IULM - LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELLO SPETTACOLO DOTTORATO DI RICERCA IN ECONOMIA DELLA COMUNICAZIONE (XVIII CICLO) TESI DI DOTTORATO CITTÀ E CULTURA. POLITICHE PER UNO SVILUPPO URBANO SOSTENIBILE BASATO SULLA CULTURA Coordinatore Chiar.mo Prof. Carlo A. RICCIARDI Tutor Chiar.mo Prof. Michele TRIMARCHI Candidata Mariangela LAVANGA ANNO ACCADEMICO 2004-2005
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IULM - LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE … · LA COMPLESSITÀ DELLO SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA 46 ... cultura, creatività e sviluppo economico si è intensificato
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IULM - LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE MILANO
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELLO SPETTACOLO
DOTTORATO DI RICERCA IN ECONOMIA DELLA COMUNICAZIONE (XVIII CICLO)
TESI DI DOTTORATO
CITTÀ E CULTURA.
POLITICHE PER UNO SVILUPPO URBANO
SOSTENIBILE BASATO SULLA CULTURA
Coordinatore
Chiar.mo Prof. Carlo A. RICCIARDI
Tutor
Chiar.mo Prof. Michele TRIMARCHI
Candidata
Mariangela LAVANGA
ANNO ACCADEMICO 2004-2005
2
INDICE
INTRODUZIONE 5
STRUTTURA DELLA RICERCA 5
Introduzione all’argomento 5
Definizione del problema e obiettivi della ricerca 6
Introduzione all’analisi dei casi studio 8
PROBLEMI DI DEFINIZIONE 10
Cultura 10
Industrie culturali 11
Industrie creative 12
IL CONTESTO DI RIFERIMENTO. CITTÀ E SOCIETÀ
CONTEMPORANEA 15
IL NUOVO SCENARIO URBANO 15
NUOVE FORME DI GESTIONE URBANA 18
IL DIBATTITO SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE 19
CONCLUSIONI: QUALE RUOLO PER LA CULTURA NELLA CITTÀ POST-MODERNA? 22
Glasgow: cultura e rigenerazione urbana 24
CITTÀ, CULTURA E SVILUPPO 31
L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE CULTURALI URBANE 31
L’ECONOMIA CULTURALE E LE INDUSTRIE CULTURALI 36
LA CITTÀ CREATIVA 37
IL CLUSTER CULTURALE 41
3
VERSO UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLO SVILUPPO
URBANO BASATO SULLA CULTURA 46
LA COMPLESSITÀ DELLO SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA 46
I DILEMMI STRATEGICI DELLO SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA 48
Audience: turisti verso residenti 48
Dilemma spaziale: centro verso periferia 49
Dilemma dello sviluppo economico: consumo culturale vs produzione culturale 50
Dilemma dei fondi destinati alla cultura: permanente verso effimero 51
L’ASSE CULTURALE DI ROTTERDAM. QUARTIERE MUSEALE, QUARTIERE CULTURALE
DI WITTE DE WITHSTRAATT, WATERFRONT 71
INDUSTRIE CULTURALI E CLASSE CREATIVA A ROTTERDAM 72
CASO STUDIO DI TAMPERE 76
INTRODUZIONE 76
DALLA CITTÀ INDUSTRIALE AD UNO DEI CENTRI PIÙ AVANZATI NELLE NUOVE
TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE 79
LA POLITICA CULTURALE DI TAMPERE 83
ATTIVITÀ CULTURALI E CONSUMATORI CULTURALI A TAMPERE 87
TURISMO A TAMPERE 89
ATTIVITÀ CULTURALI, PRODUZIONE CULTURALE E RIGENERAZIONE URBANA: IL
CLUSTER CULTURALE FINLAYSON/TAMPELLA 90
4
CONCLUSIONI 94
NOTE CONCLUSIVE AL CASO STUDIO DI ROTTERDAM 94
NOTE CONCLUSIVE AL CASO STUDIO DI TAMPERE 95
CONCLUSIONI 96
BIBLIOGRAFIA 100
5
INTRODUZIONE
Struttura della ricerca
Introduzione all’argomento
A partire dagli anni Ottanta, la cultura è divenuta una componente sempre più
rilevante delle strategie di rigenerazione urbana, diversificazione e sviluppo
economico di numerose città, soprattutto in Europa, Nord America e Australia.
Tale processo è stato incoraggiato dalle politiche nazionali di decentralizzazione
dei poteri, dalla necessità di adattamento alle trasformazioni economiche e sociali
causate dai processi di ristrutturazione economica degli anni Settanta e dei primi
anni Ottanta, e dalla presenza di una domanda di cultura crescente, sempre più
differenziata e sofisticata. L’enfasi degli anni Settanta rivolta allo sviluppo, alla
partecipazione, all’eguaglianza sociale, alla democratizzazione dello spazio
urbano e alla rinascita della vita pubblica viene ad essere sostituita da un
linguaggio che esalta il contributo potenziale della politica culturale nella
rigenerazione urbana economica e fisica, evidenziando il ruolo che i progetti
culturali rivestono per la promozione di una positiva immagine urbana.
Nell’ultimo decennio, lo studio e il dibattito sulle relazioni tra città/territorio,
cultura, creatività e sviluppo economico si è intensificato e, in particolare, si sono
affermate teorie sulla ‘città creativa’ e la ‘classe creativa’, e sui ‘distretti
culturali’, tema particolarmente discusso in Italia visto il modello distrettuale che
caratterizza lo sviluppo recente della nostra piccola e media impresa. Negli ultimi
anni, numerose città europee stanno sforzandosi di reinventare se stesse come città
creative, nutrendo un interesse crescente nell’ospitare grandi istituzioni ed eventi
culturali (festival, Capitale Culturale Europea, etc.) e nel pianificare quartieri e
distretti culturali.
6
L’evidenza empirica in Europa mostra una grande varietà di strategie di sviluppo
urbano basate sulla cultura. Tali strategie possono prevedere diversi gradi di
intervento pubblico e privato; possono essere il risultato di una pianificazione per
il riuso di aree degradate o edifici abbandonati (approccio top-down), o di uno
sviluppo spontaneo attorno ad alcune funzioni o organizzazioni già esistenti e
catalizzatrici di sviluppo (approccio bottom-up); possono presentare un forte
orientamento al consumo culturale (un quartiere museale, per esempio) o più
specificatamente alla produzione culturale (un distretto dell’audio-visivo), o
entrambi.
Definizione del problema e obiettivi della ricerca
Nonostante l’uso generale e diffuso delle attività culturali per la rigenerazione
urbana - accentuato da quella che si potrebbe chiamare una crescente
‘competizione culturale’1 tra città europee - mancano spesso strategie che
consentano alla cultura di diventare parte integrante di uno sviluppo urbano
sostenibile. Tale mancanza è dovuta principalmente alla preferenza per approcci
che prediligono ritorni di breve periodo, avvalorata da valutazioni di impatto
esclusivamente economico (impatto diretto, indiretto e indotto in termini di effetti
moltiplicatori di spesa/reddito e di occupazione).
A questo si aggiunge il fatto che molti policy-maker nelle città europee, in
particolare in Italia, non sono ancora sufficientemente consapevoli del potenziale
delle risorse culturali presenti nei loro territori; prevalgono, quasi sempre,
definizioni estetiche di cultura e di arte così che le politiche per le arti sono
raramente coordinate con le politiche per le nuove industre culturali, con elementi
della cultura locale e con le politiche urbane. Il risultato di questa mancanza è 1 Si pensi all’intensa competizione tra le città inglesi per aggiudicarsi il titolo di Capitale Culturale
Europea per l’anno 2008. Delle dodici città che hanno presentato domanda, sono state selezionate
nel 2003 Bristol, Oxford, Cardiff, Liverpool, Newcastle-Gateshead e Birmingham. Tra queste è
stata scelta la città di Liverpool.
7
quindi un generale fallimento dello sfruttamento potenziale di sinergie e di
opportunità strategiche di sviluppo urbano.
La formulazione di un’efficace ed effettiva agenda di policy urbana orientata al
settore culturale richiede quindi maggior conoscenza dei processi e degli impatti
generati dalla cultura nella città, oltre che degli strumenti che permettono di
sviluppare sinergie tra il settore culturale e gli altri settori dell’economia urbana.
Alla cultura sono riconosciuti una serie di effetti sull’ambiente urbano cha non si
esauriscono negli impatti economici di breve periodo. Essi comprendono – ed è
proprio qui che viene riconosciuta la vera forza del settore – impatti più intangibili
di tipo qualitativo. Sebbene difficili da quantificare, gli impatti qualitativi
forniscono alle città una dimensione di attrazione e di capacità competitiva che è
molto reale. Tali benefici riguardano la sfera ambientale (qualità della vita, spazio
pubblico, qualità del design urbano, etc.), la sfera sociale (coesione e inclusione
sociale, livello di partecipazione alle attività culturali, benessere, etc.) e la sfera
culturale (la vita culturale urbana, l’identità e il patrimonio culturale urbano, la
governance culturale, etc.).
Se vi è ampia diffusione delle metodologie di valutazione dell’impatto
economico, manca invece un approccio integrato alla valutazione
multidisciplinare degli impatti della cultura sull’ambiente urbano. L’integrazione
della cultura nello sviluppo urbano promette di rivelare interdipendenze che
difficilmente possono essere limitate alla sola sfera economico-finanziaria; solo
un’analisi multidisciplinare può contribuire a comprenderle appieno. Considerare
il carattere multidimensionale dei benefici della cultura, riconciliare quindi le
dimensioni ambientali, culturali e sociali con quelle economiche, diventa
prioritario per valutare il ruolo della cultura nello sviluppo urbano sostenibile.
La presente tesi ha come obiettivo generale quello di offrire un contributo alla
comprensione delle interdipendenze tra la cultura e lo sviluppo urbano. La
metodologia di ricerca si basa su una revisione della letteratura sull’argomento e
8
sull’analisi di casi studio. L’analisi comparativa e di descrizione analitica e critica
di casi studio sarà quindi il contributo offerto dal presente lavoro allo studio delle
interrelazioni tra cultura e sviluppo urbano sostenibile.
Introduzione all’analisi dei casi studio
Le città oggetto del presente lavoro di ricerca sono Rotterdam e Tampere, due
città europee con un passato industriale e attraversate oggi da processi di
diversificazione economica e di rigenerazione urbana, in cui la cultura gioca un
ruolo strategico. La scelta di tali casi studio risiede principalmente nel fatto che le
due città permettono di rappresentare bene i processi di trasformazione
dell’economia da industriale a post-industriale, e nello stesso tempo permettono di
evidenziare il ruolo che la cultura svolge in tali processi. A livello nazionale,
entrambe le città sono ‘seconde città’ ed entrambe sono prive del ricco patrimonio
culturale che caratterizza invece le città capitali Amsterdam e Helsinki. La scelta
dei casi permette inoltre di mettere in evidenza due diverse tipologie di strategie
di rigenerazione urbana basata sulla cultura: da un lato Rotterdam che investe nel
miglioramento dell’immagine urbana per accrescere la capacità attrattiva,
dall’altro Tampere che investe nel miglioramento delle relazioni tra cultura,
spazio urbano e identità locali, e la sperimentazione di nuove forme di governance
e comunicazione con i residenti (si pensi al programma e-Tampere).
La scelta di Rotterdam è stata inoltre influenzata dall’opportunità avuta di
trascorrere, nel corso degli ultimi sette anni, diversi periodi di studio e di ricerca
presso l’Erasmus University Rotterdam, in particolar modo presso l’Euricur –
European Institute for Comparative Urban Research: nel 1998 grazie al
programma europeo Erasmus di scambio universitario durante il Corso di Laurea
in Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano, nel 2001 e 2002 in
seguito alla frequenza del Master Internazionale in Management Urbano
organizzato dall’Euricur, infine nel 2004 e 2005 grazie al periodo di ricerca
all’estero durante il Dottorato di Ricerca in Economia della Comunicazione presso
9
l’Università IULM di Milano. I servizi di biblioteca e accesso ai dati messi a
disposizione dall’Euricur e dall’Erasmus University hanno reso possibile gli
approfondimenti sulle tematiche legate allo sviluppo urbano. Infine, la possibilità
di fare ricerca in una città in costante trasformazione urbana mi ha permesso di
osservare e analizzare nella pratica quanto evidenziato dalla teoria.
L’analisi dei casi studio si basa su dati primari e secondari, report e documenti di
policy, interviste semi-strutturate ad attori chiave nelle città oggetto di studio.
Partendo da un’analisi e mappatura delle attività culturali nelle città in questione,
la ricerca si focalizza sui ruoli della cultura per uno sviluppo urbano sostenibile,
identificando sia esemplari di eccellenza sia squilibri e aree di potenziale
inutilizzato nelle relazioni dinamiche tra cultura e sviluppo urbano sostenibile.
L’analisi permetterà di suggerire strategie di policy per migliorare le interrelazioni
tra cultura e sviluppo urbano sostenibile.
L’analisi dei casi studio segue il seguente schema:
Struttura dell’economia urbana;
Progressiva trasformazione dell’immagine della città;
Strategia culturale urbana (priorità, budget culturale, etc.);
Attività culturali (introduzione sulle attività culturali, numero visitatori
culturali, proporzione residenti, etc.);
Cultura e turismo;
Cluster culturali;
Industrie culturali e classe creativa.
10
Problemi di definizione
Per i fini analitici ed operativi del presente lavoro è indispensabile fornire alcune
definizioni riguardanti il settore culturale.
Cultura
La parola ‘cultura’ racchiude molteplici significati; questi sono diversi a seconda
dei contesti e delle discipline, oltre ad essere soggetti a numerosi cambiamenti nel
corso dei secoli. Risulta, infatti, essere particolarmente difficile fornirne un’unica
ed univoca definizione di ‘cultura’. Sono quindi ancora presenti incertezze su
quali siano i confini del settore.
Da coltivazione della mente e dell’intelletto, a prodotto delle arti cosiddette
‘elevate’, a modo di vivere di una società, l’economista Throsby (2001) riconduce
l’ampia varietà di definizioni a due categorie principali2: cultura come ‘processo’
e cultura come ‘prodotto’. La prima – legata ad aspetti antropologici e sociologici,
prevalentemente immateriali – utilizza il termine ‘cultura’ facendo riferimento
agli usi e costumi, credenze, valori e consuetudini condivisi da un gruppo (e che
permettono quindi di identificare il gruppo stesso). In questa accezione il concetto
di cultura è utile per evidenziare il ruolo dei fattori culturali nella performance
economica e la relazione tra cultura e sviluppo economico. La seconda categoria –
più funzionale e legata ad aspetti prevalentemente materiali – fa riferimento alle
attività e ai prodotti collegati agli aspetti intellettuali, morali ed artistici della vita
umana. Viene utilizzato con più frequenza l’aggettivo ‘culturale’ piuttosto che il
nome ‘cultura’ (si parla di settore culturale, industrie culturali, beni culturali, etc.).
Per meglio definire le attività che rientrano in tale categoria, Throsby (2001)
indica tre criteri: a) la creatività nel processo produttivo; b) la creazione e la
2 Throsby (2001) precisa che tale distinzione non pretende di essere universale; Throsby (2001)
chiarisce inoltre che le due definizioni non sono alternative l’una all’altra.
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comunicazione di significato simbolico; c) l’implicazione di una qualche forma di
proprietà intellettuale. In questa definizione rientrano quindi le arti tradizionali
(musica, letteratura, poesia, danza, teatro) e le arti visive. Cinema, editoria,
giornalismo, radio, televisione ed alcuni aspetti del design possono essere
ricondotti a tale categoria, purché rispettino i tre criteri.
A livello europeo, EUROSTAT (2000) definisce il settore culturale in senso
ampio; esso comprende i beni culturali, le arti visive, l’architettura, lo spettacolo
dal vivo, l’industria dell’audiovisivo, l’industria editoriale, le biblioteche e gli
archivi. A livello nazionale e locale, emergono svariate definizioni di cultura, che
allargano o restringono il campo di attività oggetto delle politiche culturali.
Industrie culturali
Nell’ultimo decennio, l’utilizzo dei termini cultural industries e creative
industries si è ampiamente diffuso in gran parte dei documenti di politica culturale
(sia nazionale che regionale e locale), nella letteratura accademica, in conferenze e
dibattiti riguardanti le relazioni tra cultura e sviluppo economico. Se, coniando il
termine culture industry, l’obiettivo di Adorno e Horkheimer (1947)3 era
chiaramente polemico, vale a dire mettere in risalto il nesso paradossale tra cultura
e industria sottolineando l’emergere di una mercificazione e commercializzazione
dei prodotti culturali, il Greater London Council (GLC) – attivo dal 1981 fino alla
sua abolizione nel 1986 – riprende il termine in chiave positiva e definisce le
cultural industries come «those institutions in our society which employ the
characteristics modes of production and organisation of industrial corporations to
produce and disseminate symbols in the forms of cultural goods and services,
generally, though not exclusively, as commodities» (Garnham, 1983).
Questo termine sottolineava le caratteristiche di democraticità e località della
nuova politica culturale inglese, in quanto legittimava in maniera crescente la
3 Adorno, T. e Horkheimer, M. (1979 / 1947) Dialectic of Enlightenment. London: Verso.
12
cultura popolare (musica, film, televisione) e le sue forme di produzione.
L’obiettivo era quello di stimolare lo sviluppo economico locale attraverso il
supporto e la promozione delle piccole imprese culturali, fortemente localizzate
nei territori urbani e fortemente dipendenti dai network di relazioni (O’Connor,
2004). O’Connor (2004) spiega come il termine cultural industries sia una
«costruzione discorsiva», che richiede costantemente chiarificazioni sul suo
significato.
Sebbene a livello statistico il dibattito verta attorno alla definizione di cosa rientri
o non nelle industrie culturali al fine di fornire una conoscenza quantitativa del
settore, il termine viene spesso utilizzato con lo scopo di dare peso economico a
un settore normalmente percepito come marginale. A ragione o a torto, non si
tratta di un tentativo di soppiantare il termine ‘cultura’. L’intento è quello di
enfatizzare il ruolo economico di tali attività: non semplicemente servizi che
richiedono sussidi pubblici, ma un settore produttivo che si alimenta e sviluppa in
svariate modalità all’interno dell’economia locale, regionale e nazionale.
Industrie creative
È nel 1998 che i nuovi documenti di politica culturale del nuovo governo inglese
(‘New Labour’) riporteranno il termine creative industries e non più cultural
industries. Il Department of National Heritage viene rinominato Department for
Culture, Media and Sport (DCMS) a sottolineare il passaggio di interesse dal
supporto alle tradizionali arti elevate a quelle nuove e più creative. Il DCMS
definisce le industrie creative come «those industries which have their origin in
individual creativity, skill and talent and which have a potential for wealth and job
creation through the generation and exploitation of intellectual property… The
creative industries include advertising, architecture, the arts and antiques
market, crafts, design, designer fashion, film and video, interactive leisure
software, performing arts, publishing, software, TV and radio» (DCMS,
1998).
13
Alla base di tale cambiamento risiedono diverse motivazioni politiche e teoriche:
argomenti economici riguardanti la struttura e le dinamiche di tali industrie, il loro
ruolo e peso nell’economia e le relazioni tra politica culturale, economica e
industriale; lo specifico contesto storico-politico inglese caratterizzato dal
processo di privatizzazione dei servizi pubblici iniziato sotto il governo della
Thatcher; il rafforzamento dei linguaggi economici e manageriali all’interno delle
politiche culturali; ma soprattutto l’insieme delle politiche riguardanti la società
dell’informazione (Garnham, 2005). Infatti il cambiamento da ‘culturali’ a
‘creative’ è avvenuto nel contesto di un ampio dibattito sugli impatti delle ICT e
la relazione tra l’utilizzo dei nuovi network di comunicazione e i prodotti e servizi
che ne fanno utilizzo. Il termine ‘creative’ fa quindi esplicito riferimento alla
società dell’informazione.
Diverse analisi condotte durante gli anni Ottanta e Novanta sul potenziale di
esportazione delle industrie culturali in Gran Bretagna e il famoso lavoro di
Myerscough’s (1988) The Economic Importance of the Arts in Britain hanno
portato il DCMS a censire le industrie creative in Gran Bretagna (Creative
Industries Mapping Document, 1998) e affermare che il settore presenta il tasso di
crescita più elevato dell’economia nazionale, che è importante puntare sulla
formazione dei lavoratori creativi e sulla protezione della proprietà intellettuale.
Nel 1998 è stato stimato che l’intero settore ha offerto occupazione a circa 1
milione di persone, generando un reddito di circa 57 miliardi di sterline (Tab. 1);
circa 450.000 creativi sono stati inoltre impiegati in altri settori, innalzando così il
totale della forza lavoro creativa a circa 1,4 milioni, il 5% dell’intera forza lavoro
nazionale. Nel 2001 l’occupazione sale a circa 1,300 milioni di persone, il reddito
generato è di circa 100 miliardi di sterline.
Tabella 1 – Reddito e occupazione nelle industrie creative in Gran Bretagna 1998-2001.
1998 2001 Variazione % Reddito stimato (in milioni di £) 57.000 112.500 97,3% Occupazione 966.000 1.322.000 37%
Fonte: Department of Culture, Media and Sport (2001)
14
15
CAPITOLO I
IL CONTESTO DI RIFERIMENTO.
CITTÀ E SOCIETÀ CONTEMPORANEA
Il nuovo scenario urbano
I recenti cambiamenti tecnologici, sociali, politici ed economici della società
contemporanea hanno fortemente influenzato il ruolo delle città nello sviluppo
economico, modificandone i processi di crescita e la posizione competitiva. Le
città hanno dovuto sforzarsi di trasformare la propria base economica (da
industriale a post-industriale) e di ridefinire il proprio ruolo economico4. A livello
internazionale, per effetto combinato della globalizzazione e dell’innovazione
nelle tecnologie dell’informazione (ICT - Information and Communication
Technologies), il mondo post-industriale convive affianco a realtà industriali e
pre-industriali portando ad una nuova divisione del lavoro (Hall, 1995a); la
produzione dei servizi si presenta difatti sempre più distaccata dalla produzione
dei beni e sempre più concentrata nelle grandi città (Sassen, 1995).
Le città si mostrano quali testimoni straordinarie dei mutamenti riassumibili nei
termini di società post-fordista o post-moderna5, economia dell’informazione,
4 In termini di effetti territoriali, la ristrutturazione economica è sfociata nel declino del settore
manifatturiero nelle tradizionali città e regioni industriali, e nella necessità di nuove tipologie e
nuovi luoghi per l’attività economica, e nello stesso tempo ad una costante crescita del settore dei
servizi. 5 La società post-moderna è caratterizzata da una generale estetizzazione della realtà e della vita
quotidiana (Baudrillard, 1979). Featherstone (1994) evidenzia il crollo di alcuni confini tra arte e
vita quotidiana e l'erosione dello status specialmente protetto dell'arte come merce a sé stante. Da
un lato si assiste ad uno spostamento dell'arte all'interno di settori ad alto contenuto simbolico
(design, moda e pubblicità), dall'altro ad una estetizzazione della vita quotidiana e degli oggetti
16
della conoscenza, delle reti, economia dell’esperienza, immateriale, simbolica e
creativa. Nonostante la proliferazione della comunicazione virtuale, lo sviluppo
dei servizi di ICT e di una placeless economy, le città continuano a rappresentare
un tipo di luogo di vitale importanza in questo periodo di elevata modernità. La
globalizzazione e lo sviluppo delle ICT hanno fatto emergere una forte «domanda
di città» (Camagni, 1993). Hall (1995b) sottolinea come «as telecommunication
costs have dropped considerably, informational activities should have been
increasingly free to locate away from old face-to-face exchange locations. But
evidently they have not…». Le città conservano il loro storico ruolo di fonte di
creatività e innovazione, di centro di informazione e comunicazione. Le città sono
come un distretto industriale (Rullani et al., 2000) in quanto la prossimità e
l’agglomerazione permettono di ridurre l’incertezza e i costi di transazione ad essa
connessi. Rogers e Fisher (1992) scrivono infatti che «it has become increasingly
clear that the urban density provides the best setting for the easy, face-to-face
interaction and communication that generates the scientific, technological,
financial and cultural creativity that is the engine of prosperity in the post-
industrial age».
Si pensa oggi alle economie nazionali o internazionali come a sistemi di economie
regionali (Ohmae, 1995) o di città-regioni policentriche (Hall, 1995b), come a
sistemi territoriali locali, «nodi di interconnessione tra reti globali e territori»
(Dematteis, 1997) La globalizzazione viene quindi paradossalmente ad aumentare
il ruolo del ‘locale’ nello sviluppo economico. Da un lato si sta difatti assistendo
ad un accrescimento di importanza dei livelli e dei processi locali e globali,
dall’altro ad una diminuzione relativa di quelli nazionali - processo accelerato dai
livelli sempre più alti di decentralizzazione dei poteri pubblici. Swyngedouw
(1992) conia il termine ‘glocalizzazione’, fenomeno descritto come
l’interrelazione tra il ‘locale’ e il ‘globale’. Castells (1996) sostiene che la quotidiani. Tali cambiamenti hanno portato ad indebolire quelli che erano i confini tra cultura alta
e cultura di massa, aprendo la via all'espansione del mercato dell'arte, all'aumento del numero
degli artisti attivi e delle occupazioni ad essi connesse, alla contaminazione tra generi artistici
diversi oltre all'utilizzo dell'arte in contesti non tradizionalmente ad essa deputati.
17
relazione paradossale tra il locale e il globale emerge chiaramente dall’interazione
dello ‘spazio dei luoghi’ (locale) con lo ‘spazio dei flussi’ (globale). Le città
vengono quindi ad assumere una duplice funzione, globale e locale allo stesso
tempo: da un lato l’identità e la comunità locale, dall’altro l’apertura verso il
mondo globale. È l’interazione tra i processi che avvengono a grande distanza e le
caratteristiche del locale a costituire oggi la grande arena dello sviluppo
economico, sociale, ideologico e politico. Piccole specifiche differenze tra le
località possono diventare cruciali per il ruolo che una città potrà rivestire nei
processi globali.
Il successo di città e regioni è quindi basato su fattori locali, sulle strutture
istituzionali presenti e sulle strategie impiegate. In particolare, la capacità di
attrazione di una città, in riferimento non solo ai (potenziali) residenti e visitatori,
ma anche ai (potenziali) investitori e imprese, sembra dipendere in misura sempre
maggiore dal livello di qualità della vita in essa presente. I tradizionali fattori
localizzativi hard (all’interno dei quali assumono rilevanza la qualità del lavoro
altamente qualificato2 e dell’accessibilità) cedono gradualmente il posto ai fattori
soft (qualità della vita, intesa nel suo significato più ampio). «In a globalised
world, cities compete openly with each other to attract tourists, to attract
businesses, to attract residents. Quality of life, whether measured mundanely by
the safety of the streets or the efficiency of the public transport system or more
exaltedly by opera or concerts performances, becomes crucial» (Hall, 1998).
2 Nella società dell’informazione la qualità della mano d’opera è un fattore essenziale nel processo
di produzione della maggior parte delle attività economiche. È utile sottolineare come questo
segmento del mercato del lavoro è altamente sensibile non solo alla retribuzione salariale delle
proprie prestazioni, ma anche alla qualità dell’ambiente residenziale e di conseguenza alla qualità
della vita urbana.
18
Nuove forme di gestione urbana
Per rispondere alla complessità del presente contesto urbano sono emerse nuove
forme di gestione della città. Si evidenzia un aumento di approcci più integrati
riguardanti gli interventi di sviluppo locale e di rigenerazione urbana. Viene
inoltre posta una crescente enfasi sulle partnership tra settore pubblico e privato,
sia profit che non profit. Mai come adesso le città necessitano di un approccio più
integrato di management urbano6, di una buona dose di quella che è stata definita
organising capacity7 (van den Berg, Braun, van der Meer, 1997), di una più
ampia, pro-attiva e anticiclica politica urbana, basata su un concetto moderno e
integrato di marketing urbano8. Il moderno management urbano deve possedere
una considerevole flessibilità e creatività per poter rispondere rapidamente ai
cambiamenti interni ed esterni alla città ed essere in grado di convertire e
trasformare, in maniera continuativa, i problemi e le criticità in opportunità.
La complessità, la diversità e le dinamiche della società contemporanea non
rendono più soddisfacente parlare di governo sulla base di una relazione univoca
6 Bramezza e van Klink (1994) definiscono il management urbano come «the process of
development, execution, co-ordination, evaluation of integrative urban strategies, with the help of
all relevant urban actors, private and public sectors… in order to improve the competitive position
of a city or a region in a harmonious way». 7 «Organising capacity is defined as the ability to enlist all actors involved and with their help
generate new ideas and develop and implement a policy designed to respond to fundamental
developments and create conditions for sustainable development» (van den Berg, Braun e van der
Meer, 1997). Gli elementi che contribuiscono alla capacità organizzativa sono una visione e una
strategia integrata, le condizioni spaziali ed economiche urbane (vale a dire le opportunità e le
criticità dell’economia urbana), leadership, network strategici, supporto politico e supporto sociale. 8 Il marketing urbano potrebbe essere pensato come una variante del marketing sociale (Kotler e
Levy, 1969), tendente ad una serie di differenti obiettivi che vanno dal raggiungimento di una
posizione competitiva per la città, alla promozione di prodotti competitivi, all’attrazione di
investimenti all’interno dell’area, al miglioramento dell’immagine della città e del benessere e
soddisfazione della sua popolazione, alla promozione della città stessa. Il marketing urbano è
diretto, quindi, sì all’attrazione di fattori di crescita esterni ma soprattutto alla mobilitazione di
fattori interni, vale a dire allo stimolo del potenziale endogeno.
19
tra pubblico e privato. Balducci (1999) spiega come occorra ridefinire la forma
dell’intervento pubblico, un cambiamento che viene spiegato bene dai termini
government e governance, «dal governo come azione del soggetto che provvede
direttamente (provider) a fornire soluzioni a problemi, al governo come azione del
soggetto che rende possibile (enabler) la ricerca di soluzioni differenziate
attraverso la mobilitazione di un’ampia serie di altri soggetti». È così che da
approcci top-down di pianificazione si passa gradualmente ad un sistema misto,
con una compresenza di aspetti top-down e bottom-up; questi ultimi permettono
infatti di attivare i fattori di sviluppo endogeno, ponendo l’attenzione sulle
specificità economiche, sociali, spaziali e culturali locali, dal carattere fortemente
idiosincratico (Becattini e Rullani, 1993).
Lo sviluppo della pianificazione strategica degli ultimi anni testimonia questo
nuovo modo di governare il territorio. Si pensi al successo di Barcellona, oggi al
IV Piano Strategico (il I Piano Strategico è stato approvato nella primavera del
1988) o a Torino che quest’anno si trova ad approvare il II Piano Strategico.
Camagni (2003) parla di pianificazione strategica come «di una costruzione
collettiva di una visione condivisa di un dato territorio, attraverso processi di
partecipazione, discussione, ascolto; un patto tra amministratori, attori, cittadini e
partner diversi per realizzare tale visione attraverso una strategia …; ed infine
come il coordinamento delle assunzioni di responsabilità dei differenti attori nella
realizzazione di tali progetti».
Il dibattito sullo sviluppo sostenibile
La crescente mobilità nazionale e internazionale, il crescente benessere e
l’importanza della qualità della vita non hanno rallentato il processo di
urbanizzazione, ma al contrario la proporzione della popolazione mondiale
residente nelle città è in costante crescita. Nelle regioni europee più urbanizzate –
si pensi al Ranstad in Olanda, alla Ruhr in Germania, alla regione metropolitana
di Londra o Parigi – le città tendono a crescere insieme, rendendo indistinti i
20
relativi confini. Si stima che nel XXI secolo metà della popolazione mondiale
vivrà in aree urbane.
Uno degli aspetti più problematici e controversi di cui le città si fanno testimoni, e
che le presenti strategie di sviluppo urbano dovranno considerare con maggiore
efficacia, è rappresentato dall’esclusione sociale, legata soprattutto alla presenza
di minoranze etniche. Tale processo, alla base di conflitti e divisioni sociali e
causa di peggioramento delle condizioni di vita, viene spesso analizzato dagli
studiosi tramite la metafora della dual city, una città caratterizzata da una crescita
sbilanciata e da uno spazio polarizzato in cui il gap tra (nuovi) ricchi e (nuovi)
poveri si espande progressivamente.
I cambiamenti che si sono verificati all’interno degli spazi urbani nell’ultimo
trentennio hanno quindi fatto emergere la necessità di rigenerare e rivitalizzare i
sistemi urbani (Harris, 1997), rendendo indispensabile affrontare temi quali lo
sviluppo urbano sostenibile, la crescita di una città ‘armoniosa’ e ‘bilanciata’
(Klassen, 1989), capace di rispondere alle esigenze dei suoi (potenziali)
utilizzatori. Tali ragionamenti a loro volta sembrano rafforzare maggiormente il
ruolo della pianificazione strategica e del management urbano di breve, medio e
lungo periodo.
Il tema dello sviluppo sostenibile ha assunto negli ultimi anni un interesse
crescente9. Alla dimensione ambientale si sono aggiunte nel tempo la dimensione
9 Si pensi alla diffusione dell’ampio documento definito ‘Agenda 21’ (un’Agenda di azioni per il
XXI secolo) prodotto durante il grande Summit della Terra delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro
(UNCED, United Nations Conference on Environment and Development) nel giugno 1992. Il
Programma d’Azione Agenda 21 è un ampio catalogo delle politiche-azioni da mettere in atto in
tutti i Paesi per avviarsi sulla strada di uno sviluppo sostenibile. L’Agenda 21, proprio in
considerazione delle peculiarità di ogni situazione locale, invita le autorità locali di tutto il mondo
a dotarsi di una propria Agenda. Esso evidenzia il ruolo chiave che le autorità locali possono
rivestire nell’assicurare uno sviluppo locale sostenibile. La cosidetta‘Agenda 21 Locale’ è il
processo di partnership attraverso il quale gli Enti Locali (Comuni, Province, Regioni) operano in
21
economica e sociale e di recente quella della governance. Nonostante le chiare ed
evidenti potenzialità di interagire con gli aspetti di natura economica, sociale e
ambientale, la dimensione culturale appare invece ancora non sufficientemente
considerata.
Lo sviluppo sostenibile si fonda infatti su aspetti economici, sociali e ambientali, e
su obiettivi di etica intergenerazionale, vale a dire sull’assunzione di
responsabilità della società attuale nei confronti delle generazioni future, verso le
quali si impegna a trasmettere una quantità di occasioni di sviluppo non inferiori a
quelle presenti. Sviluppo non implica per forza crescita economica, ma
cambiamento e miglioramento delle capacità di soddisfare i bisogni umani,
materiali e non.
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato definito in termini generali nel
Brundtland Report (WCED - World Commission on Environment and
Development, Our Common Future, Oxford University Press, Oxford, 1987)
come «that kind of development which fits the need of the present generation
without affecting the capacity of the future generations of satisfying their needs».
Il dibattito sullo sviluppo sostenibile ha messo in luce con chiarezza la
responsabilità cruciale delle città. Se infatti da un lato le città si mostrano quali
centri di innovazione economica, sociale e culturale, dall’altro esse sono anche i
luoghi dove appare più evidente un utilizzo sbilanciato delle risorse. Una città
sostenibile si caratterizza per un elevato livello di qualità della vita e, nello stesso
tempo, si preoccupa di non trasferire all’esterno o alle generazioni future gravi
problemi sociali, economici ed ambientali. In particolare, secondo Camagni
(1996) la sostenibilità dello sviluppo urbano consiste in un processo di co-
evoluzione sinergica dei tre sottosistemi che compongono la città: il sottosistema
economico, fisico-ambientale e sociale. Le politiche urbane devono quindi
collaborazione con tutti i settori della comunità locale per definire piani di azione per perseguire la
sostenibilità a livello locale.
22
proporsi tre obiettivi essenziali: efficienza allocativa, efficienza distributiva,
equità ambientale inter e intra generazionale10.
Alla base del dibattito sullo sviluppo urbano sostenibile, vi è una nuovo modo di
concepire la città, non più come una macchina, ma come un organismo vivente.
Tale visione consente di spostare gli obiettivi della politica urbana dagli hardware
ai software, vale a dire dalla concentrazione sugli investimenti in infrastruttura
fisica a un’attenzione maggiore alle dinamiche urbane e al benessere degli
utilizzatori della città, implicando un approccio integrato alle problematiche
urbane.
Conclusioni: quale ruolo per la cultura nella città post-moderna?
All’interno di tale contesto di trasformazione urbana, di crescente urbanizzazione
e considerazione delle problematiche economiche, sociali e ambientali che
accompagnano lo sviluppo urbano, alla cultura viene riconosciuto un ruolo
significativo e sempre più strategico di catalizzatore di rigenerazione urbana, di
miglioramento della qualità della vita e di stimolo dell’economia simbolica della
città. «With the disappearance of local manufacturing industries and periodic
crises in government and finance, culture is more and more the business of cities...
The growth of cultural consumption (of art, food, fashion, music, tourism) and the
industries that cater to it, fuels the city’s symbolic economy, its visible ability to
produce both symbols and space» (Zukin, 1995).
10 L’efficienza allocativa prevede l’internalizzazione dei costi sociali e la costruzione del ‘buon
mercato’, all’interno del sottosistema economico, in grado di dare il giusto peso non solo ai
vantaggi immediati, ma anche a quelli derivabili da un corretto utilizzo delle risorse del
sottosistema fisico-ambinetale; sulla base del principio di equità sociale, l’efficienza distributiva
prevede che il maggior numero di individui abbia accesso alle risorse; l’equità inter e intra
generazionale presuppone che le risorse siano utilizzabili non solo da tutti i cittadini e fruitori della
città, ma anche dai posteri (Camagni, 1996).
23
Throsby (2001) riconosce almeno quattro ruoli che la cultura svolge a livello
urbano. In primo luogo una semplice struttura culturale può fungere da simbolo o
attrazione culturale significativa per l’economia urbana (si pensi al Museo
Guggenheim a Bilbao). In secondo luogo, un distretto culturale o quartiere
culturale può agire da catalizzatore per lo sviluppo locale (si pensi al Northern
Quarter a Manchester). In terzo luogo, le industrie culturali costituiscono una
componente vitale dell’economia urbana; Throsby sottolinea come queste,
specialmente nel settore dello spettacolo, possano ricoprire un importante ruolo
anche nei centri di medie e piccole dimensioni. Infine la cultura assume una
funzione rilevante nello sviluppo urbano grazie alla promozione dell’identità
locale e della coesione sociale, della creatività e della vitalità locale.
A partire dagli anni Ottanta, l’interesse per il ruolo del settore culturale all’interno
della città è cresciuto enormemente. La progressiva qualificazione delle attività
culturali ed artistiche come attività economiche – testimoniata dall’uso sempre più
diffuso dei termini cultural industries e creative industries – è avvenuta in
relazione alla loro importanza per la rigenerazione urbana e la possibile
diversificazione della base economica locale (importante per il passaggio da
industriale a post-industriale), il miglioramento della qualità della vita urbana e
dell’immagine della città. Nella formulazione delle politiche urbane di quel
periodo, la cultura viene considerata quindi parte dei fattori localizzativi soft,
grazie al suo contributo nel migliorare la capacità di attrazione urbana per i
(potenziali) residenti, visitatori, imprese e investitori, e nel portare quindi alla
creazione di nuove attività economiche e di dare impulso all’innovazione e alla
creatività locale, non solo in campo artistico.
La relazione tra le attività culturali, la capacità di attrazione urbana e il vantaggio
competitivo sono stati analizzati da Dziembowska-Kowalska e Funck (2000). Il
livello, la qualità e la diversità della attività culturali ed artistiche in una regione
sono diventati un importante fattore nelle decisioni di localizzazione di imprese
che necessitano della disponibilità di lavoro altamente qualificato. La ragione
risiede nel fatto che il personale qualificato esige un’offerta sufficiente di servizi
24
educativi, culturali e del tempo libero nella città che sceglie come propria
residenza abitativa e lavorativa (Funck 1995). Un ambiente stimolante
culturalmente ha capacità di attrazione quindi non solo per i visitatori, ma anche
per i nuovi residenti e le nuove imprese. «It is the access to talented and creative
people which determines where companies will choose to locate and grow. Rather
than being driven exclusively by market forces, economic growth is occurring in
places that are tolerant, diverse and open to creativity – because these are places
where creative people of all types wanted to live» (Florida, 2002).
Nel capitolo successivo verranno affrontate nello specifico le relazioni tra città,
cultura e sviluppo. Si cercherà di ricostruire i diversi ruoli che la cultura svolge
nell’ambiente urbano attraverso un’introduzione sull’evoluzione delle politiche
culturali nelle città europee e un’analisi critica della letteratura sulle relazioni tra
città, cultura e sviluppo.
A livello europeo, testimoni dell’utilizzo della cultura in progetti di rigenerazione
urbana, e quindi di miglioramento dell’immagine e della capacità di attrazione di
una città, sono state soprattutto le città inglesi. A partire dagli anni Ottanta tali
città si sono fatte interpreti di vasti progetti di rigenerazione urbana basati sulla
cultura come antidoto al declino del settore industriale che tradizionalmente
caratterizzava la loro base economica. Uno degli esempi più rappresentativi è
costituito dalla città di Glasgow in Scozia, città pioniera nel campo della
rigenerazione urbana guidata dalla cultura.
Glasgow: cultura e rigenerazione urbana
Da importante città industriale durante il XIX secolo, Glasgow diventa a partire
dalla seconda metà del XX secolo uno dei casi più estremi di città industriale in
declino. A differenza di altre città industriali, la crescita dell’occupazione nel
settore dei servizi non riesce a compensare la perdita di occupazione nel settore
industriale. La città si ritrova quindi a dover affrontare forti problemi socio-
25
economici (la maggior parte derivanti dalla disoccupazione di lungo periodo), un
peggioramento della qualità della vita urbana e una perdita di popolazione. Agli
inizi degli anni Ottanta, il Glasgow District Council decide di formare una
commissione speciale – l’Economic Development and Employment Committee –
per affrontare i gravi problemi della città. Boyle e Hughes (1991) spiegano come
questa commissione abbia lanciato specifiche azioni nella speranza di ricostruire
un’immagine positiva di Glasgow e, in questo modo, attrarre nella città personale
altamente specializzato e competente. Importanti esempi di tali strategie sono stati
l’introduzione dell’annuale ‘Mayfest Arts Festival’ nel 1982, l’apertura della
prestigiosa collezione Burrrell e lo slogan e campagna promozionale ‘Glasgow’s
Miles Better’ nel 1983.
Figura 1 – Slogan di city marketing ‘Glasgow’s miles better’.
Fonte: Comune di Glasgow
Nel 1985 una relazione del gruppo di consulenza McKinsey & CO.11 avrà
un’influenza importante sullo sviluppo delle politiche culturali nella città.
Commissionata dalla Scottish Development Agency con il compito di suggerire le
azioni da compiere per realizzare pienamente il potenziale economico e
ambientale della città attraverso lo sviluppo del settore dei servizi, la relazione
identificò una serie di proposte correlate. Queste includevano il miglioramento
dell’ambiente urbano, la rimozione dell’immagine negativa, l’attrazione di
investimenti esterni e il miglioramento dei servizi di consumo. Da questa
importante consulenza ne seguì un nuovo approccio di rigenerazione urbana il cui
strumento principale divenne una politica di city marketing. In contrasto con
l’immagine di città industriale in declino, l’immagine obiettivo doveva essere
focalizzata attorno all’arte e alla cultura come strumenti per accrescere il turismo,
11 McKinsey&CO. (1985) The Potential of Glasgow City Centre. Glasgow: Scottish Development
Agency.
26
per promuovere la rigenerazione economica urbana e per comunicare l’immagine
di Glasgow come città post-industriale.
In seguito alla relazione della McKinsey, nel 1985 viene creata la Glasgow Action
(dal 1991 Glasgow Development Agency) come partnership pubblico-privata. La
Glasgow Action, attore importante nel processo di rigenerazione urbana, viene
formata attorno a un gruppo di importanti stakeholder della città con lo scopo di
introdurre la leadership privata nel processo di rigenerazione e attribuire un ruolo
addizionale agli eventi culturali.
Gli sforzi in campo culturale e di rigenerazione urbana hanno il loro culmine nel
1990, quando Glasgow viene designata Capitale Culturale Europea12. A differenza
delle precedenti città dall’elevata reputazione culturale – Atene (1985), Firenze
(1986), Amsterdam (1987), Berlino (1988) e Parigi (1989) – Glasgow è stata la
prima città non internazionalmente riconosciuta come capitale culturale ad essere
nominata Capitale Culturale Europea ed a utilizzare ed integrare l’evento nel
12 Quando l’Unione Europea ha istituito il programma Capitale Culturale Europea (CCE) nel 1985,
la motivazione fu autenticamente culturale. L’evento aveva lo scopo di «help bring the people of
the member states closer together» attraverso «the expression of a culture which, in its historical
emergence and contemporary development, is characterized by having both common elements and
a richness born of diversity» (Commissione Europea, 1985). La storia dell’evento mostra come gli
obiettivi sopra menzionati non siano i soli ad essere presi in considerazione dalle città partecipanti;
l’evento Capitale Culturale Europea viene ampliato ogni anno da nuovi significati, da puro evento
culturale a potente strumento economico. Dopo Atene (1985), Firenze (1986), Amsterdam (1987),
Berlino (1988), Parigi (1989) e Glasgow (1990), è stata la volta di Dublino (1991), Madrid (1992),
Stoccolma (1998) e Weimar (1999). Nel 2000 nove città vengono designate CCE: Reykjavik,
Bergen, Helsinki, Bruxelles, Praga, Cracovia, Santiago de Compostela, Avignone e Bologna. Nel
2001 è la volta di Rotterdam e Porto, nel 2002 di Bruges e Salamanca, nel 2003 di Graz, nel 2004
di Genova e Lille. Per il periodo 2005-2019, ogni anno due città potranno ospitare l’evento: una
viene scelta all’interno di uno specifico Stato dell’Unione Europea in base a un sistema di
rotazione, per quanto riguarda la seconda città, i paesi che non sono membri dell’Unione Europea
hanno il diritto di proporre una loro città. Nel 2005 è stata la volta di Cork in Irlanda; nel 2006 la
città greca di Patrasso ospiterà l’evento.
27
processo di rigenerazione urbana iniziato negli anni precedenti. L’evento Capitale
Culturale Europea ha rappresentato un’occasione importante per a) mantenere il
momento generato dalle iniziative di image building e di city marketing, b) fornire
una piattaforma unica di marketing per le attività culturali ed artistiche, c)
utilizzare ed accrescere l’esperienza organizzativa esistente all’interno della città e
gli sforzi di cooperazione13, d) stimolare la consapevolezza, la partecipazione e lo
sviluppo culturale di Glasgow14.
Figura 2 – Slogan di city marketing ‘There’s a lot glasgowing on in 1990’ in occasione di
Glasgow Capitale Culturale Europea’.
Fonte: Comune di Glasgow
L’evento ha avuto un importante impatto in termini di city marketing, con un
accrescimento della credibilità delle istituzioni culturali della città e 13 L’anno di Capitale Culturale Europea segna l’inizio di una stretta collaborazione tra il Comune
di Glasgow e la Regione. 14 Si vedano gli obiettivi identificati dal Glasgow District Council nel 1987 al momento della
sottoscrizione per la partecipazione alla designazione di Capitale Culturale Europea.
28
dell’immagine di Glasgow sia a livello nazionale che internazionale, in particolar
modo in termini di turismo (Booth e Boyle, 1993). L’evento è stato considerato un
successo dal punto di vista economico: nel 1990 il beneficio netto economico
derivante alla città è stato stimato tra i 40 e i 47 milioni di euro, in gran parte
come risultato della spesa turistica (Myerscough, 1991).
L’evento non è stato esente da giudizi negativi, con forti critiche al fatto che il
programma culturale non è riuscito a mettersi in relazione con i residenti della
città. La cultura è stata utilizzata come strumento per la rigenerazione economica
senza essere supportata da un appropriato sviluppo di una politica culturale
urbana. Le decisioni sono state prese in termini di ritorni economici e appeal
turistico, invece che sviluppo della comunità residente. Durante l’anno 1990 la
città ha puntato su grandi eventi spettacolari, piuttosto che sulla creazione delle
condizioni per permettere lo sviluppo ulteriore delle attività culturali locali.
In particolare, il gruppo chiamato Workers City ha criticato il fatto che gran parte
del programma Capitale Culturale Europea aveva avuto poca rilevanza per il
working-class cultural heritage di Glasgow. Pesanti sono state le critiche riguardo
al modo in cui la storia economica, sociale e politica di Glasgow è stata
rappresentata nella grande esposizione sulla città ‘Glasgow’s Glasgow’. A queste
critiche si aggiungono quelle relative al turismo. L’enfasi posta sul turismo e sui
servizi per i visitatori aveva fatto passare in secondo piano lo sviluppo del talento
locale e delle industrie culturali. Inoltre, sebbene vi sia stato un incremento di
occupazione nel settore turistico e dell’intrattenimento da 14.785 nel 1985 a
25.000 nel 1989, la tipologia di posti-lavoro creata è stata oggetto di discussione,
essendo spesso non specializzata, sotto-pagata e part-time. Si richiedeva quindi
nel futuro una maggiore integrazione e diversificazione dell’offerta culturale.
Non bisogna, però, dimenticare che l’impiego della cultura all’interno della
strategia di rigenerazione della città faceva comunque parte di un piano di lungo
periodo, il cui orizzonte si estendeva oltre il 1990. Il dibattito riguardo la relazione
tra cultura e processo di rigenerazione era già presente prima dell’evento e non è
29
giunto alla fine con esso. Nel 1996 Glasgow ha ospitato ‘The Year of Visual and
Design’ e nel 1999 la città è diventata la ‘UK City of Architecture and Design’,
mettendo in pratica i propositi di adeguare gli eventi culturali alle richieste locali.
Accanto agli obiettivi economici e di miglioramento dell’immagine, l’evento del
1999 è stato pianificato per essere apprezzabile direttamente dai residenti,
rendendo l’architettura e il design parte integrante della vita urbana.
Glasgow ha saputo utilizzare in maniera innovativa gli strumenti del city
marketing per facilitare la transizione da città industriale a post-industriale. La sua
esperienza mostra comunque i rischi legati al posizionamento delle strategie di
marketing e ricostruzione dell’immagine al centro delle decisioni che riguardano
la politica culturale. La cultura può essere sì utilizzata come strumento di
rigenerazione urbana, ma deve essere interpretata come una dimensione ampia e
multidimensionale della vita urbana piuttosto che come semplice strumento di
strategie di miglioramento dell’immagine urbana (Garcia, 2005).
Un recente studio della durata di tre anni condotto dal Centre for Cultural Policy
Research dell’University of Glasgow – ‘Deconstructing the City of Culture: the
Long-term Cultural Legacies of Glasgow 1990’ – ha valutato in termini qualitativi
gli impatti di lungo periodo (1990-2003) sull’immagine e identità locali derivanti
dall’evento Capitale Culturale Europea. Da questa ricerca emerge come gli effetti
sull’immagine e identità locale sono stati la più forte e duratura eredità che
l’evento Capitale Culturale Europea ha lasciato alla città di Glasgow. I risultati
suggeriscono come siano stati i benefici culturali più soft e intangibili ad essere
meglio sostenuti nel lungo periodo, mentre i benefici economici più acclamati
come la creazione di occupazione sono stati messi in discussione da stakeholder
locali e pubblicazioni accademiche.
Come sottolinea Bianchini (1993b), la cultura – come le forze economiche di
lungo periodo – ha bisogno di radicarsi nella collettività: il grande test che l’anno
1990 ha lasciato alla città di Glasgow consiste nell’abilità di sostenere il
momento, di incanalare la rinnovata fiducia nelle attività economiche e sociali e di
30
fare pieno uso del limitato lascito fisico del 1990. Questo richiederà una nuova
forma di impegno politico, un continuo supporto finanziario e strumenti di politica
necessari per integrare la cultura in un miglioramento urbano sostenibile e
duraturo.
31
CAPITOLO II
CITTÀ, CULTURA E SVILUPPO
L’evoluzione delle politiche culturali urbane
Negli ultimi trenta anni, numerosi governi locali e nazionali hanno riconosciuto
l’importanza della connessione tra cultura ed economia cercando di sviluppare
politiche per rafforzare tali legami ed incrementare i benefici che ne derivano.
L’esame dell’evoluzione delle politiche culturali urbane adottate in Europa
permetterà di comprendere meglio il ruolo crescente della cultura nelle politiche
urbane di numerose città europee.
Tenendo conto delle difficoltà di comparazione culturale internazionale, Bianchini
(1993a) identifica tre principali fasi nell’evoluzione delle politiche culturali
urbane: a) l’era della ricostruzione: fine anni Quaranta - fine anni Sessanta; b)
l’era della partecipazione: anni Settanta - primi anni Ottanta; c) l’era del city
marketing: metà anni Ottanta – anni Novanta.
Nella prima fase, le politiche culturali urbane hanno avuto relativamente una
scarsa importanza e sono state quasi esclusivamente basate su una definizione
ristretta di cultura. Le politiche culturali urbane erano principalmente focalizzate
nella creazione o ampliamento di infrastrutture culturali classiche, come musei,
teatri d’opera e di prosa, e nell’espansione dell’accesso attraverso i finanziamenti
pubblici. Pochissime sinergie emergevano tra le risorse culturali della città e
l’economia urbana; l’attitudine prevalente era quella di definire la cultura come
una sfera separata e opposta a quella della produzione e dell’attività economica
(Garnham, 1983).
32
E’ negli anni Settanta che le politiche culturali iniziano ad assumere una maggiore
rilevanza nelle strategie urbane. Tale processo è stato incoraggiato dalle politiche
nazionali di decentralizzazione dei poteri, dalla necessità di adattamento alle
trasformazioni economiche e sociali causate dai processi di ristrutturazione
economica degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, oltre che dalla presenza di
una domanda di cultura crescente, sempre più differenziata e sofisticata. Questi
fattori hanno portato numerose amministrazioni locali europee ad incrementare la
spesa in cultura, incoraggiando così la rinascita culturale delle loro città.
Anche grazie all’azione dei movimenti sociali post-sessantotto, le politiche
culturali urbane di tale periodo iniziano a promuovere una varietà di obiettivi
sociali e politici. Questi vanno dall’incoraggiamento alla libera espressione e
dall’estensione dell’accesso alle attività culturali, allo stimolo della vita pubblica e
sociale all’interno della città, un tentativo questo per riaffermare la funzione del
centro della città come catalizzatore per l’identità civile e la socialità pubblica.
Numerosi festival e altre iniziative culturali verranno sviluppati in questo periodo
con lo scopo di (ri)animare gli spazi pubblici. Le strategie culturali cercano quindi
di rispondere ai desideri dei cittadini di riappropriarsi della città, in particolare
dell’uso del centro urbano, soprattutto durante la notte. Si affermano strategie di
design urbano per creare nuovi spazi pubblici e aree pedonali, per migliorare
l’illuminazione delle strade e i servizi di trasporto pubblico estendendoli alla sera
e alla notte. La rigenerazione della vita culturale urbana interessa in misura
sempre maggiore anche ex-spazi industriali che il cambiamento economico ha
reso ormai inutilizzati, permettendone la riconversione con lo scopo di ospitare
iniziative culturali.
In questa fase comincia ad affermarsi una definizione ampia di cultura, iniziando a
rendere più debole la tradizionale distinzione tra cultura elevata e cultura
popolare. Per la prima volta, la cultura inizia ad essere vista come parte integrante
della politica urbana. Nei primi anni Ottanta, vengono sviluppati alcuni
interessanti esperimenti sullo sviluppo di strategie per le industrie culturali. Uno
dei casi più innovativi è l’esperienza del Greater London Council, attivo tra il
33
1981 e il 198615. Influenzata da uno dei suoi consulenti, Nicholas Garnham, la
politica del GLC è considerata uno dei più interessanti esperimenti nello sviluppo
delle strategie per le industrie culturali16. Come già sottolineato nel capitolo
introduttivo del presente lavoro, il GLC riprende in chiave positiva il termine
‘industrie culturali’, pubblicando nel 1984 il documento Cultural Industries
Strategies. Sempre nello stesso anno, il GLC istituisce una Cultural Industries
Unit all’interno del Greater London Enterprise Board, l’agenzia di sviluppo
industriale del GLC.
A partire dalla metà degli anni Ottanta, l’enfasi rivolta allo sviluppo, alla
partecipazione, all’eguaglianza sociale, alla democratizzazione dello spazio
urbano e alla rinascita della vita pubblica viene ad essere sostituita da un
linguaggio che esalta il contributo potenziale della politica culturale nello
sviluppo economico e nella rigenerazione urbana, evidenziando il ruolo che i
progetti culturali rivestono per la ricostruzione e promozione di una positiva
immagine urbana, e come simbolo di modernità e innovazione. In questo periodo
hanno inizio i tentativi di incoraggiare le sponsorizzazioni da parte del settore
privato, di monitorare in maniera più effettiva le risorse culturali locali e di
migliorare l’amministrazione, la gestione e il marketing dei servizi e prodotti
culturali.
Una vivace vita culturale urbana viene considerata come un importante fattore
complementare di competitività urbana (Bianchini, 1993a) e componente cruciale
delle strategie di marketing del territorio (Kearns e Philo, 1993) disegnate per
15 Contrariamente al processo di decentralizzazione dei poteri che interessò negli anni Ottanta il
resto degli stati europei, l’Inghilterra si caratterizzò per un processo di erosione dei poteri locali e
metropolitani. Una delle manifestazioni più evidenti di tale processo di centralizzazione sotto il
governo Thatcher è stato l’abolizione nel 1986 del Greater London Council e delle
amministrazioni metropolitane delle sei aree urbane più vaste dell’Inghilterra, comportando chiare
difficoltà di coordinamento e di formazione di partnership pubblico-private. 16 Per approfondimenti sulla politica del GLC si veda Bianchini, F. (1987) GLC R.I.P. Cultural
policies in London, 1981-1986. New Formations, 1.
34
attrarre turisti, imprese, investimenti e personale specializzato. Le politiche
culturali urbane emergono come elementi delle strategie sviluppate per rispondere
ai problemi economici e sociali del processo di ristrutturazione economica.
L’utilizzo della cultura in nome del city marketing diventa parte legittima delle
strategie di rigenerazione urbana di numerose città europee. Alla base di tale
cambiamento di obiettivi vi sono difatti le pressioni macroeconomiche generate
dalle recessioni del 1973 e 1979 e i successivi tagli alla spesa pubblica, sia a
livello locale che nazionale.
Le politiche culturali urbane, sia dal lato della produzione che del consumo
culturale, vengono viste quindi come strumenti per diversificare la base
economica e per compensare la perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali, e
nello stesso tempo come parte delle strategie di marketing urbano. In un clima di
crescente competizione inter-urbana, l’utilizzo della cultura nelle strategie di
marketing territoriale e di internazionalizzazione diventa sempre più importante e
indispensabile per ricostruire e promuovere l’immagine urbana e la qualità della
vita locale. Da un lato, quindi, è iniziato lo sviluppo di infrastrutture e servizi per
la produzione culturale e la pianificazione di distretti culturali, soprattutto in
settori dipendenti da input culturali come la moda e il design. Spesso sono stati
riconvertiti a fini culturali ex-edifici industriali situati in aree ormai degradate
della città, come ad esempio il Cultural Industries Quarter (CIQ), istituito
dall’Amministrazione Comunale di Sheffield. Dall’altro, prestigiosi progetti
culturali assunti ad icone e simbolo della rinascita culturale della città – cosiddetti
flagship –, come la costruzione di nuovi musei e teatri nel centro della città o la
realizzazione di nuovi festival ed eventi, vengono sviluppati per migliorare
l’immagine della città e, in tal modo, accrescere il turismo culturale, come nel
caso della città di Glasgow.
Dalla seconda metà degli anni Novanta tale convergenza tra cultura e economia si
è maggiormente accentuata. Fonte di occupazione e di crescita economica delle
moderne economie, le industrie culturali hanno catturato l’attenzione di numerosi
studiosi e policy-maker, facendo emergere teorie sui cluster o distretti creativi,
35
sulla classe creativa e sulla città creativa. L’emergere di tali teorie segna lo sforzo
di sviluppare approcci capaci di dare stimolo sia allo sviluppo economico che
culturale. Il settore culturale non è più visto come settore improduttivo ma un
settore di mercato in sé in elevata espansione e dall’alto valore aggiunto di
conoscenza, capace di generare impatti non solo in termini di occupazione e
reddito all’interno dello stesso settore, ma impatti indotti e qualitativi, in termini
di coesione sociale e capacità di attrazione. In particolare è l’arte contemporanea a
mostrare negli ultimi anni enormi potenzialità in relazione al rapporto che essa
instaura con le realtà sociali, con la città, con il territorio, con il pubblico, con la
storia e l’identità di determinati luoghi, facendosi essa stessa interprete dei
processi di trasformazione urbana.
Box 1 – Alcune considerazioni sulla public art
Gli sviluppi recenti della public art mostrano come lo spazio urbano sia tornato al centro della
riflessione artistica (Selwood, 1995; Miles, 1997; De Luca, 2003; a.titolo, 2004; De Luca et al.,
2005; Pietromarchi, 2005; Sharp et al., 2005; etc.). La public art si sta oggi interrogando sul
proprio ruolo specifico a contatto con i territori in trasformazione; spesso si tratta di aree urbane
periferiche e degradate, caratterizzate da fenomeni di marginalità ed esclusione sociale.
Le recenti iniziative di gruppi multidisciplinari come l’Osservatorio Nomade/Stalker, Multiplicity,
i Cantieri Isola e l’Associazione Isola dell’Arte, i progetti di public art realizzati all’interno del
programma Nouveaux Commanditaires promosso dalla Fondation de France e adottato in Italia
dalla Fondazione Adriano Olivetti, i casi di Zingonia, Librino, Arte all’Arte sono tutti esempi di
interventi sviluppati per legare le comunità locali, la produzione artistica, e l’identità dei luoghi, in
un’ottica di integrazione e capacitazione.
Emergono come punti chiave lo scambio diretto tra committenti, pubblici di riferimento ed artisti,
il loro reciproco coinvolgimento nelle dinamiche creative, ed una nuova e più ampia
considerazione dello spazio pubblico - non più solo come spazio fisico ma soprattutto come spazio
delle relazioni (De Luca et al., 2004)17.
17 La mostra Arte pubblica in Italia: lo spazio delle relazioni curata da Connecting Cultures nel
2003 per Cittadellarte Fondazione Pistoletto è una riflessione su questo segmento della ricerca
artistica.
36
L’economia culturale e le industrie culturali
Come Scott (1997) sottolinea, il capitalismo è entrato in una fase in cui le forme
culturali e i significati dei prodotti culturali diventano fondamentali se non
dominanti nelle strategie di produzione; la cultura diventa soggetta, in misura
sempre crescente, a un continuo processo di commodification. Sempre più
numerose sono oggi le attività economiche che si occupano della produzione e del
marketing di beni e servizi caratterizzati dalla presenza di forti attributi e valori
estetici e semantici. Le industrie culturali rivestono quindi un ruolo essenziale nel
fornire input creativi, dal forte valore simbolico, ad altri settori dell’economia.
Favorite dallo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione e dal crescente consumo simbolico, le industrie culturali hanno
mostrato una crescita enorme nei paesi occidentali nell’ultimo decennio, sia in
termini di occupazione che di reddito. «The convergence of artistically based
industries with computer communications and their cross-fertilization through
digitalisation has made them the drivers of the new economy» (Landry, 2000).
Tali industrie, caratterizzate da un ampio grado di innovazione, creatività e
flessibilità, sono un elemento distintivo dell’economia post-industriale,
dell’economia della conoscenza e dell’informazione. «Culture and the creative
industries are increasingly recognised as the core of the knowledge society
because they encourage and enhance innovation, participation, creativity and the
development of risk-taking and trust» (Eurocities - Culture Committee, 2002).
Esse sono infatti contraddistinte da relazioni produttive e metodi di distribuzione
caratterizzanti l’economia culturale18. Le industrie culturali si distinguono per un
considerevole utilizzo di capitale umano al quale si aggiunge un avanzato uso di
nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per una prevalenza di
strutture di piccola e media grandezza fortemente dipendenti le une dalle altre per
input e servizi specializzati, per una grande domanda sul mercato del lavoro locale
18 Si segnalano i lavori di Scott, Pratt e O’Connor che hanno scritto estesamente sui temi legati alle
industrie culturali.
37
e richiesta di specifiche competenze, per l’esistenza e lo sfruttamento di economie
esterne, molte delle quali beneficiano di un mutuo processo di apprendimento, di
conoscenza e di sinergie culturali rese possibili dalla presenza nel territorio di
numerose imprese e settori interrelati, e dalla presenza di infrastrutture
istituzionali che facilitano il funzionamento dell’economia locale.
Tali industrie, altamente interrelate, organizzate in un fitto network di relazioni e
basate su un forte scambio informale di informazioni, operano secondo una
specifica logica spaziale, con una tendenza verso la concentrazione e la
prossimità, tali da permettere lo scambio creativo, il networking, e quindi lo
sfruttamento di economie di agglomerazione e di scopo (Scott, 2000). In
particolare, emerge una forte connessione tra industrie culturali e città. Non a caso
le maggiori porzioni di questa moderna economia culturale sono concentrate in
città globali, come Los Angeles, New York, Londra, Parigi, Milano e Tokyo
activity… nodes of location-specific interactions… in which the stimulus to
cultural experimentation and renewal tends to be high» (Scott, 2000).
La città creativa
Lo sviluppo della società della conoscenza ha rafforzato l’importanza del capitale
creativo nelle economie contemporanee. Lo sviluppo del capitale creativo è
considerato la forza e il motore della crescita economica delle società occidentali.
«Creativity is the driving force of economic growth, it is now the decisive source
of competitive advantage… In today’s economy, creativity is pervasive and
ongoing, nurtured by and interact with artistic and cultural creativity… As the
fundamental source of creativity, people are the critical resource of the new age»
(Florida, 2002). L’enorme crescita delle industrie culturali nelle città e
l’importanza che oggi rivestono la creatività e l’innovazione nelle economie
contemporanee hanno portato a interrogarsi su quali siano le condizioni che
possano stimolare e far emergere la creatività, e quindi quali strategie possano fare
38
di una città un milieu creativo. La creatività non è più un fenomeno casuale
limitato a pochi singoli casi urbani; in un’economia globalizzata, creare le
condizioni per la creatività diventa parte centrale delle strategie dell’essere una
‘città di successo’ (Hall, 1998).
Le industrie culturali vengono rappresentate come gli apripista del cambiamento
strutturale associato al passaggio da economia fordista a post fordista, all’interno
della quale le imprese basate sul design e sull’informazione operano secondo una
nuova e flessibile organizzazione della produzione. Le città hanno iniziato ad
occuparsi della promozione di settori knowledge-intensive congiuntamente a
politiche culturali con lo scopo di sviluppare un milieu creativo che permetta
l’attrazione e la ritenzione di tali professionalità della conoscenza e del simbolico.
Lo sviluppo della città creativa sta quindi collegando la politica culturale con
quella economica ad un livello ancora più strategico. Le città possono oggi
raggiungere diversi obiettivi simultaneamente attraverso la cultura: a)
diversificare la base economica urbana e facilitare il passaggio da società fordista
a post-fordista, b) realizzare nuovi edifici che agiscano da icone della rinascita
urbana, c) creare un ambiente urbano caratterizzato da un’elevata qualità della vita
sia per i residenti che per i visitatori, imprese e investitori.
Nel libro Cities in Civilisation (1998), Sir Peter Hall osserva come, nel corso dei
secoli, la creatività si è sempre manifestata in aree urbane e che le città che hanno
goduto di epoche d’oro (tra cui la Atene del V secolo a.C., la Firenze del
Rinascimento, la Londra Elisabettiana, la Parigi tra il 1870 e il 1919) sono state
città dove la creatività e l’innovazione hanno giocato un ruolo fondamentale. Hall
(1998) distingue quattro diverse categorie di creatività e innovazione che si sono
manifestate nel corso dei secoli della storia urbana: culturale-intellettuale,
tecnologica-produttiva, culturale-tecnologica («the marriage of art and
technology») e tecnologica-organizzativa. Dalla rivoluzione industriale fino alla
fine del XVIII secolo la seconda e la terza categoria sono diventate
progressivamente più importanti; durante il XX secolo, la prima e la seconda
hanno iniziato a fondersi; durante il XXI secolo ci si aspetta un’unione di tutte le
39
categorie. Utilizzando le teorie sul milieu artistico e creativo di Hippolyte Taine
(1865), di Kuhn (1962), Tornqvist (1978) e infine Andersson (1985), Hall (1998)
conclude che le città creative, in senso artistico e culturale, sono state città ricche
economicamente, sebbene caratterizzate da una non equa distribuzione della
ricchezza, in rapida trasformazione economica e sociale, con una cultura
cosiddetta elevata, e con alti tassi di immigrazione o se vogliamo di attrazione di
talenti esterni. Queste città erano «almost invariably uncomfortable, unstable
cities, cities kicking over traces» (Hall, 1998). Florida (2002) suggerisce come sia
la presenza della cosiddetta classe creativa a costituire uno degli impulsi
all’innovazione urbana.
Nel suo bestseller The Rise of the Creative Class, Florida (2002) teorizza la
relazione esistente tra crescita economica, territorio e creatività. Nel mondo
globale la ricchezza si concentra dove sono presenti quelle che Florida definisce le
tre T dello sviluppo economico: tecnologia, talento e tolleranza. «Without
diversity, weirdness, difference, tolerance a city will die. Cities do not need
shopping malls and convention centers to be economically successful, they need
eccentric and creative people» (Florida, 2002). La classe creativa19 è, infatti,
fortemente orientata verso le città e regioni che offrono una varietà di opportunità
economiche, un ambiente stimolante, creativo, tollerante e aperto alle novità, in
cui siano presenti numerose e svariate attività culturali.
19 Florida (2002) descrive in tutti i suoi aspetti la nuova classe creativa, i cui membri svolgono
lavori la cui funzione è quella di creare «meaningful new forms». Florida definisce la classe
creativa come una classe economica, il cui nucleo centrale è costituito da persone che lavorano nel
campo della scienza e ingegneria, architettura e design, educazione, arte, musica e divertimento, la
cui funzione economica è quella di creare nuove idee, nuove tecnologie e/o nuovo contenuto
creativo. Attorno a tale nucleo, la classe creativa include un gruppo ampio di professioni creative
nel business e nella finanza, nella legge, nella salute e nei campi correlati. Di tale classe vengono
analizzate attitudini, valori e scelte – soprattutto localizzative –, mettendo in evidenza la crescita,
in numero di occupazioni, dell’ultimo decennio (negli Stati Uniti i membri della classe creativa
ammontano a circa 38,3 milioni di persone, il 30% dell’intera forza lavoro).
40
Box 2 – Applicazioni della teoria di Florida in Europa
Per misurare la capacità creativa di una città, Florida (2002) ha sviluppato un «creativity index»,
indice della creatività, un misto di quattro fattori, dal peso uguale, che riflettono gli effetti
congiunti della concentrazione della classe creativa e dei prodotti economici innovativi: la
proporzione della classe creativa all’interno della forza lavoro, le industrie high-tech,
l’innovazione, misurata con il numero di brevetti pro capite, e la diversità, misurata con il «gay
index». Applicando tali analisi alle città statunitensi, San Francisco, Austin, San Diego and Boston
emergono come le città più creative.
La teoria di Florida è stata accolta con enorme fermento in tutto il mondo. Sebbene sviluppata in
riferimento al contesto statunitense, sono stati fatti diversi tentativi per adeguarla all’ambito
europeo. Nel 2003 le città inglesi sono state analizzate in base al Boho Britain creativity index:
Manchester, Leicester e Londra sono emerse come le città inglesi più creative. Nel 2004 è stata
sviluppata un’analisi al contesto europeo, in cui la teoria delle 3 T è stata applicata agli stati
europei (tab. 2).
Tabella 2 – La teoria delle tre T applicata agli stati europei.
Talento (Human Capital + Classe Creativa)
Tecnologia Tolleranza
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Finlandia Olanda Belgio Inghilterra Svezia Irlanda Germania Spagna Danimarca Francia Grecia Austria Italia Portogallo
Svezia Finlandia Germania Danimarca Olanda Belgio Francia Inghilterra Austria Irlanda Italia Spagna Portogallo Grecia
Svezia Danimarca Olanda Finlandia Germania Austria Inghilterra Francia Belgio Italia Spagna Grecia Irlanda Portogallo
Fonte: R. Florida e I. Tinagli (2004) Europe in the Creative Age. London: Demos.
Nella teoria di Florida (2002), la crescita economica è legata a luoghi tolleranti,
aperti alla diversità e alla creatività; luoghi, milieu creativi che secondo Landry
(2000) devono contenere le necessarie pre-condizioni, in termini di hardware e
software, per generare flussi di idee, informazioni ed innovazioni. La creatività
non viene ristretta alla sola sfera dell’arte e delle industrie creative. L’obiettivo di
una città creativa è quello di sviluppare una cultura della creatività all’interno di
41
ogni attività urbana (Landry e Bianchini, 1995; Landry, 2000). «Such a milieu is a
physical setting where a critical mass of entrepreneurs, intellectuals, social
activists, artists and students can operate in an open-minded, cosmopolitan context
and where face-to-face interactions creates new ideas, artefacts, products, services
and institutions, and as a consequence contributes to economic success. The
network capacity that lies at the heart of the creative milieu requires flexible
organisations working with a high degree of trust, self-responsibility and strong,
often unwritten, principles. These include a willingness to share and to contribute
to the success of the network for the greater good. In the creative milieu, hard
infrastructure is the nexus of buildings and institution such as research institutes,
educational establishments, cultural facilities and other meeting places as well as
support services such as transport, health and amenities. Soft infrastructure is the
system of associative structures and social networks, connections and human
interactions, that underpins and encourages the flow of ideas between individuals
and institutions. This occurs either face-to-face or through information technology
that enables wider networks of communication to develop, so helping the trade of
goods and services. These networks may include common interest networks such
as business clubs or marketing consortia, public-private partnerships involving
financial support structures and devices and mostly important the social networks
as clubs, cafés, bars or informal associations» (Landry, 2000).
Il cluster culturale
Le considerazioni sul creative milieu e la città creativa, e la presenza di economie
esterne di agglomerazione hanno portato allo sviluppo di diverse teorie sui cluster
culturali. All’importanza dell’agglomerazione spaziale e dei benefici che ne
derivano, si aggiungono le caratteristiche di idiosincraticità della cultura. La
cultura si presenta difatti indissolubilmente legata a un territorio, vale a dire ad
una comunità, alla sua storia e alla sua identità (Scott, 1997, 2000; Santagata,
2000). «Culture is a phenomenon that tends to have intensely place-specific
characteristics thereby differentiating places from one another» (Scott, 1997).
42
«The production of culture tends to be rooted in unique communities of workers
anchored to particular places… place (is) a privileged locus of culture (because of
the continued importance of) massive urban communities characterized by many
different specialized economic functions and dense social relationships» (Scott,
2000).
La letteratura sui cluster culturali si è sviluppata partendo dalle teorie sul distretto
industriale, riconosciuto come fonte di vantaggio competitivo, di innovazione e di
crescita delle economie locali.
Box 3 – Una breve sintesi sulle teorie sui distretti industriali.
Come già discusso nel capitolo primo del presente lavoro, le presenti economie nazionali e
internazionali vengono analizzate e comprese come sistemi di economie regionali (Ohmae, 1995).
Le regioni sono state riscoperte negli ultimi anni come fonti importanti del vantaggio competitivo
nella presente economia globalizzata. In parte, questa riscoperta del locale è basata sugli studi
circa il successo di economie regionali fortemente dinamiche e di distretti industriali che si basano
su risorse locali per la loro competitività. L’esempio distrettuale più noto e studiato è la cosiddetta
Terza Italia.
Partendo dalle analisi di Marshall (1919) sull’industria localizzata e sulle economie esterne
imputate alla presenza di una «atmosfera industriale»20, le teorie sul cluster sono state quindi
sviluppate per comprendere il modo in cui alcuni territori sono riusciti a conservare e sviluppare il
vantaggio competitivo all’interno di un contesto globalizzato (Porter, 1990; Pyke et al., 1990;
Storper e Harrison, 1991). Nonostante gli sviluppi tecnologici e la presumibile riduzione del ruolo
della prossimità, molte attività economiche mostrano difatti una forte tendenza a concentrarsi nello
spazio.
Da un lato, è cresciuto l’interesse sulla teoria della crescita economica endogena, che riconosce
economie di scala crescenti associate al clustering, all’agglomerazione e alla specializzazione
(Porter, 1994; Krugman, 1995). Tra i benefici derivanti dal clustering vengono evidenziati ritorni
crescenti, riduzione dei costi di transazione, economie di agglomerazione associate alla prossimità
e agli scambi tra imprese, sviluppo di know-how e lavoro specializzati, rapida diffusione di
20 Marshall (1919) applica il termine atmosfera industriale agli asset sociali specializzati presenti
nei distretti industriali inglesi del XIX secolo. L’atmosfera industriale viene quindi intesa come
un’esternalità, un insieme comune di risorse che facilitano l’adattamento dei lavoratori alla
produzione, che forniscono una piattaforma per l’attività creativa e innovativa, che facilitano la
comunicazione all’interno del distretto.
43
innovazioni tecnologiche e informazioni.
Dall’altro, è stata analizzata la fonte di tali vantaggi localizzati, affermando che questi risiedono
proprio nelle caratteristiche sociali, culturali ed istituzionali locali (Amin e Thrift, 1995; Sunley,
1996; Storper, 1997). In particolare, Storper (1997) sottolinea come sia caratteristica distintiva di
tali cluster la forza dei loro «relational assets» o «untraded interdependecies», che si presentano
non commerciabili e non sostituibili, profondamente legati alle caratteristiche sociali dei network
locali. Tra questi asset si segnalano la conoscenza tacita basata sullo scambio interpersonale face-
to-face di informazioni e know-how, la fiducia e la reciprocità che si reggono spesso attorno alla
presenza di una comunità socialmente coesa, a valori e culture condivisi e legati ad un particolare
territorio, idiosincratici, in contrapposizione quindi alla conoscenza codificata e disponibile in
qualsiasi territorio (Becattini e Rullani, 1993). Capitale umano, capitale informativo e capitale
sociale emergono quindi come tratti distintivi del distretto industriale (Sacco e Pedrini, 2003).
In questa sede, non si vuole affrontare una rassegna critica della presente
letteratura sui cluster culturali21; la giovane età di tali teorie, la loro complessità e
varietà, la diversità delle loro forme, scopi e contenuti potrebbero costituire il
tema principale di un successivo lavoro di ricerca. Attenendoci allo scopo del
presente lavoro ci si limita ad offrire un approfondimento sul cluster culturale
limitato alla scala urbana come base per lo sviluppo di politiche culturali urbane.
«The power of cultural clustering, culture in regeneration, the Bilbao effect, call it
what you will – has been given higher profile in the last couple of years than ever
before» (Tessa Jowel, Secretary of State per la Cultura, Media e Sport22).
A tal proposito risultano utili lo studio di Wynne (1992) sui quartieri culturali in
relazione al caso di Manchester e l’analisi di Mommaas (2004) in relazione a
progetti di cluster culturale sviluppati in alcune città olandesi.
Wynne (1992) definisce il quartiere culturale come «a spatially limited and
distinct area which contains a high concentration of cultural and entertainment 21 Per una rassegna sullo sviluppo di tali teorie in Italia si veda il numero monografico dedicato ai
distretti culturali della rivista di ‘Economia della Cultura’, vol. 2, 2005. 22 Jowel, T. (2003) Building Tomorrow: Culture in Regeneration. Relazione della Conferenza del
DMCS, Salford, 25 febbraio 2003.
44
facilities compared with other areas of town or city, which provide a sense of
place in downtown locations, an ambience which further encourages the use of
cultural facilities, also during the night, by both residents and visitors». In
particolare il quartiere culturale si distingue per la sua posizione centrale, per la
presenza di industrie culturali, sia dal lato della produzione culturale che del
consumo (istituzioni private, profit e/o non-profit, istituzioni pubbliche), per la
presenza di crossover tra produzione e consumo culturale, per la presenza di un
utilizzo misto dello spazio tale da permettere un’adeguata diversificazione
economica (oltre alle industrie culturali, vi è la presenza di piccoli negozi, studi,
club, café, ostelli o hotel, residenze, etc.), ed infine la presenza di arte pubblica.
Alcune delle caratteristiche evidenziate da Wynne (1992) si ritrovano anche
nell’analisi di Mommaas (2004) che distingue sei elementi critici che influenzano
l’evoluzione dei cluster culturali urbani:
il differente mix, a livello orizzontale, di attività culturali e il loro livello di
collaborazione e integrazione all’interno del cluster (sia tra attività di tipo
leisure - come negozi, bar e ristoranti - e attività più strettamente culturali; sia
tra le stesse attività culturali, in modo da garantire crossover);
il differente mix, a livello verticale, delle funzioni culturali – lo specifico mix
di attività di design, produzione, distribuzione e consumo, insieme ad un
connesso livello di integrazione all’interno del cluster (cluster mono-
funzionali spesso basati solo sul consumo culturale vs cluster multifunzionali e
integrati che presentano un mix di produzione, distribuzione e consumo);
la struttura organizzativa del cluster in termini di coinvolgimento dei vari
stakeholder nella gestione stessa del cluster (assenza di una gestione centrale
verso presenza di una gestione centrale responsabile di negoziare contratti di
finanziamento, attrarre le attività culturali, organizzare la promozione
collettiva, stimolare forme di finanziamento incrociato);
il regime finanziario e la tipologia di coinvolgimento dei settori pubblici e
privati (coinvolgimento di capitale finanziario pubblico vs forme ibride di
autonomia finanziaria e sostenibilità autonoma un maggior coinvolgimento
privato e attraverso il finanziamento incrociato);
45
Il livello di apertura e adattabilità o chiusura e solidità dei programmi culturali
e spaziali all’interno del cluster;
il percorso di crescita e gli obiettivi del cluster (un’iniziativa di rigenerazione
culturale pianificata dall’alto – top-down – vs uno sviluppo spontaneo a partire
da una emergenza culturale localizzata);
la posizione del cluster all’interno della città (centro vs margini della città).
Si potrebbe generalizzare e concludere tale paragrafo con una definizione di
cluster creativo del network Creative Clusters Ltd. «A cluster of creative
enterprises needs much more than the standard vision of a business park next to a
technology campus. A creative cluster includes non-profit enterprises, cultural
institutions, arts venues and individual artists alongside the science park and the
media centre. Creative clusters are places to live as well as to work, places where
cultural products are consumed as well as made. They are open round the clock,
for work and play. They feed on diversity and change and so thrive in busy, multi-
cultural urban settings that have their own local distinctiveness but are also
connected to the world» (Creative Clusters Ltd - www.creativeclusters.com).
46
CAPITOLO III
VERSO UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLO
SVILUPPO URBANO BASATO SULLA CULTURA
La complessità dello sviluppo urbano basato sulla cultura
La cultura presenta le potenzialità per contribuire ad un processo di sviluppo
urbano molto articolato, in termini di benefici sia materiali che immateriali; può
favorire un processo di rigenerazione urbana, un miglioramento della qualità della
vita e dello spazio pubblico urbano, può generare benefici materiali per
l’economia e per l’intera società – direttamente o indirettamente attraverso la
creazione di un fertile sostrato sociale e culturale, capace di generare e rigenerare
il milieu creativo urbano. «Parlare di cultura come leva per lo sviluppo vuol dire
cercare di comprendere gli effetti diretti e indiretti dell’investimento culturale nel
territorio, le condizioni e strategie per generare un circolo virtuoso tra cultura e
sviluppo locale agendo sui molti nessi che legano la crescita cultura a quella
sociale, economica e civile» (D. Benelli, Assessore alla Cultura, Culture e
Integrazione, Provincia di Milano23).
Lo sviluppo urbano basato sulla cultura è un processo complesso che vede la
compresenza di dimensioni economiche, sociali, ambientali e culturali. Le
politiche culturali necessitano di avere un impatto su tutte queste dimensioni per
contribuire effettivamente al processo di sviluppo urbano. Negli anni Ottanta e
Novanta le politiche si sono concentrate soprattutto sulla dimensione economica
legando la cultura alle strategie di city marketing e allo sviluppo di alcuni settori
interrelati a quello culturale, come quello turistico (il caso della città di Glasgow
23 Benelli, D. (2006) Cultura e sviluppo locale. Relazione all’interno del Seminario ‘La funzione
della cultura nello sviluppo locale’. Spazio Oberdan, 13 gennaio 2006, Milano.
47
costituisce l’esempio più evidente di tale approccio). Gli anni Ottanta hanno visto
quindi il fiorire di studi sull’importanza economica della cultura a livello urbano,
sugli impatti economici diretti e indiretti delle attività cultuali. Questi studi sono
stati molto importanti per incrementare il profilo delle politiche culturali e gli
investimenti culturali pubblici e privati.
A partire dalla fine degli anni Novanta il legame delle politiche culturali con le
politiche riguardanti l’educazione, la formazione, la ricerca e lo sviluppo sta
assumendo un ruolo centrale. Il successo delle strategie culturali non può più
essere misurato semplicemente in termini di reddito e occupazione ma occorre
valutare i miglioramenti in termini di qualità della vita, coesione sociale e
capacitazione delle comunità locali. La crescente collaborazione tra il settore
pubblico e quello privato in campo culturale, la presenza di una molteplicità di
attori rende necessario lo sviluppo di nuove forme di governance. Le
amministrazioni locali avranno un ruolo centrale e insostituibile nello sviluppo di
politiche culturali urbane. L’evidenza suggerisce che il successo delle politiche
culturali come strategie di sviluppo urbano è dovuto a una serie di fattori che
possono essere identificati nella presenza di solide partnership tra
l’amministrazione locale, il settore privato, profit e non profit, e la comunità
locale, nella qualità dalla leadership urbana, nell’abilità dei policy-maker di
formulare progetti di azione concreti, e nella loro consapevolezza della posizione
che la città occupa all’interno delle gerarchie culturali urbane nazionali e
internazionali (Bianchini, 1993b).
Quello che si richiede oggi è un approccio più integrato che permetta di fornire
una base solida per strategie di sviluppo urbano sostenibile. Tale approccio
richiede la considerazione di alcune problematiche culturali, economiche, sociali e
spaziali. Le politiche culturali urbane possono infatti presentare implicazioni
culturali, economiche, sociali e spaziali, spesso controverse, implicazioni che
Bianchini (1993b) ha identificato nella forma di alcuni dilemmi strategici.
48
I dilemmi strategici dello sviluppo urbano basato sulla cultura
I dilemmi strategici evidenziati da Bianchini (1993b) costituiscono un punto di
riferimento fermo del presente lavoro. Seppur siano stati sottolineati in relazione a
casi studio di città europee con riferimento alle strategie culturali urbane adottate
durante gli anni Ottanta e inizi anni Novanta, tali dilemmi non hanno perso la loro
validità.
Il primo dilemma riguarda l’audience (turisti vs residenti), il pubblico a cui le
iniziative culturali sono rivolte. Questo è connesso al secondo dilemma,
riguardante l’obiettivo geografico delle iniziative culturali (dilemma spaziale), per
affrontare le tensioni tra centro e periferia. Il terzo dilemma riguarda
l’opposizione e la separazione tra le strategie orientate al consumo culturale e
quelle orientate alla produzione culturale (dilemma dello sviluppo economico).
Infine, vi è il dilemma del permanente verso l’effimero, infrastrutture culturali
verso eventi e festival (dilemma dei fondi destinati alla cultura).
Audience: turisti verso residenti
Il primo dilemma riguarda l’audience, il pubblico a cui le iniziative culturali sono
rivolte. Occorre infatti distinguere tra strategie che si prefiggono l’obiettivo di
attrarre turisti, investitori e consumatori dall’esterno della città, quale chiaro
segnale di prestigio urbano, e strategie che mirano a prendere in maggior
considerazione, e più efficacemente, i bisogni culturali della popolazione locale,
rafforzandone l’identità e la coesione sociale. Diventa quindi importante chiedersi
non solo quanti siano i visitatori alle attività culturali, ma soprattutto quale sia la
proporzione di residenti e quale quella di visitatori esterni alle attività culturali
presenti nella città.
A tal proposito è utile menzionare una mostra dal titolo ‘La sindrome di
Pantagruel’ organizzata a Torino nel 2005 all’interno della Triennale di Arte
49
Contemporanea. La riflessione della mostra ruota attorno all’esplosione, la
voracità e il gigantismo degli eventi culturali degli ultimi anni, eventi creati ad
hoc per attrarre flussi di turisti, eventi il cui impatto e benefici si mostrano essere
estremamente limitati al breve periodo (si pensi al fenomeno recente delle
cosiddette ‘grandi mostre’ in città quali Treviso o Brescia).
Dilemma spaziale: centro verso periferia
Questo è connesso al secondo dilemma, riguardante l’obiettivo geografico delle
iniziative culturali (dilemma spaziale), per affrontare le tensioni tra centro e
periferia, ed il rischio di gentrification24 (nobilitazione). Vi è quindi una tensione
tra lo sviluppo di progetti culturali nel centro della città, e lo sviluppo di iniziative
culturali community-based in aree periferiche e decentralizzate per facilitare
l’integrazione dei residenti, e le fasce a rischio di esclusione sociale.
In relazione al processo di gentrification, nel libro Loft Living (1982) Zukin
sottolinea le contraddizioni tra il discorso sul ruolo dell’arte come catalizzatore di
rigenerazione dei centri urbani e empowerment culturale, e il discorso della
politica culturale urbana gestita assecondando gli interessi degli speculatori e
investitori immobiliari. In alcuni casi, infatti l’istituzione di aree urbane come
distretti o quartieri culturali ha spesso generato un processo di gentrification,
24 L’incremento nel centro della città del numero di lavoratori qualificati e il declino degli
occupati nelle attività meno specializzate, vale a dire i cambiamenti nella struttura occupazionale
del centro della città sono alla base del cambiamento nella struttura sociale e residenziale dell’area
urbana, la gentrification dei quartieri interni. Il risultato di questi cambiamenti economici e sociali
è un incremento della domanda di abitazioni nell’area interna urbana da parte di famiglie ad alto
reddito che produce un allontanamento delle famiglie a reddito più basso. Paradossalmente il
processo di gentrification viene facilitato e accelerato da alcune famiglie di reddito alto che si
localizzano per prime all’interno di aree a reddito più basso, attirate dall’atmosfera di quartiere
popolare che vi si trova. Localizzandosi in tali aree urbane, questi gruppi – spesso si tratta dei
cosiddetti creativi – ne innalzano lo status, rendendo l’area trendy e alla moda, stimolando l’arrivo
di altre famiglie di classe media e accelerando in tal modo il processo di gentrification.
50
incrementando il valore immobiliare e il costo della vita nell’area e costringendo i
residenti locali, gli artisti e i giovani imprenditori culturali a spostarsi.
Risulta fondamentale valutare la presenza di servizi culturali decentralizzati,
centri per i giovani, democratizzazione dell’accesso nelle istituzioni culturali della
città, accentuare la connessione tra cultura e servizi educativi, miglioramento della
comunicazione culturale, investire in arte pubblica e in un design urbano che
accentui il concetto di spazio pubblico aperto.
Dilemma dello sviluppo economico: consumo culturale vs produzione culturale
Il terzo dilemma riguarda l’opposizione e la separazione tra le strategie orientate
al consumo culturale e quelle orientate alla produzione culturale (dilemma dello
sviluppo economico). Da un lato quindi strategie che promuovono le attività
culturali per attrarre visitatori, dall’altro strategie di supporto alle industrie
culturali. Sebbene profittevoli nel breve periodo, attraverso il miglioramento
dell’immagine urbana e l’incremento dei flussi turistici, nel lungo periodo le
strategie orientate solo al consumo culturale si mostrano spesso insostenibili. Due
ordini di motivi possono essere evidenziati: a) il primo riguarda la tipologia di
occupazioni creata, che risulta spesso essere poco specializzata, b) il secondo
riguarda la dipendenza da fattori su cui le città possono esercitare un limitato
controllo (cambiamento delle preferenze e/o del reddito disponibile dei
consumatori, aumento delle spese di viaggio, esplosione di nuove mete turistiche,
etc.).
Diventa importante combinare una politica che mira a incrementare il consumo
culturale con strategie che mirano ad assicurare le precondizioni per la futura
produzione culturale, per lo sviluppo di industrie culturali, che hanno le
potenzialità di creare occupazione specializzata in settori dell’economia dall’alto
valore aggiunto; politiche quindi per migliorare l’accessibilità alla cultura, non
solo al consumo culturale ma anche agli strumenti di produzione e distribuzione.
51
A queste considerazioni si collegano gli investimenti nel settore dell’educazione e
nelle sue interrelazioni con la città, gli investimenti in milieu o cluster creativi,
nell’attrazione, sviluppo e ritenzione della classe creativa.
Dilemma dei fondi destinati alla cultura: permanente verso effimero
Infine, vi è il dilemma del permanente verso l’effimero (dilemma dei fondi
destinati alla cultura). Da un lato strategie che mirano a creare nuove
infrastrutture culturali, come musei, teatri, biblioteche e centri artistici, con i
relativi elevati costi di gestione, dall’altro strategie volte ad incrementare la
programmazione di eventi e festival artistici. I costi di gestione delle infrastrutture
culturali sono spesso così elevati da assorbire la maggior parte delle risorse
pubbliche disponibili.
In periodi di ristrettezze finanziarie, le amministrazioni locali sono più propense a
tagliare i fondi a quelle attività che vengono viste come marginali, o comunque,
attività di carattere sperimentale e innovativo, piuttosto che a ridurre i
finanziamenti a musei o teatri. Occorre quindi valutare il maggior utilizzo degli
spazi pubblici, di strutture temporanee, e di un crescente accostamento di utilizzi
culturali con altri usi.
Il cultural planning
La considerazione dei dilemmi strategici evidenziati nel paragrafo precedente
impone una tipologia nuova di approccio alle politiche culturali e allo sviluppo
urbano. La difficoltà di superare tali dilemmi rivela l’esistenza di relazioni
sbilanciate tra le dimensioni culturali e quelle economiche nelle politiche di
sviluppo urbano, avvalorando l’ipotesi dell’importanza di un approccio integrato e
multidimensionale. Bianchini (1993b) ha riconosciuto in un approccio orientato al
cultural planning le potenzialità di identificare e considerare le problematiche
52
connesse allo sviluppo urbano basato sulla cultura, permettendo di riconciliare le
priorità culturali e sociali con quelle economiche.
Il cultural planning, già ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Australia
negli anni Ottanta sta ricevendo negli ultimi anni una crescente attenzione in
Europa. Nel 1999 il Department for Culture, Media and Sport del governo inglese
ha realizzato il documento Guidance for Local Authorities on Local Cultural
Strategies che incoraggia i governi locali inglesi a sviluppare una politica
culturale ispirata all’approccio di cultural planning.
Per cultural planning non si intende la ‘pianificazione della cultura’, ma un
approccio culturalmente sensibile alla pianificazione urbana e alle politiche
pubbliche. Caratteristica centrale è il riferimento ad una definizione allargata ed
antropologica di cultura e l’integrazione dell’arte negli altri aspetti della cultura
locale e nel tessuto della vita urbana. L’approccio è di tipo interdisciplinare e
intersettoriale: relazioni di tipo biunivoco25 devono essere sviluppate tra le risorse
culturali locali ed ogni altra tipologia di politica urbana, dal design urbano e dalla
pianificazione urbana al turismo, allo sviluppo industriale, al city marketing,
all’educazione e alla formazione.
Bianchini (1993b) suggerisce inoltre come vi sia una chiara esigenza per una
formazione in cultural planning condivisa dai policy-maker di differenti
background professionali. Tale formazione dovrebbe fornire conoscenze in
materia di economia urbana e regionale, storia, sociologia, politica, geografia e
planning (capacità di progettazione e pianificazione), così come di istituzioni
della Comunità Europea e di modelli di politiche culturali urbane nei vari paesi
dell’Europa. Lo scopo di questa tipologia di formazione dovrebbe essere la
creazione di un linguaggio condiviso che permetta ai policy-maker di creare
25 Queste relazioni presentano delle caratteristiche importanti: devono essere olistiche, flessibili,
laterali, interdisciplinari, innovative, umanistiche, tendenti ad attribuire maggior valore al dato
qualitativo che a quello quantitativo, aperte e non strumentali.
53
connessioni tra le loro rispettive aree di lavoro, generando, in questo modo,
strategie di sviluppo urbano più efficaci, equilibrate e capaci di migliore la qualità
della vita urbana.
Il segnale di un’effettiva e creativa strategia di cultural planning risiede
precisamente nel grado in cui i dilemmi strategici vengono identificati e trascesi.
Centrale in tale approccio è la percezione che le politiche culturali, se integrate e
coordinate con le altre politiche urbane, possono svolgere un ruolo centrale e di
guida all’interno delle strategie di sviluppo urbano, potenziando la capacità di
attrazione e la posizione competitiva urbana. Tale approccio è fondamentale per
garantire uno sviluppo urbano sostenibile, permettendo di migliorare la qualità
della vita urbana e di riconciliare le priorità sociali e culturali con quelle
economiche.
L’approccio di cultural planning permette inoltre di esaminare temi più ampi
concernenti la politica culturale urbana e il futuro della città come public realm,
legando il dibattito sul futuro della città come entità fisica e economica al dibattito
sul futuro della cittadinanza e della democrazia locale. Amin e Graham (1997)
sostengono l’importanza di sviluppare una governance urbana aperta e dialogica, e
una democrazia partecipativa centrata attorno alla creazione di reali opportunità
per le comunità locali. Negli ultimi anni molte amministrazioni locali hanno
cercato di rendere i processi di policy-making culturali più rispondenti alle
richieste, aspirazioni e idee dei cittadini, con una nuova enfasi sulle relazioni tra
pubblico, privato e non profit, tramite consultazioni pubbliche e forum, e
devoluzione di poteri decisionali a community group.
Tali considerazioni si collegano alle teorie di Amartya Sen, premio Nobel per
l’Economia nel 1998. Secondo la teoria di Sen (1994), la premessa vera di ogni
sviluppo è costituita dall’entitlement, ossia dalla capacitazione degli uomini di
intervenire attivamente nella società. Lo sviluppo viene inteso come un processo
di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani. La teoria delle
capacitazioni può essere considerata una rivoluzione nel campo dell'economia, dal
54
momento che riesce ad inquadrare meglio lo scopo a cui tendono tutte le attività
economiche, che non è limitato all’incremento del reddito, ma al miglioramento
della qualità della vita tramite l’acquisizione di nuove capacitazioni.
55
CAPITOLO IV
CASO STUDIO DI ROTTERDAM
Introduzione
La città di Rotterdam è situata sul delta del fiume Mosa, che la separa in due parti.
La città si affaccia sul suo waterfornt con sorprendenti architetture, un landscape
urbano inaspettato e inusuale per una città europea, e in particolar modo per una
città olandese.
Figura 3 – Mappa di Rotterdam.
Fonte: Comune di Rotterdam.
56
Con i suoi circa 600.000 abitanti, Rotterdam è la seconda città più popolata
d’Olanda. Assieme a Amsterdam, Utrecht e L’Aia, la regione metropolitana di
Rotterdam (1.4 milioni di abitanti) fa parte del Randstad, una delle aree urbane
più densamente popolate d’Europa (due quindi dell’intera popolazione olandese,
circa sei milioni di persone). In confronto con il resto dell’Olanda la popolazione
di Rotterdam è relativamente più giovane (percentuale più alta di abitanti di età
compresa tra i 15 e i 24 anni); a questo si aggiunge un altro carattere distintivo, la
sua multiculturalità. Si contano circa 135 differenti etnie in prevalenza provenienti
dal Suriname, Turchia, Marocco, Antille e Capo Verde. Il 45% circa della
popolazione è immigrata, e di questo il 65% è costituito da minoranze etniche.
Figura 4 – MARKT BLAAK – uno dei più grandi mercati d’Olanda.
Fonte: Foto di Mariangela Lavanga.
A partire dal Medioevo, la città si è sviluppata diventando un importante nodo
commerciale, oggi il porto più vasto e in rapida espansione d’Europa (40 km di
porto). L’economia della città è sempre stata dominata dai settori legati alle
attività portuali (logistica, distribuzione, servizi finanziari legati alle operazioni
57
marittime). Dalla fine del XIX secolo, grazie alle fiorenti attività legate al porto, la
città ha mostrato una rapida crescita demografica, favorendo l’immigrazione di
numerosi lavoratori non specializzati. A metà degli anni Sessanta si contavano
circa 740.000 abitanti.
A partire dagli anni Settanta, fattori economici, sociali e politici hanno favorito
una dispersione spaziale con un drammatico calo della popolazione. Il crescente
processo di sub-urbanizzazione delle famiglie di reddito alto nei sobborghi
periferici in seguito alla forte recessione degli anni Settanta ha portato ad
acutizzare i problemi socio-economici all’interno della città. L’economia urbana
soffre nei primi anni Ottanta di elevati livelli di disoccupazione: è stato stimato
che circa il 20% della popolazione attiva era senza occupazione. A partire dalla
fine degli anni Ottanta, grazie allo sviluppo del settore finanziario, la città avvia
un processo di progressiva terziarizzazione.
Nonostante la forte recessione degli anni Settanta, una politica intelligente di
supporto agli investimenti e alla rigenerazione socio-economica ha comunque
permesso a Rotterdam di mantenere la sua posizione come principale porto
europeo e nello stesso tempo diversificare la sua base economica. Il prodotto
regionale lordo della regione di Rotterdam (Rijnmond) ammonta a circa un
decimo del prodotto interno lordo olandese, facendone una delle regioni più
importanti dal punto di vista economico. A partire dalla metà degli anni Ottanta,
grandi imprese come Unilever, Robeco Group, Nedlloyd e Crédit Lyonnais
stabiliscono i loro headquarter nel centro di Rotterdam, investendo in architetture
spesso d’avanguardia. Accanto agli headquarter della Shell e della AMN-AMRO,
nel centro urbano sorgono quindi nuovi edifici adibiti ad uffici, che
contribuiscono ad aumentare lo status di internazionalità della città. A partire
dagli anni Novanta la città ha inoltre investito nello sviluppo di alcuni settori
riconosciuti con «growth cluster», tra questi l’industria audio-visiva e quella
medico-tecnologica. Negli ultimi anni il cambiamento strutturale dell’economia si
è accentuato (Tab. 3), con un incremento del settore dei servizi e una crescita
significativa nel settore culturale. Tali cambiamenti sono stati accompagnati da un
58
progressivo miglioramento dell’immagine urbana e della percezione sia interna
che esterna della città; da città portuale e industriale, Rotterdam inizia ad essere
considerata una moderna città commerciale, dinamica, conviviale e con una
qualità della vita in costante crescita.
Figura 5 – Il nuovo headquarter della UNILEVER.
Fonte: Foto di Mariangela Lavanga.
Nel trasmettere tale rinnovata immagine e nel promuovere la città, il Comune di
Rotterdam è attivamente impegnato attraverso la Rotterdam City Development
Corporation (OBR), un attore importante in molti progetti di rigenerazione, e
attraverso l’organizzazione Rotterdam Marketing. Di recente è stato creato un
board per lo sviluppo economico di Rotterdam (EDBR - Economic Development
Board Rotterdam) che riunisce stakeholder dei settori dell’educazione, della
scienze, delle imprese private, oltre che dell’amministrazione pubblica e ai
cittadini. Il compito è quello di formulare una visione condivisa per la città e
assicurarne l’implementazione. La creazione di tale board è collegata
all’impregno assunto dalla città nel costituire un ponte tra il governo e la politica
da un lato e la comunità di Rotterdam dall’altro.
59
Tabella 3 – Struttura economica della città di Rotterdam nel periodo 1996-2005.
Fonte: Elaborazione OBR da COS e Marktplan Adviesgroep.
26 Il settore leisure include ristoranti, bar, hotel, congressi, eventi, festival, attrazioni, casinò, musei, teatri, cinema e funshopping (OBR, 2004).
71
Gli arrivi e presenze nel periodo 2000-2003 sono in calo (Tab. 9). Questo
conferma il trend di diminuzione di arrivi e presenze registrato anche nelle altre
città olandesi e in tutta l’Olanda. Il 75% delle presenze è comunque costituito da
turismo d’affari. Il trend negativo è quindi dipeso anche dalle sfavorevoli
condizioni economiche degli ultimi anni.
Tabella 9 – Arrivi e presenze negli hotel e guest-house di Rotterdam nel 2000-2003.
Fonte: Elaborazione da Comune di Tampere – Ufficio Statistiche.
I festival organizzati nella città hanno svolto un ruolo fondamentale nel
miglioramento della vitalità culturale urbana, della visibilità e dell’immagine della
città, sia per i suoi residenti che per i visitatori. La stagione estiva di Tampere,
durante la quale si svolge la maggior parte dei festival, non viene difatti più
considerata dai finlandesi come il periodo ‘morto’ quale era agli inizi degli anni
Ottanta. In occasione del festival urbano, il Tammerfest City Festival32, si
registrano a Tampere circa 85.000 visitatori. La maggior parte delle
organizzazioni che si occupano dei festival (il Tampere International Short Film
Festival, il Tampere Music Festivals, il Tampere International Theatre Festival,
ed il Dance Festival) hanno sede nello stesso edificio, il Tullikamari o Cultural
Centre of the Old Customs House. Oltre ai festival, il Tullikamari ospita il
Pakkahouse, una sala per spettacoli teatrali, di musica e danza, e uno dei club più
frequentati della città, Klubi. E’ importante sottolineare come sia stata idea e
iniziativa strategica dell’amministrazione comunale offrire alla maggior parte
delle organizzazioni dei festival uno spazio unico e a basso costo come sede dei
loro uffici, facilitando così uno scambio informale di idee e di esperienze.
Oltre ai musei, ai teatri e ai festival, la città di Tampere ha investito nella
creazione del maggior centro per concerti e congressi della Scandinavia, la
Tampere Hall. La costruzione di questo centro, finanziata col budget municipale
per venire incontro alle necessità di un miglior spazio di lavoro per la Tampere
Philarmonic Orchestra, costituisce un esempio di come l’intera comunità sia
32 Il Tammerfest City Festival, giunto alla undicesima edizione, conta circa 20 podia per concerti
dislocati in tutta la città.
89
coinvolta nelle decisioni che riguardano i servizi culturali e il loro miglioramento,
spesso prendendo essa stessa per prima l’iniziativa. La Tampere Hall, di proprietà
del Comune di Tampere, viene gestita autonomamente come srl. La sostenibilità
finanziaria viene garantita dal fatto che la Tampere Hall è stata concepita come
edificio multifunzionale; concerti, grandi eventi, conferenze e seminari vengono
organizzati contemporaneamente in diverse sale, e gestite da due distinti
dipartimenti amministrativi, che si occupano rispettivamente dei programmi
culturali e del centro congressi. La Tampere Hall genera, infatti, l’80% del suo
budget attraverso le sue entrate, mentre il contributo della città ne copre il 10%
(comunque la più alta voce di spesa all’interno del budget culturale municipale).
Turismo a Tampere
Tampere è considerata un’importante meta per il turismo nazionale, come effetto
combinato del successo dei suoi festival ed eventi, e della sua posizione strategica
vicino ad attrazioni naturali e sportive. Secondo una ricerca di mercato svolta
nella primavera del 2005 dalla società Taloustutkimus per valutare l’immagine di
trentuno città finlandesi, Tampere vanta la migliore immagine come destinazione
turistica. Si contano circa 600.000 turisti pernottanti, il 20% dei quali stranieri,
con una media di 3,1 pernottamenti. Il turismo familiare, seguito da quelle d’affari
e infine culturale sono le tre fasce principali in termini di impatto per l’economia
urbana. Purtroppo il Finish Tourist Board non colleziona dati sul turismo
culturale. A livello nazionale è stato comunque stimato che i turisti leisure
spendono in Finlandia in media 440 euro, 117 euro al giorno.
Nel 2002-20003 il Tampere Tourist Board ha condotto un’analisi sugli impatti del
turismo a Tampere. E’ stato stimato che nel 2002 il turismo d’affari ha generato a
Tampere 333 milioni di euro, l’8% in più rispetto al 1999. Il turismo a Tampere
rappresenta quindi un importante contributo all’economia urbana.
90
Comunque, come conseguenza di nuovi voli low-cost per la Gran Bretagna, la
Germania, l’Estonia e la Svezia (forniti da Ryanair e Blue), Tampere sta godendo
di una crescita del turismo di medio periodo. L’impatto di questi nuovi voli è
anche percepito come un opportunità per presentare Tampere come il nodo
nazionale per turisti low-budget, in particolare durante i Festival estivi.
Attività culturali, produzione culturale e rigenerazione urbana: il
cluster culturale Finlayson/Tampella
In Finlandia i siti industriali hanno quasi sempre avuto una posizione centrale
all’interno delle aree urbane. Nel caso di Tampere, l’ex-area industriale
Finlayson/Tampella delimita gli spazi urbani del centro della città. Per più di un
secolo, l’area Finlayson è stato uno spazio chiuso, una ‘città dentro la città’. Il
processo di deindustrializzazione degli anni Ottanta ha portato ad una graduale
trasformazione negli utilizzi dell’ex-sito industriale Tampella (un’area di circa 40
ettari), e all’avvio di un processo di rigenerazione urbana (Tamminen, 2002). Con
il progressivo calo delle attività industriali, venivano studiate alternative per il
recupero dell’area Finlayson/Tampella, come strumento per rigenerare ed
espandere il centro urbano della città.
Il progetto di rigenerazione dell’ex-sito industriale è stato condotto all’interno di
un piano generale per l’intera area centrale della città. L’obiettivo era quello di
migliorare il landscape urbano e la capacità di attrazione della città come centro
residenziale e come polo per attività finanziarie e commerciali, e nello stesso
tempo di rendere le ex-aree industriali parte integrante del centro urbano, sia dal
punto funzionale, del traffico e del design urbano. Si voleva sviluppare un
quartiere stimolante, in cui fossero presenti svariate tipologie di attività urbane,
senza danneggiare il carattere identitario delle strutture industriali preesistenti.
91
Figura 16 – L’ex-area industriale Finlayson.
Fonte: Foto di Mariangela Lavanga
A partire dagli inizi degli anni Novanta, sono stati studiati diversi modi alternativi
per rigenerare l’area33; accurate valutazioni di impatto ambientale, economico,
sociale sono state svolte in modo tale da selezionare l’alternativa che offrisse le
migliori opportunità per sviluppare l’area come parte integrante del centro urbano
(Tamminen, 2002). Il contributo delle attività culturali alla rigenerazione dell’area
e al miglioramento della sua immagine è stato fondamentale. Nel 1991, in seguito
all’incendio che distrusse il Technical Museum, l’amministrazione comunale
decide di creare nell’area Finlayson/Tampella il Centro Museale Vapriikki, a quel
33 La pianificazione dell’area Tampella ha avuto inizio con un concorso di architettura, conclusosi
nel 1991. Il concorso è stato vinto dalla proposta ‘Shouts or Whispers?’ degli architetti Keijo
Heiskanen e Erkki Helamaa, premiata per la riuscita integrazione del progetto all’interno del
tessuto urbano esistente; la proposta illustrava un approccio flessibile nelle destinazioni d’uso,
un’ottima soluzione per un boulevard sul waterfornt, ed il posizionamento di edifici a torre lontani
dal contesto del centro storico. La prima fase dei lavori di progetto dell’area si è conclusa alla fine
del 2000.
92
tempo l’unica attività non industriale presente nel sito. Un ulteriore impulso allo
sviluppo del quartiere museale viene dato dai finanziamento di 10 milioni di euro
da parte del governo centrale per l’organizzazione dell’European Summit nel
1999. Oggi il quartiere museale è il più ampio complesso museale della Finlandia.
Figura 17 – L’ex-area industriale Tampella.
Fonte: Foto di Mariangela Lavanga
Per stimolare la rigenerazione degli ex-edifici industriali Finlayson in chiave
culturale, l’amministrazione comunale ha offerto spazi lavorativi a condizioni
convenienti, attraendo in tal modo nell’area istituzioni come il Media Museum, il
quotidiano Aamulehti e la Tampere Polytechnic School of Arts and Media. In
particolare la creazione del Media Museum è frutto di una stretta collaborazione
tra il Comune di Tampere, il giornale Aamulehti, la compagnia di
telecomunicazioni Elisa, l’Associazione Giornalisti, ed ad altri stakeholder locali.
L’area Finlayson si sta trasformando in un versatile centro per le tecnologie
dell’informazione e per il multimedia. Oltre al Media Museum, il Politecnico e il
giornale Aamulehti, Finlayson ospita al suo interno oltre 80 imprese, con circa
93
3.000 impiegati, un complesso cinematografico con dieci sale, un parcheggio
multipiano, ristoranti e caffetterie, gli uffici della eTampere Information Society
Programme e del Tampere Region Centre of Expertise Programme for Media
Services. La combinazione di attività di produzione con attività di consumo, oltre
a centri di ricerca e di educazione sono alla base del successo della rigenerazione
dell’area. A queste considerazioni si aggiunge il fatto che la varietà nella tipologia
di attività e quindi nell’utilizzo dell’area – attività che si sostengono e rafforzano a
vicenda – non è limitata alle sole attività lavorative diurne, ma fornisce anche la
base per una evening and night economy. L’intensità di queste attività rimanda
all’intensità storica del passato industriale dell’area; anche se la nuova identità è
profondamente diversa da quella storica, la nozione di produzione continua
attraverso lo sviluppo di forme di produzione culturale (Nevanlinna, 2002).
Oltre alle industrie creative presenti nell’area Finlayson, a Tampere hanno sede
alcune alcune compagnie televisive nazionali, come TV2, il principale canale per
programmi per l’infanzia, adolescenza, sport, teatro e varietà, parte di YLE
(Finnish Broadcasting Company), la compagnia televisiva con il più alto share in
Finlandia (44% di share nel 2003).
94
CONCLUSIONI
Note conclusive al caso studio di Rotterdam
Lo sviluppo di un virtuoso cluster culturale è considerato nelle strategie della città
di Rotterdam come uno strumento indispensabile per migliorare la qualità della
vita urbana. La città investe da un lato in infrastrutture culturali (hardware),
dall’altro in software, vale a dire nel miglioramento dei network creativi, nello
stimolo alla creatività. L’approccio è orientato allo sviluppo delle industrie
culturali, dell’imprenditorialità culturale, alla creazione del cluster audio-visivo di
Schiecentrale, e all’attrazione della cosiddetta classe creativa. Lo sviluppo di una
taskforce concernente lo sviluppo di Rotterdam come ‘student-city’ rispecchia
l’obiettivo strategico di attrarre e ritenere nella città gli studenti e i giovani
laureati, parte della futura classe creativa.
Nonostante il tentativo di R2001 di promuovere la città multiculturale, gran parte
degli investimenti in cultura e la nuova immagine di Rotterdam non presentano un
legame stretto e una forte connessione con la realtà locale. L’effettiva capacità
delle strategie urbane di guidare i processi di cambiamento nella struttura urbana
viene quindi minata. E’ richiesta una maggiore considerazione ed enfasi sugli
aspetti socio-culturali, in modo tale da permettere una maggiore integrazione tra
l’immagine di Rotterdam e la comunità dei suoi residenti.
Rotterdam dimostra il ruolo che la cultura può giocare in una città con una
negativa immagine e con un patrimonio culturale quasi del tutto assente. Come
già evidenziato in relazione al caso della città Glasgow, il processo di radicamento
della cultura nella collettività locale si mostra essere un processo di lungo periodo:
il grande test che l’anno 2001 lascia alla città consiste nell’abilità di sostenere il
momento e di incanalare la rinnovata fiducia nelle attività economiche e sociali.
95
Note conclusive al caso studio di Tampere
Il settore culturale di Tampere emerge come rappresentazione esemplare della
comunità locale: responsabile, diversificata, dinamica ed a misura d’uomo. Le
istituzioni culturali sono nate quasi nello stesso momento in cui le fabbriche
chiudevano, collegando e riflettendo il passato storico della città nella sua
presente immagine. Nonostante la città di Tampere non goda dell’ammontare di
sussidi e finanziamenti pubblici come le istituzioni culturali localizzate nella
Regione Metropolitana di Helsinki, la comunità di Tampere si mostra molto
orgogliosa dei risultati che riesce ad ottenere grazie alla propria iniziativa e grazie
ad una forte coesione sociale – senza la necessità di sovrastimare il proprio
potenziale, o sottostimare le necessità culturali dei propri residenti, ma facendo
piuttosto un uso bilanciato delle proprie risorse all’interno di una strategia urbana
bilanciata e sostenibile.
Questa attenzione alla sostenibilità riflette il modo pionieristico e strategico con
cui Tampere si è dimostrata capace di adattarsi alle diverse fasi del proprio
sviluppo economico, sociale e culturale – vale a dire attraverso l’uso di strategie
innovative, di un approccio proattivo, precedendo i vari cambiamenti ed
adattandosi ad essi, ma nello stesso tempo creando il proprio percorso di sviluppo
e rigenerazione urbana.
Le nuove attività all’interno dell’area Finlayson/Tampella hanno avuto un forte
impatto sulla struttura, le funzioni e l’immagine di Tampere, contribuendo a
guidare e indirizzare lo sviluppo futuro dell’intera città. Lo sviluppo integrato di
nuove attività e di utilizzi innovativi all’interno delle aree ex-industriali ha
contribuito al recupero e al rafforzamento delle identità nella città post-industriale.
La comunità residente sembra aver riconosciuto la trasformazione dell’area
Finlayson/Tampella come un’estensione di quella che era la Tampere, città
industriale. Gli ex-lavoratori dell’area sono orgogliosi del fatto che il loro
precedente luogo di lavoro si sia trasformato in un’area museale e in uno spazio
96
d’incontro e di commercio per l’intera comunità di residenti e per i visitatori della
città.
Conclusioni
Il settore culturale presenta le potenzialità per contribuire ad un processo di
sviluppo urbano molto articolato, in termini di benefici sia materiali che
immateriali. Il settore culturale può portare ad un miglioramento della qualità
della vita e dello spazio pubblico urbano, può generare benefici materiali per
l’economia e per l’intera società – direttamente o indirettamente attraverso la
creazione di un fertile sostrato sociale e culturale, capace di generare idee
innovative, di testare nuovi modelli di scambio e di produzione, e di captare
nuove necessità. E’ comunque necessario che una città trovi un equilibrio nella
natura dei suoi investimenti, così che tutti i pilastri necessari per uno sviluppo
sostenibile siano mantenuti e rafforzati.
Il ruolo della cultura nell’economia di Tampere è molto forte. La comunità
residente rappresenta la proporzione maggiore di visitatori culturali, una
sostanziale proporzione del budget comunale è riservata alla cultura, con un
particolare focus sull’accessibilità, sull’educazione collegata all’arte e lo sviluppo
di centri per i giovani. L’investimento in cultura ha permesso di ri-definire e
rafforzare l’identità della città e il suo carattere partecipativo e inclusivo. Nello
stesso tempo tali investimenti hanno prodotto benefici in termini di miglioramento
dell’immagine culturale della città e incremento nel numero di visitatori. I due
processi si alimentano e rafforzano in un circolo virtuoso.
Nel caso di Rotterdam, la comunità residente rappresenta una proporzione molto
bassa di visitatori culturali. Sebbene la cultura abbia rivestito un ruolo importante
nelle politiche di rigenerazione a partire degli anni Ottanta, la strategia della città
si è concentrata su investimenti per il miglioramento dell’immagine urbana con lo
scopo di attrarre flussi di residenti, turisti e investitori, con scarso riguardo verso
97
l’identità della città e della comunità dei suoi residenti. A differenza di Tampere
che presenta flussi crescenti di turisti, Rotterdam non ha visto aumentare in
maniera considerevole il turismo, fatta eccezione durante l’evento R2001.
In entrambe le città le principali attività culturali sono concentrate nel centro
urbano. Sono comunque presenti o in fase di sviluppo iniziative culturali
community-based in aree periferiche e decentralizzate per facilitare l’integrazione
dei residenti, e le fasce a rischio di esclusione sociale. Lo sviluppo di forti
connessione tra cultura e servizi educativi, l’apertura di centri per i giovani, il
miglioramento della comunicazione culturale interna alla città sono i caratteri
distintivi della strategia culturale di Tampere. Lo sviluppo a Rotterdam dei Local
Cultural Centres previsti nel Piano Culturale 2005-2008 dovrebbero aiutare a
migliorare il legame tra cultura e residenti, e promuovere la diversità culturale. La
città è comunque all’inizi in tale tipo di approcci.
Il grande sviluppo delle industrie culturali nella città di Rotterdam ha portato ad
adottare strategie per lo sviluppo di cluster creativi e per l’attrazione della classe
creativa. A livello urbano la politica culturale si presenta bilanciata, con
investimenti in consumo e produzione culturale. A livello di cluster, la città
presenta un quartiere museale e culturale orientato al consumo nel centro della
città, ed il cluster audio-visivo di Schiecentrale orientato alla produzione
decentrato.
A livello di cluster lo sviluppo dell’area Finlayson/Tampella a tampere può essere
considerata un successo per la sua combinazione di attività di produzione con
attività di consumo culturale, centri di ricerca e di educazione, e per la sua
integrazione con la rinnovata identità e immagine della città. A differenza di
Rotterdam, Tampere non ha al momento ancora sviluppato strategie per lo
sviluppo delle industrie culturali, sebbene abbia riconosciuto il loro ruolo
importante nello sviluppo urbano. Tampere ha annunciato alla fine del 2005 il
lancio del programma della durata di sei anni (2006-2011) Creative Tampere, con
lo scopo di sviluppare l’economia creativa della città. Il programma verte attorno
98
a tre temi: a) tecnologia, b) business c) ambiente e cultura. La data di chiusura del
programma, il 2011, coincide con l’anno in cui Tampere competerà per ricevere il
titolo di Capitale Culturale Europea, una perfetta conclusione per l’intero
progetto. Le basi per lo sviluppo del programma Creative Tampere sono molto
solide e vengono rafforzate dal successo del programma eTampere, conclusosi nel
2005. «The eTampere initiative has generated functional cooperation between
businesses, the public sector, associations, providers of training and research
institutes. These stakeholders will also produce the content for the Creative
Tampere programme and the reception has been enthusiastic throughout. Some of
the methods of operation created in eTampere may also continue as part of the
new programme… eTampere has also produced the necessary international
visibility and credibility for the city as well as networks that will be of use when
the Creative Tampere projects kick off» (Harri Airaksinen, Direttore del Business
Development del Comune di Tampere e ideatore del programma Creative
Tampere).
Tampere è un caso esemplare d’integrazione fra cultura, interessi delle comunità
locali, identità e new economy: un’integrazione frutto di una strategia di
rigenerazione urbana in cui le forze globali si innestano nel tessuto urbano
preservando e rafforzando le identità locali. Tampere investe in cultura senza
sovrastimare il proprio potenziale o sottostimare i bisogni della comunità di
residenti questo viene ripagato in termini di un’elevata qualità della vita e
sostenibilità dei processi di sviluppo. Rotterdam è invece l’esempio di una città
che necessita un ridimensionamento dei suoi obiettivi strategici e delle sue
ambizioni, ponendo maggiore attenzione sulle necessità dei suoi residenti.
Le relazioni tra immagine e identità urbana sono ben rappresentate negli approcci
adottati dalle due città, che si rispecchiano nei dilemmi strategici che
accompagnano lo sviluppo urbano basato sulla cultura. Da un lato investimenti
per il miglioramento dell’immagine in modo tale da aumentare la capacità di
attrazione urbana. Dall’altro investimenti orientati al rafforzamento dell’identità
locale e della coesione sociale, della qualità della vita urbana. I casi di Rotterdam
99
e Tampere mostrano come gli investimenti legati al miglioramento dell’immagine
urbana, sebbene possano produrre benefici di breve periodo, necessitano degli
investimenti in identità per produrre benefici di periodo e innescare processi di
sviluppo urbano sostenibile.
100
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