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1 Informagiovani -18 maggio 2012 Novecento: un pomeriggio a lezione di storia dedicato a Ferrer Visentini Gli anni di piombo Paolo Vidali Gli anni di piombo ................................................................................................................................1 La definizione di terrorismo .............................................................................................................2 Cronologia degli attentati.................................................................................................................3 La contestazione e il '68 ...................................................................................................................5 Piazza Fontana ..................................................................................................................................8 Il terrorismo di sinistra ...................................................................................................................13 Il terrorismo di destra.....................................................................................................................14 La P2 ...............................................................................................................................................15 La legge Reale .................................................................................................................................16 Il '77 ................................................................................................................................................18 Il contesto politico nazionale e internazionale ..............................................................................19 “L’attacco al cuore dello stato”: Il sequestro Moro ......................................................................20 Il sequestro Cirillo ...........................................................................................................................23 La strage di Bologna .......................................................................................................................24 Conclusioni .....................................................................................................................................26
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ITALIA: GLI ANNI DI PIOMBO

Feb 25, 2023

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Informagiovani -18 maggio 2012

Novecento: un pomeriggio a lezione di storia

dedicato a Ferrer Visentini

Gli anni di piombo

Paolo Vidali

Gli anni di piombo ................................................................................................................................1

La definizione di terrorismo .............................................................................................................2

Cronologia degli attentati .................................................................................................................3

La contestazione e il '68 ...................................................................................................................5

Piazza Fontana ..................................................................................................................................8

Il terrorismo di sinistra ...................................................................................................................13

Il terrorismo di destra .....................................................................................................................14

La P2 ...............................................................................................................................................15

La legge Reale .................................................................................................................................16

Il '77 ................................................................................................................................................18

Il contesto politico nazionale e internazionale ..............................................................................19

“L’attacco al cuore dello stato”: Il sequestro Moro ......................................................................20

Il sequestro Cirillo ...........................................................................................................................23

La strage di Bologna .......................................................................................................................24

Conclusioni .....................................................................................................................................26

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La definizione di terrorismo

Report of the Policy Working Group on the United Nations and Terrorism

"Il terrorismo è, nella maggior parte dei casi, un atto essenzialmente politico. Mira a infliggere danni anche mortali a civili e a creare un clima di paura, in genere per uno scopo politico o ideologico, sia laico che religioso."

Il terrorismo è una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni clamorose, violente e premeditate come attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi, ai danni di enti quali nazioni, governi, gruppi etnici o fedi religiose.

Secondo l'articolo 17, primo comma della Costituzione Italiana, "I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi"; il secondo comma dell'articolo 18 stabilisce che "Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare". Secondo il combinato disposto di tali commi, in Italia è proibito il ricorso alla forza armata per fini politici da parte di cittadini singoli o organizzati.

Grande rilevanza assume la risonanza mediatica dell’azione terroristica, in grado di colmare il divario di forze tra soggetti contendenti e in grado di agire sull'opinione pubblica formandola.

Nel termine e nella sua storia si saldano diversi problemi:

• Il terrorismo come progetto e come strumento

• Il problema del rapporto tra terrorismo e media

• Il problema della sicurezza dello Stato

• Il problema dell'uso del terrorismo per fini politici

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Cronologia degli attentati

Questi gli episodi più rilevanti

Bombe del 25 aprile 1969: il 25 aprile 1969 una bomba esplode a Milano provocando 6 feriti e una seconda bomba viene ritrovata inesplosa. Alcuni considerano questo episodio l'inizio della strategia della tensione.

Strage di Piazza Fontana: il 12 dicembre 1969 una bomba esplode a Milano uccidendo 16 persone.

Morte dell'anarchico Pinelli: il 15 dicembre 1969 muore precipitando da una finestra della Questura di Milano Giuseppe Pinelli, durante un interrogatorio relativo alla Strage di Piazza Fontana.

Strage di Gioia Tauro: il 22 luglio 1970 il procurato deragliamento del Treno del Sole uccide 6 persone.

Strage di Peteano: il 31 maggio 1972 a Peteano di Sagrado militanti di Ordine Nuovo uccidono 3 carabinieri .

Strage della Questura di Milano: il 17 maggio 1973 un attentato messo in atto da Gianfranco Bertoli provoca 4 morti e 52 feriti.

Strage di Piazza della Loggia: il 28 maggio 1974 una bomba esplode a Brescia uccidendo 8 persone.

Strage dell'Italicus: il 4 agosto 1974 una bomba ad alto potenziale esplode sul treno Italicus provocando 12 morti e 48 feriti.

Strage di via Fani: il 16 marzo 1978 Aldo Moro viene rapito dalle Brigate rosse e 5 uomini della scorta vengono uccisi.

Omicidio di Aldo Moro: il 9 maggio 1978 le Brigate Rosse uccidono Aldo Moro

Omicidio di Guido Rossa il 28 maggio 1979, le Brigate Rosse uccidono il sindacalista Guido Rossa.

Strage di Bologna, il 2 agosto 1980 un ordigno esplode nella stazione di Bologna Centrale uccidendo 85 persone e ferendone oltre 200.

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I numeri complessivi degli attentati

i morti furono 420

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La contestazione e il '68

Caratteristiche fondamentali del Sessantotto furono la dimensione internazionale del movimento, il suo configurarsi come rivolta generazionale e come affermazione di nuove “soggettività” contro il sistema di valori dominanti.

Protagonisti ne furono i giovani appartenenti alla generazione cresciuta dopo la fine della guerra, nel contesto di intenso sviluppo economico che contrassegnò quei decenni.

Percentuale consistente della popolazione a causa della ripresa demografica del dopoguerra, quella generazione aveva assistito, da una parte, all’affermazione della società dei consumi, alle prime missioni nello spazio, al diffondersi del benessere, e, dall’altra, all’emergere delle disuguaglianze sociali nel mondo, alle conseguenze della bomba atomica, alle tensioni della guerra fredda. Gruppi di giovani si fecero interpreti di queste contraddizioni a partire dall’inizio degli anni sessanta, attraverso nuovi stili di vita anticonsumistici, manifesti programmatici, movimenti di protesta contro false sicurezze e un falso benessere. Negli Stati Uniti queste lotte si intrecciarono con quella per l’affermazione dei diritti civili dei neri, che attraversò tutto il decennio, e con la protesta contro la guerra nel Vietnam, che divenne, agli occhi dei giovani di gran parte del mondo, il simbolo del riscatto di un popolo piccolo e povero contro una grande potenza economica e militare. Accanto alle manifestazioni e alle forme più visibili del movimento, venne elaborata una nuova cultura incentrata sulla critica alla società opulenta e ai suoi meccanismi di integrazione degli individui, a forme di autoritarismo e repressione delle libertà presenti anche nelle società democratiche. La scuola e la famiglia, i luoghi della ricerca e della produzione del sapere, prime fra tutti le università, così come le forme della politica istituzionale furono attraversati da questa analisi critica, che trovò espressione nelle assemblee, nella promozione di una nuova didattica – per esempio i “controcorsi” –, nella straordinaria produzione e diffusione di libri e riviste, in seminari e convegni “alternativi”, negli Stati Uniti come in Europa. L’anno 1968 fu, nel succedersi rapidissimo degli eventi, la rappresentazione sincronica di un complesso movimento di protesta animato da diversi soggetti: dagli studenti, agli operai in lotta,

all’esordio del femminismo, ai popoli impegnati in movimenti di liberazione. Emblematico fu il “maggio francese” che vide insieme alle manifestazioni studentesche una serie di scioperi che paralizzò la Francia intera. Alla fine di quell’anno, in seguito alla riconferma di De Gaulle alla presidenza della Quinta repubblica, alla repressione da parte delle truppe del patto di Varsavia della “primavera di Praga” e all’andamento discontinuo della mobilitazione studentesca in altri paesi, la fase più creativa del movimento sembrava iniziare la sua parabola discendente, sebbene, per esempio in Italia, la conflittualità proseguisse ben oltre il Sessantotto. Ma anche in altri paesi, quel movimento lasciò dietro di sé un profondo mutamento culturale che si rese evidente negli anni successivi, al di là della sua fine cronologica.

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Piazza Fontana

La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico avvenuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano, quando, alle 16:37, una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana, provocando la morte di diciassette persone ed il ferimento di altre ottantotto. Per la sua gravità e rilevanza politica, tale strage ha assunto un rilievo storico primario venendo convenzionalmente indicata quale primo atto

della strategia della tensione.

Una seconda bomba fu rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala, furono fatti i rilievi previsti, e successivamente fu fatta brillare distruggendo in tal modo elementi probatori di possibile importanza per risalire all'origine dell'esplosivo e a chi avesse preparato gli ordigni. Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collegava l'entrata di via Veneto con quella di via di San Basilio della Banca Nazionale del Lavoro, facendo tredici feriti. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del museo del Risorgimento, in piazza Venezia, facendo quattro feriti.

Si contarono dunque cinque attentati terroristici nel pomeriggio dello stesso giorno, concentrati, tra il primo e l'ultimo, in un lasso di tempo di soli 53 minuti, a colpire contemporaneamente le due maggiori città d'Italia, Roma e Milano.

Sebbene la vicenda sia tuttora oggetto di controversie, le responsabilità di questi attacchi possono essere ricondotte a gruppi eversivi di estrema destra, che miravano a un inasprimento di politiche repressive e autoritarie tramite l'instaurazione di un clima di tensione nel paese.

(1 di 7) 12 dicembre 1969 - Strage di Piazza Fontana.mp4

Un caso simbolico

Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti, furono fermate per accertamenti in particolare gli anarchici del Circolo anarchico 22 marzo.

Il 12 dicembre l'anarchico Giuseppe Pinelli viene fermato e interrogato a lungo in Questura ed il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. L'inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto Procuratore Gerardo D'Ambrosio, individuò la causa della morte in un "malore attivo", in seguito al quale l'uomo

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sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza: fu accertato che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta.

Il 16 dicembre viene arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Rolandi come l'uomo che era sceso quel pomeriggio dal suo taxi in piazza Fontana recando con sé una grossa valigia.

Le indagini e i processi (sette) si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni vedranno condanne per altre stragi, e altri si gioveranno della prescrizione).

Alcuni esponenti dei servizi segreti verranno condannati per depistaggi.

In 43 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage, anche se Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo.

Delfo Zorzi, neofascista, ammetterà nel 1990 di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Fuggito in Giappone nel 1974 ne acquisirà la cittadinanza che gli permetterà l'immunità da ogni vicenda giudiziaria. Il Giappone rifiuterà le richieste di estradizione dall'Italia.

Il caso Calabresi

A seguito della morte di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi, incaricato delle indagini, pur non essendo presente nella stanza dove era interrogato Pinelli al momento della sua caduta dalla finestra, in circostanze non ancora chiarite, sarà oggetto di una dura campagna di stampa, petizioni e minacce da parte di gruppi di estrema sinistra e di fiancheggiatori, che ebbero il risultato di isolarlo e renderlo vulnerabile.

Oltre settecento tra intellettuali, scrittori, uomini di cinema e artisti (alcuni dissociatisi negli anni seguenti) firmarono una celebre petizione

pubblicata dall'Espresso il 27 giugno 1971, che iniziava così: "Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice."

La "petizione" contribuì ad isolare e colpevolizzare il commissario, già bersagliato da una ancor più feroce campagna di stampa, con minacce esplicite di morte, da parte del giornale "Lotta Continua".

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Il 17 maggio 1972 Luigi Calabresi fu assassinato da militanti di estrema sinistra membri di Lotta Continua.

Per l'omicidio Calabresi sono stati condannati in via definitiva Ovidio Bompressi e il pentito Leonardo Marino quali autori materiali, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri quali mandanti.

Nel Memoriale Moro compilato dalle Brigate Rosse deducendolo dall'interrogatorio cui lo sottoposero durante la prigionia, Aldo Moro avrebbe indicato come probabili responsabili della strage, così come in generale della strategia della tensione, rami deviati del SID (il servizio segreto), in cui si erano insediati negli anni diversi esponenti legati alla destra, con possibili influenze dall'estero, mentre gli esecutori materiali erano da ricercarsi nella pista nera.

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La strategia della tensione

Nicola Tranfaglia,

La strategia della

tensione

Per comprendere che cosa si può intendere oggi per “strategia della tensione” come chiave interpretativa di un periodo tormentato della storia repubblicana che si apre a ridosso della contestazione studentesca e si conclude nella sostanza a metà degli anni ottanta, un

quindicennio pressappoco, caratterizzato da attentati, atti di violenza, stragi e omicidi politici in una misura del tutto eccezionale nel contesto italiano, occorre indicare un punto di partenza di una crisi del sistema politico riconosciuta a livello di documenti e di testimonianze attendibili. Per la “strategia della tensione” questo punto di partenza, lasciando per ora da parte quegli antecedenti che affondano nella seconda guerra mondiale e nell’esplodere della guerra fredda all’indomani della sconfitta nazista ma che hanno negli anni cinquanta tappe significative negli accordi (ormai accertati) conclusi tra i Servizi segreti americani e quelli italiani, si può ritrovare nel tentativo di golpe denominato “Solo” attribuito al generale De Lorenzo e al Sifar nel luglio del 1964. Si provò allora una tecnica che sarebbe riemersa altre volte nel corso di quegli anni e che consisteva nel preparare e minacciare una svolta autoritaria per bloccare un processo

riformatore o comunque un avvicinamento eccessivo del Partito comunista italiano all’area di

governo, pronti a tornare indietro se il pericolo ipotizzato rientrasse e si ottenesse con la minaccia quello che non si era ottenuto attraverso il normale gioco politico previsto dalla Costituzione. [...] In questo, a pensarci bene, è forse il significato essenziale di una espressione coniata all’indomani di piazza Fontana come quella di “strategia della tensione”. Tutto ciò poté avvenire, ad avviso di chi scrive, non solo grazie all’assenza di controllo da parte del parlamento e alla delega permanente da parte dell’esecutivo nei confronti dei Servizi di sicurezza e i vertici militari e dell’amministrazione dell’Interno ma anche a causa di una costituzione materiale della repubblica che in quegli anni, guerra fredda imperante, prevedeva una “doppia lealtà” di politici, militari e

funzionari dello Stato verso l’alleanza atlantica al di sopra dell’osservanza della costituzione

repubblicana. [...] Quello che colpisce, analizzando le modalità di svolgimento del secondo tentativo di colpo di Stato ormai accertato e che va sotto il nome di “golpe Borghese” (7-8 dicembre 1970), è il ripetersi dello schema già collaudato nel luglio 1964. [...] L’ultimo tentativo noto, quello del 1974 rivelato nel marzo 1997 da Edgardo Sogno, anch’esso fermato all’ultimo momento, presenta ancora zone troppo oscure perché possa entrare con considerazioni precise nel nostro discorso ma conferma il ruolo dei tentativi, il loro significato di intimidazione e di minaccia di fronte a una situazione politica che si sposta a favore delle forze storiche della sinistra, e in particolare del partito comunista.

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C’è da chiedersi, tuttavia, perché alla stagione dei “golpe” usati per così dire come deterrenti di fronte all’apertura a sinistra, si accompagna e segue, a partire dal 12 dicembre 1969, una stagione fatta di stragi e di terrorismo, nero dominante nel primo quinquennio degli anni settanta, rosso sempre più aggressivo ed esteso nella seconda metà degli anni settanta e destinato a culminare nel delitto politico più importante ed esemplare dell’Italia repubblicana, quello in cui cadde Aldo Moro. Sul piano internazionale è stata a ragione messa in luce, alla fine degli anni sessanta, una situazione di arretramento dell’influenza del blocco occidentale dovuta sia allo schierarsi di stati asiatici e africani di recente indipendenza vicino al blocco sovietico o all’interno del fronte dei “non allineati” sia per lo sviluppo nei paesi occidentali di una nuova opposizione legata alle avanguardie giovanili studentesche e operaie (negli Stati uniti il 1967 è l’anno dell’espandersi dei movimenti di massa studenteschi decisi a far valere le proprie ragioni dentro e fuori i campus). All’arretramento, una parte degli apparati e dell’opinione pubblica occidentale reagisce con un rafforzamento dell’atlantismo più intransigente, rafforzato per altro prima dal colpo di Stato militare in Grecia grazie all’appoggio della Cia, quindi dalla vittoria di Nixon, che nel 1968 diventa presidente e inizia con l’Unione sovietica una competizione che non esclude la coesistenza ma dispiega una indubbia aggressività come dimostra l’intervento pesante in Cile contro il governo di Allende.

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Il terrorismo di sinistra

GAP : Gruppi di azione Partigiana

Il primo gruppo clandestino armato, fondato a Milano dall’editore Giangiacomo Feltrinelli con il progetto di creare una insurrezione sul modello della guerriglia castrista. Feltrinelli morì nel 1972 per l’esplosione di una carica di tritolo che tentava di piazzare su un traliccio dell’alta a Segrate.

NAP : Nuclei armati proletari

Sorgono a Napoli negli ambienti attivi sulla questione carceraria. Trasferitisi a Roma i militanti del Nap mettono a segno il 6 maggio 1975, il rapimento del magistrato Giuseppe Di Gennaro

BR : Brigate Rosse

Compaiono per la prima volta a Milano compiendo azioni di propaganda armata negli stabilimenti della Sit Siemens e della Pirelli. Tra i fondatori delle BR, che ha come simbolo la celebre stella a cinque punte racchiusa in un cerchio, ci sono esponenti del movimento studentesco della Università di Trento (Renato Curcio e Margherita "Mara" Cagol) ex militanti comunisti (Alberto Franceschini) attivisti di gruppi estremisti di fabbrica (Mario Moretti). Con una organizzazione clandestina e un inquadramento militare, le Brigate Rosse compiono il rapimento del giudice Mario Sossi e il ferimento dell’esponente democristiano Massimo De Carolis. Dopo l’arresto di Curcio nel 1976, le nuove Brigate rosse compiono una escalation impressionante di attentati, ferimenti e omicidi di esponenti simbolo dello Stato, fino alla strage di via Mario Fani e al rapimento di Aldo Moro, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana,

PL : Prima linea

All’inizio, l’organizzazione di estrema sinistra punta sulla presenza territoriale. Tale atteggiamento fu abbandonato in seguito per seguire la scelta del terrorismo e la clandestinità. Tra i suoi militanti c’è Marco Donat Cattin, figlio di Carlo, esponente della sinistra democristiana e ministro in diversi governi. E’ il 1979, quando Prima Linea firma l’omicidio del sostituto procuratore Emilio Alessandrini. Il primo di una lunga serie, che fece quasi concorrenza al terrore delle BR. Prima linea venne sgominata grazie alle confessioni di Patrizio Peci, primo pentito nella storia del terrorismo.

Per un quadro generale

http://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Terroristi_degli_Anni_di_piombo

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Il terrorismo di destra

È lunga la serie dei delitti del terrorismo di destra ed è utile ripercorrerla rapidamente. Dal 1969 al 1975 in Italia sono stati compiuti 4.384 atti di violenza politicamente motivati contro persone o cose, concentrati in grandissima parte (85%) in sedici province (in particolare Roma, Milano e Torino). Di essi l’83% è stato dichiaratamente opera di organizzazioni eversive di destra; a questa parte politica sono riconducibili, in particolare, 63 omicidi su un totale di 92. Dal 1975 al 1980 gli omicidi commessi da terroristi sono stati 270, 115 dei quali attribuibili alla destra (ottanta nella sola strage del 2 agosto 1980 a Bologna); nello stesso periodo gli attentati contro persone o cose sono stati circa 8.400, di cui circa 3.000 da attribuire alla destra eversiva. La stragrande maggioranza dei fatti terroristici di destra ha interessato, in questo periodo, la zona di Roma, ma ha toccato in modo consistente anche il Veneto e Milano. [...] L’attentato con le bombe è la forma tradizionale del terrorismo di destra, che non sceglie un obiettivo particolare ma mira a colpire indiscriminatamente persone qualunque in un ambiente pubblico, allo scopo di diffondere in modo generalizzato il terrore ed indurre reazioni emotive nell’opinione pubblica, con richieste di «ordine» e di irrigidimenti autoritari dello Stato. È una forma di terrorismo diversa da quella prevalentemente praticata dalle organizzazioni eversive di sinistra, diretta invece a colpire lo Stato negli uomini ritenuti o rappresentativi (i «simboli») delle istituzioni o avversari pericolosi. [...] Conviene ricordare i più gravi di questi attentati. [...]

Il 12 dicembre 1969 a Milano, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, esplode un ordigno che provoca la morte di sedici persone e il ferimento di ottanta. Il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro esplode un ordigno ad alto potenziale sugli scambi dei binari nei pressi della stazione ferroviaria e provoca la morte di sei persone e il ferimento di cinquanta. Il 31 maggio 1972 a Peteano, località in comune di Sagrado (Gorizia), un ordigno esplosivo collocato in un’automobile viene fatto esplodere allorché intervengono a controllare il veicolo i carabinieri chiamati sul posto con una telefonata anonima: tre dei carabinieri muoiono, uno rimane ferito. Il 28 maggio 1974 a Brescia, in piazza della Loggia, esplode un ordigno durante una manifestazione sindacale causando la morte di otto persone e il ferimento di novantaquattro.

Il 4 agosto 1974, in località San Benedetto Val di Sambro, esplode un ordigno sul treno Italicus e causa la morte di dodici persone e il ferimento di centocinque.

Il 2 agosto 1980, alla stazione ferroviaria di Bologna, l’esplosione di un ordigno ad alto potenziale causa la morte di ottantacinque persone e il ferimento di duecento. E a questo elenco si è aggiunta, da ultimo, con il suo seguito di morti e feriti la strage del 23 dicembre 1984 sul treno rapido 904 Napoli-Milano. Le vittime di tutti questi attentati attendono ancora giustizia.

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Gli opposti estremismi

La teoria degli opposti estremismi fu una teoria politica finalizzata a raggruppare le forze centriste al fine di isolare e marginalizzare i consensi nei confronti degli estremismi di destra e di sinistra, intesi in senso tanto ideologico quanto elettorale. L'espressione sembra essere già usata con questo significato in occasione alle elezioni politiche del 1953. Lo slogan con cui essa veniva espressa risultò molto efficace poiché esemplificativa di una intera situazione sociale e di un intero programma politico; fece molta presa nel linguaggio politologico dell'epoca e contribuì a mantenere la coesione dell'elettorato moderato attorno ai partiti dell'area centrista, complessivamente forti di circa il 60% dei consensi. In seguito si utilizzò la locuzione "opposti estremismi" per indicare i gruppi terroristici di estrema destra ed estrema sinistra.

La P2

Sebbene la P2 sia stata scoperta, alcuni punti del piano sembra che abbiano comunque trovato realizzazione negli anni seguenti: a livello istituzionale, di assetto economico nel mondo imprenditoriale e soprattutto a livello mediatico.

Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto affermati avrebbero aderito alla P2, secondo taluni l'abilità di Licio Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il diffuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro, l'iscrizione alla loggia sarebbe apparsa di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al fine di assicurarsi il controllo sia

pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane.

Secondo altre interpretazioni, la loggia altro non sarebbe stata che un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per influire sugli andamenti politici dello Stato.

Proprio in quegli anni montava la strategia della tensione e da molte parti della società si auspicava una svolta politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa inefficienza sociale, economica e pratica dell'impianto statale.

Principali punti proposti

* La nascita di due partiti "l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale)." allo scopo di semplificare il panorama politico.

* Controllo dei media. Il piano prevedeva il controllo di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all'epoca permesse solo a livello regionale) allo scopo di controllarle, e in questo modo influenzare l'opinione pubblica; nonché l'abolizione del monopolio della RAI e la sua privatizzazione.

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* Riforma della magistratura: divisione tra ruolo del P.M. e del magistrato, responsabilità del CSM nei confronti del parlamento.

* Riduzione del numero dei parlamentari

* Abolizione delle province.

* Abolizione della validità legale dei titoli di studio.

Il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani attese il 21 maggio 1981, prima di rendere pubblica la lista degli appartenenti alla P2, che comprendeva i nominativi di 2 ministri allora in carica (Enrico Manca, PSI e Franco Foschi, DC) e n. 5 sottosegretari (Costantino Belluscio, PSDI; Pasquale Bandiera, PRI; Franco Fossa, PSI ; Rolando Picchioni, DC e Anselmo Martoni, PSDI, quest'ultimo - peraltro - citato come "in sonno", cioè dimissionario).

Una volta diffusa, la lista divenne presto memorabile. Tra i 962 iscritti (molti dei quali negheranno il loro coinvolgimento nella loggia), spiccavano i nomi di 44 parlamentari (compresi i succitati componenti del governo in carica), un segretario nazionale di partito (PSDI), 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell'esercito italiano, 4 dell'aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti, personaggi legati al mondo dello spettacolo ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima della scoperta della lista), Claudio Villa, Paolo Mosca e il personaggio televisivo professor Fabrizio Trecca (capo gruppo); in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani, Leonardo Di Donna (presidente dell'ENI) e Duilio Poggiolini, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori.

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La legge Reale

La legge dello Stato italiano, nota come legge Reale, 22 maggio 1975, dal nome del suo principale autore, fornisce disposizioni in materia di ordine pubblico.

Principale redattore della legge fu il ministro della giustizia, appartenente al partito repubblicano italiano, Oronzo Reale.

La disposizione normava:

* il diritto delle forze dell'ordine a fare uso delle armi, estendendolo ai casi di ordine pubblico,

* estendeva il ricorso alla custodia preventiva, sostituendo il precedente art 238 del codice di procedura penale, anche in assenza di flagranza di reato, di fatto permettendo un fermo preventivo di 96 ore (48+48) ore entro le quali va emesso decreto di convalida da parte dell'autorità giudiziaria.

* normava l'uso del casco e di altri elementi potenzialmente atti a non rendere riconoscibili i cittadini.

Venne sottoposta ad una consultazione referendaria (Referendum abrogativi del 1978), promossa dal comitato portando a sostegno dell'iniziativa una lunga lista di vittime collegate all'applicazione della legge stessa. Il referendum abrogativo si tenne l'11 giugno 1978 (DPR 14 aprile 1978) ed ebbe esito negativo, ovvero la legge non venne abrogata.

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Il '77

Nella seconda metà del 1975, alcuni fattori contribuirono in misura notevole alla crescita del terrorismo. Il primo fu la crisi dei gruppi rivoluzionari, in seguito ai risultati elettorali rivelatisi per loro un vero disastro e alla conseguente delusione dei propri seguaci. Molti militanti, in effetti, erano coinvolti nella politica attiva fin dal 1968 e mezzo milione di voti con sei deputati in Parlamento costituivano una ricompensa troppo magra per uno sforzo di tale natura. [...]

Un secondo fattore è da ricercarsi nella frattura, sempre più marcata, che si creò tra il Pci e quel ceto giovanile urbano e universitario che gli aveva dato un appoggio cruciale nelle elezioni di giugno. [...] Il movimento del 1977. Le ragioni del baratro che si stava aprendo tra il Pci e una parte della gioventù italiana non erano solo politiche, ma anche sociali ed economiche. La crisi significava disoccupazione crescente, sia nel settore manuale sia in quello intellettuale. [...] Nelle principali città si sviluppò un diverso genere di movimento giovanile. Disamorati dalla politica tradizionale, spesso incapaci o riluttanti a trovare un’occupazione che non fosse solo marginale o precaria, desiderosi soprattutto di «stare insieme» e di divertirsi, i giovani del movimento del ‘77

differivano radicalmente dai loro idealisti e ideologizzati predecessori del ‘68. Il movimento prese le mosse dai bisogni reali dei suoi componenti: l’autoriduzione veniva praticata non per le bollette della famiglia, bensì per i biglietti dei concerti pop. A Milano gruppi di giovani occuparono edifici e li trasformarono in centri sociali. [...] In termini generali è possibile differenziare il movimento del ‘77 in due tendenze, anche se spesso esse si intrecciarono. La prima era «spontanea» e «creativa», sensibile al discorso femminista, ironica e irriverente, incline a creare strutture alternative piuttosto che a sfidare quelle del potere. Gli «indiani metropolitani», con il loro abbigliamento e la faccia dipinta, simbolo del rifiuto della società industriale, ne erano i rappresentanti più vivaci. La seconda tendenza, «autonoma» e

militarista, intendeva valorizzare la cultura della violenza degli anni precedenti e organizzare i «nuovi soggetti sociali» per una battaglia contro lo Stato. Questa strategia venne espressamente teorizzata e praticata dai gruppi di «autonomia organizzata», che comprendevano al proprio interno intellettuali ed ex leader di Potere operaio come Toni Negri e Oreste Scalzone. [...]

P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989, pp. 511-520.

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Il contesto politico nazionale e internazionale

All’inizio degli anni settanta, i grandi cambiamenti culturali provocati dal movimento politico e culturale del Sessantotto, la difficile situazione economica aggravata dalla crisi petrolifera, le conseguenti lotte sindacali, la fine dell’esperienza dei governi di centrosinistra fondati sull’alleanza tra DC e PSI e, infine, le tensioni create dal terrorismo convinsero alcuni leader comunisti e democristiani che era necessario trovare un’intesa politica.

Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista, lanciò allora la proposta di un compromesso

storico con la Democrazia cristiana: superare le barriere ideologiche imposte dalla guerra fredda per formare un governo stabile che varasse le riforme indispensabili per il paese. La proposta di Berlinguer trovò tra i suoi sostenitori il dirigente democristiano Aldo Moro. I due leader politici divennero i protagonisti di un dialogo che portò nel 1976 alla formazione di un governo definito di solidarietà nazionale, presieduto dal democristiano Giulio Andreotti: il PCI concordò una linea politica comune con la DC, la quale manteneva la guida del governo con l’appoggio esterno dei

comunisti.

Due anni dopo, all’inizio del 1978, il PCI chiese di entrare nel governo. Per la prima volta, un partito comunista avrebbe avuto alcuni suoi esponenti ai vertici di uno stato occidentale che faceva parte della NATO, il sistema difensivo atlantico ideato in funzione antisovietica.

In un assetto internazionale imperniato sulla divisione bipolare fra USA e URSS e sulla guerra fredda, il destino politico dei singoli stati non poteva non dipendere dall’intero sistema di relazioni mondiali. La vistosa crescita elettorale del Partito comunista italiano preoccupava gli statunitensi. Il prestigioso settimanale “Time” dedicò particolare attenzione al successo del PCI nella penisola (La crescita del voto rosso). In questa ottica, risultavano dunque comprensibili le preoccupazioni del presidente americano Jimmy Carter (che pur aveva appoggiato nell’estate del 1977 l’accordo fra DC e PCI) e la diffusione, l’11 gennaio 1978, di un comunicato con cui il Dipartimento di Stato disapprovava eventuali partecipazioni di partiti comunisti nei governi degli stati occidentali, riferendosi in particolare alla situazione italiana e francese.

Il compromesso storico

Il 16 gennaio 1978, Andreotti si dimise aprendo la crisi di governo. Tuttavia, non era possibile affrontare elezioni anticipate: l’inflazione al 18 per cento, il terrorismo, il movimento del 77 e la sua contestazione al PCI inducevano i partiti a trovare un accordo, nonostante il quadro internazionale e gli scetticismi politici. Aldo Moro divenne il regista di un compromesso storico

basato sulla necessità di creare «un’area di concordia» fra i due partiti, «un’area d’intesa tale da consentire di gestire il paese, finché durano le condizioni difficili alle quali la storia di questi anni ci ha portato» (Aldo Moro, I rapporti tra DC e PCI). Il risultato del dialogo fra Moro e Berlinguer e delle lunghe trattative fra le forze politiche fu la creazione di un nuovo governo Andreotti, che il

16 marzo si presentò alla Camera.

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“L’attacco al cuore dello stato”: Il sequestro Moro

L'agguato: da La Storia siamo noi http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/dossier.aspx?id=11

Il rapimento Moro: ricostruzione

Aldo Moro - Il sequestro TG1.mp4

Aldo Moro secondo i protagonisti.mp4

Durò appena seicento secondi l’assalto dei terroristi alla scorta di Moro il 16 marzo 1978. A scuotere profondamente e istantaneamente tutta la popolazione italiana furono la rapidità e la crudeltà del gesto, l’efficienza organizzativa, l’esatta coincidenza con il voto di fiducia proprio a quel governo di unità nazionale voluto da Moro, oltre, naturalmente, al grande valore simbolico e politico del rapito. Lietta Tornabuoni, nel suo articolo Roma prima incredula, poi sgomenta, pubblicato sul “Corriere della Sera” il giorno dopo l’agguato, ci parla a caldo dell’emozione di quella giornata, quando gli operai cessarono spontaneamente di lavorare e uscirono nelle piazze prima ancora che i sindacati proclamassero lo sciopero generale. I brigatisti, con quello che loro stessi definirono “l’assalto al cuore dello stato”, perseguivano più obiettivi: - carpire gli eventuali segreti di stato che Moro avrebbe potuto custodire; - processarlo come simbolo della politica democristiana e, contemporaneamente, costringerlo a schierarsi contro il suo stesso partito chiedendo di trattare con i terroristi; - ottenere il riconoscimento delle BR come soggetto di scontro politico; - dimostrare, infine, di poter colpire la politica dell’unità nazionale fra democristiani e comunisti. Ai rapidi seicento secondi di guerriglia terrorista, seguirono così cinquantacinque lunghi giorni in cui la battaglia si spostò sulle parole di Moro stesso. Permettendo allo statista di scrivere lettere al mondo politico, al Papa e alla famiglia, i brigatisti poterono controllare quello che era diventato un conflitto mediatico (Aldo Grasso, Moro, un calvario senza immagini). Allora come oggi, due furono gli interrogativi che lacerarono l’opinione pubblica: - Trattare o non trattare con i terroristi? - Possiamo considerare autentiche le parole di Moro?

Trattare o non trattare?

Di fronte alla richiesta di uno scambio fra il prigioniero Moro e alcuni terroristi detenuti (fra cui il capo delle BR, Renato Curcio), la maggior parte dei partiti politici si schierò per quella che venne definita politica della fermezza. Seppur divisa al suo interno, la DC si dichiarò contraria a una

trattativa che avrebbe finito per riconoscere le BR, creando contemporaneamente un precedente che avrebbe incoraggiato i sequestri. La stessa posizione era sostenuta dal PCI, che voleva anche allontanare qualsiasi sospetto di contiguità ideologica con i brigatisti. I socialisti di Bettino Craxi, invece, chiesero per i detenuti una prova di clemenza, che potesse salvare il leader democristiano. Essi, tuttavia, non presero una posizione netta per la liberazione dei terroristi come richiesto dai sequestratori. Per la trattativa lottò, invece, strenuamente la famiglia Moro, cercando di incrinare la posizione della DC attraverso il coinvolgimento dei movimenti cattolici. Ma a favore della

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trattativa c’erano soprattutto le lettere di Aldo Moro, che accusavano esplicitamente i vertici della DC chiedendo di scendere a patti con i terroristi. L’intransigenza del PCI e della DC viene spiegata da Tullio Ancora con una concezione politica dello stato che differenziava i due partiti dalla prospettiva di Aldo Moro.

Il sequestro delle parole

Scrive sotto dettatura? Quanto è condizionato dai suoi rapitori? Quanto dal suo stato d’animo? Solo Moro avrebbe potuto rispondere a queste domande che ancora oggi muovono le analisi

storico-filologiche. Dei 97 messaggi di Moro (tutti consultabili sul sito di Archivio ‘900, solo 30 furono fatti pervenire dai sequestratori e, di essi, solo 8 vennero pubblicati e resi pubblici. 20 lettere non autografe, ma dattiloscritte, e il discusso memoriale, furono rinvenuti nell’ottobre 1978 nella “prigione del popolo” di via Monte Nevoso, dove era stato nascosto il leader DC. I restanti messaggi, sotto forma di fotocopie di manoscritto, furono ritrovati sempre nel covo brigatista, ma ben dodici anni dopo, occultate dietro un pannello murale insieme con una più lunga versione del memoriale. Le lettere scritte dallo statista ai politici erano sottoposte al comitato esecutivo delle BR che le valutava prima di decidere se farle ricopiare a Moro e, infine, decideva se distribuirle o meno. Questo sistema non veniva applicato ai messaggi indirizzati alla famiglia, perché i brigatisti avevano già deciso, all’insaputa dello scrivente, di non inviarli. Di quegli emozionanti scritti negati alla famiglia, parla Agnese, la figlia di Moro. In ogni caso, al di là della concreta e diretta intromissione dei sequestratori nei contenuti delle lettere, l’influenza brigatista veniva esercitata attraverso la regolazione e la selezione del flusso dei messaggi che da Moro dovevano giungere all’esterno e viceversa.

Via Caetani

Il corpo di Aldo Moro fu fatto ritrovare il 9 maggio in via Caetani, una piccola strada romana vicinissima sia alla sede del PCI, sia a quella della DC. Il cadavere venne simbolicamente frapposto tra quei due mondi politici che Moro voleva unire per gestire il paese. Edmondo Berselli sostiene che l’uccisione dello statista democristiano contenga in nuce i nodi

della storia della Repubblica italiana fino ad oggi, quasi si trattasse di un «lunghissimo presente». Il sacrificio dello statista diviene emblema del blocco alla modernizzazione della società italiana, che potrebbe essere, forse, riassunto dall’ultima frase dell’ultima lettera con cui Moro si congeda dalla moglie, conscio della sua imminente esecuzione: «Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta». Non possiamo sapere se quella frase fosse sinceramente di Moro, così come i gravi giudizi dati sulla DC e sul Papa. La usiamo, dunque, così come sono state sottoposte ad un uso

pubblico tutte le parole di Moro prigioniero: usate dai terroristi durante il sequestro e durante il processo, usate dai commentatori, dai politici, dai giornalisti e dagli storici. Necessariamente, usate in quanto sequestrate al suo autore.

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Gli esiti dell’unità nazionale

Ucciso Moro, rimaneva la politica di unità nazionale, da lui voluta come risultato del suo dialogo con Enrico Berlinguer e che forse costituì proprio il motivo del suo assassinio. Paradossalmente, l’unità nazionale venne raggiunta esattamente nel momento del rapimento, con la fiducia

compatta data dal parlamento al governo Andreotti, e cominciò il suo declino con la morte stessa di Moro: il governo si dimetterà appena 8 mesi dopo. Impossibile sapere cosa sarebbe avvenuto se il leader democristiano non fosse stato rapito o fosse sopravvissuto. L’unico dato certo è che il sequestro a opera delle BR condizionò radicalmente la vita politica italiana e la storia del nostro paese.

CRONOLOGIA 1978 4 gennaio I comunisti chiedono di entrare direttamente nel governo Andreotti, che già sostengono dall’esterno. 11 gennaio La DC non accetta la richiesta comunista. 12 gennaio Il Dipartimento di Stato americano disapprova eventuali partecipazioni dei partiti comunisti nei governi degli stati occidentali. 16 gennaio Il governo Andreotti si dimette. 27 gennaio Enrico Berlinguer, segretario del PCI, chiede l’ingresso esplicito dei comunisti nella maggioranza di governo. 16 marzo Il nuovo governo Andreotti, che vede la partecipazione del PCI, si appresta ad ottenere il voto di fiducia in parlamento. Alle ore 9.15 le BR sequestrano Aldo Moro uccidendo i 5 membri della scorta. Il governo ottiene la fiducia completa del parlamento per affrontare la situazione. 18 marzo Le BR annunciano l’inizio del processo a Moro. 29 marzo Viene recapitata una lettera di Moro al ministro dell’Interno, Francesco Cossiga. Le BR annunciano l’inizio dell’interrogatorio a Moro. 15 aprile Le BR rendono noto l’esito del processo: «Moro è colpevole, viene condannato a morte». 18 Aprile Un falso comunicato delle BR annuncia l’uccisione di Moro. 20 Aprile Le BR smentiscono l’esecuzione, comunicando che Moro è ancora vivo. 24 Aprile In cambio della vita dello statista democristiano le BR chiedono la liberazione di alcuni terroristi incarcerati. 27 Aprile Il segretario del PSI, Bettino Craxi, chiede di concedere atti di clemenza ai detenuti brigatisti. Il capo del governo, Giulio Andreotti, respinge la proposta socialista. 29 Aprile Viene recapitata l’ultima lettera di Moro indirizzata alla DC. 3 Maggio Andreotti ribadisce la linea della fermezza. 5 Maggio Le BR comunicano l’assassinio di Moro. 9 maggio Il corpo di Moro viene trovato a Roma, dentro il bagagliaio di un’automobile parcheggiata in via Caetani. 10 maggio La cerimonia funebre si svolge in forma riservata, poiché la famiglia rifiuta i funerali di stato. Questi ultimi vengono ugualmente celebrati 3 giorni dopo a Roma. 14 maggio Si svolgono le elezioni amministrative: aumentano i consensi alla DC e al PSI, mentre si registra un vistoso arretramento del PCI, che passa dal 34 al 26 per cento.

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Il sequestro Cirillo

Il 27 aprile 1981, l'assessore Ciro Cirillo - responsabile amministrativo della ricostruzione postsismica - viene rapito

dalla Brigate Rosse dirette da Giovanni Senzani. Alcuni esponenti della DC e rappresentanti dei servizi segreti chiedono la collaborazione del capo camorrista in carcere

Raffaele Cutolo. In particolare, le richieste sarebbero prevenute da Giuliano Granata (sindaco di Giugliano), Silvio Gava, Francesco Pazienza, Flaminio Piccoli, Francesco

Patriarca, Vincenzo Scotti ed Antonio Gava. Testimoni delle "visite" ad Ascoli Piceno sono il direttore e il cappellano del carcere, il luogotenente di Cutolo Vincenzo Casillo e Alfonso Rosanova.

Attraverso le informazioni dei brigatisti Luigi Bosso e Sante Notarnicola, Cutolo riesce a conoscere i nomi dei carcerieri di Cirillo: Pasquale Aprea e Rosario Perna, guidati da Senzani. Cutolo riesce a stabilire una cifra per la liberazione dell'assessore napoletano che avviene il 24 luglio 1981. Tutto si risolve in un reciproco scambio di favori tra uomini della DC, servizi segreti, NCO e Brigate Rosse. Tra i "favori" delle Br a Cutolo, è possibile annoverare il delitto Ammaturo. Il 15 luglio 1982, il vicequestore Antonio Ammaturo, da sempre impegnato nella lotta alla camorra, viene ucciso dalle Brigate Rosse. Cutolo avanza alcune richieste che non saranno mai accolte (la seminfermità mentale e alcuni trattamenti di favore per sè e per gli affiliati)

Tre anni dopo il ruolo della DC e delle forze politiche italiane in ordine al fenomeno terrorista era completamente cambiato.

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La strage di Bologna

Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, una bomba esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della

stazione di Bologna. Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell'azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L'esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere. Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti.

Le immagini della strage e dei primi soccorsi

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo.aspx?id=1796

Subito dopo l'attentato, il governo italiano, presieduto da Francesco Cossiga, e le forze di polizia attribuirono lo scoppio a cause fortuite, ovvero all'esplosione di una caldaia nel sotterraneo della stazione. Non appena apparvero più chiare le dinamiche e fu palese una matrice terrorista, attribuirono la responsabilità della strage al terrorismo nero.

Già il 26 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emise ventotto ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari: Roberto Fiore e Massimo Morsello (futuri fondatori di Forza Nuova), Gabriele Adinolfi, Francesca Mambro, Elio Giallombardo, Amedeo De Francisci, Massimiliano Fachini, Roberto Rinani, Giuseppe Valerio Fioravanti, Claudio Mutti, Mario Corsi, Paolo Pizzonia, Ulderico Sica, Francesco Bianco, Alessandro Pucci, Marcello Iannilli, Paolo Signorelli, PierLuigi Scarano, Francesco Furlotti, Aldo Semerari, Guido Zappavigna, GianLuigi Napoli, Fabio De Felice, Maurizio Neri. Vengono subito interrogati a Ferrara, Roma, Padova e Parma. Tutti saranno scarcerati nel 1981.

Vi furono svariati episodi di depistaggio, organizzati per far terminare le indagini, dei quali il più grave è quello ordito da parte di alcuni vertici dei servizi segreti del SISMI, tra i quali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, che fecero porre in un treno a Bologna, da un sottufficiale dei carabinieri, una valigia piena di esplosivo, dello stesso tipo che fece esplodere la stazione, contenente oggetti personali di due estremisti di destra, un francese e un tedesco. Musumeci

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produsse anche un dossier fasullo, denominato "Terrore sui treni", in cui riportava gli intenti stragisti dei due terroristi internazionali in relazione con altri esponenti dell'eversione neofascista, tutti legati allo spontaneismo armato, senza legami politici, quindi autori e allo stesso tempo mandanti della strage.

Francesco Cossiga, il 15 marzo 1991, al tempo della sua presidenza della Repubblica, affermò di essersi sbagliato a definire "fascista" la strage alla stazione di Bologna e di essere stato mal indicato dai servizi segreti. Attorno a questa strage, come era già avvenuto per la Strage di piazza Fontana nel 1969, si sviluppò un cumulo di affermazioni, controaffermazioni, piste vere e false, tipiche di altri tragici avvenimenti della cosiddetta strategia della tensione.

Lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, si giunse ad una sentenza definitiva della Corte di Cassazione il 23

novembre 1995. Vennero condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato, i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti, mentre l'ex capo della P2 Licio Gelli, l'ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vennero condannati per il depistaggio delle indagini.

Il 9 giugno 2000 la Corte d'Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio: 9 anni di reclusione per Massimo Carminati, estremista di destra, e quattro anni e mezzo per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del SISMI di Firenze, e Ivano Bongiovanni, delinquente comune legato alla destra extraparlamentare. Ultimo imputato per la strage è Luigi Ciavardini, con condanna a 30 anni confermata nel 2007. Anche lui continua a dichiararsi innocente.

Eventuali mandanti della strage non sono mai stati scoperti.

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Conclusioni

Le cause

• Fine del processo espansivo in economia e inizio della crisi (1973) con il conseguente disagio sociale che comportava

• Allargamento del consenso ai partiti della sinistra, sia parlamentare che extraparlamentare

• Spinte autoritarie nella direzione di contenere la richiesta di partecipazione democratica

• Presenza di componenti deviate nei servizi segreti, miranti a perseguire un progetto di contenimento della crescita della rappresentanza a sinistra

• Il compromesso storico come progetto considerato da molte parti pericoloso per la collocazione internazionale dell'Italia

Gli esiti

• Capacità di mostrare un senso dello Stato anche da parte di partiti che non lo manifestavano (DC)

• Fine dell'esperimento del compromesso storico

• Isolamento del PCI nel quadro dei partiti costituzionali e nascita del Pentapartito

• Revisione e "criminalizzazione" del movimento studentesco e della contestazione.

• Autoreferenzialità della classe politica italiana negli anni '80 e inizio della crisi della I repubblica