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ISSN: 2038-7296 POLIS Working Papers [Online] Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS POLIS Working Papers n. 237 August 2016 Diritto Scienze e Tecnologie Atti del convegno svoltosi il 4/03/2016 ad Alessandria Piera Maria Vipiana, Matteo Timo e Davide Bisio UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo AvogadroALESSANDRIA Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
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Oct 16, 2021

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ISSN: 2038-7296POLIS Working Papers

[Online]

Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLISInstitute of Public Policy and Public Choice – POLIS

POLIS Working Papers n. 237

August 2016

Diritto Scienze e TecnologieAtti del convegno svoltosi il 4/03/2016 ad Alessandria

Piera Maria Vipiana, Matteo Timo e Davide Bisio

UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA

Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria

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DIRITTO SCIENZE E TECNOLOGIE

Atti del Convegno svoltosi il 4 marzo 2016 ad Alessandria, presso il

Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e

Sociali

dell’Università del Piemonte Orientale

A cura di Piera Maria Vipiana

Con il coordinamento di Matteo Timo e Davide Bisio

Versione preliminare, da completarsi con altre relazioni e comunicazioni

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SOMMARIO

PARTE PRIMA

RELAZIONI

SESSIONE MATTUTINA

DIRITTO, SCIENZE E TECNOLOGIA

(Giovanna Visintini)

............................................................................................................................... 3

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

(Piera Maria Vipiana)

1. Precisazioni terminologiche .................................................................................. 7

2. Sfaccettature del tema. ........................................................................................... 8

3. Impostazioni generali sui rapporti fra scienza (e tecnologia) e diritto .................. 9

4. Scienze e tecnologie nell’ordinamento giuridico italiano ..................................... 11

5. Le questioni principali in tema di rapporto fra diritto e scienze o tecnologie ....... 12

LA DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA

TRA NORME REGOLAMENTARI E NORME TECNICHE

(Alessandro Crosetti)

1. Premessa. Il Testo unico n. 380/2001: disciplina edilizia e normativa tecnica ............... 15

2. La nozione di edilizia e la relativa evoluzione storico-giuridica ................................... 21

3. Genesi e sviluppi della regolamentazione edilizia con valenze tecniche ....................... 25

4. La regolazione edilizia tra legislazione statale e regionale ........................................... 32

5. Il progressivo depotenziamento delle norme regolamentari e la sovrapposizione

delle norme tecniche................................................................................................. 35

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II

6. Rilevanza e contenuti della normativa tecnica nella disciplina edilizia ......................... 37

7. La normativa tecnica relativa alla stabilità e sicurezza degli edifici .............................. 44

8. Rapporti tra la normativa tecnica e il potere amministrativo ........................................ 50

9. Considerazioni su rilevanza pubblicistica delle norme tecniche e sulle esigenze

di coordinamento interpretativo ................................................................................. 58

SCIENZA E TECNICA TRA DIRITTO EUROPEO

E DIRITTO COMPARATO

(Giuseppe Franco Ferrari)

............................................................................................................................... 65

SESSIONE POMERIDIANA

LE NUOVE FRONTIERE DI SCIENZA E TECNOLOGIA:

DIALOGO A CONFRONTO CON IL DIRITTO

(Vincenzo Dovì)

............................................................................................................................... 79

GIUDICI ORDINARI, SCIENZE E TECNICHE:

LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO

(Maria Teresa Bonavia)

1. Le concrete, effettive implicazioni del principio, secondo cui iudex peritus

peritorum est .......................................................................................................... 85

2.a. Natura della consulenza tecnica d’ufficio ............................................................. 87

2.b. Summa divisio: consulenza deducente e consulenza percipiente .......................... 89

3. Valore probatorio della consulenza tecnica di parte .............................................. 93

4. Unicità del consulente tecnico di parte .................................................................. 93

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

(Giorgio Pastori)

............................................................................................................................... 95

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III

PARTE SECONDA

COMUNICAZIONI

SCIA: I PROFILI DI RESPONSABILITÀ DEL PROGETTISTA ABILITATO E LE

RIFLESSIONI SULLA DISCIPLINA, A SEGUITO DELLA RECENTE PRONUNCIA

DELLA CORTE COSTITUZIONALE

(Davide Bisio)

1. Premessa ................................................................................................................ 103

2. La responsabilità del progettista ............................................................................ 104

3. Brevi riflessioni sulla recente pronuncia della Corte costituzionale in materia

di scia ..................................................................................................................... 107

SEVESO: QUARANTA ANNI DOPO

(Maria Pia Giracca)

1. Introduzione ........................................................................................................... 111

2. Attività pericolose tradizionali e attività a rischio di incidente rilevante .............. 113

3. Direttiva Seveso e Seveso bis ................................................................................ 114

4. Direttiva Seveso ter e il relativo recepimento ....................................................... 116

5. Responsabilità........................................................................................................ 118

6. Conclusioni ............................................................................................................ 121

DIRITTO E TECNICA. IL CASO DELLA GIURISIDIZIONE SULLE ACQUE A CENTO

ANNI DALL’ENTRATA IN VIGORE DEL DECRETO LEGILSATIVO

LUOGOTENENZIALE 20 NOVEMBRE 1916, N. 1664, ISTITUTIVO DEL TRIBUNALE

DELLE ACQUE PUBBLICHE. UN «MODELLO» (FORSE) DA RISCOPRIRE?

(Alessandro Paire)

1. Premessa ................................................................................................................ 123

2. La giurisdizione sulle acque a cento anni dall’entrata in vigore del decreto

Legislativo Luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, istitutivo del Tribunale

delle Acque Pubbliche ........................................................................................... 126

3. Spunti conclusivi ................................................................................................... 130

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IV

OGM, TECNOSCIENZA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

(Matteo Timo)

1. Premessa ................................................................................................................ 135

2. Procedimento di autorizzazione dei prodotti GM e ruolo dell’expertise

scientifica ............................................................................................................... 137

2.1. Considerazioni generali sulla normativa europea di autorizzazione ..................... 138

2.2. Procedimento e attività consultiva......................................................................... 143

2.3. (Segue) Brevi considerazioni sulla giurisprudenza ............................................... 148

3. Considerazioni conclusive ..................................................................................... 154

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PARTE PRIMA

RELAZIONI

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DIRITTO, SCIENZE E TECNOLOGIA

Giovanna Visintini

(Università di Genova)

Mi felicito con gli organizzatori, in modo particolare con la collega Piera Vipiana, per

questa bella iniziativa perché ritengo che il tema dei rapporti tra diritto e scienza è

estremamente interessante. Soprattutto io vedo l’importanza di studi intorno ai rapporti tra

diritto applicato ovvero tra la giurisprudenza da un lato e la scienza dall’altro, perché spesso

le controversie vengono decise con l’aiuto di scienziati che devono esprimere pareri e dare

risposte ai giudici. E sono in tanti a dire che spesso la scienza non è in grado di dare le

risposte che i giudici si aspettano per poter decidere i casi sottoposti al loro giudizio con un

notevole grado di certezza.

Personalmente come studiosa della responsabilità civile mi sono imbattuta spesso in

problemi che evidenziavano la necessità di fare chiarezza sotto il profilo scientifico in ordina

ai presupposti applicativi della responsabilità civile. Esemplificando mi sono occupata del

nesso causale che deve intercorrere tra l’evento dannoso e la condotta del responsabile e

sovente si deve ammettere che cause quali l’esposizione ad agenti inquinanti, la malpractice

medica, l’omissione di diagnosi rispetto all’evento di una malattia o della morte della vittima

hanno un carattere probabilistico al contrario di quanto sostengono determinate teorie

elaborate intorno a gli articoli del codice penale sul tema della causalità. Ovvero qui bisogna

mettere in discussione la concezione tipica del mondo giuridico secondo cui il giudizio sul

nesso causale viene posto in termini di rigida alternativa, sussistenza o insussistenza (la c.d.

condicio sine qua non). Bisogna invece individuare una soglia di probabilità meno elevata di

quella stabilita dalla famosa sentenza sul caso Franzese ove venne affermata la responsabilità

professionale di un medico chirurgo per morte del paziente a causa di omissione di diagnosi e

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4

terapia (il paziente era stata dimesso dopo l’intervento come in via di guarigione e non erano

stati valutati gli esami ematologici che evidenziavano una infezione in atto). In questo caso i

giudici penali hanno ritenuto che il nesso causale possa dirsi sussistente solo qualora sia

«certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria

dell'evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”»

(cfr. Cass. pen. S.U. 11.9.2002 n. 30328). La sentenza costituisce un precedente giudiziale

seguito dalla giurisprudenza penale successiva che continuò ad esigere una soglia elevata di

probabilità ai fini di un accertamento del nesso causale e della conseguente condanna.

Ora occorre tener conto che le scienze naturali ormai da quasi un secolo hanno preso

atto del tramonto del principio di causalità (ossia della (im)possibilità per l’uomo di

determinare esattamente le cause di un evento) e che si può parlare soltanto di una relazione

di tipo probabilistico o statistico tra l’evento dannoso e le circostanze che possono averlo

determinato ovvero di una relazione di tipo quantitativo/statistico tra l’antecedente e l’evento.

Impostata in questi termini la questione, la dottrina civilistica (v. spec. cfr. CAPECCHI,

Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie “fatto illecito” a criterio di limitazione del

danno risarcibile, Padova, II ed. 2012; PUCELLA, La causalità «incerta», Torino, 2007 ) ha

proposto di fissare la soglia al 51% (cioè quella che, come si vedrà tra breve la giurisprudenza

più recente indica come regola del “più probabile che non”) e ciò perché, avendo il legislatore

posto l’onere della prova interamente a carico del soggetto danneggiato, ha implicitamente

gravato quest’ultimo del rischio delle cause ignote. La dimostrazione da parte del danneggiato

dell’esistenza di una causa imputabile al convenuto che abbia una incidenza statistica di

almeno il 51% (quindi prevalente) comporta lo spostamento su quest’ultimo del rischio di

cause ignote.

La giurisprudenza civilistica ha accolto tale criterio, potendo dirsi ormai consolidato

l’orientamento secondo il quale, nell’ambito della responsabilità civile, il nesso di causalità

deve essere accertato secondo la “regola del più probabile che non”, come chiaramente

enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite civili n. 581 del 2008 secondo cui: «[…] ciò che

muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto

nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (caso Franzese cit.),

mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o “del più probabile che

non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e

l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato

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5

da attenta dottrina che ha esaminato l'identità di tali standard delle prove in tutti gli

ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale ».

Il criterio del “più probabile che non” è stato poi adottato anche da alcune successive

pronunce che ne hanno fatto applicazione soprattutto nell’ambito della responsabilità medica

(su cui rinvio per dettagli a L. ROCCO, Nesso causale e responsabilità sanitaria, ivi, 2012; ID.

Il “sincretismo causale” e la politica del diritto: spunti dalla responsabilità sanitaria,

Torino) ma anche in alcuni casi di grande rilevanza mediatica (si pensi alla controversia tra

CIR e Fininvest e alla strage aerea di Ustica decise rispettivamente da Cass. 17 settembre

2013 n. 21255 e da Cass. 5 maggio 2009 n. 10285) e non risulta attualmente essere stato posto

in discussione.

Questo è un esempio di interazione tra diritto e scienza ma ve ne sono molti altri.

Per fare un altro esempio l’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato introdotto

nel codice civile solo a seguito del movimento c.d. “dell’antipsichiatria” (promosso da

Basaglia) che era riuscito a dimostrare che il tradizionale istituto della interdizione aggravava

la situazione del malato di mente cronicizzando la sua malattia mentre occorreva

personalizzare l’assistenza del soggetto affetto da disturbi psichici in ragione delle sue

specifiche esigenze in modo da depistarlo da malattie più gravi e aiutarlo a reinserirsi

socialmente.

Purtroppo il processo di interazione tra scienza e diritto spesso è molto lento e tarda ad

imporsi. Oltre a questo anche di fronte a buone leggi vi è sempre il rischio che la relativa

interpretazione e applicazione non siano al passo coi tempi. Penso al Decreto Balduzzi il cui

artefice è presente in questa occasione.

E dunque ben vengano iniziative scientifiche come quella promossa oggi da Piera

Vipiana. Forse adesso siamo di fronte al tentativo di eliminare le doppie carriere dei

magistrati con la conseguente possibilità di un reclutamento di studiosi esperti nella tecnica

legislativa.

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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Piera Maria Vipiana

(Università del Piemonte Orientale)

SOMMARIO: 1. Precisazioni terminologiche. – 2. Sfaccettature del tema. – 3.

Impostazioni generali sui rapporti fra scienza (e tecnologia) e diritto.- 4. Scienze e tecnologie

nell’ordinamento giuridico italiano. - 5. Le questioni principali in tema di rapporto fra diritto e

scienze o tecnologie

1. Precisazioni terminologiche

Innanzi tutto sulla scelta del titolo di questo convegno è opportuno spendere alcune

parole.

In primo luogo, nell’ambito di esso le scienze non includono il diritto, quantunque, di

per sé il diritto, come scienza giuridica, rientri nelle scienze sociali.

Inoltre il termine “diritto” è usato al singolare, sebbene sussista una pluralità di rami

del diritto, così come esistono molti tipi di scienze e molti tipi di tecnologie. La scelta del

singolare, con riferimento al diritto, è data dalla necessità di intendere quest’ultimo come

ramo del sapere, e non come posizione giuridica soggettiva. Il plurale (diritti come diritti

soggettivi) sarebbe più consono a quest’ultima accezione, che potrebbe peraltro dar luogo a

importanti connessioni con scienze e tecnologie: si tratterebbe, tuttavia, di un tema differente,

sebbene correlato.

Quanto agli altri due termini, scienze e tecnologie, la differenza fra essi non è del tutto

chiara: a grandi linee e con estrema approssimazione, si potrebbe affermare che, mentre la

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8

scienza si occupa, alla radice, di capire com’è fatto e come funziona il mondo intorno a noi, la

tecnologia è volta a trasformare tali conoscenze in oggetti e processi che siano utili in pratica.

2. Sfaccettature del tema

Il tema del presente convegno1 appare estremamente attuale e risulta affrontato a vari

livelli, essendo al centro di lezioni2, corsi di aggiornamento per magistrati

3, scuole di

specializzazione e convegni.

In questa sede si prenderanno in considerazione alcuni ambiti concreti in cui

particolarmente rilevante appare il rapporto fra diritto, da un lato, e scienze e tecnologie,

dall’altro: in particolare, la salute; l’uso del territorio; l’ambiente. Specifica attenzione verrà

data ai modi in cui il tema si atteggia per i giudici, ordinari e amministrativi, con particolare

rilievo sia al tipo di istruzione probatoria svolta da essi4, sia al ruolo che, in sede processuale,

riveste il tecnico, nella sua qualità di perito o consulente tecnico, d’ufficio o di parte.

1 Su cui sussiste un’ampia letteratura generale, nell’ambito della quale cfr.: G. D’AMICO, Scienza e diritto nella

prospettiva del giudice delle leggi, Messina, 2008; S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici, Milano, 2001; F.

SALMONI, Le norme tecniche, Milano, 2001; G. COMANDÉ - G. PONZANELLI (a cura di), Scienza e diritto nel

prisma del diritto comparato, Torino, 2004; A. SANTOSUOSSO, Diritto, scienza, nuove tecnologie, Milano, 2011.

Inoltre non mancano varie letterature settoriali, fra le quali particolarmente rilevante è quella in materia di

bioetica: L. CHIEFFI, Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e garanzie costituzionali, Napoli, 1993;

C. M. MAZZONI, (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, Bologna, 1998; A. D’ALOIA (a cura di), Bio-

tecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Parma, 2004; S. RODOTÀ, La vita e

le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006; S. RODOTÀ - M. TALLACCHINI, Introduzione, in S. RODOTÀ -

M. TALLACCHINI (a cura di), Ambito e fonti del biodiritto (volume del Trattato di biodiritto diretto da S.

RODOTÀ e P. ZATTI), 2010, XLIII. 2 Ad esempio, ad aprile 2016 a Napoli sono state programmate varie lezioni magistrali in materia, presso

l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, con la partecipazione di Natalino Irti, su “Diritto e tecnica” (14

aprile), Marcello Clarich su “Tecnologie, amministrazioni e sviluppo economico” (20 aprile), Giuliano Amato,

“I diritti e le tecnologie” (26 aprile). 3 Ad esempio, nell’ambito della Scuola superiore della magistratura si è svolto il 19 febbraio, presso la Corte

d’Appello di Milano, un corso dal titolo “Quando il Diritto incontra la Tecnologia”. 4 Sul punto esistono differenze a seconda del giudice di cui si tratta. In particolare, si è rilevata la “tradizionale

ritrosia del giudice amministrativo a compiere un autonomo accertamento dei fatti, a nominare un consulente

tecnico d'ufficio, a invitare l'amministrazione ad esporre le eventuali non esplicitate ragioni ostative al rilascio

del provvedimento richiesto dal ricorrente, a riesaminare il comportamento dell'amministrazione sotto il profilo

dei motivi che hanno determinato il silenzio palesati dalla documentazione fornita dall'amministrazione stessa”

(M. RAMAJOLI, Forme e limiti della tutela giurisdizionale contro il silenzio inadempimento, in Diritto

Processuale Amministrativo, 2014, fasc. 3, pag. 709). Al riguardo si osserva che “del resto, lo stesso legislatore

non si preoccupa affatto di precisare quali siano gli adempimenti istruttori riservati all'amministrazione e quali

siano invece le circostanze di fatto verificabili direttamente dal giudice. Mentre il testo del codice elaborato dalla

Commissione di tecnici disponeva espressamente che nel caso di richiesta di condanna dell'amministrazione

all'emanazione del provvedimento “le parti allegano in giudizio tutti gli elementi utili ai fini dell'accertamento

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A livello di primo approccio, il diritto probabilmente è visto dallo scienziato, a

seconda dei casi e delle prospettazioni assunte: come ostacolo; come paradigma alla luce del

quale effettuare ricerche; come quadro in cui incanalare gli effetti delle scoperte scientifiche;

come struttura in cui lo scienziato o il tecnico operano, ad esempio, a titolo di perito o

consulente tecnico oppure a titolo di esperto nelle audizioni parlamentari.

A sua volta, il giurista vede le scienze e le tecnologie, essenzialmente, come fonti

indispensabili per comprendere la realtà su cui deve, a seconda dei casi, elaborare testi

normativi, provvedimenti amministrativi, sentenze ed altri atti giuridicamente rilevanti.

Si è acutamente osservato che “la scienza è diventata la fonte più autorevole di

conoscenza per il diritto, il diritto è un fattore determinante nello sviluppo della scienza, che

si muove socialmente attraverso una rete normativa (dai laboratori fino alla società)”5.

Pertanto le interazioni sono evidenti: occorre verificare in quali termini si presentano.

3. Impostazioni generali sui rapporti fra scienza (e tecnologia) e diritto

Sui rapporti tra scienza e diritto o – più precisamente – sui “(tormentati) confini che

congiungono (o separano) scienza e diritto” si è formata una riflessione “ancora giovane”, ma

interessante6. In effetti, si è efficacemente scritto che scienza e diritto sono “i due pilastri con

cui le nostre società danno senso al mondo e a se stesse”7.

Circa i rapporti fra scienze e diritto, le impostazioni sono molte. In particolare, sono

state elaborate due distinte posizioni teoriche: il separatismo e la co-produzione8.

A) La prima posizione resta ancorata alle fondamentali differenze concettuali e di

sistema che separano scienza e diritto; all’alterità radicale tra discorsi scientifici e normativi; e

ad una (pretesa) visione liberal-democratica della comunità scientifica, secondo cui la libertà

della fondatezza della pretesa” (art. 42 della bozza originaria), il testo finale tace del tutto, non precisando quali

siano i poteri istruttori che competono al giudice al fine di decidere direttamente la questione” (ivi, nota 30). Cfr.

pure F. CINTIOLI, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Poteri tecnici e "giurisdizionalizzazione", Milano,

2005. 5 M. TALLACCHINI, Scienza e diritto. Prospettive di co-produzione, in Rivista di filosofia del diritto, 2012, n. 2,

314. 6 M. TALLACCHINI, op. ult. cit., 332.

7 A. SARAT, Introduction to the Symposium on Legal Doubt, Scientific Certainty:What Scientific Knowledge

Does For and To the Law, svoltosi a University of Alabama School of Law, 11 aprile 2008, in

http://www.law.ua.edu/resources/podcasts/symposia/science_intro.mp3> (25 agosto 2012) 8 M. TALLACCHINI, op. cit., 316.

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della scienza esige la sua esenzione dalle regole della società. Quindi la scienza va pensata, in

base a tale impostazione, al di fuori di ogni controllo politico-giuridico.

B) La seconda posizione teorica, la co-produzione, muove oltre la separazione tra

scienza e diritto, non necessariamente come negazione della distinzione concettuale tra

descrizioni e prescrizioni, ma per dare evidenza alla continuità delle interazioni quando i loro

linguaggi si incontrano (invece di fermarsi alle loro forme di validazione astratta). Inoltre tale

impostazione estende la democrazia e le sue garanzie anche alla scienza9: il profilo è

particolarmente interessante per i giuristi, ma anche complesso perché l’individuazione degli

istituti democratici non è per nulla univoca e scontata.

Il termine “co-produzione” (co-production) fu coniato negli anni ’90 del secolo

scorso10

, è stato poi inteso come “strumento interpretativo del reciproco generarsi del

linguaggio della scienza e del diritto”11

. In seguito si è efficacemente parlato di una necessaria

convergenza necessaria tra scienza e diritto in relazione ai problemi che essi devono risolvere

in via congiunta12

.

Una presa di posizione argomentata in modo esaustivo in ordine alle due tesi sarebbe

fuor di luogo in questa sede. Pertanto ci si può qui limitare ad aderire all’opinione secondo cui

ciò che spesso la tesi separatista sembra non vedere è che scienza e tecnologia si muovono in

un ambiente densamente normativo, e che scienze e tecnologie emergenti sempre più esigono,

per potersi affermare, una rete di qualificazioni e regole (ancorché flessibile)13

.

Se si approfondiscono meglio i rapporti fra diritto e scienza, qualificabili “molteplici,

multiformi e intricati”14

, si ravvisa, anche ad un approccio storicistico, una duplice

prospettiva. La prima ha visto l’opposizione del diritto alla scienza, nel senso che il diritto ha

tentato di ostacolare il progresso delle scienze. La seconda, invece, comporta l’affermazione

9 Ibidem.

10 B. Latour, We Have Never Been Modern, translated by C. Porter Harvard University Press, Cambridge,

Massachusetts Cambridge, 1993 (Originally published as Nous n 'avons jamais ete modernes: Essais

d'anthropologie symmetrique), 134, scrisse: “this is precisely the amalgam I am looking for: to retain the

production of a nature and of a society that allow changes in size through the creation of an external truth and a

subject of law, but without neglecting the co-production of sciences and societies”. 11

M. TALLACCHINI, op. cit., 318. 12

J. PATERSON, Trans-science, Trans-law and Proceduralization, in Social and Legal Studies, 2003, vol. 12, n.

4, 525 ss. ha proposto con il termine “trans-law” una nozione molto vicina alla co-produzione, notando che

sussistono problemi che sono al tempo stesso “trans-scientifici” e “trans-giuridici”: la scienza non può risolvere,

ma ha un ruolo, nella risoluzione di problemi trans-scientifici, esattamente come il diritto ha un ruolo nel

risolvere problemi trans-giuridici. 13

M. TALLACCHINI, op. cit., 327. 14

C. CASONATO, La scienza come parametro interposto di costituzionalità, in Rivista AIC, 2016, n. 2, 15 maggio

2016.

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11

in via unilaterale della scienza, la quale si dovrebbe imporre al diritto, che, invece, non

avrebbe alcun margine di intervento15

.

4. Scienze e tecnologie nell’ordinamento giuridico italiano

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, un’analisi, seppure sommaria, dei rapporti

fra diritto e sfera scientifico/tecnologica dovrebbe partire dal diritto internazionale e

dell’Unione europea. Comuque non si può prescindere dalle scelte della Carta costituzionale.

Qui, per un verso, si precisa che l’arte e la scienza «sono libere» (art. 33) e, per un altro verso,

si sancisce che la Repubblica «promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e

tecnica» (art. 9). Pertanto, accanto ad un approccio liberista, si opta per un approccio

promozionale, che non contraddice all’altro: la ricerca nell’ambito della scienza e della

tecnica deve restare libera, anche se ai poteri pubblici compete una funzione di promozione.

Di conseguenza, la prospettiva dell’opposizione del diritto alle scienze sicuramente

non regge al confronto con le disposizioni costituzionali. Parimenti, l’altra prospettiva –

quella fondata sull’affermazione unilaterale delle scienze e tecnologie – non è accettabile,

perché appare consolidato l’assunto secondo cui non tutto ciò che è tecnicamente possibile è

pure lecito dal punto di vista giuridico16

. Pertanto è stata delineata una terza prospettiva, una

“terza via”: l’instaurazione di “un modello virtuoso di rapporti fra ambito giuridico e ambito

scientifico” comporterebbe che “la scienza si interpone fra Costituzione italiana e legge,

riempiendo di significato il bene salute contenuto nella prima (art. 32) e condizionando così la

legittimità della seconda”17

. La tesi, che configura una sorta di “riserva di scienza” ed

inquadra la scienza come parametro interposto di costituzionalità, prende le sue mossa

dall’assunto, sostenuto dalla Corte costituzionale, secondo cui una disciplina legislativa

sull’appropriatezza delle scelte terapeutiche dovrebbe fondarsi sullo “stato delle conoscenze

scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma

nazionali o sovranazionali – a ciò deputati”18

.

15

In proposito cfr. C. CASONATO, op. cit., §§ 2.1. e 2.2, intitolati, rispettivamente, “Un diritto opposto alla

scienza” e “Una scienza opposta al diritto”. 16

C. CASONATO, op. cit., 4 dell’estratto. 17

C. CASONATO, op. cit.,§ 3. 18

C. Cost., 26 giugno 2002, n. 282.

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12

La tesi in esame è interessante e suggestiva, anche se presenta dei limiti, d’altronde

puntualmente enucleati dal suo autore. Per un verso, qualora vi sia una forte coesione, nella

“comunità epistemica di riferimento” in merito alla “utilità terapeutica” o, al contrario, al

“potenziale danno di un determinato trattamento”, “la legge che rispettivamente ne vieti o

prescriva l’utilizzo sarà pacificamente da considerare incostituzionale”, ma non sempre vi è

certezza scientifica. Per un altro verso, occorre contemperare i dati scientifici “con gli altri

diritti, interessi e principi rilevanti”. Per un altro verso ancora, la tesi sul “parametro

scientifico interposto” è utilizzabile, a parere del suo proponente, soltanto al fine di verificare

la costituzionalità delle leggi incidenti sul diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.19

.

Su quest’ultimo punto, peraltro, si può avanzare un dubbio: la tesi della riserva di

scienza e della scienza come parametro interposto di legittimità costituzionale non potrebbe

valere anche al dei là dei confini di azione – peraltro ampi – del diritto alla salute (e quindi

anche all’ambiente salubre)? Per validare la tesi oltre al domaine dell’art. 32 Cost. non ci si

potrebbe appigliare al combinato disposto degli artt. 33 e 9 Cost.? La disposizione di una

legge statale o regionale o di un atto avente forza di legge che contrasti con gli assunti cui la

ricerca scientifica e tecnologica è pervenuta non si porrebbe pure in violazione dell’art. 9

Cost.?

5. Le questioni principali in tema di rapporto fra diritto e scienze o tecnologie

Le scelte sull’approccio generale in merito alle relazioni tra diritto e scienze o

tecnologie non esauriscono i nodi problematici nascenti, anche dal punto di vista concreto, da

tali relazioni. A questo riguardo, sorgono dei dubbi: mi limito ad enuclearne tre.

In primo luogo, come devono essere queste regole nell’ambito delle quali si

muoverebbero scienze e tecnologie?

Al fine di disciplinare fenomeni tecnico-scientifici di nuova emersione si riscontra la

tendenza a creare un soft law, ossia una rete di regole non giuridiche (quali quelle di cui ai

codici di condotta e dell’etica). In proposito non sono mancate voci critiche. In particolare, il

Parlamento europeo ha criticato la proliferante creazione di strumenti normativi informali –

19

Invece la “ragionevolezza scientifica” “può trovare una applicazione tendenzialmente più estesa” (C. Casonato, op.

cit.,§ 4).

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13

inclusa l’etica – da parte della Commissione europea, osservando che “l’ordinamento

giuridico europeo si fonda sulla democrazia e sui principi dello Stato di diritto”, (e) “ciò

significa che le istituzioni comunitarie possono agire soltanto in accordo con il principio di

legalità”20

.

Un altro dubbio è il seguente: quando il diritto dovrebbe intervenire a disciplinare

fenomeni rilevanti per scienze o tecnologie? Di per sé, la formulazione chiara, certa e definita

della legge scientifica o della formula tecnicamente valida dovrebbe anticipare l’eventuale

previsione di regole giuridiche. Tuttavia, a livello del diritto internazionale, del diritto

dell’Unione europea e di quello italiano si è prevista una sequenzialità differente, anche se

non una vera e propria inversione temporale.

Invero, il principio di precauzione, come noto, fa obbligo alle Autorità competenti di

adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità

pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase

dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione.

L'applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non

siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione

dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento

delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo

potenziali21

.

Un ulteriore dubbio, fra i tanti prospettabili, attiene all’utilizzabilità di concetti

scientifici in campo giuridico ed al modo in cui essi possano trasporsi ed operare in tale

campo. Si pensi alle difficoltà che incontrano i tentativi di applicarvi il concetto di probabilità

e quindi i metodi probabilistici canonici22

.

Oppure al ruolo, nel diritto, della calcolabilità23

. O, ancora, al rilievo nei vari settori

giuridici del nesso di causalità24

.

20

Parlamento europeo, Risoluzione sulle implicazioni istituzionali e giuridiche dell’impiego di strumenti

normativi non vincolanti, 4 settembre 2007 (2007/2028[INI]). 21

Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525, e Cons. Stato, Sez. V, 18 maggio 2015, n.

2495. 22

Cfr. M. BENZI, Il ragionamento incerto, Angeli, 1997. Oppure si pensi alle incertezze sussistenti nei settori

giuridici all’operatività della nozione di certezza. 23

Significativamente, al tema “Calcolabilità giuridica” è stato dedicato recentemente il convegno svoltosi a

Roma il 23 giugno 2016. 24

M. BENZI, Cause e contesti, in C. PENCO (a cura di), La svolta contestuale, McGraw-Hill, 2002.

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LA DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA

TRA NORME REGOLAMENTARI E NORME TECNICHE

Alessandro Crosetti

(Università di Torino)

SOMMARIO: 1. Premessa. Il Testo unico n. 380/2001: disciplina edilizia e normativa

tecnica. – 2. La nozione di edilizia e la relativa evoluzione storico-giuridica. – 3. Genesi e

sviluppi della regolamentazione edilizia con valenze tecniche. – 4. La regolazione edilizia tra

legislazione statale e regionale. – 5. Il progressivo depotenziamento delle norme

regolamentari e la sovrapposizione delle norme tecniche. – 6. Rilevanza e contenuti della

normativa tecnica nella disciplina edilizia. – 7. La normativa tecnica relativa alla stabilità e

sicurezza degli edifici. – 8. Rapporti tra la normativa tecnica e il potere amministrativo. – 9.

Considerazioni su rilevanza pubblicistica delle norme tecniche e sulle esigenze di

coordinamento interpretativo.

1. Premessa. Il Testo unico n. 380/2001: disciplina edilizia e normativa tecnica

Dottrina e giurisprudenza hanno, da tempo, chiarito che nella dizione costituzionale

“governo del territorio” coesistano diverse e convergenti funzioni pubbliche comprendenti sia

l’urbanistica propriamente detta, intesa quale attività pianificatoria dello sviluppo del

territorio, sia l’edilizia, intesa quale attività di controllo degli interventi antropici sul territorio;

entrambe le funzioni si pongono in un rapporto di complementarietà reciproca e di profonda

interconnessione25

.

25

È stato esattamente evidenziato che l’espressione “governo del territorio” racchiude un ambito di competenze

che certamente non può essere ricondotto ad una “materia” in senso tradizionale e limitarsi alla disciplina e

regolazione degli usi del suolo. Si tratta di un contenitore che ricomprendere l’insieme delle attività coordinate

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16

La disciplina dell’attività edilizia, come noto, è stata compiutamente ridisegnata con

l’entrata in vigore del T.U. di cui al D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (d’ora in poi T.U.E.), in

funzione dell’esigenza di ricondurre ad una visione unitaria ed organica il precedente assetto

normativo della materia caratterizzato da un’accentuata dispersione e frammentazione.

L’archetipa disciplina, tracciata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, aveva, infatti,

già avuto interventi riformatori tramite la legge c.d. ponte 6 agosto 1967 n. 765 e la legge 28

gennaio 1977 n. 10 (c.d. legge sui suoli) a cui erano seguite altre disposizioni normative,

spesso settoriali e disorganiche, collocate in testi di diversa natura, quali quelle sulla agibilità

(già nel T.U. sulle leggi sanitarie), quelle tecniche sui sistemi costruttivi (legge n. 10 del

1991), quelle per le zone sismiche e quelle più recenti sui consumi energetici (v. infra).

Attraverso il T.U.E. il legislatore si è quindi proposto l’obiettivo di sistematizzare le

varie disposizioni legislative e regolamentari esistenti, procedendo altresì alla delegificazione

dei profili concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali afferenti l’attività edilizia in

generale.

Il D.P.R. n. 380/2001, come noto, contiene sia norme primarie, sia norme primarie

delegificate, sia norme secondarie. Le prime sono contrassegnate dalla lettera L e sono il

prodotto del coordinamento formale e della razionalizzazione delle disposizioni legislative

precedentemente esistenti, le seconde e le terze, contraddistinte dalla lettera R derivano

aventi incidenza sullo stato e sugli equilibri del territorio, volte al sostegno del sistema sociale e che si estende,

oltre all’urbanistica , alla pianificazione, all’edilizia, al paesaggio, alla difesa del suolo, allo sviluppo tecnologico

e produttivo, alla mobilità e ai trasporti, all’infrastrutturazione del territorio, alla protezione degli ecosistemi, alla

valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Per ulteriori profili v. in dottrina su tale valenza riformista P.

MANTINI, L’urbanistica tra riforma costituzionale incrementante e autonomismo regionale, in Riv. giur. ed.,

2001, (5), 191 ss; S. COGNETTI, Il ruolo delle regioni nel “governo del territorio”, in Atti Convegno AIDU La

disciplina pubblica dell’attività edilizia e la sua codificazione, a cura di E. FERRARI, Milano, 2002, 145 ss; A.

CROSETTI, Edilizia, urbanistica, governo del territorio: appunti, ivi, 205 ss; P. L. PORTALURI, Riflessioni sul

“governo del territorio” dopo la riforma del Titolo V, in Riv. giur. ed., 2002,(6), 337 ss; V. CERULLI IRELLI, Il

“governo del territorio” nel nuovo assetto costituzionale, in Atti Convegno AIDU su Il governo del territorio,

Milano, 2003, 499 ss; G. SORICELLI, Lineamenti per una teoria giuridica sul governo del territorio, in Riv. giur.

urb., 2004, 506 ss; G. F. PERULLI, La governance del territorio, ivi, 2004, 612 ss; B. GIULIANI, La nozione

costituzionale di “governo del territorio”: un’analisi comparata, in Riv. giur. ed., 2005, II, 285 ss; M. MILO, Il

potere di governo del territorio, Milano, 2005; L. CASINI, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio,

Milano, 2005; B. GIULIANI, New public governance e diritto amministrativo nel governo del territorio, Bari,

2006; R. CHIEPPA, “Governo del territorio”, in AA. VV., Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali,

a cura di G. CORSO e V. LOPILATO, Milano, 2006, vol. I; M. A. QUAGLIA, il governo del territorio, Milano, 2006;

da ultimi G. MARTINI, Il potere di governo del territorio, in La Repubblica delle autonomie nella giurisprudenza

costituzionale, a cura di A. PIOGGIA e L. VANDELLI, Bologna, 2007; G. L. CONTI, Le dimensioni costituzionali del

governo del territorio, Milano, 2007; S. AMOROSINO, Il governo dei sistemi territoriali. Il nuovo diritto

urbanistico, Padova, 2008, 3 ss; P. LOMBARDI, Il governo del territorio tra politica e amministrazione, Milano,

2012; A. CABIDDU, Il governo del territorio, Bari, 2014, 7 ss. La giurisprudenza costituzionale (sent. 1 ottobre n.

303, in Corr. giur., 2003, 1644 nonché 7 ottobre 2003 n. 307 e n. 196 del 2004) ha, infatti, evidenziato che tale

nozione ampia attiene all’uso del territorio e alla localizzazione degli impianti e attività costruttive.

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17

rispettivamente da norme regolamentari preesistenti al T.U.E. e da norme risultanti dall’opera

di delegificazione di disposizioni di rango legislativo26

.

L’impianto normativo del T.U.E. è suddiviso in tre parti. Nella prima parte sono

collocati i principi generali che regolano la materia e le disposizioni che disciplinano l’attività

edilizia, con specifico riferimento ai titoli abilitativi e all’agibilità dei manufatti. La seconda

parte è dedicata alla normativa tecnica dell’attività edilizia, “limitatamente all’ambito di

applicazione della Parte Prima”: tipologie costruttive, eliminazione delle barriere

architettoniche, normativa antisismica, sicurezza degli impianti, disposizioni sul contenuto

energetico. Nella terza parte, infine, vi sono le disposizioni finali che elencano espressamente

le precedenti norme abrogate e rimaste in vigore.

L’avvento di tale riassetto normativo ha, peraltro, sollevato problemi interpretativi non

indifferenti sulla portata del potere regolamentare dei Comuni nella materia edilizia27

. Il

regolamento edilizio è tradizionalmente ritenuto lo strumento normativo, generale ed astratto,

per eccellenza finalizzato a disciplinare le concrete modalità dell’attività edilizia (v.infra).

Ora, mentre, l’abrogato art. 33 della legge urbanistica 1150/1942, attribuiva ai

Comuni, con un’elencazione dettagliata delle specifiche materie oggetto della sua disciplina,

la piena competenza a regolare la materia stessa, con il T.U.E. tale potere ha trovato un

diverso regime di potestà regolamentare con due diverse previsioni di non facile

coniugazione. Con l’art. 2, comma 4, il nuovo testo ha statuito che i Comuni, nel quadro della

propria autonomia statutaria e normativa, fissata dall’art. 3 del d. lgs 18 agosto 2000 n. 267

(T.U. degli enti locali), disciplinano l’attività edilizia. Per contro, l’art. 4 (Regolamenti edilizi

comunali) ha statuito in ordine ai contenuti della regolamentazione edilizia, in particolare,

26

Per ulteriori riferimenti in relazione ai contenuti e all’impianto normativo del T.U.E.: V. MAZZARELLI, Il testo

unico in materia edilizia: quel che resta dell’urbanistica, in Giorn. dir. amm., 2001, 775 ss; E. FERRARI (a cura

di), La disciplina pubblica dell’edilizia e la sua codificazione, Atti del V Convegno AIDU, cit., 2 ss; M.

LUCIANI, Il sistema delle fonti nel testo unico dell’edilizia, in Riv. giur. ed., 2002, II, 4 ss; S. CIVITARESE

MATTEUCCI, Il Testo unico sull’edilizia alla luce del nuovo Titolo V parte II della Costituzione, in Riv. giur.

urb., 2003, 123 s; M. A. SANDULLI (a cura di), Testo Unico dell’edilizia, Milano, 2009, spec. pp. 3 ss di M.

BONINI e A. RUSSO; T. BONETTI, La disciplina dell’attività edilizia,in M. A. CABIDDU (a cura di), Diritto del

governo del territorio, Torino, 2010, 351 ss; nonché A. TARZIA, in R. Ferrara e G. F. FERRARI (a cura di),

Commentario breve alle leggi in materia di urbanistica ed edilizia, 2015, pp.187 ss; con più diretto riferimento

alla normativa edilizia M. CARLIN, Il nuovo regolamento edilizio. Dopo il titolo quinto della Costituzione e le

modifiche al testo unico dell’edilizia. Contenuto, efficacia, impugnazione, disapplicazione, Milano, 2008. 27

Sul punto: F. LORENZOTTI, Il testo unico e la potestà regolamentare comunale, in Atti Convegno AIDU su La

disciplina pubblica dell’attività edilizia, cit., 175 ss; quindi M. CARLIN, Il nuovo regolamento edilizio, cit., 66 ss;

R. GRACILI e L. MELE, L’autonomia del Comune in materia di assetto ed utilizzazione del territorio in relazione

ai principi generali della legislazione statale e regionale, in Riv. giur. ed., 2003, II, 109 ss; R. MONACO, Tsto

unico e regolamenti edilizi, Napoli, 2002, 30 ss; V. ITALIA, Appunti sul regolamento edilizio comunale, in Giust.

amm., 2005, 960 ss.; F. CINTIOLI, Commento art. 4, in Testo Unico dell’edilizia, cit., 93 ss.

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18

articolandoli in due tipologie: “obbligatori”, comprendendo tra questi la disciplina delle

modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto – nell’ordine – delle normative

tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze

degli stessi (comma 1); “facoltativi”, quali gli interventi sottoponibili a parere della

commissione edilizia là dove prevista (comma 2).

Da tale assetto normativo, è stata registrata la sussistenza di un contrasto o quanto

meno una forte incoerenza normativa tra le enunciazioni di principio (di ampia autonomia

statutaria e normativa) e la disciplina concreta, molto più restrittiva, in relazione al principio

di gerarchia delle fonti28

. Va, peraltro, avvertito che la potestà regolamentare (quindi anche

edilizia) dei Comuni, sotto il profilo costituzionale, trova la propria fonte di legittimazione

principalmente nel novellato art. 114 Cost., laddove viene sancita l’autonomia amministrativa

e normativa comunale, in uno con il combinato disposto con l’art. 118, comma 2 Cost.

relativo al principio di sussidiarietà verticale29

.

Il quadro interpretativo appare destinato, infatti, a rendersi più complesso se si

considera che il regolamento edilizio è venuto progressivamente a contenere, integrandole,

anche le c.d. norme di attuazione dello strumento urbanistico (N.T.A. di cui all’art. 6 delle L.

1150/1942), ove sono contenuti sia parametri edilizi che parametri urbanistici attraverso

molteplici c.d. “norme tecniche” (v. infra).

La rilevanza di nozioni tecniche nella produzione normativa è una constatazione da

tempo rilevata30

. Il concetto di “normativa tecnica” non è, tuttavia, univoco. Dottrina e

28

La giurisprudenza ha, infatti, rilevato che “Il regolamento edilizio, esprimendo l’autonomia normativa

riconosciuta ai Comuni dall’ordinamento, ha natura giuridica di fonte normativa secondaria e come tale è

subordinato al criterio ermeneutico della coerenza con le fonti primarie e del principio gerarchico per cui lex

superior derogat inferiori”: Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2003 n. 8289, in Foro amm. CDS, 2003, 3639; Id.,

Sez. V, 13 maggio 1997 n. 497, in Urb. e app., 1998, 312. Sul potere regolamentare degli enti locali in generale

v. già I. FENUCCI, I regolamenti di autonomia locale, Milano, 1994; V. ITALIA, I regolamenti dell’ente locale,

Milano, 2000; L. VERRIENTI, Regolamenti amministrativi, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1997, XIII, 47 ss; con

più diretto riferimento alla regolamentazione edilizia: F. SALVIA, Il Comune e il governo del territorio, in Nuove

autonomie, 1994, n. 2, 1935 ss; nonché M. LUCIANI, Il sistema delle fonti nel Testo Unico dell’edilizia, in Atti

Convegno AIDU La disciplina dell’attività edilizia, cit., 111 ss; da ultimo V. ITALIA, La gerarchia dei principi e

delle leggi e le conseguenze sulle norme statutarie e regolamentari degli enti locali, in Studi in onore di F.

Bassi, Napoli, 2015, I, 81 ss. 29

Nel sistema delle fonti, il rapporto tra fonte legislativa primaria e potestà regolamentare locale è ritenuto

equiparabile a quello che vi è tra fonti concorrenti: sul punto S. MANGIAMELI, Riassetto dell’amministrazione

locale, regionale e statale tra nuove competenze legislative, autonomie normative ed esigenze di concentrazione,

in AA. VV., Il sistema amministrativo dopo la riforma del titolo V della Costituzione, Milano, 2002; su tale tesi

v. già F. MODUGNO, Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir. Aggiorn., Milano, I, 1997, 561 ss; F.

SORRENTINO, Le fonti del diritto italiano, Padova, 2009. 45. 30

La nozione di attività tecnica nella formazione giuridica e nell’attività amministrativa è studiata sin dai primi

decenni del novecento da O. RANELLETTI nei suoi Principi di diritto amministrativo, Milano, 1912, I, 350 ss e

nel saggio del 1911 Attività amministrativa e attività tecnica e successivamente ripresa da V. BACHELET,

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19

giurisprudenza hanno tentato di offrire elementi di una definizione che potesse cogliere

l’eterogenea massa di regole caratterizzate da tale locuzione. Tra le varie interpretazioni

offerte in dottrina31

, va richiamata quella che ricollega l’espressione “norme tecniche” al

concetto generale di tecnica, intesa come quell’area “caratterizzata da cognizioni e giudizi

emessi sulla base di una scienza specialistica, cioè di tutte le scienze ad eccezione di quelle

giuridiche e dell’amministrazione”, ovvero “di una tecnica di produzione di un bene o di un

servizio non necessariamente collegata alla scienza”. Secondo questa lettura sarebbero,

dunque, norme tecniche sia quelle prodotte da organismi tecnici estranei all’amministrazione

e recepiti in atti formali, sia quelle “prodotte da organi statali o da enti pubblici statali o

regionali o locali, abilitati alla normativa in procedimenti con elaborazione tecnica”32

.

Una definizione di carattere generale riconosce nelle suddette norme quelle

“disposizioni normative caratterizzate da un contenuto peculiare frutto della diretta

elaborazione delle cosiddette scienze esatte”33

. In conformità all’insegnamento che ha rilevato

come l’aggettivo “tecnica” intenda indicare l’origine delle norme da discipline aliene rispetto

al diritto, mentre la loro natura assume valore pienamente giuridico”34

.

Sulla scorta di tali rilievi, in dottrina è stata avanzata una definizione, adatta alla

materia edilizia, quale complesso di “norme desunte da discipline specialistiche finalizzate a

stabilire criteri di sicurezza, di qualità o di prestazione nelle attività edilizie, inclusi i requisiti

costruttivi e merceologici dei prodotti impiegati o dei manufatti realizzati”35

.

Nella giurisprudenza ritroviamo concetti analoghi. Un importante riferimento, volto ad

individuare una nozione comune di “normativa tecnica”, è certamente la sentenza 14 marzo

1997 n. 61 della Corte Costituzionale36

. con la quale la Corte ha individuato ciò che le norme

tecniche devono essere e ciò che non devono essere. In tale decisione, la Corte ha considerato

norme tecniche solamente quelle prescrizioni estranee alla scienza giuridica, elaborate sulla

base di altre scienze, nella specie le c.d. scienze esatte, delle quali l’ordinamento si

L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, 1967; Id., Evoluzione del ruolo e delle strutture della

pubblica amministrazione, in Studi in onore di C. Mortati, Milano, 1977, II, 1 ss; nella dottrina francese F.

AUBRY-CAILLAUD, La norme tecnique et la notion d’acte administratif, in Revue administrative, 1997, 456 ss,

con riserva di ulteriori indicazioni. 31

Per una panoramica sulle diverse posizioni: F. SALMONI, Le norme tecniche, Milano, 2001, 25 ss; 32

In tal senso A. PREDIERI, Le norme tecniche nello Stato pluralista e prefederativo, in Dir. econ., 1996, 251 ss. 33

Così M. CECCHETTI, Note introduttive alo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti a tutela

dell’ambiente, in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti, Torino, 1996, 142. 34

A. M. SANDULLI, Le norme tecniche nell’edilizia, in Riv. giur. ed., 1974, 189 ss. 35

Così P. DELL’ANNO, Normativa tecnica dell’edilizia, in La disciplina pubblica dell’attività edilizia e la sua

codificazione, cit., 396. 36

Corte cost., 14 marzo 1997 n. 61, in Giur. cost., 1997, 634; con nota di M. GIGANTE, Alcune osservazioni

sull’evoluzione dell’uso del concetto di tecnica nella giurisprudenza della Corte Costituzionale.

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20

avverrebbe solo occasionalmente, nel momento in cui si trovi a dover disciplinare quelle

materie che per specialità del loro oggetto necessitano di cognizioni specialistiche delle quali

risulti sfornito37

. Tali orientamenti interpretativi hanno trovato un puntuale riscontro anche

nella disciplina dell’attività edilizia (v. infra) che, come altri settori del vivere civile, è stato

sempre più intensamente interessato dal fenomeno della presenza della tecnica nel mondo

giuridico o com’è stato denominato “giuritecnica”38

.

L’obiettivo del regolamento edilizio, al quale si è venuto nel tempo ad affiancare la

normativa, anche tecnica, contenuta negli strumenti urbanistici generali, è quello di

disciplinare l’attività edilizia, con norme tendenzialmente omogenee per l’intero territorio

comunale, lasciando al P.R.G. la disciplina differenziata del territorio.

Le sempre più giustificate esigenze di assicurare stabilità e sicurezza nella costruzione

degli edifici hanno, inoltre, indotto il legislatore ad attribuire un peculiare valore alla

“Normativa tecnica per l’edilizia”, in un’apposita Parte (II) del T.U.E. (artt. 52 ss), con

conseguente assegnazione alle norme tecniche una rilevanza assoluta anche in relazione alle

disposizioni degli strumenti urbanistici (v. infra).

Le frequenti e quasi scontate interconnessioni tra norme regolamentari e norme c.d.

tecniche, presenti nella normativa statale e regionale, ulteriormente implementate dalle

prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici locali, hanno spesso creato all’interprete e

all’operatore delicati problemi di carattere interpretativo e applicativo riconducibili al

binomio, mai sopito, tra “tecnica” e “diritto” oggi sempre più diffuso39

(v. infra).

37

Secondo tale decisione non sarebbero, invece, tecniche quelle norme che, volte all’organizzazione

dell’apparato amministrativo, implicano una valutazione di interessi pubblici, e ciò in quanto la tecnica, essendo

applicazione di scienza esatta, è di per sé stessa oggettiva e neutrale. Va precisato che con il termine “oggettiva”

la Corte non ha inteso riferirsi alla “certezza” dei risultati scientifici, ma esclusivamente alla “non soggettività”,

alla non opinabilità della tecnica: la certezza in campo scientifico è sempre relativa, essendo possibile, anzi

auspicabile, un continuo progresso delle conoscenze scientifiche e tecniche. Sotto il profilo delle fonti, la

giurisprudenza costituzionale aveva avuto occasione di collocare la normativa tecnica nell’ambito della funzione

statale di indirizzo e coordinamento (Corte cost. sent. n. 20 del 1975, n. 74 del 1987, n. 329 del 1988), in quanto

dettata in funzione di esigenze di certezza giuridica e di uniformità non suscettibili di frazionamenti territoriali. 38

Così descritto da V. FROSINI, L’aspetto tecnologico del lavoro del giurista nella recente esperienza, in Riv.

dir. civ., 1980, 40 ss; ID., Il diritto nella società tecnologica, Milano, 1981, 256. 39

Su cui per un primo approccio, oltre agli autori già citati: ancorché datato A. RAVA’, Il diritto come norma

tecnica, Cagliari, 1911; quindi M. GIGANTE, Effetti giuridici del rapporto tra tecnica e diritto: il caso delle

norme europee armonizzate, in Riv. it. dir. pubbl. comp., 1997, 313 ss; G. M. AZZONI, Cognitivo e normativo: il

paradosso delle regole tecniche, Milano, 2001, 64 ss; S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici, Milano, 2001;

E. CHITI, La normalizzazione, in Trattato di diritto amministrativo speciale (a cura di S. Cassese), Milano, 2003,

vol. IV, 4003 ss; M. GIGANTE, Norma tecnica, in Dizionario di dir. pubbl., (diretto da S. Cassese), Milano, 2006,

vol. IV, 3806 ss; A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e privato, Milano, 2007; ID., Norme tecniche, in Il Diritto

Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, X, 68 ss; A. SANTOSUOSSO, Diritto, scienza, nuove

tecnologie, Milano, 2011; nonché sul fronte della pubblica amministrazione: C. VIDETTA, L’amministrazione

della tecnica, Napoli, 2008.

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21

Onde offrire un contributo ad una più organica e proficua intelleggibilità e

conciliabilità di queste diverse “anime” presenti nella vigente normativa di settore e onde

comprenderne la genesi e la funzione, non pare inutile effettuare una breve ricognizione

dell’evoluzione che la nozione di edilizia ha avuto nel susseguirsi dei processi normativi

anche in relazione alla stessa esigenza di “tecnicità”.

2. La nozione di edilizia e la relativa evoluzione storico-giuridica

Nelle più autorevoli trattazioni enciclopediche40

è stato esattamente rilevato che anche

in base alla radice etimologica (dal latino aediles “edili”), sotto la denominazione generica di

edilizia si può ricomprendere tutto ciò che riguarda la esecuzione e la manutenzione degli

edifici pubblici e privati. È stato tuttavia evidenziato che essa è più particolarmente usata in

due sensi più limitati e distinti. “Secondo l’uno di essi per edilizia si intende quel complesso

di studi, regole, cognizioni prevalentemente tecniche, che hanno per oggetto la scienza e l’arte

del costruire e che oggi si preferisce di raggruppare sotto la denominazione più esatta di

architettura tecnica. Tali sono la distribuzione degli edifici in vista delle loro necessità

statiche e funzionali, l’uso dei diversi materiali secondo le loro possibilità estetiche e

costruttive, gl’impianti tecnici di vario genere e quanto contribuisce a rendere gli edifici

rispondenti al loro scopo. L’altra accezione di edilizia esprime, invece, quel vasto campo di

attività, specialmente nell’architettura, nell’ingegneria e nell’industria, che riguarda lo

sviluppo dei centri abitati. In questo senso l’edilizia è una manifestazione architettonica e

sociale antichissima, che è venuta assumendo specialissima importanza in vista della rapida

evoluzione delle città e quindi di disciplinarne la crescente espansione”.

Tale sviluppo, motivato da varie esigenze igieniche, sociali, artistiche nonché

giuridiche ha successivamente originato la nozione archetipa dell’urbanistica, concepita come

“la scienza che si preoccupa della sistemazione e dello sviluppo delle città, nell’intento di

assicurare, con il sussidio di tutte le risorse tecniche, la migliore posizione delle vie, degli

40

V. ad esempio la voce Edilizia nell’Enciclopedia italiana Treccani, Milano, 1932, vol. XIII, 460; come pure

Enciclopedia Universale Garzanti, Milano, 1970, I, 460.

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22

edifici e degli impianti pubblici, nonchè delle abitazioni private, in modo che la popolazione

vi possa avere una dimora sana, comoda e gradevole”41

.

Analoghe considerazioni sono state fatte per evidenziare il significato e lo sviluppo

che ha avuto la nozione dell’edilizia sotto il profilo giuridico42

. Vi è stato, infatti, chi ha

ritenuto che “non esiste un’accezione giuridica di “edilizia”, in quanto nella legislazione

positiva il vocabolo ricorre in tutte le varie accezioni che possiede nel linguaggio corrente:

attività del costruire, tecnica del costruire, tipologia di costruzioni, organizzazione di attività

rivolte al costruire”. È stato altresì esattamente osservato che l’aspetto preminente, sotto il

quale la normativa si è occupata dell’edilizia, è stato quello che riguarda l’attività del

costruire, più come risultato dell’attività che come attività in sé. In effetti, sotto questo profilo,

l’attività del costruire o attività edilizia, è stata storicamente sempre disciplinata da norme di

diritto civile in relazione ai rapporti tra proprietà private confinanti o finitime43

. Solo con il

Medio Evo si iniziano ad avere, principalmente negli statuti, norme comunali di tipo edilizio,

quale disciplina di rilevanza pubblicistica, soprattutto con finalità igienico-sanitarie, di

“decoro” del suolo e dell’abitato44

.

41

Il passo è di DANGER, Cours d’urbanisme, Paris, 1933 e riportato da V. TESTA nelle sue Lezioni di legislazione

urbanistica, Roma, 1933-34, 3-4 e citato emblematicamente già da F. SALVIA - F. TERESI, Lineamenti di diritto

urbanistico, Padova, 1973, 1 ss, v. altresì V. PICCINATO, voce Urbanistica, in Enc. it., vol. XXXIV, 768 ss e

sulla successiva evoluzione V. G. ASTENGO, voce Urbanistica, in Enciclopedia Universale dell’arte, vol. XIV,

ad vocem; DETTI-SICA, voce Urbanistica, in Enc. del Novecento, vol. VII, 985 ss; tra i giuristi, con riserva di

ulteriori richiami, L. MAZZAROLLI, I piani regolatori nella teoria giuridica della pianificazione, Padova, 1965,

20 ss; A. PREDIERI - M.A. BARTOLI, Piano regolatore, in Enc. dir., vol. XXXIII, 1983, 654 ss; V. CERULLI

IRELLI, Urbanistica, in Dizionario di diritto amministrativo diretto da G. Guarino, Milano, 1983, 617 ss; G.

MORBIDELLI, Pianificazione territoriale e urbanistica, in Enc. dir., Milano, 1990, XXIII, ad vocem; V.

MAZZARELLI, L’urbanistica e la pianificazione territoriale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S.

Cassese, II. Ediz., Milano, 2003, 3335 ss. Per i profili storici V. L. BENEVOLO, Le origini dell’urbanistica

moderna, Bari, 1971; G. AYMONINO, Origini e sviluppo della città moderna, Padova, 1965; ARDIGÒ, La

diffusione urbana, Roma, 1967; V. SICA, Storia dell’urbanistica, Bari-Roma, 1991. 42

Vanno qui richiamati i contributi specifici di V. TESTA, Edilizia, in Novissimo Dig. It., Torino, 1960, vol. VI,

381 ss; di G. ROEHRSSEN, Edilizia, in Enc. dir., Milano, 1965, XIV, 312 ss; di M. PALLOTTINO, Edilizia, in

Novissimo Dig. It. Appendice, Torino, 1982, 245 ss; e più recentemente di M. BREGANZE, Edilizia, in Digesto IV

(Disc. Pubbl.), Torino, V, 192 ss; N. ASSINI, Edilizia (disciplina delle costruzioni), in Enc. giur. Treccani, Roma,

1988, vol. XI nonché PICOZZA - CAMPAGNOLA, Edilizia privata. Profili giuridici, Milano, 1999. 43

Per questi profili storici L. MUMFORD, Le città nella storia, Milano, 1963; L. BENEVOLO, Le origini e

l’avvenire della città, Bari, 1972; G. SAMONÀ, L’urbanistica e l’avvenire della città, Roma-Bari, 1978; SICA,

Storia della città, Bari, 1980; V. ZOCCA, Sommario di storia urbanistica delle città italiane dalle origini al 1860,

Napoli, 1961. 44

Sul ruolo e gli interventi del Comune per la cura della sanità e dell’igiene locale della relativa potestà

regolamentare v. già ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958, III, 160 ss. Per i profili storici

dell’evoluzione della legislazione sanitaria in relazione alle esigenze edilizie v. utilmente nel Trattato diretto da

V.E. ORLANDO, che all’argomento dedica gran parte del vol. IV, parte 2, con le due monografie di F. CAMMEO,

Sanità pubblica: principi generali, fonti ed organizzazione, 216 ss e di C. VITTA, Sanità pubblica: i singoli

obiettivi dell’amministrazione sanitaria.

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23

Sotto il profilo storico, va sottolineato che la disciplina edilizia dei centri urbani è

principalmente rinvenibile nella potestà regolamentare dei Comuni fin dagli ordinamenti

preunitari. La prima legge comunale del Piemonte, emanata poco dopo la concessione dello

Statuto albertino (r.d. 7 ottobre 1848 n. 807), attribuiva, infatti, ai Comuni il potere di formare

regolamenti di “polizia urbana e rurale”: tale attribuzione è stata pacificamente intesa come

comprensiva della normazione in materia edilizia, essendo ritenuta, allora, un settore della

“polizia urbana”.

Tale attribuzione appare confermata nelle successive leggi comunali e provinciali del

Regno. Nel r.d. 23 ottobre 1859 n. 3702 (nuovo ordinamento comunale e provinciale

sostitutivo della legge del 1848), si parla di regolamento di “ornato” (locuzione usata come

sinonimo, nei testi ottocenteschi di regolamento edilizio). Con l’All. A) della legge 20 marzo

1865 n. 224845

, sostitutivo della legge del 1859, compare l’espressione “regolamento

d’edilità”, conservata con qualche variante, come “regolamento d’edilizia”, nei testi

successivi (1889, 1898 e 1908) fino a quello emanato con r.d. 4 febbraio 1915 n. 148 ed a

quello emanato con r.d. 3 marzo 1934 n. 38346

. Anzi, il regolamento per l’esecuzione della

legge n. 2248 del 1865, determinava le materie che dovevano formare oggetto dei regolamenti

edilizi, che riguardavano la nomina e la composizione della commissione edilizia, la polizia

della viabilità interna del centro abitato, l’intonaco e la tinta delle facciate e dei muri, l’altezza

massima dei fabbricati, la posizione e la conservazione dei marciapiedi, e il controllo dei

lavori da effettuarsi dai delegati del municipio al fine di constatare l’osservanza delle

disposizioni legislative e regolamentari47

.

Va tuttavia evidenziato che nell’esame delle fonti giuridiche dell’edilizia risultano

importanti e significativi sia gli elementi derivanti da norme pubblicistiche che da norme

privatistiche quale in particolare il codice civile. Si può anzi dire che l’evoluzione della

disciplina edilizia prende le mosse da un nucleo fondamentale di norme contenute nel codice

45

Va poi ricordato che la legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. A, demandava ai consigli comunali il potere di

deliberazione dei regolamenti edilizi; mentre il relativo regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 8 giugno

1865 n. 2321, indicava quale contenuto essenziale dei regolamenti edilizi “i piani regolatori e di livellazione o di

nuovi allineamenti delle vie, piazze o passeggiate pubbliche”. 46

Per una ricostruzione e successione storica di questi dati normativi v. già N. ASSINI - P. MANTINI, Il

regolamento edilizio comunale, in Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1991, 457 ss; nonché F. BARTOLOMEI,

La commissione edilizia nella normazione dell’ordinamento comunale, Milano, 1981, 50 ss. V. inoltre Cento

anni di edilizia 1862-1962 a cura di A. PICA e E. PIFFERI, Roma, 1963 con saggi di diversi autori 47

Queste disposizioni sono poi state sostanzialmente mantenute nelle leggi successive, fino al regolamento 12

febbraio 1911 n. 297 (art. 111) ed alla legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915 n. 148, che stabiliva che i

regolamenti dovevano essere deliberati dal Consiglio Comunale (art. 131, n. 106) ed approvati dalla Giunta

provinciale amministrativa (art. 217, n. 9). Tale normativa è stata conservata nel successivo T.U. della legge

comunale e provinciale approvato con legge 3 marzo 1934 n. 383.

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24

civile e che solo successivamente ed in tempi più recenti la normazione pubblicistica è

intervenuta in modo pregnante a conformare la materia.

Come noto, il codice civile è coevo alla legge urbanistica fondamentale del 1942,

sicché, sia pure nell’ottica tradizionale della disciplina delle proprietà finitime e delle

costruzioni confinanti, sono tuttavia rinvenibili soluzioni omogenee sul piano normativo48

.

Particolarmente significativo appare il disposto dell’art. 871 c.c. (Norme di edilizia e

di ornato pubblico) ove si stabilisce che “le regole da osservarsi nelle costruzioni sono

stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi”49

. L’art. 871 è stato, in genere,

interpretato insieme all’art. 872: su tali disposizioni si fonda la distinzione tra norme edilizie

che riguardano le distanze tra fabbricati (integrando il limite posto dall’art. 873) e norme che,

seppure dirette incidentalmente ad assicurare la migliore utilizzazione della proprietà privata,

tendono a principalmente a soddisfare interessi di indole generale (igiene, viabilità ed

estetica)50

. In coerenza con questa linea interpretativa si è ritenuto che rientrino nella

48

Come già rilevato da N. ASSINI - P. MANTINI in Manuale di diritto urbanistico, cit., 555 ss; v. comunque sulla

genesi e sull’evoluzione della disciplina edilizia in chiave urbanistica G. D’ANGELO, Cento anni di legislazione

urbanistica, in Atti del Congresso celebrativo delle leggi amministrative di unificazione. Le opere pubbliche. I

lavori pubblici (a cura di A.M. Sandulli), Vicenza, 1967, 433 ss; S. AMOROSINO, Profili di storia istituzionale del

governo del territorio in Italia, in Riv. giur. ed., 1981, II, 227 ss; P.G. MASSARETTI, Dalla “regolamentazione”

alla “regola”. Sondaggio storico-giuridico sull’origine della legge generale urbanistica 17.8.1942 n. 1150, in

Riv. giur. urb., 1995, 437 ss. 49

Per più specifici riferimenti sulla portata e gli effetti di questa normativa codicistica v. F. DE MARTINO,

Proprietà (Commentario del Codice civile, Libro III, a cura di A. Scialoia e G. Branca, 4 ediz., Bologna, 1976,

257 ss; e per la giurisprudenza in materia A. ALIBRANDI, Rassegna di giurisprudenza in materia di norme

integrative delle disposizioni del codice civile sui rapporti di vicinato, in Riv. giur. ed., 1960, II, 72 e 141; A. DI

FILIPPO e G. PESCATORE, Rassegna di giurisprudenza sul codice civile, diretta da R. Nicolò e M. Stella Richter,

Tomo II, libro III, Appendice di aggiornamento, Milano, 1980, 824 ss. 50

I problemi interpretativi in relazione all’art. 872, come noto, hanno toccato essenzialmente i riflessi di tutela

giurisdizionale. Ai fini di stabilire se compete la riduzione in pristino, indipendentemente dalla prova del danno,

ovvero il risarcimento del danno, secondo i principi comuni, il criterio seguito dalla giurisprudenza e dalla

dottrina è stato quello della distinzione tra norme di regolamenti, integrative del codice civile sui rapporti di

vicinato e norme che invece si propongono una più ampia finalità di interesse pubblico, quale è quello di

provvedere alle necessità igieniche della popolazione e di tutelare l’estetica edilizia. Su questo indirizzo

interpretativo v. già Cass. 9 luglio 1951 n. 1837; Id., n. 429 del 1968 e più recentemente Cass. 23 giugno 1995 n.

7154; per la dottrina risalente, ex multis, CAPALDO, Sull’art. 872 c.c., in Foro it., 1957, I, 494 ss; M. CARABBA,

Regolamenti comunali edilizi e limitazioni alle posizioni giuridiche soggettive dei privati, in Foro amm., 1962, I,

1184 ss; F. CIPRIANI, Effetti privatistici delle violazioni ai regolamenti comunali di edilizia, in Giur. it., 1956, I,

917 ss; DE BIASI, In tema di regolamenti edilizi comunali, in Giust. Civ., 1956, I, 194 ss; FORNI, I regolamenti

edilizi comunali e la loro efficacia nei rapporti tra i privati, Firenze, 1957, 30 ss; GRECO, Violazione delle

norme regolamentari integrative del codice civile in materia edilizia, in Il nuovo diritto, 1954, 203 ss; LORENZI,

I regolamenti edilizi e la tutela dei diritti soggettivi privati, in Foro padano, 1950, I, 257 ss; PIFFERI, Le

disposizioni che integrano il c.c. in materia edilizia, in Corr. amm., 1961, 184 ss; ID, Terzo danneggiato in

materia di edilizia e sua tutela giurisdizionale, in Riv. amm., 1967, 544 ss; ID., Regolamenti edilizi e diritti di

terzi, in Nuova rass., 1965, 1593 ss; A. M. SANDULLI, Giurisdizione e amministrazione in materia di edilizia

urbanistica, in Dir. econ., 1958, 1425 ss; G. VIGNOCCHI, Violazione di norme regolamentari edilizie e diritti dei

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25

categoria dei regolamenti edilizi anche gli ottocenteschi regolamenti di igiene per la parte

riguardante le disposizioni da osservare nelle costruzioni, proprio a tutela dell’igiene del suolo

e degli abitati51

.

Analoga rilevanza sono venute assumendo altre norme regolamentari edilizie con

previsioni c.d. “integrative” del codice civile (art. 872, comma 2 e 873) sul vicinato e sulle

distanze tra i fabbricati52

, nonché norme che relative all’altezza massima degli edifici in

relazione alla larghezza delle strade, l’estetica, l’aspetto e l’ornato delle costruzioni, i rapporti

tra area fabbricabile ed area da coprire, l’ampiezza dei cortili, l’igiene e così via.

In conseguenza delle esigenze indotte dal mutamento dei processi di produzione e dei

contesti urbani derivanti da una più consistente e diffusa industrializzazione (anche se più

tardivamente intervenuta in Italia) ha iniziato a rendersi più pressante l’esigenza di

provvedere a disciplinare, in via preventiva e più organica, le diverse attività di

trasformazione edilizia tramite apposite norme regolamentari, a cui conviene dedicare ancora

qualche ulteriore attenzione.

3. Genesi e sviluppi della regolamentazione edilizia con valenze tecniche

Nel diritto positivo, in tutto il periodo della civiltà preindustriale, i contenuti dei c.d.

regolamenti edilizi53

, hanno prevalentemente riguardato la volumetria degli edifici, le

privati, in Riv. dir. comm., 1955, II, 291 ss; ID., Sui regolamenti edilizi e sulle conseguenze giuridiche della loro

violazione, ivi. 1948, 320 ss. 51

La giurisprudenza ha già ritenuto in passato che con i regolamenti comunali edilizi e con quelli di igiene, già

previsti dall’art. 83 del r.d. 10 giugno 1889 n. 6107, possono essere perseguiti interessi sostanzialmente

coincidenti, poiché gli interessi tutelati con le norme sull’igiene degli abitati e con le norme sulle costruzioni

spesso interferiscono, come nell’ipotesi delle disposizioni sulle distanze tra le costruzioni che sono dirette ad

evitare la formazione di intercapedini insalubri, cfr. Cass, Sez. Un., 12 marzo 1973 n. 665, in Giust. Civ., 1973, I,

1774 con nota di ALVINO, Effetti conseguenti alla violazione delle norme attinenti all’edilizia contenute nei

regolamenti comunali di igiene e sanità. 52

In ordine alla distinzione tra norme integrative e non integrative del codice civile, la giurisprudenza ha chiarito

come abbiano carattere “integrativo quelle dirette a completare, rafforzare ed armonizzare con il pubblico

interesse di un ordinato assetto urbanistico la disciplina dei rapporti intersoggettivi”; non rivestono, invece, tale

carattere quelle che hanno come “scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici quali la limitazione

del volume, dell’altezza e della densità degli edifici, le esigenze dell’igiene, la viabilità, la conservazione

dell’ambiente ed altre”: Cass. Civ., Sez. II, 30 dicembre 1999 n. 14714, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2654). 53

La genesi di questi regolamenti è vista dalla prevalente dottrina del tempo come una forma di limitazione alla

proprietà privata, come emerge dalla dottrina dell’epoca: U. FRAGOLA, Teoria delle limitazioni alla proprietà

privata con speciale riferimento ai regolamenti edilizi comunali, Milano, 1940, 341 ss; L. RAGGI, Regolamenti

comunali di edilizia e d’igiene e il diritto dei privati, in Corte di Cassazione, 1927, IV, 1231 ss; DE BARBIERI, Le

norme dei regolamenti edilizi e il diritto dei privati, in Riv. dir. pubbl., 1930, XXXIII, 82 ss; PANICOTTI, I

regolamenti edilizi dei Comuni e i diritti dei privati, in Giur. it., 1930, 167 ss; ROVELLI, Efficacia dei

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26

tipologie, gli allineamenti, le distanze, le altezze con diretto riferimento alla disciplina delle

limitazioni della proprietà privata54

anche connesse ai procedimenti di espropriazione per

pubblica utilità55

.

Una propria e del tutto particolare autonomia ha continuato ad avere l’edilizia nel

senso di tecnica del costruire, che è stata presa in considerazione dalla legislazione nella vasta

accezione di “normativa tecnica”56

. In effetti, a seguito dell’innovazione delle tecniche

esecutive e della conseguente perdita di specifica professionalità delle maestranze, è sorta la

necessità, sempre più avvertita, allo scopo di tutelare l’utenza e la committenza del bene

edilizio, di elaborare norme tecniche scritte con valenza omogenea. Il quadro complessivo

della normativa tecnica, che si è venuto formando, è ormai un corpus estesissimo e tocca

profili svariati dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche a quella per la prevenzione

incendi, dalle norme sui requisiti dei vani, delle rampe, degli ascensori, delle autorimesse, dei

locali del gruppo termico, a quelle sui “materiali” (ad es. i conglomerati cementizi), a quelle

regolamenti comunali edilizi nei rapporti tra i privati, in Riv. dir.priv., 1934, 111 ss; G. AZZARITI, Norme dei

regolamenti comunali edilizi sulle altezze e sulle distanze fra edifici e i diritti dei privati, in Riv. dir. civ., 1940, I,

310 ss; ID., I regolamenti edilizi e il diritto di vicinato, in Riv. dir. pubbl., 1940, I, 633 ss; v. inoltre L. GENCO,

La potestà regolamentare dei Comuni in materia edilizia, Padova, 1935. 54

Sui contenuti dei regolamenti edilizi anche in relazione al diritto di proprietà v. già BUFALINI, Dei regolamenti

edilizi, Torino, 1886; dopo il 1942 D’AVANZO, Regolamento comunale di edilizia, Empoli, 1951; V. TESTA,

Regolamenti edilizi, Roma, 1955; G. PIFFERI, I regolamenti edilizi comunali, in Corr. Amm., 1963, 610 ss; T.

ZAGO, Regolamento edilizio, Empoli, 1964; G. DE CESARE, Note storiche sui regolamenti edilizi, in Riv. giur.

ed., 1967, II, 129 ss; L. MAZZAROLLI, Regolamento edilizio, in Novissimo Dig. It., Torino, 1968, vol. XV, 261

ss; v. inoltre N. ASSINI - P. MANTINI, Il regolamento edilizio comunale. Profili giuridici ed amministrativi,

Rimini, 1991; CAPONI - GRACILI, Il regolamento edilizio comunale: problemi e prospettive, in Riv. giur. ed.,

1986, II, 147 ss; P.G. MAZZARETTI, Dalla “regolamentazione” alla “regola”. Sondaggio storico-giuridico

sull’origine della legge generale urbanistica del 17.VIII.1942 n. 1150, cit., 1995, 437 ss. 55

In ordine ai rapporti tra la regolamentazione edilizia e le esigenze espropriative va solo ricordato che la legge

25 giugno 1865 n. 2359 concepiva il piano regolatore edilizio come “strumento diretto principalmente ad

agevolare più ampie e complesse espropriazioni, per il miglioramento viario ed igienico dei maggiori centri

abitati”. Per questi contenuti in funzione espropriativa dei regolamenti edilizi v. VISCO, Efficacia normativa dei

regolamenti edilizi e dei piani regolatori, Palermo, 1959; T. BRUNO, Espropriazione per causa di pubblica

utilità, in Digesto it., Vol. X, Torino, 1895-1898, 905 ss; G. SABBATINI - L. BIAMONTI, Commento alle leggi

sulle espropriazioni per pubblica utilità, Milano, 1938, cap. I; G. MOTZO - S. PIRAS, Espropriazione e “pubblica

utilità”, in Giur. cost., 1959, 218 ss; G. D’ANGELO, Urbanistica e diritto, Napoli, 1969, 12 ss; F. SPANTIGATI,

L’espropriazione nella disciplina urbanistica, in L’espropriazione per pubblica utilità, a cura di U. Pototschnig,

Vicenza, 1967, 177 ss; più recentemente D. SORACE, Espropriazione per pubblica utilità, in Digesto IV (disc.

pubbl.), Torino, VI, 178 ss. 56

Sulla normativa tecnica edilizia, con riserva di più specifiche indicazioni, v. già G. ROEHRSSEN, Edilizia IV.

Materiali edilizi, in Enc. dir., XIV, 1965, 359 ss; A. M. SANDULLI, Le norme tecniche dell’edilizia, in Riv. giur.

ed., 1974, cit., 189 ss; F. GARRI - U. CAZZUOLA, Codice sulle norme tecniche dell’edilizia, 2 voll., Milano, 1976;

F. GARRI, La normazione tecnica in Italia, in Foro amm., 1977, II, 1012 ss; AA. VV., Normativa tecnica e

industrializzazione dell’edilizia, Bologna, 1979.

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27

sui parametri tecnici, quali le nozioni di prescrizione planivolumetrica o di superficie

(territoriale, fondiaria, lorda v. infra)57

.

Una regolamentazione legislativa dell’attività edilizia ha trovato poi oggetto in leggi

speciali, quali ad esempio il T.U. leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, con relativo

regolamento 3 novembre 1901 n. 54 nonché nella citata legge 20 marzo 1865 n. 2359

sull’espropriazione per pubblica utilità anche nelle successive modificazioni, con notevoli

dispersione di contenuti e valenze funzionali.

Come già anticipato, solo con l’approvazione della legge urbanistica fondamentale 17

agosto 1942 n. 1150 (art. 33 e segg.), si è giunti ad una più definita disciplina dei contenuti

della materia edilizia sotto il profilo regolamentare sia nei contenuti che nelle procedure di

approvazione 58

. Invero, il richiamato art. 33, in armonia con le disposizioni del T.U. delle

leggi sanitarie del 1934, nell’indicare i contenuti della materia “edilizia” oggetto di

regolamento comunale, aveva distinto tra norme regolamentari, attinenti ai procedimenti per

l’edificazione (licenze e autorizzazioni edilizie) ed alla composizione e funzionamento della

commissione edilizia, e norme tecniche riguardanti i parametri e le definizioni per lo

svolgimento dell’attività costruttiva. In altri termini, in questo articolo erano state individuate

sia norme concernenti la regolazione dell’attività costruttiva (distanze, altezze, sporgenze,

allineamenti, tipologie, indici edilizi, volumi, superfici, ecc. ), che norme contenenti

57

Per ulteriore specificazione dei contenuti della normativa tecnica nell’edilizia v. utilmente N. ASSINI - M. DI

SIVO, Edilizia residenziale. Legge e “norme tecniche”, Firenze, 1988, X; ed inoltre N. ASSINI - P. MANTINI,

Lezioni di normativa e legislazione edilizia, Bergamo, 1990; nonché degli stessi autori Manuale di diritto

urbanistico, cit., 562 ss, da ultimo, con ampia ricostruzione critica, F. SALMONI, Le norme tecniche, Milano,

2001 nonché P. DELL’ANNO, Normativa tecnica dell’edilizia, in Atti Convegno AIDU, cit., 395. 58

La novella legislativa aveva subito posto una serie non indifferente di problemi sia in relazione alla precedente

regolazione edilizia sia in rapporto alle norme (anche tecniche) dei piani regolatori e dei piani particolareggiati,

per segnalazioni di queste problematiche nella dottrina dell’epoca: v. D. RODELLA, Coordinamento fra piani

regolatori e regolamento edilizio, in Nuova rass., 1961, 405 ss; BORBOTTONI - MANNITO, Regolamento di

edilizia per i Comuni sprovvisti di piano regolatore, Firenze, 1957; DE TARANTO, Piano regolatore

particolareggiato e regolamento edilizio, in Corr. amm., 1965, 1872 ss; MAGNANI, A proposito di regolamenti

edilizi comunali, ivi, 1956, 1645 ss; D. RODELLA, Caratteri della nuova regolamentazione edilizia, in Nuova

Rassegna, 1962, 2942 ss; G. ROEHRSSEN, Piani urbanistici e regolamenti edilizi. Nozioni generali, in Rass. lav.

pubbl., 1969, n. 2 e 3; RUSSO, Piani regolatori, regolamenti edilizi comunali e tecnica legislativa, in Giur. it.,

1961, I, 2, 377 ss; VISCO, Efficacia normativa dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori, cit.. Per una

disciplina edilizia unificata a livello nazionale cfr. CASALIN, Per un regolamento edilizio nazionale, in Riv. giur.

ed., 1958, III, 30 ss; BERTOLANI, Questioni in tema di regolamenti edilizi ante legge urbanistica, in Giur. it.,

1971, I, 1, 1315 ss. Per un tentativo di analisi comparativa dei singoli regolamenti edilizi v. CORIGLIONI, Esame

analitico comparativo dei regolamenti edilizi attualmente in vigore in Italia, in Nuova Rass., 1961, 908 ss.

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28

prescrizioni tecniche a fini igienico sanitari, di pubblica incolumità, di decoro, di estetica dei

fabbricati59

.

Storicamente, la legge urbanistica del 1942, pur avendo inglobato nel piano regolatore

gli aspetti più propriamente urbanistici dei regolamenti edilizi, non solo non li aveva

soppressi, al contrario, provvedendo a specificare scopo, contenuto e modalità di formazione

(art. 33) ma aveva imposto, ai Comuni sprovvisti di piano regolatore di adottare un

programma di fabbricazione con proprio regolamento edilizio. In tal senso, la dottrina aveva

messo in evidenza l’importante funzione di supplenza dei regolamenti edilizi in relazione alla

carenza dei piani regolatori.

Il secondo comma del citato art. 33, tuttavia, aveva già previsto che nei Comuni

provvisti di piano regolatore il regolamento edilizio dovesse altresì disciplinare la

lottizzazione delle aree fabbricabili e le caratteristiche dei vari tipi di costruzione previsti dal

piano regolatore, nonché l’osservanza di determinati caratteri architettonici e la formazione

dei complessi edilizi di carattere unitario, nei casi in cui ciò fosse necessario per dare

conveniente attuazione del piano regolatore, la costruzione e la manutenzione di strade private

non previste nel piano regolatore. Questi ulteriori contenuti dei regolamenti hanno

progressivamente fatto evolvere la disciplina edilizia verso la disciplina urbanistica, facendo

anzi assumere all’edilizia il ruolo di strumento attuativo e servente della pianificazione

urbanistica60

.

In effetti, in relazione ai contenuti tipici dei regolamenti edilizi, è già stata da tempo

evidenziata in dottrina la distinzione tra le norme che storicamente e più direttamente possono

dirsi riconducibili e corrispondenti alle disposizioni tipiche già contenute nel regolamento

comunale e provinciale del 1911 (n. 1, 6, 7, 8, 12, 13, 14 dell’art. 33) ed un secondo gruppo di

59

Per questa bipartizione dei contenuti dei regolamenti edilizi v. ancora recentemente P. URBANI - S. CIVITARESE

MATTEUCCI, Diritto urbanistico, Torino, 2000, 187 ss; come pure MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, cit.,

289 ss 60

Sottolinea come, già prima della legge n. 1150 del 1942, i regolamenti edilizi abbiano costituito la fonte

principale della disciplina urbanistica sia di carattere sostanziale che organizzatorio: SALVIA - TERESI, Diritto

urbanistico, cit., 203 ss. Comunque, per una ricostruzione delle posizioni della dottrina giuridica v. anche per

ulteriori riferimenti V. ITALIA, Problemi sulle fonti del diritto e sulla potestà normativa dei Comuni in materia di

urbanistica e di edilizia, cit. Giurisprudenza, ormai datata, aveva messo in rilievo che “la tutela urbanistica

risponde ad un interesse pubblico generale, ma il legislatore ha affidato al Comune il compito di curarne la

regolamentazione, riservando all’ente locale la facoltà di interpretare ed esprimere le esigenze peculiari

dell’aggregato urbano. Da ciò può desumersi come non si abbia un contrasto, bensì convergenza nella stessa

situazione di interessi pubblici diversi che debbono essere distintamente tutelati”: Cass. Pen., Sez. II, 3 novembre

1965, in Giust. Pen., 1966, II, 473 ss, cfr. anche Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 1962 n. 394, in Corr. amm.,

1964, 638. È stato poi chiaramente ribadito che “le norme dei regolamenti edilizi sono poste in primo luogo a

tutela di interessi pubblici, quali quelli del decoro architettonico e del soddisfacimento di esigenze urbanistiche”:

Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 19 ottobre 1967 n. 43, in Foro amm., 1967, I, 2, 1391.

Page 38: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

29

norme che è stato definito “una parte nuova – espressione di quella considerazione unitaria

dell’attività urbanistica… – nella quale più stretto ed organico appare il collegamento con

altre norme della legge urbanistica, in particolare con quelle che disciplinano il contenuto

degli strumenti di pianificazione urbanistica a livello comunale”61

.

L’accorpamento strumentale dell’edilizia alla pianificazione urbanistica ha subito

certamente una significativa svolta con le disposizioni introdotte con la legge 6 agosto 1967 n.

765 (in specie gli artt. 17, 18 e 20 di tale legge recepiti negli artt. 41 quinquies, sexies e octies

della legge urbanistica del 1942). In particolare, l’art. 41 quinquies ha stabilito che debbono

osservarsi, nella formazione dei nuovi regolamenti edilizi e nella revisione di quelli esistenti,

limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati, nonché rapporti

massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o

riservati alle attività collettive, e a verde pubblico o a parcheggi (8° comma). Dette

prescrizioni sono invero di due specie: edilizie (limiti di altezza, distanze, allineamenti, ecc.)

ed urbanistiche (destinazione delle costruzioni, rapporti massimi, spazi di uso pubblico ecc.).

Questi sono stati, infatti, denominati dalla dottrina standard urbanistici generali o speciali,

diretti comunque a “guidare” le opzioni della pianificazione urbanistica attraverso la

definizione di limiti di rapporti tra spazi ed insediamenti, densità edilizie, altezze degli edifici

e distanze tra i fabbricati, con riferimento alle zone territoriali omogenee che, a sensi del D.M.

2 aprile 1968 n. 1444, dovevano essere definite con la pianificazione urbanistica62

.

In effetti, com’è già stato esattamente osservato, nel sistema introdotto dalla legge

urbanistica del 1942 e soprattutto con la legge ponte del 1967, la disciplina edilizia contenuta

nei previsti regolamenti comprende, da un lato, delle norme organizzative e procedurali,

riguardanti “la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della commissione edilizia

61

L’acuta osservazione è di L. MAZZAROLLI, Regolamento edilizio, in Noviss. Dig., cit., spec. 263 ss e seguita

anche da ASSINI - MANTINI, Il regolamento edilizio comunale, cit., 461 ss. 62

Come noto per ciascuna delle c.d. zone territoriali omogenee, sono stati stabiliti differenti limiti di cubatura e

di altezze, di densità fondiaria e territoriale, nonché spazi minimi di aree verdi e di servizio da riservare nelle

medesime. Si tratta di valori minimi che i Comuni, nella formazione dei piani, sono tenuti a rispettare ma che

possono anche elevare in funzione di una pianificazione più rispondente ad interessi pubblici. Sul ruolo avuto

dagli standard edilizi nella pianificazione urbanistica, anche per ulteriori riferimenti bibliografici e gli

approfondimenti della nozione sotto il profilo storico, v. già D. RODELLA, La legge urbanistica ponte e il

contenuto dei programmi di fabbricazione e dei regolamenti edilizi, in Comuni d’Italia, 1968, n. 4; amplius L.

FALCO, Gli standard urbanistici, Roma, 1978, 27 ss; MENGOLI, Manuale dir. urb., cit., spec. 76 ss e 317 ss;

nonché F. PAGANO, Gli standard urbanistici e strumenti di politica dei servizi, in Riv. giur. ed., 1996, II, 185 ss;

F. SALVIA, Standard e parametri tra regole di pianificazione e disciplina dell’edificabilità, Atti del Convegno

AIDU su L’uso delle aree urbane e la qualità dell’abitato (a cura di E. Ferrari), Milano, 1999, 111 ss; in

giurisprudenza Cons. Stato, Sez. V, 20 novembre 1987 n. 703, in Foro amm., 1987, 2942; Id., Sez. V, 6 marzo

1990 n. 242, ivi, 1990, 642.

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30

comunale”, nonché relative alla “compilazione dei progetti di opere edilizie”, alla

“presentazione delle domande di licenza”, alla “vigilanza sull’esecuzione dei lavori per

assicurare l’osservanza delle disposizioni delle leggi e dei regolamenti”, inoltre delle norme

dirette ad assicurare l’igiene, l’estetica e il decoro degli edifici, quali ad es. “l’ampiezza e

formazione dei cortili e degli spazi interni”, le “sporgenze sulle vie e piazze”, “l’aspetto dei

fabbricati e il decoro dei servizi e impianti che interessano l’estetica dell’edilizia urbana”, la

“recinzione o la manutenzione di aree scoperte”63

. Attesa l’obbligatorietà del Regolamento

edilizio (prevista dal già citato art. 33 della legge del 1942), è da ritenersi che tali norme si

debbano tendenzialmente applicare in ogni parte del territorio comunale, mentre quelle che

vengono ad essere diverse per le varie “zone”, nella c.d. zonizzazione funzionale, debbano

essere contenute nel piano regolatore generale64

.

Si è così venuta diffondendo, nell’esperienza pianificatoria già dello scorso secolo, la

tendenza a determinare le norme di attuazione e integrative del piano regolatore, baipassando

l’originaria regolamentazione edilizia. Si tratta, infatti, delle prescrizioni relative alla “altezza

minima e massima dei fabbricati secondo le zone” individuate dal P.R.G.; i “distacchi dai

fabbricati vicini e dal filo della strada”, nonché attinenti “alle caratteristiche dei vari tipi di

costruzione previsti dal piano regolatore”, alla disciplina della “lottizzazione delle aree

fabbricabili”, “ai caratteri architettonici” e alla ”formazione dei complessi edilizi di carattere

unitario, nei casi in cui ciò sia necessario per dare conveniente attuazione al piano

regolatore”65

(v. infra).

63

Così nei criteri distintivi individuati da SALVIA - TERESI, Diritto urbanistico, cit., 205 ss e recepiti da ASSINI -

MANTINI, Regolamento edilizio comunale, cit., 461 ss; nonché M. BREGANZE, Edilizia, in Dig. (Disc. pubbl.),

cit., 192 ss; ASSINI, Edilizia (disciplina delle costruzioni), in Enc. Giur. Treccani, cit., XI. 64

Sulla nozione di “zonizzazione funzionale” in correlazione alla “zonizzazione architettonica o gestionale”,

anche per rilievi critici: M. MIGLIORANZA, La funzioni delle zone e degli edifici: individuazione e conseguenze,

in Riv. giur. ed., 2005, 6, 245 ss. 65

In relazione a tali parametri valutativi, si può dire, che la scienza delle costruzioni abbia elaborato ormai criteri

sufficientemente omogenei che qui sinteticamente possono essere riportati. A) Altezza delle fronti. È l’altezza di

ogni parte di prospetto in cui può essere scomposto l’edificio, misurata dalla linea di terra alla linea di copertura

computando i corpi arretrati qualora non compresi. La linea di copertura è definita, nel caso di copertura piana,

dall’intersezione del prospetto con il piano corrispondente all’estradosso del solaio di copertura; B) Altezza

massima degli edifici. È la massima tra le altezze delle diverse parti di prospetto in cui può essere scomposto

l’edificio, misurata come in precedenza; D) Distacco tra gli edifici. È la distanza (minima) tra le pareti antistanti

gli edifici o corpi di fabbrica degli stessi; E) Distacco dai confini. È la distanza tra la proiezione verticale della

parete dell’edificio e la linea di confine, misurata dal punto di massima sporgenza; E) Distanza dalle strade. È la

distanza tra la proiezione verticale della parete dell’edificio ed il ciglio della sede stradale, comprensiva di

marciapiede e delle aree pubbliche di parcheggio. Le norme tecniche elaborate negli strumenti urbanistici

mutuano poi dalle discipline ingegneristiche ed architettoniche tutta una serie di altri indici, di carattere

essenzialmente immobiliare, quali il numero dei piani, il piano sottotetto, il piano interrato e/o seminterrato, la

superficie utile abitabile o utilizzabile, la superficie complessiva; gli spazi interni degli edifici con indicazioni

non sempre univoche che danno spesso luogo a difficili interpretazioni applicative.

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31

Tutta questa normativa ha, in fatto ed in diritto, sempre più svilito i contenuti della

disciplina edilizia, sbilanciandola e ponendola progressivamente in una posizione strumentale

ed ancillare alla disciplina urbanistica66

. La riprova di questo processo evolutivo è data dal

fatto che sempre più spesso, nella prassi, molte delle richiamate disposizioni sono state

inserite nelle norme di attuazione del piano regolatore, venendo a svuotare in questo modo la

portata dell’art. 33 della legge n. 1150 del 194267

e, così, svilendo la funzione del

regolamento edilizio in funzione urbanistica68

.

Ad un più attento esame della normativa emergono, tuttavia, altri profili di

problematicità rispetto alla nozione tradizionale di “edilizia”. Il primo inerisce a quelle attività

che sono assoggettate alla disciplina urbanistica generale, ma non si traducono in interventi

edificatori veri e propri, è questo il caso dei controversi mutamenti di destinazione d’uso 69

, in

quanto queste attività sono direttamente inerenti all’”uso del territorio”. Il secondo profilo

inerisce a quei poteri dell’Amministrazione destinati ad incidere sui singoli interventi

edificatori, che traggono, tuttavia, fonte genetica da leggi speciali di settore, quali i poteri

disciplinati dalla normativa sanitaria nazionale o locale in tema di igiene nell’attività

66

Esattamente già ROHERSEN, Edilizia, cit., 312 diceva nel 1965 che “oggi la disciplina del costruire fa parte

integrale della disciplina urbanistica; presenta qualche tratto particolare l’edilizia nelle zone paesistiche e in

quelle sismiche…ma la materia viene trattata sotto le voci Piano regolatore e Urbanistica e Sanità pubblica”. 67

La stessa giurisprudenza mentre in un primo momento aveva sostenuto la natura giuridica differenziata delle

norme di attuazione del P.R.G. da quella dei regolamenti edilizi (cfr. Cass. 8 luglio 1974 n. 2150, in Giust. Civ.

Mass., 1974, 982) successivamente la giurisprudenza amministrativa ne ha riconosciuto la sostanziale

assimilabilità (cfr. già TAR Sardegna 11 febbraio 1976 n. 43, in TAR, 1976, I, 1646 con riserva di dati più

recenti). In dottrina era rimasta isolata l’opinione di chi (A. FAVETTO, Piano regolatore particolareggiato, in

Novissimo Dig.it., Torino, 1966, vol. XIII, 34 ss) aveva contestato che le norme di attuazione potessero, in base

alla loro affinità di natura e di contenuto, essere assimilabili a quelle dei regolamenti edilizi. Per l’affermativa v.

già A. PREDIERI, Profili costituzionali, natura ed effetti dei piani urbanistici nelle opinioni della dottrina e

nelle decisioni giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1961, 260 ss ; da ultimo URBANI - CIVITARESE

MATTEUCCI, Diritto urbanistico, cit., 187 ss. 68

Per la tesi secondo cui i regolamenti edilizi comunali costituiscono strumenti urbanistici, concorrendo ad

adeguare la normativa statale alle caratteristiche specifiche del territorio ed i suoi valori culturali ed ambientali

fino ad imporre vincoli di inedificabilità non derogabili per meglio tutelare i predetti valori v. Cass. 22 giugno

1987, in Riv. pen., 1988, 1012 ss. 69

Sulla delicata questione dei mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere edilizie, e sui relativi contrasti

giurisprudenziali tra Cassazione penale e Consiglio di Stato non può che rinviarsi ad una fitta letteratura, tra i

molti, già M. CICALA, Il mutamento della destinazione d’uso di un vano di fronte alla legge urbanistica, in Giur.

it., 1977, II, 477 ss; F. PAGANO, Obbligo della concessione per i mutamenti di destinazione d’uso degli edifici, in

Riv. giur. ed., 1979, 221 ss; A. CUTRERA, Concessione edilizia e pianificazione urbanistica, cit., 95 ss; A.

GAMBARO - P. SCHLESINGER, Mutamento di destinazione ed obbligo della concessione edilizia, in Riv. giur. ed.,

1977, II, 223 ss; G: TORREGROSSA, Sanzioni urbanistiche e mutamenti della destinazione d’uso nella recente

legislazione, in Riv. giur. ed., 1982, II, 66 ss; S. AMOROSINO, Spunti in tema di disciplina giuridico-urbanistica

delle modificazioni di destinazione d’uso degli immobili, in Riv. amm., 1983, 118 ss per indicazioni dei contrasti

giurisprudenziali v. A. PREDIERI (a cura di), Abusivismo edilizio: condono e nuove sanzioni, Roma, 1985, 339 ss;

per un’ampia rassegna di dottrina e giurisprudenza G. MORBIDELLI, Sulla disciplina urbanistico-edilizia della

destinazione ‘uso degli immobili, in Riv. giur. ed., 1982, II, 1 ss; più recentemente G. GRECO, Uso e destinazione

d’uso, tra precetti conformativi della proprietà e jus utendi, in Riv. giur. urb., 1999, 115 nonché RAGO, Il

mutamento di destinazione di uso degli immobili, Milano, 2000.

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32

edificatoria, nonché in tema di abitabilità o agibilità di locali e di edifici e di insediamento di

lavorazioni insalubri, ovvero sulla prevenzione di calamità o di infortuni (quali ad esempio il

nulla-osta per la prevenzione degli incendi) in relazione alle condizioni di utilizzo di edifici e

locali70

. Anche queste situazioni ineriscono indirettamente agli aspetti dell’uso del territorio

ed hanno contribuito al depotenziamento del regolamento edilizio (v. infra).

4. La regolazione edilizia tra legislazione statale e regionale

Come già si è visto, la disciplina edilizia è stata tradizionalmente considerata quale

espressione della più generale potestà di autonomia normativa comunale (ribadita anche dal

T.U. n. 367/2000)71

. La dottrina ha poi già avuto occasione di evidenziare che l’indicazione

contenutistica del citato art. 33 della legge n. 1150 del 1942 non sia da intendere in termini

tassativi, ben potendo i Comuni inserire nei rispettivi regolamenti disposizioni diverse,

sempre che le stesse non contrastino con altre fonti della disciplina urbanistica ed edilizia

vigente e siano pur sempre destinate ad operare nel settore edilizio72

.

Gli spazi di autonomia determinativa nella disciplina edilizia si sono tuttavia venuti

sempre più assottigliando per effetto di pesanti interferenze normative a livello statale che

hanno finito per condizionare la potestà regolamentare dei Comuni. Un primo significativo

condizionamento è certamente stata la già ricordata introduzione degli standard c.d. speciali

introdotti dall’art. 17 della legge ponte 765 del 1967 diretti ai comuni per “guidare”,

attraverso la disciplina edilizia, le operazioni di pianificazione urbanistica e codificati nel già

citato D.M. n 1444 del 1968. Ulteriori condizionamenti sono poi intervenuti con il D.M. 5

luglio 1975 con il quale sono state stabilite le norme igieniche di particolare interesse edilizio.

In questo processo di progressiva erosione, momenti particolarmente significativi a

dimostrazione del fatto che larga parte della disciplina edilizia è definita da norme statali sono

70

Per le varie fattispecie v. puntualmente A. PUBUSA, Suolo ed abitato (igiene del), in Enc. dir., Milano, 1990,

vol. XLIII, 1444 ss; nonché F. FONDERICO, L’igiene pubblica, in Trattato di Diritto Amministrativo a cura di S.

CASSESE, Diritto amministrativo speciale, Tomo. I, Milano, 2000, 471 ss. 71

Sul punto v. DE CESARE, Note storiche sui regolamenti edilizi, cit., 129 ss; MAZZAROLLI, Regolamento

edilizio, cit., 261 ss; CAPONI - GRACILLI, Il regolamento edilizio comunale: problemi e prospettive, cit., 147 ss;

ASSINI - MANTINI, Il regolamento edilizio comunale, cit.; nonché ASSINI, Pianificazione urbanistica e governo

del territorio, Padova, 2000, 135. 72

In tal senso v. già V. POGGI, Legge urbanistica e legge ponte, Firenze, 1971, 198 quindi ASSINI - MANTINI,

Manuale di diritto urbanistico, 463 ss; MAZZAROLLI, Regolamento edilizio, op. cit.; in giurisprudenza, ancorchè

datata e superata dall’art. 10 della legge-ponte, v. Cass, Sez. III, 28 novembre 1966, in Giust. pen., 1967, II, 643.

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33

certamente rappresentati dalla legge 5 agosto 1978 n. 457 (Norme per l’edilizia residenziale)

e dalla successiva legge 25 marzo 1982 n. 94 (recante ulteriori Norme per l’edilizia

residenziale).

Queste due leggi, come noto, sono venute introducendo, da un lato, norme

direttamente disciplinanti gli aspetti sostanziali e procedurali relativi alle domande di

concessione ed autorizzazione edilizia, dall’altro, codificando definizioni di interventi edilizi

(quali quelli individuati dall’art. 31 della L. 457/1978 relativi alla manutenzione ordinaria e

straordinaria, il restauro ed il risanamento conservativo, la ristrutturazione edilizia e quella

urbanistica) con espressa prevalenza sulle disposizioni degli strumenti urbanistici e dei

regolamenti edilizi73

. Di queste, solo alcune possono essere ritenute norme di principio in

senso proprio (quali quelle sui caratteri sostanziali delle concessioni e delle autorizzazioni

edilizie, nonché i profili “riservati” di natura tributaria contributiva), mentre, per altre, sono

stati sollevati dubbi sia sull’opportunità che sulla legittimità sul piano costituzionale delle loro

statuizioni, per contrasto con l’art. 128 Cost. (oggi nella formulazione del 5° comma del

novellato art. 117 Cost.), in tema di autonomia normativa dei Comunale74

. Non meno rilevanti

le disposizioni dell’art. 43 della citata L. 457/1978, nell’attribuire alle Regioni il compito di

emanare, in base ai criteri e alle procedure indicate dal Comitato per l’edilizia residenziale, le

norme tecniche regionali per la progettazione, l’esecuzione e il collaudo delle costruzioni.

L’indirizzo legislativo non ha tuttavia subito alterazioni nei successivi interventi

normativi, ove il legislatore statale ha invitato le Regioni a svolgere un ruolo più incisivo e

penetrante nella disciplina edilizia comunale. Infatti, con l’art. 25 della legge 28 febbraio

1985 n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni,

recupero e sanatoria delle opere edilizie) si è stabilito che le regioni dovranno “definire

criteri ed indirizzi per garantire l’unificazione ed il coordinamento dei contenuti dei

regolamenti edilizi”.

Va peraltro segnalato che, già prima della legge n. 47/85, parecchie regioni avevano

provveduto autonomamente a disciplinare la materia edilizia, senza peraltro staccarsi

significativamente dalla normativa statale dianzi richiamata, mantenendo, in particolare, la

73

Su queste due normative v. l’ampia esegesi di A. PREDIERI - M.P. CHITI, Casa e urbanistica nella legge 25

marzo 1982 n. 94, Milano, 1982, 30 ss; L. ACQUARONE, L’edilizia residenziale: i rapporti tra la legge 5 agosto

1978 n. 457 e la legge 25 marzo 1982 n. 94, in AA. VV., Innovazioni urbanistiche nell’ultima legge Nicolazzi,

(Atti Convegno Perugia 21-22.V.1982), Roma, 1982, 65 ss. 74

Sul punto cfr. ASSINI - MANTINI, Diritto urbanistico, cit., 474; nonché V. ITALIA, Problemi delle fonti del

diritto e sulla potestà normativa dei comuni in materia di urbanistica e di edilizia, op. e loc. cit.

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34

configurazione del regolamento edilizio come strumento di “disciplina dell’attività edilizia” e

come atto a “contenuto organizzatorio”, confermandone i contenuti tradizionali nel controllo

preventivo dell’attività edilizia (attraverso i provvedimenti abilitativi per i singoli interventi:

concessioni, autorizzazioni, dia ecc.), nella disciplina degli oneri e dei contributi di

concessione e di urbanizzazione, nella repressione amministrativa degli abusi edilizi; nonché

nei poteri previsti dalle legislazioni speciali per particolari tipologie di intervento (si pensi alla

legislazione in tema di edilizia antisismica75

, alla disciplina sull’utilizzo dei cementi armati,

ecc.) tramite esplicite norme tecniche.

Attualmente la regolamentazione edilizia, in quanto fortemente indirizzata ad

occuparsi di settori specifici dell’attività costruttiva, quali le disposizioni in materia di

impianti tecnologici di riscaldamento e impianti energetici ed elettrici, di caratteristiche di

superficie e di aereazione delle unità abitative, si presenta sempre più intrisa di normativa

tecnica dettata da esigenze di standard di sicurezza e idoneità abitativa76

. Tali esigenze hanno

pesantemente condizionato i contenuti della disciplina edilizia da parte dei Comuni onde

assicurare anche i c.d. livelli essenziali delle prestazioni con valenze omogenee su tutto il

territorio nazionale77

.

In relazione agli intenti di “unificazione” sollecitati dal legislatore statale, la dottrina

più attenta ha peraltro giustamente, sollevato nuove perplessità, sia in riferimento alla

restrizione dell’autonomia normativa comunale, sia in relazione alla dubbia opportunità di

unificazione delle fonti regolamentari in materia78

. Sulla base di tale disposizione, va detto

75

Sull’edilizia speciale nelle zone sismiche v. già G. ROEHRSEN, Zona sismica, in Novisimo Dig. It., Torino,

1975, vol. XX, 1141 ss; M. CICALA, Prime note sulla legge 2 febbraio 1974 n. 64, in Riv. giur. ed., 1975, II, 61

ss; M. SPASIANO, Alcune osservazioni in tema di attività edilizia nelle zone soggette a rischio sismico, in Cons.

Stato, 1985, II, 133 ss; S. MILLOTTI, In tema di costruzioni in zone sismiche, in Giur. merito, 1987, 1022 ss. 76

Con conseguenti controlli di carattere tecnico edilizio sull’agibilità dei locali. Sulla rilevanza di tali valutazioni

tecniche ai fini di sicurezza abitativa: già S. ARMANNO, La licenza di abitabilità tra controlli sanitari e controlli

urbanistici, in Il privato e l’espropriazione, a cura di ALPA - BESSONE, Milano, 1981 III, 324 ss; ASSINI -

MARINARI, La licenza di abitabilità e l’ispezione tecnica della costruzione, in Foro amm., 1980, I, 1166: S.

CAMPANA - E. CASTELLANI, Abitabilità e agibilità delle costruzioni nell’ordinamento vigente, Rimini, 1988;

dopo il D.P.R. 22.IV.1994 n. 425: F. GUALANDI, La disciplina del certificato di agibilità: nuove problematiche

alla luce del D.P.R. 22 aprile 1994 n. 425, in Riv. giur. ed., 1995, II, 53 ss; da ultimo A. MASSONE, Agibilità

(certificato di), in Dig. (Disc. pubbl.) Aggiorn., Torino, 2008, I, 7 ss. 77

In tal senso C. BELLOLI, Il regolamento edilizio comunale, Milano, 1998, 19 ss; nonché AMISANO, Commento

art. 4, cit., 208; sui livelli minimi o essenziali su una data prestazione v. M. BELLETTI, I livelli essenziali delle

prestazioni concernenti i diritti civili e sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale. Alla ricerca del

parametro plausibile, in Istituz del fed., 2003, 613 ss; C. PINELLI, Sui livelli essenziali delle prestazioni

concernenti diritti civili e sociali (art. 117, co. 2 lett. m)Cost., in Dir. pubbl., 2002, 881; V. MOLASCHI, “Livelli

essenziali delle prestazioni” e Corte costituzionale: prime osservazioni,(nota a Corte cost. 26 giugno 2002 n.

282), in Foro it., 2003, I, 398. 78

ASSINI, Pianificazione urbanistica e governo del territorio, cit., 137; nonché ASSINI - MANTINI, Diritto

urbanistico, cit., 474..

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35

che alcune regioni hanno già da tempo provveduto all’emanazione di regolamenti edilizi tipo,

cercando di dare contenuti uniformi alla materia edilizia79

. In questo contesto, che vede

l’edilizia sempre più accorpata ed asservita all’urbanistica e con sempre minori spazi di

autoregolamentazione, stretta tra leggi statali e norme regionali, si è venuto a collocare il

successivo e più recente T.U. in materia “edilizia” dei cui contenuto già si fatto riferimento.

Tale indirizzo, anche in coerenza con il principio di leale collaborazione tra livelli di

governo, è stato ripreso con l’introduzione dell’art. 1 sexies del T.U.E. che ha auspicato la

conclusione di accordi, a sensi dell’art. 9 del d. lgs 28 agosto 1997 n. 281, o di intese, a sensi

dell’art. 8 della L. 5 giugno 2003 n. 131, per l’adozione di un Regolamento edilizio-tipo con

finalità di semplificazione ed omogeneità. L’orientamento è stato recentemente ribadito dal d.

l. n. 133 del 2014 (c.d. Sblocca Italia convertito in L. n. 164 del 2014) con l’introduzione di

un Regolamento edilizio unico orientato ad assicurare esigenze di sicurezza e di risparmio

energetico degli edifici (di cui il Regolamento quadro deve indicare i requisiti prestazionali

delle infrastrutture sia pubbliche che private).

5. Il progressivo depotenziamento delle norme regolamentari e la sovrapposizione

delle norme tecniche

Dall’analisi dianzi effettuata emerge che il modello originario, concepito dal

legislatore del 1942, aveva previsto che il regolamento edilizio provvedesse alla disciplina dei

profili tecnico-edilizi, in un’ottica principalmente giuridico-amministrativa, mentre le norme

del piano regolatore, di natura prettamente tecnica, avrebbero dovuto svolgere una funzione

strumentale e servente ai metodi ed agli obiettivi della pianificazione urbanistica.

Va, tuttavia, evidenziato come la crescente rilevanza della normativa statale (e

regionale) hanno comportato un’indubbia regressione dell’ambito oggettivo di valenza dei

regolamenti edilizi in diretta conseguenza degli ultimi interventi normativi con conseguente

depotenziamento del ruolo e dei contenuti dei regolamenti stessi. L’espansione e la

sovrapposizione di normativa di origine statale e regionale ha, nuovamente, generato

79

V. ad es. il d.p.g.r della Regione Marche 14 settembre 1989 n. 23; la L.R. Emilia Romagna 26 aprile 1990 n.

33; Delibera Cons. reg. Piemonte n. 548 del 29 luglio 1999 e più recentemente il Regolamento tipo previsto dalla

L.R. Emilia Romagna 14 marzo 2000 n. 20 e s.m.i e quello previsto dalla L.R. Calabria 16 aprile 2002 n. 19.

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36

problemi di gerarchia delle fonti80

. La giurisprudenza ha, infatti, avuto occasione di

evidenziare che “…le norme di conformità prevalgono sul regolamento edilizio comunale”, in

quanto “alle norme urbanistiche generali del P.R.G. deve attribuirsi valenza di norme

regionali sostanzialmente partecipi della stessa natura del regolamento edilizio”81

, ribadendo,

in tal modo, una sorta di valenza recessiva dei regolamenti edilizi.

In secondo luogo, si è verificata, sempre più spesso, la concorrenza o meglio la

sovrapposizione ai regolamenti edilizi delle norme tecniche di attuazione inserite nei piani.

Nel corso del tempo, infatti, l’importanza e la valenza del regolamento edilizio è stato

fortemente ridimensionata ed i suoi contenuti progressivamente erosi ed assorbiti all’interno

delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, nonostante le esperienze regionali dei

regolamenti edilizi tipo a cui si è accennato.

Queste ultime, pur contenendo, come si è detto, obiettivi di valenza urbanistica hanno

introdotto parametri “tecnici” connessi alle previsioni del piano, ed hanno, di fatto, svuotato il

regolamento edilizio di gran parte del suo contenuto archetipo. Sebbene la giurisprudenza

tenda ad equiparare regolamento edilizio e norme tecniche di attuazione (N.T.A.),

considerandole entrambe norme regolamentari di pari grado82

, va precisato che, mentre il

regolamento conserva l’originario taglio giuridico-amministrativo, le seconde sono chiamate a

svolgere una funzione più schiettamente strumentale esecutiva rispetto ai contenuti del piano,

avendo appunto una vocazione prevalentemente tecnica83

(v. infra).

Com’è stato esattamente avvertito la differenza teorica tra regolamento edilizio e

norme tecniche di attuazione ha perso di significato e si è assistito, con intensità crescente, al

fenomeno dell’espansione delle seconde a discapito del primo84

. Attualmente, in concreto,

sono proprio le norme di attuazione del piano che regolano e dettano direttamente le

80

Tale sovrapposizione era già stata acutamente percepita da attenta dottrina (MAZZAROLLI, Regolamento

edilizio, cit., 266), che alludeva alla necessità di una integrazione tra le norme di piano da una parte e le

indicazioni di piano o di programma relative alla zonizzazione dall’altra parte. 81

Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1333 del 2012; in dottrina v. C. BELLOLI, Il regolamento edilizio comunale, cit.,

20 ss; MENGOLI, Manuale di dir. urb., cit., 686. 82

Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 febbraio 1994 n. 104, in Foro amm., 1994, 433; Id., Sez. IV, 12 luglio 2002 n.

3929, in Riv. giur. ed., 2002, 503. Va tuttavia avvertito che tale pretesa equipollenza è, invece, smentita dal fatto

che mentre le norme di attuazione del piano regolatore sono soggette alle osservazioni da parte dei soggetti

privati, quelle del Regolamento edilizio non lo sono. 83

V. in tal senso esattamente P. AMISANO, Commento art. 4, in R. FERRARA - G. F. FERRARI, Commentario

breve alle leggi in materia di urbanistica ed edilizia, Padova, 2015, 208. 84

Così esattamente T. BONETTI, Dal regolamento edilizio al regolamento urbanistico ed edilizio, in Riv. giur.

urb., 2006, 75 ss; ID., La disciplina dell’attività edilizia, in Diritto del governo del territorio, a cura di M. A.

CABIDDU, Torino, 2010, 359 ss.

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37

prescrizioni concernenti sia i parametri urbanistici che le definizioni edilizie, quali le distanze,

le altezze, gli indici volumetrici (v. infra).

Tale integrazione ha, peraltro, ricevuto un sostanziale avallo da parte della

giurisprudenza, la quale tende ormai a qualificare negli stessi termini norme di attuazione del

piano e disposizioni del regolamento edilizio e, dunque, a considerarle unitariamente: le

norme tecniche di attuazione, infatti, sono considerate vere e proprie norme regolamentari e,

pertanto, vengono assoggettate al medesimo regime giuridico85

.

Tale processo evolutivo sui contenuti recessivi della disciplina edilizia è stata anche

recentemente avvertito dalla giurisprudenza amministrativa che non ha potuto non prendere

atto di un proporzionale ampliamento della potestà pianificatoria generale, valorizzata

soprattutto tramite le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori, a scapito dei

regolamenti edilizi86

.

Del resto questa linea di tendenza sembra emergere nelle intenzioni dello stesso

legislatore del T.U.E. tramite la differenziazione contenutistica. Il Regolamento edilizio è

chiamato ad occuparsi, in senso stretto, degli aspetti tecnico edilizi e non dei parametri

costruttivi oggetto delle norme di attuazione del piano regolatore volte a dettare le prescrizioni

concernenti direttamente i parametri e le definizioni edilizie (quali distanze, altezze, indici

ecc. su cui v. infra). In altri termini, il Regolamento edilizio sarebbe finalizzato a dettare mere

prescrizioni a fini igienico-sanitari, di pubblica utilità, di decoro ed estetica dei fabbricati.

6. Rilevanza e contenuti della normativa tecnica nella disciplina edilizia

Se si considera che nel linguaggio comune il termine “norma”, anche nel suo

significato etimologico (dal latino norma ), è riconducibile ad uno strumento adoperato per

tracciare misure o rapporti di linee e di angoli, è facile comprendere come, in senso traslato, la

85

Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 febbraio 1994 n. 104 citata. Nella quale si afferma che “ i regolamenti edilizi,

sono subordinati, al pari delle prescrizioni generali ed astratte dei piani regolatori generali e delle relative norme

tecniche, solamente alle norme di rango primario in esecuzione delle quali sono stati emanati”. 86

Tra le molte Cons. Stato, Sez. IV, n. 2427 del 2013 e n. 3606 del 2013; in dottrina ci si è spinta ad affermare

che il regolamento edilizio appare sempre più uno strumento sostanzialmente “tollerato” nell’attuale panorama

degli istituti del diritto del governo del territorio (così emblematicamente BONETTI, La disciplina dell’attività

edilizia, cit., 358).

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38

norma giuridica comporti una regola di condotta che ha funzione di disciplinare l’attività

pratica dell’uomo imponendo doveri di comportamento con varietà di significati87

.

Costituisce conseguentemente un dato acquisito che norma o regola di condotta è pure

la c.d. “norma tecnica”, traduzione della corrispondente legge naturale in termini prescrittivi.

Il progresso delle scienze e delle tecnologie e l’estensione del campo di azione del diritto

pubblico e, segnatamente del diritto amministrativo, hanno, da tempo, riconosciuto che il

legislatore non possa essere “competente su tutto e onnisciente”. L’affermarsi di un pubblico

interesse, sotto vari profili sia di carattere igienico-sanitario, sia di carattere ambientale, sia di

carattere fisico-biologico-naturalistico-geologico, hanno progressivamente sempre più reso

indispensabili scelte e valutazioni di natura tecnico-scientifica e comunque specialistica, onde

poter assumere idonee norme prescrittive di natura e valenza giuridica. Tale circostanza

deriva direttamente dalla natura stessa della normativa tecnica, la quale non può che

discendere direttamente dalle cognizioni proprie di una scienza specialistica, diversa e distinta

da quella propriamente giuridica, come anche riconosciuto dalla citata dottrina e

giurisprudenza (v. supra sub. 1).

La materia, o meglio il settore dell’edilizia, costituisce un esempio assai significativo

dell’evidenziata esigenza di fare ricorso a specifici saperi derivanti da corpi o organismi

tecnici per meglio definire regole e norme di comportamento adeguate. E’ stato

opportunamente rilevato che “il costruire a regola d’arte”, per secoli, nel settore delle

costruzioni, ha rappresentato l’insieme delle norme tecniche non scritte che disciplinano il

modo di edificare88

.

A seguito delle innovazioni delle tecniche esecutive e della conseguente perdita di

specificità professionale delle maestranze, è sorta la necessità, allo scopo di tutelare l’utenza e

la committenza della produzione e della sicurezza del bene edilizio, di elaborare norme

87

Sulla genesi della norma giuridica da fatti in funzione di disciplina dei comportamenti la dottrina è, da tempo,

assolutamente pacifica. Tra i molti: già C. ESPOSITO, Norma giuridica, in Nuovo Dig. It., 1937, VII; A. DE

VALLES, La norma giuridica, in Scritti per la CEDAM, Padova, 1952, II; N. BOBBIO, Teoria della norma

giuridica, Torino, 1958, 20 ss; V. CRISAFULLI, Atto normativo, in Enc. dir., Milano, 1960, IV, 251 ss; ID.,

Disposizioni e norme, ivi, 1964; F. MODUGNO, Norma giuridica( Teoria generale),in Enc. dir., Milano, 1978,

XVIII, 328 ss; A. CATAGNA, Decisione e norma, Napoli, 1979, 30 s; da ultimo G. U. RESCIGNO, Norma

giuridica (Dir. cost.), in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, X, 19 ss. 88

Fin dall’ottocento sono state pubblicati studi, di contenuto normativo, per disciplinare gli interventi edilizi e

costruttivi, sarà sufficiente citare la prima edizione italiana della nota opera del francese FREMY LIGNEVILLE,

Codice degli architetti e dei costruttori, Napoli, 1838 che già conteneva numerose statuizioni di carattere

tecnico. Anche recentemente la Commissione edilizia dell’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) in una

propria disposizione (UNI 7867) ha definito il processo edilizio come “sequenza di fasi operative che portano dal

rilevamento di esigenze al soddisfacimento in termini di produzione edilizia tramite regole tecniche”.

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39

tecniche scritte89

. Tali norme trovano la loro genesi in diverse fonti: a) fonti di rango primario

in legge e decreti ministeriali (come già dianzi evidenziato); b) fonti di rango secondario

contenute nei vari strumenti urbanistici che hanno diffusamente individuato sia parametri

urbanistici che edilizi.

Circa il valore giuridico delle norme tecniche, nel sistema delle fonti giuridiche, il

Consiglio di Stato fin dal 1975 ha avuto modo di precisare che le norme stabilite con decreti

ministeriali prevalgono comunque sulle norme prodotte dai corpi tecnici ove vi sia contrasto.

Del resto, proprio la diversità di natura e di origine della normativa tecnica configurano tali

norme come strumentali ed accessorie, ad integrazione della disciplina generale per soddisfare

esigenze e situazioni specifiche (v. infra).

Il quadro complessivo della normativa a valenza tecnica nel “governo del territorio”,

presente, in termini oggi consolidati, negli strumenti urbanistici comunali, è assai vasta e

comprende sia parametri urbanistici che parametri edilizi.

Parametri urbanistici di utilizzazione del suolo.

Lo scopo principale di una normativa edilizia ed urbanistica è quello di regolare

densità di edificazione in una determinata zona, essenzialmente per due ordini di motivi:

quello architettonico, a cui corrisponde la necessità di controllare l’omogeneità delle

dimensioni delle singole costruzioni per una determinata zona, stabilendo parametri di vario

genere, e quello urbanistico al fine di controllare il c.d. “carico urbanistico”, onde offrire

all’insediamento che si intende creare attraverso le nuove costruzioni, un’adeguata risposta in

termini di aree e servizi pubblici. Si definiscono comunemente “parametri urbanistici” tutti

quelle norme (appunto tecniche) finalizzate a misurare il c.d. “carico urbanistico” sulle

diverse aree di piano, ossia gli abitanti e le attività terziarie, insediate e/o insediabili, che

determinano i relativi fabbisogni di opere di urbanizzazione e di servizi pubblici90

.

89

In tal senso già N. ASSINI - M. DI SIVO, Edilizia residenziale. Leggi e “norme tecniche”, Firenze, 1988, X.

Sulla normativa tecnica in materia edilizia prima del nuovo T.U.E. v. utilmente P. DELL’ANNO, Normativa

tecnica, in P. FALCONE - E. MELE, Urbanistica e appalti nella giurisprudenza,Torino, 2000, 635 ss. Onde

assicurare tale complesso di discipline si è venuta, da tempo, affermando la c.d. scienza delle costruzioni al cui

interno sono diffusamente presenti regole di esperienza tecnica, su cui per alcuni riferimenti datati: C. GUIDI,

Lezioni sulla scienza delle costruzioni, Torino, 1919; N. GRECO, Lezioni di scienza delle costruzioni, Palermo,

1921; MULLER - BRESLAU, La scienza delle costruzioni, Milano, 1927; più recentemente L. GAMBAROTTA - L.

NUNZIANTE, Scienza delle costruzioni, Milano, 2011; A. CARPINTERI, Scienza delle costruzioni, Torino, 2012. 90

Come noto il concetto di “carico urbanistico” è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come

domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero degli abitanti insediati su un determinato

territorio. Cfr. per tutti: MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, cit., 51. La giurisprudenza ha evidenziato che

“…la nozione di “carico urbanistico” deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un

elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario (opere pubbliche in genere, uffici

pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve

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40

L’indice di utilizzazione edilizia è stato, originariamente determinato con sostanziale

riferimento all’edilizia residenziale e pertanto al volume edificato91

. Questo criterio è stato

affinato con il prevalere dell’elemento del carico urbanistico e di ciò che lo produce, ossia la

superficie netta di calpestio, da cui discende, il numero degli abitanti insediabili,

indipendentemente dall’altezza interna o esterna degli edifici92

. Le densità d’uso del suolo

debbono essere regolate con valori massimi da non superare (c.d. valori standard); tuttavia, al

fine di un più razionale utilizzo delle previsioni insediative i piani sono chiamati a stabilire

anche delle soglie minime.

I parametri urbanistici sono essenzialmente quelli che consentono di stabilire

l’edificabilità di ciascuna area di piano, espressa in termini di superficie lorda di pavimento

e/o di volume, nonché di superficie coperta93

.

essere proporzionato all’insediamento primario, ossia al numero di abitanti insediati ed alle caratteristiche

dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento

primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero di persone insediate su un

determinato territorio”: Cass. Pen. Sez. III, 12 marzo 2013 n. 11544, in www.dirittoambiente.net. 91

Poiché l’altezza dei piani, al lordo dello spessore dei solai, è normalmente di tre metri, ne risultava, oltre che la

definizione delle dimensioni esterne, anche la definizione del numero dei piani e della superficie utile dei

fabbricati e quindi la definizione del numero di abitanti insediabili. Sul punto MENGOLI, Manuale di dir. urb.,

cit., 174. 92

Il riferimento è tanto più vero nel caso di insediamenti produttivi e commerciali, nei quali i volumi interni od

esterni sono variabili in dipendenza delle altezze interne richieste dalle esigenze di lavorazione, comunque

sempre maggiori di quelle usualmente risultanti negli edifici residenziali, atteso che gli edifici produttivi o

commerciali vengono realizzati usualmente con un solo piano di calpestio, anche di altezza interna talora

consistente. 93

Gli indici e i parametri urbanistici, quali norme tecniche, sono stati introdotti per la determinazione del

contributo di concessione (per il parametro della superficie dagli artt. 2 e segg. Del D.M. dei lavori pubblici del

10 maggio 1977 seppure ai soli fini della determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici) ma hanno

avuto diffusa applicazione in tutti gli strumenti urbanistici. In forza di tale diffusione sono ormai comunemente

condivisi: A) Superficie territoriale (ST) è data dalla somma delle superfici fondiarie e delle superfici delle aree

destinate dallo strumento urbanistico alla viabilità, pedonale e veicolare ed ad impianti e servizi pubblici. B)

Superficie fondiaria (SF). E’ la superficie di pertinenza delle costruzioni, misurata al netto, delle aree destinate

dallo strumento urbanistico alla viabilità, pedonale e veicolare e di quelle destinate a impianti e servizi pubblici;

C) Superficie utile lorda (SUL). E’ la somma delle superfici lorde di ciascun piano dell’edificio, compreso entro

il perimetro esterno delle murature, includendo bow window, scale e ballatoi di accesso, vani ascensori, cavedi

per impianti tecnici, nonché il sottotetto qualora abitabile; D) Indice di utilizzazione fondiaria (UF). Esprime la

superficie utile lorda edificabile per ogni mq di superficie fondiaria (mc/mq). E’ il rapporto tra la superficie utile

lorda (SUL) e la superficie fondiaria (SF); E) Indice di densità territoriale (IT). Esprime il volume edificabile

per ogni mq. di superficie territoriale (mc/mq); F) Indice di densità edilizia fondiaria (IF). Esprime il volume

edificabile per ogni mq. di superficie fondiaria (mc/mq). E’ il rapporto tra il volume (V) e la superficie fondiaria

(SF). Il volume complessivamente edificabile sulle superfici fondiarie non può comunque essere superiore a

quello che si ottiene applicando l’indice IT alla ST; G) Indice o rapporto di copertura (RC). E’ dato dal rapporto

tra la superficie coperta (SC) e la superficie fondiaria (SF) (mq/mq); I) Superficie coperta (SC). E’ la proiezione

orizzontale delle superfici lorde fuori terra; H) Superficie complessiva (SC) è costituita dalla somma della

superficie utile calpestabile (SC) e dal totale delle superfici non residenziali (SU) destinate a servizi e accessori

(SNR), misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, vani, porte; I) Superficie non residenziale (SNR),

riguarda cantine, soffitte, locali ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni, centrali termiche ed altri locali a

stretto servizio delle residenze, nonché autorimesse singole e collettive, androni di ingresso e porticati liberi,

logge e balconi (sono i c.d. volumi tecnici non computabili ai fini della volumetria consentita).

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41

Parametri edilizi.

L’importanza dei parametri edilizi, strettamente connessa con l’individuazione dei

parametri urbanistici, è data dalla diffusa e capillare presenza in tutti gli strumenti urbanistici

nei quali l’insediamento delle varie attività antropiche negli spazi di pertinenza deve

rispondere a due fondamentali verifiche: a quale destinazione d’uso siano riservati gli spazi e

quale densità venga consentita degli usi ammessi. Verificata e statuita la compatibilità con le

destinazioni d’uso ammesse, l’insediamento di un’attività deve quindi rispondere agli indici

ed ai parametri che regolano la densità d’uso. E’ appena il caso di evidenziare che occorre

conoscere, in modo adeguato, la natura e le definizioni degli indici e dei parametri, onde

poterne controllare l’applicazione e la valenza giuridica contenuta nelle norme di attuazione

degli strumenti urbanistici.

La densità d’uso può essere regolata con diversi tipi di indici, spesso tra loro

concorrenti, che possono individuare valori massimi da non superare ovvero soglie minime da

superare; negli strumenti urbanistici è, infatti, possibile individuare una grande varietà di tali

indici con diverse possibili combinazioni.

La disciplina dei parametri edilizi (già prevista come si è visto nell’abrogato art. 33

della L. 1150/1942), oggi comunque legittimata nell’ampia previsione del citato art. 4 del

T.U.E., deve prevedere la fissazione degli indici attraverso i quali viene regolata la densità

d’uso delle aree e comprende l’altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le

zone; gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale; l’ampiezza e la

formazione dei cortili e degli spazi interni, nonché le caratteristiche tipologiche dei vari tipi di

edifici previsti dal piano.

Evidentemente l’altezza e le distanze (i distacchi) risultano essere indici primari e il

volume massimo, proprio in quanto non indicato, viene, in genere, determinato dalla

combinazione dell’altezza e delle distanze, unitamente alle norme delle dimensioni dei cortili.

94 L’importanza di tali indici, come noto, aveva già trovato una disciplina apposita nell’art. 41

quinquies della L. n. 1150/1942 (relativa ai limiti inderogabili di distanza tra fabbricati) e

94

Tali indicizzazioni hanno avuto una precisa origine e funzione nell’ambito della concezione del tessuto

urbano, proprio della città italiana di fine ottocento e primi novecento, con i lotti completamente edificabili, con

la quasi completa prevalenza della corte chiusa, con la sostanziale coincidenza tra superficie coperta e sagoma

massima di ingombro. Su tale situazione v. ampiamente: M. ROMANO, L’urbanistica in Italia nel periodo dello

sviluppo, 1942-1980, Padova, 1980; G. SAMONÀ, L’urbanistica e l’avvenire delle città negli stati europei, Bari,

1967; V. CAMPOS VENUTI, Amministrare l’urbanistica, Torino, 1967; nonché tra gli urbanisti GIEDION, Spazio,

tempo, architettura, Milano, 1967.

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42

successivamente fissata quali standard dagli artt. 8 e 9 del citato D.M. 2 aprile 1968 n.

144495

.

Nei modelli di pianificazione territoriale più recente, con la rinnovata crescente

influenza delle scuole anglosassone e scandinava, in relazione alla concezione di un lotto

fabbricabile nel quale la superficie coperta massima è minore della sagoma dell’ingombro,

sempre maggiore rilevanza è venuto assumendo l’indice di fabbricabilità strettamente

collegato con il concetto di volume massimo edificabile96

. Si sono venuti così definendo, per

la necessità di regolare le densità edilizie sotto vari aspetti, alcuni parametri fondamentali,

ripresi dalle varie normative in materia, dalle leggi regionali e ancor più dagli strumenti

urbanistici comunali. Si tratta, come noto, dell’indice di fabbricabilità territoriale e

dell’indice di fabbricabilità fondiaria (già introdotti dal citato D.M. n. 1444 del 1968).

L’indice di fabbricabilità territoriale (IT) esprime la densità della zona, espressa in

metri cubi per metro quadro di superficie del terreno, o eventualmente in metri quadrati di

superficie edificabile o edificata per metro quadrato di terreno, al lordo degli spazi non

edificabili in quanto destinati ad usi pubblici, al fine di controllare la densità complessiva

degli abitanti insediati o insediabili, entro un determinato perimetro e quindi di poter

prevedere le infrastrutture e gli spazi pubblici necessari. In altri termini, tale indice è il

rapporto tra il volume (V) massimo realizzabile in una determinata zona e la superficie

territoriale (ST) della zona stessa. Tale indice non va confuso con l’indice di utilizzazione

territoriale (UT) che è il rapporto tra la superficie lorda (SUL) massima realizzabile in una

determinata zona e la superficie territoriale (ST) della zona stessa.

L’indice di fabbricabilità fondiaria (IF) è, invece, concetto che riflette finalità più

specificamente di tipo architettonico, in quanto mira a disciplinare la densità di edificazione,

quindi le dimensioni esterne dei fabbricati, nelle sole aree edificabili, senza tenere conto delle

aree destinate a servizi e fini pubblici. In sostanza, è il rapporto tra il volume (V) e la

95

Sulla rilevanza di tali indici: già M. ANNUNZIATA, Sui limiti di rilevanza del d.m. sugli standard

urbanistici.(nota a Cass. Sez. Un. 1 luglio 1997 n. 5889), in Giust. Civ., 1997, I, 2077; M. CERESOLA, Brevi

osservazioni in materia di distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, in Riv. giur. ed., 2002, I,

907; E. BATTELLI, Distanze legali: il regolamento edilizio prevale sulla prevenzione (nota a Cass. Sez. II, 30

dicembre 2004 n. 24178) in Immobili e dir., 2006, 5, 99; C. CALVI, La disciplina delle distanze nelle costruzioni,

tra l’art. 873 c.c. e i regolamenti locali, in Arch. civ., 2004, 755. 96

Anche per la giurisprudenza per indice di fabbricabilità si intende il rapporto (mc/mq) tra il volume

realizzabile e l’area da edificare (indicando quindi il volume massimo consentito in relazione all’effettiva

superficie suscettibile di edificazione), mentre per indice di copertura si intende il rapporto tra la superficie

copribile e la superficie del lotto e cioè la proiezione sul terreno della superficie lorda del piano di maggiore

estensione. TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 9 febbraio 2005 n. 189, in Foro amm. TAR, 2005, 2, 546.

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superficie fondiaria (SF) da non confondere con l’indice di utilizzazione fondiaria (UF) che è,

invece, il rapporto tra la superficie utile lorda (SUL) e la superficie fondiaria (SF).

E’ appena il caso di evidenziare come tali indici siano venuti assumendo particolare

rilevanza, quali parametri planovolumetrici, da computarsi per il rilascio dei c.d. titoli edilizi

(segnatamente il permesso di costruire)97

, infatti, i valori degli indici territoriali e fondiari,

volumetrici e planimetrici, espressi in mc/mq, sono di norma, contenuti negli strumenti

urbanistici generali e, segnatamente, come si è detto, nelle norme tecniche d’attuazione,

ovvero nelle norme urbanistico-edilizie, ove previste dalla legislazione regionale, oltre che

nelle norme esecutive dei piani attuativi particolareggiati ove previsti dalla normativa locale.

I valori parametrici unitari per ciascuna zona e/o sottozona di piano da rispettare, come

si è visto, vanno combinati con quelli relativi alle altezze, ai distacchi fra fabbricati e alle

distanze da osservare dai confini privati e dagli spazi pubblici, con conseguenti vincoli per

l’organizzazione della struttura planovolumetrica con conseguenze progettuali ed attuative

oltremodo diverse.

La valutazione e verifica degli indici di natura territoriale è rimessa alla valutazione

discrezionale del Comune, in sede di pianificazione generale ed attuativa, con computo per le

diverse zone interessate, e comunque tramite l’aggiornamento permanente e progressivo dei

valori di utilizzazione complessiva consentita in relazione alle varie motivate esigenze

territoriali.

Deroghe al computo delle volumetrie sono consentite solo per i c.d. volumi tecnici in

quanto ritenuti non generatori di “carico urbanistico” e la loro realizzazione è generalmente

favorita a fine di migliorare la funzionalità e salubrità delle costruzioni, essendo essi relativi

alla realizzazione di nuovi volumi o superfici dedicati ad impianti di vario genere come quelli

di riscaldamento ed ascensore98

.

97

Per la verifica dei presupposti plani volumetrici in sede di rilascio del permesso di costruire: da ultimi R. DE

NICTOLIS - V. POLI, I titoli edilizi nel T.U. e nella legge obiettivo, Milano, 2003, 40 ss; P. STELLA RICHTER, I

titoli abilitativi in edilizia- Collana: Il diritto attuale, Torino, 2003, 180; sui relativi computi: M. ARNOBALDI,

Gli adempimenti del progetto edilizio, in B. Nigro (a cura di), Formulario dell’edilizia, Milano, Il Sole 24 Ore,

2001. 98

In realtà la nozione di volume tecnico non è univoca in quanto le indicazioni presenti nelle norme dei

regolamenti edilizi non risultano precise e univocamente interpretabili nella definizione degli stessi. Secondo

parte della giurisprudenza s’intende per volume tecnico, come introdotto dall’art. 9 lett. e) della L. n. 10/1977

(non abrogato dall’art. 136 del T.U.E.) quello destinato ad ospitare impianti aventi un rapporto di strumentalità

per l’utilizzazione dell’immobile (impianti idrici, termici, per ascensori) e non anche quello destinato o adattabile

ad uso abitativo, svolgente funzioni complementari all’abitazione (quali locali di sgombero, soffitti, stenditoi,

ecc.) (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31 gennaio 2006 n. 354, in Foro amm. CDS, 2006, I, 189; TAR Campania,

Napoli, Sez. II, 3 febbraio 2006 n. 1506, in Foro amm. TAR., 2006, 2, 674; Id., Napoli, Sez. IV, 22 gennaio 2007

n. 570 con espresso riferimento al carico urbanistico).

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44

Com’è dato di constatare il quadro complessivo della normativa tecnica relativa ai

parametri, sia urbanistici che edilizi, si è venuto progressivamente arricchendo e

puntualizzando con diffusa applicazione all’interno degli strumenti urbanistici in relazione

alle diverse esigenze territoriali locali quale espressione del potere discrezionale nelle scelte

pianificatorie anche in relazione ai modelli economico-matematici99

.

7. La normativa tecnica relativa alla stabilità e sicurezza degli edifici

Il T.U.E ha inteso affidare ad una specifica parte II la disciplina della “Normativa

tecnica per l’edilizia” al fine di assicurare la stabilità e la sicurezza degli edifici. L’art. 52,

recante “Disposizioni di carattere generale” svolge un ruolo di primo piano nella complessa

organizzazione della regolazione dell’attività edilizia, in quanto pone precetti di carattere

generale, ma rappresenta anche la base giuridica per un’ulteriore attività regolatoria di

dettaglio ed individua nel regolamento ministeriale lo strumento idoneo a porla in essere.

Com’è stato esattamente avvertito, tale disposizione si pone quale punto fondamentale di

snodo della formazione tecnica, sia in quanto dettata dal T.U.E., sia in quanto legata

all’evolversi delle conoscenze dell’ingegneria edile e, di conseguenza, allo sviluppo delle

soluzioni pratiche più idonee in materia di costruzioni 100

. La formazione e la dizione

“Normativa tecnica” non si sostanzia, infatti, nella creazione di regole in grado di assicurare

la perfezione dei manufatti architettonici, quanto piuttosto nella scelta dello standard

tecnologico considerato più adeguato alle costruzioni edilizie in un determinato contesto.

Qui sta proprio il nesso ed il delicato equilibrio connessivo tra norme regolamentari e

norme tecniche. L’opera di regolazione introdotta dal T.U.E. si caratterizza per un duplice

concorso: quello di decisore tecnico che, sulla base dei dettami di una certa scienza

99

Per questi profili delle scelte pianificatorie v. già SILVA, Elementi di economia urbanistica, Milano, 1964;

ROTHEMBERG, Valutazione economica del rinnovo urbano, Milano, 1975; F. FORTE (a cura di), Progettazione

urbanistica attraverso l’analisi di soglia, Milano, 1980; EVANS, Economia urbana, Bologna, 1988; nonché B.

SECCHI (a cura di), Analisi delle strutture territoriali, Milano, 1965; C. LEER, I modelli di pianificazione,

Padova, 1967. La giurisprudenza ha, da tempo, evidenziato le ragioni dell’autonomia comunale che presiedono

all’emanazione del regolamento, con autonomo potere discrezionale in materia di scelte urbanistiche, con

valutazione, secondo parametri e criteri propri, della realtà sociale del territorio, al fine di un migliore assetto

sotto il profilo della utilizzazione edilizia nonché al fine di migliorare la qualità della vita delle future

generazioni: già Cons. Stato, Sez. IV, 10 febbraio 1998 n. 223, in Urb. e app., 1998, 667; sul potere

discrezionale della pianificazione non limitata ai soli contenuti essenziali ma alla considerazione di differenti

valori tra le molte Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2005 n. 1782, in Foro amm. CDS, 2005, 4, 1137. 100

Puntualmente E. MOSTACCI, Commento art. 52, in FERRARA - FERRARI, Commentario breve alle leggi in

materia di urbanistica ed edilizia, cit., spec. 414.

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45

specialistica, pone in via generale le regole di comportamento relative all’arte edilizia,

necessarie a garantire stabilità e sicurezza. In queste disposizioni, non sussistono spazi di

apprezzamento discrezionale, dovendosi utilizzare criteri oggettivi e congrui derivanti dalle

scienze ingegneristiche (v. peraltro infra). Accanto a tali norme, vi è il concorso del

legislatore, chiamato a stabilire, alla luce dell’interesse pubblico perseguito, quali siano, tra le

possibilità delineate in sede scientifico-tecnologica, gli standard minimi ed uniformi cui i

costruttori debbono uniformarsi nel loro agire.

All’interno del Capo I sono, peraltro, riprese e riunite due diverse normative

precedenti: la legge 5 novembre 1971 n. 1086, recante “Norme per la disciplina delle opere in

conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica” e la legge

2 febbraio 1974 n. 64 in tema di “provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni

per le zone sismiche”101

.

Per la formazione di questa particolare tipologia di norme tecniche, volte a tutelare la

sicurezza degli edifici da eventi sismici, è richiesto il procedimento di concerto del Ministero

dell’interno, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del CNR, nonché quello

della Conferenza unificata (art. 83) per gli effetti territoriali che tali norme rivestono

nell’individuazione delle zone sismiche102

.

L’indicazione precettiva dell’applicabilità delle norme, sia nel caso di opere pubbliche,

sia nel caso di costruzioni private, a prescindere dalla posizione giuridica del soggetto

pubblico o privato del committente, è da ricondursi all’esigenza di assicurare un’idonea tutela

101

Va solo evidenziato che la L. n. 64/1974, pur relativa alla costruzione in zone sismiche, ha assunto in pratica

portata generale, stabilendo l’obbligo di realizzare tutte le costruzioni, pubbliche o private, con l’osservanza

delle regole tecniche concernenti i diversi elementi costruttivi. Su tale normativa oltre agli autori già citati: S.

CAMPANA, L’edilizia nelle zone sismiche, Rimini, 1989, 23 ss; N. CERANA, Terremoto, in Enc. dir., Milano,

1992, XLIV, 21 ss; G. CRESPELLANI, Difesa dai terremoti e normative tecniche: un’eredità difficile, in Dem e

dir., 2005, 115 ss; da ultimo A. CROSETTI, La normativa antisismica quale strumento preventivo dell’incolumità

pubblica, in Riv. giur. ed., 2011, 6, 261 ss 102

Le norme tecniche per questa particolare tipologia di costruzioni, variano in relazione al grado di sismicità,

riguardano molteplici aspetti delle costruzioni: l’altezza massima degli edifici in relazione al sistema costruttivo,

al tasso di sismicità della zona, e alla larghezza delle strade, le distanze minime consentite tra edifici; le azioni

sismiche orizzontali e verticali da tenere in conto nel dimensionamento degli edifici; il dimensionamento e la

verifica delle diverse parti delle costruzioni; e infine le tipologie costruttive per le fondazioni e le parti in

elevazione. Sulle norme tecniche in materia di distanze e altezze nelle zone sismiche v. già D. GENTILE, Distanze

e altezze delle costruzioni nelle località sismiche, in Foro it., 1959, IV, 177 s; G. MANFREDI, Distanze da

osservarsi nelle zone sismiche per le nuove costruzioni nei centri urbani, in Nuova rass., 1969, 446 ss.

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46

a tutta una serie di interessi collettivi, quali incolumità, sicurezza, ambiente, salute, con un

elevato livello di protezione103

.

L’art. 52 del T.U.E., come accennato, non provvede direttamente a porre il quadro

regolatorio in materia edilizia ma affida tale potere normativo al Ministro per le Infrastrutture

e i Trasporti da esercitare con proprio decreto. La ratio della scelta, com’è stato

evidenziato104

, è duplice e trova giustificazione proprio nei rapporti tra normativa

regolamentare e normativa tecnica. Anzitutto l’esigenza di garantire, tramite l’utilizzo di uno

strumento di marcata flessibilità, il continuo adeguamento delle norme concretamente dettate

alle risultanze del progresso delle scienze in materia edilizia105

. In secondo luogo, la scelta

adottata dal T.U.E. permette di avere un processo decisionale volto a meglio coniugare il

rapporto tra decisione politica e valutazione tecnica106

.

Diversi sono i soggetti istituzionali, previsti dall’art. 52, per l’elaborazione e la stesura

delle norme tecniche. Innanzitutto, il Ministero per le Infrastrutture e i trasporti, al quale

compete legittimazione ad emanare i decreti che fissano le norme tecniche107

.

Nell’elaborazione del decreto deve obbligatoriamente essere sentito il Consiglio superiore dei

lavori pubblici108

, il quale è chiamato a definire le norme concernenti i vari elementi

costruttivi, anche se non è chiaro se si tratti di consulenza tecnica o di un parere, né la norma

103

P. ANDREINI, La normativa tecnica tra sfera pubblica e sfera privata, in AA. VV.,La normativa tecnica

industriale, Bologna, 1995, 55; sulle finalità di incolumità e sicurezza CROSETTI, La normativa antisismica, cit.,

269. 104

MOSTACCI, Commento art. 52, cit., 415; nonché S. GRASSI, Commento art. 52, in Commentario al Testo

unico dell’edilizia, (a cura di R. FERRARA - G. F. FERRARI), Padova, 2005, 576. 105

In tal senso anche GARRI - CAZZUOLA, Norme tecniche per l’edilizia, cit., 521 ss 106

In relazione ai frequenti rapporti tra scelte politiche e scelte tecniche nei processi decisionali delle pubbliche

amministrazioni, tra i molti: già E. CANNADA BARTOLI, Decisione amministrativa, in Noviss. Dig. It., Torino,

1960, V, 268 ss; M. NIGRO, Decisione amministrativa, in Enc. dir., Milano, 1962, XI, 810 ss; nonché G.

GUARINO, Atti e poteri amministrativi, in Dizionario amministrativo (a cura di G. Guarino), Milano, 1968; M.

BOMBARDELLI, Decisione e pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale dell’interesse

pubblico,Torino, 1996; segnatamente E. CASETTA, Attività amministrativa, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, I, 521

ss; F. G. SCOCA, Attività amministrativa, in Enc. dir. Aggiorn., Milano, 2002, VI, 90 ss; P. FORTE, Il principio di

distinzione tra politica e amministrazione, Torino, 2005; B. G. MATTARELLA, Attività amministrativa e

Provvedimento amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Milano, 2006, vol. I,

713 ss; nonché R. VILLATA - M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 20 ss. 107

Come noto il Ministero delle infrastrutture ha assorbito le competenze dell’originario Ministero dei lavori

pubblici. In relazione a tale evoluzione sia consentito il rinvio a A. CROSETTI, Dalle opere pubbliche alle

infrastrutture: profili evolutivi, in La disciplina delle opere pubbliche, (a cura di A. Crosetti), Rimini, 2007, 17

ss; nonché F. PIZZETTI, Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in La riforma del Governo, a cura di A.

PAJNO - L. TORCHIA, Bologna, 2000. 108

Il Consiglio superiore dei lavori pubblici, come noto, è un soggetto istituzionale, strutturato all’interno dello

stesso Ministero per le infrastrutture e trasporti, con compiti di elaborazione di norme e consultazione; in

particolare si occupa di predisporre norme tecniche relative alla parte strutturale delle costruzioni. Su tale

organismo: F.S. SEVERI, Ministero dei lavori pubblici, in Dig. (Disc. pubbl.),Torino, 1994, IX, 481.

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47

precisa se tale consulenza sia o meno vincolante109

. Ai progetti delle norme tecniche in

materia edilizia collabora inoltre il C.N.R., come consulente tecnico del Consiglio superiore

dei lavori pubblici. Il C.N.R. non copre un ruolo di mera redazione di norme, ma svolge una

rilevante attività di sperimentazione attraverso i suoi laboratori; nel suo ambito operano,

inoltre, diverse commissioni di studio relative alle diverse normative tecniche, che si

avvalgono anche di soggetti esterni110

.

Anche nel T.U.E. resta, dunque, confermata l’attribuzione della competenza generale

di normazione tecnica nel settore edilizio in capo ad un organismo centrale quale il Ministero:

lo scopo, evidente, è quello di prevedere standard uniformi di sicurezza per tutto il territorio

nazionale111

.

Il contenuto della regolazione ministeriale, da adottarsi con la procedura individuata

nello stesso art. 52 citato, è mirato a disciplinare l’attività edilizia con particolare riferimento

a quattro tematiche principali, puntualmente individuate. In primo luogo, è chiamato a

definire i criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli

edifici in muratura e per il loro consolidamento, vale a dire le norme generali atte a

sovrintendere alle tre fasi principali dell’attività edilizia. In secondo luogo, il decreto è

chiamato a disciplinare due settori di particolare rilievo: la protezione dagli incendi e la

solidità statica degli edifici, da perseguirsi tramite la prudente distribuzione dei carichi e

sovraccarichi e delle loro combinazioni. Il Ministero, a tal fine, deve diversificare le regole,

ove ciò sia consigliabile dal punto di vista tecnico, in funzione del tipo edilizio, delle modalità

costruttive e della destinazione d’uso dell’opera. Le norme ministeriali devono poi essere

corredate dai criteri necessari per verificare la solidità e, quindi, che lo standard di sicurezza

del costruito sia conforme a quello previsto.

Oltremodo rilevanti sono, infine, le prescrizioni ministeriali volte ad assicurare una

preventiva verifica del rapporto tra il processo costruttivo e la conformazione del terreno sul

109

Si è spesso discusso sui rapporti tra atto consultivo e atto di amministrazione attiva nell’ìpotesi di parere

vincolante. Secondo una lettura risalente di parte della dottrina si avrebbe la formazione di un vero e proprio atto

complesso (già BORSI, BRACCI), secondo altri il parere vincolante funzionerebbe quale atto presupposto (VITTA).

Va comunque rilevato che anche il parere vincolante costituisce sempre esercizio di amministrazione consultiva,

come dimostra il fatto che l’organo di amministrazione attiva, qualora non condivida il parere vincolante, può

astenersi dall’emettere il provvedimento. Su tali problematiche v. già G. CORREALE, Parere (Dir. amm.), in Enc.

dir., Milano, 1981, XXXI, 676 ss; nonché A. TRAVI, Parere (Dir. amm.), in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, X, 601

ss; e da ultima C. BARBATI, L’attività consultiva nelle trasformazioni amministrative, Bologna, 2002. 110

L. FIORENTINO, La normativa tecnica edilizia: i soggetti normatori, in AA. VV., La normativa tecnica

industriale, Bologna, 1995, 353 ss. 111

GARRI - CAZZUOLA, Norme tecniche per l’edilizia, cit., 522. Sull’applicabilità di standard uniformi validi su

tutto il territorio nazionale in materia di urbanistica ed edilizia in seguito alla riforma costituzionale del 2001, v.

Corte cost. 1 ottobre 2003 n. 303 cit.

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48

quale si intende intervenire. Il decreto, infatti, stabilisce quali indagini debbano essere

effettuate dal costruttore sul territorio, onde verificare la stabilità dei pendii naturali e delle

scarpate e la capacità di reggere i carichi dell’opera civile; quali accorgimenti specifici si

rendano necessari, in sede di progettazione ed esecuzione, in relazione alle risultanze delle

indagini effettuate; e quali criteri tecnici vadano seguiti per la realizzazione di speciali

manufatti (ponti, dighe, acquedotti, fognature, ecc.).

Oltre ad essere inserite all’interno della decretazione ministeriale, numerose previsioni

di tipo tecnico sono contenute anche in circolari ministeriali; in questi casi le circolari

assumono valenza interna, vincolando in primo luogo le attività degli uffici tecnici o

amministrativi dipendenti dall’amministrazione; tuttavia, ove inserite quali previsioni

integrative negli atti che disciplinano i rapporti tra pubblici uffici e privati, rivestono efficacia

vincolante anche per l’operatore privato che preti il suo consenso al contratto stipulato112

.

Le prescrizioni contenute nella decretazione ministeriale, pur non avendo natura

legislativa113

, determinano il sorgere di un obbligo, pieno e sanzionabile, di conformarsi alle

previsioni in essa contenute, a prescindere dalla natura del soggetto che intende realizzare

l’opera.

Le norme generali in materia edilizia dettate dal decreto ministeriale si impongono alla

generalità delle costruzioni, vale a dire ad ogni manufatto avente carattere di stabilità e

consistenza che emerga in modo sensibile dal suolo114

.

Riveste, infine, notevole importanza la norma di chiusura della regolazione in materia

edilizia sancita dal secondo comma del citato art. 52. Infatti, nell’ipotesi in cui il decreto

ministeriale non abbia provveduto a normare una specifica modalità costruttiva, il costruttore

non è privo di vincoli. In tali casi, appare applicabile, in via analogica, quanto prescritto con

riferimento ai sistemi costruttivi diversi da quelli in muratura. In tali ipotesi, la garanzia di

standard minimi di sicurezza delle costruzioni è affidata ad una dichiarazione rilasciata dal

presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici su parere conforme del Consiglio stesso.

112

GARRI - CAZZUOLA, Norme tecniche per l’edilizia, cit., IV; in ordine all’efficacia interna ed esterna delle

circolari: già M.S. GIANNINI, Circolare, in Enc. dir., Milano, 1960, VII, 1 ss; quindi F. BASSI, Circolare

amministrativa, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1989, III, 54 ss; M.P. CHITI, Circolare, in Enc. Giur. Treccani,

Roma, 1980, VI; A. CATELANI, Aspetti ed attualità nelle circolari, in Riv. trim. dir. pubbl., 1993, 999 ss. 113

La natura regolamentare e non legislativa dei decreti ministeriali recanti norme tecniche è stata ribadita dalla

Corte costituzionale, v. Corte Cost. 20 maggio 176 n. 125, in Cons. Stato, 1976, I, 523. 114

La giurisprudenza della Cassazione ha, infatti, definito la nozione di costruzione come comprensiva non

soltanto delle opere edilizie destinate ad abitazione, deposito, luogo di ricetto di persone e di cose, ovvero di

opifici, ma anche ogni manufatto avente carattere di consistenza e stabilità, che emerga in modo sensibile al di

sopra del livello del suolo. Cass. Sez. II, 23 febbraio 1978 n. 908.

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49

In difetto di tale dichiarazione la costruzione edile si considera edificata al di fuori delle

regole previste con conseguenti sanzioni anche di carattere penale.

In attuazione delle previsioni contenute nel T.U.E., il Governo ha provveduto ad

emanare le Nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008, con il

quale ha inteso costituire un sistema coordinato e organico di norme tecniche, non più

strutturate in autonomi decreti differenziati per materie e tempi della loro emanazione, come

per il passato, ma correlate in modo tale da formare un contesto normativo volto a perseguire,

in modo, significativo, coerente ed affidabile, la valutazione della sicurezza e stabilità delle

costruzioni, secondo criteri da intendersi come principi fondamentali. Tra i criteri generali

rileva, in modo assoluto, il concetto di sicurezza, intesa come garanzia prestazionale di tenuta

strutturale delle costruzioni, da rapportare alle condizioni dei c.d. stati limite che possono

generarsi nel corso dell’esistenza delle costruzioni, in quanto il superamento di tali stati limite

è destinato a produrre labilità costruttive tali da far cessare i requisiti di sicurezza115

.

Tra i principi generali, espressi nel nuovo D.M., da osservare nella progettazione ed

esecuzione delle costruzioni, oltre a quello accennato della sicurezza strutturale durante “tutta

la vita utile di progetto dell’opera”, sono individuati altri principi fondamentali, di rilevanza

tecnica, tra cui la durabilità delle strutture costruite, intesa come “conservazione delle

caratteristiche meccaniche dei materiali e delle strutture”, rispetto al logorio ed al degrado

derivanti dalle condizioni ambientali e dalla ricorrenza dei cicli di carico interessante il

manufatto strutturale, per la cui tutela è necessario o l’uso di materiali costruttivi più resistenti

o meno vulnerabili, ovvero mezzi di manutenzione ordinarie e straordinarie programmate, di

tipo conservativo.

Dai contenuti di tale decreto emerge, in termini univoci, che la normativa edilizia e

quella sulle tecniche costruttive116

hanno una correlazione, di natura essenziale, nel senso che

115

Principio generale introdotto dal nuovo D.M. 14.I.2008 è, infatti, quello che prescrive che tutte le tipologie

strutturali devono rispettare le norme specifiche sui requisiti di sicurezza in particolare: A) Sicurezza nei

confronti degli stati limite ultimi (SLU), corrispondenti alle condizioni per cui le labilità strutturali sono tali da

generare il collasso strutturale con “crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possono

compromettere l’incolumità delle persone o la perdita del bene, mettendo fuori esercizio le opere e provocando

“gravi danni ambientali e sociali”; B) Sicurezza nei confronti di stati limite d’esercizio (SLE), relativo ai

requisiti prestazionali prefigurati in sede progettuale, corrispondenti alle condizioni per cui sussistano “tutti i

requisiti atti a garantire le previste prestazioni, per assicurare l’ordinario esercizio delle opere”; una volta

superato tale limite genera la “perdita della funzionalità” dell’opera; C) Robustezza nei confronti di azioni

accidentali atti ad evitare “danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause generatrici”. 116

Per il nuovo D.M. 14.I.2008 è stata emanata la Circolare 2 febbraio 2009 n. 617 recante “Istruzioni per

l’applicazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni”, con la quale si è ritenuto opportuno privilegiare,

con una trattazione maggiormente diffusa, gli aspetti più innovativi e per certi versi più complessi trattati dalle

nuove tecniche, fornendo solo informazioni, chiarimenti ed istruzioni applicative, con integrazioni per una più

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50

le relative discipline sono da intendersi riferite all’universalità delle norme applicative

riguardanti le costruzioni edilizie sotto tutti gli aspetti, dalla legittimità attuativa, alla

sicurezza ed alla tecnica attuativa. Ciò comporta la piena coerenza tra le previsioni delle

norme generali del T.U.E., quale fonte primaria ed i contenuti delle norme tecniche attuative,

secondo le quali le operazioni preordinate alla realizzazione delle costruzioni edilizie

(progettazione, esecuzione, collaudo) devono garantire prefissati livelli di sicurezza delle

opere, tali da consentire ai soggetti utenti, la loro fruizione, per un lungo periodo senza

l’insorgenza di pericoli per la pubblica e privata incolumità117

.

8. Rapporti tra la normativa tecnica e il potere amministrativo

Una particolare rilevanza, proprio in relazione al settore qui considerato, è destinata ad

assumere l’analisi dei rapporti tra la normativa tecnica e il potere amministrativo118

.

agevole ed univoca applicazione di tali norme tecniche (NTC) volte a disciplinare, in forma unitaria, la

progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle costruzioni al fine di garantire, per stabili livelli di sicurezza, la

pubblica incolumità, con una serie di indicazioni inerenti la procedura di calcolo e di verifica delle strutture,

nonché regole di progettazione ed esecuzione delle opere in linea con i criteri guida individuati dal D.M. Tali

indirizzi prevedono, anzitutto, il mantenimento del c.d. criterio prestazionale, il rispetto delle indicazioni

normative a livello europeo,in coerenza con gli Eurocodici (tra cui l’EC8 antisismico) e le norme europee EN

ormai ampiamente diffuse, nonché puntuali attenzioni nei confronti dei problemi geotecnici dei suoli. 117

Cfr. A. MONACO – R. MONACO, Norme tecniche per le costruzioni, Napoli, 2005; nonché A. MONACO,

Urbanistica, ambiente e territorio, Napoli, 2006, 774. Va rilevato che l’approvazione del nuovo D.M., con le

norme tecniche per le costruzioni, è stata resa opportuna e necessaria a seguito dei gravi crolli e danni, prodotti

dall’elevato (anche se non estremo) sisma del 6 aprile 2009 su una vasta parte del territorio abruzzese, dal quale

è emerso, a livello tecnico e scientifico, che la mancata e/o insufficiente sussistenza della sicurezza strutturale al

rischio sismico sia derivata dall’impropria qualità dei materiali utilizzati (cemento e acciaio per il c.a.), dal non

corretto dimensionamento delle strutture fondali e in elevazione, dal mancato rilievo sul carattere geologico dei

terreni di sottofondazione e dall’ inefficacie applicazione delle norme tecniche del relativo periodo applicativo e

dai mancati controlli sullo stato degli edifici nel tempo. 118

Il potere amministrativo è qui inteso nell’accezione più diffusa quale capacità giuridica speciale che consente

(e allo stesso tempo impone) di adottare gli atti previsti dalla norma (come atti di esercizio di quel potere), al fine

della miglior cura degli interessi (a loro volta stabiliti dalla legge) dando ad essi contenuto dispositivo e perciò

determinandone gli effetti, secondo la relativa disciplina normativa Così V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di

diritto amministrativo, Torino, 2001, 276. La prospettazione di questo modello e l’individuazione della nozione

giuridica di potere è stata al centro del dibattito già nella dottrina tedesca di O. MAYER e di F. FLEYNER. Sul

tema sono irrinunciabili i contributi di S. ROMANO, Poteri e potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico,

Milano, 1947, 192 ss; e di G. GUARINO, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubbl., 1949, 240 ss;

G. MIELE, Potere, diritto soggettivo e interesse, in Riv. dir. comm., 1944, I, 114 ss; successivamente v. V.

FROSINI, Potere, in Noviss. Dig. It., Torino, 1966, XIII, 436 ss; A. ROMANO TASSONE, Note sul concetto di

potere giuridico, in Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Messina, 1981, 405; P.

STELLA RICHTER, Atti e poteri amministrativi (tipologia), in AA. VV., Dizionario di diritto amministrativo, a

cura di G. GUARINO, Milano, 1983, 357 ss; G. SALA, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano,

1983 e soprattutto M. S. GIANNINI, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1990, 30 ss;

A. CERRI, Potere e potestà, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; in ultimo G. GASPARE, Il potere nel diritto

pubblico, Padova, 1992.

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51

E’ un dato di fatto che assai spesso, anche per effetto della complessità dei fenomeni

sociali119

, la Pubblica Amministrazione, per conoscere la realtà sulla quale operare e decidere,

non può limitarsi ad una mera percezione, semplice ed immediata, dai dati empirici, ma,

sempre più, ha bisogno dell’apporto e dell’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche,

onde potere conseguentemente assumere opzioni e scelte tra criteri alternativi e spesso

opinabili. La funzione della normazione tecnica è, infatti, quella di offrire canoni di maggiore

“certezza” alla scienza giuridica e ad processo decisionale delle amministrazioni pubbliche120

.

Va rilevato che, segnatamente in questo tipo di dinamica giuridica, l’intervento della

Pubblica amministrazione è da ascriversi allo schema, ampiamente acquisito, norma-potere-

effetto121

. In questi casi, l’intervento dell’Amministrazione è chiamato (dalla legge) a porre in

essere atti espressione di autonoma valutazione, quale attività amministrativa vera e

propria122

. Tali atti producono effetti giuridici in relazione ad un particolare rapporto

giuridico, a seguito dell’esercizio del potere (amministrativo) conferito in via generale o

specifica dalla legge. Ciò significa che l’ordinamento rimette alla scelta del soggetto pubblico

la produzione e la regolazione dell’effetto mediante provvedimenti amministrativi tipici

nell’ambio di quello che viene comunemente denominato potere discrezionale123

.

119

La problematica della complessità della società e degli ordinamenti giuridici moderni anche in relazione al

crescere delle nuove tecnologie scientifiche è messa in luce dalla dottrina contemporanea. A titolo meramente

indicativo v.i contributi comparsi nel volume a cura di G. BOCCHI, La sfida della complessità, Milano, 1986; E.

MORIN, Le vie della complessità, in AA. VV., La sfida della complessità, a cura di G. BOCCHI e M. CERUTI,

Milano, 1988, 49 ss; U. CERRONI, Democrazia e tecnica, in Nuova civiltà delle macchine, 1998, n. 3-4, 168 ss. 120

Quale esigenza connaturata alla struttura stessa e alla ragion d’essere dell’ordinamento giuridico e,

conseguentemente del potere amministrativo, affinché questa certezza non diventi un mito come

provocatoriamente già evocato da N. BOBBIO, La certezza del diritto è un mito, in Riv. int. fil. dir., 1951, 20 ss;

ma anche da G. GERIN, Riflessioni sulla crisi delle istituzioni: l’incertezza del diritto, Milano, 1979; nonché M.

S. GIANNINI, Certezza pubblica, in Enc. Dir., Milano,1960, VI, 769 ss; nonché F. ANCORA, Normazione tecnica,

certificazioni di qualità e ordinamento giuridico, Torino, 2000; da ultimi: A. FIORITTO, La funzione di certezza

pubblica, Padova, 2003,154; A. ROMANO TASSONE, Amministrazione pubblica e produzione di “certezza”:

problemi attuali e spunti ricostruttivi, in F. FRACCHIA - M. OCCHIENA (a cura di), I sistemi di certificazione tra

qualità e certezza, Milano, 2006, 23 ss; nonché A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze private”, Milano,

2010. 121

Il rinvio va per tutti a E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2015, 320. 122

Intesa quale espressione di poteri pubblicistici ed accolta dalla prevalente dottrina: sul punto v. già E.

CASETTA, Attività e atto amministrativo, cit., 293 ss; M. S. GIANNINI, Attività amministrativa, in Enc. dir.,

Milano, 1958, III, 988 ss; D. FOLIGNO, L’attività amministrativa, Milano, 1966, 20 ss; più recentemente F.

LEDDA, L’attività amministrativa, in AA.VV., Il diritto amministrativo degli anni ’80, Atti del XXX Convegno

di studi di scienze dell’amministrazione, Milano, 1987, 83 ss; G. CORSO, L’attività amministrativa, Torino,

1999, 10 ss; F.G. SCOCA, Attività amministrativa, in Enc. dir., Aggiornamento, VI, Milano, 2002, 75 ss; B. G.

MATTARELLA, L’attività, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, II ediz., Diritto

amministrativo generale, Milano, 2003, t. I, 699 ss. 123

La discrezionalità, quale espressione dell’esercizio del potere amministrativo, come ben noto, costituisce il

nodo centrale del rapporto norma-potere-effetto. Nei limiti in cui la legge residua “spazi di scelta”

all’Amministrazione si ha azione discrezionale, il concetto fondamentale è quello della “funzionalizzazione” del

potere amministrativo. Secondo la teoria ancor oggi più seguita (v. in particolare i contributi di M.S. GIANNINI, Il

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52

Tuttavia, al fine di operare una qualificazione di un fatto o di una circostanza, in

quanto prevista e dettata da regole tecniche, non è sufficiente una semplice attività di

apprendimento e di constatazione, ma è richiesta dalla legge stessa, un’attività di valutazione

specie quando si tratta di apprezzare fatti complessi che richiedono una puntuale attività

istruttoria124

. In questi casi, si tratta della possibilità di valutazione che spetta

all’Amministrazione, allorché sia chiamata a qualificare fatti e situazioni suscettibili di

potenziale vario apprezzamento che non può che trovare soluzione in dati di carattere tecnico

e scientifico.

In presenza di norme, quali quelle dianzi esaminate, fortemente caratterizzate da

parametri matematici e fisici e variamente quantistici, si dovrebbe ritenere che il potere della

pubblica amministrazione nell’applicare tali norme sia a “discrezionalità zero”. Come ben

potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, 72 ss, poi ripresa in Diritto amministrativo,

Milano, 1970, 483 ss), la discrezionalità è un potere di apprezzamento consistente “in una comparazione

qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati che concorrono in una situazione sociale oggettiva”; in

una lettura quasi contrapposta vi è stata la posizione di C. MORTATI, La volontà e la causa nell’atto

amministrativo e nella legge, Roma, 1935, 90 ss; Id., Potere discrezionale, in Nuovo Dig. It., Torino, 1939, X,

76 ss; Id., Discrezionalità, in Noviss. Dig. It., Torino, 1964, 1098 ss) secondo il quale la discrezionalità è un

potere di scelta condizionato dall’applicazione di regole non giuridiche di buona amministrazione, regole

comunque idonee ad individuare la scelta migliore rispetto ad una data situazione. Viene conseguentemente

esclusa la sindacabilità ad opera del giudice dell’esercizio del potere discrezionale. Il dibattito è poi continuato

tra altri autorevoli studiosi v. in particolare A. TESAURO, La discrezionalità degli atti amministrativi: natura e

limiti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1957, 298 ss; V. SIMI, Il potere discrezionale come carattere essenziale della

pubblica amministrazione, ivi, 1960, 879 ss; A. PIRAS, Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., Milano,

1964, XIII, 65 ss. La ponderazione degli interessi quale tratto distintivo della discrezionalità amministrativa è

messo il evidenza da gran parte della dottrina più recente: tra i molti v. AZZARITI L. BENVENUTI, La

discrezionalità amministrativa, Padova, 1986, 250 ss (che la assimila all’attività interpretativa); A. PUBUSA,

Discrezionalità amministrativa, in Dig. (disc. pubbl.), Torino, 1988, IX, 401 ss; G. AZZARITI, Dalla

discrezionalità al potere, Padova, 1989, 239 ss; G. BARONE, Discrezionalità (dir. amm..), in Enc. giur.

Treccani, Roma, 1989; F. BASSI, Note sulla discrezionalità amministrativa, in AA. VV., Le trasformazioni del

diritto amministrativo (Scritti in onore di M. S. Giannini), Milano, 1995, 49 ss; F. LEDDA, Determinazione

discrezionale, in Scritti in onore di F. Benvenuti, Milano, III, 95 ss; A. AZZENA, Potere amministrativo e

discrezionalità, in AA. VV., Diritto amministrativo, Bologna, 1998, II, 1195 ss; F. G. SCOCA, La discrezionalità

amministrativa nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl, 2000, 1045 ss; da

ultimi G. BOTTINO, Equità e discrezionalità amministrativa, Milano, 2004; F. CANGELLI, Potere discrezionale e

fattispecie consensuali, Milano, 2004; F. GOGGIAMANI, La doverosità della pubblica amministrazione, Torino,

2005. 124

Sulla rilevanza dell’attività istruttoria e conoscitiva nei processi decisionali amministrativi: v. soprattutto i

contributi di LEVI, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, cit., 60 ss; e di R. PEREZ, L’istruzione

nel procedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pub., 1966, 623 ss; Id., L’acquisizione di notizie da parte

della pubblica amministrazione, ivi, 1968, 1371 ss; D. BERTOLOTTI, Attività preparatoria e funzione

amministrativa, Milano, 1984, 30 ss; F. BRIGNOLA, Istruttoria e discrezionalità, in Foro amm., 1979, I, 2634; M.

T. SERRA, Contributo ad uno studio sulla funzione istruttoria del procedimento amministrativo, Milano, 1991,

50 ss; nonché dopo la L. 241/90: M. GUERRA, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996; più

recentemente L. DE LUCIA, Profili strutturali del procedimento,in La disciplina generale dell’azione

amministrativa, a cura di V. CERULLI IRELLI, Napoli, 2006.

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53

noto, tuttavia, in questi casi, dottrina e giurisprudenza, da tempo, hanno introdotto la nozione,

anche se impropria ormai diffusa, della discrezionalità tecnica125

.

L’espressione, in tali circostanze, è giustificata dal fatto che l’Amministrazione non

esercita alcun potere discrezionale, non valuta (e non può valutare) alcun assetto di interessi

pubblici, ma si limita a conoscere (utilizzando le regole tecniche) una realtà e a versarne il

risultato in un atto (positivo o negativo), cui la legge collega la produzione di determinati

effetti126

. In questi casi, ciò che viene attribuito all’autorità amministrativa è un potere (un

125

Come noto, la configurazione della c.d. discrezionalità tecnica, intesa come un’attività di valutazione a

contenuto scientifico, è stata fortemente criticata in dottrina, in tema, v. già E. PRESUTTI, Discrezionalità pura e

discrezionalità tecnica, in Giur. it., 1910, IV, 47; quindi F. PIGA, Sulla discrezionalità tecnica della pubblica

amministrazione, in Giust. civ., 1956, I, 52 ss; P. VIRGA, Appunti sulla c.d. discrezionalità tecnica, in Jus, 1957,

XXVIII, 96 ss; G. DANIELE, Discrezionalità tecnica della p.a. e giudice amministrativo, in Scritti in memoria di

A. Giuffrè, Milano, 1967, III, 295 ss; e soprattutto V. BACHELET, L’attività tecnica della pubblica

amministrazione, cit., 30 (secondo il quale “la discrezionalità tecnica non esiste, ma esistono solo accertamenti,

apprezzamenti, giudizi tecnici, che possono essere riferiti tanto ad atti discrezionali che ad atti vincolati); ma è

nozione che è entrata nell’uso corrente e ampiamente utilizzata dalla giurisprudenza in relazione ai limiti del

sindacato del giudice amministrativo: v. più recentemente i contributi di C. MARZUOLI, Potere amministrativo e

valutazioni tecniche, Milano, 1985, 79 ss; L. BENVENUTI, La discrezionalità amministrativa, Milano, 1986, 20

ss; L. VIOLINI, Le questioni scientifiche controverse nel procedimento amministrativo, Milano, 1986; S.

PIRAINO, La funzione amministrativa fra discrezionalità e merito, Milano, 1990, 50 ss; D. DE PRETIS, Attività

amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995, 170 ss; ulteriori contributi in F. SALVIA, Attività

amministrativa e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., 1992, 685 ss; S. PIRAINO, Tecnica e discrezionalità

amministrativa, in Nuova Rass., 1992, 1053 ss; A. PREDIERI, Le norme tecniche nello Stato pluralista e

prefederativo, cit., 251 ss; A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, in Dir. amm., 1997, 469 ss; F.

SALVIA, Considerazioni su tecnica e interessi, in Dir. pubbl., 2002, 603 ss; da ultimi A. GIUSTI, Contributo allo

studio di un concetto ancora indeterminato. La discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione, Napoli,

2007 nonché C. VIDETTA, L’amministrazione della tecnica, cit., 2008, passim. 126

Come ben noto la figura della discrezionalità tecnica era stata introdotta per escludere il sindacato del giudice

amministrativo su tale tipo di attività decisionale, se non per manifesti vizi di illogicità ed irrazionalità (tra le

molte Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 1980 n. 270; Id., Sez. IV, 15 aprile 1986 n. 271; Id., Sez. IV, 30 novembre

1992 n. 986; Id., Sez. II, 3 maggio 1995 n. 2868; Id., Sez. VI, 20 gennaio 1998 n. 106; Id., Sez. V, 5 settembre

2006 n. 5106). Attualmente, a seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo che ha

previsto la consulenza tecnica tra i mezzi di prova ammessi nel giudizio amministrativo (art. 67 c.p.a.), si tende a

riconoscere un sindacato intrinseco di compatibilità tra scelta tecnica dell’Amministrazione e corrispondente

regola tecnica: Cons. Stato, Sez. V., 5 marzo 2001 n. 1247 (su tale decisione: C. VIDETTA, in Foro. It., 2003, III)

ha, infatti, affermato in maniera esplicita che la “c.d. discrezionalità amministrativa esprime un concetto diverso

dal merito amministrativo e pertanto non può essere aprioristicamente sottratta al sindacato da parte del giudice

amministrativo”, atteso che l’apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento, siano essi semplici o

complessi, attiene comunque alla legittimità di quest’ultimo. Per richiami su tali implicazioni processuali: F.

LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sulla pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1983, 423

ss; V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. proc.

amm., , 1984, 463 ss; V. OTTAVIANO, Giudice ordinario e giudice amministrativo di fronte ad apprezzamenti

tecnici dell’amministrazione, in Studi in memoria di V, Bachelet, Milano, 1987, II, 405 ss; A. AZZENA, Spunti

per una riflessione su regole tecniche e merito amministrativo in relazione alla possibilità di sindacato sulla

discrezionalità, in Studi in ricordo di E. Capaccioli, Milano, 1988, 599 ss; G. PELEGATTI, Valutazioni tecniche

dell’amministrazione pubblica e sindacato giurisdizionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1992, 158 ss; F. G. SCOCA,

Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, in Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano,

1998, 107 ss; quindi S. BACCARINI, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., 2001,

80 ss; M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto la lente del G. A., in Urb. e app., 2001, 875; F. MERUSI,

Variazioni su tecnica e processo, in Dir. proc. amm., 2004, 973 ss; A. TRAVI, Il giudice amministrativo e le

questioni tecnico-scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in Dir. pubbl., 2004, 439 ss; C. VIDETTA, Il

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54

compito) di acclaramento di fatti e circostanze della realtà prefissati tramite appunto le norme

tecniche. L’accertamento di fatti complessi, con la connessa necessità di utilizzo di discipline

specialistiche è, sempre più spesso, necessario in molteplici manifestazioni dell’azione

amministrativa discrezionale127

.

Non va disconosciuto che la conoscenza della realtà, nella sua pienezza, rende

assolutamente necessario, soprattutto ove la realtà è fortemente complessa, l’utilizzazione di

discipline tecniche, in tali casi, tale utilizzazione è imposta al di là e oltre le stesse prescrizioni

di legge, dai principi più generali di ragionevolezza dell’agire amministrativo128

. Questo è il

motivo per cui spesso è la stessa legge che impone l’applicazione, anche in via strumentale, di

discipline e regole tecniche al fine dell’esercizio di determinati poteri come nei casi di specie

dianzi esaminati.

La normativa tecnica dell’edilizia, come si è visto, è l’esempio classico in cui il previo

acclaramento di fatti complessi è rimesso dal legislatore a parametri e calcoli derivanti da

discipline specialistiche. La normativa tecnica su gran parte degli interventi territoriali, trae la

sua fonte genetica da discipline ingegneristiche e di calcolo, da discipline geognostiche,

idrauliche, architettoniche che si pongono in posizione strumentale e servente alle scelte

dell’Amministrazione.

Va peraltro avvertito che in tale funzione accertativa (variamente configurata dal

legislatore anche in termini lessicali: “computo”, “verifica”, “riscontro”, “analisi”, “rapporto”,

“valutazione” ed altre ancora), non è sempre ed esclusivamente riconducibile a criteri

oggettivi (matematici o fisici), incentrato sulla coppia “sussistenza-insussistenza”, tipica dei

fatti c.d. semplici o di mera constatazione, ma, segnatamente nell’ambito del settore edilizio,

sindacato sulla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione nella giurisprudenza successiva alla

decisione 9 aprile 1999 n. 601 della IV Sezione del Consiglio di Stato, in Foro amm. TAR, 2003, 4, 1185; F.

VOLPE, Discrezionalità tecnica e presupposto dell’atto amministrativo, in Dir. amm., 2008, 791 ss; da ultimi, F.

CINTIOLI, Giudice amministrativo, tecnica e mercato, Milano, 2005, 40 ss; M. DELLA SCALA, L’evoluzione del

sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche, in L’invalidità amministrativa, a cura di V.

CERULLI IRELLI e L. DE LUCIA, Torino, 2009, 263 ss. L’orientamento dà ancora luogo ad oscillazioni in

giurisprudenza (cfr. ad esempio TAR Lazio, Sez. II, 11 luglio 2002 n. 6264 afferma ancora che “il giudice può

effettuare solo un controllo esterno di razionalità sulle scelte effettuate e non anche un controllo intrinseco” v.

pure TAR Emilia Romagna, Sez. I, 12 luglio 2002 n. 928). 127

Lo dimostra il fatto che anche l’art. 17 della L. 241/1990 parla di “Valutazioni tecniche” che debbano essere

preventivamente acquisite per l’adozione di un provvedimento. E’ appena il caso di evidenziare che, in questi

casi, le valutazioni tecniche sono richieste ad un’Amministrazione per determinare l’esistenza dei presupposti

per l’assunzione di certi provvedimenti. Sulla valenza di tale disposizione, così come novellata dalla L. 14

maggio 2005 m. 80 v, G. GRIFFINI-R. MACCAPANI, ART. 17, in AA. VV., L’azione amministrativa, Milano,

2005, 600; nonché VIDETTA, L’amministrazione della tecnica, cit., 190. 128

Quale principio ormai consolidato anche nell’agire della pubblica amministrazione: in tal senso puntualmente

P. M. VIPIANA, Introduzione al principio di ragionevolezza nel diritto pubblico, Padova, 1993; e già L.

PALADIN, Ragionevolezza (principio di), in Enc. dir. Aggiorn., Milano, 1997, I, 898 ss.

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55

richiede, talora, un più puntuale procedimento di valutazione e di giudizio in relazione agli

interessi pubblici individuati dalla legge129

.

La c.d. discrezionalità tecnica, come dianzi evidenziato, comporta che l’Autorità, una

volta valutata alla stregua dei criteri tecnici una data situazione, è inderogabilmente tenuta ad

agire e a decidere in un certo modo. In questi casi, significa che la valutazione sussiste

soltanto in un momento anteriore rispetto a quello della determinazione attinente all’atto da

adottare, mentre in ordine a questo è rigidamente vincolata130

. Non mancano tuttavia casi,

assai frequenti nel settore edilizio-urbanistico, in cui la discrezionalità tecnica e quella

amministrativa siano tra loro collegate e interconnesse, qualora la prima costituisca

presupposto della seconda. Nelle ipotesi di questo tipo, “nelle quali si suole parlare di

“discrezionalità mista”, la discrezionalità tecnica e quella amministrativa rimangono, come è

naturale, su due piani assolutamente distinti: la prima attiene alla constatazione dell’effettiva

presenza della fattispecie prevista dal legislatore perché l’Autorità possa legittimamente

adottare certi provvedimenti in ordine alla soddisfazione dell’interesse pubblico affidato alle

sue cure (giudizio preliminare); la seconda attiene al miglior modo di realizzare l’interesse

129

Gli atti accertamento, variamente configurati, sono stati ricondotti in un primo momento agli atti di

“conoscenza” (su cui v. già M. S. GIANNINI, Certezza pubblica, cit., 769 ss e sugli strumenti di tale attività

ricognitiva ed acquisitiva v. soprattutto F. LEVI, L’attività conoscitiva, cit., 30 ss; G. CATALDI, Le informazioni

come oggetto dell’attività amministrativa, in Scritti per G. Zanobini, Milano, 1968, I, 281 ss; più recentemente

F. MERLONI, Attività conoscitive delle pubbliche amministrazioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 1994, 209 ss). In

dottrina, non è pacifica la distinzione degli atti di giudizio dagli accertamenti e dagli atti di conoscenza. Mentre,

in passato, infatti, soprattutto nella dottrina tedesca, alcuni autori tendevano a ricondurre anche gli atti di giudizio

fra gli accertamenti (KORMAN, Sistem der rechtsgeschaftilichen Staatsakte, Berlino, 1910, 68; W. JELLINEK,

Verwaltungsrecht, Berlino, 1948, 310; FORSTHOFF, Lehrbuch des Verwaltungsrecht, Munchen, 1966, 197 e nella

risalente dottrina italiana F. FORTI, Diritto amministrativo, Napoli, 1945, II, 123 ss; R. ALESSI, Principi di

diritto amministrativo, Milano, 1971, I, 365 ss) altri autori facevano rientrare gli atti di giudizio fra gli atti di

certezza (v. ad es. S. ROMANO, Diritto amministrativo, Padova, 1937, (3 ediz.), I, 331 ss; C. VITTA, Diritto

amministrativo, (5 ediz.), Torino, 1965, I, 356 ss; A. FALZEA, Accertamento (teoria gen.), in Enc. dir., Milano,

1962, I, 205 ss). In effetti, oggi, si è più propensi a ritenere che gli atti di giudizio e di valutazione siano, a

differenza degli atti di conoscenza, provvedimenti discrezionali (talora misti e tecnici) destinati a comportare

apprezzamenti su fatti, circostanze e qualità, (in tal senso v. già M. S. GIANNINI, Accertamenti amministrativi e

decisioni amministrative, in Foro it., 1952, IV, 181 ss; Id., Accertamento, in Enc. dir., Milano, 1958, I, 219 ss;

pur con prospettazione diversa M.NIGRO, Decisione amministrativa, in Enc. dir., Milano, 1962, XI, 816 ss;

nonché I. BUCCISANO, Accertamento, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1988, II, 536 ss) proprio come avviene

nell’ambito della disciplina edilizia a mezzo di valutazioni tecniche (su tale strumenti v. T. TESSARO, Valutazioni

tecniche, in Amm. it., 1993, 1161 ss); da ultimo, con puntuale ricostruzione, B. TONOLETTI, L’accertamento

amministrativo, Padova, 2001. 130

La rilevanza che la discrezionalità tecnica ha sul potere amministrativo è condizionata dal grado di

vincolatezza tra legge e l’attività amministrativa che porta a declinare in modi diversi le diverse ipotesi: 1) legge-

fatto da accertare-atto amministrativo vincolato; 2) legge-fatto da accertare-atto amministrativo discrezionale; 3)

legge-fatto da valutare-atto amministrativo vincolato come esattamente posto in evidenza da D. SORACE, Diritto

delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2007, 275; sulle tipologie dell’attività vincolata A. ORSI BATTAGLINI,

Attività vincolata e situazioni giuridiche soggettive, in Riv. trim. dir. pubbl., 1988, 1 ss.

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56

pubblico nella situazione di fatto valutata alla stregua dei criteri tecnici (attiene cioè alla scelta

del provvedimento)”131

.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, peraltro, ha operato, in proposito, una

distinzione tra valutazioni tecniche a basso grado ovvero ad elevato grado di opinabilità, per

riconoscere alle prime il requisito della certezza (regole tecniche verificabili alla stregua di

scienze esatte) ed assegnando a loro esercizio la natura di un accertamento tecnico. Nelle

seconde, invece, l’applicazione della norma tecnica non sarebbe assistito da tale requisito e

nemmeno quello di un’elevata probabilità, onde le scelte dell’Amministrazione fornirebbero

un contenuto concreto a concetti giuridici indeterminati132

(v. anche infra).

La normativa tecnica sull’edilizia, come può facilmente dedursi dalle indicazioni

dianzi sviluppate, può essere ascritta ad entrambe le categorie ipotizzate dalla citata

giurisprudenza.

Alla prima categoria possono essere ascritte tutte quelle norme che, in funzione della

sicurezza, dell’incolumità pubblica o della qualità dei materiali, vengono a fissare i requisiti

costruttivi degli edifici e dei materiali, le caratteristiche antisismiche o energetiche, in quanto

traggono la loro giustificazione e fonte genetica da discipline tecniche e scientifiche

sperimentate.

Nella seconda categoria, viceversa, possono essere fatte rientrare tutte le norme

tecniche relative ai parametri edilizi ed urbanistici in quanto non ancorate a indici di certezza

scientifica ma di opportunità e di convenienza pubblica in relazione alle esigenze zonali

territoriali.

Non può, peraltro, non essere evidenziato come, nell’attuale momento storico

caratterizzato da una crescente evoluzione conoscitiva dei fenomeni territoriali, emerga, in

131

Così puntualmente già A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 404; nonché S.

LARICCIA, Diritto amministrativo, Padova, 2006, 227; da ultimo M. CLARICH, Manuale di diritto

amministrativo, Bologna, 2013, 126; sull’improprietà di tale dizione v. già C. MORTATI, Istituzioni di diritto

pubblico, Padova, 1970, I, 240 ss. 132

Il richiamato orientamento distintivo del Consiglio di Stato, in realtà, trae fonte genetica dal diverso ruolo del

sindacato giurisdizionale sulle norme tecniche. Il G.A. ritiene, infatti, che, quando la norma tecnica contiene

“concetti indeterminati”, in quali inducono ad “apprezzamenti opinabili”, la loro valutazione rientra

nell’accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo, e quindi attiene al tipico sindacato

sulla legittimità, che resta ben distinto dal giudizio di opportunità, e cioè della diretta valutazione dell’interesse

pubblico perseguito in concreto dall’Amministrazione. In questa diversa ottica, che distingue le valutazioni

tecniche da quelle di merito, si ammette la sindacabilità giurisdizionale delle prime, non in base “al mero

controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’Autorità amministrativa, bensì, invece, alla loro

verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto al criterio

tecnico e al provvedimento applicativo” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 aprile 1999 n. 610; Id., Sez. IV, 10 febbraio

2000 n. 715; Id., Sez. VI, 22 maggio 2008 n. 2449; TAR Puglia, Lecce, Sez. I. 28 settembre 2001 n. 5607; TAR

Lazio, Sez. I, 5 dicembre 2000 n. 11068).

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termini diffusi, la sensazione della relatività delle soluzioni e dei modelli offerti dalla

normazione tecnica, in quanto frutto dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche e del

grado di approfondimento dei nuovi problemi posti dalle esigenze della società civile (caso

emblematico è certamente quello che ha riguardato l’utilizzazione dell’amianto nelle

costruzioni133

). Anche le norme tecniche, al pari delle altre, non sono norme assolutamente

oggettive, univoche e perfette, ma frutto di scelte perfettibili, talora indotte e condizionate da

tesi ed ideologie dei tecnici (e anche dei politici committenti) con conseguente grado di

modificabilità e di aggiornabilità.

Non di rado, inoltre, si può assistere ad una distorsione dei ruoli, in quanto le norme

tecniche, segnatamente quando assumono il ruolo di norme di attuazione, vengono ad imporre

soluzioni, vincoli, obblighi, non previsti dalla legge che ne ha legittimato la produzione e

talora si pongono addirittura in contrasto con la fonte primaria con conseguenti problemi

interpretativi134

(v. infra). Tali vicende richiamano l’attenzione sulle carenze di garanzia

istituzionale nel processo decisionale, relativo alle norme tecniche, riproponendo la necessaria

correlazione tra scelta politica e disposizione tecnica.

Ciò nonostante, il ruolo determinante assunto dalle norme tecniche nel processo

decisionale delle Amministrazioni pubbliche non ne può certo comportare l’assorbimento

nella categoria della discrezionalità amministrativa e delle scelte di merito, caratterizzate

dall’apprezzamento dell’interesse pubblico e della relativa comparazione con altri interessi

pubblici e privati coinvolti135

.

133

Come noto, l’amianto per le sue caratteristiche (potere di resistenza al calore e di isolamento) è stato

diffusamente e massicciamente utilizzato (come isolante termico e barriera antifiamma) sia nell’edilizia abitativa

privata che pubblica e industriale per pareti divisorie, coperture, soffittature, canne fumarie, pavimentazioni

(segnatamente con eternit) tra il 1965 fino agli anni 1990. E’ stato poi vietato per i riscontrati effetti cancerogeni

(asbestosi) solo con l’entrata in vigore della L. 257 del marzo 1992 (Norme relative alla cessazione dell’impiego

dell’amianto) e relative modifiche di cui alla L. 24 aprile 1998 n. 128. Sulla vicenda amianto v. i contributi

raccolti nel volume Inquinamento da amianto, a cura Di M. P. VIPIANA, Utet, 2014. 134

Sulle discrasie e contraddizione, specie in sede attuativa, tra norme primarie e secondarie, v. già segnatamente

G. AMATO, Rapporti tra norme primarie e secondarie, Milano, 1962; ID., Disposizioni di attuazione, in Enc. dir,

Milano, XIII, 1964; N. SAITTA, Premesse per uno studio delle norme di organizzazione, Milano, 1965; quindi

con nuove riflessioni G. U. RESCIGNO, L’atto normativo, Bologna-Roma, 1999, 30 ss; A. PIZZORUSSO,

Delegificazione, in Enc. dir.Aggiorn., Milano, 1999, III, 492 ss; e soprattutto A. ROMANO TASSONE, La

normazione secondaria, in AA. VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2005, 47 ss. 135

Come esattamente rilevato da DELL’ANNO, Normativa tecnica, cit., 398. Tale valutazione costituisce, come

ben noto, espressione tipica del potere discrezionale amministrativo su cui, oltre agli autori già citati, v. per

profili generali R. TOMEI, L’approvazione amministrativa, Torino, 1990, 40 ss; M. BOMBARDELLI, Decisione e

pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1997, 30 ss; A.

POLICE, La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere

discrezionale, Napoli, 1998, 50 ss.

Page 67: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

58

In questo contesto, l’emanazione di norme tecniche, in qualsiasi fonte siano concepite,

costituisce un prezioso strumento di autolimitazione della discrezionalità esercitabile da parte

delle pubbliche amministrazioni.

9. Considerazioni su rilevanza pubblicistica delle norme tecniche e sulle esigenze di

coordinamento interpretativo

Dal quadro espositivo dianzi delineato emerge, in modo inequivoco, come, nel settore

dell’edilizia e della scienza delle costruzioni, le norme tecniche abbiano assunto un ruolo

oltremodo rilevante e tendenzialmente ormai insostituibile.

Occorre registrare che tale ruolo è venuto assumendo valenza espansiva non solo

nell’ambito dell’edilizia come dianzi evidenziato, ma anche nei procedimenti delle scelte di

pianificazione urbanistica. Già una datata sentenza della Corte costituzionale (n. 38 del 1966)

aveva rilevato che il potere di pianificazione, in quanto condizionato da elementi di

valutazione tecnica, “si deve svolgere entro determinati confini di carattere obiettivo”. La

tecnicità e l’obbiettività di certe valutazioni territoriali (invero acclaramenti più che

accertamenti), le caratteristiche delle aree e dei suoli, in sostanza la “natura dei fatti”,

costituisce il limite naturale al potere di pianificazione che da recente giurisprudenza è stato

denominato “ragionevolezza tecnica” 136

. Del resto, è un dato acquisito che le singole

previsioni urbanistiche devono fare costante riferimento alle caratteristiche del territorio

globalmente considerato, con il criterio che gli urbanisti chiamano “qualità urbana” e con le

sue regole137

.

Nell’ambito del “uso e governo del territorio”, come del resto in altri settori, le

normative tecniche sono venute assumendo un duplice rilievo, anche sotto il profilo

funzionale. Da un lato, esse traggono il loro fondamento dal mondo e dalle “scienze tecniche

e specialistiche” e, in questo senso, sono considerate “tecniche” con riguardo al loro

contenuto e alla loro valenza. Sotto il diverso profilo della teoria generale, emerge che tali

136

Cons. Stato, Sez. VI, 12 maggio 2012 n. 2521, in Giuridiz. Amm., 2012, I, 876 con riferimento all’esigenza

dell’istruttoria adeguata e della motivazione congrua.. 137

Cfr. F. INDOVINA, Governare la città con l’urbanistica, Rimini, 2012, 163. Che tali regole costituiscano un

limite al potere di scelta discrezionale è stato messo in evidenza anche dai giuristi: G. MENGOLI, Sui limiti del

potere di pianificazione urbanistica, in Riv. giur. ed., 1983, II, 316 ss; nonché G. SCIULLO, Discrezionalità di

piano e selezione degli interessi, in Riv. giur. urb., 1987, 53 ss; da ultimo P. PORTALUPI, Poteri urbanistici e

principio di pianificazione, cit., passim.

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59

norme sono “tecniche” in quanto svolgono un ruolo strumentale e servente ad un fine

determinato e sotteso e prefissato dal disegno normativo in funzione dell’esito decisionale

dell’Amministrazione (v. infra).

Come si è visto, diverse sono le modalità di produzione delle norme tecniche come

parimenti diverso il loro inserimento nell’ordinamento generale138

. Nel settore qui preso in

esame può essere individuata un’empirica summa divisio.

Anzitutto vi sono delle “norme aperte o indeterminate”, assunte dal legislatore, nella

fattispecie dal T.U.E., come criteri regolamentari affidati al regolatore locale (il Comune)

tramite la legittimazione delle norme di piano o di regolamento. Il contenuto concreto della

norma giuridica, vale a dire gli obblighi sostanziali e le regole di apprezzamento, sono rimessi

nel e dal piano a valutazioni tecniche puntuali, da adottare caso per caso (per ambito e per

zona), sulla base di criteri applicativi desunti dalle discipline tecniche e scientifiche e

connesse alla progettualità dei piani stessi. Tale sistema assicura flessibilità ed adattabilità

nella singola fattispecie ma tende anche ad evitare il formarsi di valutazioni disomogenee.

In questo gruppo di normative tecniche, si è visto, assumono specifica rilevanza i c.d.

“parametri”. Tale termine, anche nel linguaggio comune nel suo significato etimologico

(para-metro), sta ad indicare un “criterio di valutazione e/o di giudizio”, un”punto di

riferimento”139

. Tali parametri, come si è potuto constare, sono, tuttavia, destinati, ad

assumere valenze diverse. Mentre i parametri edilizi traggono la loro fonte genetica da valori

fisici, numerici e matematici (si pensi alle altezze, alle distanze, al numero dei piani, alle

diverse tipologie di superficie) in quanto finalizzati a stabilire la “consistenza edilizia” dei

fabbricati; diversa è la finalità dei parametri urbanistici che, come si visto, individuano,

invece, dei rapporti, tutti funzionali a disciplinare le utilizzazioni dei suoli nelle diverse aree

138

La dottrina ha già tentato di offrire una lettura sistematica della normativa tecnica, con particolare riferimento

alla materia ambientale: v. V. ONIDA, Il sistema delle fonti in materia ambientale, con particolare riferimento

alla normativa tecnica, AA. VV., Razionalizzazione della normativa in materia ambientale, Atti Convegno di

Castel Ivano, Milano, 1994, 66 ss; nonché M. CECCHETTI, Note introduttive allo studio delle normative tecniche

nel sistema delle fonti a tutela dell’ambiente, in U. DE SIERVO (a cura di), Osservatorio sulle fonti 1996, Torino,

1996, 142 ss; Id., Prospettive per una razionalizzazione della “normazione tecnica”a tutela dell’ambiente

nell’ordinamento italiano, in Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche (a cura di S. GRASSI e

M. CECCHETTI), Milano, 2006, 41 ss; sul problema connesso e più generale dell’innesto della “tecnica” sulle

norme giuridiche v. da ultimo P. LAZZARA, La normativa tecnica. Integrazione tra pubblico e privato nella

prospettiva della pluralità degli ordinamenti, in Scritti in onore di A. Romano, Napoli, 2011, I, 395 ss.; del resto,

la stessa classificazione e distinzione tra fonti atto e fonti fatto ha, da sempre, alimentato fitte discussioni in

dottrina a cui si rinvia: tra cui segnatamente V. CRISAFULLI, Fonti del diritto, in Enc. dir., Milano, 1968, XVII;

A. M. SANDULLI, Fonti del diritto, in Noviss. Dig. It., Torino, 1961, VII, 139

Basti citare N. ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Bologna, 1970, ad vocem; De Agostini,

Dizionario della lingua italiana, Milano, 1998, ad vocem.

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60

dei piani e a stabilirne l’indice di utilizzazione e quindi di edificabilità. Il rapporto, in tal

senso, sta ad indicare una relazione, un legame tra fatti e potenzialità edificatoria, fino ad

escluderla per effetto del parametro stesso.

Un altro modello di normazione tecnica è, invece, rappresentato da quelle disposizioni

di natura tecnica direttamente inserite nel tessuto normativo ovvero, con norma di rinvio o di

collegamento, in atti amministrativi (regolamento o decreto), dotati, tuttavia, della medesima

natura ed efficacia giuridica dell’atto in cui sono incorporati. Nel sistema delle fonti, questa

tipologia di norme presenta una forma di collegamento assai diffusa. Il modello è quello di un

intervento normativo statale (il T.U.E. nel caso di specie) che incorpora la norma tecnica nella

norma giuridica. In una prima fase, vengono elaborate le norme tecniche (tramite l’ausilio e

l’apporto di esperti o di organi pubblici specializzati); in una seconda fase, le proposizioni

tecniche vengono recepite da fonti normative di rango secondario (decreto o circolare). La

previsione legislativa opera come norma sulla formazione tecnica, indicando la fonte prescelta

per incorporare la norma tecnica nell’ordinamento generale, le finalità da perseguire, i criteri

direttivi sui quali informare le scelte.

Esempio significativo di tale modello, si è potuto riscontrare nell’esaminata disciplina

introdotta dall’art. 52 del T.U.E., che ha affidato al Ministero delle infrastrutture (sentito il

Consiglio superiore dei Lavori pubblici e il CNR) la funzione della redazione ed

approvazione delle norme tecniche in materia di elementi costruttivi degli edifici

(progettazione, esecuzione e collaudo), di verifiche di carattere idrogeologico del terreno, di

fondazioni, ponti, dighe, acquedotti, fognature ed altre opere.

In questa tipologia normativa, l’enunciazione dei requisiti di sicurezza attraverso

clausole generali, o standard normativi, si accompagna ad un richiamo espresso alle norme

tecniche elaborate in sede ministeriale, attraverso un rinvio automatico e dinamico140

. Più

precisamente, il legislatore, nel rinviare all’utilizzazione delle tecnologie, introduce una

presunzione di conformità e funzionalità della normativa tecnica per assicurare le esigenze di

sicurezza.

In entrambe le tipologie di norme, emerge in termini chiari, la funzione di

“strumentalità” della tecnica, intesa come applicazione di una scienza per soddisfare una

qualche esigenza pratica assurta ad interesse pubblico dall’ordinamento. Tale funzione pone,

da sempre, un delicato problema di coordinamento e di connessione tra le diverse tipologie

140

In tal senso: A. ZEI, Norme tecniche, cit., 72.

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61

normative. E’ un dato scontato che vi sia e vi debba essere un trait d’union fra tutte le regole

che hanno un qualche contenuto “tecnico”, da un lato, e le norme che dettano le condizioni

per il perseguimento di un determinato fine, dall’altro141

. Trattandosi di nozioni che si

spiegano su piani distinti seppure convergenti, come esattamente già rilevato, “la collocazione

della linea di confine tra quelle che, per tradizione, si sogliono chiamare norme tecniche e le

rimanenti è estremamente difficile, per non dire impossibile”142

.

In proposito, è’ stato acutamente osservato che “la scienza è diventata la fonte più

autorevole di conoscenza del diritto, il diritto è un fattore determinante nello sviluppo della

scienza, che si muove socialmente attraverso una rete normativa”143

ed, a tal fine, è stata

auspicato il modello di “co-produzione”, inteso come “strumento interpretativo del reciproco

generarsi del linguaggio della scienza e del diritto”, in una prospettiva di convergenza

necessaria tra scienza e diritto in relazione ai problemi che essi devono risolvere in via

congiunta144

.

Va, peraltro, sottolineato che la linea di confine tra sistema delle fonti e i fatti e

comportamenti prescrittibili è sempre solo rinvenibile nell’ambito della singola

fenomenologia giuridica e non è mai a priori definibile. In ogni società ed in diversi momenti

storici, è dato di constatare come si rinvengano particolari atti e fatti prescrittivi (fonti)

destinati a produrre un sistema di prescrizioni (dette norme giuridiche), dotato di un ruolo

particolare volte al perseguimento di particolari fenomeni e specifiche esigenze di vita. E’ un

dato scontato che le prescrizioni giuridiche siano e vadano ricavate da entità concrete

percepibili, o quanto meno individuabili storicamente e attualmente. Un dato normativo

costituisce il modello classico di atti e fatti prescrittivi in cui si sostanzia la realtà giuridica e

la norma tecnica ne costituisce esempio sintomatico.

Lo svolgersi e l’intrecciarsi di tutti i molteplici atti e fatti prescrittivi (variamente

condizionanti e condizionati), contribuisce a formare quel particolare, ma essenziale, aspetto

141

Messa in evidenza già da A. DE VALLES, Norme giuridiche e norme tecniche, in Studi per A. C. Jemolo,

Milano, 1963, 177 ss. 142

Così già SANDULLI, Le norme tecniche dell’edilizia, cit., 565. 143

M. TALACCHINI, Scienza e diritto. Prospettive di co-produzione, in Riv. di filosofia del diritto, 2012, n. 2,

314. 144

Come giustamente evidenziato da P. M. VIPIANA, Considerazioni introduttive al Convegno Diritto, scienze e

tecnologie, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Alessandria, 4 marzo 2016, che richiama le

indicazioni di TALACCHINI, cit., spec. 316-318.

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62

della realtà sociale che è stato denominato esperienza o fenomenologia giuridica145

e di cui il

diritto rappresenta un momento essenziale e ben delimitabile.

Onde conseguire un obiettivo coerente di apprezzamenti valutativi, in relazione

dell’interesse pubblico e collettivo che le normazioni tecniche intendono perseguire, appare

sempre più indispensabile utilizzare il procedimento interpretativo ed applicativo nella sua

funzione più propria. Interpretare, infatti, nel suo significato più aderente, significa cercare di

chiarire il contenuto e il significato delle previsioni normative sia in sé e per sé, ma anche nel

loro molteplice combinarsi146

.

Com’è stato giustamente, avvertito l’interpretazione, oggi più che mai soprattutto per

perseguire l’esigenza di una maggiore aderenza del diritto alle concrete e mutevoli esigenze

della società e del mercato, deve essere intesa, ormai, come un’operazione diretta, non già ad

“estrarre” le norme dai fatti ed atti normativi, bensì ad utilizzare il contenuto delle fonti per

perseguire un obiettivo di coerenza e di funzionalità con la realtà sociale sulla base

dell’esperienza e della fenomenologia giuridica intesa quale realtà sociale raffrontata ai vari

tipi di fatti e atti configurati dalle norme147

. Ciò in quanto le prescrizioni giuridiche (siano e

meno fonti di diritto) si combinano sempre, nell’operare, con fatti e comportamenti per taluni

aspetti estranei ai loro contenuti.

In conclusione, e proprio con riferimento alla funzione ed al ruolo sempre più diffuso

della normazione tecnica, segnatamente nell’attuale momento storico, la combinazione tra

145

Sul concetto di esperienza e di fenomenologia giuridica v. già F. OPOCHER, Il valore dell’esperienza

giuridica, Treviso, 1947; V. FASSÒ, La storia come esperienza giuridica, Milano, 1953; B. GIULIANO, Ricerche

in tema di esperienza giuridica, Milano, 1957; BARATTA, Ricerche su “essere” e “dover essere” nell’esperienza

normativa e nella scienza del diritto, Milano, 1968; L.M. FRIEDMAN, Fenomenologia e scienza del diritto, in

Riv. int. fil. dir., 1971, 30 ss; V. ORESTANO, Della “esperienza” giuridica vista da un giurista, in Riv. trim. dir. e

proc. civ.,1980, 60 ss. 146

Impossibili citazioni con pretesa di completezza nella vastissima letteratura giuridica; sulle finalità della

funzione interpretativa tra i molti e con diversi approcci: già M.S. GIANNINI, L’interpretazione dell’atto

amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939; R. SACCO, Il concetto di

interpretazione del diritto, Torino, 1947; M. GALLONI, L’interpretazione della legge, Milano, 195; quindi E.

BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1955 2 voll.; Id., Interpretazione della legge e degli atti

giuridici, Milano, 1971; quindi G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano, 1980; V. FROSINI, Lezioni di

teoria dell’interpretazione giuridica, Milano, 1992; R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi,

Milano, 2004; F. PETRILLO, Interpretazione giuridica, in il Diritto. Enciclopedia del Sole 24 Ore, Milano, 2007,

VIII, 156 ss. tra gli amministrativisti recentemente: L. BENVENUTI, Interpretazione e dogmatica nel diritto

amministrativo, Milano, 2002; A. TRAVI, Il metodo nel diritto amministrativo e gli “altri saperi”, in Dir. pubbl.,

2003, 865 ss. 147

Si tratta di utilizzare gli strumenti tradizionali dell’attività interpretativa ricorrendo sia all’interpretazione

sistematica tramite l’utilizzazione di più norme per una stessa fattispecie, sia all’interpretazione combinatoria

tramite l’utilizzazione di altre proposizioni normative volte a combinarsi e ad integrarsi in un complesso

sistemico, quali appunto la connessione tra disposizioni regolamentari e normative tecniche. Su tali modelli

interpretativi v. oltre agli autori già citati: R. ZACCARIA, L’arte dell’interpretazione, Padova, 1990, 30 ss; L.

BIGLIAZZI GERI, L’interpretazione, Milano, 1994, passim.

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63

diritto (come sistema di contenuti ricavabili da determinati tipi di prescrizioni) e la

fenomenologia giuridica, come sopra latamente intesa, non può non restare sempre utile e

valida.

Appare di tutta evidenza che tale combinazione è destinata ad assumere una rilevanza

del tutto peculiare nella disciplina del “governo del territorio” intesa nel significato

pluridisciplinare già evidenziato148

.

148

Come del resto ben evidenziato dalla più recente dottrina: tra cui L. CASINI, L’equilibrio degli interessi nel

governo del territorio, Milano, 2005; P. URBANI, Territorio e poteri emergenti. Le politiche di sviluppo tra

urbanistica e mercato, Torino, 2007; E. BOSCOLO, Governo dl territorio, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del

Sole 24 Ore, Milano, 2007, VII, 183 ss; S. AMOROSINO, Il governo dei sistemi territoriali, Padova, 2008.

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SCIENZA E TECNICA

TRA DIRITTO EUROPEO E DIRITTO COMPARATO

Giuseppe Franco Ferrari

(Università Bocconi)

La centralità della scienza, e in particolare delle scienze esatte149

, ha sempre avuto un

significativo ruolo nella «formazione della consapevolezza del mondo politico e sociale»150

, e

della sua razionalizzazione in senso weberiano, del suo disincantamento, viene

frequentemente ricondotta151

alla crisi dei modelli culturali ed interpretativi di matrice

teologica e filosofica, i quali perdono attendibilità nella spiegazione dei fenomeni

dell’esperienza umana, consentendo alle scoperte matematiche, fisiche, chimiche, biologiche,

mediche di occupare il terreno e di imporre la scienza moderna, ponendola al servizio della

volontà umana e del vivere civile. Si tratta di un processo che ha inizio nel periodo tra il

secolo XVI e il XVII, ovvero non a caso tra le riflessioni di Hobbes152

e Leibniz. Del resto, in

questo periodo le metafore meccanicistiche (dall’orologio di Cartesio a quelle, sempre

incentrate sugli orologi, di Leibniz e Boyle) vengono usate per spiegare il funzionamento

dell’universo a preferenza di quelle relative alle parti del corpo (usate nell’antichità, tra gli

altri, da Platone e Tito Livio).

149

Il classico sul rapporto tra scienze umane e scienze della natura è C.P. SNOW, The Two Cultures and a Second

Look: an expanded version of the two cultures and the scientific revolution, Cambridge, 1964, trad. it. Milano,

1970; ma cfr. anche A. FERNÁNDEZ-RAŇADA, Los muchos rostros de la ciencia, Madrid, 2002, trad. it. I mille

volti della scienza. Cultura scientifica e umanistica nella società contemporanea, Bari, 2003. 150

Cfr. R.C. LEWONTIN, Biology as Ideology, The Doctrine of DNA, New York, 1992, trad. it. Torino, 1993. 151

V. da ultimo E. CASTORINA, Scienza, tecnica e diritto costituzionale, in Riv. AIC, n.4/2015, 1. 152

D’altronde è proprio a Hobbes che si deve l’idea di scienza come sistema delle possibili imputazioni causali:

cfr. A.G. GARGANI, Hobbes e la scienza, Torino, 1971, rep. 1983, 253 ss.

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66

La ricerca di regole oggettive sul funzionamento dei corpi politici e delle istituzioni

costituzionali transita a maggior ragione nel razionalismo settecentesco, dove pure Rousseau

definisce macchina la società politica, benché animata da entità spirituali impalpabili come la

volontà generale. Ancor di più Montesquieu ricerca leggi positive conformi all’ordine

generale delle cose, in cui l’esprit si traduce. Non a caso il linguaggio politico-giuridico

britannico attribuirà una connotazione deteriore a engine o machine applicati alle scienze

sociali e preferirà parlare di balance per dare conto della storia dei sistemi politici e della loro

evoluzione.

Il pensiero di Hume contribuisce a riposizionare il ruolo della scienza e della tecnica

rispetto al mondo del diritto. La distinzione tra essere e dover essere, che applicata al diritto

pubblico significa in fondo che le regole istituzionali non possono contraddire la natura delle

cose o almeno interferire con essa153

. Qui la valenza storicistica del pensiero di Hume e degli

autori che ad esso direttamente o indirettamente si ispirano appare evidente rispetto al

razionalismo di marca francese o germanica, e soprattutto del primo, che dall’età

rivoluzionaria sposa chiaramente l’idea che l’ingegneria istituzionale possa prescindere dalla

storia e girare nettamente pagine o costruire ordinamenti politici ex novo, scrivendoli su

pagine bianche154

.

La scienza cambia ruolo con il costituzionalismo contemporaneo, da Weimar alle

Carte del secondo dopoguerra ed oltre. Il costituzionalismo dei valori porta non solo al

superamento della separazione rigida tra istituzioni politiche e società civile, ma anche

all’assunzione della scienza stessa, dell’arte e della tecnica nel quadro assiologico dei valori

da bilanciare e caso per caso ed ordinare ad opera di Corti costituzionali, Parlamenti ed

opinione pubblica. Di qui il compito non solo di protezione ma anche di promozione dello

sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica inserito in carte come la nostra, ma

riecheggiante quelle tedesche del 1848, del 1919 (art. 142), del 1949, e ribadito dall’art. 13

della Carta di Nizza. E dove manca la previsione esplicita, le Corti hanno ricondotto la loro

protezione a forme sviluppate della manifestazione del pensiero o ricavate dalla loro

penombra.

153

Cfr. J.W. DARNFORD, David Hume and the Problem of Reason: Recovering of Human Sciences, New York,

1990 e A. SANTUCCI, Introduzione a Hume, Bari, 2005, 112 ss., nonché le pagine 145-158 del libro di D.

OLDROYD, The Arch of Knowledge. An Introductory Study of the History of the Philosophy and Methodology of

Science, London-New York, 1986, trad. it. Milano, 1989, 2002. 154

Rimane interessante e divertente, in proposito, H. GUILLEMIN, “Cette affaire infernale”, l’affaire J.-J.

Rousseau – D. Hume 1766, Paris, 1942.

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67

La disciplina costituzionale presuppone che la scienza sia libera intrinsecamente, non

subisca coazione, non sia indirizzata autoritativamente o unilateralmente, non subisca

imposizioni. La libertà della scienza tutela sì la libertà dei singoli, ma soprattutto protegge il

valore delle attività scientifiche e tecnologiche in sé e per sé: non per nulla parte della dottrina

tedesca interpretò la libertà della scienza come garanzia istituzionale, tesi peraltro confutata

da Pototschnig nel fondamentale scritto del 1961. Lo stesso tipo di protezione e promozione

non può non essere riservata alle arti (specie a quelle useful, come asserito dall’art. I, sez.

VIII, n. 8 della Carta di Filadelfia, che avendo applicazioni pratiche meritavano copertura

come property intellettuale), e quindi anche alle tecnologie. Si noti come autori tanto diversi

come Heidegger e Marcuse spendano parole molto simili sull’identificazione di arte e tecnica.

Il che non significa, come è noto, assenza di limiti per la libertà, come la salute, la

sicurezza, il consenso informato dei soggetti passivi di eventuali sperimentazioni cliniche, più

recentemente anche i diritti degli animali.

Né implica che ogni ricerca scientifico-tecnologica debba essere finalizzata a scoperte

che producano effetti concreti nell’ordinamento. La ricerca deve sempre poter essere fine a se

stessa, dettata da semplice curiosità teoretica (theoretische Neuger: C.F. von Wieiszäcker) in

autonomia.

Nell’era in cui la natura non è più semplicemente oggetto di studio da parte della

scienza, che ne studia i segreti, mentre la tecnica, in una fase logicamente e cronologicamente

distinta, si sforza di imitarla senza alterarne gli equilibri, ma invece è l’uomo a conquistare la

supremazia sulla natura, mentre scienza e tecnica, unificate in tecnoscienza, la ricreano,

riunendo l’approccio osservativo-constatativo e quello operativo-manipolante, e viene meno

la distinzione aristotelica tra téchne, sapere relativo alla produzione, e phrónesis, sapere

relativo all’agire umano, la tecnica si pone heideggerianamente al centro della realtà effettiva

e come tale, così come presuppone fondamenti etici univoci ed universalmente vincolanti in

cui il dover essere non può prescindere dall’essere, analogamente abbisogna di regole

giuridiche globali e non più locali, che governino sul piano sincronico il suo impatto

universale e su quello diacronico i suoi effetti intergenerazionali, tenendo conto della sua

incidenza sulle dimensioni spazio-temporali.

Nell’età della biotecnologia, o se si preferisce il linguaggio di Jeremy Rifkin, del

passaggio dall’alchimia all’algenia, in cui il controllo creativo-manipolativo della biosfera è

totale, non vi è più fattispecie scientifico-tecnologica che sfugga alla capacità dell’uomo di

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riforgiare la materia e di incidere sull’evoluzione. L’immissione nell’ambiente di organismi

animali o vegetali trattati geneticamente, il loro utilizzo in agricoltura, l’impiego a valle, nel

ciclo alimentare, di prodotti derivati da Ogm anche senza contenerli, la diminuzione della

biodiversità genetica o il suo aumento, la replicazione, la selezione eugenetica possono essere

fonte di straordinari miglioramenti della qualità della vita dell’uomo, per i fautori del

progresso tecnologico ad ogni costo, o fonte di danni irreparabili nello spazio di più

generazioni, per i fondamentalisti ambientali. Ciò che è certo, tuttavia, è che una volta che una

di tali iniziative biotecnologiche ha iniziato ad avere luogo in uno o più ordinamenti statali,

difficilmente si può prevenire l’espansione del fenomeno. La migrazione degli scienziati o la

facile superabilità delle frontiere nazionali da parte di merci sempre più rapidamente

circolabili determinano la globalizzazione delle applicazioni biotecnologiche.

Ne deriva che le regole pubblicistiche destinate a presiedere alla disciplina della

tecnoscienza devono, almeno in prospettiva, collocarsi a livello globale, come d’altronde le

stesse regole etiche, in un comune quadro assiologico, orientato che sia - come si è detto - in

senso sostanzialistico o proceduralistico. Ciò per evitare che singoli governi, gruppi di

interesse, lo stesso mercato finiscano con l’assumere determinazioni vincolanti in fatto per la

scienza e per l’umanità intera.

La separazione di scienza e poteri di imperio non significa che periodicamente, e in

anni recenti sempre più continuamente in ragione dell’accelerazione dello sviluppo

tecnologico, la società civile non possa richiedere l’inserimento in dati normativi di risultanze

(conquiste) di scienza e tecnologia, la cui rilevanza ordinamentale può derivare da esigenze

sociali, politiche o economiche.

In altre parole l’emersione di scoperte o invenzioni o comunque elaborazioni

tecnologiche dallo stato comunità allo Stato ordinamento attraverso il filtro democratico del

riconoscimento di utilità/opportunità/necessità è uno strumento comunicativo tra le due sfere.

Tra l’altro impedisce la prevalenza di un modello tecnocratico autopoietico o

autoriproduttivo, contestato ad esempio da Fisichella155

e Habermas156

. E dà nerbo nuovo alla

democrazia in tempi di tecnologia e globalizzazione. Anche per tenere conto della fallibilità

della scienza, modo di progresso della ricerca scientifica stessa (Popper). Si pensi al diritto ad

internet (Costanzo), con cui taluni ordinamenti costituzionali si aprono al mondo, accettando

tecnologie deterritorializzate, la cui gestione, oltre che l’eventuale controllo del gestore prima

155

Si veda D. FISICHELLA, La rappresentanza politica, Milano, 1983. 156

Si veda J. HABERMAS, Nella spirale tecnocratica. Un'arringa per la solidarietà europea, Roma-Bari, 2014.

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che di soggetti pubblici, può apportare vincoli e violazioni della riservatezza impensabili in

presenza di forme tecnologiche più primitive o meno sviluppate.

Riassuntivamente, come scriveva Felix Frankfurter, la scienza ha avuto di regola

effetti dominanti sull’evoluzione del diritto, promuovendola e favorendola.

Per converso la tecnologia può anche portare a reazioni di segno opposto rispetto al

riconoscimento: tutela, divieti fino a nuovi sviluppi, nuovi diritti contrapposti come reazione a

novità tecnologica. Si ricorda ad esempio, in questo secondo senso, l’episodio della vendita di

un testicolo da un giovane napoletano negli anni ’30 (perché venisse innestato su un cittadino

americano che lamentava la perduta vigoria sessuale)157

e per reazione l’inserimento del

divieto di atti di disposizione del proprio corpo nel codice civile del 1942.

Nello stesso senso l’introduzione del pur meritevole diritto alla privacy158

come

reazione alla fotografia: “Instantaneous pictures have invaded the sacred precinct of private

and domestic life”159

.

In altri casi ancora, si dà l’ipotesi di tentativi di occultamento di scoperte aventi

impatto giuridico sfavorevole e conseguenze economiche pregiudizievoli: si pensi, ad

esempio, alla pericolosità dell’amianto, o alla dannosità per la salute di sostanze alimentari o

principi attivi.

Ma più spesso la scienza e la tecnica comportano adeguamenti legislativi,

giurisprudenziali, amministrativi da parte dell’ordinamento, migliorandolo o almeno

adeguandolo al progresso.

Seguendo Guido Calabresi, si possono citare come esempi l’introduzione

dell’aeronautica e i suoi effetti sia sulla proprietà fondiaria in diritto civile e che nello spazio

aereo sovrastante il territorio in diritto pubblico; la gittata delle armi ed i suoi

condizionamenti sull’estensione del mare territoriale160

; l’invenzione del filo spinato o

157

Su cui: Corte di Cassazione del Regno, II sez. pen., 31 gennaio 1934, in Foro it., 1934, II, c. 146 ss., con nota

di G. ARANGIO-RUIZ, Contro l’innesto Woronoff da uomo ad uomo. 158

Come è noto, del concetto si è debitori a S.D. WARREN, L.D. BRANDEIS, The Right to Privacy, in Harvard

Law Review, Vol. 4, No. 5 (Dec. 15, 1890), 193-220.

159 I casi principali della Corte Suprema in materia di privacy sono: Pierce v. Society of Sisters,268 U.S. 510

(1925), con cui i giudici invalidano l’iniziativa legislativa dell’Oregon volta a introdurre la scuola pubblica

obbligatoria; Griswold v. Connecticut, 381 UY.S. 479 (1965), in cui il diritto fu sancito per la prima volta in

maniera esplicita; i noti Roe v. Wade, 410 U.S.113 (1973) (aborto) e Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003)

(reato di sodomia). 160

Articolo 3 della Convenzione di Montego Bay, secondo il quale ogni Stato è libero di stabilire l'ampiezza

delle proprie acque territoriali, fino ad un massimo di 12 miglia marine, misurate a partire dalla linea di base

(linea di bassa marea indicata nelle carte nautiche).

Page 79: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

70

uncinato (barbwire)161

suscettibile di produrre il passaggio da legislazione pro ranger a

legislazione pro farmer, e comunque anche un mutamento di interpretazione a legislazione

immutata; l’evoluzione della psichiatria e ricadute sulla capacità giuridica ai fini civili e

penali; il mutamento delle categorie economiche circa i meccanismi antitrust (scuola di

Chicago, anni ’60) e le ricadute sui parametri giuridici della disciplina antitrust e le sue

applicazioni; il mutamento di definizione del concetto scientifico di morte e le sue

implicazioni su trapianti, morte assistita e simili162

.

Va poi ricordata, nello stesso senso, la scoperta del DNA con le applicazioni

informatiche su di esso163

, con conseguente mutamento della medicina legale e della

disciplina probatoria nel processo164

. Inoltre, rilevano le neuroscienze e la loro incidenza sullo

sviluppo delle capacità intellettuali dell’adolescente165

: possibili sviluppi si attendono anche

dalla Neuroetica166

.

Lo sviluppo della scienza può avere ed ha in fatto ricadute sulla tutela dei diritti umani

(cfr. ad es. le azioni intentate negli USA avverso aziende farmaceutiche per violazione dei

diritti umani, sulla base dell’Alien Tort Statute, per sperimentazioni umane di nuovi farmaci:

caso Pfizer, giunto alla Corte Suprema che rigetta l’appello per la cessazione della lite. La

161

Abolizione delle open range law; primi casi di trespass e risarcimento a favore dei privati: Lazarus v. Phelps,

156 U.S. 202 (1894), interpreta restrittivamente la legge del Texas nel senso di consentire solo l’accidental

trespass. 162

La morte coincide in Italia ex art. 1 L. 578/1993 con la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni

dell’encefalo». In Usa è stata accettata la definizione fornita nel Uniform Determination Act proposto dalla

National Conference of Commissioners on Uniform State Laws, la quale faceva riferimento alla morte cerebrale,

definizione che peraltro pare aver convinto la maggior parte degli ordinamenti appartenenti alla western legal

tradition. Tuttavia, il New Jersey Declaration of Death Act del 1991 dispone che la morte sia eccezionalmente

fondata su basi cardiorespiratorie quando il medico abbia ragionevoli motivi di credere che il criterio cerebrale

violi le credenze religiose dell’interessato. In Giappone, la maggior parte dei cittadini non accettava di

considerare i propri cari morti pur in presenza di segni tangibili vitali quali il permanere sia pur meccanicamente

assistito del battito e del respiro. Nel 1997 il Parlamento approvò la Organ Transplantation Law che lega alla

volontà dell’individuo il criterio di riferimento per individuare la morte (e in assenza di indicazioni espresse il

criterio rimane quello dell’arresto del battito cardiaco). 163

Ai sensi dell’art. 3 della Carta di Nizza «2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in

particolare rispettati: - il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla

legge, - il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle

persone, - il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, - il divieto della

clonazione riproduttiva degli esseri umani». 164

Primi casi di uso della prova del DNA nel processo: United States v. Jakobetz, 955 F.2d 786 [2d Cir. 1992].

L’ammissibilità della prova scientifica del DNA è soggetta al superamento di un duplice test: Frye o general

acceptance standard e Daubert o relevancy-reliability standard. In base al primo, l’ammissibilità dipende

dall’impiego di una tecnica per l’acquisizione «sufficiently established to have gained general acceptance in the

particular field in which it belongs». Daubert è stato recepito dalle Federal Rules of Evidence e stabilisce

l’ammissibilità della prova che dimostri «any tendency to make the existence of any fact that is of consequence

to the determination of the action more probable or less probable than it would be without the evidence» (Fed. R.

Evid. 401). 165

Si veda la nota Roper v. Simmons, della Corte Suprema, 2005. 166

Cfr. S.J. MARCUS (ed.), Neuroethics: Mapping the Field, San Francisco, 2002.

Page 80: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

71

controversia si conclude poi nel settembre 2009, con il raggiungimento di un accordo tra

l’azienda farmaceutica e il governo nigeriano).

Ancora, lo sviluppo delle biotecnologie ha implicazioni sulla proprietà intellettuale del

materiale umano e genetico167

. Molte possibilità sono aperte dall’operazione di mutamento

del sesso, come ad esempio la creazione della fattispecie del divorzio imposto a seguito di

rettificazione anagrafica del sesso di uno dei coniugi168

.

Molte delle innovazioni recenti sul piano scientifico e tecnologico esaltano la

dimensione transnazionale del diritto sulla base della stessa transnazionalità propria. La

possibilità per i sistemi giuridici di proclamarsi o ritenersi autosufficienti o autarchici viene

ormai progressivamente meno e di solito la chiusura verso le novità scientifiche o il tentativo

di negarle di solito è nel medio periodo destinata a naufragare e produce effetti di boomerang

a carico del sistema negazionista. Da questo punto di vista il ritardo dei singoli sistemi

giuridici va rilevato dal comparatista. Il recepimento varia tra sistemi di common law,

fortemente decentrati e improntati al diritto privato, e sistemi tendenzialmente accentrati a

marca pubblicistica, i quali ultimi però possono essere molto celeri nei recepimenti o lenti ed

ostacolanti l’introduzione di istituti di adeguamento alle novità scientifiche. I sistemi

accentrati sono esposti a maggior rischio, sia in caso di recepimento della novità scientifica

che di rigetto ed occultamento o tentativo di blocco, mentre quelli decentrati, lasciando

167

Non brevettabilità di materiale umano sancita dalla Biotechnology Directive 98/44. Evoluzione del concetto

di embrione umano (non brevettabile) dalla decisione Brustle alla decisione International Stem Cell Corporation

della Corte di giustizia dell’Unione europea. In Brustle si definisce embrione umano «any human ovum after

fertilization … and any non-fertilised human ovum whose division and further developments have been

stimulated by parthenogenesis constitute a ‘human embryo’» [para 38]. In Int’l Stem Cell Corporation la Corte

riconosce che l’ovocita stimolato per partenogenesi (con tecniche chimiche ed elettriche), per considerarsi non

brevettabile non deve semplicemente essere in grado di cominciare il processo di sviluppo in embrione, ma deve

avere un’intrinseca capacità di diventare embrione umano (assente nel caso di specie, essendo l’ovulo attivato

capace di giungere alla fase della blastocisti ma non oltre, mancando del DNA necessario alla formazione della

placenta). «The determination of whether a parthenote has such a capacity is left for the national courts to

determine» [para 36-38]. La pronuncia apre quindi alla brevettabilità del partenote, totalmente esclusa da

Brustle. Nell’ordinamento americano, la Corte Suprema esclude invece la brevettabilità dell’operazione di

isolamento di sequenze di DNA, con particolare riferimento ai geni BRCA1 e BRCA2. I due geni sono, infatti,

ottenuti recidendo i legami chimici che li saldano al DNA, ma l’informazione genetica rilevante ai fini della

brevettabilità dipende dalla sequenza naturale e non dalla composizione chimica della molecola isolata

(Association for Molecular Pathology v. Myriad Genetics, 133 S. Ct. 2107 (2013). 168

La Corte costituzionale italiana (sent. 170/2014) ha sancito l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della

l. n. 164 del 1982 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), nella parte in cui «non prevedono

che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del

consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente

regolato con altra forma di convivenza registrata. Simile orientamento hanno mostrato la corte costituzionale

austriaca (VerfG 8 giugno 2006, n. 17849) e quella tedesca (BVerfG, 1, Senato, ord. 27 maggio 2008, BvL

10/05) nel assegnare prevalenza nel bilanciamento degli interessi all’interesse pubblico alla preservazione del

paradigma eterosessuale del matrimonio.

Page 81: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

72

operare il mercato, dividono il rischio, lo esternalizzano e forse si prestano meno a distorsioni

recettive, ma non per questo sono immuni da errori, che nella globalizzazione sempre più

spesso hanno fonte esterna. Si assume anche (Stalteri) che i sistemi a trazione pubblicistica

affrontino e subiscano maggiori costi indennizzatori a causa dei sistemi di welfare, mentre

quelli a trazione privatistica li assorbirebbero meglio attraverso le assicurazioni e prima

ancora attraverso la dialettica del processo civile. Ma anche questi ultimi hanno pur sempre

bisogno di significativi correttivi pubblicistici.

Quali discipline scientifiche incidono sulla evoluzione del diritto? Principalmente

quelle dure, ma anche quelle umane o sociali (o dello spirito, secondo la formula di Dilthey,

come contrapposte a quelle della natura). Basti pensare allo sviluppo di storia, filosofia,

economia, scienza delle finanze e contabilità, statistica (con i limiti di cui infra), scienza

politica (Sartori), antropologia (Sacco) ed al loro uso sia per il diritto positivo, specie

pubblico, che per il diritto pubblico comparato. E ciò nonostante l’omogeneizzazione dei

principi costituzionali ed, almeno in Europa, delle normative che impongono uniformazione o

almeno convergenza. E nonostante, altresì, la debolezza predittiva delle scienze sociali, che

non si fondano strettamente sul principio di causalità. E nonostante, infine, le dottrine

filosofiche postmoderne che, accostandosi a fenomeni di ampiezza ed intensità sconosciuti in

passato, ne negano l’oggettività, risolvono tutta l’ontologia nello spirito individuale e in

ultima analisi sfociano nel nichilismo o quanto meno nel relativismo assoluto sia

metodologico che fenomenologico (Lyotard, Rorty, Gadamer, Foucault). Proprio per questo le

ricadute sul diritto, specie in termini comparatistici, sono valutabili e magari misurabili solo

se l’ontologia come insieme di fatti complessi assume un carattere formale, e quindi ha un

valore descrittivo, correttivo e neutrale169

, non meramente sociale e quindi soggettivo e

condizionato a visioni valoriali individuali o di parte.

La diversa applicazione o applicabilità del principio di causalità nelle diverse

discipline scientifiche non incide sulle ricadute effettuali delle idee scientifiche sul diritto.

Non importa che esse siano intese alla Stuart Mill come somma delle condizioni necessarie

alla produzione dell’evento o con Galileo come condizione eliminata la quale l’evento non

può verificarsi, o ancora alla Von Buri (1873) come equivalenza delle condizioni, o infine che

si tenga conto di come la fisica quantistica, e le altre scoperte scientifiche del ‘900, hanno

dissolto le concezioni classiche della causalità e delle leggi universali lasciandone

169

Cfr. K. MULLIGAN, M taph sique et Ontologie, in P. Engel (dir.), Pr cis de Philosophie anal tique, Paris,

2000.

Page 82: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

73

sopravvivere i concetti come acquisizioni etologiche ataviche (concezione fisicalistica di

Heisenberg: Einbildungskraft); ovvero ancora che l’approccio sia frequenzialistico, cioè

fondato sulla presa d’atto della crisi della divisione tra scienza e metafisica (dopo Popper) e

quindi sulla rilevanza statistica dei fenomeni, che peraltro non aiuta, avendo già Hume e poi

Popper dimostrato che l’esistenza di successioni regolari di fenomeni non è che un indizio di

correlazione e non prova empirica (se non psicologica): si ricordi l’esempio del gallo che

canta al sorger del sole, o del barometro che varia con il tempo. La logica scientifica è

irrilevante ai fini effettuali, non sussistendo relazione tra le metodologie utilizzate sul versante

scientifico e le ricadute delle acquisizioni scientifiche stesse.

Di seguito, alcuni esempi di recepimento di fattori tecnologici:

1. La libertà informatica. Nasce in Italia nella formulazione di V. Frosini nel

1981170

per la protezione delle banche dati promossa dalla rivoluzione tecnologica, prima di

internet, come estensione della libertà personale in versione negativa, per non rendere di

dominio pubblico certe informazioni di carattere personale, e positiva, nel senso di controllo

su dati usciti dalla cerchia della privacy per essere entrati in un programma elettronico. Indi si

diffonde internet e poi entra in vigore la l. 675/1996, che vale per qualunque trattamento,

elettronico o no. Così il diritto diventa anche un diritto di partecipazione alla società virtuale,

partendo dalla comunicazione e forse dalla manifestazione per diventare qualcosa di non

contenibile nella penombra suddetta, a seguito della tecnologizzazione. La libertà informatica

senza specificazioni entra poi nella Carta portoghese (art.35) e in quella spagnola (art. 18.4),

integrata poi dalla LORTAD e dalla Ley orgánica 15/1999. Indi, con versioni varie, essa entra

nelle Costituzioni del Sudafrica del 1993 (artt.13, 15 e 23), della Russia della stessa data e in

numerose Carte sudamericane per lo più con la garanzia dell’habeas data e spesso

dell’amparo costituzionale171

. Infine, l’art.8 della Carta di Nizza potrebbe avere un effetto

omogeneizzante sulle giurisprudenze costituzionali europee. Non è qui il caso di ricordare la

strabordante produzione della Corte suprema statunitense, che ha anticipato molti temi in

materia e ha aperto la strada a soluzioni poi circolate largamente in Europa.

Merita comunque di essere menzionata Riley v. California, 2014 in cui la Corte

annovera tra le forme di intrusione nella reasonable expectation of privacy le indagini sui

170

Il riferimento è a V. FROSINI, La protezione della riservatezza nella società informatica, in N. Matteucci

(cur.), Privacy e banche dei dati, Bologna, 1981, 37 ss.

171 Si veda T.E. FROSINI, Tecnologie e libertà costituzionali, in Dir. Informatica, 2003, 487 ss. Sia lecito rinviare

anche a G.F. FERRARI, Le libertà. Profili comparatistici, Torino, 2011, soprattutto 333 ss. e, ID., I diritti

fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Milano, 2001.

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metadati contenuti in un dispositivo cellulare. La questione torna di moda in questi giorni con

la richiesta dell’FBI di accedere ai codici interni di apparecchi telefonici di tipo Android ed il

diniego di Google di fornirli, con conseguente ricorso agli hackers per decrittarli.

2. Nasce dal tema precedente ma se ne emancipa presto collocandosi in una

dimensione pubblicistica ben più ampia e nuova, quella della democrazia elettronica di massa,

virtuale e continua, su cui i giudizi si sprecano in tutti i possibili sensi: da strumento di

partecipazione tecnologico a preludio di una dittatura di massa, da tecnologia migliorativa o

integrativa della rappresentanza a incentivo al populismo attraverso l’automazione.

3. Diritto alla riservatezza e all’integrità dei sistemi di IT, elaborato dal

Bundesverfassungsgericht (BVerfG, urt. 27.2.2008, BVerfGE 120, 274) sul presupposto che i

recenti sviluppi di internet determino nuove minacce alla libertà delle comunicazioni. In

questo mutato contesto, il diritto alla riservatezza può essere efficacemente tutelato soltanto

ove sia garantita l’integrità e il corretto funzionamento dell’intero sistema delle

telecomunicazioni digitali.

4. Fine vita. Le risposte degli ordinamenti sono state diversissime. Quasi tutti

peraltro hanno lasciato alla decisione giurisprudenziale di hard cases la risposta. In Italia il

caso Englaro. Negli Stati Uniti la Corte suprema ha risposto sin dal 1990 (Cruzan v. Director,

Missouri Department of Health, 497 U.S. 261), usando sia il procedural due process che le

advance health care directives172

.

5. Privacy e sicurezza nei luoghi di lavoro. In Italia dopo decenni di applicazione

dello statuto dei lavoratori nel senso di proteggere la riservatezza del lavoratore sul luogo di

lavoro e quindi indirettamente la sua dignità, specie allorquando gli strumenti di controllo,

anziché personali, erano meccanici, la riforma del settembre 2015 ha spostato la tutela verso il

merito e le retribuzioni gradate sulla base dei risultati e eliminato la necessità di accordo

172

Il divieto di eutanasia e suicidio assistito tende ad essere in tempi più recenti superato soprattutto per via

giurisprudenziale: Corte costituzionale colombiana, sent. n. 329 del 1997 apre alla non punibilità dell’eutanasia

attiva sostenendo che «La persona quedaría reducida a un instrumento para la preservación de la vida como valor

abstracto». Contra: Corte Suprema degli Stati Uniti, Vacco v. Quill, 521 U.S.793 (1996) e Washington v.

Gluksberg, 521 U.S. 792 (1997), secondo cui il divieto penale dell’assistenza al suicidio anche di malati

terminali non viola la Equal protection clause e la due process clause del XIV emendamento.

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sindacale, valorizzando le esigenze organizzative, della produzione e della sicurezza. Ora però

il garante e i giudici dubitano dell’innovazione e potrebbero sterilizzarla in via interpretativa,

salvi correttivi nella legislazione delegata. Negli USA soluzioni alquanto diverse: nella

pronuncia City of Ontario v. Quon, 2010, in materia di tutela delle comunicazioni elettroniche

sul luogo di lavoro, Justice Kennedy scrive che la Corte «must proceed with care» quando

l’esame del caso concreto implica il confronto con le “nuove tecnologie” e preferisce risolvere

il caso concentrandosi sul nesso di proporzionalità tra la l’indagine avviata dal datore di

lavoro sui dati di traffico di un cercapersone affidato al dipendente e la finalità dell’indagine

stessa, ovvero la verifica dell’utilità del servizio di messaggeria messo a disposizione dei

dipendenti. In particolare, non costituisce sicuramente una violazione della privacy il recupero

delle conversazioni intrattenute se finalizzato a verificare la necessità di sostenere il costo

collegato al particolare contratto concluso con la compagnia che gestisce il servizio.

6. Maternità surrogata. In Italia, in base all’art. 6 della l. 40, il commercio di

gameti o embrioni e la surrogazione di maternità sono puniti con reclusione e pena pecuniaria.

Analogo divieto, variamente penalizzato, vige nei Paesi scandinavi, in Francia, Germania e

Spagna. Sono ammessi invece negli Stati Uniti, in Canada ed in Australia, in Sudafrica, come

in molti ordinamenti asiatici, a cui spesso fanno capo richieste dall’Occidente. In Europa

ammettono la gravidanza su commissione Gran Bretagna e Cipro. Gran Bretagna e Canada

vietano peraltro la retribuzione della madre, come alcuni Stati USA. Il Regno Unito consente

tale procedura ai singles, la Grecia la vieta ai gays e richiede la residenza nel Paese agli

aspiranti genitori ed alla madre naturale.

7. Prelievi ematici e di DNA. In Italia la giurisprudenza fino almeno al 2000

negava la possibilità di sottoporvi l’indagato coattivamente: C. Cost. 238/1996 per mancanza

di norma processuale penale espressa: si trattava del sanguinamento della statuetta di

Civitavecchia. Da un estremo all’altro con il caso Bossetti: 30.000 persone sottoposte a

prelievo coattivo del DNA in totale assenza di sospetti individualizzati alla ricerca di Ignoto

1. Il prelievo coattivo è per esempio previsto da una legge del 2009 in Argentina, ma solo per

il caso dell’identificazione dei figli, illegalmente sottratti, ai desaparecidos, vittime delle

dittatura di Videla.

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Negli Stati Uniti, il prelievo coattivo del DNA, peraltro in assenza di autorizzazione

giurisdizionale, non viola il IV Emendamento se finalizzato alla mera identificazione del

sospettato e se l’estrazione avviene secondo una procedura che non richiede operazioni di tipo

chirurgico o comunque invasivo (Maryland v. King, 596 U.S. _ (2013)).

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SESSIONE POMERIDANA

LE NUOVE FRONTIERE DI SCIENZA E TECNOLOGIA:

DIALOGO E CONFRONTO CON IL DIRITTO

Vincenzo Dovì

(Università di Genova)

E’ talvolta difficile, sia per lo scienziato, sia per il filosofo della scienza, tracciare oggi

un confine netto fra ciò che può essere considerato progresso scientifico e quanto invece

ricade nel campo dell’innovazione tecnologica. Alcune antinomie non risolte, a proposito

delle quali Einstein parlava di fenomeni spettrali, hanno addirittura indotto alcuni scienziati a

mettere in dubbio il principio di realtà, o, quantomeno, ad ipotizzare limiti invalicabili

(«[Nature] …sometimes condescends … to let us know a little about what she is not» [1]).

Altri, in maniera più radicale, semplicemente risolvono i principi scientifici in criteri di

convenienza utilitaristica e attribuiscono al periodo compreso tra la rivoluzione galileiana e i

nostri giorni il valore di un secondo “Achsenzeit”, da considerare sostanzialmente concluso

[2].

Più utile, per il ricercatore che si interroga sui rapporti tra ricerca e diritto e sui limiti

che quest’ultimo può o deve imporre al proprio lavoro, appare la distinzione tra le attività per

le quali i tradizionali paradigmi giuridici non sembrano offrire un sufficiente fondamento e le

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innovazioni che, pur potendo essere considerate estensioni di tecniche già diffuse, non

appaiono esplicitamente menzionate nelle norme giuridiche e per le quali non sono noti (o

appaiono incerti) gli orientamenti giurisprudenziali.

Nel primo caso viene a essere posta in forse la liceità della propria ricerca, nel secondo

caso se ne rallenta lo sviluppo. In entrambi i casi appare comunque determinante la

straordinaria accelerazione nello sviluppo di nuove idee, nuovi prodotti, nuovi processi. Le

norme giuridiche che ne devono regolare l’applicazione, sono invece spesso il frutto di

confronti e dibattiti sociali e di compromessi politici, spesso laboriosi, quasi inevitabilmente

protratti nel tempo. È proprio nell’ottica di conciliare le diverse dinamiche che molti

ricercatori, scienziati e tecnici, cercano e sollecitano il dialogo e il confronto con il Diritto.

Tra le innovazioni che rientrano nella prima classe hanno un ruolo preponderante, per

la loro evidente rilevanza etica e per la giusta attenzione dell’opinione pubblica, le attività

svolte alle frontiere della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica. Un esempio delle

diverse dinamiche in tale ambito è fornito dalla cosiddetta maternità surrogata. Nella

legislatura di vari paesi si è raggiunto, dopo un lungo e travagliato dibattito sociale che ha

portato a soluzioni diverse in società con diverse sensibilità, un consenso di massima tra il

ruolo (e quindi i diritti e i doveri) di madre genetica (che ha donato l’ovocita) e madre uterina

(che ha portato a compimento la gestazione). E tuttavia, questo consenso appare, proprio nel

momento della sua realizzazione, già superato dalla possibilità che le madri siano tre: madre

genetica primaria (ovocita originario), madre genetica secondaria (mitocondri), madre uterina.

Sono questi i cosiddetti “three-mother-babies”, autorizzati dalla Camera dei Lord, senza che,

in accordo peraltro con la tradizione britannica, venisse contestualmente promulgata una

legge quadro sul tema. D’altronde anche questa innovazione appare superata dagli ulteriori

progressi dell’ingegneria genetica: il cosiddetto “gene-editing” di embrioni umani

(autorizzato anch’esso in via sperimentale dalla Camera dei Lord) può aprire la strada ai

“multiparent-babies”.

Ancora più drammatica e gravida di conseguenze appare la possibilità di

manipolazioni genetiche per la creazione di chimere umano-animali (già poste in atto per il

possibile sviluppo di organi da trapianto). Si pone quindi sin d’ora con urgenza, data la

dinamica inarrestabile della ricerca in tali settori, la necessità di identificare queste creature

come soggetti di diritto, riconoscerne i diritti universali ed evitare la creazione di “uomini a

punteggio”, versione moderna di una classe di schiavi, la cui premessa nasce proprio, come

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81

nel passato, dalla negazione della loro natura umana.

ζωή e la possibile riduzione del primo alla seconda da parte del potere costituito è già da

tempo oggetto di analisi e di studio [3], relativamente recente è invece la possibilità che lo

stato di eccezione che costituisce la premessa di tale biopolitica trovi la propria origine al di

fuori sia del potere costituito, sia del potere costituente, ma venga piuttosto a questi imposto

da un numero ristretto di esperti, in grado di esercitare una sorta di stato di eccezione

permanente grazie alla dinamica del progresso conoscitivo e tecnico da loro controllato.

L’ingegneria genetica costituisce il tema dominante nel dialogo tra ricerca e diritto, ma

altre discipline pongono alla società sfide non meno importanti.

Si possono citare a tale proposito i progressi della robotica antropomorfa e

dell’intelligenza artificiale. Anche escludendo, per lo meno nel prossimo futuro, la possibilità

che sistemi costruiti dall’uomo acquistino coscienza “forte” di sé stessi [4] e divenga quindi

imperativo riconoscere loro diritti inalienabili, è tuttavia diffusa la convinzione che gli stessi

saranno in breve in grado di assumere decisioni autonome (cioè non previste dallo schema

costruttivo) in ambito amministrativo, finanziario, produttivo, militare. Questa eventualità

imporrebbe una problematica revisione dei termini di responsabilità civile e penale, essendo

la stessa attribuibile a un sistema depersonalizzato e distribuito.

Un ulteriore esempio è fornito dai progressi della neuropsicologia. Negli Stati Uniti la

capacità di intendere e di volere è stata spesso valutata dai tribunali sulla base di teorie

compatibilistiche di natura filosofica [5]. I recenti progressi della neuropsicologia sembrano

porre il Diritto di fronte a un dilemma doloroso [6]: ignorare i risultati della ricerca e

considerare la pena il giusto castigo per chi ha, in piena libertà, commesso un crimine oppure

dispensare consapevolmente la pena come strumento di un ordine sociale da proteggere a chi,

per i condizionamenti inerenti alla sua struttura genetica, non poteva agire diversamente.

Altri esempi potrebbero infine essere citati.

Anche le innovazioni di natura tecnica che non sono esplicitamente menzionate nelle

norme giuridiche e per le quali, in caso di contenzioso, è usuale il ricorso allo strumento

dell’analogia, costituiscono un tema cruciale a causa dell’accelerazione impetuosa del

processo innovativo in settori vitali dell’industria e dei servizi e per la ricaduta che

l’incertezza sugli orientamenti giurisprudenziali può avere sugli investimenti e quindi sulla

competitività dell’intero tessuto produttivo. E’ diffusa, tra gli investitori, la convinzione che la

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rimozione di lacune normative per la realizzazione di innovazioni tecniche non previste (o

non protette) incoraggerebbe la diffusione e l’ulteriore sviluppo tecnologico.

Alcuni esempi, soprattutto se collegati a tecnologie informatiche, sono oggetto di

cronaca quotidiana (dai servizi di trasporto automobilistico privato organizzati da Uber alla

responsabilità dei gestori di reti libere WiFi per eventuali attività illecite dei propri clienti).

In realtà si tratta di un problema presente in tutti i campi. Nel settore energetico, ad

esempio, l’introduzione di cicli a fluido organico ha reso economicamente vantaggioso il

recupero di calore da sorgenti a basse temperature (fino a 70-80 °C) per la realizzazione di

sistemi di teleriscaldamento. Anche impianti di medie dimensioni (non necessariamente “too

big to fail”) prevedono flussi di correnti in quest’intervallo termico in grado di rifornire un

numero limitato di utenti. Le garanzie per questi ultimi in caso di fallimento della società

fornitrice (e quindi di sospensione del servizio) rientrerebbero nell’ambito del diritto

fallimentare, ma la priorità delle loro richieste non appare a molti potenziali utenti

sufficientemente definita e protetta.

Specularmente, la pretesa del Diritto di “stimolare” l’innovazione sulla base di

estrapolazioni non razionali può condurre a risultati controproducenti. Il caso delle emissioni

dei motori Diesel della Volkswagen (e presumibilmente di altre imprese) mascherate, in fase

di collaudo, da un sistema fraudolento è la conseguenza di un insanabile contrasto tra una

specificazione di limiti all’emissione di sostanze nocive e l’adozione di un BAT in contrasto

con tali limiti.

Infine, e si tratta probabilmente del problema di più difficile soluzione, la crescente

complessità strutturale dei sistemi tecnologici, ambientali e sociali oggetto di indagini

giudiziarie pone serie difficoltà interpretative all’analisi peritale e alla comprensione degli

organi giudicanti. E’ la cosiddetta “curse of complexity” [7].

A tale “maledizione” è talvolta possibile sfuggire se l’inferenza statistica assicura la

verifica di ipotesi con un margine di fiducia sostanzialmente prossimo alla certezza. Così, ad

esempio, l’inquinamento provocato dall’acciaieria di Taranto o la responsabilità per

l’epidemia di mesonteliomi a Casale non lasciano sostanziali margini di incertezza.

In altri casi può risultare difficile stabilire una relazione causa-effetto. I modelli a cui

quindi si deve ricorrere contengono un numero elevato di variabili e gli schemi interpretativi

debbono essere necessariamente semplificati. E’ così possibile arrivare a risultati divergenti.

Il Petrolchimico di Marghera e l’inquinamento della laguna di Venezia ne sono forse

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l’esempio più noto in Italia a causa del forte impatto mediatico della vicenda giudiziaria e

dell’elevato livello scientifico dei periti coinvolti.

Di fronte a questa complessità, il giudice, nella sua veste di “peritus peritorum”, è in

grado di accertare i margini di incertezza statistica e il grado di semplificazione alla base di

molte perizie di sistemi complessi?

A conclusione di queste righe, è forse opportuno menzionare le difficoltà che scienza e

tecnologia da una parte e diritto dall’altra probabilmente incontreranno nel loro confronto. In

particolare, è possibile che il concetto di stato di eccezione permanente, imposto da un

progresso continuo e accelerato, costituisca una contraddizione nei termini. Può infatti uno

stato di eccezione essere permanente e garantire la rifondazione di paradigmi giuridici con la

necessaria frequenza o sarà necessario ricorrere a un principio metagiuridico?

La Camera dei Lord sembra aver trovato una risposta a questo dilemma in una forma

di pragmatismo tipicamente anglosassone, dichiarando sostanzialmente lecite le applicazioni

tecnicamente possibili, salvo sanzionare (forse nello spirito del Common Law) eventuali abusi

caso per caso.

Il Principio di Precauzione viene spesso invocato come criterio fondante, ma la sua

applicazione sistematica comporterebbe la sua automatica perdita di efficacia. D’altronde

l’utilizzo di criteri per deciderne, caso per caso, l’applicabilità, rischierebbe di generare una

catena infinita di metacategorie che difficilmente potrebbe condurre a un diritto positivo.

E’ comunque necessario e urgente che il confronto abbia luogo. L’alternativa, cioè

l’accettazione passiva e incontrollata dell’innovazione tecnologica non sarebbe positiva per la

nostra convivenza civile. E non sarebbe positiva per l’avanzamento della conoscenza.

Riferimenti bibliografici

[1] D’ESPAGNAT, BERNARD, (2006), On Physics and Philosophy, Princeton University Press,

Princeton (USA).

[2] HORGAN, JOHN (1996), The End of Science: Facing the Limits of Science in the Twilight of

the Scientific Age, Broadway Books, New York (USA).

[3] AGAMBEN, GIORGIO, (2003), Lo stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino (italy).

[4] HOLLAND, OWEN, (2003), Machine consciousness, Imprint Academic, New York, (USA).

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84

[5] FRANKFURT, HARRY, (1971), Freedom of the Will and the Concept of a Person, Journal of

Philosophy 68, 5-20.

[6] JONES, MATTHEW, (2003), Overcoming the Myth of Free Will in Criminal Law: the true

impact of the genetic revolution, Duke Law Journal, 52(5), 1031-1053.

[7] BELL, SUZANNE, (2008), Crime and Circumstance: Investigating the History of Forensic

Science, Praeger Publishers, Westport (USA).

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GIUDICI ORDINARI, SCIENZE E TECNICHE:

LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO

Maria Teresa Bonavia

(Primo Presidente della Corte di Appello di Genova)

SOMMARIO: 1. Le concrete, effettive implicazioni del principio, secondo cui iudex

peritus peritorum est. – 2. a) Natura della consulenza tecnica d’ufficio; b) summa divisio:

consulenza deducente e consulenza percipiente. – 3. Valore probatorio della consulenza

tecnica di parte. – 4. Unicità del consulente tecnico di parte.

1. Le concrete, effettive implicazioni del principio, secondo cui iudex peritus

peritorum est

Premesso che l’espressione lessicale “consulenza tecnica” vale a individuare l’ambito

tematico processuale di riferimento nel settore civile, posto che gli artt. 220 e ss. c.p.p.

designano il corrispondente istituto come “perizia”, appare opportuno muovere dal rilievo

che, allorquando si tratta di consulenza tecnica d’ufficio, è pressoché automatico l’immediato

correre del pensiero al noto brocardo iudex peritus peritorum, la cui portata, per così dire,

evocativa, potrebbe indurre a concepire in maniera riduttiva l’apporto di cognizioni tecniche

nel processo ad opera dell’ausiliario del giudice.

Invero, a tale brocardo, richiamato ancora dalla più recente giurisprudenza di

legittimità, formatasi, in materie estremamente variegate e disparate, segnatamente, in

relazione al vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 18860 del 2015; Cass. n. 12703 del 2015; Cass.

n. 4967 del 2015; Cass. n. 871 del 2015; Cass. n. 17757 del 2014; Cass. n. 9222 del 2014;

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Cass. n. 6085 del 2014; Cass. n. 19577 del 2013; Cass. n. 17376 del 2012; Cass. n. 9854 del

2012) non è dato riconnettere alcuna connotazione intesa a configurare come marginali e di

secondaria importanza le conclusioni raggiunte in sede di elaborato di consulenza tecnica

d’ufficio.

In particolare, estremamente significativo si appalesa il caso, in cui era stata proposta

dalla società, titolare fin dal 1983 dei diritti di sfruttamento dell’opera musicale “On va

s’aimer”, domanda di accertamento che detta opera non costituiva plagio del brano “Une fille

de France” composto negli anni ‘70 dai convenuti, i cui diritti di sfruttamento erano stati

trasferiti dall’originaria titolare ad altra società, anch’essa convenuta in giudizio, avendo i

convenuti richiesto la reiezione della domanda attorea e, in via riconvenzionale, pronuncia di

condanna degli attori, tra loro in solido, al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla

violazione dei diritti di utilizzazione economica e/o all’illecito sfruttamento dell’opera, con

inibizione di tale ulteriore condotta (v. Cass. n. 9854 del 2012, cit., sentenza molto

interessante anche sotto il profilo del richiamo ai principi che chiariscono il concetto giuridico

di creatività, cui fa riferimento la norma dell’art. 1 della L. n. 633 del 1941).

L’insegnamento al riguardo espresso dalla Suprema Corte, ai fini del tema che ne

occupa, risulta compiutamente formulato nei seguenti termini: «I primi due motivi del ricorso

principale possono essere esaminati congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale

della Universal Music Italia in quanto convergono tutti nel censurare la sentenza impugnata

laddove ha riconosciuto il carattere di originalità all’opera musicale Une fille de France che si

assume plagiata.

La Corte d’appello ha accolto e fatto proprie le valutazioni delle due CTU ed ha con la

sentenza ampiamente motivato sulla scorta delle argomentazioni della CTU in ordine alla

originalità dell’opera Un fille de France.

A tale proposito è appena il caso di ricordare che quando il giudice di merito accoglie

le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione

è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di

confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi

implicitamente disattese. (Cass. 3519/01; Cass. 6882/02; Cass. 3191/06; Cass. 7806/98; Cass.

12630/95).

Tuttavia, qualora le parti muovano alla consulenza argomentati rilievi e

contrappongano specifici elementi di comparazione non presi in esame dal consulente, detto

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giudice non può limitarsi a disattenderli con generiche e non controllabili affermazioni di

adesione agli accertamenti dell’ausiliario, ma è tenuto ad una più puntuale e dettagliata

motivazione che ne dimostri le ragioni dell’infondatezza, o comunque quelle per le quali

devono comunque essere preferiti questi ultimi (Cass. 9178/06; Cass. 4140/2003; Cass.

11711/1997; Cass. 7150/1995).

Da ciò consegue peraltro che la parte, la quale deduca il vizio di motivazione della

sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo specifico le deduzioni formulate nel

giudizio di merito, delle quali il giudice non si sia dato carico, non essendo sufficiente un

generico richiamo agli atti del giudizio di merito (Cass. 19475/05) e ciò al fine di consentire a

questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito di valutare l’omissione o

l’incongruenza della motivazione in relazione a specifiche censure avanzate.

Nel caso di specie, nei due motivi del ricorso principale nulla è stato dedotto in ordine

alle critiche avanzate alla CTU nella fase di merito. Le doglianze appaiono pertanto

inammissibili perché tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente

tecnico risolvendosi in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di

motivazione previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 8355/07; Cass. 17606/07; Cass.

12080/00)».

2. a) Natura della consulenza tecnica d’ufficio

Il diritto civile, inteso quale modalità di potenziale regolamentazione di tutte le

relazioni intersoggettive tra privati, consiste nelle fonti codicistiche, di cui al codice civile e,

quanto a tale profilo, al codice della navigazione nonché alle leggi speciali. Alla varietà

dell’ambito oggettuale, al quale attengono le situazioni giuridiche sostanziali, nelle quali si

articolano le fattispecie concrete, corrisponde, dal punto di vista della dinamica processuale,

la cognizione dei più disparati rami della conoscenza scientifica e lo strumento per l’ingresso

nel processo di siffatte nozioni è la consulenza tecnica.

La tradizionale concezione della consulenza tecnica d’ufficio, secondo cui non si tratta

di un mezzo di prova, ma di un mezzo di valutazione delle prove acquisite nel giudizio,

continua a essere costantemente affermata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, in

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perdurante correlazione con il divieto di disporre consulenze tecniche d’ufficio meramente

esplorative.

In tale prospettiva, esemplificativamente, si collocano: Cass. n. 7639 del 2015 («La

consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la mera

funzione di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti, ed è quindi

legittimamente negata qualora la parte che la richiede intenda supplire in tal modo alla

deficienza delle proprie allegazioni ovvero a far compiere un’indagine esplorativa alla ricerca

di fatti e circostanze da essa non dimostrati, pretendendo in tal modo di essere esonerata

dall’onere probatorio»); Cass.n. 1299 del 2014 («La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo

istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di

elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne

consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la

parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte

tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di

compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati»);

Cass. n. 26151 del 2011 («La consulenza non rientra nella disponibilità delle parti ma è

rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale esattamente decide di escluderla ogni qual

volta si avveda che la richiesta della parte tende a supplire con la consulenza la deficienza

della prova o a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze

non provate»); Cass. n. 2663 del 2013 («La consulenza tecnica d’ufficio anche se non

costituisce un mezzo di prova in linea di massima rappresenta una fonte oggettiva di prova

quando si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche

cognizioni o strumentazioni tecniche. L’accertamento della verità processuale attraverso

l’indagine esplorativa del consulente supportata dall’estensione del mandato da parte del

giudice e autonomi quesiti rispetto a quelli posti dalle parti è ammissibile se rappresenta

l’extrema ratio»); Cass. n. 1266 del 2013 («La consulenza tecnica d’ufficio costituisce un

mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati

dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnico-scientifiche, e non un mezzo di

soccorso volto a sopperire all’inerzia delle parti. La stessa, tuttavia, può eccezionalmente

costituire fonte oggettiva di prova per accertare quei fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di

un perito. Ne consegue che, qualora la consulenza d’ufficio sia richiesta per acquisire

documentazione che la parte avrebbe potuto produrre, l’ammissione da parte del giudice

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comporterebbe lo snaturamento della funzione assegnata dal codice a tale istituto e la

violazione del giusto processo presidiato dall’art. 111 Cost. sotto il profilo della posizione

paritaria della parti e della ragionevole durata»).

In controtendenza rispetto a tale consolidato indirizzo si pone Cass. n. 2663 del 2013

(«La consulenza tecnica d’ufficio anche se non costituisce un mezzo di prova in linea di

massima rappresenta una fonte oggettiva di prova quando si risolve nell’accertamento di fatti

rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche.

L’accertamento della verità processuale attraverso l’indagine esplorativa del consulente

supportata dall’estensione del mandato da parte del giudice e autonomi quesiti rispetto a

quelli posti dalle parti è ammissibile se rappresenta l’extrema ratio»). Invece, in piena

sintonia con il consolidato indirizzo giurisprudenziale, sopra richiamato, si colloca Cass. n.

17399 del 2015 («La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio

costituisce un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare

adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti,

dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla

valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere

l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto

accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un

accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a

fronte di una domanda di parte in tal senso (nella specie, documentata attraverso l’allegazione

di un certificato medico indicativo del nesso di causalità tra la sindrome depressiva lamentata

e la condotta illecita del convenuto), costituisce una grave carenza nell’accertamento dei fatti

da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza»).

2. b) summa divisio: consulenza deducente e consulenza percipiente

Siffatta distinzione appartiene a un ormai consolidato indirizzo ermeneutico della

giurisprudenza di legittimità, al riguardo espressasi nel senso che: «Il giudice del merito può

affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti

(consulente deducente) ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). In

tale ultimo caso la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova. Perché il

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giudice possa disporre una siffatta consulenza è necessario e sufficiente, da un lato, che la

parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto, dall’altro, che il giudice ritenga

che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche» (ex plurimis v. Cass. n. 4792 del

2013 in caso di accertamento della responsabilità medica; Cass. n. 18993 del 2010 in materia

estimativa nell’ambito dell’espropriazione; Cass. n. 6155 del 2009, Cass. n. 3990 del 2006 in

tema di responsabilità da realizzazione di opere e interventi di ristrutturazione).

Nel novero delle più recenti enunciazioni di tali principi, si collocano, senza voci

dissonanti, in particolare, Cass. n. 1190 del 2015 («In tema di risarcimento del danno, è

possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio ed alle correlate indagini peritali

funzione percipiente, quando essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto

un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui

dispone». In applicazione del principio, la S.C. ha riformato la sentenza impugnata, che aveva

ritenuto esplorativa la consulenza d’ufficio, richiesta in ordine alla quantificazione del danno

per il mancato utile conseguente alla bloccata commercializzazione di un immobile, senza

dare alcuna spiegazione sulle ragioni per le quali i dati già acquisiti non consentissero di

verificare l’esistenza di detto danno); Cass. n. 22225 del 2014 («In tema di responsabilità

medico-chirurgica, allorché la consulenza tecnica d’ufficio - che pure di norma presenta in

tale ambito natura percipiente - formuli una valutazione, sull’efficienza eziologica della

condotta della struttura sanitaria rispetto all’evento di danno come meno probabile che non,

tale esito è correttamente ignorato dal giudice, atteso che, in applicazione del criterio della

regolarità causale e della certezza probabilistica, l’affermazione della riferibilità causale del

danno all’ipotetico responsabile presuppone, all’opposto, una valutazione nei termini di più

probabile che non»); Cass. n. 1181 del 2014 («Il giudice può affidare al consulente tecnico

non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti - consulente

deducente -, ma anche quello di accertare i fatti stessi - consulente percipiente -. Ciò, peraltro,

non significa che le parti possano sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei

propri diritti all’attività del consulente. È necessario, invece, che la parte deduca quanto meno

il fatto che pone a fondamento del proprio diritto, che il giudice ritenga che il fatto sia

possibile, rilevante e tale da lasciare tracce accertabili, comunque, da poter essere ricostruito

dal consulente, che l’accertamento richieda cognizioni tecniche che il giudice non possiede e

che, infine, il consulente indaghi sui fatti prospettati dalle parti e non su fatti diversi». Nella

specie, ha precisato la Suprema Corte, il giudice ha affidato al C.T.U. l’incarico di accertare:

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a) le caratteristiche della finestra; b) la distanza del suo lato inferiore dal pavimento della

stanza illuminata; c) le dimensioni e funzioni della canna fumaria; d) l’epoca di installazione

dell’impianto di riscaldamento e dell’ampliamento della finestra e sua qualificazione. La

consulenza - dunque - ha concluso la Suprema corte, ha avuto per oggetto l’accertamento di

fatti che presuppongono particolari competenze tecnico-costruttive che il giudice

normalmente non ha e conseguentemente l’accertamento deve ritenersi ammissibile e

regolarmente espletato); Cass. n. 14 del 2014 («La consulenza tecnica d’ufficio, non essendo

qualificabile come mezzo di prova in senso proprio – perché volta ad aiutare il giudice nella

valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questi necessitanti specifiche

conoscenze – è sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del

giudice di merito. Quando i fatti da accertare necessitano di specifiche conoscenze tecniche il

giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o i dati per

esistenti – consulente deducente – ma anche quello di accertare i fatti stessi – consulente

percipiente –. In tale ultimo caso la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di

prova, essendo necessario e sufficiente che le parti alleghi il fatto che pone a fondamento del

suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.

Deriva da quanto precede, pertanto, che nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale

di paternità la prova della discendenza biologica bene può trarsi unicamente dall’esito

positivo delle indagine tecniche officiose, di indole ematologica e genetica»); Cass. n. 20695

del 2013 («Benché le parti non possano sottrarsi all’onere probatorio a loro carico invocando,

per l’accertamento dei propri diritti, una consulenza tecnica di ufficio, non essendo la stessa

un mezzo di prova in senso stretto, è tuttavia consentito al giudice fare ricorso a quest’ultima

per acquisire dati la cui valutazione sia poi rimessa allo stesso ausiliario, c.d. consulenza

percipiente, purché la parte, entro i termini di decadenza propri dell’istruzione probatoria,

abbia allegato i corrispondenti fatti, ponendoli a fondamento della sua domanda, ed il loro

accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche». Così statuendo, la Suprema Corte ha

cassato la sentenza impugnata che aveva respinto, ritenendola carente di prova, una domanda

risarcitoria per danni cagionati da abuso di posizione dominante, benché l’attore avesse ab

initio allegato l’insieme delle ripercussioni negative derivategli dall’applicazione di una

normativa nazionale contrastante con l’ordinamento comunitario, al cui accertamento aveva

altresì tempestivamente chiesto darsi seguito con un’istanza, non accolta, di C.T.U. finalizzata

alla quantificazione di tali danni); Cass. n. 4792 del 2013 («In caso di accertamento della

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responsabilità medico-chirurgica, attesa l’innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche

necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma alla loro stessa rilevabilità, la consulenza

tecnica presenta carattere percipiente, sicché il giudice può affidare al consulente non solo

l’incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti medesimi, ponendosi

pertanto la consulenza, in relazione a tale aspetto, come fonte oggettiva di prova»); Cass. n.

15157 del 2012 («Anche se, in linea generale, la consulenza tecnica di ufficio non può essere

disposta al fine di esonerare la parte dal relativo onere probatorio, quando non vi sia altro

mezzo per giungere all’accertamento richiesto che quello di demandarlo a chi sia dotato di

speciali competenze tecniche, il giudice può incaricare il consulente non solo di valutare i fatti

accertati o dati per esistenti, consulenza deducente, ma anche di accertare i fatti stessi,

consulenza percipiente. In tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva

di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento dei suo

diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche».

Nella specie, la Corte ha ritenuto che, nel procedimento di riconoscimento della paternità, la

compatibilità immunogenetica costituisce possibile elemento di prova che può essere

acquisito con l’espletamento di una C.T.U., che il giudice può richiedere d’ufficio);

Cass. n. 7364 del 2012 («In tema di motivazione della sentenza, il principio secondo il

quale non è carente di motivazione la sentenza che recepisce per relationem le conclusioni ed

i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il

merito, può trovare applicazione anche con riferimento a consulenze disposte ed esperite in

altro giudizio, anche aventi funzione non solo deducente ma anche percipiente, sebbene in tale

caso la valutazione del giudice deve essere più rigorosa, e devono essere rese chiaramente

ostensibili in motivazione le ragioni per le quali, nonostante la oggettiva diversità dei fatti

storici esaminati dalla c.t.u. e quelli esaminati nel giudizio pendente, i rilevamenti di fatto

compiuti dall’ausiliario e le conclusioni da questo raggiunte possano essere in tutto od in parte

trasposti anche nel nuovo giudizio». Nella specie, la C.T.U. di altro giudizio, su cui si era

fondata per relationem la decisione impugnata, aveva avuto ad oggetto la rilevazione

dell’ubicazione di fondi soggetti a opere di bonifica, l’individuazione di tali opere e la verifica

della funzionalità ad arrecare beneficio ai fondi, sebbene i giudizi si riferissero a periodi e a

fatti storici diversi.).

Non mancano, d’altronde, risalenti enunciazioni del principio in argomento (cfr. Cass.

n. 6155 del 2009; Cass. n. 24620 del 2007; Cass. n. 4743 del 2007; Cass. n. 3990 del 2006;

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Cass. n. 1020 del 2006; Cass. n. 27002 del 2005; Cass. n. 13401 del 2005; Cass. n. 10871 del

1999; Cass. Sez. Un. n. 9522 del 1996.)

3. Valore probatorio della consulenza tecnica di parte

Il dato univocamente fornito in proposito dalla giurisprudenza di legittimità é nel

senso che la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva

di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui

all’art. 345 c.p.c., è ammissibile anche in appello, con l’ulteriore conseguenza che il giudice

di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto,

quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e

conformi al parere del consulente tecnico d’ufficio.(cfr. Cass. Sez. Un. n. 13902 del 2013;

Cass. n. 16552 del 2015; Cass. n. 259 del 2013;

Cass. n. 2063 del 2010; Cass. n. 5687 del 2001; Cass. n. 15572 del 2000; Cass. n.

11190 del 1998; Cass. n. 3405 del 1988).

4. Unicità del consulente tecnico di parte

Appare opportuno un breve cenno alla giurisprudenza della Corte di Appello di

Genova, maturata presso la Prima Sezione Civile, segnatamente in tema di consulenza tecnica

d’ufficio, alla stregua della quale, è consentita la designazione di un solo consulente tecnico

per ciascuna parte.

A tale esito ermeneutico ha indotto la formulazione testuale dell’art. 201 c.p.c.

(«Consulente tecnico di parte. I. Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del

consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione

ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico. II. Il consulente della parte, oltre ad

assistere a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa

all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice,

per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati

delle indagini tecniche») e dell’art. 87 c.p.c. («Assistenza degli avvocati e del consulente

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tecnico. I. La parte può farsi assistere da uno o più avvocati, e anche da un consulente tecnico

nei casi e con i modi stabiliti nel presente codice»), disposizioni normative che individuano

rigorosamente al singolare siffatto ruolo processuale, l’ultima delle quali specificatamente in

contrapposizione alla pluralità dei difensori.

Inoltre, in tal senso ha avuto occasione di pronunciarsi la giurisprudenza

costituzionale, allorquando, investita della questione di illegittimità costituzionale dell’art.

323 comma ultimo del codice di procedura penale previgente -nella parte in cui nei

procedimenti instaurati nei confronti di più imputati attribuiva al giudice istruttore il potere di

valutare, discrezionalmente e senza la previsione di alcun mezzo di gravame, la sussistenza di

conflitto di interessi tra gli imputati e, in caso negativo, il potere di ridurre a due il numero dei

consulenti tecnici - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., ha affermato che: «Dalla norma

impugnata non discende alcuna interferenza con la libertà della linea difensiva, essendo priva

di consistenza la considerazione che il consulente comune, determinato per effetto del

provvedimento del giudice, si limiti a svolgere argomentazioni valevoli per tutti senza tener

conto degli aspetti particolari relativi a ciascun imputato. Così operando, infatti, i consulenti

mancherebbero al loro dovere ed è compito del difensore di vigilare (anche facendosi assistere

stragiudizialmente da altro specialista di fiducia) sul loro operato fino a segnalarne al giudice

l’incompatibilità per insanabile e pregiudizievole contrasto con le esigenze della difesa» (cfr.

Corte cost. n. 345 del 1987).

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Giorgio Pastori

(Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

La seconda sessione ha offerto l’occasione di una duplice riflessione sul tema del

Convegno: “Diritto, scienze e tecnologie” lungo la traccia delineata nelle considerazioni

introduttive di Piera Vipiana.

Dapprima, riprendendo le problematiche già affrontate nella sessione del mattino, si è

posta l’attenzione sulla questione apicale che il grande progresso scientifico e tecnologico da

tempo ha fatto sorgere nei rapporti con il diritto, circa lo stesso modo di concepire il diritto.

Si è detto più volte ed autorevolmente che il diritto ha perso le sue coordinate e i suoi

riferimenti valoriali tradizionali per essere come “fagocitato” dalla tecnica, quasi a

identificarsi con la tecnica per la capacità che questa avrebbe ormai di trasformare la realtà del

mondo e dettare le nuove regole dei comportamenti umani.

La relazione del prof. Dovì nell’illustrare quali sono stati e quali sono i progressi della

ricerca scientifica e delle nuove possibilità tecnologiche, specie nel campo delle bioscienze,

ha ampiamente mostrato come oggi il rapporto fra diritto e tecnica possa giungere a far

considerare la tecnica fonte del diritto, in particolare quando ha ricordato la pronuncia della

inglese Camera dei Lords secondo cui ciò che è tecnicamente fattibile è anche giuridicamente

lecito.

Ma ad affermazioni come questa, che paiono ammettere una sorta di non più

contrastabile primato della tecnica sul diritto come regola dei comportamenti umani, non si

può non opporre il diverso primato che forse non attiene al diritto in quanto tale, al diritto in

quanto tecnica di regolazione della vita sociale, ma più propriamente ai fini e ai valori a cui il

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96

diritto non può non essere ordinato. Sono i fini e i valori fondativi dell’esistenza del diritto

stesso e alla cui promozione e realizzazione esso è ordinato, quali sono richiamati anche dalla

nostra Costituzione quando all’art.2 pone alla base dell’ordinamento da essa instaurato

l’affermazione dei diritti inviolabili dell’uomo e, contestualmente, dei doveri inderogabili di

solidarietà politica, economica e sociale.

In tal senso, è indubbio che scienza e tecnica certamente possono concorrere e

concorrono a creare nuove possibilità e strumenti per la migliore e più ampia realizzazione dei

principi di libertà, eguaglianza e solidarietà che devono presiedere ad ogni organizzazione

politica e sociale, ma non possono esse stesse stabilire i fini e i limiti del loro impiego.

Quando si dice che il diritto è scienza umana, è tecnica e arte per l’uomo, non si fa

altro che ribadire la necessità che innanzitutto il diritto si faccia strumento di attuazione e di

protezione di quei diritti e doveri. Ma si ribadisce anche che le possibilità offerte dalla scienza

e dal suo impiego tecnico siano sottoposte al vaglio di un parallelo giudizio di valore che

scienza e tecnica non possono dare a se stesse e che deve invece accompagnare sempre

l’incontro fra possibilità nuove di intervento nel mondo reale quali offerte dai progressi

scientifici e tecnologici e la loro regolazione.

Così il rapporto fra diritto e tecnica è inevitabilmente un rapporto di incontro e dialogo

reciproco tale per cui il diritto non può non ampliare incessantemente il suo oggetto e

aggiornare i suoi schemi normativi alla luce dei risultati e delle evenienze emergenti dal

mondo scientifico e tecnico. La norma giuridica diventa sempre più norma tecnica e questa

diventa a pieno titolo norma giuridica. Ma nel medesimo tempo il diritto, in quanto portatore

dei valori, che esso incorpora rappresenta la misura, il parametro secondo cui l’incontro e

l’integrazione fra i due mondi devo avvenire.

Di qui il secondo ordine di riflessioni a cui specialmente le altre relazioni del prof.

Munari, della Presidente Bonavia ,del Consigliere Caputo e gli interventi del pomeriggio sono

stati dedicati: circa il modo in cui l’integrazione fra diritto e normazione tecnico-scientifica

sta avvenendo in sede di applicazione giurisprudenziale e possa meglio effettuarsi.

Le relazioni, come gli interventi, hanno guardato all’esperienza di diverse

giurisdizioni: dalla Corte di giustizia europea, alla nostra giustizia costituzionale, alla

giurisdizione ordinaria civile, alla giurisdizione amministrativa. Ma il nucleo problematico,

con cui si sono confrontate le diverse giurisprudenze, sembra essere stato il medesimo.

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97

La norma tecnica richiede, per le nozioni e i concetti a cui fa riferimento, di essere

interpretata e applicata con l’apporto di esperti e specialisti delle singole scienze e discipline.

Ma le valutazioni e i giudizi tecnico scientifici, per l’intrinseca natura delle conoscenze e delle

discipline applicate, appaiono il più delle volte paradossalmente caratterizzati da soggettività,

incertezza, provvisorietà o dall’ essere l’esito di un’analisi di tipo probabilistico o meramente

statistico (con riguardo, come spesso si segnala, all’accertamento del rapporto causa ed effetto

nei giudizi di danno e responsabilità). Ma ciò non può andare a detrimento della pienezza e

dell’effettività della tutela che la giurisdizione e il processo devono sapere offrire ai diritti e ai

doveri , alle posizioni giuridiche soggettive in gioco. In tale prospettiva, come già notava

Bachelet, l’interpretazione e l’applicazione della norma tecnica deve essere sottoposta ad uno

scrutinio anche più rigoroso di quello operato in sede di giudizio di diritto.

Sempre più oggi, come peraltro già in passato, il nodo problematico centrale e comune

è dato quindi dal modo in cui possa essere acquisito e integrato nel giudizio di diritto, nel

processo e nella decisione , la valutazione o il giudizio di carattere tecnico- scientifico.

Ad una stagione del passato in cui era parso doversi riconoscere il più ampio spazio

riservato al giudice nella valutazione di tutti gli elementi, anche di carattere tecnico-

scientifico, che concorrevano a formare la decisione di diritto ( quale espresso dal notissimo

brocardo judex peritus peritorum ), è via via subentrata in maniera sempre più rilevante la

tendenza a dare spazio alla componente tecnico-scientifica in ragione della crescente

complessità degli accertamenti e delle valutazioni da esperire. Nel medesimo tempo si è

tuttavia affermata la parallela esigenza di assicurare, nella dinamica del processo decisionale,

la più compiuta protezione delle posizioni giuridiche soggettive di fronte alla soggettività e

l’incertezza degli esiti che gli accertamenti e le valutazioni tecnico-scientifiche possono avere

o produrre.

Perciò, da un lato, si è avuto un indubbio ampliamento del ruolo e dell’apporto degli

esperti e tecnici nell’esercizio della giurisdizione e del processo. Dall’altro, si è assistito

inevitabilmente però ad una più approfondita ricerca e affinamento dei criteri in base ai quali

il giudice possa sindacare l’apporto degli esperti, sempre nello spirito di assicurare alle

posizioni giuridiche in gioco la pienezza della necessaria tutela giurisdizionale.

Da un lato, si è potuto constatare come in tutte le giurisdizioni considerate si siano

sempre più estensivamente assicurati pur in varie forme la presenza e l’apporto degli esperti

nello svolgimento del processo. Si pensi, fra gli esempi offerti dalle relazioni, alla

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98

valorizzazione della consulenza tecnica d’ufficio nella giurisdizione ordinaria civile e

all’introduzione della CTU da ultimo nella giurisdizione amministrativa di legittimità. Questa,

come è noto, vedeva confinate all’ambito del merito sostanzialmente insindacabile le

valutazioni tecniche complesse dell’amministrazione ( la c.d. discrezionalità tecnica )

limitando quindi l’effettività della tutela offerta al ricorrente, mentre ora queste sono state

ricondotte al campo della sindacabilità anche attraverso l’ausilio della consulenza tecnica

d’ufficio come previsto ora dal codice del processo amministrativo (d.lgs.104 del 2010).

In generale le relazioni e gli interventi hanno in ogni caso convenuto sul fatto che non

vi possono esservi ragioni che giustifichino un self restraint del giudice e lo esimano dal

prendere in considerazione gli aspetti tecnico-scientifici rilevanti per la decisione delle

questioni sottoposte a giudizio.

D’altro lato, le relazioni hanno posto particolare attenzione su ciò che costituisce il più

delicato e problematico punto di snodo nell’acquisizione giurisprudenziale degli accertamenti

e delle valutazioni tecnico-scientifici, vale a dire i criteri che il giudice applica per sindacare

gli apporti degli esperti e gli esiti di questi.

Come si è potuto rilevare, i giudici delle varie giurisdizioni hanno elaborato una

gamma più avanzata di criteri di giudizio ( si veda in tal senso specialmente la giurisprudenza

europea ), così da essere pur sempre il giudice il peritus peritorum, ma in una forma più

analitica ed aggiornata.

Si pensi infatti ai criteri di giudizio interni alla stessa elaborazione del “parere”

tecnico-scientifico e che da tempo la giurisprudenza applica (anche nella giurisdizione

amministrativa) nell’intento di realizzare un sindacato forte delle valutazioni tecniche

complesse con riguardo non solo alla ragionevolezza e alla logicità delle valutazioni

formulate, ma anche all’attendibilità dei metodi applicati nell’effettuare tali valutazioni e alla

concordanza delle (e con le) indicazioni provenienti dalla comunità scientifica di riferimento

(oltre che mediante il necessario confronto dialettico fra gli esperti nel processo).

Si pensi inoltre ai principi e ai criteri di giudizio per così dire di carattere esterno che

da tempo la giurisprudenza applica specie nel campo della tutela dell’ambiente e della salute,

come in particolare il principio di precauzione, e che mirano a stabilire un bilanciamento fra

l’incertezza dei dati e delle valutazioni scientifiche e la esigenza di tutela delle posizioni

giuridiche soggettive individuali e collettive.

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99

Non mancano talora, è vero, i giudici che si sovrappongono agli stessi periti e, come è

capitato anche al legislatore, si fanno loro stessi indebitamente scienziati e tecnici. Talaltra

non mancano per converso le voci favorevoli ad un sindacato debole dei giudizi tecnici o alla

devoluzione delle questioni tecniche ad organismi specializzati dotati di poteri decisori ad

hoc.

E’ invece sulla strada di un’integrazione critica e dialettica del giudizio tecnico nel

giudizio di diritto che pare avviarsi il corso prevalente della giurisprudenza ed è questa anche

l’indicazione su cui vi è stata una significativa convergenza delle relazioni e degli interventi

segnando il cammino da seguire.

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PARTE SECONDA

COMUNICAZIONI

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SCIA: I PROFILI DI RESPONSABILITÀ DEL PROGETTISTA ABILITATO E

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA DISCIPLINA, A SEGUITO DI UNA RECENTE

PRONUNCIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Davide Bisio

(Cultore della materia diritto amministrativo -

Università del Piemonte Orientale Alessandria)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La responsabilità del progettista. – 3. Brevi riflessioni sulla

recente pronuncia della Corte costituzionale in materia di scia.

1. Premessa

Il rapporto esistente tra scienza, tecnica e diritto deve tener conto di un istituto particolarmente

significativo: quello della segnalazione certificata di inizio attività.

La scia si colloca nel processo di liberalizzazione e mira a facilitare le attività di impresa e dei

privati con l'inizio del suo esercizio tramite una segnalazione certificata. Si riduce lo spazio del potere

autoritativo della pubblica amministrazione e si amplia la libertà del privato. La scia si applica in una

vasta gamma di casi, ma vigono numerose esclusioni: laddove esistano vincoli di natura ambientale,

culturale, paesaggistica o inerenti la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, la

cittadinanza e ulteriori ipotesi173

. I casi saranno elencati in modo più dettagliato nel D.lgs. cui fa

riferimento il D.lgs. n. 126 del 2016.

Perché tali operazioni siano svolte correttamente è necessario allegare certificazioni,

attestazioni o asseverazioni di tecnici abilitati. Il tutto nel rispetto delle attività di verifica che la P.A.

deve svolgere.

173

Articolo 19, comma 1, legge 241/1990.

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104

Questo dimostra la centralità del ruolo del tecnico e l’importanza dei relativi profili di

responsabilità di quest'ultimo, in particolare alla luce del parere del Consiglio di Stato sullo schema di

“decreto scia”. Tale parere ridimensiona i poteri della pubblica amministrazione, rendendo, di

conseguenza, più pregnante l'intervento del tecnico174

.

I risvolti pratici della sua attività si riverberano in modo concreto sulla vita di tutti i giorni,

consentendo di capire il reale legame esistente tra questi precipui aspetti e il ruolo del diritto che si

intreccia e compenetra con la scienza e le tecnologie molte più volte di quanto si possa pensare.

2 .La responsabilità del progettista

Sul punto è centrale comprendere il ruolo del progettista, come figura professionale. Assume

rilevanza significativa nelle fasi di manutenzione del patrimonio edilizio e la normativa di riferimento

è senza dubbio l'articolo 19 della Legge 241 del 1990, il dettato del TUE 380/2001 e la Legge

122/2010.

Per quanto riguarda la legge 122/2010, bisogna prendere contatto con il comma 6 dell’articolo

19 della Legge 241 del 1990 che recita: “Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle

dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o

attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la

reclsione da uno a tre anni”.

Si delinea chiaramente una responsabilità di tipologia penale, posta in capo ai soggetti che

necessariamente devono rendere:

- dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto concerne gli stati,

le caratteristiche personali e i fatti riconducibili negli articoli 46, 47 del TU di cui al d.p.r. 28 dicembre

2000, n. 445;

- attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati175

;

- dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese176

;

Relativamente invece al TUE 380/2001, l'articolo 29, comma 3 prevede, per il progettista, la

qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità177

.

Il richiamo alla pubblica necessità, pone il rinvio all'articolo 481 del codice penale, in cui

rientrano i “delitti contro la pubblica fede”.

Si tratta di un articolo rubricato “falsità ideologica in certificati commessa da persone

174

Consiglio di Stato, parere 30 marzo 2016, n. 839, articolo 2. 175

Corredate da elaborati tecnici indispensabili per permettere i controlli di spettanza dell'amministrazione. 176

Legge 133/2008, relativamente all'esistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo dell'articolo

19, comma 1, Legge 241/1990. 177

Articolo 359 e 481 codice penale.

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105

esercenti un servizio di pubblica necessità”. Pertanto tra questi soggetti rientrano i privati che

svolgono professioni sanitarie, forensi o ulteriori professioni il cui esercizio sia concesso solo dopo

abilitazione prevista a livello statale.

Accade che se uno dei soggetti tenuto ad esercitare un servizio di pubblica utilità attesta il

falso, in un certificato, viene punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da € 51 a € 516.

Queste pene si applicano in via congiunta se il fatto è commesso a scopo di lucro178

.

Il tecnico asseverante la scia permane un soggetto da intendersi come esercente un servizio di

pubblica utilità e, sul punto, è utile elencare le tipologie di sanzioni previste dal codice penale. Sono

una pluralità di casi che sono riconducibili, in primis, alla falsità materiale, commessa dal pubblico

ufficiale in atti pubblici, dal pubblico ufficiale in certificazioni o autorizzazioni amministrative, dal

pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti179

. In

secondo luogo vi è la falsità ideologica, commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, dal pubblico

ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, da persone che svolgono un servizio di pubblica

necessità o dal privato in atto pubblico180

.

Il comma 6 dell’articolo 19 della 241 non distingue tra falsità materiale e ideologica al di là

dalle qualifiche che può assumere il soggetto e non specifica se le attestazioni richieste siano da

intendersi come certificati o atti.

La disciplina del codice penale viene conseguentemente in soccorso, colmando quella

genericità insita nel comma 6, certamente non d'aiuto per una corretta ed esauriente comprensione del

tema.

Con un occhio alla giurisprudenza appare però consolidato l'orientamento che riconosce il

valore certificativo dell'asseverazione del progettista, ciò in forza del richiamo espresso che l’articolo

29, comma 3, del TUE fa dell'articolo 481 del codice penale, relativamente alla falsità ideologica di

certificati181

.

Altro aspetto da analizzare riguarda il termine dei lavori e le incombenze burocratiche relative.

Il T.U. D.p.r. 380/01 non prevede la dichiarazione di fine lavori per i casi di scia e permessi di

costruire, piuttosto richiede il deposito di un “certificato di collaudo finale”, inteso alla stregua di un

collaudo amministrativo182

. Nei casi delle opere sottoposte alla CIL/CILA non è previsto, in modo

espresso, salvo quanto disposto, in via implicita, nella disposizione inerente l'accatastamento

178

Sono altresì applicabili le sanzioni sostitutive previste dagli articoli 53 e ss della legge 689/1981 179

Articoli 476, 477, 478 codice penale. 180

Articoli 479, 480, 481, 483 codice penale. 181

Cfr. Cass. Pen. Sez III, sentenza, 18 luglio 2010, n. 27699; Cass. Pen. Sez. III, sentenza 19 gennaio 2009, n.

1818 182

D.p.r. 380/01, art. 23, comma 7: ultimato l'intervento, il progettista o tecnico abilitato rilascia un certificato di

collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al

progetto presentato con la denunci di inizio attività.

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106

demandato ai comuni183

.

L'espressione insita nell'articolo 23 del D.p.r. 380/01 “laddove integrata con la comunicazione

di fine lavori” conduce a ritenere che operi per tutti quegli interventi di edilizia libera di cui al comma

2 dell'articolo 23 o, necessariamente, facenti rinvio a:

1) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b),

ricomprendendo l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre non riguardanti

parti strutturali del fabbricato;

2) le opere finalizzate a soddisfare esigenze temporanee;

3) le opere di finitura di spazi esterni e pavimentazione;

4) i pannelli solari, fotovoltaici fuori dalla zona A) del D.M. 1444/68

5) le aree ludiche e le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei

fabbricati adibiti a esercizio di impresa.

Questa strutturazione, voluta dal legislatore, pare non ricomprendere l'esercizio della fine

lavori ai rimanenti interventi di edilizia libera:

1) interventi di manutenzione ordinaria;

2) eliminazione barriere architettoniche;

3) attività di ricerca;

4) i movimenti di terra pertinenti l'esercizio dell'attività agricola;

5) le serre stagionali mobili.

Si tratta quindi di attività in cui il ruolo del progettista abilitato riveste rilevante centralità così

come nell'ipotesi in cui si voglia beneficiare della detrazione fiscale. Si tratta del caso della detrazione

fiscale del 65 % in cui, oltre ad una serie di altri adempimenti, è necessario presentare una relazione

tecnica asseverata da un professionista abilitato (geometra, architetto, ingegnere, perito industriale,

agronomo e perito agrario). Il tecnico deve certificare che gli interventi realizzati rispondono ai

requisiti di legge indicati agli artt. 6-9 del decreto del ministero dell'economia e delle finanze 19

febbraio 2007184

.

Tema poi molto importante è quello della presentazione del documento unico di regolarità

contributiva (DURC) in cui può collocarsi l'intervento del progettista abilitato. Questo documento

integra l’attestazione dell’assolvimento, da parte dell'impresa, degli obblighi legislativi e contrattuali

nei confronti dell'INPS, INAIL e Cassa edile. Le procedure telematiche oggi semplificano l’iter e le

imprese possono chiedere il documento attraverso il portale INAIL e INPS.

183

D.p.r. 380/01, art. 23, comma 5: riguardo agli interventi di cui al comma 2, la comunicazione di inizio lavori è

valida anche ai fini di cui all'articolo 17, primo comma, lettera b), del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n.

652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, ed è tempestivamente inoltrata da

parte dell'amministrazione comunale ai competenti uffici dell'Agenzia delle entrate. 184

D.M. 19 febbraio 2007. Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del

patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell'articolo 1, comma 349, della L. 27 dicembre 2006, n. 296.

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107

Il DURC contiene il risultato delle verifiche effettuate sulla posizione contributiva

dell'impresa e il termine massimo per l’emissione del documento è oggi fissato in trenta giorni185

Ulteriore argomento degno di particolare importanza riguarda il profilo della responsabilità del

tecnico abilitato esercente il ruolo di direttore dei lavori. Indiscusso che questi sia penalmente

responsabile per i reati edilizi, salvo l’ipotesi d'esonero insita nell'articolo 29 del d.P.R. 6 giugno 2001,

n. 380. Si tratta di un caso peculiare in cui l'attività di edificazione non è conforme alle direttive del

permesso di edificazione, nell’ipotesi di non regolare vigilanza sull'esecuzione delle opere. Sempre da

tenere a mente che il direttore dei lavori deve vigilare con continuità sulle opere della cui esecuzione

ha assunto la responsabilità tecnica186

.

Di conseguenza si comprende che la responsabilità penale del direttore dei lavori di un

intervento seguente al regime del permesso di costruire è quella insita nell'articolo 29 del TUE187

. La

responsabilità del direttore deve sempre ritenersi sussistente tranne che nella limitata ipotesi in cui

abbia contestato agli altri soggetti la violazione del permesso, fornendo all'autorità amministrativa

motivata e contestuale comunicazione dell'avvenuta violazione e rinunciando al suo incarico.

Ampliando il discorso può essere interessante prendere contatto con la giurisprudenza che si è

più recentemente occupata dell'aspetto della responsabilità del direttore dei lavori in merito alla

sicurezza sul lavoro. Le risposte all’articolato tema giungono da una pronuncia della Corte di

Cassazione che ritiene non sussistente sempre questa responsabilità, ma solo limitatamente alle ipotesi

in cui al direttore “venga affidata una diversa e più ampia estensione dei compiti anche attraverso

comportamenti (…) che possano testimoniare in modo inequivoco l’ingerenza nell'organizzazione del

cantiere o l'esercizio di tali funzioni”188

.

3. Brevi riflessioni sulla recente pronuncia della Corte costituzionale in materia di scia

Altro argomento è quello inerente l'attuale disciplina della scia alla luce della pronuncia della

Corte costituzionale di quest’anno, statuizione fondamentale che determina una stabilità per l’istituto,

almeno in materia edilizia189

.

Di certo è molto importante anche rendere nota la relativamente recente tendenza a ridurre

l'operatività della scia, in virtù della comunicazione di inizio lavori e della comunicazione inizio lavori

185

Convenzione per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva tra INPS e INAIL,15 aprile 2004,

articolo 4. 186

Cfr. Cassazione n. 38924 del 2006. 187

Cfr. Cass. Pen. Sez III, sentenza 14 luglio 2010, n. 27258. 188

Cass. Pen. Sez IV, sentenza 17 giugno 2015, n. 29792. 189

Corte costituzionale, n. 49/2016.

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108

asseverata190

. Riduzione che però non ha escluso gli interventi volti a garantire la stabilità della scia e

in cui ha avuto grande peso la riforma Madia191

. Si sono limitati i casi in cui si ha un apporto

successivo al termine dei 60 e 30 giorni, rendendolo accettabile fino ai 18 mesi, nelle ipotesi di

riscontrabile e motivato interesse pubblico; oltre i 18 mesi se la scia è stata conseguita con

dichiarazioni e documenti falsi e il fatto risulti da una sentenza192

. La stabilità che la scia ottiene, in

questo modo, rischia di essere lesa nel momento in cui entra in gioco la tutela del terzo: in

quest'ipotesi la P.A. potrebbe adottare i provvedimenti interdittivi senza limitazioni temporali193

.

Le esistenti perplessità possono essere superate con i decreti legislativi attuativi previsti

dall'articolo 5 della legge Madia, in cui il governo è delegato a identificare i procedimenti

amministrativi da portare a termine con autorizzazione tacita e quelli da predisporre in modalità

espressa. L’obiettivo è rinviare a decreti successivi che meglio chiariscano l’articolato tema. Decreto

legislativo da citare è senz'altro quello del 30 giugno 2016, n. 126. L’articolo 3 del decreto apporta

alcune modifiche alla legge n. 241 del 1990, introducendo, in particolare, l’articolo 18-bis, in merito

alla presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni.

La scia è stata oggetto di un recente parere del Consiglio di Stato da cui comprendiamo come

essa implichi delle attività caratterizzate non “da una libertà incondizionata di iniziativa economica,

ma da una subordinazione alla legge rispetto al possesso di requisiti e presupposti, la cui sussistenza

garantisce, di per sé ,la tutela dell'interesse pubblico e l’armonizzazione della situazione soggettiva

del denunciante con gli interessi potenzialmente confliggenti”. Sempre il medesimo parere qualifica e

riconduce la scia “nell’ambito delle attività libere, anche se conformate dalle leggi amministrative,

sottoposte alla successiva verifica della sussistenza dei requisiti di tale conformazione da parte delle

autorità pubbliche”194

Superata questa nota di carattere introduttivo, focalizziamo l'attenzione sulla pronuncia della

Corte costituzionale che appare significativa per l’argomento trattato.

La Corte ha esaminato, a seguito di rinvio del Tar Toscana, l'articolo 84 bis della legge

regionale n. 1 del 2005 che prevede un potere di controllo su alcuni interventi edilizi maggiormente

impattanti. Si tratta di un caso in cui il vaglio si può effettuare anche oltre il termine dei trenta giorni

dalla presentazione della scia195

.

L'articolo 84 bis viene impugnato per quanto concerne il secondo comma dove, per gli

190

v.d.l. 17, dl. 133/14 conv dalla Legge 164/14 “Sblocca Italia”. 191

Legge 124/2015. 192

Cfr. articolo 19, comma 4, Legge 241/1990, che pone il rinvio alla disciplina dell'articolo 21 nonies. 193

Ex articolo 19, comma 6 bis, Legge 241/1990- cfr. Tar Veneto 21 12 2015, n. 1338, Tar Piemonte 1 7 2015, n.

1114. 194

Parere Consiglio di Stato, n. 839/2016. 195

Da ricordare che l'articolo in questione è stato applicato dal Consiglio di Stato senza che il Consiglio abbia

rilevato un'incoerenza tra la norma e il dettato dell'articolo 19 della Legge 241/1990; Cfr. Consiglio di Stato,

sentenza 6/03/2015, n. 1146.

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109

interventi di minor portata, prevede l'adozione di provvedimenti inibitori e sanzionatori anche

successivamente al decorso del termine dei trenta giorni. Il tutto sempre che vi sia difformità

dell'operazione rispetto alle norme urbanistiche. Il Tar che propone il rinvio fa presente che vi è un

palese contrasto tra tale comma e il disposto dell'articolo 19 della 241, infatti la norma permetterebbe

all'amministrazione di esercitare poteri sanzionatori in una più ampia gamma di casi, esorbitando dal

dettato della legge sul procedimento amministrativo.

Sul punto, la Corte costituzionale ritiene fondato il ragionamento del Tar e accoglie il ricorso.

La Corte, parlando della scia, ritiene che essa sia connotata da “una struttura complessa e non si

esaurisca, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori: una

prima, di ordinaria attività di controllo dell'Amministrazione; una seconda, in cui può esercitarsi

l'autotutela amministrativa. Non vi è dubbio che anche le condizioni e le modalità di esercizio

dell'intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione,

debbano considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la

individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di

resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall'Amministrazione successivamente alla maturazione

degli stessi. La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è parte integrante di quella del titolo

abilitativo e costituisce con essa un tutt'uno inscindibile”196

.

La questione preminente è quella dell'autotutela: si pone nel rapporto tra potere amministrativo

e il suo possibile riesercizio. Il tutto sempre nella considerazione della tutela che, ad ogni modo, deve

essere garantita all'affidamento del privato.

Ulteriore punto saliente che la Corte rileva è quello secondo cui la normativa regionale, così

strutturata, si è posta nell'ottica di sostituire i principi fondamentali dettati dal legislatore, incidendo in

chiave peggiorativa sui cardini propri della 241. Si delinea quindi un'invasione della riserva di

competenza statale.

I rischi concreti sono, evidentemente, la lesione della certezza e dell’unitarietà della disciplina.

La Corte opta per un ragionamento ricostruttivo che tiene in considerazione il dettato dell’articolo 19 e

dell’articolo 21 della 241 per giungere ad un'affermazione: la scia non permette un intervento

repressivo, successivo alla scadenza del termine dei trenta giorni197

.

Evidente dissonanza tra la norma regionale in questione e la norma statale risiede nella

previsione, a livello regionale, della possibilità di esercizio di un intervento di tipologia negativa, per

chi avvia la segnalazione, anche successivamente alla scadenza del termine breve.

In definitiva si comprende che l'illegittimità della norma regionale risiede proprio nel fatto che

le disposizioni statali, interpretate correttamente, non permettono mai l'esercizio della vigilanza dopo

196

Corte costituzionale, n. 49/2016. 197

Certamente se siamo nella materia edilizio-urbanistica.

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110

la scadenza del termine di intervento dei trenta giorni.

Queste affermazioni confermano una netta soglia di stabilità che permea la scia così si

struttura una notevole incentivazione all’usufruire della stessa, dotata di omogeneità e tratti

particolarmente vantaggiosi per chi mira ad intraprendere attività in cui l'istituto sia passibile di

utilizzo.

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SEVESO: QUARANTA ANNI DOPO

Maria Pia Giracca

(Dottore di ricerca in diritto amministrativo)

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Attività pericolose tradizionali e attività a rischio

di incidente rilevante. – 3. Direttiva Seveso e Seveso bis. – 4. Direttiva Seveso ter e il relativo

recepimento. – 5. Responsabilità. – 6. Conclusioni.

1. Introduzione

Un interessante spunto di riflessione per contribuire al complesso e stimolante tema

proposto dal Convegno “Diritto Scienza e Tecnologia” é offerto dal quarantesimo

anniversario della catastrofe di Seveso198

.

Il 10 luglio 1976 si sprigionava dall'industria chimica della società Icmesa Givaudan,

sita nel Comune di Seveso, una nube tossica diffusa dal vento nel territorio circostante.

L'incidente si era verificato in un reparto ove si produceva triclorofenolo (composto chimico

di base per la realizzazione di cosmetici e disinfettanti ospedalieri). A seguito dello scoppio di

un reattore, la temperatura interna superava i 300 gradi cosicché il triclorofenolo si

trasformava in un composto altamente tossico, denominato TCDD (Tetraclorodipenzop-

198

Per alcuni giorni l'incidente veniva minimizzato, senza suggerire alcuna cautela alla popolazione. A seguito di

moria di animali da cortile alimentati con erba fresca e della comparsa dei sintomi della cloracne (malattia della

pelle) solo dopo nove giorni la società Givaudan ammetteva che tra le sostanze fuoriuscite poteva trovarsi

diossina. Le autorità disponevano l'allontanamento della popolazione dalle zone contigue all'azienda e

stipulavano una convenzione con la Clinica del Lavoro di Milano per il controllo sistematico e periodico della

popolazione per quindici anni. L’incidente procurò una grave contaminazione ambientale con morie di animali,

conseguenze sanitarie per i lavoratori dello stabilimento e ripercussioni psicologiche su tutti i soggetti che si

trovavano in una situazione di incertezza circa le proprie condizioni di salute presente e futura. Per una

ricostruzione dei fatti v. D. BIANCHESSI, La Fabbrica dei profumi, Milano 1995;.

Page 121: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

112

diossina), o più semplicemente diossina. Il dibattito sulla necessità della regolamentazione

delle attività industriali che producono sostanze pericolose si sviluppa dopo l'incidente del

1976. L'evento ha innescato infatti una rivoluzione dal punto di vista politico e istituzionale,

economico e sociale, tecnologico e legislativo199

. Le istituzioni comunitarie, avvertita la

lacuna rispetto alle problematiche di sicurezza e tutela della popolazione e dell'ambiente,

hanno quindi avviato l'iter di normazione dei rischi connessi ad attività pericolose.

La Direttiva 82/501/CEE sui “rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività

industriali”, a tutti nota come Direttiva Seveso I, rappresenta quindi nel panorama normativo la

risposta comunitaria ai gravi incidenti che, dagli anni '70, avevano messo in luce l'insufficienza dei

controlli e la necessità di delineare procedure comparabili in tutti gli Stati membri.

La vicenda di Seveso, primo incidente industriale noto e documentato avvenuto all'interno di

uno stabilimento con conseguenze rilevanti anche sul territorio circostante, ha costituito dunque anche

uno dei primi banchi di prova dell'innesto del diritto sull'albero della scienza e della tecnica, con lo

scopo precipuo di diminuire l'incidenza del rischio tecnologico e di introdurre un sistema di

prevenzione degli incidenti.

Rispetto alla prima versione si sono imposti nel tempo rilevanti aggiornamenti e importanti

modifiche, da ultimo concretizzate nell'emanazione della Direttiva 2012/18/UE (c.d. Seveso ter)

recepita con il d.lgs. 26 giugno 2015, n. 105, che sostituisce le Direttive 96/82/CE (c.d. Seveso bis) e

2003/105/CE (c.d. Seveso bis II).

Nella sua ultima versione, gli obiettivi della Direttiva europea sono molto chiari:

“stabilire norme volte a prevenire gli incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze

pericolose e limitare le loro conseguenze per la salute umana e per l'ambiente al fine di

assicurare in modo coerente ed efficace un elevato livello di protezione in tutta l'Unione” (art.

1).

Una breve riflessione sul passato pare dunque utile sia per fare il punto sulle politiche

attuate e sulle conseguenze pratiche che ne sono derivate a posteriori, sia per offrire un

monito alle generazioni presenti circa l'efficacia dei principi di prevenzione e precauzione.

199

Il caso Seveso é stato definito (B. POZZO, Seveso trent'anni dopo: percorsi giurisprudenziali, sociologici e di

ricerca, Giuffrè, 2008) l'emblema di tutte le problematiche che si sviluppano a seguito di grandi incidenti

industriali per la necessità di accertare la effettiva pericolosità delle sostanze, la scelta delle misure da adottare,

la bonifica dei siti, la paura della popolazione, l'accertamento delle responsabilità.

Page 122: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

113

2. Attività pericolose tradizionali e attività a rischio di incidente rilevante

Ancora prima dell'avvento della normativa comunitaria, nell'ordinamento nazionale

era già noto il tema dell'impatto prodotto sull'ambiente da un certo tipo di lavorazioni

industriali.

Il r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 (t.u. delle leggi sanitarie), tuttora in vigore, poneva il

problema della compatibilità tra talune tipologie di attività produttive, la salubrità

dell'ambiente, la salute dell'uomo, definendo “lavorazioni insalubri” le “manifatture o

fabbriche che producono vapori, gas, esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo

pericolose per la salute degli abitanti”200

.

L'evoluzione industriale e il progresso della tecnica, con il corrispondente

potenziamento dei processi produttivi, hanno creato nuovi pericoli e occasioni di incidenti

imprevisti e incontrollati, che hanno evidenziato la necessità di intervenire con una

regolamentazione specifica per prevenire il “rischio” di incidenti rilevanti.

L'introduzione del concetto di “rischio” in un testo legislativo costituisce dunque una

novità assoluta della Direttiva Seveso, dal momento che le regole di prevenzione avevano

ruotato, sino a tale momento, solo intorno a concetti tradizionali di “pericolo” e di “danno”.

La presente riflessione potrebbe a questo punto scivolare sul terreno del rapporto tra

“rischio” e “pericolo”, sull'esame della responsabilità civile per attività rischiose, sulle

funzioni della responsabilità civile rispetto ai principi europei di prevenzione e precauzione.

Tale deviazione non pare tuttavia indicata e pertinente nel breve contesto di una

comunicazione, in cui sarà sufficiente accennare ad un dato di tipo definitorio.

Il concetto di pericolo201

ha origini civilistiche ed é misurabile, concretizzandosi nella

possibilità che si verifichi un evento dannoso. Il termine rischio che ha impegnato i più noti

civilisti202

può essere inteso in una pluralità di accezioni. Nel settore ambientale, tuttavia, esso

indica la probabilità di un incidente che dia luogo ad un pericolo per la salute umana e per

200

Gli art. 216 e 217 distinguono due categorie di stabilimenti industriali: industrie da cui può derivare “danno o

pericolo di danno” per la salute (da isolare nelle campagne e tenere lontano dalle abitazioni) e stabilimenti per il

cui esercizio si richiedono cautele per salvaguardare il vicinato. 201

Nell'ordinamento civilistico il termine compare in diverse disposizioni (tra cui gli artt. 890, 1171, 1172, 2045,

2046, 2050 c.c.) oltre che nell'art. 700 c.p.c. allorché può diventare determinante per la concessione di forme di

tutela cautelare ove il danno possa interessare diritti assoluti come la vita e la salute. 202

La teoria del rischio é stata studiata a P. TRIMARCHI (Rischio e responsabilità oggettiva, Milano 1961); nonché

G. ALPA e CALABRESI, che ritiene che “la disciplina della responsabilità civile debba essere organizzata in modo

che responsabilità e rischi ricadano sui soggetti che meglio di chiunque possano realizzare questo scopo e che

con varie tecniche possano incorporare nel prezzo tutti i costi del prodotto”.

Page 123: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

114

l'ambiente all'interno o all'esterno dello stabilimento. Dunque nel campo ambientale il rischio

si riferisce sia all'agire interno dell'attività d'impresa, per l'obbligo di costruire un sistema

capace di prevenire gli incidenti, che all'agire esterno, per il possibile verificarsi di eventi

imprevedibili e pregiudizievoli idonei a fare scattare le regole di responsabilità.

3. Direttiva Seveso e Seveso bis

Con la Direttiva del 1982 sul rischio di incidenti rilevanti si avvia un percorso che

rappresenta una svolta nella cultura industriale in materia di sicurezza e prevenzione.

Invertendo l'impostazione tradizionale della normativa ambientale incentrata sul

regime autorizzatorio, si introduce l'obbligo in capo al “fabbricante” (responsabile dell'attività

industriale) della valutazione dei rischi e il dovere di comunicazione dei medesimi, per fornire

alle amministrazioni competenti gli elementi utili all'attività di vigilanza e prevenzione.

La ratio di una scelta legislativa, che si concentra sulla autonotifica del fabbricante, si

coglie nella considerazione secondo cui, nelle imprese ad elevata tecnologia e nelle industrie

chimiche altamente specializzate, l'imprenditore é il soggetto più qualificato al controllo

perché dotato della conoscenza dei processi industriali del proprio settore e del relativo

bagaglio tecnico.

Va tuttavia sottolineato che, nel provvedimento di recepimento della originaria

normativa europea (D.P.R. 175/1988), più severo della stesa direttiva, non sono mancati punti

deboli. La nuova disciplina presentava tanti fattori critici dovuti all'assenza di una visione

sistematica della materia ed al frazionamento di competenze tra amministrazioni statali, locali

e altri enti, il tutto aggravato dall'inadeguatezza, sotto il profilo tecnico, dell'apparato

amministrativo di controllo.

Si é sottolineato che la normativa dettata dal D.P.R. 175/1988 si basava su una

procedura tanto farraginosa e contraddittoria da essere definita dallo stesso Ministro

dell'Ambiente “un labirinto senza uscite”, mentre l'intreccio e la sovrapposizione di

competenze in sede centrale (ministri ambiente e salute) e locale (regione e prefetto) si

risolveva in “paralizzanti conflitti di competenze”203

.

203

P. DELL'ANNO, La disciplina dei rischi industriali tra adeguamento comunitario e complicazioni nazionali, in

Ambiente, 2000, n. 9, 815.

Page 124: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

115

Come rilevato in una delle rarissime pronunce giurisprudenziali sull'applicazione del

D.P.R. 175/1988, ai quesiti degli imprenditori, gli stessi enti rispondevano in maniera evasiva

o errata a causa delle metodologie di calcolo nuove per la redazione dei piani di sicurezza,

mai adottate in altre leggi italiane, che poche società di consulenza erano in grado di

redigere204

.

Nel complesso si può ritenere che la svolta imposta a livello comunitario abbia

comportato l'abbandono di un approccio alla prevenzione trainato e “dominato” dalla

tecnologia a favore di una politica di sicurezza incentrata sul contributo attivo dell'attività

dell'industriale nella valutazione e gestione del rischio.

Sulla base dell'esperienza acquisita, quattordici anni dopo la Comunità europea

modifica la disciplina degli incidenti rilevanti con la Direttiva 1996/82/CE c.d. Seveso bis

(recepita con il d.lgs. 334/1999 per la “prevenzione degli incidenti rilevanti connessi all'uso di

determinate sostanze pericolose”), che innova profondamente rispetto al sistema precedente.

L'aspetto senza dubbio più importante della nuova disciplina, che emerge dalla stessa rubrica,

riguarda il nuovo approccio al rischio: non si considera più l'“attività industriale” (come nel

D.P.R. 175/88) bensì la presenza di specifiche “sostanze pericolose” nello stabilimento, quale

che sia l'attività industriale svolta. La Direttiva modifica sostanzialmente il precedente quadro

normativo anche per l'introduzione: - del sistema di gestione della sicurezza; - del controllo

dell'urbanizzazione205

; - del c.d “effetto domino”206

su cui ha fornito un'autorevole

interpretazione la Corte di Giustizia207

; - della partecipazione della popolazione al processo

decisionale, oltre che per la rimodulazione della definizione di fabbricante e l'inserimento di

nuove sostanze pericolose.

204

Pret. Genova, 19 aprile 1993, in Riv. giur. amb., 1993, 749; in Giur. merito, 1993, 1332, con nota di BUTTI; in

Foro it., 194, II, 58. 205

Il controllo dell'urbanizzazione é necessario per contenere la vulnerabilità del territorio circostante lo

stabilimento che viene diviso in aree in base a punti critici come ospedali, scuole, centri commerciali. 206

Espressione che allude alla previsione di aree ad alta concentrazione di stabilimenti in cui aumenta il rischio

di incidente a causa della connessione tra le attività industriali. 207

A proposito dell'art. 12 della Direttiva Seveso bis la Corte Giustizia Ce, sentenza 15.09.2011, causa C-53/10

evidenzia che gli Stati membri devono provvedere alle necessità di mantenere opportune distanze da considerarsi

nel lungo periodo tra gli impianti e le zone frequentate dal pubblico e tale necessità grava inevitabilmente

sull'autorità pubblica che rilascia le licenze edilizie, anche qualora essa eserciti tale prerogativa mediante

decisioni vincolate. Inoltre l'obbligo di cui all'art.12 non impone alle autorità nazionali di vietare tout court

l'insediamento di un edificio aperto al pubblico in prossimità di impianti sottoposti alla disciplina Seveso, ma

“osta a una normativa nazionale che preveda il dovere di autorizzare l'insediamento di un edificio senza che

siano stati adeguatamente valutati i rischi connessi all'insediamento all'interno del perimetro di dette distanze in

fase di pianificazione”.

Page 125: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

116

La disciplina di cui al d.lgs. 334/1999 ha subito una modifica a seguito del d.lgs.

238/2005 di recepimento della Direttiva 2003/105/CE (da alcuni già definita Seveso ter o

Seveso bis II). La Direttiva del 2003 si limitava in realtà ad aggiornare la normativa vigente

con una novella, ampliando la categoria delle sostanze cancerogene, riducendo la quantità

limite di sostanze pericolose di cui era ammessa la detenzione, introducendo maggiore

severità circa gli obblighi a carico dei gestori con la valutazione non solo delle sostanze

presenti ma anche di quelle “previste”208

.

4. Direttiva Seveso ter e il relativo recepimento

La recente Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2012/18/UE del 4 luglio

2012 “sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose,

recante modifica e successiva abrogazione della Direttiva 1996/82/CE” si presenta,

ufficialmente, come la nuova Direttiva Seveso poiché sostituisce integralmente, a partire dal

1° giugno 2015, la Direttive 96/82/CE e 2003/05/CE.

La nuova Direttiva (c.d. Seveso ter) revisiona e riorganizza la precedente senza

modificarne radicalmente strumenti e campo di applicazione, in quanto l'esperienza europea

maturata ha dimostrato che l'impianto attuale ha saputo garantire un accettabile livello di

sicurezza della popolazione e dell'ambiente dal verificarsi di incidenti rilevanti.

Il passaggio dalla Seveso bis alla Seveso ter é dettato dall'esigenza primaria di

adeguarne la disciplina (allegato 1) al recente cambiamento del sistema di classificazione

delle sostanze chimiche. L'obiettivo di armonizzare il sistema di catalogazione dei prodotti

chimici all'interno dell'Unione europea con quello adottato a livello internazionale in ambito

ONU (GHS - Globally Harmonised Sistem of Classification and Labelling of Chemicals) ha

pertanto comportato, dapprima, l'emanazione del regolamento CE n. 1272/2008 (relativo alla

208

Tar Lombardia 16.03.2015, n. 726 chiarisce che il d.lgs. 334/1999 dà rilievo non solo alle sostanze “presenti”

nello stabilimento ma anche a quelle “previste”. Nel caso di specie la Provincia, vista la presenza di una quantità

di triossido di cromo superiore alla soglia minima stabilita per l'applicazione del d.lgs. 334/99 aveva imposto

l'applicazione della disciplina “Seveso” ad uno stabilimento di cromatura, conteggiando non solo il triossido

effettivamente presente (in quantità sotto soglia) durante il controllo, ma anche l'acido cromico depositato in

alcune vasche in quanto “soluzione formata da triossido di cromo disciolto in acqua al 20%”. Dunque secondo il

Tar Lombardia, nello stabilimento é stato presente, quantomeno temporaneamente, un quantitativo a secco di

triossido precedente al suo scioglimento nelle vasche ubicate all'interno dello stabilimento, ben superiore a

quello riscontrato al momento del sopralluogo e tale da giustificare la soggezione alla Direttiva Seveso.

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117

classificazione etichettatura ed imballaggio di sostanze e miscele) e di conseguenza

l'aggiornamento della Direttiva Seveso alla luce di detto regolamento.

Nel testo della Direttiva é stata assicurata la coerenza anche con altri regolamenti e

direttive209

e con le risposte fornite dalla Commissione europea ai quesiti emersi

dall'applicazione della Direttiva 96/82/CE.

Oltre agli aggiornamenti tecnici, la pubblicazione della nuova Direttiva é anche

l'occasione per: - superare problemi interpretativi relativi agli “stabilimenti”210

che vengono

distinti, anche dal punto di vista terminologico, in due classi (di soglia superiore: S.S. e di

soglia inferiore: S.I.); - perfezionare la terminologia (non si parla più di danni all'“uomo” ma

alla “salute” né di “probabilità e possibilità” ma di “rischio e conseguenze di incidenti

rilevanti”); - semplificare le procedure e ridurre gli oneri amministrativi per il gestore; -

potenziare il sistema dei controlli introducendo l'obbligo di pianificare e programmare le

ispezioni negli stabilimenti211

; - garantire un migliore accesso all'informazione sui rischi

dovuti alle attività di impianti industriali soggetti alla direttiva Seveso in ossequio alla

Convenzione di Aarhus del 1998; assicurare la partecipazione della popolazione alle decisioni

relative a nuovi insediamenti, con la previsione di azioni legali in caso di inosservanza.

Sul piano nazionale il recepimento della Seveso ter é affidato al d.lgs. 26.06.2015 n.

105 che conferma sostanzialmente l'impianto delle competenze212

assegnate dal d.lgs. 334/199

(come modificato dal d.lgs. 238/2005) al Ministero dell'Interno per le funzioni istruttorie e di

controllo sugli stabilimenti di soglia superiore (S.S. ex art. 8 d.lgs. 334/99) e alle regioni delle

funzioni di controllo sugli stabilimenti di soglia inferiore (S.I. ex art. 6 d.lgs. 334/99).

Il dato più interessante a livello nazionale contenuto nel d.lgs. 105/2015 é certamente

rappresentato dall'aggiornamento e completamento di tutte le norme di carattere tecnico

necessarie per la sua applicazione. Infatti da tempo si lamentava il mancato completamento

della decretazione tecnica attuativa già prevista dal d.lgs. 334/99 ma emanata solo in parte e

gestita in regime transitorio per quindici anni. La completezza del d.lgs. 105/2015 che

209

Regolamento CLP; Direttiva 75/2010/CE IPPC; Convenzione di Aarhus del 1998 relativa all'accesso alle

informazioni, alla partecipazione del pubblico ai processi decisionali e all'accesso alla giustizia e alle direttive di

recepimento della Convenzione (direttiva 2003/4/CE E 2003/35/CE). 210

Stabilimento: tutta l'area sottoposta al controllo di un gestore, nella quale sono presenti sostanze pericolose

all'interno di uno o più impianti. 211

Gli art. 19 e 20 della Direttiva relativi alle misure di controllo vengono notevolmente ampliati e integrati

rispetto alla Seveso bis anche mutuando definizioni e terminologie dalla Direttiva IPPC.

212 La materia dei rischi di incidenti rilevanti é stata oggetto di importanti pronunce dei giudici costituzionali, tra

cui Corte Cost., 26.07.2002, n. 407, in Foro it., 2003, I, 688-692; Corte Cost., 6.04.2005, n. 135, in Riv. giur.

amb., 2005, 802; Corte Cost., 248/2009, in lexambiente.it.

Page 127: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

118

contiene nei suoi allegati (A-M) tutta la decretazione attuativa offre, per la prima volta, ai

gestori degli stabilimenti e alle amministrazioni interessate la semplicità di un “testo unico” in

materia di controllo del pericolo di incidenti industriali rilevanti (T.U. R.I.R.), così

accorpando in un unico contesto ogni aspetto tecnico e applicativo senza ulteriori

provvedimenti attuativi.

Sul piano tecnico una delle modifiche più significative riguarda la disciplina delle

ispezioni, che viene notevolmente integrata e ampliata rispetto alla Seveso bis anche

mutuando definizioni e terminologia dalla Direttiva 2010/75/CE IPPC. Sotto il profilo delle

misure di controllo si definisce: - l'obbligo di pianificazione e programmazione delle

ispezioni; - il tempo (4 mesi) entro cui comunicare al gestore gli esiti del rapporto di

ispezione, la cui grave inosservanza può comportare il divieto dell'attività213

; - le ipotesi in

cui si può procedere ad ispezioni straordinarie (reclami gravi, incidenti gravi, quasi incidenti)

e supplementari. Si prospetta anche l'opportunità di coordinare le ispezioni Seveso con quelle

richieste da altre Direttive Ue (es. VIA, AIA, REACH) unificando le autorità coinvolte con il

conseguente coordinamento tra Ministeri, Regioni e Arpa. Il principio della cooperazione tra

autorità e del coordinamento delle ispezioni é stato esplicitamente introdotto con il

recepimento della Direttiva sulle emissioni industriali214

.

5. Responsabilità

Chiaro é che la portata della disciplina introdotta dalle Direttive Seveso, in questa sede

appena sfiorata, é speciale perché subordinata all'eventualità che nel processo industriale vi

sia l'uso di determinate sostanze pericolose e che si produca un'emissione, un incendio o

un'esplosione.

213

L'esperienza nazionale sul piano delle ispezioni é quantitativamente inferiore a quella di altri paesi in quanto

la atavica mancanza di risorse a livello centrale e regionale, unitamente al mancato trasferimento di competenze

dallo Stato alle regioni, e l'inattività di alcune di esse hanno determinato un crollo verticale del numero di

ispezioni. 214

Per i controlli ambientali il principio del coordinamento delle ispezioni é stato esplicitamente introdotto con il

recepimento della Direttiva “IED” 2010/75/UE sulle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate

dell'inquinamento) avvenuta con il d.lgs. 46/2014 che all'art. 6 ter prevede che “le Regioni possono prevedere il

coordinamento delle attività ispettive in materia di autorizzazione integrata ambientale con quelle previste in

materia di valutazione di impatto ambientale e in materia di incidenti rilevanti nel rispetto delle relative

normative”.

Page 128: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

119

La tutela del rischio industriale si presenta dunque come materia che si affianca a

quelle ambientali tradizionali, concentrandosi non sulle lesioni dell'ambiente bensì sul

controllo nell'uso di particolari sostanze pericolose, pertanto non ricomprende nel suo campo

di applicazione il fenomeno dei disastri ambientali tecnicamente intesi. Qualora la lesione,

nonostante l'impegno preventivo, si dovesse concretizzare, scatteranno pertanto le tradizionali

regole di responsabilità215

.

Le vicende risarcitorie relative al caso Seveso, in assenza di una specifica disciplina

sul danno ambientale216

, avevano interessato la Corte dei Conti. Il PM contabile all'epoca,

sulla base di un'interpretazione estensiva di danno ambientale inteso come arrecato al

patrimonio dello Stato (danno erariale), aveva iniziato a promuovere una serie di azioni in casi

di danneggiamento all'ambiente, tra cui appunto nel caso Seveso217

.

Sul piano invece della risarcibilità delle situazioni soggettive dei privati per i danni

non patrimoniali derivanti da illecito ambientale218

, il caso Seveso ha permesso di raggiungere

importanti traguardi giurisprudenziali.

Infatti, il contenzioso in sede penale aveva condotto alla condanna degli imputati per il

reato di disastro colposo (art. 449 c.p.), nonché al risarcimento dei danni a favore della parti

civili (poi tradottosi in numerosi atti di transazione). Nel tempo, alcuni privati hanno poi

esercitato autonome azioni civili per ottenere il ristoro di un profilo di danno, non

contemplato negli atti transattivi, rappresentato da quanto patito personalmente, in termini di

turbamento emotivo (danno morale), ancorché in assenza di danno biologico causalmente

accertabile219

. La risarcibilità, in primo e secondo grado220

, trovava fondamento nel

215

Le regole della responsabilità dopo l'incidente di Seveso hanno infatti generato numerosi processi sia in sede

penale che civile contribuendo specie questi ultimi all'evoluzione giurisprudenziale del concetto di “danno da

paura” poi invocato anche nelle sentenze del c.d. processo Eternit. 216

I profili che definiscono il modello di responsabilità per i pregiudizi cagionati all'ambiente sono infatti

elaborati a livello europeo tempo dopo e sono proposti dalla Direttiva 2004/35/CE sulla prevenzione e

riparazione dei danni all'ambiente poi applicati dal Codice dell'Ambiente (parte IV del d.lgs. 152/2006 art. 300

ss.). 217

C. Conti, sez. prima, 19.02.1979, in Foro it., 1979, III, 138. 218

Cass. Civ., Sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059, in Giust. Civ., 2010, 1, 93 con nota di FIMIANI, La risarcibilità

del danno alla persona da illecito ambientale. 219

In primo grado (Trib. Milano, 11.07.1991, in RCP, 1995, 136) e in secondo grado (App. Milano 15.4.1994. in

Giur. It., 1994, I, sez. II, 975-976) secondo cui “il danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento

psicologico è, al pari del danno patrimoniale in senso stretto, danno-conseguenza, risarcibile solo ove derivi

dalla menomazione dell’integrità fisica dell’offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale”. 220

Rispettivamente Trib. Milano, 11.07.1991, in RCP, 1995, 136 e App. Milano, 15.04.1994, in Giur. It., 1994,

I, sez. II, 975-976.

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120

combinato disposto degli art. 2059 c.c. e 185 c.p.221

trattandosi di danni non patrimoniali

derivanti da reato.

Con due pronunce di eguale tenore, nel 1997 la Corte di Cassazione, smentiva la

soluzione adottata dai giudici di merito, invocando i principi espressi dalla Consulta (Corte

Cost., 184/1986 e 37/1994)222

.

La giurisprudenza di Cassazione sul caso Seveso evolve ulteriormente, come

testimoniato da successive pronunce particolarmente significative: dalle sentenze del 1997

(con cui si negava l'autonoma risarcibilità dei danni morali da reato, in assenza di danno

biologico), si è pervenuti alla sentenza, sezioni unite, del 2002223

(con cui si ammette

l’autonoma risarcibilità del danno morale da reato, pur in assenza di danno biologico), sino

alla sentenza del 2009 (che ha confermato la risarcibilità, incidendo sul profilo probatorio224

).

Nel 2009 la Suprema Corte ribadisce i principi del 2002225

, sancendo il risarcimento

autonomo del danno non patrimoniale, derivante da disastro ambientale, pur in assenza di

danno biologico, nei confronti di tutti coloro che, in virtù di un vincolo di vicinanza con i

luoghi dell'evento dannoso, abbiano, presuntivamente, subito le conseguenze di tale evento in

termini di “patema d'animo indotto dalla preoccupazione per il proprio stato di salute”226

.

221

Secondo quanto dispone l’art. 185, 2° comma c.p., “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o

non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono

rispondere per il fatto di lui”. 222

Cass. Civ., 24.5.1997, n. 4631, in Giur. It., 1998, 1370 e Cass. Civ., 20.06.1997, n. 5530, in Foro it., 1997, I,

2068. 223

Cass., Sez. Un., 21 febbraio 2002 n. 2515, in Giur it., 2002, 1270. Con tale pronuncia, sul versante

ambientale, la risarcibilità di sofferenze morali era stata estesa al pregiudizio sofferto da soggetti che, pur non

avendo subito danni alla salute, avessero provato in concreto un turbamento psichico. La Suprema Corte

ammette, per la prima volta nel 2002, la autonoma risarcibilità delle sofferenze morali in caso di reato, e dunque

a titolo di danno non patrimoniale, a favore di soggetti che avevano subito un turbamento psichico (non

trattandosi di danno biologico) a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del

normale svolgimento della loro vita. 224

Sotto il profilo probatorio, la novità del 2009 consiste nell'ammissibilità della prova per presunzioni. 225

Affermando che “il danno morale soggettivo, lamentato da soggetti che abitano e/o lavorano in un ambiente

compromesso a seguito di disastro colposo e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico di

natura transitoria a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti e delle conseguenti limitazioni del normale

svolgimento della loro vita é risarcibile autonomamente, anche in mancanza di una lesione dell'integrità psico-

fisica o di altro evento produttivo di danno patrimoniale”, così Cass. Civ., Sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059, in

Giust. Civ., 2010, 1, 93 con nota di FIMIANI, La risarcibilità del danno alla persona da illecito ambientale. 226

Sul piano della risarcibilità del danno non patrimoniale, non sembrerebbe trattarsi di una sentenza

rivoluzionaria, perché fa propri i traguardi già raggiunti nel 2002, l'aspetto evolutivo si manifesta, invece, sul

piano dell'alleggerimento dell'onere probatorio e dell'adozione di un approccio meno formalistico, mirante al

ristoro delle “ripercussioni negative sul valore uomo”, cagionate dal reato, “a prescindere dal nome attribuito al

danno, così BLASI, Il caso Seveso: ampliamento della risarcibilità del danno non patrimoniale e riflessi sulla

nozione di bene-ambiente in Riv. Quadr. Dir. Amb., 2010, n. 0

Page 130: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

121

La disciplina Seveso, che non ha comportato la creazione di nuove fattispecie legali o

di regimi speciali di responsabilità, ma é rimasta nel solco tradizionale dei modelli codificati

(art. 2043 c.c. e art. 2050 c.c.), stimola ancora oggi la riflessione. Vi é chi ha ipotizzato un

modello di responsabilità che contrappone la responsabilità per “atto illecito” dalla

responsabilità per “rischio lecito”227

; vi é chi cerca nuovi modelli che tengano conto dei

principi europei di prevenzione e precauzione228

; vi é chi ritiene che l'attenzione per

prevenzione e precauzione lungi dal portare a cercare nuove regole per il settore della

responsabilità civile, inducano piuttosto ad accostarsi alla materia con lo scopo di rivalutare la

funzione preventiva delle regole di responsabilità civile (spesso pretermessa) rispetto all'altra

macrofunzione (spesso osannata) riparatoria e compensativa229

.

6. Conclusioni

La peculiarità della normativa elaborata in materia di rischio industriale a partire dalla

catastrofe di Seveso si collega alla specificità dei suoi contenuti. Non si tratta infatti di una

tipologia particolare di inquinamento, bensì della regolamentazione del rischio di incidente

legato alla gestione di stabilimenti che producono o utilizzano sostanze pericolose, in un'ottica

preventiva e precauzionale230

.

Come si é osservato231

, la disciplina considera un evento patologico, straordinario ed

estremo, quale é un incidente, regolamentando la convivenza con il rischio connesso ad

attività produttive, “una sorta di gestione del rischio sostenibile”.

Il tema affidato bene si inserisce allora nel dibattito aperto dal convegno poiché

consente di riflettere sui rapporti tra scienza e tecnologia (intesi come strumento di

conoscenza e progresso) da un lato e diritto (inteso come complesso di regole volte a

227

P. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, Giuffrè, 1967; sul punto in particolare la dottrina ha chiarito che

entrambi i regimi tendono alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma la responsabilità per atto

illecito svolge una funzione di repressione di atti vietati; mentre la responsabilità oggettiva imputa al

responsabile il costo di un rischio consentito, pertinente più che a singoli atti ad un'attività di regola

imprenditoriale che il responsabile svolge. 228

F. DEGLI INNOCENTI, Rischio d'impresa e responsabilità civile: la tutela dell'ambiente tra prevenzione

riparazione dei danni, Firenze, University Press, 2013. 229

U. IZZO, La precauzione nella responsabilità civile: analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per

via trasfusionale, Padova, 2004, 30 ss. 230

In questi termini A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell'ambiente, Bari

2008, 385. 231

M. CAFAGNO, Inquinamento, in Digesto pubbl., Torino, 2005, 399.

Page 131: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

122

prevenire e gestire i rischi a tutela degli interessi coinvolti) dall'altro. Dunque sulla funzione

stessa del diritto232

.

In tale contesto il diritto si pone infatti come una necessità, ossia come strumento di

“controllo della scienza e della tecnica” in un'ottica di prevenzione e di precauzione. Perché si

é imparato dall'esperienza di quaranta anni che, nella società del rischio (come univocamente

si qualifica la società attuale, in cui il rischio é per lo più costruito dall'uomo), le risposte del

diritto non possono aspettare le certezze della scienza, ma devono pre-venire.

232

Per questi temi cfr. N. IRTI - E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Roma-Bari, 2001; per un diverso

approccio L. MENGONI, Diritto e tecnica, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001.

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DIRITTO E TECNICA. IL CASO DELLA GIURISDIZIONE SULLE ACQUE A

CENTO ANNI DALL’ENTRATA IN VIGORE DEL DECRETO LEGISLATIVO

LUOGOTENENZIALE 20 NOVEMBRE 1916, N. 1664, ISTITUTIVO DEL TRIBUNALE

DELLE ACQUE PUBBLICHE. UN “MODELLO” (FORSE) DA RISCOPRIRE?

Alessandro Paire

(Dottore di ricerca in diritto pubblico)

Sommario: 1. Premessa. – 2. La giurisdizione sulle acque a cento anni dall’entrata in

vigore del decreto legislativo luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, istitutivo del

Tribunale delle Acque Pubbliche. – 3. Spunti conclusivi.

1. Premessa

Le presenti minime osservazioni, muovendo nel solco del complesso e travagliato

rapporto tra diritto e tecnica oggetto del Convegno odierno, si propongono di richiamare

fugacemente l’attenzione dell’uditorio su un particolare ambito del nostro ordinamento

giurisdizionale che vide proprio nella “elevata tecnicità della materia” rimessa al sindacato di

quel particolare Giudice, un suo importante fattore costitutivo se, non, addirittura, il suo vero

e proprio elemento genetico233

.

Esattamente cento anni fa, con l’emanazione del Decreto Luogotenenziale 20

novembre 1916, n. 1664 istituiva il Tribunale delle Acque Pubbliche, il legislatore – chiamato

ad affrontare il tema del giudizio in settori particolarmente permeati dalla tecnica – risolveva

il problema innestando all’interno del collegio giudicante dei tecnici al fine di assicurare in

233

Gli Atti del Convegno sono pubblicati in questo Volume.

Page 133: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

124

camera di consiglio un dialogo pronto ed immediato tra coloro chiamati a rendere la

decisione234

.

Agli albori del XIX secolo, in piena Grande Guerra, la materia delle concessioni

idroelettriche e, più in generale, il contenzioso delle acque, rappresentava un tema che, più di

altri, per la sua forte caratterizzazione tecnica, risultava degno di un giudice particolarmente

qualificato e competente, e non solo sotto il profilo giuridico: «l’evolversi dell'economia e la

necessità di sfruttare sempre più le risorse idriche avevano portato alla creazione di un

complesso corpus normativo, la cui applicazione richiedeva la presenza di un sistema

giurisdizionale in grado di risolvere questioni spesso assai complicate sotto il profilo tecnico.

Si avvertiva, cioè, l'esigenza di un organo giurisdizionale ad hoc, ossia chiamato a risolvere

le sole questioni in materia di acque»235

.

Da allora, la migliore dottrina si è interrogata circa le ragioni storiche (giuridiche e,

talvolta, politiche) che portarono alla creazione di una giurisdizione speciale e specializzata

delle acque pubbliche domandosi, ciclicamente, se sussistano ancora le condizioni per un suo

mantenimento o se gli sviluppi che si sono prodotti nella materia delle acque e nel nostro

sistema di giustizia più in generale ne suggeriscano la soppressione236

.

Non è certo questa la sede per affrontare un tema così complesso e complicato, quello

che preme piuttosto rilevare e sottolineare è come all’origine stessa del contenzioso delle

acque pubbliche – o, meglio, dell’istituzione di un vero e proprio Giudice delle acque – vi

234

Come ricordato in dottrina, “la sua istituzione rispondeva all’esigenza, in una materia considerata ad elevato

grado di complessità tecnica, di assicurare un giudice che, grazie alla presenza nel proprio collegio di ingegneri

idraulici e funzionari esperti in acque pubbliche e opere idrauliche, fosse in grado di assicurare una giustizia

adeguata”. Il riferimento è a B. MARCHETTI, La giurisdizione sull'acqua. Una specialità da conservare?, in,

SANTUCCI – SIMONATI – CORTESE, (a cura di), L’acqua e il diritto, Trento, Università degli Studi di Trento,

2011, p. 211 ss. Sul tema, tra i classici, per tutti, G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. II, La

giustizia amministrativa, VI ed., Milano, 1948, p. 289; F. GIANNATTASIO, Il Tribunale delle acque pubbliche ed

il moltiplicarsi delle giurisdizioni speciali, in Riv. dir. pubbl., 1917, I, p. 241; F. VASSALLI, In tema di decreti

legge: il Tribunale delle acque pubbliche, Roma, 1918; A.M. SANDULLI, Sulla sopravvivenza delle giurisdizioni

speciali al termine fissato per la loro revisione, in Giur. cost., 1956; R. CHIEPPA, Leggi nuove e giurisdizioni

speciali preesistenti, in Giur. cost., 1962, 1501 ss.; G. VACIRCA, Tribunali delle acque pubbliche, in Enc. giur.,

XXXI, Roma, 1991; C.E. GALLO, La giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti del Tribunale

superiore acque pubbliche: una questione aperta non superata dal legislatore, in Foro amm. CDS, 2002, 12, p.

3173; G.B. CONTE, Tribunali delle acque pubbliche, in S. CASSESE, (a cura di), Dizionario di diritto pubblico,

vol. VI, Milano, 2006, p. 5997. 235

V. PARISIO, I Tribunali delle Acque: un modello giurisdizionale tutto italiano, in Foro amm., TAR, fascicolo

12, 2009, p. 3679 ss. 236

V. PARISIO, I Tribunali delle Acque: un modello giurisdizionale tutto italiano, in Foro amm., TAR, fascicolo

12, 2009, p. 3679 ss. cit.

Page 134: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

125

fosse il problema di cui oggi stiamo discutendo ovverosia il ruolo del sapere tecnico e

scientifico nell’amministrazione della giustizia.

In allora il nodo venne sciolto con la creazione di un tribunale speciale competente a

decidere le controversie in materia introducendo in modo a dir poco “rivoluzionario”

un’eccezione all’ordinario regime di riparto fondato sulla situazione giuridica soggettiva al

fine di soddisfare l’esigenza, in una materia considerata ad elevato grado di complessità

tecnica, di assicurare un giudice che, grazie alla presenza nel proprio collegio di ingegneri

idraulici e funzionari esperti in acque pubbliche e opere idrauliche, fosse in grado di rendere

una giustizia adeguata.

Esso godeva originariamente di una competenza estesa sia ai diritti soggettivi che agli

interessi legittimi, poiché la rilevanza del profilo tecnico delle controversie era risultata

prevalente rispetto ad ogni altro profilo, compreso il principio dell’unità della giurisdizione.

Nondimeno, un siffatto assetto unitario della giurisdizione durò assai poco, sia a causa

del problema della unicità del grado di giudizio, valutata intollerabile soprattutto in ipotesi di

cognizione di diritti soggettivi, che per quello della unicità di sede giacché una sola sede

giurisdizionale in Roma, rendeva oggettivamente difficoltosa una reale giustiziabilità diffusa.

Il successivo Regio Decreto n. 2161 del 1919 statuiva la nascita di otto tribunali

regionali (denominati appunto tribunali regionali delle acque pubbliche, TRAP) istituiti

presso le Corti d’Appello di Torino, Venezia, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Cagliari e

Palermo come sezioni specializzate della giurisdizione ordinaria competenti a decidere, in

primo grado, le controversie in materia di diritti soggettivi.

Il sistema della giurisdizione sulle acque assumeva un nuovo e definitivo assetto con

un Tribunale denominato Tribunale Superiore delle acque pubbliche deputato quale giudice

d’appello a conoscere le controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, assegnate, in primo

grado, alle sezioni specializzate delle Corti d’appello; in materia di interessi legittimi, invece,

esso manteneva la sua natura di giudice di unico grado.

Tale nuovo assetto veniva successivamente recepito nel Regio Decreto 11 dicembre

1933, n. 1775 recante il Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici

che, nonostante i numerosissimi tentativi di riforma radicale, per la parte relativa al

contenzioso, è tuttora il testo normativo di riferimento, seppur parzialmente novellato a

seguito di due pronunce della Corte Costituzionale.

Page 135: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

126

2. La giurisdizione sulle acque a cento anni dall’entrata in vigore del decreto

legislativo luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, istitutivo del Tribunale delle Acque

Pubbliche

Come detto poc’anzi, nel corso degli ultimi decenni, sono stati molteplici i tentativi di

riforma del Giudice delle Acque: dal progetto di riforma presentato dalla Commissione Ferrati

nel 1973 a quello presentato dalla Commissione Palazzolo nel 1990.

Più recentemente, occorre menzionare il Disegno di Legge recante “Abolizione dei

tribunali regionali e del Tribunale Superiore delle acque pubbliche” approvato dal Consiglio

dei Ministri del 6 settembre 2002237

nonché il Decreto Legge n. 251 dell’11 novembre 2002,

237

Particolarmente significative risultano le considerazioni di carattere “storico” sviluppate nelle premesse dei

lavori prepratori al Disegno di Legge in parola laddove si legge testualmente che “Il funzionamento di questi

ormai datati organi giurisdizionali, strutturati ed operanti con norme ancorate al codice processuale del 1865,

si presenta assai dispendioso, perché prevede delle strutture ormai non più congrue rispetto al numero di

controversie, da giudicarsi del tutto irrisorio rispetto al normale carico degli altri organi giurisdizionali (negli

ultimi cinque anni le cause iscritte sono state, rispettivamente, 169, 193, 191, 198, 207), sicché il "servizio

giustizia" si presenta nella materia assai dispendioso. La struttura giudiziaria, storicamente datata, si

comprende e giustifica solo in un contesto storico superato, tant'è che è stata più volte oggetto di tentativi di

revisione e di adeguamento rimasti senza esito, anche in funzione dell'obbligo costituzionale di riesaminare gli

organi speciali di giurisdizione di cui al comma 1 della VI disposizione transitoria e finale della Carta

costituzionale (progetto di riforma presentato al Ministero dei LL.PP. dalla commissione Ferrati, nominata nel

1966 che terminò i lavori nel 1973; progetto di riforma presentato al Ministero dei LL.PP. dalla commissione

Palazzolo, nominata nel 1989 che terminò i lavori con una relazione stralcio sul contenzioso nell'aprile del

1990); da ultimo, la necessità di un intervento è divenuto assolutamente indispensabile all'esito di alcune recenti

sentenze della Corte costituzionale. (…) Tali pronunce di incostituzionalità, unitamente alla considerazione di

scarsa compatibilità tra i principi che reggono il giudizio in materia di acque e quelli in materia processuale

sanciti dalla Costituzione (si pensi a mo' di esempio che l'impugnativa davanti al T.s.a.p. come giudice

amministrativo è limitata ad un unico grado e che l'impugnativa innanzi alla Sezioni unite della Cassazione

delle sentenze emesse dal T.s.a.p. quale giudice amministrativo è ammessa con ricorso straordinario, fuori dal

sistema vigente) suggeriscono il presente intervento normativo che si propone di sopprimere i citati organi

giurisdizionali e di attribuire al giudice ordinario (Tribunali e Corti d'appello) le cause relative a diritti ed al

giudice amministrativo (t.a.r. e Consiglio di Stato) dei ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi in tema di

acque. Tenuto conto del numero molto basso di controversie (l'ultima rilevazione riferisce una pendenza di

appena 556 processi), nonché di una regolamentazione del testo unico superata ed in contrasto con l'intervenuta

normativa costituzionale, si presenta la avvertita esigenza di riportare l'attuale contenzioso davanti al giudice

naturalmente competente e cioè al giudice ordinario per le questioni relative a diritti e al giudice amministrativo

per quelle concernenti lesioni di interessi legittimi, fatto salvo, per quest'ultimo, la competenza, introdotta dalle

recenti modifiche legislative, a conoscere del risarcimento del danno nelle materie devolute alla sua

giurisdizione. La soluzione proposta distribuisce, dunque, le competenze dei tribunali delle acque pubbliche tra

giudice ordinario ed amministrativo, prevedendo un generale doppio grado di giudizio con possibilità di ricorso

per cassazione relativamente alla giurisdizione nei casi di decisione di secondo grado del Consiglio di Stato ed

ordinario (art. 360 e ss. C.p.c.) negli altri casi. Il posto di presidente del T.s.a.p. viene soppresso e questa

soppressione è utilizzata per istituire un nuovo posto di presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione,

permettendo la razionalizzazione della distribuzione delle competenze degli aggiunti tra il ramo civile e quello

penale. L'organico amministrativo del T.s.a.p. viene aggregato a quello della Corte di cassazione, con salvezza

dei diritti del personale impiegato. La disciplina transitoria e di attuazione è concepita per un graduale

passaggio al nuovo sistema, che rispetti le aspettative ed i diritti delle parti nei procedimenti pendenti (art. 5

comma 4), garantendo l'appello e l'impugnazione dei provvedimenti, secondo un termine (90 giorni dall'entrata

in vigore della presente legge) che tiene conto delle novità introdotte. Il medesimo criterio di riparto della

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127

recante “Misure urgenti in materia di amministrazione della giustizia” il cui Capo I prevedeva

agli artt. da 1 a 4 l’abolizione dei Tribunali regionali e del Tribunale superiore delle acque

pubbliche, Capo successivamente non convertito in Legge238

.

Sotto il profilo normativo, solo con la L 26 febbraio 2004, n. 45, le disposizioni

originali di inizio Novecento del TU sulle Acque hanno subito una modifica con la riforma

degli art. 139 e 149 nel senso auspicato dalla Consulta con le celebri sentenze del 2002.

Con la decisione 20 giugno-3 luglio 2002, n. 305, la Corte si è pronunciata in merito

agli articoli 139 e 143, comma 3 del TU, giudicandoli incostituzionali nella parte in cui non

prevedono la nomina di uno o più supplenti, nell’ipotesi di astensione di uno dei componenti

titolari.

Con la decisione 10-17 luglio 2002, n. 353, la Corte ha dichiarato l’illegittimità

costituzionale della composizione dei tribunali regionali relativamente alla partecipazione al

collegio giudicante di uno dei tre tecnici, già funzionari del genio civile239

.

In particolare, convertendo il DL 24 dicembre 2003, n. 354, il legislatore ha previsto

l’integrazione del collegio da parte tre esperti, iscritti nell’albo degli ingegneri e nominati con

decreto del Ministro della Giustizia in conformità alla deliberazione del Consiglio Superiore

della Magistratura su proposta del presidente della Corte di appello o del Presidente del

Tribunale Superiore, a seconda del tribunale interessato; inoltre, è stata modificata la struttura

del collegio del Tribunale delle acque, che ora decide con l’intervento di tre votanti, tra i

quali uno degli esperti ingegneri240.

giurisdizione è esteso anche alle ipotesi di revocazione, opposizione di terzo e di correzione delle ordinanze e

delle sentenze, previste attualmente dal codice di procedura civile. (…)”. 238

G. VIRGA, Prime impressioni derivanti dalla lettura del decreto legge n. 251/2002; ID., Sul regime transitorio

previsto dal DL n. 251/2002 a seguito della soppressione dei Tribunali delle acque, consultabili in internet sul

sito: «http:www.lexitalia.it». 239

Le sentenze sono consultabili in internet sul sito istituzionale della Corte all’indirizzo

«http:www.cortecostituzionale.it». 240

Recita l’art. 1 del DL convertito rubricato “Riorganizzazione dei tribunali delle acque”: “1. Fino all'entrata

in vigore della complessiva riforma della disciplina concernente la giurisdizione in materia di acque pubbliche,

attualmente contenuta nel testo unico di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, si osservano le

disposizioni che seguono: a) all'articolo 138 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono apportate le

seguenti modificazioni: 1) il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il Tribunale regionale è costituito da

una sezione ordinaria della Corte di appello designata dal presidente, integrata con tre esperti, iscritti nell'albo

degli ingegneri e nominati con decreto del Ministro della giustizia in conformità alla deliberazione del

Consiglio superiore della magistratura adottata su proposta del presidente della Corte di appello.»; 2) il quarto

comma è sostituito dal seguente: «Il Tribunale regionale decide con l'intervento di tre votanti, tra i quali uno

degli esperti di cui al secondo comma.»; b) all'articolo 139 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono

apportate le seguenti modificazioni: 1) al secondo comma, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) tre

esperti, iscritti nell'albo degli ingegneri.»; 2) al quarto comma le parole: «i membri tecnici dal Presidente del

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128

Da ultimo, occorre menzionare la Proposta di Legge AC 2658/2014 recante

“Soppressione dei tribunali regionali e del Tribunale superiore delle acque pubbliche”

presentata l’8 ottobre 2014 ed attualmente giacente presso gli Uffici legislativi della Camera

dei Deputati.

Anche tale tentativo di riforma prende le mosse da una ricostruzione ed una visione

del sistema TRAP – TSAP piuttosto tranchant in senso negativo, qualificandolo

espressamente come un modello superato e, soprattutto, “assolutamente antieconomico”.

In estrema sintesi, si propone – nuovamente – di “migliorare l’efficienza dell'apparato

giustizia sopprimendo i citati organi giurisdizionali e attribuendo al giudice ordinario

(tribunali e corti d'appello) le cause relative a diritti soggettivi ed al giudice amministrativo

(tribunali e Consiglio di Stato) le controversie che hanno quale proprio oggetto la lesione di

interessi legittimi”.

Inoltre, si prevede che le “controversie in materia di risarcimento del danno sono

attribuite al giudice amministrativo nei casi devoluti alla sua giurisdizione” e che, al fine di

una generale razionalizzazione, “il posto di presidente del Tribunale superiore della acque

pubbliche viene soppresso a favore dell’istituzione di un nuovo posto di presidente aggiunto

della Corte di cassazione” con l’aggregazione dell’organico amministrativo del tribunale a

quello della Corte di cassazione, fatti salvi i diritti del personale impiegato241

.

Consiglio superiore dei lavori pubblici» sono sostituite dalle seguenti: «gli esperti sono nominati con decreto

del Ministro della giustizia in conformità alla deliberazione del Consiglio superiore della magistratura adottata

su proposta del presidente del Tribunale superiore.»; c) all'articolo 1 della legge 1° agosto 1959, n. 704, sono

apportate le seguenti modificazioni: 1) il primo comma è sostituito dal seguente: «L'indennità fissa mensile

spettante, indipendentemente da ogni altra indennità o compenso, ai componenti dei tribunali delle acque

pubbliche è fissata in euro 15,50 per i magistrati del Tribunale superiore, in euro 11,36 per i presidenti effettivi

dei tribunali regionali e in euro 9,3 per i consiglieri effettivi degli stessi tribunali.»; 2) dopo il primo comma è

inserito il seguente: «Agli esperti componenti del Tribunale superiore delle acque in qualità di titolari o

supplenti, ed agli esperti componenti dei tribunali regionali delle acque, spetta un'indennità di euro 100 per

ciascuna udienza cui prendano parte.»; d) dopo l'articolo 139 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, è

inserito il seguente: «139-bis. Nelle stesse forme previste per i titolari sono nominati in pari numero componenti

supplenti del Tribunale superiore, i quali sono retribuiti, per il servizio effettivamente prestato, nella misura

prevista dall'articolo 1, primo e secondo comma, della legge 1° agosto 1959, n. 704.». 1-bis. Fino alla nomina.

degli esperti secondo le modalità di cui al presente articolo, restano in servizio gli esperti in carica alla data di

entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, secondo le modalità dei rispettivi incarichi (1).

2. Per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, lettera c), è autorizzata la spesa di 35.957 euro a

decorrere dall'anno 2004 (2) . 2-bis. Per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, lettera d), è

autorizzata la spesa di 9.387 euro a decorrere dall'anno 2004 (1). (1) Comma inserito dalla legge di

conversione 26 febbraio 2004, n. 45. (2) Comma sostituito dalla legge di conversione 26 febbraio 2004, n. 45”. 241

Cfr. la Proposta di Legge consultabile in internet sul sito della Camera dei Deputati «www.http:camera.it»

“PROPOSTA DI LEGGE. Art. 1. 1. Ai fini della presente legge per tribunali regionali si intendono i tribunali

Page 138: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

129

regionali delle acque pubbliche e per Tribunale superiore si intende il Tribunale superiore delle acque

pubbliche, previsti e disciplinati dal titolo IV del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti

elettrici, di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e successive modificazioni. Art. 2. 1. Decorsi

sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il titolo IV del testo unico di cui al regio

decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e successive modificazioni, e l'articolo 64 dell'ordinamento giudiziario, di

cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sono abrogati. Dalla stessa data sono soppressi i tribunali regionali

delle acque pubbliche e il Tribunale superiore delle acque pubbliche. Art. 3. 1. Dalla data di entrata in vigore

della presente legge, le controversie concernenti le materie previste dall'articolo 140 del testo unico di cui al

regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, già di competenza dei tribunali regionali delle acque pubbliche, sono

instaurate davanti al tribunale ordinario che ha sede nel capoluogo del distretto territorialmente competente, il

quale giudica in composizione collegiale. Le controversie nelle materie previste dall'articolo 143 del medesimo

testo unico di cui al regio decreto n. 1775 del 1993 sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Il ricorso per cassazione avverso la pronuncia resa in grado di appello dal Consiglio di Stato è limitato ai

motivi di cui all'articolo 362 del codice di procedura civile ed è deciso ai sensi dell'articolo 374, primo comma,

dello stesso codice. 2. Le controversie di cui al comma 1 in materia di risarcimento del danno sono attribuite al

giudice amministrativo nei casi devoluti alla sua giurisdizione. Art. 4. 1. La pianta organica della magistratura

è, contemporaneamente alla soppressione del posto di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche,

aumentata di un posto di primo presidente aggiunto della Corte di cassazione. La tabella B allegata alla legge 5

marzo 1991, n. 71, e successive modificazioni, è sostituita dalla tabella B di cui all'allegato A annesso alla

presente legge. 2. L'organico del personale amministrativo già attribuito al Tribunale superiore delle acque

pubbliche è assegnato alla Corte di cassazione. Il relativo personale in servizio all'atto della cessazione

dell'attività dell'ufficio mantiene l'inquadramento precedentemente goduto. 3. L'organico del personale

amministrativo già attribuito ai tribunali regionali delle acque pubbliche è assegnato alle corti d'appello

competenti per territorio. Il relativo personale in servizio all'atto della cessazione dell'attività dell'ufficio

mantiene l'inquadramento precedentemente goduto. Art. 5. 1. Dalla data di entrata in vigore della presente

legge sono sospesi di diritto i procedimenti pendenti davanti ai tribunali regionali e al Tribunale superiore delle

acque pubbliche. Resta fermo l'obbligo di depositare i provvedimenti per le cause assegnate in decisione

anteriormente alla medesima data. Il deposito di provvedimenti, successivamente alla scadenza del termine di

cui all'articolo 2, è effettuato presso la cancelleria della corte d'appello relativamente ai provvedimenti del

tribunale regionale delle acque pubbliche e presso la cancelleria della prima sezione civile della Corte di

cassazione per i provvedimenti del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Le cancellerie provvedono agli

adempimenti di competenza conseguenti al deposito delle sentenze e delle ordinanze in materia civile previsti

dal codice di procedura civile. 2. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge gli

interessati riassumono le cause pendenti presso i tribunali regionali delle acque pubbliche e il Tribunale

superiore delle acque pubbliche, davanti al giudice individuato secondo i criteri stabiliti dall'articolo 3. La

mancata riassunzione nel termine determina l'estinzione del procedimento. Le controversie pendenti in secondo

grado avanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche sono riassunte avanti alla corte d'appello competente

per territorio; quelle pendenti davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado sono

riassunte dinanzi al tribunale amministrativo regionale competente che decide con sentenza appellabile al

Consiglio di Stato. 3. Gli atti processuali compiuti davanti ai tribunali regionali delle acque pubbliche e al

Tribunale superiore delle acque pubbliche conservano la loro validità e la loro efficacia anche dopo la

riassunzione. 4. Contro i provvedimenti per i quali non sia decorso il termine di impugnazione, pronunciati dal

tribunale regionale delle acque pubbliche nelle materie di cui all'articolo 3, comma 1, è ammesso l'appello alla

corte d'appello competente per territorio; contro i provvedimenti pronunciati dal Tribunale superiore delle

acque pubbliche in unico grado nelle materie di cui all'articolo 3, comma 2, e, in grado d'appello, al medesimo

articolo 3, comma 1, è ammesso il ricorso per cassazione nei casi e nelle forme previsti dagli articoli 360 e

seguenti del codice di procedura civile. 5. Nei soli casi di cui al comma 4 l'impugnazione è proposta, a pena di

inammissibilità, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero dalla data di

deposito della sentenza, fatta salva la sospensione dei termini processuali di cui all'articolo 1 della legge 7

ottobre 1969, n. 742, e successive modificazioni. 6. Per i giudizi di revocazione, nei casi previsti dagli articoli

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130

Sorprendentemente, l’attuale stagione di riforme messe in cantiere dall’Esecutivo in

carica, pur toccando trasversalmente, oltre che, convulsamente, l’intero ordinamento – ivi

compreso quello costituzionale – non ha generato in materia di contenzioso delle acque nuovi

propositi di riforma.

3. Spunti conclusivi

Dalla fugace rassegna che precede, emerge chiaramente come tutti i tentativi di

riforma avviati, sia a livello legislativo che governativo, a far tempo dalla seconda metà del

secolo scorso, siano orientati nella medesima direzione ovverosia verso una radicale

abolizione del Giudice speciale in favore del giudice ritenuto “naturalmente competente” e

cioè, il giudice ordinario, per le questioni relative a diritti, e il giudice amministrativo, per

quelle concernenti lesioni di interessi legittimi.

Dai lavori preparatori e dagli atti parlamentari risulta palpabile la volontà del

Legislatore di sopprimere il plesso TRAP – TSAP, visto come un vero e proprio retaggio del

passato oramai anacronostico, anche e soprattutto in chiave eurounitaria, nonché foriero di

inefficienze non più tollerabili.

Invero, dati alla mano, tale visione sembra più porsi nel solco di quei movimenti ed

impulsi riformatori presenti a livello comunitario che, sulla spinta di una ovvia e

comprensibile esigenza di omogeneizzazione, auspicano “sempre e comunque” drastici

interventi di semplificazione, più che su oggettive e lucide ragioni di ordine tecnico di politica

legislativa.

Ogniqualvolta è stata fatta questione di compatibilità del plesso TRAP – TSAP con

l’assetto normativo vigente, il Giudice delle Acque è stato sostanzialmente sempre e

comunque promosso, soprattutto all’indomani degli interventi correttivi imposti dalla

Consulta.

395 e seguenti del codice di procedura civile, di opposizione di terzo, nei casi previsti dagli articoli 404 e

seguenti del codice di procedura civile, nonché di correzione delle ordinanze e delle sentenze, nei casi previsti

dagli articoli 287 e seguenti del codice di procedura civile è competente, nelle materie di cui all'articolo 3,

comma 1, della presente legge, il tribunale ordinario e, nelle materie di cui al medesimo articolo 3, comma 2, il

tribunale amministrativo regionale”. 242

B. MARCHETTI, La giurisdizione sull'acqua. Una specialità da conservare?, in, SANTUCCI – SIMONATI –

CORTESE, (a cura di), L’acqua e il diritto, cit., p. 229.

Page 140: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

131

Emblematica, in proposito, la compatibilità di tale sistema con le “garanzie” di cui

all’art. 6 della CEDU, oggi ritenuta pressoché unanimemente pacifica.

In disparte qualsivoglia considerazione in ordine alla estrema difficoltà di distinguere

tra le varie posizioni giuridiche soggettive di volta in volta sottese alle singole fattispecie che

un siffatto modello alimenterebbe ed acuirebbe assai significativamente rispetto alla

situazione attuale – difficoltà ben note agli operatori del settore continuamente impegnati a

superare le molteplici eccezioni reciprocamente sollevate dalle parti – quello che francamente

risulta assai poco condivisibile con un tale orientamento e tendenza è la volontà di riformare

purchessia, frutto di un’equazione non sempre corretta ovvero che un modello “antico” sia un

modello “superato” e, in quanto tale, “superabile”.

Come noto, una riforma giurisdizionale è da valutare non solo in termini quantitativi

(numero di pronunce rese, risparmi sui costi degli uffici giudiziari, etc.) ma anche e,

soprattutto, qualitativi.

Orbene, che le sentenze emesse dal Giudice delle Acque siano mediamente

soddisfacenti risulta tra gli operatori del settore un dato sostanzialmente unanime e condiviso.

In una materia caratterizzata da un elevato grado di complessità, la scelta di eliminare

tutto e rimettere all’ordinario criterio AGO – GA, francamente sembra un po’ troppo semplice

e semplicistica.

Certo il sistema potrebbe essere migliorato e semplificato – ad esempio attraverso uno

snellimento del rito ovvero una significativa razionalizzazione organizzativa del personale

addetto (giudicante ed amministrativo) – ma di qui a eliminare con un semplice tratto di

penna del legislatore (o, peggio ancora, del Governo!), una Magistratura che vanta oltre cento

anni di storia precorritrice nell’amministrare la giustizia in materie spiccatamente tecniche, il

passo è lungo.

Oramai, affermare che il contenzioso delle acque rappresenti una materia talmente

complessa e specialistica da meritare un giudice ad hoc allorquando materie altrettanto

tecniche quali, ad esempio, le energie rinnovabili o la contrattualistica pubblica o, ancora, gli

atti delle Autorità amministrative indipendenti, sono rimesse ad un sindacato giurisdizionale

“ordinario”, sembra una tesi assai difficile da sostenere.

Inoltre, in dottrina, tra i fautori della soppressione, non è mancato chi ha acutamente

osservato come «la presenza di un componente tecnico all’interno del collegio giudicante

poteva considerarsi una risorsa preziosa al tempo della istituzioni dei tribunali, in cui il

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132

processo amministrativo ordinario soffriva di ingenti limitazioni sotto il profilo dei mezzi di

prova, ma la riforma del 2000 che ha visto l’introduzione della consulenza tecnica d’ufficio e

la civilizzazione dello strumentario probatorio ad opera del Codice del processo rendono ora

adeguata la tenuta del processo rispetto all’accertamento di fatti anche complessi»242

.

Nondimeno, se è vero che – oggigiorno – la presenza di un esperto non togato nel

collegio non è il solo modo di garantire la tecnicità delle decisioni del giudice non sembra

parimenti vero che la sua presenza sia totalmente ininfluente.

Alla luce della stessa giurisprudenza resa dai Tribunali delle Acque, allorquando si

faccia questione di problemi di natura eminentemente tecnica, assai di frequente il giudice –

talvolta anche d’ufficio – demanda al consulente tecnico l’accertamento della vicenda rimessa

al proprio sindacato243

.

242

B. MARCHETTI, La giurisdizione sull'acqua. Una specialità da conservare?, in, SANTUCCI – SIMONATI –

CORTESE, (a cura di), L’acqua e il diritto, cit., p. 229. 243

L’art. 167 del TU 1775/1933 prevede che “Occorrendo accertamenti tecnici, il giudice vi procederà insieme

con uno dei funzionari del Genio civile aggregati al Tribunale o, se si tratti del Tribunale superiore, insieme con

uno dei componenti del Tribunale stesso indicati nella lettera d) dell'art. 139. In occasione di tali accertamenti

tecnici, il giudice può sentire testimoni con giuramento, senza alcuna altra formalità di procedura, riassumendo

nel verbale le loro dichiarazioni. Se i testimoni non si trovino sul luogo, il giudice può ordinarne la citazione

anche immediata o a brevissimo termine. In casi eccezionali, il giudice può anche nominare un tecnico per i

rilievi necessari, la descrizione dei luoghi e la constatazione dello stato di fatto”. A fronte di siffatta

formulazione la giurisprudenza si è interrogata circa l’ammissibilità della CT nel c.d. rito delle acque: tra le altre,

circa il giudizio avanti allo TSAP (in sede d’appello), Tribunale Superiore delle Acque, 5 febbraio 2001, n. 12

(“Nel procedimento instaurato a norma del combinato disposto degli art. 105 e 106 (novellato, quest'ultimo,

dall'art. 10 d.lg. 12 agosto 1993 n. 273) t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, la corretta comunicazione di avvio del

procedimento nelle forme e per le finalità di cui all'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, unitamente alla possibilità

offerta concretamente alle parti interessate, ovvero a quelle - diverse dal diretto destinatario - alle quali possa

derivare pregiudizio dal provvedimento conclusivo, è intesa alla acquisizione, nel procedimento medesimo, di

tutti gli interessi coinvolti, in via di preventiva composizione, onde deve ritenersi, in linea di principio,

correttamente ed esaustivamente compiuta l'attività istruttoria nel caso in cui le parti che vi avrebbero avuto

interesse, non abbiano sollevato, direttamente o a mezzo dei loro tecnici di fiducia, le dovute osservazioni e

contestazioni avverso le metodologie adoperate ed alle conclusioni rassegnate dagli organi tecnici, incaricati

dell'attività istruttoria dall'Amministrazione e correttamente, altresì, recepiti i risultati di detta attività, nel caso

in cui nessuna osservazione in merito sia pervenuta dalle parti coinvolte (tempestivamente informate del

deposito delle conclusioni) ovvero sia stata data, in sede decisoria, congrua e ragionevole risposta a dette

osservazioni; pertanto, verificatisi tali condizioni, non è ammissibile la consulenza tecnica d'ufficio intesa a

contraddire le metodologie e le risultanze dell'attività accertativa posta in essere dalla competente autorità,

essendo tale mezzo istruttorio - astrattamente reso possibile dall'art. 167 t.u. n. 1775 del 1933 - è pur sempre,

qualificato eccezionale dalla stessa norma, davanti al tribunale superiore delle acque pubbliche, la cui

specializzazione specifica, anche per i profili tecnici, trova supporto nella appartenenza, al collegio giudicante,

di una componente non togata, tecnicamente qualificata”); ovvero (in primo grado avanti ai TRAP), Tribunale

Superiore delle Acque, 24 giugno 1985, n. 34 (“Poich l'art. 208 del t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 prevede

espressamente l'osservanza delle norme e, conseguentemente, degli istituti del codice di rito per quanto non

specificamente regolato dal titolo della legge, è legittimo l'esperimento di una consulenza tecnica disposta dal

tribunale regionale delle acque pubbliche nel corso del giudizio di primo grado”). Circa, infine, il TSAP in sede

di legittimità, tra le altre, Cassazione civile, Sez. Un., 26 maggio 2015, n. 10794, cassa con rinvio, Tribunale

Superiore delle Acque, 5 agosto 2013. In dottrina, tra gli altri. F.G. SCOCA, Giustizia Amministrativa, Torino,

2014.

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133

Ma una cosa è la predisposizione dell’elaborato tecnico, tutt’altra cosa è garantire il

giusto raccordo tra il perito ed il giudice, raccordo che solo la presenza qualificata di un

esperto non togato in camera di consiglio sembra oggettivamente garantire.

In un sistema improntato e retto formalmente sul principio “iudex peritus

peritorum”244

troppo di frequente si assiste ad un giudice che, a causa dell’estrema tecnicità

della materia, finisce per “appoggiarsi” sulle conclusioni del proprio consulente abdicando –

quantomeno parzialmente – al primato del diritto sulla tecnica.

Gli esempi in questo senso potrebbero essere molteplici e trasversali, dalla

responsabilità medica al danno erariale, dalla contrattualistica commerciale agli illeciti

economici e finanziari.

Tale tema rappresenta notoriamente una questione di pressante attualità che vede

aumentare la propria importanza in funzione dell’aumentare dell’ingresso o, meglio, del

proliferare, della tecnica nel diritto245

.

Ma allora, in questo contesto, ecco che forse l’esperienza del Giudice delle Acque non

sembra totalmente inutile e meritevole di una soppressione tout court.

L’idea di assicurare il giusto coordinamento tra Giudice e sapere tecnico siccome

pensata dal legislatore esattamente cento anni fa potrebbe (forse) trovare nuova applicazione

con sistemi giurisdizionali auspicabilmente “rivisti” in chiave moderna.

Del resto, dopo anni di dibattiti e discussioni, il modello plasmato dal legislatore del

Regno nel 1919 sembra ancora oggi obiettivamente conservare e garantire, nel difficile

rapporto tra diritto e tecnica e, quindi, in definitiva, tra giudici e tecnici, tratti di originalità

insuperati246

.

244

Secondo il consolidato principio, nel nostro ordinamento vige il principio del “iudex peritus peritorum”, in

virtù del quale è consentito al Giudice di merito valutare la complessiva attendibilità delle conclusioni peritali e,

se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche laddove queste risultino intimamente

contraddittorie. In giurisprudenza, tra le altre, Consiglio di Stato, Sez.VI, 9 febbraio 2015, n. 627; Corte di

Cassazione Civile, Sez. I, 22 novembre 2010, n. 23592; id., Sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530; id., Sez. III, 18

novembre 1997, n. 11440. 245

Sul tema, per tutti, R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, Roma, Bari, 2014, passim. Più in

generale, per i richiami dottrinali sul tema, doveroso il rinvio agli Atti del Convegno pubblicati in Questa

Rivista. 246

In dottrina, chiaramente favorevole alla loro “conservazione”, tra gli altri, V. PARISIO, I Tribunali delle

Acque: un modello giurisdizionale tutto italiano, in Foro amm., TAR, fascicolo 12, 2009, p. 3679 ss. cit. secondo

la quale “La presenza nel collegio giudicante del non togato, dotato di specifiche competenze tecniche, appare

una scelta felice, in quanto permette di dare, nella dialettica della camera di consiglio, una risposta celere e di

qualità a questioni nelle quali profilo tecnico e giuridico sono spesso indissolubilmente legati. Ad oggi, il plesso

giurisdizionale dei TRAP e del TSAP ha dato vita ad una giurisprudenza altamente specialistica, emanata in

tempi e a costi contenuti. Pensare di far venir meno il plesso giurisdizionale TRAP e TSAP (che dopo tutto ha

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134

dato buona prova di sé), in assenza di una ridefinizione dell'assetto generale della giustizia amministrativa, che

l'emanando codice del processo amministrativo in parte contribuirà a delineare, appare forse al momento

prematuro. È innegabile che, data l'importanza sempre crescente della risorsa idrica, il relativo contenzioso

debba venire deciso da organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, ai sensi dell'art. 6 Cedu, e soprattutto «

ben equipaggiati » sotto il profilo delle competenze tecniche. A tal fine, a prescindere da quelli che potrebbero

essere gli sviluppi futuri, la presenza di tecnici esperti nei collegi giudicanti va certamente mantenuta, a

garanzia, come già si diceva, della celerità e qualità del giudicato sotto il profilo tecnico, così come si deve

cercare di non disperdere quel patrimonio di sapienza giurisprudenziale che si è stratificato in più di un

secolo”.

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OGM, TECNOSCIENZA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Matteo Timo

(Dottorando Università di Genova)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Procedimento di autorizzazione dei prodotti GM e

ruolo dell’expertise scientifica. – 2.1. Considerazioni generali sulla normativa europea di

autorizzazione. – 2.2. Procedimento e attività consultiva. - 2.3. (Segue) Brevi considerazioni

sulla giurisprudenza – 3. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

La presente comunicazione si pone in ideale prolungamento della relazione tenuta dal

Prof. Vincenzo Dovì247

con riguardo ai rapporti che dividono, ovvero legano, le materie

giuridiche da quelle, in senso lato, scientifiche. Invero, le tematiche affrontate nella

richiamata relazione ben si prestano ad essere trasposte in un peculiare settore, costituito dagli

organismi geneticamente modificati (anche conosciuti con l’acronimo “OGM”).

La disciplina dei prodotti, e in particolare dei cibi e mangimi, geneticamente

modificati rappresenta uno dei settori nei quali il diritto dell’Unione europea è intervenuto

con maggior rigore e, per quanto interessa al fine della presente raccolta di Atti, con

significativo recepimento delle (rectius rinvio o delega alle) scienze dure. Non a caso, gli

OGM hanno costituito, e tuttora costituiscono, un problema di carattere multidimensionale248

:

247

In questi Atti, V. DOVÌ, Le nuove frontiere di scienza e tecnologia: confronto e dialogo con il diritto. 248

In dottrina è stato evidenziato come gli OGM abbiano un impatto multidimensionale che non incide solo sul

diritto, ma anche sulle altre discipline c.d. “sociali”, nonché sulle conoscenze scientifiche: in proposito, D.

BEVILACQUA, La regolazione degli OGM: la multidimensionalità dei problemi e le soluzioni della democrazia

amministrativa, ne I frutti di Demetra, 2007, 15.

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136

essi impongono l’elaborazione di una normativa ad elevato contenuto tecnico e, di

conseguenza, un’altrettanto tecnicamente capace applicazione della normativa medesima.

Siffatti requisiti, ovviamente, non sono di immediata portata del legislatore e della pubblica

amministrazione, ma richiedono che essi recepiscano un qualcosa – scienza e tecnica – che è a

loro esterno.

Si evince, dunque, con chiarezza il portato multidimensionale: gli OGM incidono sul

diritto, sulla scienza e sulla tecnica, sull’economia e sulla società. È del tutto evidente la

constatazione in forza della quale la stessa multidimensionalità discende da una complessità

scientifica di fondo con riguardo alle biotecnologie249

: il rapido progredire di quest’ultime

dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso ad oggi ha richiesto uno sforzo giuridico ed

economico che, all’opposto, non pare essere stato metabolizzato dalla società civile250

.

Restringendo l’esame al settore giuridico si nota, tuttavia, una marcata

interdisciplinarietà: i settori del diritto che sono in un qualche modo lambiti dalla c.d.

“biotech” sono tradizionalmente individuati in quello normativo (come il legislatore deve

assimilare il portato scientifico e tradurlo in disposizione normativa) e quello giudiziario251

(a

quale approccio il giudice civile, penale e amministrativo deve improntare la risoluzione di

controversie ad elevata complessità tecnoscientifica). Invero, anche il momento

amministrativo procedimentale, benché forse non oggetto di ampi studi in merito, risente

sempre più di una stretta interazione con la tecnoscienza252

.

È ormai palese che la Pubblica amministrazione rivesta un ruolo complesso

scientificamente, nonché politicamente: da un lato, è tenuta ad applicare al caso concreto la

normativa tecnica – spesso dovendo, nel provvedimento, rielaborare valutazioni non

giuridiche di esperti – e, dall’altro lato, si ritrova nella poco piacevole situazione di assumere

decisioni che non godono dell’approvazione dei consociati (esempio lampante è fornito

proprio dagli OGM nelle loro varie entità: colture, cibi e mangimi).

249

Attenta dottrina osserva che la complessità della disciplina naturalistica ha condotto ad una altrettanto

complessità delle problematiche “ecologiche”, intese quale corpus di questioni scientifiche, tecnologiche,

economiche, morali, giuridiche e politiche. In tal senso M. TALLACCHINI, Ambiente e diritto della scienza

incerta, in G.Rossi (a cura di), Ambiente e diritto, Torino, 1999, Volume I, pag. 61. 250

G. GRANIERI, Umanità accresciuta. Come la tecnologia ci sta cambiando, Bari 2009, pagg. 19 ss. 251

In proposito si richiamano M.T. BONAVIA, Giudici ordinari scienze e tecniche, in questi Atti; O.M. CAPUTO,

Giudici amministrativi, scienze, tecniche e discrezionalità tecnica e amministrativa, in questi Atti. 252

Con simile termine si vuole, con una parola, indicare tutto il portato dell’elaborazione scientifica e

tecnologica; in merito si veda M. BUCCHI, Scegliere il mondo che vogliamo. Cittadini, politica, tecnoscienza,

Bologna, 2006, pagg. 8 e 9; nonché M.C. TALLACCHINI, Stato di scienza? Tecnoscienza, policy e diritto, in

www.federalismi.it, 2005.

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137

Quanto scritto esplicita un momento di complessità che investe tanto la legislatio

quanto la legisexecutio. L’aumentare della produzione di regole tecnico-giuridiche richiede

l’acquisizione di maggiori competenze tenico-amministrative e si traduce, in ultima analisi, in

una difficoltà non solo d’interpretazione, bensì anche di applicazione: difficoltà queste ultime

che hanno connotati del tutto peculiari nella regola tecnica e che non possono essere superate

facendo ricorso ai normali criteri di interpretazione del diritto. Situazione questa che pare

aggravata da un’ulteriore considerazione: le tematiche trattate incidono sovente su diritti di

rilievo costituzionale. Per limitare l’esame ai prodotti GM, il loro impiego su larga scala

determina, o potrebbe determinare, delle ricadute su interessi costituzionali, quali l’ambiente,

la salute umana e la libertà di iniziativa economica privata: con la conseguente esigenza di

modulare i diritti sulla scorta dei progressi biotecnologici253

.

A conclusione di queste premesse, pare opportuno evidenziare come l’articolarsi del

rapporto tra diritto amministrativo e scienza sia di significativa attualità: infatti, in queste

considerazioni rientrano non solo gli OGM, ma anche energie nucleari e impatto delle energie

rinnovabili, nanotecnologie, biologia sintetica, procreazione medicalmente assistita e svariati

settori oggetto dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica.

2. Procedimento di autorizzazione dei prodotti GM e ruolo dell’expertise scientifica

I punti di maggiore criticità, discendenti dalle brevi considerazioni che precedono,

possono manifestarsi nel procedimento amministrativo, ove l’organo decidente superi ogni

ulteriore considerazione recependo acriticamente una valutazione tecnoscientifica: un

processo decisionale connotato da siffatta modalità appare quello in materia di autorizzazione

all’immissione nel mercato comune di OGM.

Le numerose perplessità sulla bontà dell’impiego commerciale di OGM hanno fatto sì

che il legislatore comunitario prima, e quello nazionale successivamente, intervenissero

predisponendo un regime di valutazione preventiva del rischio di gran lunga più incisivo di

quello richiesto per ogni altro prodotto agricolo o alimentare. In linea di massima

approssimazione è possibile affermare che nessun prodotto ottenuto impiegando la moderna

253

M. TALLACCHINI, Scienza e diritto. Prospettive di co-produzione, in Rivista di filosofia del diritto, 2012, I, 2,

pag. 319: l’Autrice, nell’ambito dell’esame del rapporto di “co-produzione” che potrebbe legare scienza e diritto,

rinvia al «processo di riconfigurazione biocostituzionale dei diritti».

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138

biotecnologia può essere commerciato o emesso in ambiente se non prima di essere stato

autorizzato all’esito un procedimento amministrativo, nel corso del quale il prodotto stesso è

sottoposto a pregnanti verifiche di carattere tecnico-scientifico.

2.1. Considerazioni generali sulla normativa europea di autorizzazione

In via preliminare all’esame della componente tecnoscientifica del procedimento di

autorizzazione degli OGM, si devono rimarcare tre peculiarità che risaltano il rapporto

scienza-diritto in questa materia.

In primo luogo, l’intero corpus normativo europeo sulle biotecnologie è intriso di

nozioni scientifiche e tecniche che lo rendono di scarsa immediatezza e di difficile

applicazione. Si pensi al concetto di “biodiversità”, oppure alla stessa locuzione “organismo

geneticamente modificato”: ebbene, in entrambi i casi non è possibile un’applicazione della

normativa di riferimento senza che il legislatore abbia fornito una definizione di

“biodiversità” o di “OGM”, in quanto con gli stessi termini è possibile riferirsi ad entità assai

diversificate.

In particolare, è risaputo254

che l’attuale concetto di organismo geneticamente

modificato è significativamente delimitato rispetto a quelli che in realtà sono i prodotti o gli

esseri viventi che hanno subito una modificazione del loro patrimonio genetico: infatti, la

totalità delle coltivazioni che oggi sono disponibili sul mercato discende da un millenario

processo di selezione spontanea o artificiale255

. Nessuna delle attuali colture esisteva in

“natura”, bensì tutte sono il frutto di un processo di miglioramento genetico compiuto

dall’uomo attraverso essenzialmente tre metodologie: in primo luogo, tecniche convenzionali

(selezione, innesto e accoppiamento); in secondo luogo, per mutagenesi256

(trattamenti

chimici – impiego di sostanze mutagene – o fisici – radiazioni ionizzanti – dei semi); in terzo

luogo, sulla base della moderna biotecnologia.

254

In proposito, F. SALA, Gli ogm sono davvero pericolosi?, Bari, 2005, pagg. 12 ss. 255

Tale processo è stato cristallinamente evidenziato da F. PERDELLI nella relazione dal titolo “La sicurezza

alimentare sul tavolo dello scienziato” tenuta nel corso del Convegno “Aspetti e problemi della regolazione

giuridica degli OGM” svoltosi il 30 ottobre 2015 presso l’Università degli Studi di Genova e disponibile sul sito

www.radioradicale.it. 256

F. SALA, op. cit., pag. 14.

Page 148: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

139

Tutti e tre i processi d’intervento conducono alla creazione di un essere vivente con

patrimonio genetico differente rispetto agli individui o organismi preesistenti: unica diversità

risiede nel fatto che, mentre dalle prime due metodologie scaturisce una ricombinazione

casuale dei geni, nella terza lo scienziato è in grado di far migrare uno specifico gene da un

individuo a un altro, ottenendo, pertanto, un individuo originale e munito delle caratteristiche

specificamente riconducibili al gene “trapiantato”. Solo quest’ultima tecnica rientra, in forza

della normativa di settore, nella nozione di organismo geneticamente modificato. Questo

breve esempio permette di comprendere come i concetti di natura prevalentemente scientifica

(nel nostro caso “OGM”) non siano di immediata comprensione, per quel che consta, per il

pubblico amministratore: occorre che il legislatore ci fornisca una definizione al fine di

evitare che la regola sia applicata anche a delle ipotesi che, pur rientrando nella sfera di

significati del concetto stesso, non sono ricompresi dalla disposizione normativa.

Tuttavia il legislatore per raggiungere tale risultato deve ricorrere ad altre nozioni

scientifiche: la direttiva 2001/18/CE, nel limitare la definizione di OGM a quelli risultanti

dall’applicazione delle moderne biotecnologie257

, ovviamente deve introdurre la nozione

stessa di “moderna biotecnologia”, ma anche quella di “organismo”258

. Queste ultime nozioni

hanno un portato che è giuridico esclusivamente per il fatto di essere stato riprodotto in un

documento normativo, ma il loro significato è totalmente non giuridico, con la conseguenza

che la Pubblica amministrazione, per darvi applicazione, dovrà ricorrere al parere

dell’esperto.

In secondo luogo, è opportuno mettere in risalto che l’obiettivo stesso della normativa

procedimentale è ricondotto alla verifica dell’eventuale pericolosità del prodotto GM e,

conseguentemente, persegue una finalità scientifica, attraverso l’impiego degli opportuni

257

La direttiva 2001/18/CE, art. 2, par. 1, 2), punto a) parla di modificazione genetica e rinvia all’apposito

Allegato IA –parte 1, dove sono elencate le specifiche tecniche che conducono ad una ricombinazione genetica

in modo diverso rispetto l’accoppiamento o la selezione naturale.

Il Regolamento n. 1829/2003/CE, all’art. 2, richiama le definizioni fornite dalla Direttiva 2001/18/CE.

Una specifica definizione di moderna biotecnologia è, tuttavia, espressamente riportata nel testo del Protocollo di

Cartagena sulla Biosicurezza, dove all’art. 3, lett. i), si legge «"biotecnologia moderna", l'applicazione di: -

tecniche in vitro dell'acido nucleico, compresa la ricombinazione dell'acido deossiribonucleico (DNA) e

l'inoculazione diretta dell'acido nucleico in cellule o organuli o - fusione di cellule al di fuori della famiglia

tassonomica, che superano le naturali barriere fisiologiche della riproduzione o della ricombinazione e che

sono diverse dalle tecniche tradizionali utilizzate nell'allevamento e nella selezione». In merito: E. RIGHINI, Il

protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza e gli accordi sul commercio internazionale, in Riv. dir. internaz.,

2001, 3, pagg. 654 ss.; L. MARINI, Principio di precauzione, sicurezza alimentare e organismi geneticamente

modificati nel diritto comunitario, in Dir. un. eur., 2004, 1, pagg. 7 ss. 258

La Direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001, all’art. 1, par. 1, punto 2): «“organismo”, qualsiasi entità

biologica capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico»

Page 149: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

140

strumenti tecnologici a disposizione dell’amministrazione. È la stessa Direttiva del 2001 che,

al considerando numero 5, dispone che «la tutela della salute umana e dell’ambiente richiede

che venga prestata la debita attenzione al controllo di rischi derivanti dall’immissione

deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM)»259

, nel rispetto, tra

l’altro, del Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza260

.

Il procedimento di autorizzazione, allora, designa una “amministrazione del

rischio”261

, ove il procedimento amministrativo si configura come attività preventiva

all’impiego del prodotto geneticamente modificato in tutti i suoi possibili usi. Attività

preventiva che è volta ad assodare, almeno nel caso della normativa in esame, che non si

registrino ricadute negative sull’ambiente e sulla salute umana (art. 4 della Direttiva n. 18 del

2001): le competenti autorità devono, pertanto, attivare specifici procedimenti, il cui scopo è

accertare, case by case, l’assenza di rischio. Siffatta normativa, che pare recepire i diffusi

timori su una – asserita – “incertezza scientifica”262

, ovviamente non deve trarre in inganno.

L’amministrazione, nonché la regolazione, del rischio non deve intendersi come entità

assoluta: da un lato, il rischio “zero” non esiste e ogni sistema tecno-scientifico, anche il più

sofisticato, può essere posto nella condizione di cedere di fronte a situazioni impreviste263

.

Dall’altro lato, l’idea stessa di regolare o amministrare conduce a una prospettiva di

mediazione che è tipica dell’attività amministrativa, quella di bilanciare e sintetizzare interessi

diversi e, sovente, contrapposti: non solo meramente scientifici, ma anche economici e sociali

in senso lato.

In terzo luogo, se le considerazioni che precedono hanno indotto l’Unione europea ad

introdurre un regime autorizzatorio in merito ai beni GM, si deve precisare che simile

orientamento non rappresenta l’unico approccio esperibile in ordine alla regolazione degli

OGM. Non a caso, il sistema preventivo non è stato recepito in quegli Stati che, attualmente,

259

In tal senso anche art. 4 della stessa Direttiva, nonché l’art. 1 del Regolamento CE n. 1829 del 22 settembre

2003. 260

Direttiva 2001/18/CE, considerando n. 13. 261

Si ribadisce che, come ha evidenziato attenta dottrina (P. SAVONA, Dal pericolo al rischio: l’anticipazione

dell’intervento pubblico, in Dir. amm., 2010, 2, pagg. 355 ss.), il concetto di rischio deve essere tenuto separato

da quello di pericolo. Il primo è relativo al danno come conseguenza di una decisione, mentre il secondo

riguarda un danno derivante dalla natura o dalla decisioni prese da altri.

Nel caso degli organismi geneticamente modificati, pare dunque potersi parlare sia di pericolo, in quanto il

danno può ricondursi alle conseguenze biologiche del prodotto, sia di rischio, poiché è presente una normativa di

riferimento, il cui mancato rispetto può generare ricadute negative. 262

D. BEVILACQUA, op. cit., pag. 2. 263

F. STELLA, Il rischio da ignoto tecnologico e il mito delle discipline, in Aa. Vv., Il rischio da ignoto

tecnologico, Milano, 2002, pagg. 4 ss.

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141

sono i maggiori produttori di derrate geneticamente modificate, Stati Uniti d’America in

prima fila.

Negli USA, come in altri Stati favorevoli all'utilizzo degli OGM, la regolamentazione

è basata sul principio di “sostanziale equivalenza”264

. Le varietà GM sono considerate, salvo

prova contraria, come sostanzialmente equivalenti alle specie convenzionali. Si adotta,

conseguentemente, l'assunto secondo il quale varietà, geneticamente modificate e non,

presentano gli stessi fattori di rischio per la salute umana e per l'ambiente e quindi non

trovano giustificazione trattamenti discriminanti; entrambe le tipologie esigono il rispetto di

medesimi requisiti di sicurezza. L'effettiva equivalenza tra prodotti GM e prodotti “OGM

free” deve, tuttavia, essere accertata sulla base dei dati tecnicoscientifici e, solo in questo

caso, l'approccio normativo potrà essere il medesimo. La posizione degli Stati Uniti

d'America non riconosce che vi possa essere una correlazione tra processo produttivo e

caratteristiche prodotto finale: si attua, pertanto, il principio regulation of product, not

process.

Orientamento completamente diverso e di matrice preventiva è stato quello assunto dal

legislatore europeo, il quale ha incentrato l’autorizzazione all’impiego degli OGM

all’esperimento di una penetrante valutazione del rischio, al fine di assicurare la sicurezza

alimentare265

e ambientale. Alla luce di un primo punto di vista, si registra dunque una

limitazione dell’autoregolazione del mercato: i prodotti OGM non godono di alcuna

liberalizzazione, bensì sono assoggettati al preventivo controllo amministrativo.

In secondo luogo, il regime autorizzatorio e la mancanza di un’uniforme opinione

degli Stati membri hanno fatto sì che il metodo precauzionale sia stato assai spesso distorto,

inducendo il titolare del potere esecutivo a introdurre una vera e propria moratoria delle

derrate GM anche quando le autorità amministrative, in concreto, avevano accertato l’assenza

di qualsivoglia rischio significativo266

. Un atteggiamento di tale sorta – oltre a non recepire

l’avvenuta transizione, anche a livello nazionale, da un sistema in cui gli OGM erano

264

F. ROSSI DAL POZZO, Profili recenti in tema di organismi geneticamente modificati nel settore

agroalimentare fra procedure di comitato e tutela giurisdizionale, in Dir. comm. int., 2014, 2, pagg. 339 ss. 265

L. RUSSO, La sicurezza delle produzioni «tecnologiche», in www.rivistadirittoalimentare.it, 2010, 2. 266

In tal senso è nota la vicenda del Mais 810 che ha visto contrapporsi da un lato, il Governo Italiano e il TAR

Lazio, dall’altro lato le Autorità europee e alcuni produttori nazionali favorevoli all’impiego del mais

transgenico.

Fra i moltissimi contributi apparsi su questa annosa controversia si citano: A. IEVOLELLA, Campi coltivati con

“Mais MON 810”: agricoltore sconfitto, legittimo il sequestro, in www.dirittoegiustizia.it; V. RANALDI, Il

confronto tra stati membri ed Unione europea in materia di OGM nella giurisprudenza nazionale e comunitaria,

in Dir. comm. int., 2014, 4, pagg. 1011 ss.

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142

segregati ad una concezione di coesistenza con le culture tradizionali267

– si presenta come il

frutto del cambiamento del rapporto fra scienza e diritto: la valutazione scientifica non è più

in grado di informare a sé la decisione politica. Inoltre, il medesimo atteggiamento pare

travolgere anche la nozione stessa di principio di precauzione, che viene strumentalizzato al

fine di impedire qualsiasi impiego di prodotti e culture transgeniche anche dove, pur

nell’impossibilità dell’assoluta certezza, le competenze tecniche dell’amministrazione hanno

assodato l’assenza del rischio. Si palesa, in conseguenza, una tensione fra principio

precauzionale268

e il principio di ragionevolezza269

, che deve assistere ogni attività

dell’esecutivo in sede amministrativa: il principio di precauzione dovrebbe essere

“ragionevolmente” applicato solo ove si siano riscontrati dubbi scientificamente attendibili

circa la nocività per l’ambiente e non dove, all’opposto, la pubblica amministrazione abbia

riscontrato l’assenza di pericolosità.

Questa interpretazione, pare a chi scrive, confortata dalla direttiva 2001/18/CE, dal

momento che la medesima richiama esplicitamente il principio di precauzione (considerando

n. 8), ma assegna alle autorità competenti (ovvero alla pubblica amministrazione) la verifica

delle condizioni per la sua applicazione, vale a dirsi il riscontro della nocività per la salute

umana e per l’ambiente. Invero, anche il diritto internazionale dell’ambiente si pone in ottica

simile: il menzionato Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza – pur rinviando

esplicitamente al principio di precauzione270

– legittima una “difesa attenuata” della

biodiversità: il Protocollo richiede che siano adottati adeguati livelli di protezione allorché si

impieghino organismi modificati271

, ma non mette al bando l’utilizzo degli stessi. Questi

possono essere usati, purché nel rispetto della sostenibilità (l’ambiente non è qui un valore

assoluto e immodificabile a scapito della libertà d’impresa) e della salute umana. Tale

impostazione non solo è conforme a ragionevolezza, ma in un certo qual senso anche ovvia,

atteso che solo l’ente amministrativo può dare concretezza alla disposizione normativa.

267

M. MOTRONI, La disciplina degli OGM a metà tra «tutela dell’ambiente» e «agricoltura», ovvero della

problematica coesistenza di competenze legislative statali e regionali, in www.federalismi.it, 2006, 18; L.

MARINI, OGM, precauzione e coesistenza: verso un approccio (bio)politicamente corretto?, in Riv. giur. amb.,

2007, 1, pagg. 1 ss. 268

M. RENNA, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. quadr. dir. amb., 2012, 1-2, pagg. 62 ss.; F.

FONTE, Organismi geneticamente modificati: monopolio e diritti, Milano, 2004, pagg. 23 ss. 269

Un riferimento alla ragionevolezza nell’applicazione delle misure preventive è presente in V. BUONOCORE,

Problemi di diritto commerciale europeo, in Giur. comm., 2008, 1, pagg. 3 ss. 270

L’art. 1 del Protocollo richiama l’art. 15 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e sullo sviluppo. 271

Artt. 1 e 2 del Protocollo di Cartagena.

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143

2.2. Procedimento e attività consultiva

Il settore dei prodotti geneticamente modificati costituisce un ambito del mercato

comune nel quale vi è stata una precoce disciplina di settore: il primo intervento comunitario

in materia si registra con la direttiva 1990/220/CE, la quale preveda un sistema di assenso

preventivo alla immissione in commercio dell’OGM, gestito, essenzialmente, dalle autorità

degli Stati membri.

A seguito di un processo di riforma – ispirato al superamento delle lacunosità della

previgente normativa – il legislatore comunitario ha provveduto all’abrogazione della

direttiva del 1990, sostituendola con l’attuale direttiva 2001/18/CE272

alla quale è stato

affiancato il successivo regolamento CE 1829/2003273

. Pur non ritenendo questa la sede per

un esame complessivo della disciplina procedimentale europea in materia di OGM274

, pare

doveroso ricordare che la direttiva n. 18 costituisce ancora la normativa quadro sui prodotti

transgenici, tuttavia il suo portato risulta ridimensionato dalla comparsa del regolamento del

2003 e dalle modifiche apportate alla stessa direttiva da parte della direttiva n.

412/2015/UE275

.

È possibile affermare che la direttiva n. 18 reca una disciplina esaustiva in materia di

emissione nell’ambiente di OGM, mentre mantiene un ruolo secondario circa i prodotti GM,

atteso che questi ultimi rientrano nella regolamentazione della direttiva solo allorché non ne

sia previsto un impiego come mangime o alimento. All’opposto, il regolamento n. 1829

introduce la vigente normativa in merito a quei prodotti transgenici destinati a essere immessi

nel mercato quali alimenti o mangimi, e per i quali la legislazione europea richiede un

procedimento unico di accertamento del rischio.

In estrema sintesi, si può giungere alle considerazioni di seguito riportate. In primo

luogo, chiunque voglia impiegare un OGM nell’ambito del mercato (tanto per l’emissione in

ambiente, quanto per l’immissione in commercio) deve darne notifica alle competenti

272

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente

di organismi geneticamente modificati, in G.U.U.E. del 17/04/2001, n. 106. 273

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai

mangimi geneticamente modificati, in G.U.U.E. del 18/10/2003, n. 268. 274

Si rinvia all’attenta dottrina che, recentemente, ha studiato il procedimento di cui ai citati regolamento e

direttiva: F. ROSSI DAL POZZO, op. cit.; nonché A. ODDENINO, La disciplina degli organismi geneticamente

modificati. Il quadro di diritto comunitario, in R. Ferrara – I.M. Marino (a cura di), Gli organismi geneticamente

modificati. Sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente, Padova, 2003, pagg. 81 ss.; F.R. FRAGALE, Organismi

geneticamente modificati, Napoli, 2005. 275

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 412 del 11 marzo 2015.

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144

autorità. In secondo luogo, qualora si tratti di emissione deliberata in ambiente la competenza

all’autorizzazione permane in capo alle amministrazioni degli Stati membri276

; qualora sia

un’istanza relativa all’immissione in commercio di OGM non destinati all’alimentazione277

il

procedimento resta in carico alle competenti autorità nazionali, a meno che altri Stati membri

non presentino osservazioni e sulle medesime non sopraggiunga un accordo degli Stati stessi;

infine, qualora l’istanza di autorizzazione sia inerente a OGM ad uso alimentare o per la

nutrizione di animali, è previsto un unico procedimento europeo278

.

Il tratto unificante dei diversi procedimenti risiede, come ribadito dalla stessa

Commissione europea279

, nella garanzia che «l’immissione sul mercato dei prodotti in

questione non presenti rischi per la salute umana o animale o per l’ambiente»: elemento

centrale è dunque la valutazione scientifica del rischio, che costituisce, sempre nelle parole

delle Commissione, «fondamento principale» della giustificazione sottesa all’autorizzazione.

Se si escludono le fasi di spettanza dei singoli Stati membri – ognuno dei quali provvede alla

costituzione di opportune autorità nazionali – siffatta valutazione è, oggi, esperita sulla base

delle competenze tecnico-scientifiche possedute da uno specifico organo europeo, istituito ai

sensi del regolamento CE n. 178/2002280

e rappresentato dall’Autorità europea per la

sicurezza alimentare (meglio conosciuta con l’acronimo “EFSA”, corrispondente a European

Food Safety Authority).

L’EFSA svolge un ruolo di primo piano nella decisione assunta dalla Commissione a

conclusione del procedimento di autorizzazione. Ai sensi della normativa vigente281

simile

Autorità282

dispone dei requisiti di indipendenza e di eccellenza che le permettono, da un lato,

di addivenire ad una effettiva analisi del rischio insito nell’impiego degli OGM e, dall’altro

lato, di svolgere una funzione legittimante dell’attività di decision-making che spetta

276

Artt. 6 e seguenti della Direttiva n. 18 del 2001. 277

Artt. 13 e seguenti della Direttiva n. 18 del 2001. 278

Art. 4 e seguenti del regolamento n. 1829 del 2003. 279

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale

europeo e al Comitato delle Regioni – Revisione del processo decisionale in tema di organismi geneticamente

modificati (OGM) del 22 aprile 2015. 280

Regolamento CE del 28 gennaio 2002 n. 178 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi

e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa

procedure nell’ambito della sicurezza alimentare. 281

Art. 22, par. 7, e artt. 37 ss. del regolamento CE n. 178/2002. 282

Sulla natura giuridica dell’Autorità quale amministrazione indipendente o agenzia nell’ambito del diritto

europeo si rinvia a R. MANFRELLOTTI, L’amministrazione comunitaria nel settore delle biotecnologie, in Riv.

giur. amb., 2004, 6, pagg. 825 ss.

Page 154: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

145

all’organo politico-amministrativo283

. I requisiti di terzietà e “tecnicità” permettono all’EFSA

di adempiere il suo ruolo di organo consultivo e di inserirsi pienamente nella già menzionata

“amministrazione del rischio”. L’Autorità per la sicurezza alimentare, infatti, compie

autonomamente l’attività di valutazione del rischio (cd. risk assessment), sulla base della

quale la Commissione e i comitati competenti284

perseguono, invece, la gestione del rischio

(cd. risk management)285

: le due funzioni appaiono, dunque, ontologicamente diverse, la

prima è, o dovrebbe essere, attività consultiva da compiersi, esclusivamente, sulla base delle

nozioni tecniche e scientifiche; la seconda, invece, deve – o comunque dovrebbe –

manifestare un sindacato di opportunità, costituito dal contemperamento di interessi differenti

(e di matrice non solo scientifica).

La dicotomia fra risk assessment e risk management pare palesarsi nel settore degli

OGM sulla scorta della lettura delle norme che regolano l’autorizzazione all’immissione.

Come è stato evidenziato poco sopra, dalle disposizioni europee si parrebbe legittimati a

ritenere che l’EFSA sia organo non dell’amministrazione attiva, bensì di quella consultiva:

l’art. 6 del regolamento del 2003 afferma che l’Autorità emette un parere successivamente

vagliato dalla Commissione (nonché dai comitati)286

. Tuttavia, a un più attento sindacato287

della prassi autorizzatoria della Commissione si evince che il ruolo dell’EFSA non si inquadra

perfettamente nel concetto di “amministrazione consultiva” tipico del diritto amministrativo

italiano.

La legge generale sul procedimento amministrativo italiano288

definisce attività

consultiva quella che si estrinseca nel rilascio di pareri, ossia di atti amministrativi

283

In tal senso L. SALVI, L’immissione in commercio di OGM: il ruolo dell’Autorità europea per la sicurezza

alimentare, in L. Costato – P. Borghi – L. Russo – S. Manservisi (a cura di), Dalla riforma del 2003 alla PAC

dopo Lisbona, I riflessi sul diritto agrario alimentare e ambientale, Napoli, 2011, pagg. 405 ss. 284

Si ricorda che la Commissione non è titolare esclusiva del potere di autorizzazione: essa è affiancata dai

rappresentanti degli Stati membri in forza del procedimento c.d. di “comitologia” (in proposito, M.L. TUFANO,

La comitologia e le misure di esecuzione degli atti e delle politiche comunitarie, in Dir. un. eur., 2008, 1, pagg.

149 ss.; D. BIANCHI, La comitologia dopo Lisbona, in L. Costato – P. Borghi – L. Russo – S. Manservisi (a cura

di), Dalla riforma del 2003 alla PAC dopo Lisbona, I riflessi sul diritto agrario alimentare e ambientale, op. cit.,

pagg. 51 ss.). 285

M. SAVINO, Autorità e libertà nell’Unione europea: la sicurezza alimentare, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, 2,

pagg. 413 ss. 286

In senso analogo anche la disposizione generale – e dunque non dettata in materia di OGM – di cui all’art. 23

del regolamento CE n. 178/2002: «L'Autorità ha i seguenti compiti: a) fornire alle istituzioni comunitarie e agli

Stati membri i migliori pareri scientifici in tutti i casi previsti dalla legislazione comunitaria e su qualsiasi

questione di sua competenza; […]; c) fornire alla Commissione assistenza scientifica e tecnica nelle materie di

sua competenza e, quando richiesto, nell'interpretazione e nell'esame dei pareri relativi alla valutazione dei

rischi; […]» 287

L. SALVI, op. cit., pagg. 409 ss. 288

Legge 7 agosto 1990 n. 241.

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146

infraprocedimentali finalizzati ad illuminare l’organo decidente (vale a dirsi la c.d.

“amministrazione attiva”) in ordine al contenuto dell’atto da adottare289

: ovviamente l’atto

consultivo può avere ad oggetto i più disparati campi del sapere umano (diritto, ingegneria,

contabilità, e via dicendo).

Invero, la menzionata legge 241/1990 specifica la nozione di amministrazione

consultiva distinguendo fra pareri e valutazioni tecniche290

. I primi291

illuminano l’organo

decidente in merito, appunto, alla decisione a cui il medesimo deve pervenire, ossia operano

sul contenuto del provvedimento; nelle seconde292

, invece, la valutazione è operata alla

stregua di conoscenze e, quindi, di regole tecniche: con la conseguenza che le valutazioni

tecniche forniscono un sindacato sui fatti oggetto del procedimento, mentre i pareri

forniscono un’interpretazione dei fatti già assodati e acquisiti in sede di istruttoria

procedimentale293

.

La collocazione del ruolo dell’EFSA nell’ambito delle categorie di diritto interno non

appare intuitiva: chi scrive ritiene necessario un superamento del mero nomen iuris di

“parere”294

– attribuito dalle fonti europee – atteso il ruolo penetrante assunto dall’EFSA, che

risulta trascendere la sola fase di analisi di rischio per improntare a sé anche l’attività di

decision making finale: si nota che l’autorizzazione all’immissione trova la sua legittimazione

in un procedimento marcatamente science-based295

. Invero, si ritiene che la qualificazione

come “parere” sia confortata dalla lettura della direttiva 2001/18/CE e del regolamento CE

1829/2001, ma possa essere contraddetta dalla loro concreta attuazione.

In primo luogo, se entrambe le normative incentrano il provvedimento di

autorizzazione sulla scorta della valutazione del rischio (in generale compiuta dall’EFSA), le

medesime ammettono che le autorità europee possano assumere a fondamento della loro

decisone anche ulteriori parametri di natura di non scientifica. Ci si riferisce, in particolare,

289

Sull’attività consultiva si ricordano in dottrina gli studi di P.M. VIPIANA PERPETUA, I procedimenti

amministrativi. La disciplina attuale e i suoi aspetti problematici, Padova,2012, pagg. 84 ss., V. PARISIO,

L’attività consultiva, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano,2011, pagg. 696

ss.; inoltre E. CASETTA (a cura di F. Fracchia), Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2015, pagg.459 ss. 290

N. AICARDI, Le valutazioni tecniche, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, op. cit.,

pagg. 716 ss. 291

Art. 16 della legge n. 241/1990. 292

Art. 17 della legge n. 241/1990. 293

Si desume, pertanto, che il parere si esplicita nella fase procedimentale decisoria, mentre la valutazione

tecnica nella fase procedimentale istruttoria: in tal senso P.M. VIPIANA PERPETUA, op. cit., pagg. 89 ss. 294

In particolare artt. 22, par. 7; 23, par. 1, e 29 del regolamento CE n. 178/2002, nonché art. 6 del regolamento

CE n. 1829/2003. 295

L. SALVI, Processi decisionali e partecipazione pubblica tra innovazione e “controversie” tecnologiche. La

regolazione delle biotecnologie agro-alimentari nell’U.E., in Riv. dir. agr., 2015, 2, pagg. 227 ss.

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147

all’art. 7 del regolamento del 2003 in forza del quale la Commissione, nel valutare il parere

dell’EFSA, può tenere conto di altri fattori legittimi pertinenti alla questione in esame. Alla

luce delle considerazioni esposte, allora, si può giungere alla conclusione che l’atto rilasciato

dall’EFSA, almeno formalmente, potrebbe ricondursi alla nozione interna di parere

obbligatorio (poiché sempre richiesto dalla normativa), ma non vincolante, in quanto la

Commissione potrebbe impiegare a fondamento del provvedimento ulteriori elementi296

.

Quanto scritto fa propendere per un’interpretazione che ritenga il parere dell’EFSA non

riconducibile alla nozione di valutazione tecnica presente nel diritto italiano. Infatti, l’art. 17

della legge 241 impedisce che l’amministrazione procedente adotti il procedimento

prescindendo dalla valutazione medesima. A maggior ragione, l’intervento dell’EFSA non

sembra riferirsi al mero accertamento della consistenza di situazioni di fatto, quanto,

piuttosto, al fornire dei chiarimenti che la Commissione potrà autonomamente ponderare in

bilanciamento con altri interessi.

Se il tenore letterale delle norme sul procedimento europeo permette di qualificare

l’attività consultiva dell’EFSA quale parere obbligatorio non vincolante – ovviamente a meno

che l’Autorità non abbia individuato la presenza di rischi per la salute o l’ambiente297

diverse considerazioni devono desumersi alla luce della prassi procedimentale. Il rilascio delle

autorizzazioni sull’immissione di OGM da parte della Commissione appaiono incentrate

esclusivamente sulla valutazione scientifica del rischio, senza che sia data un’effettiva

rilevanza ad ulteriori considerazioni o alla componente partecipativa dei cittadini europei. In

questo ambito procedimentale si registra, pertanto, una prevalenza del momento scientifico-

consultivo su quello amministrativo-decisionale. L’attività di gestione del rischio – che, come

riportato in precedenza, dovrebbe recare una ponderazione di diversificati interessi al fine di

giungere all’immissione di un prodotto connotato da un rischio “accettabile” – è stata ridotta

al mero recepimento di un parere sull’assenza del rischio: vale a dirsi che l’apprezzamento di

opportunità si è tradotto in un esempio di “tecnocrazia”.

296

A considerazioni analoghe è giunta anche la dottrina che ha studiato l’EFSA nella sua disciplina generale: S.

GABBI, L’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Genesi, aspetti problematici e prospettive di riforma,

Milano, 2009, pagg. 136 e 139 ss. 297

Si ritiene, infatti, che la Commissione possa valutare ulteriori interessi solo qualora l’EFSA abbia assodato

l’assenza del rischio: in caso contrario, infatti, non sarebbe possibile autorizzare il prodotto nemmeno sulla

valutazione degli ulteriori fattori legittimi, atteso che i principi ispiratori della direttiva del 2001 e del

regolamento del 2003 sono, per l’appunto, la tutela dell’ambiente e della salute.

Page 157: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

148

2.3. (Segue) Brevi considerazioni sulla giurisprudenza

Della tendenza a dare rilevo al momento tecnico-scientifico si ha sentore nella

giurisprudenza della Corte di giustizia. L’analisi delle più conosciute pronunce della Corte

consente di verificare come il Giudice europeo abbia, in generale, improntato il proprio

giudizio sulla verifica della corrispondenza tra l’operato della Commissione e il parere

dell’EFSA o di altri organi consultivi. Ovviamente, si deve evidenziare come la Corte sia

sovente intervenuta sull’applicazione delle procedure di “emergenza”298

consentite agli Stati

membri al fine di adottare misure cautelative per la tutela dell’ambiente e della salute umana:

ciò giustifica il fatto che la Corte abbia prevalentemente esaminato la rilevanza della prova

scientifica del rischio, piuttosto che il procedimento di autorizzazione di per sé. Tuttavia, ciò è

espressivo del fatto che tanto l’Unione quanto gli Stati membri improntano – nel bene o nel

male – l’autorizzazione degli OGM essenzialmente sul dato scientifico.

Ciò è avvenuto già nel noto caso del “Land dell’Austria superiore”299

, ove la Corte – e

precedentemente il Tribunale di primo grado – ha convalidato l’operato della Commissione

evidenziando come la Repubblica d’Austria e il Land non avessero fornito alcun elemento

idoneo al superamento dell’analisi svolta dall’EFSA. Simile giurisprudenza è stata ribadita

anche in sede di definizione degli “spazi di manovra” riconosciuti agli Stati membri nei

confronti degli OGM autorizzati: il riferimento è qui al corpus giurisprudenziale costituito

dalle sentenze “Monsanto”del 2011300

e “Pioneer” del 2012301

. Con la sentenza del 2011, la

Corte di giustizia dell’Unione ha precisato che, allorquando, la Commissione abbia

provveduto all’autorizzazione di un prodotto GM, gli Stati membri possono ricorrere, in via

cautelare, alle misure di cui all’art. 34 del regolamento n. 1829/2003302

: tuttavia, l’autorità

nazionale può accedere a tali misure di emergenza solo ove abbia riscontrato un rischio

298

In particolare, art. 34 regolamento n. 1829/2001 e artt. 23 e 26 direttiva 2001/18/CE. 299

Sentenza del 13 settembre 2007, cause riunite C-439/05 P e C-454/05 P, Land Oberosterreich e Austria c.

Commissione: commentata in V. RANALDI, op. cit. Ma, in senso analogo, si possono leggere simili

considerazioni nella precedente sentenza del 9 settembre 2003, causa C-236/01, “Monsanto Agricoltura Italia

S.p.A. et al. C. Presidenza del Consiglio dei Ministri et al”. 300

Sentenza dell’8 settembre 2011, “Monsanto SAS et al. C. Ministre de l’Agriculture et de la Pêche, cause

riunite da C-58/10 a C-68/10. 301

Sentenza del 6 settembre 2012, “Pioneer Hi Bred Italia Srl c. Ministero delle Politiche agricole alimentari e

forestali, causa C-36/11: L. SALVI (a cura di), AlimentarEuropeo, 2012, 4, in www.rivistadirittoalimentare.it; J.

BEQIRAJ ,Verso una disciplina uniforme europea in materia di OGM? Alcune precisazioni sul margine di

discrezionalità degli stati membri nel limitare la coltivazione di OGM sul loro territorio, in Dir. pubbl. comp.

eur., 2013, I, pagg. 291 ss. 302

Articolo che richiama la procedura di cui agli artt. 53 e 54 del regolamento CE n. 178/2002: P. BORGHI – L.

SALVI (a cura di), AlimentarEuropeo, 2012, 1, in www.rivistadirittoalimentare.it.

Page 158: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

149

“grave e manifesto”, ossia scientificamente dimostrato e non puramente ipotetico303

. Queste

conclusioni sono ribadite nella sentenza del 2012, ove la Corte (su rinvio pregiudiziale del

Consiglio di Stato italiano) ha nuovamente chiarito che lo Stato membro, a seguito

dell’intervenuta autorizzazione del prodotto transgenico, può avviare – sussistendone i

presupposti – l’iter di emergenza normato dall’art. 34 del regolamento 1829/2003; lo Stato

non può, all’opposto, approntare ulteriori autorizzazioni a livello nazionale o ricorrere all’art.

26-bis della direttiva 2001/18/CE (dettato in materia di misure volte ad evitare la presenza

involontaria di OGM in altri prodotti).

Il quadro interpretativo elaborato dalla Corte di giustizia si sofferma, allora, sulla

necessità di accertare che la Commissione abbia diligentemente recepito il parere dell’EFSA e

che gli Stati membri abbiano, eventualmente, sollevato congrui ed effettivi dubbi scientifici.

Se, sotto un primo punto di vista, la breve analisi della giurisprudenza europea ci permette di

avvalorare la tesi secondo cui il momento tecnocratico è del tutto prevalente nell’ambito del

procedimento di autorizzazione degli OGM, da altro punto di vista, si deve ricordare che non

spetta alla Corte sopperire alla mancanza di risk management in capo alla Commissione. Non

a caso, quest’ultima attività, come sopra sottolineato, è sostanzialmente rappresentata da una

valutazione di opportunità e, dunque, connotata da un margine di discrezionalità: il giudice,

anche al livello europeo, non può farsi carico delle scelte discrezionali che spettano all’organo

esecutivo-amministrativo. In tal senso, si ritiene significativo il seguente principio di diritto

cui è giunto il Tribunale di primo grado304

, ancorché in materia differente rispetto agli OGM:

«le istituzioni dispongono, in materia di politica agricola comune, di un ampio potere

discrezionale per quanto riguarda la definizione degli scopi perseguiti e la scelta degli

opportuni strumenti d'azione. Inoltre, nell'ambito della loro valutazione dei rischi, esse

devono procedere a stime complesse per valutare, in base alle informazioni di natura tecnica

e scientifica che vengono loro fornite da esperti nel quadro della valutazione scientifica dei

rischi, se i rischi per la salute pubblica, la sicurezza e l'ambiente oltrepassino il livello

giudicato accettabile per la società. Tale ampio potere discrezionale e tali stime complesse

implicano un controllo limitato da parte degli organi giudicanti dell'Unione europea. Essi

portano infatti alla conseguenza che il sindacato di merito dell’organo giudicante si limiti ad

esaminare se l’esercizio da parte delle istituzioni delle loro competenze non sia viziato da un

303

P. ACCONCI, Tutela della salute e diritto internazionale, 2011, pag. 232. 304

Tribunale di primo grado dell’Unione europea, Sez. III, sentenza del 9 settembre 2011, causa T-257/2007,

“Francia c. Commissione”: L. SALVI, AlimentarEuropeo, in www.rivistadirittoalimentare, 2013, 3.

Page 159: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

150

errore manifesto o da uno sviamento di potere o ancora se tali autorità non abbiano

manifestamente oltrepassato i limiti del loro potere discrezionale». Il Tribunale, con

decisione confermata dalla Corte di Giustizia305

, evidenzia i limiti del sindacato

giurisdizionale, ma altresì sottolinea come il provvedimento di autorizzazione debba essere il

frutto di una valutazione complessa che tenga conto anche del rischio “accettabile” da parte

della società: si perviene, dunque, ad una applicazione ragionevole e proporzionata del

principio di precauzione.

Indipendentemente dal menzionato intervento del Tribunale di primo grado, si registra,

invece, un recepimento imperfetto nella giurisprudenza nazionale del portato della Corte di

giustizia in materia di OGM. Nello specifico, ci si riferisce alla pronuncia n. 605/2015306

, con

la quale il Consiglio di Stato – nel respingere l’impugnazione proposta da un noto

imprenditore agricolo italiano307

avverso la sentenza di primo grado emessa dal TAR del

Lazio – ha assodato la legittimità del Decreto interministeriale del 12 luglio 2013308

, che

provvisoriamente vietava sul territorio italiano la coltivazione della varietà di mais

transgenico “Mon 810” (autorizzato in forza della direttiva 1990/220/CE; autorizzazione mai

definitivamente rinnovata nonostante la richiesta presentata alla Commissione da parte della

società Monsanto sin dal 2007). Il Consiglio di Stato, così come il TAR, richiama le sentenze

della Corte di giustizia del 2011 e del 2012: da un lato, il Giudice di secondo grado ricorda

come il provvedimento ministeriale non rientri nel contesto degli artt. 23 e 26-bis della

direttiva 2001/18/CE, bensì nell’art. 34 del regolamento CE 1829/2001 e, dunque, come le

autorità italiane siano pienamente legittimate ad operare in tal senso. Dall’altro lato – e qui si

registrano le maggiori criticità309

– il Consiglio di Stato deve procedere alla giustificazione

necessaria per il ricorso alle misure di cui all’art. 34. Il riferimento è alla sentenza Monsanto

del 2011310

: prova del nuovo rischio grave e manifesto; eventuale questione pregiudiziale. Il

Giudice amministrativo, supera l’ipotesi di una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia,

affermando che il caso sotteso al suo esame è sufficientemente chiaro da poter essere deciso a

305

Sentenza del 11 luglio 2013, “Repubblica francese c. Commissione europea”, causa C-609/11. 306

Consiglio di Stato, Sez. III, n. 605 del 6 febbraio 2015, disponibile in Riv. dir. agr., 2015, pagg. 214, con nota

di E. SIRSI, OGM: au bout de la nuit? Il Consiglio di Stato scrive forse l’ultimo atto della storia della

coltivazione commerciale di varietà OGM in Italia. 307

Si tratta del già citato coltivatore Fidenato, che aveva più volte tentato la semina del Mais “Monsanto 810”

incorrendo nell’ostilità delle autorità italiane. La sentenza in parola del Consiglio di Stato dovrebbe costituire il

punto di approdo della controversia sulla coltivazione di tale varietà di mais in Italia. 308

Decreto interministeriale 12 luglio 2013, inerente al divieto provvisorio di coltivazione del Mais Mon 810, ai

sensi dell’art. 34 del regolamento CE 1829/2003. 309

E. SIRSI, op. cit., pag. 229. 310

Consiglio di Stato, sentenza n. 605/2015, punti 6.2. e ss.

Page 160: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

151

livello nazionale: in proposito, pare che la soluzione approntata dal Consiglio di Stato sia

conforme alla giurisprudenza citata dal medesimo giudice. Non a caso, la menzionata

sentenza Monsanto del 2011 prevede solo due possibili strade percorribili dal giudice

nazionale in caso di giudizio sulle misure di emergenza di cui all’art. 34: in primo luogo,

qualora la Commissione si sia pronunciata sulla richiesta, da parte dello Stato membro, di

attivare la misura di emergenza, siffatta decisione vincola lo Stato311

; in secondo luogo, nel

caso in cui la Commissione non abbia adottato alcuna decisione in ordine all’art. 34, il giudice

nazionale chiamato a vagliare le misure di emergenza può sollevare una questione

pregiudiziale ex art. 267 TFUE312

, qualora nutra dei dubbi sull’interpretazione del diritto

europeo. Il Consiglio di Stato opta per la seconda possibilità e, contemporaneamente, esclude

la pregiudiziale, ritenendo di poter procedere autonomamente alla corretta applicazione

dell’art. 34.

In merito al danno grave e manifesto, che rappresenta l’oggetto tecno-scientifico della

decisione e che – come visto – è di rilevante importanza nel diritto europeo vivente, il

Consiglio di Stato non sembra concretamente recepire la necessità di elementi fondati su dati

scientifici attendibili e sopraggiunti alla valutazione originaria dell’EFSA. Il paragrafo

secondo, punto 6.3., della sentenza in parola si qualifica, sostanzialmente, come il sunto del

ragionamento che il Consiglio di Stato propone in merito alla giustificazione delle misure di

urgenza: dimostrazione dell’urgenza e del rischio grave e manifesto; presenza di analogo

provvedimento di divieto in Francia313

.

È però a proposito della dimostrazione del rischio che la sentenza n. 605/2015

contrasta in modo significativo con la consolidata giurisprudenza europea, la quale riconosce

un ruolo indispensabile al parere dell’EFSA ed ammette le misure di emergenza solo qualora

lo Stato provi la sussistenza di un rischio per la salute o l’ambiente non esaminato

311

Punto 80 della sentenza Monsanto: interpretazione, peraltro, sostenuta dal appellante, atteso che la

Commissione aveva recepito un parere dell’EFSA nel quale non si riscontravano rischi derivanti dalla varietà

Mon 810. 312

Punto 79 della sentenza Monsanto. 313

Nello specifico il Consiglio di Stato afferma: «va poi ricordato come la citata sentenza in data 8 settembre

2011, abbia sì negato la possibilità di utilizzare le misure di sospensione o divieto provvisorio dell’utilizzo o

dell’immissione in commercio in applicazione dell’art. 23 della direttiva 2001/18/CE, ma abbia indicato come

strumento praticabile l’art. 34 del regolamento, previa dimostrazione dell’urgenza e del rischio grave e

manifesto; del resto, la Francia ha poi seguito l’indicazione della Corte, adottando in data 18 marzo 2012

misure cautelari provvisorie ex art. 54, comma 3, reg. n. 178/2002, impedendo la coltivazione del mais

transgenico; e non risulta dagli atti che al riguardo siano intervenuti nuovi arresti giurisprudenziali»

Page 161: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

152

dall’Autorità europea, vale a dirsi sopravvenuto314

al risk assessment compiuto in sede di

autorizzazione. Il Consiglio di Stato, al punto 6.5., prende atto che l’EFSA si è sempre

espressa sostenendo l’assenza del rischio nell’impiego del Mon 810315

; tuttavia il Giudice

amministrativo sembra adottare un’interpretazione letterale dell’art. 34: tale articolo, infatti,

non menziona solo il parere dell’Autorità, ma anche tutti i casi in cui si sono manifestati i

“presupposti sostanziali” del rischio indipendentemente dall’intervento dell’EFSA. È proprio

sui presupposti esaminati dai ministeri italiani, e individuati in un dossier del CRA316

(Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in agricoltura) e da uno studio analogo

condotto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che la

pronuncia del 2015 individua la legittimità del decreto interministeriale del 2013.

Tuttavia, quello che sembra singolare – nonché contrastante con la giurisprudenza

europea – è che il Consiglio di Stato abbia omesso di ricordare che l’EFSA, nel mese di

settembre 2013317

, si era espressa sui rilievi formulati dalle Autorità italiane, giungendo alla

conclusione che essi non fornivano alcuna nuova evenienza scientifica318

e che dunque non

erano sussistenti i presupposti per avviare il procedimento ex art. 34 regolamento 1829/2003;

si legge già nell’abstract del parere: «therefore, the EFSA GMO Panel concludes that, based

on the documentation submitted by Italy, there is no specific scientific evidence, in terms of

risk to human and animal health or the environment, that would support the notification of an

314

E. BLASI, I nuovi margini del potere decisionale degli Stati europei in materia di organismi geneticamente

modificati, in Riv. quad. dir. amb., 2015, 1, pagg. 164 ss. 315

Sentenza n. 605/2015, punto 6.5.: «la seconda questione da esaminare, riguarda gli elementi sui quali può

essere basata l’adozione delle misure nazionali provvisorie, della cui astratta adottabilità si è detto.

L’appellante incentra le sue censure sul significato dei pareri dell’EFSA.

Nel caso in esame, va fin d’ora riconosciuto che l’EFSA non ha suggerito di intervenire sull’autorizzazione del

mais MON 810, in relazione ai rischi connessi alla coltivazione. Nessuna presa di posizione esplicitamente

negativa sulla perdurante efficacia dell’autorizzazione è rinvenibile in detti pareri, e le conclusioni formali cui è

pervenuta EFSA, nonostante l’evidenziazione di nuovi parametri rilevanti e di nuovi criteri di valutazione del

rischio, e dell’opportunità di porre in essere forme di cautela, appaiono in linea di sostanziale continuità con il

parere favorevole del 2009. Tanto sembra emergere anche dalla “scientific opinion” pubblicata sul bollettino

dell’EFSA del 2013- n. 3371 (a quanto sembra, sopravvenuta all’adozione del decreto impugnato).

Il Collegio osserva, tuttavia, che l’art. 34, cit., non stabilisce un percorso conoscitivo e valutativo obbligato, in

quanto, prima ancora di menzionare, come strumento qualificato di evidenziazione dei presupposti per la

sospensione o la modifica di un’autorizzazione, i pareri dell’EFSA, indica i presupposti sostanziali per

intervenire sulle autorizzazioni, ed anche testualmente (“… ovvero qualora, alla luce di un parere

dell’Autorità…”) non esclude che la sussistenza di detti presupposti venga desunta in altro modo». 316

Nel quale si afferma che il Mon 810 potrebbe impattare sugli imenotteri parassitoidi specialisti di O.Nubilalis,

potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e potrebbe favorire la sviluppo di parassiti

secondari potenzialmente dannosi per le altre colture. Così punto 6.7. della sentenza n. 605/2015. 317

In EFSA Journal 2013;11(9):3371 [7 pp.], pubblicato il 24 settembre 2013. 318

E. SIRSI, op. cit., pag. 224.

Page 162: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

153

emergency measure under Article 34 of Regulation (EC) No 1829/2003 and that would

invalidate its previous risk assessments of maize MON 810».

Anche ove possa essere ammesso – seguendo il Consiglio di Stato – che gli Stati

membri intervengano nelle more del procedimento europeo, assai più difficile – se non

impossibile – è giustificare una misura di emergenza adottata in aperto contrasto con diversi

pareri, sostanzialmente unanimi, dell’EFSA.

Infine, il Consiglio di Stato non sembra aver approfonditamente vagliato la pur

citata319

esperienza francese: il menzionato provvedimento francese d’interdizione alla

coltivazione del mais Mon 810, adottato in data 16 marzo 2012 (analogo al decreto

interministeriale italiano del 2013), era stato annullato dal Conseil d’Etat già il 1° agosto

2013320

e proprio sulla base delle valutazioni emesse dall’EFSA. Il giudice amministrativo

francese, al pari del Consiglio di Stato, richiama la sentenza Monsanto del 2011321

e ribadisce

che le misure dell’art. 34 devono essere sorrette tanto dall’urgenza quanto da un pericolo

scientificamente dimostrato. Inoltre, il Conseil, preso atto dei pareri scientifici dell’EFSA

(nonché di altri organi tecnici) circa l’assenza di indici di pericolosità nell’impiego del mais

Mon 810322

, perviene all’annullamento del provvedimento di interdizione.

Invero, le Autorità francesi, in data 14 marzo 2014323

, hanno nuovamente adottato un

decreto che interdice la commercializzazione, l’utilizzazione e la messa in coltura del mais

Mon 810, riaprendo così una controversia che sembrava conclusa dopo l’intervento del

Conseil d’Etat del 2013. All’arrêté amministrativo – volto a precedere l’intervento della

Commissione ai sensi dell’art. 34 regolamento 1829/2003 – ha fatto, tuttavia, seguito un

parere dell’EFSA, le cui conclusioni si pongono nella prosecuzione di quanto già affermato

nei pareri rilasciati nei precedenti casi italiano e francese. L’EFSA, nel menzionato atto

319

Consiglio di Stato, sentenza n. 605/2015, punto 6.3. 320

Conseil d’Etat, sentenza n. 358103 del 1° agosto 2013, disponibile in www.conseil-etat.fr. 321

Conseil d’Etat, sentenza n. 358103 del 1° agosto 2013, punto 11: «Consid rant, en second lieu, qu’il r sulte

de l’arrêt Monsanto SAS et autresde la Cour de justice de l’Union europ enne du 8 septembre 2011, C-58/10 à

C-68/10, que la première h pothèse mentionn e par l’article 34 du règlement (CE) n° 1829/2003 impose aux

Etats membres de d montrer, outre l’urgence, l’existence d’une situation susceptible de pr senter un risque

important mettant en péril de façon manifeste la santé humaine, la sant animale ou l’environnement; qu’un tel

risque doit être constat sur la base d’ l ments nouveaux reposant sur des donn es scientifiques fiables». 322

Conseil d’Etat, sentenza n. 358103 del 1° agosto 2013, punto 12: «Consid rant qu’il ressort des pièces du

dossier que tant l’avis de l’AESA du 30 juin 2009 relatif à la demande de renouvellement de l’autorisation de

mise sur le marché du maïs g n tiquement modifi MON 810 que l’avis du 22 d cembre 2009 du comit

scientifique du Haut conseil des biotechnologies sur les r ponses de l’AESA aux questions pos es par les Etats

membres au sujet du maïs MON 810 et l’avis de ce comit du 21 octobre 2011 sur le rapport de surveillance de

culture du MON 810 en 2010 ont conclu à l’absence de risque important pour l’environnement». 323

Arrêté du 14 mars 2014 interdisant la commercialisation, l'utilisation et la culture des variétés de semences

de maïs génétiquement modifié (Zea mays L. lignée MON 810), disponibile in www.legifrance.gouv.fr.

Page 163: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

154

consultivo324

, giunge alle seguenti conclusioni: «neither the scientific publications cited in the

French Authorities’ report with relevance to maize MON 810 nor the arguments put forward

by France reveal any new information that would invalidate the previous risk assessment

conclusions and risk management recommendations made by the EFSA GMO Panel.

Therefore, EFSA considers that the previous GMO Panel risk assessment conclusions and

risk management recommendations on maize MON 810 remain valid and applicable». Dal

tenore delle riportate conclusioni – benché non sia ancora disponibile una pronuncia definitiva

del giudice amministrativo francese in ordine al nuovo provvedimento – si desume che anche

questa moratoria sia destinata all’annullamento.

I casi giurisprudenziali che sono stati sinteticamente esaminati ci permettono di

giungere alla conclusione che l’expertise scientifica svolge un ruolo di primo piano non solo

nell’individuazione della base scientifica sulla quale assumere il provvedimento di

autorizzazione, bensì anche nella legittimazione dello stesso e nel sindacato giurisdizionale

sull’operato della Commissione (e delle autorità nazionali) nel settore degli OGM.

3. Considerazioni conclusive.

Le considerazioni che precedono contribuiscono a fare un poco di chiarezza sul ruolo

che l’expertise scientifica riveste all’interno del procedimento di autorizzazione

all’immissione in commercio di organismi geneticamente modificati. In merito, si reputa che

il ruolo dell’analisi tecnoscientifica in simile procedimento trascenda il semplice momento

consultivo per conformare a sé, all’opposto, l’intero portato del provvedimento. È

considerazione ovvia quella per cui il connubio scienza e diritto nel settore degli OGM non

può limitarsi allo studio dell’influenza del parere dell’organo tecnico, dovendosi, invece,

estendere ad altre tematiche di particolare interesse (quali disinformazione del pubblico e

partecipazione dei cittadini). Tuttavia, allo stato attuale, pare che non si possa prevedere un

mutamento di rotta: anche le modifiche apportate alla direttiva n. 18 dalla direttiva n. 412 del

2015 non sembrano mettere in dubbio il prestigio del parere scientifico. Non a caso,

324

Statement on a request from the European Commission related to an emergency measure notified by France

under Article 34 of Regulation (EC) 1829/2003 to prohibit the cultivation of genetically modified maize MON

810, pubblicato il 1° agosto 2014 e disponibile in EFSA Journal, 2014;12(8):3809 [18 pp.].

Page 164: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

155

l’inserimento dell’art. 26-ter325

nel corpo della direttiva n. 18 non muta il ruolo dell’EFSA326

:

infatti, pur prevedendo la possibilità per gli Stati membri di approntare divieti alla

coltivazione di OGM, siffatte moratorie dovranno trovare giustificazione in valutazioni

ulteriori rispetto a quella scientifica esperita al momento dell’autorizzazione327

(naturalmente,

permangono per le autorità nazionali i poteri di intervento di emergenza, ma solo alla luce

delle condizioni viste nei paragrafi precedenti), quali ad esempio la tutela del paesaggio.

Invero, l’innovazione normativa segue la ratio di garantire, da un lato, l’unicità del

procedimento di risk assessment/management, mentre preserva agli Stati la valutazione di

quelle esigenze imperative che sono proprie di ogni singolo territorio e che meglio possono

essere sondate dalle autorità nazionali piuttosto che dalla Commissione.

Quanto precede manifesta come i prodotti GM siano tuttora un “campo di prova” sul

quale vagliare i rapporti fra scienza e diritto, palesando due tendenze antitetiche: la

Commissione europea favorisce le nuove tecnologie ritenendo sufficiente la prova scientifica

dell’assenza del rischio o della tollerabilità del medesimo, gli Stati – o meglio alcuni di essi –

sono propensi alla considerazione di interessi differenti rispetto a quelli puramente scientifici.

325

Direttiva n. 2001/18/CE, art. 26-ter, par. 3: « Se non è stata presentata alcuna richiesta a norma del

paragrafo 1 del presente articolo o se il notificante/richiedente ha confermato l'ambito geografico della sua

notifica/domanda iniziale, uno Stato membro può adottare misure che limitano o vietano in tutto il suo territorio

o in parte di esso la coltivazione di un OGM o di un gruppo di OGM definiti in base alla coltura o al tratto, una

volta autorizzati a norma della parte C della presente direttiva o del regolamento (CE) n. 1829/2003, a

condizione che tali misure siano conformi al diritto dell'Unione, motivate e rispettose dei principi di

proporzionalità e di non discriminazione e, inoltre, che siano basate su fattori imperativi quali quelli connessi a:

a) obiettivi di politica ambientale; b) pianificazione urbana e territoriale; c) uso del suolo; d) impatti socio-

economici; e) esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti, fatto salvo l'articolo 26 bis; f) obiettivi di

politica agricola; g) ordine pubblico.» 326

In tal senso anche G.F. FERRARI, Scienza e tecnica fra diritto europeo e diritto comparato, in questi Atti. 327

È stato altresì osservato che un ulteriore limite al portato della riforme discende dal par. 8 dello stesso art. 26-

ter il quale ribadisce il principio di libera circolazione dei prodotti OGM: libertà di circolazione che non può

essere limitata dalle misure adottate dagli Stati membri. In proposito, S. VISANI, Modelli normativi a confronto:

regolamentazione degli Ogm tra UE e USA. Giurisprudenza in materia di brevettabilità degli organismi viventi,

in www.rivistadirittoalimentare.it, 2015.

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Recent working papers

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2016 n.237** Piera Maria Vipiana, Matteo Timo and Davide Bisio: Diritto Scienze e Tecnologie

2016 n.236** Matteo Porricolo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.8/2016

2016 n.235 Mario A. Cedrini and Marco Novarese: The challenge of Fear to Economics

2016 n.234* Albert Breton and Angela Fraschini: Is Italy a Federal or even a Quasi-Federal State?

2016 n.233** Maria Luisa Bianco, Flavio Ceravolo, Giovanna Garrone e Guido Ortona: Crisi economica e disoccupazione giovanile: valutazione del consenso verso politiche di intervento pubblico

2015 n.232* Michele G. Giuranno and Manuela Mosca: Political realism and models of the state – Antonio de Viti de Marco and the origins of Public Choice

2015 n.231** Guido Napolitano and Francesco Ingravalle: La liberalità. Versi sciolti attribuibili a Vincenzo Gioberti

2015 n.230** Francesco Ingravalle and Giuseppe Scalici (eds): Filippo Giordano Bruno: Cabala del Cavallo Pegaseo con l'Aggiunta dell'Asino Cillenico

2015 n.229** Matteo Cannonero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.7/2015

2015 n.228* Michele G. Giuranno and Rongili Biswas: Internal migration and public policy

2015 n.227* Giuseppe Di Liddo and Michele G. Giuranno: Strategic delegation under the subsidiarity principle

2015 n.226* Giampaolo Arachi, Giuseppe Di Liddo and Michele G. Giuranno: Cooperazione locale in Italia: le Unioni di Comuni

2015 n.225* Guido Ortona: A commonsense assessment of Arrow's theorem

2015 n.224* Michele Giuranno and Antonella Nocco: Trade tariff, wage gap and public spending

Page 166: Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive ...

2015 n.223* Giuseppe Di Liddo and Michele Giuranno: Asymmetric yardstick competition and municipal cooperation

2015 n.222** Maria Bottiglieri: Il diritto al cibo adeguato. Tutela internazionale, costituzionale e locale di un diritto fondamentale “nuovo”

2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni

2015 n.220 Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects on cooperation – An experimental test

2015 n.219 Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence

2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.6/2014

2014 n.217* Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria

2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014

2014 n.215 Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really less overconfident? - A preliminary test of different measures

2014 n.214* Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish. Cause e conseguenze di un paradigma

2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.4/2014

2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi