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1 Ivan Z. Sørensen KAREN BLIXEN E TIZIANO Dal Karen Blixen og billedet / Karen Blixen e l’immagine Ved/ a cura di Ivan Z. Sørensen og Gunver Skytte Polistampa 2005, pp. 109-117 I. ALLUSIONI ED EKFRASI Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges rovescia tante cose in maniera così splendida. Come quando dice che gli scrittori creano i loro stessi predecessori per esempio sente la voce di Kafka nelle opere di Kierkegaard. Nello stesso modo io trovo lo sguardo di Heloïse nella Venere di Tiziano. Quella che fa mostra di sé agli Uffizi a Firenze. (Fig. 1). Il suo sguardo grande, profondo, dolce. Heloïse è la protagonista femminile del ‘racconto d’inverno’ di Karen Blixen “Heloïse”. Come è noto, Karen Blixen scriveva i suoi racconti in inglese, e poi li ‘riscriveva’ in danese. Allo stesso tempo, talvolta, modificava un po’ il testo, accentuava un motivo, un tema o un’allusione a un determinato testo, come è appunto il caso con la variazione del titolo dall’inglese (e quindi italiano) “The Heroine / L’eroina” al danese “Heloïse”. In poche parole, in tal modo dagli avvenimenti in primo piano il fulcro viene spostato al centro della ‘scena’, ovvero all’intimo della donna. Contem- poraneamente cambia il link intertestuale che è al centro del testo: dal racconto di Maupassant “Boule de suif” alla corrispondenza della coppia storica Eloisa e Abelardo – e alla Venere di Ovidio, Tiziano e Shakespeare. Le immagini interiori di Frederick “Heloïse” sarebbe una pessima storia, se solo non fosse possibile leggerla come la troviamo nei Racconti d’inverno. E naturalmente è possibile farlo e bisogna farlo. Ma Heloïse – sia come donna sia come racconto – prende più corpo se il lettore segue i pensieri del protagonista maschile, Frederick, quando vede Heloïse per la prima volta: “ella aveva tutte le grazie delle dee di Tiziano e del Veronese. I suoi lunghi e morbidi riccioli avevano la stessa pallida sfumatura dorata delle loro chiome; [...] le sue carni possedevano la 1. Tiziano: Venere di Urbino, 1538, Uffizi, Firenze
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Karen Blixen e Tiziano

May 12, 2023

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Ivan Z. Sørensen KAREN BLIXEN E TIZIANO Dal Karen Blixen og billedet / Karen Blixen e l’immagine Ved/ a cura di Ivan Z. Sørensen og Gunver Skytte Polistampa 2005, pp. 109-117 I. ALLUSIONI ED EKFRASI Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges rovescia tante cose in maniera così splendida. Come quando dice che gli scrittori creano i loro stessi predecessori – per esempio sente la voce di Kafka nelle opere di Kierkegaard. Nello stesso modo io trovo lo sguardo di Heloïse nella Venere di Tiziano. Quella che fa mostra di sé agli Uffizi a Firenze. (Fig. 1). Il suo sguardo grande, profondo, dolce. Heloïse è la protagonista femminile del ‘racconto d’inverno’ di Karen Blixen “Heloïse”. Come è noto, Karen Blixen scriveva i suoi racconti in inglese, e poi li ‘riscriveva’ in danese. Allo stesso tempo, talvolta, modificava un po’ il testo, accentuava un motivo, un tema o un’allusione a un determinato testo, come è appunto il caso con la variazione del titolo dall’inglese (e quindi italiano) “The Heroine / L’eroina” al danese “Heloïse”. In poche parole, in tal modo dagli avvenimenti in primo piano il fulcro viene spostato al centro della ‘scena’, ovvero all’intimo della donna. Contem-poraneamente cambia il link intertestuale che è al centro del testo: dal racconto di Maupassant “Boule de suif” alla corrispondenza della coppia storica Eloisa e Abelardo – e alla Venere di Ovidio, Tiziano e Shakespeare. Le immagini interiori di Frederick “Heloïse” sarebbe una pessima storia, se solo non fosse possibile leggerla come la troviamo nei Racconti d’inverno. E naturalmente è possibile farlo e bisogna farlo. Ma Heloïse – sia come donna sia come racconto – prende più corpo se il lettore segue i pensieri del protagonista maschile, Frederick, quando vede Heloïse per la prima volta: “ella aveva tutte le grazie delle dee di Tiziano e del Veronese. I suoi lunghi e morbidi riccioli avevano la stessa pallida sfumatura dorata delle loro chiome; [...] le sue carni possedevano la

1. Tiziano: Venere di Urbino, 1538, Uffizi, Firenze

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stessa misteriosa freschezza e luminosità delle loro carni. […] Egli sapeva però […] dove aveva trascorso tutti gli anni precedenti: […] fra le luminose colonne di marmo, sotto le fronde profumate, davanti all’abbagliante mare azzurro e alle nuvole argentee e rosee che aveva ammirato nei dipinti. Forse aveva un fanciullo negro al suo servizio. Talvolta Frederick sbrigliava l’immaginazione, e allora la vedeva negli atteggiamenti abbandonati delle dee – ma sì, vestita come Venere.” (Racconti d’inverno, p. 83). Un’ekfrasi come questa è una frattura nello svolgimento del racconto, una sosta del tempo − con lo scopo di descrivere lo spazio, o piuttosto di indugiare nello spazio, nell’attimo, in un tableau. Così come può fare la pittura − senza pensare al prima e al dopo. Invece il racconto, la lingua, mette in moto il tempo e impone riflessione, consapevolezza, interpretazione − e inoltre la coscienza dello scorrere del tempo, della cad ucità. L’ekfrasi è un espediente retorico basato sul famoso detto di Orazio: Ut pictura poesis! − Il dipinto in questione è Diana e Atteone (Fig. 2) di Tiziano, che congela l’attimo in cui Atteone involontariamente vede la dea della caccia Diana mentre fa il bagno nuda insieme alle sue ninfe. Nell’angolo in basso a destra nel quadro c’è il piccolo schiavo negro che tenta invano di proteggere Diana dagli sguardi dell’uomo. La vittima sostituita – Gesù Frederick è il protagonista maschile, ed è il focalizzatore del racconto, nel senso che vediamo Heloïse e gli avvenimenti, così come i dipinti, attraverso i suoi occhi. Ma come vedremo, all’insaputa del focalizzatore il narratore inserisce altri dipinti, che il lettore deve prendere in considerazione. Frederick è un giovane inglese che studia filosofia delle religioni, in particolar modo la dottrina dell’espiazione − secondo la quale Cristo con la sua morte ha preso su di sé i peccati degli uomini. Frederick ha ottenuto una borsa di studio per Berlino, così lo troviamo lì nell’anno 1870, mentre ammira all’“Altes Museum” i dipinti con le scene sacre. Uno di essi è citato, e si tratta del Cristo sul Monte degli Ulivi del Venusti (Fig. 3), “di

2. Tiziano: Diana e Atteone, 1559, National Gallery of Scotland, Edinburgh

3. Marcello Venusti (1512-79): Cristo sul Monte degli Ulivi , 1559, Galleria Doria Pamphilj, Roma

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cui gli aveva parlato un amico.” (ibid., p. 79). Un quadro nello stile mascolino di Michelangelo. Nella realtà il quadro esiste in due versioni, una a Palazzo Barberini e una alla Galleria Doria Pamphili i Rom. Invece nel racconto è conservato all’“Altes Museum” di Berlino, dove Frederick cammina felice fra i dipinti e a poco a poco scopre le “figure mitologiche e allegoriche” dei grandi maestri. (ibid., p. 80). Ma l’anno 1870 è anche un fatale anno di guerra. I tedeschi stanno per attaccare la Francia. Frederick prova a fuggire, ma viene catturato nella cittadina di frontiera Saarburg insieme ad altri fuggitivi, fra i quali la bellissima ventitrenne francese Heloïse. I fuggitivi vengono arrestati e accusati di spionaggio. La prima scena lunga e densa di significati del racconto è qualle in cui un giovane ufficiale tedesco interroga Heloïse. La scena si sviluppa in una battaglia fra le due forti personalità, “una faida antica” fra i due sessi. Alla fine l’ufficiale fa una proposta: Heloïse può andare a ritirare i loro salvacondotti, ma dev’essere “vestita come la dea Venere.” (ibid. p. 86 e 87). Indubbiamente il soldato tedesco vede se stesso nel ruolo del dio della guerra Marte alle prese con Venere, nella situazione dipinta dal Veronese. (Fig. 4). E arrossendo, l’ufficiale aggiunge anche che si tratta di “una proposta molto generosa”. I personaggi della Blixen arrossiscono spesso, men mai di vergogna. Il rossore è piuttosto espressione delle forze della loro natura del loro istinto, del loro desiderio. E in Karen Blixen è un buon segn o. Heloïse non respinge direttamente la “proposta molto generosa” dell’uffi-ciale tedesco. Se viene detta ‘eroina’ è perché lascia ai suoi compagni di viaggio il compito di decidere se comprare i loro salvacondotti a quel prezzo ‘indecente’. Con questa azione coraggiosa li costringe a prendersi una responsabilità, a riflettere se possono accettare che un’altra persona si sacrifichi al loro posto – come fece Cristo! Qui c’è uno dei temi centrali del racconto, e dell’opera della Blixen: la vittima sostituita. Il paradosso è che per Heloïse non sarebbe stato sicuramente un sacrificio terribile presentarsi come desiderava l’ufficiale; non perché poi si scopre che in realtà è una ballerina di spogliarello – ma perché il tedesco ha destato il suo desiderio! Nel gruppo tutti – tranne Frederick − esprimono la loro amarezza, la loro dignità e il disprezzo per la morte rifiutando la proposta del tedesco, che dal canto suo invece di giustiziarli dimostra il suo rispetto mandando un grosso mazzo di rose − all’eroina.

4. Veronese: Marte che spoglia Venere, 1580, National Gallery of

Scotland, Edinburgh

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Quando accadde il nulla – Danae In primo piano nel racconto ci viene dunque presentato il confronto fra l’ufficiale tedesco e Heloïse, con Heloïse come eroina. Alla scena successiva quasi non si fa caso, almeno a una prima lettura – perché non accade nulla! Heloïse e Frederick si dirigono insieme verso la frontiera in un piccolo fiacre. Heloïse si presenta come una contadinella, e “tutt’a un tratto lei gli prese la mano”. Veniamo a sapere che “era sorta la luna, e il tratto di cielo che la separava dall’orizzonte era come incipriato di polvere d’oro” e “cominciò a formarsi la rugiada.” (ibid., p. 91). Così si allude a ciò che occupa Heloïse, perché si tratta di un’allusione al mito di Danae che accoglie voluttuosamente Zeus quando egli, nelle sembianze di una polvere d’oro, entra da lei – e in lei. In questo episodio il lettore è testimone della metamorfosi di Heloïse: da eroina a Venere e Danae. Nel più splendido stile di Tiziano. (Fig. 5). Il problema è che Frederick non la vede in questo modo. Per lui la donna è la grande eroina, e anzi: una musa. Nella versione danese del racconto la Blixen sottolinea questo aspetto quando fa immaginare a Frederick come potrebbe descrivere la sua eroina in un libro in alessandrini classici. (ibid., p. 87). Dunque nella carrozza non accade nulla! E alla frontiera le loro strade si dividono. La vendetta di Diana Sette anni dopo gli avvenimenti alla frontiera franco-tedesca Frederick deve andare a Parigi a causa di un nuovo libro che sta scrivendo. Il suo amico Arthur lo porta a un piccolo Varieté, e qui Frederick vede di nuovo Heloïse – come ballerina nuda. Rappresenta un tableaux, “La vendetta di Diana”, che viene descritto così: “Una schiera di giovani e graziosissime ballerine, che figuravano di essere ninfe in una foresta, danzavano e si mettevano in posa, ed erano tutte vestite molto succintamente. Ma il clou dello

5. Tiziano: Danae, 1546, Museo di Capodimonte, Napoli

6. Tiziano: Morte di atteone, 1575, National Gallery, London

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spettacolo fu l’apparire della dea Diana in persona, senza nulla addosso. / Mentre avanzava tendendo il suo arco d’oro, un suono come un lungo sospiro fece vibrare la sala.” (ibid., p. 93). È chiaro che Heloïse è direttamente ispirata dai quadri di Tiziano (di cui Frederick le ha parlato) – anche se nel quadro di Tiziano La morte di Atteone Diana non è completamente nuda. (Fig. 6). Dopo lo spettacolo Heloïse e Frederick hanno una lunga conversazione i cui ricordano i vecchi tempi. Heloïse è estremamente dolce e affascinante, ma il lettore capisce, al contrario di Frederick, che lei è terribilmente ironica alludendo costantemente alle ambizioni dell’uomo come scrittore – che avevano bloccato i suoi istinti allora, e li bloccano ora. Nelle ultime righe del racconto Heloïse lo guarda con l’usuale sguardo blixeniano: grande, profondo e dolce. Ma ancora una volta egli non vede nello sguardo l’invito concreto, per lui Heloïse è un essere quasi soprannaturale che gli dà una “visione della vita, e del mondo”. Ma non vede lei, la donna. La perdita nella vita di Heloïse è che il suo ‘amante’ è molto lontano dal luogo e dal momento attuale, molto lontano dal proprio corpo – e dal suo. Ancora una volta lei può solo sospirare con rassegnazione: “Quanto vorrei, mio caro amico, [...] che voi mi aveste vista allora!” (ibid., p. 98). II. LEGGERE DALLA DISTANZA I riferimenti intertestuali alla letteratura e alla pittura sono inevitabili nei racconti di Karen Blixen. La cosa interessante è il modo in cui la scrittrice pone se stessa in un dialogo critico con testi e immagini, il modo in cui li usa, li trasforma e li carica di un significato nuovo e sorprendente. La Blixen fa continuo riferimento a un passaggio delle Vite di Giorgio Vasari, della metà del Cinquecento, ovvero il punto in cui caratterizza le opere tarde di Tiziano: esse sono, afferma Vasari, “condotte di colpi, tirate via di grosso e con macchie, di maniera che da presso non si possono vedere e da lontano appariscono perfette.” (Vol. VI, p. 166). Nell’ultimo racconto di Karen Blixen, Ehrengard, il pittore Cazotte formula il concetto in questo modo: “A volte il Signore Iddio, quel grande artista, dipinge i suoi quadri in modo tale che li si apprezza meglio guardandoli molto da lontano.” (p. 24). Ed è così che Karen Blixen vuole che vediamo le sue opere. Con una lettura immediata da vicino dall’inizio alla fine non si coglie il punto centrale. Bisogna fare qualche passo indietro, allontanare il racconto e guardarlo dalla distanza. In questo modo si scorge che è costruito come un mosaico, le cui tessere in gran parte sono allusioni – ovvero link − ad altri testi. Ma anche che queste tessere sono rioganizzate su diversi livelli o ’fondali’, posti uno dietro l’altro. Inoltre tutte le tessere indicano un punto vuoto, ‘una pagina bianca, un episodio, una scena che viene solo accennata lì dove l’elemento decisivo avviene – o non avviene: il viaggio in carrozza di Frederick e Heloïses. (Vedi diagramma).

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La figura femminile Al primo livello troviamo dunque l’eroina. È un collage, una lega composta di una serie di figure femminili che si trovano in situazioni simili a quella di Heloïse, ovvero situazioni in cui ci si aspetta che sacrifichino se stesse per salvare altri, per esempio: Mademoiselle Rousset nel racconto “Boule de suif” di Maupassant, costretta ad andare a letto con l’ufficiale tedesco; e Lady Godiva, che dovette cavalcare nuda attraverso Coventry per salvare i cittadini da un’imposizione fiscale schiacciante − una leggenda tramandata fra l’altro da Tennyson a dai pre-raffaelliti. (Fig. 7).

7. John Collier: Lady Godiva, 1898, Herbert Art Gallery, Coventry

7. Johm Collier: Lady Godiva, 1898, Herbert Art Gallery, Coventry

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Al livello successivo: Heloïse. Anche il nome funge da link per una storia d’amore medievale fra il noto scolastico Abelardo e la sua allieva Eloisa. E in tal modo per la sua dottrina della riconciliazione, detta la dottrina della riconciliazione soggettiva. Per Abelardo Gesù era primariamente un esempio, ed egli sottolinea che nessuno può sostituirsi a qualcun altro o sacrificarsi per qualcun altro, non si può passare la propria responsabilità a un altro. In tal modo si perderebbe il rispetto di sé, la fierezza e la dignità. È l’etica della Blixen in nuce, ed è anche l’essenza della sua critica del cristianesimo tradizionale. Nel senso inteso da Abelardo Gesù è una ’pre-figurazione’ di Heloïse, poiché lei con il suo coraggioso atto diviene un modello per i suoi compagni di viaggio (tranne Frederick). Ma nell’allusione del nome di Heloïse c’è un altro aspetto ancora più importante. La sua storia d’amore con Abelardo viene letteralmente ’tagliata’ quando suo zio castra brutalmente Abelardo – ed Eloisa finisce in convento. Ma anche in convento la rispettabile badessa continua a esprimere nelle sue lettere il suo desiderio molto terreno e dimostra come il ricordo di ciò che lei e Abelardo avevano fatto ancora scuote il suo corpo. Il nome Heloïse è così un’allusione. Ma è anche un’allegoria, ovvero: un altro discorso, un’altra voce inserita nel testo − una voce che parla di desiderio! Le dee di Tiziano Tiziano entra nel racconto a questo livello di desiderio. Ma due presupposti sono necessari. Primo: “Das Alte Museum” a Berlino deve essere inteso come ‘galleria interiore’ della Blixen, che contiene tutti i dipinti che lei ha visto a Parigi, Londra, Firenze, Roma. Secondo: la Blixen è molto accurata nel rendere plausibile l’azione nei suoi racconti. Come intendere perciò il fatto che una semplice ballerina come Heloïse conosca Venere e Diana e i dipinti in cui Tiziano le rappresenta? Veniamo informati del fatto che Frederick le ha parlato di letteratura e filosofia − e dei capolavori del museo. Ma deve aver avuto problemi con la Venere di Urbino! (Fig. 1). Forse ha ‘citato’ la descrizione che Hans Christian Andersen ne dà nella fiaba “Il porcellino di bronzo”: “Le loro belle membra senza veli erano distese sui morbidi cuscini, il petto si sollevava e la testa si muoveva, così i boccoli vaporosi ricadevano sulle spalle arrotondate mentre gli occhi scuri esprimevano gli ardenti pensieri.” (Andersen, Fiabe, p. 174). Mark Twain, che la vide quasi contemporaneamente a Frederick, era più scosso: “Non è il fatto che stia lì nuda e sdraiata su un letto – no, è il modo in cui tiene il braccio e la mano …” (Twain, capitolo L). Comunque, Frederick riesce a parlare a Heloïse di Venere. Ma per di più, cosa di cui lui stesso non si rende conto: desta il suo desiderio. È chiaro che il dipinto di Tiziano non è solo “una rappresentazione tradizionale del corpo femminile come luogo del desiderio maschile, caratterizzato dallo sguardo che quel corpo è costruito per generare” − con una formulazione femminista. (Aiken, p. 116). Corpo e sguardo nei dipinti di

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Tiziano (e nei racconti della Blixen) segnalano tutt’altro. Qualcosa che viene descritto in questo modo dalla studiosa americana di Tiziano Rona Goffen: “Attirando gli occhi dello spettatore con i suoi, Venere dà a intendere che lo vede… e quando lo sguardo dello spettatore è visto, l’oggetto (in senso grammaticale) diventa soggetto… Venere controlla completamente la propria sessualità.” (Goffen, Titian’s Women, p. 278, 148, 153). La Venere di Tiziano e la sua Danae sono il sogno di Heloïse, lei sarebbe stata più che volentieri al loro posto – davanti a Frederick. Sesso e colore Noi siamo tutti legati nel “grande racconto occidentale” che produce un io organico, uniforme e sessualmente determinato (uomo, donna, maschile, femminile), e dal quale non ci può facilmente liberare, come afferma Judith Butler. (Butler, p. 142 ss.). Ma si possono minare le fondamenta del modello dall’interno con l’aiuto di esagerazione, inversione e ironia. E voglio aggiungere: colori e humour. Perché qui risiedono le prospettive specificamente sessuali tracciate con le allusioni a Tiziano e Veronese nel racconto su Heloïse. Giorgio Vasari cita nelle Vite un episodio del 1546 in cui Tiziano era andato a Roma per concludere la sua Danae per il Cardinal Farnese. Qui Michelangelo e Vasari gli fecero visita, e Vasari racconta come Michelangelo lodò molto Tiziano e poi disse “che molto gli piaceva il colorito suo e la maniera, ma che era un peccato che a Vinizia non s’imparasse da principio a disegnare bene...” (Vasari, op.cit., p. 163). Michelangelo e Vasari esprimono la comune priorità del disegno a scapito del colorito nell’Italia del Rinascimento, che è anche un conflitto fra i pittori toscani e veneziani. Ma è anche un conflitto che ha relazione con uno scisma nella cultura occidentale, e che risale a Platone e Aristotele, che gettarono le basi della “cromophobia” dell’Occidente (Batchelor, p. 29, 52 ss.), la quale va di pari passo con la misoginia. Il disegno veniva inteso come l’aspetto primario ed essenziale, dunque maschile. Il colorito invece era secondario e femminile: esso è mera decorazione, irrilevante in confronto alla forma. Il colore è inoltre legato all’inganno, come per esempio i cosmetici delle donne. “Il designo è intelletto e ragione; il colorito è passione e sentimento − e potenziale pericolo − per gli uomini […]” – ancora con una citazione di Rona Goffen. (Titian’s Venus, p. 15). Ma i veneziani del Cinquecento, e in particolar modo Tiziano, andarono contro il modello, in parte “erotizzando” la donna, il cui erotismo era tabu, in parte insistendo in uno “stile coloristico femminile”, come lo chiama Goffen. Goffen sente una voce nelle opere di Tiziano, piena di rispetto e simpatia per le sue figure femminili, ma anche sovversiva − e libidinosa. Suppongo che la Blixen sentisse questa voce. Il problema nel suo racconto su Heloïse è che Frederick non la sentiva.

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Peter Brooks ha affermato che “la devianza è la vera condizione affinché la vita sia oggetto di narrazione: la normalità è priva di interesse, energia, ed è al di fuori delle possibilità della narrazione.” (Brooks, p. 139). Questo può essere estremamente vero, e la Blixen lo conferma in pieno. Ma come nota Paul Auster su Sheherazade e sulla funzione delle storie da lei narrate: si tratta di “far vedere a un’altra persona ciò che è davanti ai suoi occhi mettendole davanti qualcos’altro.” (Loftager, p. 19). Inteso in questo modo, il racconto della Blixen − con la storia d’amore fallita e la perdita della donna − indica la deplorevole assenza di un rapporto eterosessuale del tutto ordinario e riuscito, proprio come quello del quale la Venere di Tiziano crea le premesse. Le metamorfosi di Heloïse L’‘amante’ di Heloïse, Frederick, è un giovane con una certa distanza nei confronti dell’erotismo. Eppure lei se ne innamora. Le vie dell’amore sono imperscrutabili! La loro singolare storia d’amore ha però un antefatto nelle Metamorfosi di Ovidio: il figlio di Venere, Cupido, sfiora il petto di Venere con la sua freccia; per questo viene sgridato, ma non c’è niente da fare: lei si innamora del bell’Adone. Il problema è che Adone è più interessato alla caccia che all’amore, un aspetto che Tiziano sottolinea nel suo dipinto. (Fig. 8). Inoltre questa variante – con Venere che senza vergogna ma invano cerca di trattenere Adone − è alla base della poesia di Shakespeare su Venere e Adone:

His eyes saw her eyes as they had not seen them ... (357) ‘I know not love,’ quoth he (Adonis), ‘nor will not know it’... (409) (He) Leaves Love upon her back, deeply distressed. (814)

Adone è per la caccia, Frederick per i libri − nessuno di loro è per l’amore. Venere e Heloïse sono abbandonate con una perdita fondamentale, perché il loro desiderio non è stato notato, non sono state viste come donne. Questa perdita è un tema centrale nelle opere di Karen Blixen, ed è alla base della nuova metamorfosi di Heloïse: nella dea Diana. Ma non la casta Diana della mitologia. Karen Blixen diceva di aver sempre preferito Diana a Venere. Ma queste sue parole sono una citazione libera dal Kierkegaard del “Diario del

8. Tiziano: Venere e Adone, 1554, Prado Madrid

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seduttore”: “Diana è sempre stata il mio ideale,” dice Johannes il seduttore. “Ella dovrebbe proprio esser adatta per ogni sorta di scherzi. Evidentemente la mia buona Diana possiede dentro di sé, in un modo o nell’altro, un sapere che la rende pure molto meno ingenua di Venere.” (Enten-Eller, p. 212-13). Questa è anche la Diana di Karen Blixen, con l’ulteriore aggiunta di tratti della Diana presentata da Heinrich Heine, che lei ammirava. Il punto è che è questa figura di Diana la reazione femminile a una perdita fondamentale nella vita. Una Diana intelligente, libidinosa e ironica, “adatta per ogni sorta di scherzi”. Perdita e humour Sulla perdita e sulla metamorfosi da Venere a Diana si possono certamente dire molte cose interessanti da un punto di vista biografico: l’amore giovanile di Karen Dinesen, Hans von Blixen, Bror e la sifilide, Denys Finck Hatton, la fattoria in Africa. Ciò che a mio avviso è rilevante per un lettore è però il modo in cui la Blixen amministra artisticamente questa perdita. E qui ritengo che lo humour sia il tratto decisivo. Lo humour inteso in parte come visione della vita, in parte come una strategia del testo. Per quanto riguarda il primo punto, la Blixen afferma che la visione della vita è semplicemente necessaria per uno scrittore, e in una famosa lettera dall’Africa risulta chiaramente che della sua visione della vita fa parte il sense of humour. (Breve fra Afrika, vol. 2, p. 31). In Kierkegaard, cui la Blixen fa spesso riferimento, lo humour è una visione della vita che nella teoria degli stadi precede immediatamente lo stadio religioso. Caratteristico dello humour in questo senso è che esso contiene a un tempo scherzo e serietà, o meglio dolore. Tale dolore è dovuto alla perdita – che nella visione all’indietro motivata a posteriori di Kierkegaard è la perdita dell’eternità. Perché chi ha humour non può convincersi a credere alla storia di Cristo e all’eterna redenzione. Un’altra caratteristica di chi ha humour è che, in contrapposizione con chi ha ironia, egli non crea distanza con il suo interlocutore, o con il suo lettore, ma crea anzi comunione. Nella Blixen uno humour di questo tipo è espresso in una scena del racconto “Diluvio a Norderney” in cui la Sacra Famiglia è diretta in Egitto. Giuseppe dice alla Vergine Maria: “Oh, mio dolce tesoro, non potresti chiudere un momento gli occhi e fingere ch’io sia lo Spirito Santo?” (Sette storie gotiche, p. 78). È una battuta divertente – e forse un commento a Fra Angelico (Fig. 9)! Ma allo stesso tempo contiene sia il motivo del sostituto sia la perdita − la perdita della sessualità, perché un altro, lo Spirito Santo, si è messo al posto di Giuseppe, senza che lui in alcun modo avesse espresso il desiderio di essere sostituito!

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In Kierkegaard troviamo anche un’intera piccola poetica che abbozza il modo in cui lo humour si sviluppa − e viene compreso in un attimo; il modo in cui sboccia da tutto ciò che non è detto in un racconto, dallo spazio vuoto, dal silenzio e dal nulla: “Quello spazio vuoto, quel nulla racchiude l’essenziale,” dice Kierkegaard. (Il concetto di ironia, p. 29). L’eloquente spazio vuoto nel racconto “Heloïse” è il tragitto in carrozza, dove nulla accadde. Ora si potrebbe credere che in tal modo il racconto diventi un’accusa al sesso maschile. Ma la storia è piuttosto un esempio di come la scrittrice per così dire si scinde in due: da un lato una donna colpita dalla perdita, e dall’altro un narratore maschile ingenuo con una certa distanza nei confronti dell’erotismo. Con questa piccola inversione di sesso, che la scrittrice usa spesso, la Blixen dimostra la contrapposizione fra l’amore – e l’arte di raccontarlo. Si tratta ampiamente di un equilibrio fra vicinanza e distanza. La dimensione della Blixen come scrittrice dimostra che lei osserva le cose con un lampo di humour negli occhi.

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1907