Iva Dichiarazione d’intento e plafond Iva di Marco Peirolo 2 La sospensione del rimborso Iva a seguito di constatazione di reati fiscali: la stretta penale di Gianfranco Antico 22 Il rapporto di accessorietà di Marco Peirolo 30 Imponibilità Iva per i compensi da “trasferta” percepiti dalle società di calcio della serie A di Clino De Ieso 46 Il caso risolto Aliquota Iva per il contratto di appalto relativo a più immobili di Centro studi tributari 54 Osservatorio L’osservatorio di giurisprudenza di Alberto Alfredo Ferrario 57 1 Iva in pratica n. 48/2020
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Iva - Euroconference · 2020-01-29 · Iva 2 Iva in pratica n. 48/2020 Iva in pratica n. 48/2020 Dichiarazione d’intento e plafond Iva di Marco Peirolo - dottore commercialista
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Iva
Dichiarazione d’intento e plafond Iva
di Marco Peirolo 2
La sospensione del rimborso Iva a seguito di constatazione di reati fiscali: la stretta penale
di Gianfranco Antico 22
Il rapporto di accessorietà
di Marco Peirolo 30
Imponibilità Iva per i compensi da “trasferta” percepiti dalle società di calcio della serie A
di Clino De Ieso 46
Il caso risolto
Aliquota Iva per il contratto di appalto relativo a più immobili
di Centro studi tributari 54
Osservatorio
L’osservatorio di giurisprudenza
di Alberto Alfredo Ferrario 57
1 Iva in pratica n. 48/2020
Iva
2 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
Dichiarazione d’intento e plafond Iva di Marco Peirolo - dottore commercialista e componente del Fiscal Committee della Confédération Fiscale
Européenne
Esportatore abituale
I contribuenti che effettuano cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie, e operazioni
assimilate possono avere rilevanti crediti di Iva nei confronti dell’Erario. Tali cessioni, infatti, sono non
imponibili ai fini Iva e, quindi, gli operatori che le pongono in essere, non percependo il tributo a titolo
di rivalsa dai propri clienti esteri, non possono abbattere il credito d’imposta che hanno conseguito
all’atto dell’effettuazione di acquisti.
Un rimedio, talvolta solo parziale, a tale situazione è costituito dalla facoltà, ricorrendo talune
condizioni, di effettuare acquisti di beni e servizi e importazioni senza l’applicazione dell’Iva.
In base all’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972 è, infatti, previsto che costituiscono cessioni
all’esportazione, non imponibili ai fini Iva:
“le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le
prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni
intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare
beni e servizi senza pagamento dell’imposta”.
I contribuenti che possono avvalersi di tale facoltà sono quelli definiti correntemente “esportatori
abituali”, laddove tale status, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera a), D.L. 746/1983, si acquisisce
quando le operazioni che creano plafond nel periodo di riferimento (anno solare o 12 mesi precedenti
a seconda che il contribuente utilizzi rispettivamente il metodo solare o quello mensile) sono superiori
al 10% del volume d’affari determinato a norma dell’articolo 20, D.P.R. 633/1972, al netto:
− delle cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale, che l’articolo
7-bis, comma 1, D.P.R. 633/1972 non considera territorialmente rilevanti in Italia, ma che vanno
comunque fatturate in applicazione dell’articolo 21, comma 6, lettera a), D.P.R. 633/1972;
− delle operazioni di cui all’articolo 21, comma 6-bis, D.P.R. 633/1972, escluse da Iva per carenza del
presupposto territoriale (di cui agli articoli 7 - 7-septies, D.P.R. 633/1972), ma soggette comunque
all’obbligo di emissione della fattura se consistono in:
la stretta penale di Gianfranco Antico - pubblicista
Premessa
Come noto, il sistema sanzionatorio penal tributario, delineato nel D.Lgs. 74/2000, unitamente ai
successivi interventi legislativi1, è stato profondamente rivisitato dal D.Lgs. 158/2015.
Il D.L. 124/2019, convertito con modificazioni in L. 157/2019, che ha inasprito le pene per alcuni reati,
introdotto la c.d. confisca allargata2 e la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in
relazione alla commissione di reati tributari3, impatta altresì sul comma 8 dell’articolo 38-bis, D.P.R.
633/19724, norma che prevede che "Nel caso in cui nel periodo relativo al rimborso sia stato constatato
uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000, l'esecuzione dei rimborsi di cui al presente articolo è
sospesa, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta indicata nelle fatture o in altri documenti
illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale".
La sospensione del rimborso a seguito di reati
Il comma 8, dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 - sostanzialmente identico alla precedente
formulazione contenuta nel comma 3 del previgente articolo 38-bis - si è limitato ad aggiornare i
riferimenti normativi relativi alle fattispecie penali previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, D.L. 429/1982,
1 Articolo 1, comma 414, L.311/2004; articolo 35, comma 7, D.L. 223/2006, convertito in L. 248/2006; articolo 29, D.L. 78/2010, convertito in
L. 122/2010; D.L. 138/2011, convertito in L. 148/2011. 2 Il nuovo articolo 12-ter, D.Lgs. 74/2000 prevede, in caso di condanna (o patteggiamento della pena) per alcuni delitti in materia di imposte
sui redditi e Iva, l’applicazione della c.d. confisca allargata di cui all’articolo 240-bis, c.p. e dunque la possibilità di confiscare denaro, beni o
altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere
titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito. 3 In particolare, è stato inserito l’articolo 25-quinquiesdecies nel catalogo dei reati che, in base al D.Lgs. 231/2001, costituiscono presupposto
della responsabilità amministrativa degli enti. 4 Come modificato dall’articolo 13, D.Lgs. 175/2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014, che ha rimodulato sostanzialmente la disciplina
relativa all'esecuzione dei rimborsi Iva, al fine di semplificare e accelerarne l'erogazione. Come rilevato dalla circolare n. 32/E/2014, la
normativa “presenta un cambio di impostazione radicale nel rapporto tra fisco e contribuente, eliminando l'obbligo generalizzato di prestazione della
garanzia, con la conseguente significativa riduzione dei costi per ottenere i rimborsi annuali e trimestrali nonché con la contrazione della tempistica
di lavorazione per il venir meno della fase amministrativa di richiesta e di riscontro della validità delle garanzie”.
convertito in L. 516/1982, ed è posto a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di gravi
illeciti penali, basati sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
In merito al contenuto della norma, la circolare n. 32/E/2014 ha precisato che la sospensione in
argomento opera nei limiti di seguito indicati:
− le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 devono essere state constatate con
riferimento al medesimo periodo d'imposta per il quale è stata presentata richiesta di rimborso dell'Iva5;
− la sospensione del rimborso non può essere disposta per un importo superiore all'ammontare dell'Iva
esposta nelle fatture o negli altri documenti illecitamente emessi o utilizzati.
Pertanto, la conoscenza da parte dell’ufficio delle fattispecie sopra richiamate comporta la sospensione
del rimborso, inibendo alcuna valutazione discrezionale. Sospensione del rimborso che opera fino alla
definizione del procedimento penale, indipendentemente dall'esito (cfr. circolare n. 31/E/2014).
La “constatazione” coincide già con il momento della verbalizzazione nel processo verbale giornaliero
ovvero nel pvc, ovvero in altri atti, indipendentemente dall’inoltro della denuncia penale o ancor più
dall’esercizio dell’azione penale. Il reato, infatti, si considera constatato, una volta acquisita la notitia
criminis.
Inoltre, ai fini della sospensione, non rileva l'eventuale definizione dell'obbligazione tributaria
sottostante.
I reati interessati
Se la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e Iva, introdotta dal D.Lgs. 74/2000, ha operato
un radicale rovesciamento dei principi che stavano alla base del D.L. 429/1982, convertito nella L.
5 La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8295/2014, ha fornito una serie di importanti indicazioni sul tema affrontato. Osserva la Corte,
innanzitutto, che “questa fattispecie prevede una sospensione del rimborso in ragione della "constatazione" di un reato, senza far riferimento ad
alcuno degli atti tipici del processo penale e ricollega il termine finale della sospensione alla "definizione del relativo procedimento penale", senza
prevedere alcuna comunicazione o notificazione preventiva alla parte”. Prosegue la sentenza affermando che “la formulazione ampia della norma
e l'esigenza di bilanciamento tra gli interessi dello Stato e quelli del contribuente fanno ritenere applicabile la sospensione del rimborso D.P.R.
633/1972, ex articolo 38-bis quando ricorra la constatazione di un reato, e dunque anche quando l'attività investigativa sia in corso e i suoi esiti non
sono ancora compiutamente maturati”. Viene, altresì, rimarcata la differenza con quanto previsto dall’articolo 23, D.Lgs. 472/1997, in tema di
violazioni amministrative, che colloca il provvedimento di sospensione al momento conclusivo dell'attività di controllo dell’Amministrazione
finanziaria, quando la stessa ha formalizzato le sue determinazioni in un atto tipico di cui la parte deve essere informata. Pertanto, “nel caso
in esame non possono trovare applicazione le disposizioni relative ai presupposti della sospensione facoltativa del rimborso dettate dal D.Lgs.
472/1997, articolo 23 in relazione a violazioni amministrative, che la subordinano a precisi atti formali della Amministrazione finanziaria "la notifica
dell'atto di contestazione o di irrigazione della sanzione, ancorché non definitivo". Cfr. anche la sentenza n. 24917/2013, secondo cui “la tesi in
diritto della parte ricorrente secondo cui la S. non potrebbe subire le conseguenze pregiudizievoli determinate da fatti illeciti cui essa è estranea, in
quanto la norma tributaria legittima la sospensione dei rimborsi Iva soltanto in caso di coinvolgimento diretto del contribuente nel procedimento
penale, e dunque nel caso in cui gli atti di indagine – in quanto diretti all’accertamento della commissione del reato e sempre che non risultino affetti
da vizi di invalidità – si siano svolti nei confronti del contribuente quale soggetto “indagato”, appare del tutto carente nella esposizione delle premesse
in fatto, non avendo la ricorrente neppure indicato i documenti sui quali si fonderebbe l’assunto e che dovrebbero smentire la diversa ricostruzione
della fattispecie concreta cui è pervenuto il giudice territoriale laddove ha affermato, contrariamente a quanto allegato in ricorso dalla società, che
gli atti di indagine penale erano stati svolti proprio nei confronti della società contribuente, quindi per ciò stesso da ritenersi anch’essa coinvolta nel
Per effetto delle modifiche apportate la pena è elevata (lettera a) prevedendo la reclusione da 4 a 8
anni (oggi da 1 anno e 6 mesi a 6 anni). Inoltre, la lettera b) ha inserito un comma 2-bis in base al quale
la pena è più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni)
quando l’ammontare del passivo fittizio è inferiore a 100.000 euro.
Il D.L. prevede, inoltre, l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando i passivi fittizi sono
superiori a 200.000 euro (valore innalzato nel corso dell’esame in commissione rispetto agli originari
100.000 euro), e della responsabilità amministrativa dell’ente. Pertanto, mentre per l’applicazione della
6 Nel caso in cui siano coinvolti altri operatori a livello europeo, il meccanismo frodatorio vede la presenza di un soggetto nazionale, che
formalmente effettua cessioni non imponibili di beni verso una “cartiera” avente sede in altro Paese comunitario, senza che i beni lascino mai
il territorio nazionale, in quanto destinati, in realtà, ad altri soggetti nazionali, che li acquistano a prezzi concorrenziali. A sua volta, la “cartiera”
estera cede cartolarmente gli stessi beni a un ulteriore “società di comodo” italiana, che rivende le merci ai reali acquirenti nazionali senza
assolvere agli obblighi tributari. La “cartiera” nazionale assume su di sé il debito d’imposta che sorge al momento della cessione nazionale,
ma omette di versare l’Iva all’Erario e in breve tempo cessa l’attività, mentre il cessionario ha il vantaggio di detrarre l’imposta sull’acquisto e
nel contempo farsi retrocedere dalla “cartiera” l’Iva corrisposta in fattura (cfr. circolare n. 1/2018 della G. di F.). 7 Come riportato nello studio degli uffici della Camera e del Senato a commento della disposizione normativa, “la modifica apportata, pertanto,
estende la portata della sanzione penale a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Iva, comprese quelle che vengono presentate in
occasione di operazioni straordinarie o nell’ambito di procedure concorsuali”, che possono avere una cadenza temporale diversa dall’anno.
e utilizzatore della prestazione, soprattutto quando non è certa nemmeno la effettiva corrispondenza
tra i costi documentati e quelli realmente sostenuti. In ogni caso, il dolo del delitto di utilizzazione di
fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, “è ravvisabile
nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la
prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall'emittente, conseguendo in tal
modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l'Iva versata dall'utilizzatore della fattura non è stata pagata
dall'esecutore della prestazione medesima”;
− sentenza n. 50362/2019: “l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture
per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non
incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo 2, D.Lgs. 74/2000, il
quale, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra
quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo”; 8
Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
L'articolo 8, D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui
redditi o dell’Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Come osservato nella circolare n. 154/E/2000 “La condotta consiste nella emissione o nel rilascio di fatture
o di altri documenti per operazioni inesistenti, a nulla rilevando la loro effettiva utilizzazione da parte del
soggetto ricevente; essa, dunque, è speculare rispetto a quella descritta dall'articolo 2 del decreto in
argomento, differenziandosene sul piano strutturale, dal momento che nella seconda fattispecie la mera
utilizzazione di documentazione comprovante operazioni inesistenti non integra, ex se, gli estremi del reato”.
Soggetto attivo del delitto è chiunque emette fatture o documenti per operazioni inesistenti, anche se,
come precisato nella circolare n. 154/E/2000, non obbligato alla tenuta delle scritture contabili; la
fattispecie criminosa, infatti, non prevede alcuna particolare qualificazione per i soggetti agenti.
L'oggetto materiale del reato è la fattura o il documento emesso per operazioni inesistenti, la cui
definizione è fornita dall'articolo 1, lettera a), D.Lgs. 74/2000 (per "fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle
8 “Nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, la falsità può essere riferita anche
all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione. Per soggetti diversi da quelli effettivi si devono quindi intendere coloro che, pur avendo
apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun
rapporto con il contribuente finale (così Cassazione n. 27392/2012). Per quanto attiene, invece, anche le imposte dirette, la giurisprudenza prevalente
di questa Corte ritiene che l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti,
anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo
2, D.Lgs. 74/2000, il quale, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal
punto di vista oggettivo o soggettivo (sul punto: Cassazione n. 4236/2018 e n. 30874/2018, n. 4236/2018). La giurisprudenza prevalente ritiene quindi
inesistente una differenziazione tra imposte dirette e indirette”.
all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, quali, ad esempio: l’imputazione di spese relative a investimenti
inesistenti sorretta da predisposizione di contratti ideologicamente falsi9;
− contratti simulati (ovvero rogiti notarili attestanti compravendite immobiliari) con indicazione di un
prezzo di vendita molto inferiore al reale10;
− tenuta di una doppia contabilità, di per sé sola non sufficiente a integrare l’ipotesi delittuosa, che può
essere ravvisata, tuttavia, laddove il contribuente si avvalga di un sistema articolato e complesso per
realizzare sistematicamente il nero, sia in entrata sia in uscita, con creazione di specifici codici e procedure
di accesso idonei a prospettare a terzi dati fraudolentemente alterati nel corso di eventuali ispezioni11;
− rinvenimento da parte degli organi di controllo della contabilità “in nero” in luogo diverso da quello
indicato dal contribuente per la custodia delle scritture12;
− fittizia intestazione di rapporti finanziari su cui accreditare elementi attivi destinati a non essere
contabilizzati13 ;
− sistematica emissione di titoli di credito senza indicazione del beneficiario al fine di occultare i
pagamenti14.
SCHEDA DI SINTESI
Il sistema sanzionatorio penal tributario, delineato nel D.Lgs. 74/2000, unitamente ai successivi
interventi legislativi, è stato profondamente rivisitato dal D.Lgs. 158/2015. Il D.L. 124/2019,
che ha inasprito le pene per alcuni reati, introdotto la c.d. confisca allargata e la responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche in relazione alla commissione di reati tributari, impatta
altresì sul comma 8 dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972.
Il comma 8, dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 si è limitato ad aggiornare i riferimenti
normativi relativi alle fattispecie penali previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, D.L. 429/1982,
ed è posto a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di gravi illeciti penali, basati
sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
La circolare n. 32/E/2014 ha precisato che la sospensione in argomento opera nei limiti di
seguito indicati: le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 devono essere
state constatate con riferimento al medesimo periodo d'imposta per il quale è stata presentata
9 Cassazione, sentenza n. 14616/2012. 10 Cassazione, sentenza n. 9414/1996. 11 Cassazione, sentenza n. 13641/2002. 12 Cassazione, sentenza n. 1402/2005. 13 Cassazione, sentenza n. 13098/2009. 14 Cassazione, sentenza n. 36977/2005.
È ormai consolidato, per lo meno sul piano amministrativo, l’orientamento in base al quale il rapporto
di accessorietà presuppone un duplice presupposto, di tipo soggettivo e oggettivo.
Requisito dell’identità soggettiva
Sotto il primo profilo, è richiesta l’identità dei soggetti tra i quali intercorrono le operazioni
principale e accessoria1.
Sul punto, il comma 1 dell’articolo 12, D.P.R. 633/1972 dispone che le prestazioni accessorie
devono essere effettuate “direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese”.
In questa seconda ipotesi, giuridicamente riconducibile al mandato con rappresentanza, il principio
dell’identità soggettiva resta “impregiudicato”, posto che il rapporto contrattuale con il “terzo” si colloca
a monte del soggetto che realizza l’operazione principale, tant’è che quest’ultimo riaddebiterà al
cessionario/committente il corrispettivo dell’operazione accessoria2.
ESEMPIO 1 – Trasporto di beni resa dal vettore su commissione del cedente
Riguardo alla prestazione di trasporto, nel rapporto contrattuale instaurato tra il cedente e il
vettore, è dato osservare che, se il trasporto viene effettuato per conto e a spese del cedente, il
carattere accessorio della prestazione di trasporto viene a configurarsi, in base all’articolo 12, D.P.R.
633/1972, soltanto nel rapporto tra le parti dell’operazione principale, vale a dire nel rapporto
cedente-cessionario, assumendo il vettore la veste di “terzo” rispetto ai soggetti dell’operazione
principale.
Nella situazione descritta, la prestazione di trasporto resa dal vettore su commissione del cedente
riveste, pertanto, un’autonoma rilevanza, in quanto la natura accessoria della prestazione è ipotizzabile
soltanto in un rapporto di relazione che presuppone, necessariamente, la presenza di 2 operazioni
effettuate dallo stesso soggetto, quando invece, nel caso prospettato, l’operazione è unica e, quindi,
autonoma.
Conseguentemente, il corrispettivo relativo alla prestazione di trasporto è autonomamente soggetto a
fatturazione e a Iva con l’aliquota ordinaria (22%)3.
1 Cfr., per tutte, risoluzioni n. 6/E/1998, n. 216/E/2002, n. 230/E/2002, n. 120/E/2003, n. 167/E/2003, n. 337/E/2008 e n. 367/E/2008. 2 Cfr. risoluzione n. 550145/1988. 3 Cfr. risoluzione n. 550145/1988, cit..
Sul punto, la giurisprudenza comunitaria, dopo avere affermato, in un primo tempo, che l’accessorietà
presuppone l’identità dei soggetti che effettuano, rispettivamente, l’operazione principale e quella
secondaria6, ha stabilito che il rapporto di accessorietà non viene meno quando la prestazione
secondaria è resa da un soggetto diverso da quello che fornisce la prestazione principale.
È dato osservare che le pronunce della Corte di Giustizia che hanno affrontato questa questione
si riferiscono esclusivamente alle operazioni esenti da Iva, sicché andrebbe stabilito se lo stesso
principio sia applicabile anche alle operazioni imponibili e a quelle non imponibili.
In caso affermativo, tenuto conto della difformità tra la normativa comunitaria e la normativa interna,
lo Stato e il contribuente si troverebbero in 2 posizioni di forza ben distinte, in quanto7:
− mentre lo Stato non può che pretendere l’applicazione della disciplina nazionale, non potendo
invocare la diretta applicabilità della disciplina comunitaria non correttamente recepita;
− il contribuente può scegliere se applicare la disciplina interna, ovvero quella comunitaria.
In sede, quindi, di contenzioso, il soggetto che ha compiuto l’operazione accessoria sarebbe legittimato
a richiedere l’applicazione diretta della normativa comunitaria, laddove per il medesimo sia vantaggiosa
l’applicazione dello stesso regime Iva dell’operazione principale.
Causa C-392/11 del 27 settembre 2012 – Oneri locativi
La sentenza qualifica come prestazione unitaria, nella specie esente da Iva, l’operazione avente per
oggetto la locazione di un immobile strumentale e i servizi a esso relativi (c.d. “oneri locativi”), anche se
resi da un soggetto diverso dal locatore.
La locazione è stata fatturata in regime di esenzione siccome il locatore non ha esercitato l’opzione per
l’imponibilità di cui all’articolo 137, § 1, lettera d), Direttiva 2006/112/CE. Il locatario ha ritenuto che i
servizi collegati all’immobile costituissero prestazioni autonome, da assoggettare a imposta.
La Corte di Giustizia UE ha, invece, propeso per l’unicità della prestazione, avuto riguardo, allo stesso
tempo, all’aspetto formale, rappresentato dal contenuto del contratto di locazione, e all’aspetto
sostanziale, vale a dire la ragione economica sottesa alla sua stipula, essendo innegabile che il locatario
ha voluto non soltanto ottenere il diritto di occupare l’immobile, ma anche di beneficiare di un insieme di
servizi resi dal locatore.
L’unicità, in particolare, discende dal nesso di accessorietà che lega i servizi (prestazioni secondarie) alla
locazione (prestazione principale); tant’è che i giudici comunitari giustificano la conclusione raggiunta
affermando, alla luce della giurisprudenza in materia, che non si può apprezzare che l’ottenimento delle
prestazioni di servizi in parola costituisca un fine a sé stante per il locatario medio di locali come quelli di
cui trattasi nel procedimento principale, ma costituisca piuttosto il mezzo per fruire, nelle migliori
condizioni, della prestazione principale, cioè della locazione di superfici commerciali.
6 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-349/96 del 25 febbraio 1999. 7 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-203/10 del 3 marzo 2011, sentenza causa C-226/07 del 17 luglio 2008, sentenza causa C-184/04 del
30 marzo 2006, sentenza causa C-168/95 del 26 settembre1996, sentenza cause riunite C-6/90 e C 9/90 del 19 novembre 1991, sentenza
causa C-80/86 dell’8 ottobre 1987, e sentenza causa C-152/84 del 26 febbraio 1986.
Il caso di specie riguarda i rapporti tra 2 laboratori di analisi cliniche, laddove il paziente che deve
sottoporsi ad analisi si rivolge a un primo laboratorio che effettua esclusivamente il prelievo,
successivamente trasmesso a un secondo laboratorio che effettua le analisi ed emette fattura al paziente
in regime di esenzione da Iva, in quanto trattasi di prestazione medica.
Anche la trasmissione del prelievo dal primo al secondo laboratorio avviene dietro pagamento di un
corrispettivo, rispetto al quale la Corte ha riconosciuto il carattere di accessorietà in quanto rispondente
all’esigenza di offrire al paziente la maggiore affidabilità possibile delle analisi cliniche.
Il nesso di accessorietà, nella fattispecie, ricorre perché la trasmissione del prelievo si colloca
temporalmente tra la fase del prelievo e quella della sua analisi, sicché è strettamente connessa a
quest’ultima, secondo le considerazioni sopra esposte.
Diversa, invece, è la conclusione per le operazioni che si posizionano a monte della prestazione sanitaria e che
sono, si può dire, propedeutiche alla prestazione stessa, come nel caso della fornitura di attrezzature, macchinari
e materiali necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, per la quale, quindi, l’esenzione non compete
Un’interpretazione più estensiva della locuzione “per suo conto e a sue spese” è riconosciuta,
dalla stessa Amministrazione finanziaria, per i servizi accessori ai servizi culturali, artistici,
sportivi, educativi e affini, che fino al 31 dicembre 2010 dovevano essere tassati nel luogo in cui
erano materialmente svolti, anche se resi nei confronti di soggetti passivi Iva8.
Con la circolare n. 37/E/2011 (§ 3.1.4), l’Agenzia delle entrate ha affermato che, in considerazione
dell’attuale formulazione del testo normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in
materia, si deve ritenere che il concetto di accessorietà nell’ambito dei servizi culturali, scientifici e
simili debba essere inteso, con riferimento al profilo soggettivo dell’operazione, in senso più ampio
rispetto a quanto in precedenza previsto. In sostanza, al fine di qualificare una prestazione di servizi
come accessoria rispetto a quella principale, pur restando confermata la necessaria strumentalità della
prima rispetto alla seconda, è opportuno prescindere dall’identità dei soggetti coinvolti nell’operazione
principale e in quella accessoria: come affermato dalla Corte di Giustizia, piuttosto, devono essere
considerate accessorie a un’attività artistica, scientifica o affine tutte le prestazioni che, senza costituire
direttamente una siffatta attività, rappresentino un presupposto necessario della realizzazione
dell’attività principale, indipendentemente dalla persona che presta tali servizi9.
Requisito oggettivo
Sotto il secondo profilo, cioè quello oggettivo, è necessario, come costantemente sottolineato
dalla Corte di Giustizia10, che l’operazione secondaria non costituisca per la clientela un fine a sé
8 Cfr. articolo 7-quinquies, D.P.R. 633/1972. 9 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-327/94 del 26 settembre 1996 e sentenza C-114/05 del 9 marzo 2006. 10 Cfr., per tutte, Corte di Giustizia, sentenza causa C-251/05 del 6 luglio 2006, sentenza causa C-380/99 del 3 luglio 2001, sentenza causa C-
349/96 del 25 febbraio 1999, cit. e sentenza cause riunite C-308/96 e C-94/97 del 22 ottobre 1998.
hardware e software, per cui è necessario, per rendere appetibile il prodotto commercializzato,
offrire servizi di consulenza sull’utilizzo dei prodotti, di formazione del personale, di
finanziamento per l’acquisto, di garanzia e di manutenzione, tutti diretti a una migliore
commercializzazione dei beni offerti alla clientela.
I servizi amministrativi e tecnici ben possono, dunque, rientrare nel concetto di servizi accessori,
unico essendo l’obiettivo economico che si sono prefissati i contraenti e unico essendo anche
l’interesse degli acquirenti dei prodotti hardware e software, che, secondo l’id quod plerumque
accidit, non procedono all’acquisto di tali beni se non sono corredati da tutta una serie di servizi
accessori, quali quelli offerti dalla società in questione.
La circostanza che il contratto abbia, nelle intenzioni dei contraenti, un’unica finalità è
comprovata anche dalla pattuizione di un corrispettivo unitario, non già differenziato per i singoli
servizi offerti, come sarebbe stato logico prevedere nel caso in cui l’intermediario si fosse
impegnato a rendere prestazioni ontologicamente diverse14.
Per le considerazioni esposte, l’ordinanza n. 17836/2018 ha, pertanto, affermato che “il contratto con il
quale un soggetto italiano (nella specie, una società operante nel ramo informatico) si impegna, a fronte della
pattuizione di un compenso unitariamente determinato, a commercializzare i prodotti di un altro soggetto
appartenente alla UE offrendo, altresì, una serie di altri servizi, tecnici e amministrativi, costituenti il mezzo
per una migliore fruizione dei prodotti commercializzati, va considerato, ai fini dell’applicazione dell’imposta,
quale un’unica operazione economica, sicché non è possibile scindere i servizi di intermediazione
propriamente detti dagli altri servizi offerti, da ritenersi accessori ai primi”.
Separata fatturazione delle operazioni accessorie
È consentito di fatturare le prestazioni accessorie separatamente da quelle principali, salvo
l’indicazione degli estremi delle fatture relative a queste ultime, per il necessario collegamento15.
Lo stesso principio è stato ribadito dall’Amministrazione finanziaria in riferimento alle spese di trasporto
di beni al di fuori dell’Unione Europea, in relazione cioè a cessioni all’esportazione16.
È stato, infatti, precisato che i trasporti effettuati per conto e a spese del cedente costituiscono
prestazioni accessorie alla cessione all’esportazione, per cui i relativi corrispettivi si considerano parte
14 Sul punto, è comunque il caso di ricordare che, con la sentenza di cui alla citata causa C-463/16 del 18 gennaio 2018, la Corte di Giustizia
UE ha affermato che l’operazione può essere definita come economicamente unica, in dipendenza del nesso di accessorietà che lega
l’operazione secondaria a quella principale, anche se le parti hanno valorizzato distintamente i singoli elementi che compongono l’operazione. 15 Cfr. circolare n. 198/E/1996; risoluzioni n. 405397/1983 e n. 501976/1974. 16 Cfr. risoluzione n. 405397/1983, cit..
Entrambi (consumo e prelievo) si realizzano qualora siano riferiti a un’operazione economica.
Nonostante questa definizione sia assente nel D.P.R. 633/1972, essa va determinata (non solo, ma
anche) in riferimento all’onerosità dell’operazione, cioè, dall’esistenza a priori2 e a posteriori – rispetto
all’effettuazione dell’operazione – di una controprestazione pattuita fra le parti.
Consumo e onerosità si manifestano come elementi concorrenti della rilevanza consentendo, quindi, di
stabilire che: “quando il diritto sostanziale tassa unicamente il corrispettivo effettivamente pagato dal
destinatario per merci o servizi, mentre la tecnica impositiva fa riferimento al corrispettivo pattuito, i
due sistemi devono, prima o poi, essere conciliati. Ciò viene garantito dall’articolo 90, § 1, Direttiva Iva,
il quale prevede la corrispondente rettifica del debito d’imposta iniziale dell’impresa che eroga la
prestazione”3.
La sentenza Tolsma
Il nesso di collegamento tra prestazione e controprestazione è ben chiarito nella famosa sentenza
Tolsma4. La controversia nasce dall’opposizione del contribuente al recupero l’Iva per la sua attività di
musicista. Quest’ultimo, in particolare, suonava nella pubblica via esortando i passanti a versargli un
“obolo” e porgendo loro una ciotola.
Per il signor Tolsma si tratta di un servizio privo del requisito dell’onerosità. Dato che la prestazione musicale
offerta ai passanti non risulterebbe “condizionata ad alcun "corrispettivo o compenso". L'obolo che i passanti gli
2 Per l’esistenza a priori della controprestazione, si rinvia alle conclusioni del 14 giugno 2016 rese dall’avvocato generale Nils Wahl, Causa
C-432/15, Baštová, punti 29 e 30, ove si annota giustamente che: “Chiaramente, la mia conclusione sarebbe diversa se la messa a disposizione di
cavalli a organizzatori di corse non avesse luogo nel contesto di un’attività commerciale. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, se un proprietario di
cavalli da corsa partecipasse a eventi unicamente per soddisfare un hobby personale o soltanto per avvalersi della detrazione dell’Iva assolta a monte
per il mantenimento di cavalli impiegati solo a fini privati. A tale riguardo, può essere utile ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata,
un’attività dev’essere considerata economica soltanto se essa è esercitata al fine di ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità o, in altri
termini, a titolo oneroso. Tuttavia, gli introiti non possono essere realizzati se un’attività viene esercitata esclusivamente a titolo non oneroso, o senza
la reale prospettiva di ricevere un qualche corrispettivo. Pertanto, un’attività svolta, seppure da un soggetto passivo, solo come hobby, a fini ricreativi,
o senza prospettiva alcuna di ricevere in cambio un beneficio economico diretto o indiretto non rientra nell’attività economica di detta persona. A sua
volta, ciò ha ovvie ripercussioni sulla detraibilità (o sulla non-detraibilità) dell’Iva assolta a monte. La direttiva Iva, in effetti, comprende anche
disposizioni che disciplinano la situazione di un bene destinato all’impresa per l’uso privato del soggetto passivo”. La Corte enfatizza tale concetto
e, dai punti 27 a 29 della sentenza C-432/15 del 10 novembre 2016, Baštová, puntualizza che: “… a norma dell’articolo 2, § 1, lettera c), della
Direttiva Iva, che definisce l’ambito di applicazione dell’Iva, sono assoggettate a tale imposta le “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso”.
Secondo una giurisprudenza costante della Corte, la possibilità di qualificare una prestazione di servizi come “operazione a titolo oneroso” presuppone
unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto
esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni
e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario (si veda, in particolare, sentenze C-16/93
del 3 marzo 1994, Tolsma, punti 13 e 14, nonché C-174/14 del 29 ottobre 2015, Saudaçor, punto 32). Dalla giurisprudenza della Corte si evince poi
che il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente
ricevuto (si veda, per analogia, sentenze C-16/93 del 3 marzo 1994, Tolsma, punto 19, e C-16/00 del 27 settembre 2001, Cibo Participations, punto
43)”. 3 Così, le conclusioni dell’8 giugno 2017 presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Di Maura, C-246/16 del 23 novembre 2017,
punto 25. 4 Corte di Giustizia, sentenza causa C-16/93 del 3 marzo 1994.
elargiscono sarebbe al di fuori di qualsiasi obbligo”5. In replica, l’ente impositore obietta che alcuni dei passanti
elargiscono l’obolo al signor Tolsma per ricompensarlo della musica che egli fa ascoltare.
Il che dimostrerebbe, secondo l’Autorità fiscale, l’esistenza di un collegamento diretto tra il servizio
prestato e il compenso percepito e, dunque, il carattere oneroso della prestazione: essendo, invece,
irrilevante il fatto che il compenso non sia pattuito tra i passanti e il musicista.
La questione sottoposta alla Corte di Giustizia è, quindi, incentrata sull’esatta qualificazione della
prestazione musicale nell’ambito delle prestazioni rilevanti ai fini Iva.
Sul punto, l’avvocato generale osserva acutamente che il compenso dipende “dalla spontanea decisione
di alcuni passanti di versare una somma a loro discrezione”. Evidenziando, inoltre, che “la "prestazione"
[musicale] … non viene affatto definita contrattualmente né quanto al principio né quanto alla sua portata”.
Del resto, il sig. Tolsma “suona spontaneamente l'organetto e può cessare di farlo in qualsiasi momento. Per
altro verso, i passanti sono liberi di decidere quanto tempo soffermarsi ad ascoltarlo”. … Così, alcuni passanti
depositeranno nella ciotola del ricorrente una somma più elevata senza intrattenersi per ascoltarlo, mentre
altri indugeranno ad ascoltarlo senza elargire nulla6.
Alla luce di ciò, l’avvocato generale propone la non imponibilità Iva dell’esibizione musicale offerta, in
quanto essa non risulterebbe configurabile come una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso.
Ed è esattamente la soluzione raggiunta dalla Corte di Giustizia, secondo cui l’onerosità non va intesa
in senso assoluto, ma in senso relativo, ossia, in dipendenza di un rapporto contrattuale nato tra i 2
soggetti (prestatore -committente).
Più in dettaglio, secondo i giudici europei, tra il suonatore ambulante e i passanti non intercorre “alcuna
pattuizione tra le parti, giacché i passanti versano spontaneamente un obolo del quale stabiliscono
l'ammontare a loro arbitrio. Per l'altro, non sussiste alcuna correlazione necessaria tra la prestazione musicale
e le oblazioni a essa conseguenti. Così, i passanti non chiedono che il musicista suoni per loro; inoltre, essi
versano delle somme non già in funzione della prestazione musicale, bensì in funzione di motivazioni
soggettive, tra le quali possono intervenire considerazioni di simpatia. Infatti, mentre alcune persone
depositano nella ciotola del musicista una somma talora elevata senza trattenersi ad ascoltare, altre si
soffermano per un certo tempo ad ascoltare la musica senza lasciare alcun obolo.
D' altro canto, … il fatto che il musicista suoni in pubblico allo scopo di raccogliere del denaro e che in tale
occasione riceva di fatto determinate somme è irrilevante ai fini della qualificazione della controversa attività
come prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi della sesta direttiva. Questa interpretazione non viene
5 Così, il punto 4 delle conclusioni del 20 gennaio 1994 presentate dall'avvocato generale Lenz nella causa Tolsma citata. 6 Punti da 17 a 19 delle conclusioni del caso Tolsma citate.
Iva
49 Iva in pratica n. 48/2020
infirmata dalla circostanza che un musicista … chieda del denaro e possa di fatto confidare nel conseguimento
di determinate somme suonando sulla pubblica via. Tali oblazioni sono infatti prettamente gratuite e
aleatorie e il loro importo è praticamente impossibile da determinare”.
Pertanto, concludono i giudici europei, “esula dalla nozione di "prestazione di servizi effettuata a titolo
oneroso" … un'attività che consiste nel suonare sulla pubblica via e per la quale nessun corrispettivo viene
pattuito, pur quando l'interessato richieda una ricompensa in denaro e percepisca determinate somme, il cui
ammontare tuttavia non sia determinato o determinabile” (punti da 17 a 20).
Riassumendo: secondo l’autorevole e consolidato insegnamento della Corte di Giustizia, la tassazione
con Iva di una prestazione presuppone l’esistenza di un nesso tra il servizio reso e il controvalore
ricevuto. E tale nesso diretto esiste quando tra il fornitore e il cliente intercorre un rapporto giuridico
nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni sinallagmatiche e, quindi, il
compenso ricevuto dal fornitore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al cliente7.
Il caso materiale e i fatti di causa
La controversia della sentenza in commento riguarda una nota squadra di calcio professionistica. Nella
specie, si discute della natura imponibile o non imponibile Iva del compenso che la squadra ospite, in
virtù della normativa prevista dalla Federazione sportiva, riceve dalla squadra che gioca in casa in
occasione delle partite del campionato di calcio di serie A.
Brevemente la vicenda nei termini essenziali.
Alla società contribuente veniva notificato un avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2000, con il
quale l’Agenzia delle entrate riprendeva a tassazione una maggiore Iva, oltre le consequenziali somme
a titolo di interessi e sanzioni.
L’ente impositore sosteneva che il trasferimento del denaro tra le 2 squadre, raccolto dal prezzo dei
biglietti d’ingresso pagati dagli spettatori per assistere all’evento sportivo, sia imponibile ai fini Iva
avendo una finalità non mutualistica o associativa, ma commutativa in quanto esso presupporrebbe uno
scambio di reciproche prestazioni.
Invece la società, in disaccordo con la posizione dell’Agenzia delle entrate, si opponeva facendo valere
la non imponibilità dell’operazione8.
7 In tal senso, cfr. Corte di Giustizia, sentenza 19 dicembre 2018, Causa C-51/18, Commissione/ Austria, EU:C:2018:1035, punto 34; sentenza 5
luglio 2018, Causa C-544/16, punti 36 e 37. 8 Per le norme nazionali di riferimento, si rinvia all’articolo 2, comma 3, lettera a), D.P.R. 633/1972, che così recita: “Non sono considerate
cessioni di beni … le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro”. E, inoltre, all’articolo 3, comma 1 del medesimo Decreto Iva in
forza del quale: “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato,
spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Iva
50 Iva in pratica n. 48/2020
Il giudice di primo grado respingeva il ricorso con sentenza confermata dalla CTR la quale, in particolare,
rilevava che: “con riferimento all'omessa fatturazione di operazioni imponibili relative a somme erogate ad
altre società di calcio per la partecipazione della propria rappresentativa a partite disputate fuori Roma, …
non sussisteva alcuno scopo mutualistico nella predetta operazione, che derivava invece dal rapporto
commutativo inerente la prestazione dell'attività calcistica tra le 2 società partecipanti alla gara”.
In seguito, il giudizio proseguiva innanzi alla Corte Cassazione. In tale fase processuale, la società
insisteva nel ribadire che la fonte del trasferimento del denaro non ha natura sinallagmatica e, quindi,
imponibile, “bensì trovi ragione nella finalità mutualistica cui mira l'associazione delle squadre calcistiche
alle relative federazioni”.
Tanto è vero - sottolinea la contribuente - che “una lettura corretta dell’articolo 30, comma 2, emanato
dalla Lega Nazionale Professionisti, … avrebbe condotto a ritenere evidente la finalità associativa del
trasferimento di denaro …, con assoluta esclusione di qualsivoglia corrispettività ai fini della invece ritenuta
assoggettabilità a Iva.”.
Da qui, conclude la società, l’errore commesso dalla CTR nell’affermare “la natura commutativa della
partecipazione della società alla gara della società ospite”.
Inquadramento del tema
Un primo aspetto, propedeutico alla soluzione del caso di specie, concerne la qualificazione della
società all’interno dell’ordinamento italiano9.
Sul punto, la Cassazione ricorda che la parte contribuente oltre a essere una società di capitali quotata
risulta anche associata alle Federazioni sportive e, come tale, deve rispettare le norme regolamentari
stabilite da quest’ultime, sotto pena di incorrere nelle sanzioni della giustizia sportiva.
E la normativa associativa, precisano i supremi giudici, “prevede una specifica destinazione di parte della
somma di denaro raccolta in occasione della manifestazione sportiva che interferisce con la normativa
tributaria statale”. In particolare, la “provvista in denaro oggetto di transazione è costituita, sempre per
effetto della normativa di fonte privatistica, dall'ammontare dell'incasso che la squadra ospitante raccoglie
per effetto del prezzo dei titoli di legittimazione che vengono offerti al pubblico degli spettatori (abbonamenti,
biglietti di ingresso e similari)”.
9 A riguardo la Commissione Europea, nell’ambito del diritto di concorrenza, ha attribuito alle società professionistiche sportive la natura di
impresa. Non solo, ma la stessa Commissione ha constatato che sia la FIFA (cioè, l’associazione internazionale delle federazioni calcistiche)
che la FIGC rappresentano, a loro volta, imprese. Cfr., per tutte, le conclusioni dell'avvocato generale Lenz, causa C-415/93 del 20 settembre
1995, Bosman, punti 254 e 275: “Come la Commissione ha correttamente fatto rilevare nel corso della trattazione orale, non si tratta qui di contratti
collettivi, bensì di semplici accordi orizzontali tra società calcistiche. Già per questo motivo l'argomentazione dell'UEFA non può essere accolta. Non
si vede infatti per quale motivo accordi o decisioni di questo tipo non dovrebbero ricadere nell'ambito di applicazione” della disciplina in materia di
concorrenza che riguarda, com’è noto, “gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate”.
Iva
51 Iva in pratica n. 48/2020
Da ciò è agevole dedurre che, ai fini fiscali, il nodo centrale della questione ruota intorno al dubbio, che
la Cassazione è chiamata ad affrontare e risolvere, se la società avrebbe dovuto fatturare con Iva la
percentuale dell’incasso ricevuto e, dunque, se il trasferimento delle somme, effettuato in osservanza
dell’obbligo associativo, rappresenti o meno un'operazione rilevante ai fini Iva.
La posizione della Cassazione
Va detto, fin da subito, che la sentenza in commento ha condiviso la soluzione del giudice di merito e,
dunque, confermato la natura imponibile del passaggio di denaro, seppur con una diversa e ben più
articolata motivazione.
Anzitutto, secondo la Cassazione, “va negato … che la transazione oggetto di lite possa astrattamente
iscriversi nella solidarietà mutualistica che abbraccia le finalità associative delle squadre di calcio
professionistiche”.
D’altronde, “nella specie il denaro che transita è raccolto in conseguenza della partecipazione del pubblico
all'evento sportivo. Ciò significa che il denaro incassato dalla società ospitante è il corrispettivo di un servizio
(lo spettacolo calcistico), che essa offre al pubblico, il quale paga il prezzo del biglietto per assistere alla
prestazione sportiva.
Da tanto discende che, nel momento in cui la normativa associativa interviene per disciplinare la sorte di tale
somma, imponendone un riversamento parziale alla società ospitata, non vi è alcuna modificazione della
natura dell'incasso, che resta sempre e comunque un corrispettivo per la prestazione del servizio che
entrambe le squadre rendono al pubblico pagante”.
A questo punto la Corte osserva, senza alcun indugio, che “Resta in conclusione escluso che i compensi
percepiti per la partecipazione agli incassi delle partite giocate in trasferta abbiano natura mutualistica, il
cui tratto caratterizzante consiste nell'intento di realizzare non già il profitto, ma l'immediato vantaggio dei
soci dell'ente che persegue il suddetto fine”10.
Incomparabilità tra i premi di preparazione e i compensi percepiti per l’evento sportivo
Interessantissimo è il ragionamento della Cassazione relativamente alla qualificazione Iva dei premi di
preparazione. Tali premi, osserva la Corte, sono costituiti dagli importi pagati dalla società che possiede
10 Ne deriva, sul piano processuale, il rigetto della “richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea” formulata dalla
Società. Infatti, come precisato nella sentenza in commento, “va rilevato che non esiste alcun diritto della parte all'automatico rinvio pregiudiziale
ogni qualvolta - come nella specie - la Corte di Cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cassazione SS.UU. n. 14042/2016), bastando che le
ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek vs Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia
manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni vs Italia)”.
Iva
52 Iva in pratica n. 48/2020
il cartellino del calciatore in favore delle squadre che hanno, in precedenza, tesserato il giocatore
contribuendo, pertanto, a formarlo per la sua crescita professionale nelle categorie superiori.
Sicché, nel caso dei premi: “la somma di denaro … non proviene dalla vendita dei biglietti a terzi, ma deve
essere corrisposta dalla società di categoria superiore con un prelievo diretto dal proprio patrimonio, seppur
sempre nella misura anch'essa stabilita dalla normativa secondaria federale (con un criterio di aumento
proporzionale a seconda della categoria di appartenenza del giocatore debuttante)”.
Pertanto, il “contributo economico” imposto dalle regole federali “alla società di categoria superiore per
compensare quelle inferiori per il contributo formativo alla preparazione del calciatore, che potrebbe
corrispondere a una finalità di mutualità calcistica”, non è assolutamente comparabile con la “quota in
denaro di un incasso ricavata dell'esborso fatto da terzi per ottenere la legittimazione ad assistere alla
prestazione sportiva di entrambe le squadre, che è qualificabile come "ricavo tipico". … Ne consegue che per
l'incasso di tale importo vi sia obbligo di fatturazione, al pari di ogni altro derivante da servizi resi a terzi”11.
Riflessioni conclusive
La sentenza in commento è meritevole di attenzione perché tocca un profilo fondamentale del sistema
Iva e, precisamente, il requisito dell’onerosità dell’operazione12.
Ebbene, riprendendo le indicazioni della Corte di Giustizia, perché l’operazione sia rilevante deve
sussistere un collegamento diretto tra la fornitura di beni o servizi effettuati e il corrispettivo ricevuto13.
Viceversa, se l’attività di un operatore economico consiste nel fornire esclusivamente prestazioni senza
contropartita diretta, non vi è alcuna base imponibile e il servizio, in quanto gratuito, non è soggetto a
Iva14.
11 Si veda l’articolo 74-quater, D.P.R. 633/1972 che, nel richiamare le prestazioni di servizi indicate nella Tabella C, assoggetta a Iva gli introiti
“da spettacoli sportivi, di ogni genere, ovunque si svolgono”. “E ciò perché – si legge nella sentenza in commento – “le prestazioni della società
calcistica ospite sono soggette a imposizione sul valore aggiunto, essendo realizzate da un soggetto passivo d'imposta (società professionistica) che
effettua prestazioni servizi (di spettacolo sportivo) secondo il requisito di territorialità, generando pertanto reddito d'impresa, come riconosciuto dalla
storica sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 174/1971 e da ultimo ribadito da questa sezione con la sentenza n. 345/2019”. 12 In tema, la Corte di Giustizia ha ripetutamente ribadito la necessità di una stretta correlazione tra prestazione e controprestazione. Tra tante,
si veda la sentenza C-380/99 del 3 luglio 2001, Bertelsmann, punto 17, ove i giudici europei hanno stabilito che: “Per interpretare a tale scopo
la nozione di «corrispettivo» di cui all'articolo 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante,
il corrispettivo di una fornitura di beni può consistere in una prestazione di servizi e costituirne la base imponibile ai sensi di detta disposizione se
sussiste un nesso diretto fra la fornitura dei beni e la prestazione dei servizi e se il valore di quest'ultima può essere espresso in denaro (v.,
segnatamente, le già citate sentenze Naturally Yours Cosmetics, punti 11, 12 e 16, e Empire Stores, punto 12)”. 13 Per tali motivi sembra del tutto irrilevante ai fini Iva il richiamo, nella parte motiva della sentenza in commento, alla disciplina civilistica.
Più in dettaglio, la Cassazione osserva che: “dopo la Riforma del diritto societario del 2004, la natura mutualistica non è più sinonimo di neutralità
fiscale. Invero, con la Riforma, come è noto, le società cooperative, che hanno sempre costituito l'archetipo della mutualità, essendo essa la causa
associativa immanente in tale forma di organizzazione, sono state distinte, proprio a fini fiscali, in cooperative a mutualità prevalente e cooperative
a mutualità non prevalente …. In linea di principio, quindi, argomentare la natura mutualistica di un'organizzazione per inferirne l'esonero da
tassazione di ogni transazione che la riguardi per effetto di tale natura è in via di principio errato, giacché la vigente legislazione dimostra che esistono
fattispecie in cui, pur perseguendo una finalità mutualistica, la corporazione è assoggettata a un trattamento fiscale speciale nell'ipotesi che non si
rispettino i parametri previsti dalla legge per il riconoscimento del carattere di mutualità”. 14 In altre parole, deve sussistere un sinallagma diretto tra la prestazione e la controprestazione che si manifesta in presenza di un rapporto
giuridico tra il soggetto che effettua il servizio e chi lo paga.
Iva
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L’onerosità dell’operazione – si badi bene - va intesa in senso europeo15 e, quindi, non deve essere
valutata in relazione all’ammontare della controprestazione, essendo sufficiente che essa esista come
scambio del bene o del servizio ricevuto16. Fermo restando che risulta ininfluente anche l’eventuale
sproporzione tra prestazione e controprestazione17.
SCHEDA DI SINTESI
Il collegamento tra la prestazione e la controprestazione rappresenta un elemento essenziale
dell’economicità dell’operazione e, dunque, della sua rilevanza ai fini Iva che esiste quando tra
il fornitore e il cliente intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno
scambio di reciproche prestazioni sinallagmatiche e quindi, il compenso ricevuto dal fornitore
costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al cliente.
Ne consegue l’imponibilità Iva dei compensi percepiti da una società di calcio professionistica
per la partecipazione alle gare in trasferta del campionato di calcio di serie A
15 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-37/08 del 3 settembre 2009, RCI Europe, punto 24: “A tale proposito, la Corte ha già statuito che una
prestazione di servizi viene effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’articolo 2, punto 1, VI Direttiva, ed è dunque imponibile, soltanto quando tra il
prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso
ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (si veda, in particolare, sentenze causa C-16/93 del 3 marzo
1994, Tolsma, Racc. pag. I-743, punto 14, causa C-172/96 del 14 luglio 1998, First National Bank of Chicago, Racc. pag. I-4387, punti 26-29, e causa
C-174/00 del 21 marzo 2002, Kennemer Golf, Racc. pag. I-3293, punto 39)”. 16 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-154/80 del 5 febbraio 1981, Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats GA, punti da 13 a 15: “si desume
inoltre, dall'uso dei termini, “a titolo oneroso”' e “cio che è ricevuto quale corrispettivo”, in primo luogo che il controvalore di una prestazione di servizi
deve poter essere espresso in denaro, il che è del resto confermato” dalla Direttiva la quale stabilisce che l'aliquota normale dell'Iva è stabilita …
secondo una percentuale … della base imponibile, cioè in una determinata proporzione di ciò che costituisce il controvalore della prestazione di
servizi, il che implica che questo controvalore possa essere espresso in una somma di danaro; in secondo luogo, che questo controvalore e un valore
soggettivo, giacchè l'imponibile per le prestazioni di servizi e il corrispettivo realmente ricevuto, non già un valore stimato secondo criteri obiettivi.
Di conseguenza, la prestazione di servizi per la quale non è ricevuto alcun corrispettivo soggettivo determinato, non è una prestazione di servizi “a
titolo oneroso” e non è quindi imponibile ai sensi della … Direttiva. Ne consegue che non si può parlare di controvalore … nel caso di una cooperativa
esercente un deposito di merci la quale non riscuota dai propri soci alcun diritto di custodia per la prestazione fornita”. 17 Come indica la Corte di Giustizia nella sentenza causa C-520/14 del 12 maggio 2016, Gemeente Borsele, punti da 25 a 27: “Nel caso di specie,
occorre constatare che il contributo dei genitori ai costi di trasporto scolastico non è calcolato in funzione dei costi reali dei servizi forniti. Infatti, l’importo
di tale contributo dei genitori non è collegato né al numero dei kilometri percorsi quotidianamente, né al costo per tragitto per ogni allievo trasportato, né
alla frequenza dei tragitti. Tuttavia, la circostanza che un’operazione economica venga svolta a un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante
ai fini della qualificazione di tale operazione come “negozio a titolo oneroso”. Quest’ultima nozione presuppone, infatti, unicamente l’esistenza di un nesso
diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi e il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo (si veda, in tal senso, le sentenze
C-102/86 dell’8 marzo 1988, Apple and Pear Development Council, punto 12, e C-412/03 del 20 gennaio 2005, Hotel Scandic Gåsabäck, punto 22). Pertanto,
il pagamento da parte di circa 1/3 dei genitori dei bambini trasportati di un contributo al trasporto scolastico consente di concludere che il comune di
Borsele ha eseguito una prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 2, § 1, lettera c), Direttiva Iva”.
Il caso risolto
54 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
Aliquota Iva per il contratto di appalto
relativo a più immobili di Centro studi tributari
Il caso
Alfa Srl, immobiliare di costruzione, ha acquistato un terreno edificabile sul quale intende costruire
alcune abitazioni, non accatastate nelle categorie A/1, A/8 o A/9, e prive dei requisiti per essere
considerate quali "case di lusso", per poi cederle a privati.
A tal fine, Alfa Srl intende sottoscrivere un contratto di appalto per la costruzione con la Beta Srl, società
che controlla Alfa Srl al 75%.
Si chiede quale sia la corretta Iva da applicare.
La soluzione
L’articolo 10, comma 1, n. 8-bis), D.P.R. 633/1972, introduce la regola generale per le cessioni di
fabbricati o di porzioni di fabbricato abitativi, consistente nell’esenzione Iva.
Fanno eccezione a tale regola generale:
1. le cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi entro 5 anni dall’ultimazione
della costruzione o dell’intervento;
2. le cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo
atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
3. le cessioni di fabbricati abitativi destinati ad “alloggi sociali”, per le quali nel relativo atto il cedente
abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imponibilità.
Nel caso di cessioni infraquinquennali effettuate dalle imprese costruttrici o di rispristino del fabbricato
ceduto, l’imponibilità è per obbligo di legge. Le stesse cessioni, al contrario, se realizzate oltre il
quinquennio, sono soggette al regime “naturale” di esenzione, salva l’opzione per l’imponibilità espressa
dalle imprese costruttrici o di ripristino all’atto della cessione.
Il n. 127-undecies), Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972, stabilisce che le cessioni di fabbricati
abitativi (non aventi le caratteristiche di abitazioni “di lusso” secondo i criteri stabiliti dal D.M. 2 agosto
1969), effettuate dalla imprese costruttrici, scontano l’Iva con applicazione dell’aliquota ridotta del 10%,
salva l’applicazione dell’aliquota del 4% qualora il cessionario sia in possesso dei requisiti “prima casa”
di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986.