ISSR «N. Stenone» - Appunti di teologia sacramentaria – 2009/10 : Penitenza 1 P ENITENZA Il sacramento della penitenza appartiene al vissuto della fede cristiana, prima che alla sua elabo- razione teorica. Il suo nome (confessione, penitenza, riconciliazione) rivela i diversi atteggiamenti con cui è dal popolo cristiano. Nella crisi che ne attraversa la pratica è opportuno partire dalla do- manda sul «perché» ci si confessa oggi. La risposta non può prescindere dai cristiani di oggi (l’uomo) né dal confronto con l’origine e il fondamento del sacramento stesso (la Rivelazione). Le due realtà si corrispondono: la Rivelazione è predestinata all’uomo, l’uomo va compreso nella sua integrità. Così la teologia, in quanto corrisponde alle necessità dell’uomo, non cade nell’ideologia e, in quanto corrisponde alla Rivelazione, non si rinchiude nelle aporie antropologiche: le risposte alle domande dell’uomo sono al di là dell’uomo. Molti studi sul sacramento della penitenza partono dall’analisi della dimensione antropologica della colpa e del peccato: p. es. il manuale di Ramos- Regidor. Il nostro approccio, invece, partirà dalla situazione teologica del sacramento: il perdono dei peccati di un battezzato. Si tratta di una dimensione ecclesiologica. Nella prospettiva della Rive- lazione, Dio in Gesù Cristo ha detto la parola definitiva del perdono, strutturato nella forma dell’alleanza (2Cor 5,19-21): la Parola di Dio crea, fa nascere il popolo dell’alleanza nell’incontro definitivo con Gesù Cristo e nella fedeltà alla sua parola. Tuttavia, anche all’interno del popolo dell’alleanza continuano a esistere peccato e perdono. La chiesa muore nel peccato del cristiano e rivive nel suo perdono sacramentale. Comprende se stessa in una rinnovata accoglienza, dopo quel- la battesimale. Questa situazione particolare si trova codificata in un particolare rito della chiesa, di cui cercheremo le tracce all’interno del NT insieme alla testimonianza di una cura pastorale da parte della comunità verso i cristiani peccatori. Prassi e fede della chiesa apostolica avranno particolari sviluppi nella chiesa dei padri e dei secoli successivi. L’excursus teologico e storico mostra come, attraverso forme diverse, la chiesa ha sempre vissuto in modo rituale la riconciliazione dei cristiani pentiti del loro peccato. Questo modo rituale ed ecclesiale, con cui il cristiano porta a termine la propria «conversione» dal peccato, è un rito sacramentale: il sacramento della penitenza. I Esiste un rito della penitenza nel NT? Dal NT non sembra possibile raccogliere elementi per una procedura penitenziale, in vista del perdono o dello scioglimento dai peccati dei battezzati. 1Tm 5,22, dove l’imposizione delle mani da parte di Timoteo è messa in qualche modo in relazione con una realtà di peccato, non sopporta un’interpretazione esegetica penitenziale condivisa dagli studiosi. Il gesto può essere inteso sia co- me parte di un rito di ordinazione sia come riconciliazione di un peccatore. Probabilmente, unici ge-
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sti liturgici penitenziali sono nella 1Gv (1,9 all’interno della sezione 1,5-2,2; 5,16s) e in Gc 5
(nell’interpretazione della tradizione orientale, fin da Origene e Giovanni Crisostomo). A questi te-
sti si aggiunge la questione del rapporto fra l’esclusione dalla comunità e la riconciliazione con es-
sa, legata alla prassi di escludere e riammettere all’eucaristia (cf Mt 18 e 1Cor 5). La frazione del
pane o cena del Signore si presenta come un gesto della comunità cristiana (1Cor 10,17; 11; Gc 2,1-
4), e la riconciliazione del cristiano peccatore coincide con la koinônia al Corpo di Cristo.
Nella prima comunità cristiana la conversione (metanoia) è oggetto dell’annuncio apostolico, ri-
volto a pagani e giudei. Dalla resurrezione di Cristo e dal dono del suo Spirito nasce la chiesa, costi-
tuita oggettivamente con la remissione dei peccati e la fede vissuta secondo la via della comunità, in
un rapporto organico con il sacramento del battesimo. L’annuncio (kerygma) è per tutti, in vista del-
la loro conversione (At 2,21; 17,30s; 26,20). Sfocia in uno stile di vita (At 11,23; 26,20). Secondo
una terminologia giudaica, la fede cristiana è presentata come via del Signore (At 18,25). L’intero
processo avviene in una modalità comunitaria, nella consapevolezza che un’azione divina guida
l’intero processo. La comunità cristiana avverte una esigenza di santità. La conversione battesimale
comporterebbe un atteggiamento spirituale definitivo in perfetta coerenza, mostrando la singolarità
dell’evento battesimale, che pone il credente in una situazione di intrinseca e oggettiva incompatibi-
lità col peccato (cf Mt 13,24-30.36-43).
I.A Per una comprensione del rapporto fra peccato e comunità ec-
clesiale
Nella logica della nuova alleanza, Dio continua a chiamare il suo popolo al pentimento. Il pro-
blema è quello di una certa tollerabilità: entro quali limiti la comunità cristiana può conservare il
cristiano peccatore nella pienezza di relazioni che la costituiscono? Tutti devono confessarsi pecca-
tori (1Gv e Gc) e pregano per essere liberati dal male (Mt 6; Gc 5). Certe azioni, però, come gli e-
lenchi presenti in varie pagine del NT, conducono la comunità a fare di tutto perché il fratello si
converta e si penta (Mt 18; 1Gv 5; Gc 5). Ma questa tensione verso il fratello, in attesa del suo libe-
ro pentimento, può giungere persino all’esclusione dalla vita comunitaria. In 1Gv 1,9 abbiamo un
gesto penitenziale comunitario, probabilmente liturgico: “Se riconosciamo (omologheô) i nostri
peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa”. In 1Gv 5,16s
la comunione (con Cristo e con i fratelli) trova espressione nella preghiera efficace secondo la vo-
lontà di Cristo:
Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vi-ta; s’intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c’è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è peccato, ma c’è il peccato che non conduce alla morte.
dell’iniziazione sacramentale. Il parallelismo è espresso chiaramente in testi come la Didascalia de-
gli apostoli:
Come dunque battezzi un pagano e poi lo accogli, così anche imporrai la mano a costui, mentre tutti pregano per lui, e poi lo introdurrai e lo farai partecipe nella chiesa e per lui starà in luogo di un battesimo l’imposizione del-la mano; infatti o per l’imposizione della mano o per il battesimo ricevono la partecipazione dello Spirito santo (Di-dascalia II, 41).
Ogni cristiano ha bisogno di conversione, ma non per tutti i peccati si viene esclusi
dall’Eucaristia. E’ divenuto comune esprimere in modo sintetico i peccati oggetto della penitenza
ecclesiastica con una triade di peccati pubblici: apostasia, adulterio e omicidio volontario. In realtà,
possediamo diverse liste diocesane di peccati sottoposti alla penitenza pubblica, dove il criterio
dell’elenco appare più di tipo pastorale che sistematico, legato alle situazioni concrete delle varie
comunità. Il procedimento penitenziale è un processo in se stesso liturgico. Prende avvio quando il
peccatore decide di convertirsi nella penitenza; è ancorato alla preghiera comunitaria e
all’eucaristia; la riconciliazione e la pace coincidono con la partecipazione all’eucaristia. Ha
un’espressione rituale propria nell’imposizione delle mani da parte del vescovo, accompagnata da
una preghiera di assoluzione che mantiene sempre una forma deprecativa.
Il cristiano peccatore si rapporta con la chiesa, ma la sua integrazione rinnovata nella chiesa non
è puramente sociologica. La riconciliazione termina con il perdono di Dio e la partecipazione allo
Spirito santo. Livello ecclesiologico e teologico (pneumatologico) si integrano. La purificazione
battesimale viene rinnovata, anche se i padri distinguono anche a livello terminologico fra il perdo-
no battesimale (aphesis o rimozione) e quello penitenziale (metanoia o conversione). Questa secon-
da conversione (pœnitentia secunda) è detta anche “più faticosa” (Cipriano, Tertulliano).
L’impegno penitenziale verso la riammissione nella chiesa si pone con diverse prospettive. Il ritor-
no a Dio coincide con la concessione della pace con la chiesa fatta attraverso i vescovi. Per Clemen-
te e Origene esiste una progressiva rieducazione attraverso il pentimento e il distacco dal peccato: è
una prospettiva pedagogica. Nei battezzati peccatori vi è un qualcosa di ecclesiologico che si espri-
me in modo contraddittorio: il simbolo da loro espresso (la chiamata alla santità) viene ridotto a una
dimensione esteriore, per quanto mantenga ancora qualcosa della verità della chiesa. In sintesi, nella
chiesa antica esiste un particolare rito per la riconciliazione dei cristiani peccatori e pentiti. Il pro-
cesso sistematico operato dalla scolastica, ponendo tutto l’accento sull’essenza dei sacramenti, ne
ha oscurato aspetti significativi come quello ecclesiologico-comunitario.
coercitive. L’idea classica della penitenza canonica come venne realizzata nella chiesa dei primi se-
coli si è definitivamente trasformata.
Dal VI secolo comincia a diffondersi la «penitenza tariffata», reale innovazione nella prassi pe-
nitenziale della chiesa occidentale. Di origine monastica irlandese, viene diffusa in Europa attraver-
so le missioni dei monaci irlandesi. Le distinzioni dalla penitenza pubblica sono notevoli. Nata dalla
consuetudine monastica di rivolgere i propri pensieri al padre spirituale o al superiore della comuni-
tà, la nuova penitenza porta con sé le modalità proprie di questo rapporto. Prima di tutto assume un
carattere “privato” e “ripetibile”, perché il peccatore pentito si rivolge in segreto al singolo sacerdo-
te e vi ricorre ogni volta che ne ha bisogno. Per venire in aiuto all’equo discernimento dei confesso-
ri nascono dei libri detti “tariffari”, dove per ogni categoria di peccati sono indicate le opere peni-
tenziali opportune. Questa penitenza, detta “insulare” dalla sua origine o “tariffata”, si sviluppò in-
sieme al diffondersi di questi libri penitenziali, ad uso del sacerdote. Il nuovo rito prevedeva la con-
fessione dei peccati fatta a un sacerdote che proponeva un’opera penitenziale, compiuta la quale si
ritornava dal sacerdote per ricevere la riconciliazione. Per aiutare i sacerdoti nella scelta delle opere
penitenziali si diffusero delle tabelle di pene, dove si precisava una tassazione precisa in proporzio-
ne alle colpe accusate. Da qui il nome di penitenza tariffata. Compiuta l’opera penitenziale prescrit-
ta il penitente ritorna dal sacerdote che gli offre la riconciliazione e il perdono di Dio. Nello spec-
chietto seguente risaltano le differenze fra la penitenza pubblica antica e quella nuova, cosiddetta
“tariffata”:
penitenza pubblica antica penitenza tariffata unicità possibilità di ripetizione pubblica, rito ecclesiale comunitario privata, rito coi soli penitente e ministro perdono da parte del vescovo perdono da parte del sacerdote gesto di riconciliazione che insiste sull’imposizione delle mani
gesto di riconciliazione che mette l’accento sul-la formula di assoluzione
nitenziale suddivisa in tre forme rituali. La penitenza tariffata o privata, reiterabile, è quella indicata
per i peccati gravi compiuti da parte dei chierici e per i peccati di “normale amministrazione” com-
piuti dai fedeli. Accanto troviamo ancora la penitenza antica, che viene ad assumere due forme di-
stinte. La classica “penitenza pubblica solenne”, retaggio della penitenza canonica della prima chie-
sa, ancora non reiterabile, mantiene la sua dimensione ecclesiale. Il rito è presieduto dal vescovo, i
penitenti vestono con cilicio e sono cosparsi di cenere. Ci si sottopone ad essa solo per gravissimi
crimini, come l’omicidio del coniuge, del genitore o del figlio, di un sacerdote. La partecipazione ad
essa è interdetta ai membri del clero, per quanto gravemente possano avere peccato. La seconda e
nuova forma di penitenza pubblica è quella detta semplicemente “penitenza pubblica” o “peregrina-
tio” e consiste in un vero e proprio pellegrinaggio penitenziale. Inizia con un rito preciso e al termi-
ne del tempo fissato si riceve il perdono dal sacerdote. Nato come un peregrinare senza meta, la de-
vozione ai santuari dove sono conservate le reliquie dei santi lo trasforma in un pellegrinaggio verso
una meta precisa (Roma, Santiago, San Michele, Colonia; poi Gerusalemme). Il pellegrinaggio pe-
nitenziale è reiterabile. Viene intrapreso per espiare quei peccati gravi che non raggiungono
l’efferatezza di quelli da sottoporre alla penitenza pubblica solenne. Ma il discorso cambia per i
membri del clero. Esclusi in ogni caso dalla penitenza pubblica solenne, qualora si siano macchiati
di quegli stessi crimini sono invitati a intraprendere questi pellegrinaggi, allontanandosi al tempo
stesso dalle comunità dove potrebbero creare uno scandalo difficilmente sopportabile.2
La situazione si evolve rapidamente. Nel XIV secolo la penitenza pubblica solenne non è più
praticata. La penitenza tariffata si evolve attraverso la generalizzazione dell’uso di concedere il per-
dono subito dopo la confessione dei peccati. Pertanto, all’interno del rito sacramentale la «confes-
sione» diventa più importante della soddisfazione e su di essa cade l’insistenza della pastorale: il
termine «confessione» passa a indicare il rito sacramentale. Questo processo è dovuto anche alla
degenerazione di un aspetto insito nel meccanismo della penitenza tariffata: la sostituzione delle
pene, meccanismo al quale è legata la nascita delle indulgenze. Davanti alle onerose opere peniten-
ziali previste, di stampo monastico e quindi difficilmente adattabili nella vita di tutti i giorni, nasce
l’idea di possibili commutazioni: un’opera penitenziale gravosa per la sua durata può essere com-
mutata con un’altra più intensa ma di durata minore. In genere al digiuno si sostituisce la recita di
salmi. Ma il processo una volta innescato e trovando un fondamento teologico non si fermò più. La
commutazione passa a implicare offerte in denaro come elemosine o stipendi per un determinato
2 Al di là della poesia, bisogna rendersi conto della concreta tipologia di questi pellegrini. Membri del clero o
meno, erano tutti responsabili di crimini, dai quali non sempre si erano sinceramente pentiti. Inevitabilmente in queste compagnie di pellegrini si poteva trovare un po’ di tutto. E non sempre al pellegrinaggio corrispondeva un cammino di conversione dai peccati commessi.
tre atti fondamentali che vengono esaminati e precisati dal concilio. Infine, l’attenzione viene posta
su alcune questioni che riguardano la figura del ministro, tra cui il valore giudiziario
dell’assoluzione e la potestà dei vescovi di riservare a sé il perdono di particolari peccati. Nel valu-
tare la scelta che necessariamente dobbiamo fare, è importante notare come il concilio di Trento
mostra diversi comportamenti nelle varie sessioni. Il decreto sulla giustificazione, per esempio, ha
tutto il suo peso sulla dottrina, molto più che nei canoni seguenti. Per il sacramento della penitenza
è tutto il contrario. Le discussioni in aula si incentrarono sui canoni, formulati in risposta alle pro-
posizioni dei riformatori presentate all’attenzione dei teologi. Ed è soprattutto sui canoni che cade il
peso dell’autorità magisteriale del concilio. Il decreto venne discusso e approvato solo negli ultimi
giorni.
Il valore dogmatico dei singoli canoni va precisato volta per volta. Sullo sfondo emerge la que-
stione intorno al potere sacramentale della chiesa. Semplificando una realtà difficile da esporre in
poche righe, per Lutero non esiste alcuna realtà (potere) fra la Parola di Dio e la fede dell’uomo che
l’accoglie. La visione cattolica integra questa posizione con la fede nella presenza di Cristo lungo la
storia attraverso uomini e gesti, una presenta fondata sulla sua volontà e distinta da quella nella sua
Parola. Trento non esprime ancora una visione sacramentale della chiesa, però ne difende la pote-
stas. Questa differenza di vedute emerge chiaramente nei canoni sulla penitenza. In primo luogo e-
siste un sacramento della penitenza distinto dal battesimo: è il senso dogmatico del ca. 2 (DS 1702).
La giustificazione non si riduce alla fede fiduciale (aprendo il problema complesso fra penitenza e
giustificazione). Pur rispettando le posizioni scotiste sul valore dell’assoluzione sacerdotale e le due
vie di riconciliazione, il concilio si sposta più sulla linea tomista: il valore della penitenza in rappor-
to a una sola via di giustificazione (DS 1704 e capp. di riferimento). In sintesi, Trento si pronuncia
con forza su quattro punti: 1. Per volontà di Cristo esiste nella chiesa un vero e proprio sacramento della penitenza per i battezzati peccato-ri. 2. Non si può escludere il riferimento di Gv 20 al sacramento della penitenza e non si può intenderlo solo come predicazione del Vangelo [Il testo præcipue instituit eum… vuole non escludere dal concetto di istituzione il passo di Mt 16,18]. 3. Il sacramento della penitenza non è riducibile al battesimo per vari motivi. Contiene un atteggiamento peni-tenziale del peccatore e l’assoluzione sacerdotale. Fondamentalmente Trento sposa la posizione di Tommaso, con opportune correzioni per non delegittimare lo scotismo: p. es., sull’assoluzione “nella quale si trova in mo-do specifico la forza della stessa” salvando così la posizione scotista. 4. Non è accettabile la posizione luterana che riduce la penitenza alla dinamica del passaggio dall’angoscia per i peccati alla consolazione per la fede nel perdono. La penitenza comprende come elementi essenziali gli atteggiamenti del penitenti che sono la contrizione, la confessione e la soddisfazione.
In modo particolare abbiamo l’idea di contritio che il concilio vede in rapporto al sacramento at-
traverso l’idea di “votum”. E’ importante notare come la posizione conciliare si distingua da quella
protestante perché la concezione cattolica della contrizione non comporta solo la cessazione dal
peccato e la novità di vita, ma anche l’avversione al peccato, un atteggiamento spirituale inconcepi-
1Cor). Ma di per sé, nessun peccato esclude irrevocabilmente dalla chiesa, cioè senza alcuna possi-
bilità di riconciliazione: neanche l’idolatria o l’eresia. Ogni cristiano è un peccatore nonostante la
purificazione battesimale. La visione biblica che distingue i peccati fra volontari e involontari si tra-
sforma attraverso la riflessione patristica nella distinzione fra peccati capitali (gravi, mortiferi o
crimini) e lievi (non capitali, quotidiani). La chiesa elabora liste e cataloghi dei peccati. Tuttavia,
solo i peccati capitali pongono in una situazione spirituale incompatibile con la santità della chiesa.
Questo duplice convincimento e la prassi conseguente hanno fin dall’inizio un riferimento singolare
con l’eucaristia: l’eucaristia coincide con la comunione ecclesiale, l’esclusione dalla comunione ec-
clesiale coincide con l’esclusione dall’eucaristia.
III.A.1 Vangeli e lettere paoline
Le redazioni evangeliche di Lc e soprattutto quella di Mt presentano una chiesa che ha già af-
frontato il problema dei cristiani peccatori. A essi viene rivolto l’invito alla penitenza, nella co-
scienza di essere in armonia col messaggio di Cristo. Lc 15 potrebbe essere un commento di passi
precedenti come Lc 5,32; 17,3s. In realtà Lc mostra una certa predilezione verso la penitenza e la
conversione, ma si muove sempre in un contesto di “prima accoglienza” del regno, per quanto il re-
gno in Lc non sia mai una realtà solo escatologica, ma si attualizzi nella chiesa. Per Mt la vita della
chiesa è riferita alla presenza di Gesù risorto in mezzo ai suoi (Mt 28,18-20). In quest’ottica devono
essere letti i passi di Mt 9,1-8; 16,13-20; 18,12-20. Rispetto ai passi paralleli di Lc 5 e Mc 2, Mt 9
legge l’episodio della guarigione del paralitico e del potere di Gesù di perdonare i peccati in funzio-
ne del potere concesso agli apostoli e alla chiesa: “la folla… rese gloria a Dio che aveva dato un tale
potere agli uomini” (Mt 9,8), anticipando lo stesso tema trattato in Mt 16; 18. Scrivendo a cristiani,
Mt sottolinea come l’autorità del Figlio sia presente nella chiesa attraverso gli apostoli. I versetti
quasi identici di Mt 16,19 e Mt 18,18 indicano nella chiesa un potere in rapporto al peccato dei
membri della comunità:
Mt 16,19: “[Gesù a Pietro:] «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà lega-to nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Mt 18,18: “[Gesù ai discepoli] In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.”
E’ legittimo pensare che Mt 18 pensi alla funzione apostolica, per estensione di Mt 16, e non al-
la comunità intera? Sembra di sì per vari indizi. Il loghion è diretto ai discepoli (i dodici), cf il “tu”
dei vv. 15-17 e il “voi” del v. 18. Mt 18 appartiene a un contesto di giudeo-cristianesimo, dove la
comunità è gerarchizzata, certamente in modo diverso dai capi giudei (Mt 23,1-12). Ma niente in-
duce a pensare che la novità della comunità cristiana sia nel porre essa stessa atti autoritativi a pre-
sprime come pace in una comunità ecclesiale storica. Sta qui il fondamento teologico dell’invalidità
dell’assoluzione sacramentale in mancanza della debita giurisdizione (CJC 966).
III.D Il sacramento della Penitenza
Infine, la penitenza cristiana, particolare espressione nella storia del mistero della riconciliazione
nella chiesa, è un sacramento. La fede della chiesa ha scoperto in questo rito di riconciliazione per i
cristiani penitenti la categoria teologica di “sacramento istituito da nostro Signore Gesù Cristo”.
Come azione di Cristo e del suo Spirito la penitenza cristiana è un rito sacramentale costitutivo della
chiesa:
quelli che [vi] si accostano ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si ri-conciliano con la chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità l’esempio e la preghiera. (LG 11)
Sacramento della penitenza o della riconciliazione indica che la penitenza e la riconciliazione
hanno altre forme per essere vissute, all’interno dell’unico mistero di riconciliazione (cf CCC 1434-
1439). La forza e l’efficacia di queste forme risiede nell’essere poste all’interno di quella «comunità
riconciliata» che è la chiesa. La tradizione della chiesa ha precisato che alcuni peccati “separano”
dalla comunione con la chiesa, comunità riconciliata, e pertanto si rende necessario un gesto eccle-
siale e sacramentale perché il cristiano peccatore e convertito ritorni alla piena “pace con Dio” e
“pace ecclesiale”. M. Xiberta ha avanzato l’ipotesi di una pax cum ecclesia che precederebbe la pax
cum Deo: in termini scolastici, la prima sarebbe quasi la res et sacramentum del rito e la seconda la
res. Ma l’ipotesi presenta dei limiti che non la fanno preferire alla visione tradizionale dei padri,
per cui pace con la chiesa e pace con Dio vengono a identificarsi (per quanto competa al giudizio
umano). Infatti, la pace con la chiesa non è ancora la remissione dei peccati, che nel cristiano pecca-
tore viene a coincidere con l’essere pienamente ricostituito nell’alleanza, ridiventando pienamente
«chiesa». Inoltre, ed è un’obiezione più grossa, la chiesa sembra diventare una sorta di ipostasi fra
Dio e il cristiano peccatore. La realizzazione storica del mystêrion invece, la pone su un altro piano,
quello sacramentale: il mystêrion divino si realizza nella storia attraverso segni e riti ecclesiali.