato introdurre la manifattura serica.

La città di Roma e l’intero Stato si trovò a vivere una crisi

che i papi o non erano in grado di risolvere o si rifiutavano di

affrontare: un milione e mezzo di abitanti doveva essere in grado

di sostenere tutte le pretese espansionistiche dei governi

pontifici e gli stessi capi di stato non fecero altro che

occuparsi dell’aspetto finanziario, trascurando quello economico,

346Cfr. F. GUIDI BRUSCOLI, Benvenuto Olivieri: i mercatores fiorentini e la Camera Apostolica, cit., p. 143.

221

Page 222: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

che non produsse altro che un aumento insostenibile delle imposte

che gravavano sulla popolazione.347

Nello stesso tempo vi fu anche una svalutazione della moneta,

che fece sì che i salari non fossero più adeguati ai prezzi dei

prodotti in vendita.

In questa fase della Storia della Chiesa i papi Gregorio XIII,

Sisto V e Paolo V attuarono una politica tendente sempre più ad

accentrare il potere nelle loro mani: i luoghi principali della

democrazia cittadina persero il loro potere e vennero sostituiti

da altre assise che si regolavano in base al rango e al ceto

sociale. Gli ordini corporativi e professionali perirono di fronte

alla crescente aristocratizzazione delle strutture cittadine, che

garantivano alla nobiltà il mantenimento dei privilegi, il

riconoscimento di status e dell’affievolimento del mito della

Romanitas.348

In tutto questo la Camera Apostolica, rispetto alla

Segreteria di Stato e al sistema che ruotava intorno ai legati sia

a livello locale che a livello centrale ha potuto sfruttare un

apparato molto più sviluppato; ciò fa pensare che probabilmente o

il Camerlengo aveva maggiore autonomia e libertà o la materia che

trattava richiedeva un maggior numero di uffici per gestirla.

Quest’ultima ipotesi è la più probabile, dal momento che nei due

secoli analizzati si è teso sempre più ad un accentramento del

potere da parte dei papi e che questa tendenza non è stata solo

quella dello Stato della Chiesa ma, in generale, di tutte le

formazioni politiche esistenti in Europa. Senza contare il fatto

che anche all’interno delle strutture Camerali si è potuto

347 Cfr. G. L. BASINI, Finanza pubblica ed aspetti economici negli Stati italiani del Cinque e del Seicento, Studium parmense, Parma, 1969, p. 114.348Cfr. L. PALERMO, L’economia, in Roma nel Rinascimento, cit. , p. 120.

222

Page 223: La Camera Apostolica fulcro dell'Amministrazione dello Stato della Chiesa tra Quattro e Cinquecento

osservare una forte e crescente ingerenza del potere dei

pontefici, che ha lasciato davvero poco spazio alle iniziative del

singolo funzionario.

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