Page 1
CIPRIANI N.
Introduzione a S. Agostino (SA 620) - I
Lezione I del 14 Ottobre 1999.
E’ necessario studiare S. Agostino oggi? S. Agostino ha influito moltissimo sulla nostra cultura e storia.
Alcune idee pesano ancora sull’atteggiamento della Chiesa in tanti problemi. Agostino merita di essere
studiato con più attenzione degli altri Padri della Chiesa occidentale. Poi non c’è un altro padre della
Chiesa interpretato in maniera così opposta, così diversa l’una dall’altra. Questo succedeva già all’inizio
già nel V secolo dove c’era una divisione tra sostenitori entusiasti e coloro che non accettavano nulla di
Agostino. C’è poi anche una lettura diversa delle sue opere anche tra gli ammiratori. Anche altri autori
antichi hanno avuto questa sorte. Ma per Agostino questo è stato molto importante nel prosieguo della
storia della Chiesa. Molti teologi moralisti e anche dogmatici oggi fanno a meno di Agostino e di tutti i
padri.
Di quale introduzione noi parliamo oggi? Etienne Gilson, Introduzione allo studio di S. Agostino
(19281, 19684 - trad. it. 1983). Kurt Flash, Introduzione al pensiero di Agostino (trad. it. Introduzione
all’opera filosofica di Agostino, ed. Il Mulino). Ci sono altre opere che nei primi capitoli offrono le chiavi
interpretative del pensiero agostiniano. Leggendo Etienne Gilson ci accorgiamo che più che offrirci degli
strumenti per leggere le opere di Agostino egli ci dice che ‘sente il bisogno di studiare l’agostinismo di
Agostino per capire meglio quello degli autori medievali’. Questo lascia perplessi. Cerca di far vedere
l’unità del pensiero agostiniano, ma solo in riferimento ai suoi successori. Concepito per risolvere questo
problema il nostro libro non poteva essere uno studio delle fonti dell’agostinismo. Vuole poi ‘offrire delle
tesi capitali ed essenziali che permettono esse sole di ordinarne e interpretarne esattamente i particolari’.
Egli fa una scelta: prende le tesi più importanti del pensiero Agostiniano e le espone in maniera unitaria.
Si interessa quindi di più allo spirito dell’agostinismo. I rischi sono che questa esposizione può essere
determinata dai gusti e dalle scelte dell’autore e non ripeta il pensiero di Agostino. Egli poi ci indica una
pista ma non uno strumento concreto per leggere. Sembra a Cipriani che questa opera di Gilson può
aiutare, ma può anche danneggiare la comprensione di Agostino. Ci sono diverse altre considerazioni utili
da fare al fine di comprendere meglio i testi agostiniani. Questo studio di Gilson è stato criticato dal Flash
(p. 12: “Non è più possibile fare del pensiero di S. Agostino un esposizione sistematica in modo
sincronico come ha fatto Gilson nella sua Introduzione allo studio di S. Agostino”). S. Agostino, lo dice
lui stesso nelle ‘Retractationes’, ha fatto dei progressi scrivendo; tante questioni sono state iniziate da
Agostino nei primi anni della sua conversione e hanno avuto la loro completezza solo in anzianità . Non si
Page 2
può quindi fare un’esposizione sincronica del suo pensiero. Qualcuno parla di evoluzione del suo
pensiero. Agostino stesso chissà se si riconoscerebbe nell’esposizione fatta da Gilson; egli non ha tenuto
conto dei suoi progressi.
Anche Flash ‘vuole fare un’esposizione complessiva del pensiero di Agostino, però vuole delineare il
pensiero e l’opera di Agostino all’interno di un nuovo quadro’. Vuole fare una trattazione ‘genetica’ di
come è nata l’opera e di come si è sviluppato il pensiero, leggere l’opera di Agostino nel contesto storico.
Cambia la chiave di lettura. Lui tiene presente il principio che manca in Gilson, e cioè la progressività,
dando rilievo soprattutto agli avvenimenti storici di quel tempo. Agostino scrive condizionato dai
problemi del tempo, e i suoi scritti vanno letti contestualizzandoli storicamente.
P. 11: il ‘libro (di Flash) va oltre la caratterizzazione storica, ma va alla radice della verità delle sue
teorie’. Per Flash Agostino non è un filosofo, né un pensatore, ma è un retore e quindi non vale niente.
Non cerca di capire Agostino rispettandolo, lo considera solo un eclettico retore.
Giuliano d’Eclano non faceva diversamente. ‘Ora dimostrerò a tutti quanto sei stupido e ignorante tu che
sei considerato il più acuto e il più sottile dei cristiani’. Ma Agostino ha teorizzato che per comprendere
bene un autore bisogna amarlo. Con questo principio ermeneutico di Agostino si può dialogare con
l’autore che si studia.
Flash ha anche altri scopi. Questo metodo di leggere Agostino contestualizzandolo non è stato seguito
dalla scolastica ne’ dall’esistenzialismo, ne’ dalla teorie filosofiche moderne (neoscolastica). Questa è una
esposizione polemica verso altre correnti di pensiero che hanno interpretato Agostino in modo diverso.
Questi autori parlano di introduzione alo studio e al pensiero però più che aiutarci a capire quello che dice
l’autore ci inducono a dirigerci su loro opinioni personali.
P. Agostino Trapé è stato un grande conoscitore del pensiero filosofico e teologico di Agostino, però egli
aveva una preparazione più teologica che filologica, quindi si è messo a studiare Agostino in maniera più
teologica, con i suoi vantaggi. Ma per uno studio idoneo alla comprensione ci vuole uno studio più
interdisciplinare, non guardando un solo aspetto della materia. Oggi purtroppo ci sono molte
specializzazioni. Il sapere è stato parcellizzato.
Flash ha squalificato Agostino dicendo che era un retore ma egli di retorica non conosceva niente. Ogni
genere letterario ha delle sue leggi e delle sue norme che ci aiutano a comprendere il testo. Il genere
letterario è una chiave interpretativa. Spesso della retorica oggi si ha un concetto riduttivo: si pensa che la
retirca si interessi solo della forma, dello stile, dell’aspetto linguistico letterario. Ma la retorica non ha un
metodo solo per parlare (questa è la terza parte della retorica), ma anche per pensare, per elaborare le idee
e come disporle. Prima bisogna trovare gli argomenti da dire e da trattare e poi bisogna parlare. La nostra
cultura di oggi è molto diversa da quella degli antichi. Agostino diceva che l’arte liberale che conosceva
Page 3
meglio era la dialettica e gli eretici non volevano parlare con lui su questo punto perché sapevano che era
esperto di dialettica. Non si può leggere Agostino come se fosse un autore moderno.
Nel volume ‘Matrimonio e Verginità’ di S. Agostino della collana “Nuova biblioteca agostiniana”,
nell’introduzione P. Trapè non tratta del problema delle fonti. ‘la chiave per interpretare il pensiero di
Agostino non è la chiave dell’esperienza personale’. Alcuni autori come Haring interpretavano Agostino
dalle sue esperienze personali. Haring dice che Agostino era manicheo e quindi la sua esperienza
manichea lo ha portato…(questo non è logico). Agostino è uno che ha cercato sempre la ragione dice ‘io
sono uno che non si vuole accontentare di quello che crede, ma voglio arrivare alla comprensione
intellettuale della mia fede’. Un autore che ha come programma di non ammettere niente solo per fede
dobbiamo andare cauti a fare su di lui affermazioni assolute. P. Trapé dice che le esperienze personali non
possono essere la chiave principale o unica per interpretare l’opera di Agostino, anche se questa può
influenzare in tanti altri modi. Alcuni hanno detto che il pensiero di Agostino è “una metafisica della
conversione”. Agostino non è un pensatore astratto, non può fare a meno di ricollegarsi dalla sua
esperienza. Ma non tutto il pensiero suppone l’esperienza.
L’altra chiave esclusa da Trapè è considerare in Agostino solo le fonti platoniche, neoplatoniche e
stoiche. Molti storici cercano solo questo: cercare le fonti filosofiche , platoniche e stoiche. Ma Agostino
è anche un autore cristiano e non pagano. Ma nel ‘De Ordine’, spesso i commentatori mettono tra le fonti
solo autori pagani e non cristiani.
Altra chiave esclusa da Trapé è quella degli avversari. Si potrebbe cioè comprendere Agostino solo
considerando i suoi avversari (Manichei, Donatisti, Pelagiani, Ariani). Così può capitare che Agostino si
contraddica nelle sue opere perché il suo obiettivo è di controbattere agli avversari. La retorica
comprende il genere della ‘Refutatio’ o della ‘Reprehensio’. Si crea un antimodello, cioè si crea un
pensiero opposto a quello che si combatte. Per confutare l’autore devo crearmi un sistema opposto di
idee. Plebe, Sulla retorica fa vedere che questa tecnica retorica viene a creare l’antimodello. Un pensatore
si crea un pensiero nell’intento di mettersi contro un altro pensiero.
Ma non si può considerare così Agostino. L’atteggiamento di Agostino è dialogico. L’arte della dialettica
è il dialogo. Il metodo migliore per cercare la verità è quello di far domane e rispondere. Quello della
dialettica è il metodo di trovare prima ciò che ci unisce e poi ciò che ci divide, cercando di convincere
l’avversario sulle proprie posizioni. Questo metodo Agostino l’ha enunciato esplicitamente in diversi
libri, in diversi dialoghi. Agostino nel De vera religione mette in evidenza le verità che i cristiani hanno
in comune con i neoplatonici. Ma non si mette a rilevare subito le differenze.
Ma P. Trapè TRASCURA del tutto queste chiavi di interpretazione: “L’unica chiave per interpretare il
Vescovo di Ippona è solo la S. Scrittura” (P. Trapé). Ma questo è falso, perché Agostino ha voluto
dialogare con la cultura del suo tempo. Ha usato le categorie proprie della cultura del suo tempo. Non si
Page 4
può rimproverare ai Padri di aver usato le categorie della cultura greca. Noi possiamo sottolineare i limiti
o anche gli errori di questo confronto, ma questo è un punto successivo alla ricerca dei criteri di
interpretazione.
E’ utile conoscere le condizioni culturali del pensiero di Agostino, La filosofia, la retorica, la dialettica,
ma soprattutto il metodo della riflessione di Agostino. Quando scrive di argomenti filosofici ha un suo
modo di procedere, dei principi, presupposti gnoseologici per la conoscenza. E’ diverso poi il metodo di
quando comincerà a leggere e a commentare la Scrittura (quando farà teologia in senso vero e proprio). Ci
sono tante domande da fare, non basta la S. Scrittura come dice Trapé. Cipriani nel suo primo articolo
scritto sull’”Augustinianum” nota che nel De Ordine c’è una teoria sul piacere dei sensi, ma è solo
filosofica (non c’è nient3e di morale o religioso-biblico). Mentre un’altra teoria sempre sullo stesso
argomento veniva più tardi affrontato sul piano morale in un opera contro Giuliano d’Eclano. Certe teorie
sul matrimonio di Agostino derivavano da questa teoria filosofica e non dalla Bibbia. Nel metodo della
riflessione agostiniana certamente la Scrittura ha un ruolo di fondamentale importanza. Egli non
prescinde dalla Scrittura, ma spesso il ragionamento porta a intendere il testo della Scrittura non come lo
intende l’autore sacro, ma come lo intende lui, da filosofo. Spesso Agostino porta piccole frasi della
Scrittura a sostegno delle sue tesi filosofiche elaborate non però dal testo della Scrittura, ma dalla lettura
di una fonte pagana. Ma siccome la riflessione razionale non deve essere in contrasto per Agostino con la
Parola di Dio ecco che si sforza di far combaciare le due cose. Spesso Agostino non parte dalla Scrittura
per arrivare a delle conclusioni, ma fa il contrario. A lui era sufficiente che le sue tesi non fossero in
contrasto con la Scrittura.
Nel Contra Academicos, Ag. Vuole non solo accontentarsi di credere, ma arrivare anche alla
comprensione razionale di quanto crede. Vuole trovare anche autori che non ripugnano alle nostre Sacre
Scritture e alla fede cristiana. E’ utile allora, anzi indispensabile, studiare tutti gli autori pagani che
Agostino poteva conoscere (soprattutto quelli latini, non quelli greci che leggeva solo in traduzione).
Ambrogio ha influito su Agostino; Agostino era ancora manicheo e i manichei gli avevano messo in testa
tante critiche contro la Scrittura in senso materialistico. Dio era solo un grande uomo, ecc.. I manichei
avevano facile gioco di accusare la chiesa cattolica proprio per la maniera ingenua, materialistica e
antropomorfica di intendere Dio. Ambrogio gli risolveva il problema: la scrittura si può interpretare in
modo molto più logico, razionale e rispettoso di quello che pensavano i manichei contro la Chiesa. Dopo
il Battesimo Agostino lesse anche i libri di Ambrogio.
Temi del corso:
1) Repertori bibliografici. Dove trovare le opere per lo studio di S. Agostino. Itinerario pratico piuttosto
che la sintesi delle idee.
Page 5
2) Biografia. Ci sono percorsi sinuosi e contrastati, anche nell’interpretazione degli studiosi nella vita di
Ag. nella vita dei primi anni soprattutto.
3) Il genere letterario dei dialoghi.
4) Il metodo della riflessione filosofica. La filosofia per Agostino non è quello che si intende oggi. Da S.
Tommaso in poi la filosofia ha un campo specifico di verità diverso dalla teologia: l’una le verità di
ragione, l’altra le verità di fede. Ma al tempo di Ag. Non era così. Il metodo di Agostino è diverso da
quello di S. Tommaso.
5) Struttura e temi dei singoli dialoghi. Quali sono i temi, come sono strutturati, quali sono le tesi
principali. I dialoghi sono le opere di Agostino più fraintese o mal comprese. Questo è dovuto al fatto
che molti non si sono accorti per niente che Ag. non abbraccia totalmente le idee dei filosofi
neoplatonici o stoici. Il genere letterario del dialogo è molto difficile, perché non esprime in maniera
lineare il pensiero dell’autore. Nel dialogo ci sono diversi personaggi e a ogni personaggio viene
attribuita una parte come nel teatro. Dal dialogo delle tesi diverse si giunge alla conclusione che può
essere la correzione e il superamento delle varie tesi. Chi non ha avuto una formazione retorica non si
accorge di questo sviluppo. Flash confonde il pensiero di Agostino con quello di uno degli
interlocutori del dialogo, perché non conosce affatto la tecnica del dialogo. Con Flash tanti altri autori,
soprattutto in riferimento al De Ordine sono caduti nello stesso errore. E’ importante seguire la
struttura del dialogo. E’ importante poi conoscere con chi sta dialogando Agostino. Agostino già nel
Contra Academicos non sta polemizzando solo con lo scetticismo degli accademici. Spesso
contrappone allo scetticismo degli Accademici un altro scetticismo, quello di Porfirio. Di questo
nessuno si era accorto, per cui quelle pagine risultavano anche oscure. Questo accade spesso anche
per gli autori cristiani. Agostino molto spesso segue Ambrogio. Ancora in vecchiaia Ag. chiamava
Ambrogio ‘Magister meus’. Ma spesso lo critica, pur senza farne il nome. Questa è una caratteristica
di Agostino. Spesso critica la dottrina degli autori pur senza farne il nome. Per quale motivi non
citava? Pierre Adeau, nel suo libro Porfirio e Mario Vittorino, dice che questi autori del IV e V
secolo, e soprattutto Agostino, fanno spesso riferimenti ad altri autori senza citarne né la fonte né
l’opera. Nel caso di S. Ambrogio Agostino comincia a fare il suo nome esplicito solo nel 412, cioè
molto tardi. Ma prima allora conosceva le opere di S. Ambrogio? A. Pincherle ha scritto che Agostino
non aveva alcuna stima di Ambrogio e delle sue opere e quindi non l’ha letto se non in tarda età. Ma
Cipriani dice che Ambrogio si trova in Agostino non solo nelle tarde opere antipelagiane ma anche
nelle opere giovanili. Tra l’altro l’unica citazione esplicita che Agostino fa di Ambrogio appare in un
opera che non è antipelagiana, il De videndo deo, perché lì c’era bisogno di richiamarsi all’autorità
dell’autore citato. Se c’è bisogno di servirsi dell’autorità dell’autore che si cita ecco che lo scrittore
antico citava anche la fonte del pensiero che riportava, altrimenti non la citava. Questo è il principio
Page 6
del locum retorico ‘ex auctoritate’, di cui si serve Ag. contro Giuliano d’Eclano ed altri autori.
Vincenzo di Lerino, scrittore provenzale, nel 434-35 scrisse il Commonitorium, dando delle
argomentazioni che dobbiamo seguire per arrivare alla certezza della fede e citava quello della
tradizione, di cui Agostino si era servito già molti anni prima. Questi criteri erano stati ispirati da S.
Agostino. Contro un cristiano come Giuliano d’Eclano ecco che Agostino si serve della S. Scrittura e
della Tradizione (cioè i grandi autori cristiani precedenti a se: Ambrogio, Girolamo ed altri). Contro i
pagani certamente non si poteva usare il principio della tradizione e della Scrittura, ma quello della
ragione.
Lezione II del 21 Ottobre 1999.
Le difficoltà di capire Agostino dipendono da diversi fattori, anzitutto dal carattere evolutivo del suo
pensiero. AGOSTINO progredisce scrivendo, quindi non è facile capire il suo pensiero perché cambia, si
evolve. Agostino però non si contraddice. Bisogna non esagerare con questa idea dell’evoluzione del
pensiero. C’è lo sviluppo di certe idee, ma non la contraddizione. C’è un processo di svolte continue, ma
non c’è la ‘catastrofe’ del 397, quando Agostino approfondì il tema della grazia. Egli stesso riconosce che
il suo pensiero cresce e si sviluppa, ma questo no vuol dire che si contraddice. Quando cambia, Agostino
lo fa notare lui, anzitutto nelle ‘Retractationes’ e quindi quest’opera deve stare vicino nella lettura di
qualsiasi altra opera di Agostino.
Poi c’è il fatto che Agostino ha scritto moltissimo e quindi è impossibile leggere tutta l’opera, è quasi
impossibile conoscere tutto il pensiero di Agostino. Poi queste opere non sono state scritte in modo
sistematico, ma occasionale, a seconda delle questioni che gli sono state poste. Non è mai condizionato da
fattori esterni.
Poi attraverso i secoli, gli studi che sono stati fatti hanno dato diversi risultati. Ogni giorno esce qualche
libro su S. Agostino. E’ uno degli autori più studiati. Il problema è dunque anche quello di leggere la
bibliografia, gli studi che sono stati fatti su S. Agostino. Di fronte al ‘Mare magnum’ della bibliografia
Agostiniana uno rischia di perdersi. Quindi sono stati pubblicati dei repertori bibliografici che ci aiutano a
trovare gli studi che sono stati fatti.
Repertori:
1928: Bibliogràphia Augustiniana, Operum collectium quae divi Augustini vita et doctrina exponunt di
Eulogio Nebreda. Questa è una raccolta bibliografica di questo secolo.
1973: Bibliogràphhia Augusiniana diArnesen (Damstad).
Page 7
1960: Repertoire Bubliographique de Saint Augustin di T. Van Bavel. Fa capire anche il valore delle
opere e non riporta solo i titoli. E’ diviso in 4 sezioni. La prima riguarda la biografia (studi biografici di S.
Agostino, vita ecc,). La seconda sezione riguarda le opere. La terza, la dottrina (Dio, l’anima, ecc.). La
quarta parla dell’influsso di Agostino nei secoli e la sua attualità.
Ce ne son altri fatti dopo il centenario della nascita (1964). Due riviste: Revue des etudes augustiniennes;
Augustinus. La prima ha pubblicato Fichers Augustiniennes che riporta tutta la bibliografia Agostiniana.
Ogni anno comunque queste riviste pubblicano annualmente la bibliografia.
Anneé philologique, che anno per anno riporta non solo gli studi fatti su S. agostino anno per anno, ma su
tutti gli studi classici.
Bibliographia Patristica (Berlino), riporta anche gli studi Agostiniani.
Augustin Bibliography (Londra). Fino al 1970.
Poi c’è la bibliografia del citato Gilson, a cura di Venanzi che divide la bibliografia in 21 capitoli.
Anche Peter Brown fa un ampia bibliografia nella sua ‘Vita di S.Agostino’.
Biografia di S. Agostino.
Agostino è un autore che parla molto di se stesso e molte sue riflessioni nascono dall’esperienza
personale e affronta problemi che lui stesso ha vissuto. Non è un autore sistematico e freddo come può
essere S. Tommaso d’Aquino. Qualcuno (Gilson) ha detto che Agostino codifica nella teoria teologica la
sua esperienza personale.
Cipriani però dissente: non si può spiegare tutto con l’esperienza personale di Agostino. C’è qui molta
verità ma non tutta la riflessione di Agostino dipende dalla sua esperienza. Alcuni (Haring) solo perché è
stato manicheo dicono che egli è manicheo. Bisogna preferire una spiegazione più nell’ordine delle idee
piuttosto che nell’esperienza personale.
Per quanto riguarda la biografia, noi abbiamo diverse fonti, a differenza di tanti autori importanti
dell’antichità, per i quali non ci sono molte fonti. Agostino ha scritto le “Confessioni” e i ‘Dialoghi’ che
contengono parti autobiografiche. Poi ci sono i ‘Discorsi’ che ci informano della sua esperienza
monastica. Poi ci sono le altre opere, tra cui le ‘Retractationes’. Inoltre c’è la ‘Vita augustini’ scritta dal
suo collega nell’episcopato Possidio. Egli visse circa 40 anni con Agostino e scrisse anche il primo
‘Indiculum’ (indice) delle sue opere.
Però queste fonti dicono tutte la verità o invece c’è qualche contraddizione tra le fonti? Questo problema
è stato dibbattuto da almeno un secolo a questa parte. La critica razionalistica ha messo a nudo la
contraddizione tra quello che c’è nei dialoghi e quello che c’è nelle Confessioni, e questo tutto a danno
delle Confessioni. I critici dicono che i Dialoghi sono molto più fedelli, mentre le Confessioni sono una
ricostruzione storica dando una dimostrazione teologica della sua dottrina della grazia che aveva
Page 8
elaborato pochi anni prima. Ci possiamo allora fidare delle Confessioni? Su questo è stato scritto
moltissimo.
Nel 1891 Gaston Boisiere, la conversione di S. agostino (articolo) e poi in un libro afferma che il
tono dei dialoghi è molto diverso da quello delle Confessioni. A Cassiciaco non si trattano questioni
religiose, ma questioni di grammatica e di retorica. Ag. Ai giovani che erano stati affidati a lui continuava
ad insegnare la grammatica e la retorica. Si direbbe che invece di mettere in piena luce la sua conversione
al cristianesimo, Agostino cerca di nasconderlo: parla più di grammatica e di filosofia. E’ possibile che
l’uomo dipinto nelle confessioni, macerato dalla riflessione sulla penitenza si dedica poi alla riflessione
serena dei dialoghi di Cassiciaco? Possiamo sapere qual è il vero Agostino: il penitente o il filosofo?
Nella sua vita di Cassiciaco Agostino non ci ha detto tutto, ma tutto quello che ci ha detto è vero
(Boisiere).
Invece studiosi protestanti come Harnack e Loofs non hanno nessun timore di mettere in luce la
contraddizione tra dialoghi e confessioni.
Harnack, Augustin Confessiones: riprende Boisiere ma dice che la conversione avvenuta nel 387 non è
stata una conversione reale. Il racconto delle Confessioni anticipa ciò che è avvenuto dopo.
Loofs dice che la vera conversione avvenne solo 4 anni dopo il 387, nel 391.
L’autore che più si è distinto in questa linea è stato Prosper Alfarik. Nel 1918 egli pubblicò L’evolution
intelletuelle de S. Augustin. I) Dal Manicheismo al Neoplatonismo, II) dal Neoplatonismo al
Cristianesimo, III) dal Cristianesimo al Cattolicesimo. Uscì solo il primo volume. Gli altri due volumi
non furono pubblicati. A suo parere il contenuto dei dialoghi è più neoplatonico che cristiano.
Moralmente come intellettualmente è al Neoplatonismo che si è convertito più che al Vangelo (p. 371).
Al Vangelo si sarebbe convertito solo negli anni del presbiterato.
L’autore che si è più distinto a difendere l’Armonia tra dialoghi e Confessioni fu il gesuita P. Boiyere in
“Cristianesimo o neoplatonismo”.
Le opere dei primi anni si leggono a seconda di come uno ricostruisce la sua vita. Un condizionamento
fortissimo si ha a seconda di come uno concepisce la vita di Agostino.
Page 9
Opere che si possono consultare: P. Brown, Agostino (1966, it. 1971, Giulio Einaudi). P. Trapé, L’uomo,
il pastore, il mistico. Ma forse è troppo devoto. P. Brown forse è eccessivamente critico. Snobba il santo,
da vero agnostico. Brown spesso vuole fare il letterato e si abbandona ad espressioni offensive del
personaggio e delle idee. Comunque Brown è quello che riesce a fare meglio il panorama storico e
culturale del tempo di Agostino.
C’è anche A. Pincherle, Vita di S. Agostino, Laterza 1980(3° edizione riveduta da M. G. Mara).
Van der Meer, S. Agostino pastore d’anime (Roma 1971).
G. Bardy (1941); Mandus, ecc.
Carlo Cremona (13 edizioni, 1989) scrisse una biografia di Agostino. Ma è un po’ giornalistica. Comincia
facendo il paragone con l’Eneide che inizia il racconto di Enea con il naufragio di Enea (in medias res).
Così avviene per Agostino: la sua non è una biografia scientifica, ma divulgativa.
Fatti della vita di Agostino.
Parleremo solo delle tappe più significative in riferimento al suo pensiero.
Agostino è un convertito diverso da S. Giustino e da Mario Vittorino. Egli non si convertì dal
paganesimo, ma dal cristianesimo stesso. Egli è stato sempre cristiano. Egli ricevette dalla madre Monica
una educazione cristiana (Confessioni). Ricevette i primi riti che introducevano al catecumenato. In 11,
17 delle Confessioni ci dice che ‘avevo udito parlare fin da fanciullo della vita eterna…’. La madre
Monica gli parlava della vita eterna che si ottiene mediante Gesù Cristo.
In un’altra occasione Agostino si ammalò gravemente da bambino. Temette di morire e chiese di essere
battezzato. Questa malattia scomparve e i genitori stessi non pensarono di battezzare subito Agostino.
Molto spesso i genitori, pensando ai problemi che sarebbero venuti in seguito preferirono rimandarlo a
un età adulta. Agostino tiene a sottolineare anche la sua fede dell’infanzia (tutti nella sua famiglia
credevano eccetto suo padre).La fede che provava A. era infantile, era soprattutto l’affetto che provava
per Gesù Cristo. Nel cap. 8 delle Confessioni, quando A. lesse l’Ortensius di Cicerone a 19 anni, si
entusiasmò però una cosa lo rattristava: l’assenza in quel libro del nome di Gesù Cristo. ‘Qualsiasi opera
mancasse del nome di Cristo non poteva conquistarmi totalmente, perché io avevo succhiato col latte
materno il nome di Cristo’.
Rimanendo deluso dalla lettura delle Scritture Cristiane non va dai Cattolici, ma dai Manichei, i quali
parlavano di Gesù Cristo.
Page 10
Altra tappa su cui soffermarci è la sua educazione scolastica che era pagana. La scuola antica si divideva
in tre fasi: I primaria (leggere, scrivere e fare i conti); II scuola del grammatico, che cominciava da dodici
fino a 16 anni: il grammatico spiegava gli autori classici (Sallustio-Omero-ecc.), poeti, commediografi,
storici e retori, modelli sui quali si studiava. L’insegnamento del grammatico era una analisi letterale e
grammaticale (Enarratio) sui testi classici. Ma non c’erano solo i rilievi grammaticali. C’era anche la
sottolineatura degli aspetti storici, geografici e astronomici. C’era un infarinatura delle arti liberali
nell’insegnamento del grammatico. Poi quando i giovani avevano terminato a scuola allora potevano
anche completare la cultura liberale, leggendo libri specialistici. Da una lettera di Agostino sappiamo che
il padre di Giuliano d’Eclano era amico di Agostino. Questo Vescovo, Memorio o Memore, chiese ad
Agostino i suoi libri sulla musica, ‘perché voglio completare l’educazione liberale di mio figlio’. Lo
stesso Agostino completò gli studi liberali dopo l’insegnamento del retore. La terza fase quindi, dopo
l’insegnamento del grammatico era quello del retore. La cultura antica era soprattutto una cultura
letteraria basata sullo studio della grammatica e della retorica (Marrou). La retorica insegnava a fare
buoni discorsi e a scrivere anche bene.
La prima fase degli studi Agostino l’ha fatti a Tagaste. La seconda fase a Madaura, lontano dalla famiglia.
Per la terza fase (quella della retorica), doveva andare a Cartagine, ma era molto lontana e ci volevano
molti soldi. Allora un amico, Romaniano, pagò gli studi di retorica di Agostino a Cartagine. La cultura di
Agostino dunque fu pagana, mitologica. Ecco perché Agostino lasciò la fede materna e diventò un
pagano. Poi a Cartagine c’erano tutti gli spettacoli che un giovane può desiderare e Agostino si dissipò.
Mise pure incinta una donna.
La cultura che ricevette Agostino è diversa da quella di Tertulliano. Tertulliano sapeva anche il greco,
come Apuleio, che scrive in ‘utraque lingua’. Agostino no. Egli non conosce più il greco. Agostino ci dice
che si parla pure di greco nella scuola del grammatico. Ma egli stesso ci dice che non ha imparato quasi
nulla di greco. Imparò appena a leggere e ad aiutarsi con le traduzioni a leggere un autore greco. Questo è
un limte che si nota nella cultura di S. Agostino. Dopo la conversione ha cercato in tutti i modi le
traduzioni degli autori cristiani orientali greci. Anzi Agostino chiedeva a Girolamo di far conoscere in
occidente gli autori greci. C’è però poco dialogo con l’oriente.
Agostino poi è arrivato alla filosofia attraverso lo studio della scuola di retorica. Non ha mai potuto
frequentare una scuola di filosofia. Ce n’era una ad Atene. Ma in occidente non c’erano scuole di
filosofia. Quello che ha imparato Agostino l’ha imparato un po’ da solo. L’Hortensius era un protrettico,
cioè un’esortazione alla filosofia, come il famoso ‘Protrettico’ di Aristotele. La scuola di retorica si
concludeva con un’apertura alla filosofia, ma non c’erano scuole di filosofia. Bisognava essere autodidatti
e questo è un altro limite di S. Agostino. P. Brown per questo dice che Ag. È rimasto un dilettante della
Page 11
filosofia. K. Flash dice addirittura che A. è un retore e non un filosofo. E’ vero che Agostino si è
consacrato alla filosofia, ma la filosofia l’ha dovuta studiare da solo.
Nell’antichità la conversione dalla retorica alla filosofia era normale. Nessuno andava subito alla scuola
del filosofo. Prima si andava dal grammatico e poi ci si convertiva. A. I. Marrou, Histoire de l’education
dans l’antiquitè, Parigi 1948 (pp. 308-323). Arthur Knock, La conversione, società e religione nel mondo
antico. Gustave Bardy, La conversion au Christianisme duran le premiere siecle, Parigi 1949. La
conversione nella filosofia era quello che per i cristiani era il monachesimo, cioè una rottura cojn la
società. Il retore voleva solo preparare lo studente alla vita pubblica, alle cariche pubbliche. Anche
Agostino vinse la cattedra di insegnamento pubblica, con l’intento di far carriera. Faceva i panegirici per
la corte imperiale. Chi lasciava la retorica per la filosofia voleva dire invece che abbandonava la carriera,
le prospettiva politiche, tutto. Si indossava anche il bastone e il vestito del filosofo e si andava in giro,
rompendo con la vita ordinaria. Molti autori cristiani quando narrano la vita di una santa la descrivono
come quella di un filosofo. La Vita di S. Macrina di Gregorio di Nissa rispecchia questa vita filosofica
(‘faceva vita da filosofa, solitaria e ritirata’). S. Agostino si è convertito alla filosofia, ma in realtà si è
convertito a Cristo, perché Cristo è il vero filosofo (Cristo è la vera sapienza) e la vera filosofia è il
cristianesimo. Marrou, S. Augustin et le faits de la culture antique: da S. Agostino ricostruisce il quadro
della cultura antica di quel periodo. Ma lo stesso autore 10-15 anni dopo scrive una ‘Retractatio’,
riconoscendo di aver fatto affermazioni ardite sulla cultura di Agostino (si era messo che Agostino non
sapeva scrivere).
S. Agostino afferma nelle Confessioni che dopo l’Hortensius lesse le categorie di Aristotele e poi quanti
più libri potevano istruirlo nelle arti liberali.
Lezione III del 28 Ottobre 1999.
La conversione di Agostino non è dal paganesimo (lezione precedente).
Altra tappa significativa di A. è la sua formazione scolastica, soprattutto letteraria, retorica e latina. La
lingua greca non ha influito molto su Agostino. La sua formazione risente di questo limite. Ma era un
limite diffuso alla fine del IV secolo e all’inizio del V. Dopo questi rilievi sulla formazione cristiana e
letteraria c’è un terzo momento:
La lettura dell”Hortensius” di Cicerone (Conf., III, 4-7).
“Tutti ammirano la lingua di Cicerone, ma non il suo animo. Secondo il normale ordine degli studi ero
giunto alla lettura di Cicerone - é un protrettico alla filosofia - cambiò i miei sentimenti. Cambiò il mio
animo e i miei desideri e le mie aspirazioni”. Questo libro ebbe un influsso straordinario su Agostino che
Page 12
lo considera l’inizio del suo ritorno a Dio. Da ora in poi Agostino non pensa più solo a fare carriera
retorica, ma comincia a preoccuparsi della verità. Si innamorò veramente della sapienza in sé, non delle
varie dottrine filosofiche. In III, 8 dice che era tutto preso dal desiderio di giungere alla vera sapienza.
Però in tanto ardore ed entusiasmo ci fu una sola delusione: in questo libro non trovò scritto il nome di
Cristo. Aveva succhiato il nome di Cristo insieme al latte materno. Questa grande delusione non fu
inefficace perché lo spinse a cercare la sapienza proprio nelle Scritture Cristiane. Agostino a 19 anni
quando legge questo libro è convinto che Gesù Cristo è collegato col raggiungimento della sapienza.
Ancora non cidice chi era Cristo per lui, ma la sua fede infantile aveva lasciato in lui questa convinzione:
che Cisto porta alla sapienza. Sennonchè A. non era preparato per questa lettura. Non conosceva affatto la
letteratura della Scrittura. Nella lettura della Scrittura fu scandalizzato proprio da questi due aspetti:
Agostino fu Vescovo e narrante. C’è un Agostino che narra e un A. narrato. Colui che narra ha già una
sua teologia e guarda alla vita con una visione particolare. Questa visione della vita può essere stata
accomodata al nuovo modo di vedere. Non tutto quello che dice nelle confessioni lo pensava al momento
dei fatti. “Io non ero in grado di entrare in questa lettura della Scrittura e non avevo l’umiltà di entrare in
quell’espressione stilistica”. A. si trova scandalizzato di com’è stata scritta la Scrittura. Essa è infarcita
di solecismi e di barbarismi ed egli che era un professore di retorica non poteva accettare certe
espressioni. Nella Scrittura appaiono esortazioni, racconti, misteri, e non il puro ragionamento razionale
della filosofia. Rimase quindi profondamente deluso.
Michel Rush, l’Hortensius de Ciceron; histoire et recostruction, Parigi 1958. Noi non abbiamo
quest’opera di Cicerone, se non da qualche citazione di Agostino e di qualche altro. Si vede che è un
opera ispirata molto al ‘Protrettico’ di Aristotele. Ag. Leggerà anche le Categorie di Aristotele. Egli
dunque non conosceva solo il platonismo, ma anche l’aristotelismo e lo stoicismo. Questo gli lasciò un
patrimonio di idee filosofiche.
Fase manichea della vita di Ag.
Proprio in questo momento così delicato della vita di Agostino si viene ad incontrare con i manichei. Essi
andavano sempre per le strade a fare proseliti, soprattutto tra le persone che frequentavano la scuola, non
tra le persone ignoranti. Essi continuavano a parlare di Gesù Cristo i quali promettevano di far conoscere
la verità, non con l’imposizione, ma con la critica alla Scrittura, soprattutto a quella dell’Antico
Testamento. Mostravano che la fede della Chiesa Cattolica che era imposta, ma che si poggiava sulle
Scritture dell’Antico Testamento, bisognava rifiutarla. Alcune figure di Dio dell’AT erano antropomorfe,
inoltre alcuni precetti morali erano assolutamente immorali.
Agostino si convinse immediatamente di aderire al Manicheismo per questi motivi. Qui si fa riferimento
all’esperienza personale di psicanalisi. C’è forse una specie di rivolta contro la madre che è l’immagine
della Chiesa Cattolica: è stata lei ad insegnare la fede e la moralità cristiana ad Agostino. Quando
Page 13
Agostino si ribellava alla Chiesa era perché si ribellava alla madre che lo puniva e che l’ha cacciato
anche di casa. I richiami e la severità morale della madre non veniva spiegata razionalmente: veniva
imposta. A. parlerà in seguito della ‘Terribilis auctoritas’ della Chiesa. Mentre i Manichei si presentavano
come i liberatori.
In Conf., III 6-10, c’è il racconto di come divenne manicheo. Non si parlava solo di Cristo, ma anche
dello Spirito Santo. Mani era l’ultimo dei profeti, perché in lui parlava lo Spirito Santo. Mani si presenta
come colui sul quale è sceso lo Spirito Santo promesso da Cristo nel Vangelo. Essi rifiutavano gli Atti
degli Apostoli. Il Cristo storico è stato superato da Mani. Egli ha insegnato la gnosi, ma non ha lasciato
scritto nulla. Il suo insegnamento è stato scritto da altri, con tanti errori. Tutti gli scritti non suoi sono
infarciti dal diavolo. Dunque facevano una cernita tra gli scritti sacri. Avevano sempre sulla bocca Cristo
e lo Spirito Santo, ma solo sulla lingua, ma il cuore era vuoto. Parlavano sempre della verità, ma in essi
non c’era la verità.
Perché aderì al Manicheismo? Nel De utilitate credendi, dice che è stato così per l’imposizione che aveva
subito dalla Chiesa Cattolica. Nell’uomo il dissidio morale era una prova evidente della verità del
manicheismo. Tutto era proteso a mostrare la dialettica tra il bene e il male. Tutti i principi morali indicati
dai tre sigilli (tria signacula: bocca, mani, ventre) erano posti in questa visione dualistica. Non c’era in
essi una spiegazione di fede, ma solo razionale; si appellavano sempre all’evidenza. Quale fu la reazione
di A.?
Conf., VIII, 7-17: “Mi ero incamminato per le vie di una superstizione sacrilega senza esserne sicuro”.
Però combatteva ostilmente le altre dottrine (la Chiesa Cattolica). Non era convinto su tutte le verità del
manicheismo. Le critiche che i manichei rivolgono sono però talmente convincenti che egli diventa un
apostolo ed egli comincia a fare proseliti tra gli amici. Moltissimi amici (Romaniano, Nebridio, Alipio…)
furono convinti da A. a passare nel Manicheismo. C’era un odio profondo di A. verso la Chiesa Cattolica.
Conf., IV, 1ss: “Dal 19° al 32° anno eravamo sedotti e seducevamo, per passare ai Manichei falsi e che
conducevano alla falsità”. Egli insegnava retorica e qui ingannava pubblicamente con le dottrine liberali.
Poi di nascosto con una religione falsa. Nella retorica era superbo della sua professione. Nella religione,
superstizioso: in entrambe, vano. Andava dietro agli applausi del teatro. Tutto questo periodo lo passò
nell’insegnamento della retorica, mentre d’altra parte aderiva al manicheismo. Partecipava al
manicheismo non come santo eletto, ma rimaneva sempre nella categoria degli ascoltatori. Questi
ascoltatori giocavano un grande ruolo nel manicheismo. Gli eletti racchiudevano più sostanza divina.
Digerivano sostanze che racchiudevano più sostanza divina (vegetali, senza grassi e vino). Ogni volta che
eruttavano, eruttavano anime verso il cielo. Ma i catecumeni dei manichei erano costretti a lavorare per
assistere gli eletti. Questi fabbricavano gli angeli e gli Dei nel loro stomaco. I catecumeni ottenevano la
liberazione portando gli alimenti agli eletti. Per 9 anni Agostino ha portato da mangiare agli eletti. Ma ha
Page 14
anche continuato gli studi regolari di filosofia. Lesse tutti i libri di arte liberale che poteva trovare. Poi
lesse anche i libri dei filosofi. Il manicheismo non lo aveva convinto del tutto. C’erano dei punti sui quali
Ag. dubitava. Il manicheismo pretendeva di spiegare la lotta mitica tra il bene e il male appellandosi al
cosmo, ai fenomeni naturali. Tutti i fenomeni naturali venivano spiegati mitologicamente.
Nell’antichità la filosofia si divideva in Fisica, Etica e Logica. La fisica spiegava il mondo e tutto ciò che
vi avveniva (mondo, uomo, Dio). Ag. Studiava questa parte della filosofia. Già gli astronomi studiavano
il cielo con l’analisi matematica. Le spiegazioni che davano i filosofi erano diverse da quelle dei
manichei. I filosofi erano molto più persuasivi: per questo Ag. dubitava dei manichei. I manichei
esaltavano il Vescovo Fausto che, dissero ad Ag. ‘avrebbe spiegato tutto’. Questa dottrina del
Manicheismo avrebbe dovuto spiegare tutto ad Agostino. I manichei spiegavano tutto con il dualismo: in
ognuno di noi c’è l’anima buona e quella cattiva: quella cattiva ci spinge al male ed è lei la responsabile
delle nostre cattive azioni: così Agostino si sentiva meno responsabile delle sue cattive azioni. C’erano
punti interrogativi, dubbi, ma anche motivi di convenienza. E poi c’era l’idea che la Chiesa sbagliava su
due punti:
1. Quello di imporre la fede.
2. Il considerare attendibile l’AT.
Quando Fausto fu interrogato da Ag. sulle questioni sospese confessò la sua ignoranza. Ag. Lo paragona
ad Ambrogio per la ‘suavitas’ della sua parola. Fausto era solo un affascinante oratore, ma niente di più.
Però Fausto gli rimase simpatico, perché accettò umilmente di non poter dare risposte e confessò la sua
ignoranza.
Da allora in poi però A. si staccò interiormente dai Manichei. Starà ancora diversi anni con loro, specie a
Roma, dove potevano aiutarlo ma interiormente era distante (Conf., V, 7-11).
Possiamo chiederci quanto il Manicheismo ha influito su S. Agostino. L’accusa di manicheismo rivolta a
S. Agostino è antica. Già Giuliano d’Eclano aveva fondato la sua critica ad Agostino su quest’accusa.
Qual è la natura del male? Il male è sostanziale?
L’opera di Agostino, Contra Iulianum che rispondeva all’opera di Giuliano d’Eclano Ad turbantium (4
libri) è su questo tema. Nell’Ad Florum (8 Libri), Giuliano d’Eclano accusa Agostino non solo di
Manicheismo, ma anche di Marcionismo. Ma molti Cattolici, anche moderni, hanno continuato a tacciare
Agostino di Manicheismo. Non si può certo dire che il Manicheismo non abbia lasciato alcun influsso su
Ag. L’impegno di A. di combattere il dualismo manicheo, sia cosmico, ontologico e antropologico,
questo è già un condizionamento dovuto all’esperienza manichea. Ag. Si appella all’ontologia platonica:
il male non è una sostanza, ma una ‘Privatio boni’ (definizione di Plotino accettata da Ambrogio). Questo
gli consente di combattere bene il manicheismo. Il male non sarebbe una sostanza, ma un accidenti, una
Page 15
privazione, un ‘defectus’. Gli accidenti sono realtà verissime, ma che non hanno una sostanza propria.
Qui si vede chiaramente il fatto che Ag. ha accolto questa visione del Manicheismo. Qualcuno ha visto
per esempio un influsso del Manicheismo perfino nel ‘De Civitate Dei’ (le due città si fanno guerra). La
guerra tra il bene e il male è il punto forte del Manicheismo. Ma sono le volontà degli uomini che si
oppongono a Dio e non le sostanze. Anche il fatto che descrive tutta la seconda parte del ‘De civitate
Dei’: tre momenti della storia: iniziale, dello sviluppo e finale. Anche nel manicheismo si parla dei tre
momenti della storia. Certi schemi potrebbero allora essere stati dettati. Ma questo può anche non
significare nulla. Anche nella storiografia romana si parla sempre dell’inizio, dello sviluppo e della fine di
una certa cosa. Si potrebbe fare riferimento anche al pensiero romano. Bisogna allora non fare accuse
generiche ad Agostino, ma trovare il punto preciso della coincidenza tra Manichei e Agostino. ad es. il
concetto di concupiscenza in Ag. È detto ‘Modus irrationalis’. E’ la stessa definizione dei manichei. Ma
Ag potrebbe aver ripreso questa espressione non dal Manicheismo, ma dalla tradizione fiosofica (anche
tanti filosofi ne avevano parlato). Nel manicheismo però il movimento irrazionale è tra due sostanze
opposte. Invece in A. è la stessa volontà della stessa persona che a volte è dominata dal bene e alle volte
dal male.
Sul piacere corporale (libido) A. non dice mai che è male. Invece dice che è male la ‘Libido voluptatis’,
cioè il desiderarlo. La libido è invece un ‘bonum’, anche se ‘infimum’. Desiderarlo questo Bonum lo
considera come un male, perché è sempre un male desiderare invece della cosa più alta, quella inferiore.
E’ Dio stesso però che ha voluto che l’uomo sentisse il piacere, perché proprio questo ci aiuta a discernere
tra gli alimenti quelli che ci fanno male e quelli che ci fanno bene. Noi oggi potremmo criticare questa
mentalità come troppo riduttiva. Oggi tutti capiscono che l’atto sessuale tra uomo e donna non serve solo
a procreare ma per far crescere la comunione tra uomo e donna. Questo Agostino e gli stoici non l’hanno
capito. Oggi tutto il corpo è inteso come strumento di comunicazione. Per Agostino solo le parole e i
segni sono strumenti di comunicazione, la sua visione è un po’ riduttiva.
Il Ritorno alla Chiesa.
Ci sono contrapposizioni anche troppo nette tra gli studiosi su questo aspetto di Agostino. Alfarik diceva
che Agostino prima di incontrare i neoplatonici non si era affatto convertito al cristianesimo. Boiyere
diceva invece che A. era tornato alla fede cattolica prrima di incontrare il neoplatonismo e ha dato un
senso cristiano ciò che cristiano non era. Prima Ag. È diventato cristiano e poi è passato al
Neoplatonismo.
Courcelle, Recherches sur le Confessions, 1950, mostra che avevano torto sia Alfarik che Boiyere. E da
tutta un’altra spiegazione.
Omehara, The young Augustin, si oppone a Courcelle.
Page 16
Agostino venne a Roma nel 383, ingannando la madre. Partì di nascosto e di notte. Rimase a Roma solo
un anno e vicino ai manichei. Una volta venuta la crisi con il manicheismo Ag. comincia ad aderire allo
scetticismo degli accademici. Una volta venuta meno la fiducia al Manicheismo ecco che la posizione più
logica è quella dello scettico: mai si può arrivare alla verità. Dalle opere di Agostino ritorna questo
problema. Alcuni definiscono, dopo il Manicheismo, un periodo scettico di A.. Omehara non dà
importanza al periodo scettico. D’altra parte il primo dialogo di Agostino è contro lo scetticismo: non solo
quello degli accademici, ma anche quello di Porfirio. Era un punto importante per lui stabilire che l’uomo
può conoscere la verità.
Conf., V: “Non potevo più credere alle favole dei Manichei… Non speravo di trovare nella tua Chiesa la
verità”. Le cose cominciarono a cambiare quando nel 384 va a Milano. Vince una cattedra pubblica,
imperiale a Milano per il concorso indetto da Simmaco, rinunciando alla cattedra privata di Roma. Lì fu
aiutato dai Manichei. A Milano però Agostino si incontra con Ambrogio. Spesso egli andava in Chiesa
solo perché Ambrogio era esperto di retorica. Il motivo era inizialmente solo professionale. Ma Ag.
Ascolta anche le spiegazioni della Scrittura. E le spiegazioni che condannavano i manichei. Questo
ascolto di Ambrogio che parlava a tutti aiutò Agostino a farlo pensare perché probabilmente aveva
sbagliato ad interpretare i testi secondo l’accusa dei manichei. V, 14-24: “L’esposizione di molti passi
della Scrittura secondo il significato spirituale, mi convinse a biasimare la mia sfiducia per cui avevo
ritenuto del tutto impossibile resistere a chi biasimava la legge e i profeti”. A. comincia a capire che non
tutte le critiche fatte dai manichei ai cattolici erano vere. “Giudicai che proprio in quella fase di incertezza
non dovevo rimanere in quella setta che considero inferiore a tanti filosofi. Sebbene poi mi rifutassi
assolutamente di affidare alle loro cure (a quelle dei filosofi) la debolezza della mia anima, perché essi
ignoravano assolutamente il nome di Cristo”. “Decisi allora di rimanere catecumeno nella Chiesa
Cattolica, aspettando che si accendesse una luce di certezza su cui dirigere la mia rotta”. Nel libro VI, 4-5
delle Confessioni Ag critica la posizione dei Manichei che non accettavano l’uomo come immagine di
Dio. Per i materialisti manichei se l’uomo sarebbe immagine di Dio sarebbe un gigante. A sentire
Ambrogio invece l’immagine di Dio nell’uomo è nella sua mente. L’uomo è capace di conoscere Dio da
se stesso. “da qui la mia confusione, la mia conversione e la mia gioia, perché quella Chiesa in cui viene
proclamato il nome di Cristo non si compiaceva di futilità infantili”. “Da allora cominciai a preferire la
dottrina cattolica anche perché la trovavo più equilibrata e sincera nel prescrivere una fede senza
dimostrazioni, che a volte ci sono, ma non sono per tutti, e a volte non ci sono affatto” (Conf., VI, 5-7). Il
problema più grande affrontato d Agostino è il rapporto fede-ragione: rifiutava l’autorità della Chiesa,
mentre i manichei prospettavano una conoscenza razionale della verità.
Page 17
I manichei non imponevano ma dimostravano, mentre i Cattolici ordinavano (iubere) solo di credere. La
fede che la Chiesa esige, può essere raginevole o è sempre contro la ragione? Ci sono motivi razionali
che spingono a credere o bisogna sempre e solo obbedire all’autorità della Chiesa e della Scrittura?
Altro punto collegato al primo è la credibilità della Chiesa. A chi credere? Ai Manichei, alla Chiesa o ad
altri? Una delle riflessioni che tennero occupato Agostino fu proprio questa (385). Ag. Ha fatto delle
riflessioni per concludere che credere non è contro la ragione: la fede può essere ragionevole. A. si
convince che la fede non è contraria alla ragione, però gli rimangono dei dubbi. S. Ambrogio non lo
ricevette mai su temi filosofici. Conf. V, 18: “Quando e come cercare la verità? Non ha tempo Ambrogio.
Non abbiamo tempo noi per leggerli. E poi i libri dove cercarli? A chi chiederli?” (Anno 385).
Lezione IV del 4 Novembre 1999.
Tappa della Conversione.
Nell’autunno del 384 A. lascia Roma per Milano perché aveva vinto la cattedra pubblica a Milano per
ricoprire il posto messo al bando da Simmaco, aiutato dai Manichei. Incontrò, come uomo pubblico, il
Vescovo della città, Ambrogio, che lo accolse ‘satis episcopaliter’, come narra Agostino. Ambrogio
esercitò un grande influsso su A. Inizialmente l’influsso fu solo della scoperta delle falsità delle critiche
manichee rivolte alla chiesa Cattolica circa la fede nell’AT. C’era una certa simpatia personale per
Ambrogio come oratore. Lo riteneva un uomo fortunato. Lo riteneva solo un po’ infelice perché era
celibe. Questo ci fa capire che in questo periodo il problema sessuale era molto forte per Agostino.
Tuttavia egli ascolta le prediche di Ambrogio e nota che le critiche fatte dai Manichei sull’AT non hanno
fondamento. E lascia definitivamente i Manichei. Nella Primavera del 385 è raggiunto dalla madre (lui
era scappato di nascosto). Monica fu importante. Facilitò l’incontro con Ambrogio. Ambrogio lo delucida
sul problema del digiuno (a Milano si faceva e a Cartagine no: ognuno deve seguire le norme locali). Ma
quelle poche volte che si incontrarono non dibatterono mai su questioni teologico-filosofiche. La madre lo
iniziò anche ad altri aspetti: all’abitudine di portare vivande e bevande sulle tombe dei martiri; anche
questo fu un motivo per andare da Ambrogio. Nel 386 la madre partecipò attivamente con la comunità
cattolica ad occupare la Basilica che l’imperatrice Giustina voleva donare agli ariani. E’ la madre che fece
da intermediaria tra A. e Ambrogio. Agostino segue gli avvenimenti della Chiesa milanese perché la
madre è pienamente inserita in questi avvenimenti. Agostino dovette affrontare un problema intellettuale.
Il pregiudizio razionalistico lo aveva tenuto lontano dalla Chiesa per tanto tempo.
Ag. conclude che l’uomo non può fare a meno di credere per conoscere la verità: non può raggiungerla da
solo. A., convinto della Provvidenza divina si convince che Dio ha voluto indicare a tutti gli uomini
Cristo e le Scritture. Si convince che deve cercare la verità non nei manichei o nei filosofi, ma nella
Page 18
Scrittura. Alla fine del 385 c’è questo punto fermo nel ritorno di A. alla Chiesa. Però la fede è molto vaga
ancora. Ha ancora una concezione materialistica di Dio e dell’anima. Pensa a Dio come lo pensavano i
Manichei, e cioè Dio è solo una regione di luce, ha un’estensione e dunque sempre limitata, anche se si
estende di più della regione del male. Allora fa uno sforzo: si avvicina agli stoici. Per gli stoici esistono
solo i corpi. Solo le parole e il tempo e concetti simili sono incorporei. Tutto il resto è corpo. Però
ognuno ha un corpo diverso (es. il fuoco ha un corpo sottile, agile; l’etere è un fuoco sottilissimo che
abbraccia tutto l’universo e lo penetra). Questo materialismo viene superato solo grazie all’aiuto di
Plotino.
Altro problema era la visione del male. Pensava che anche il male era qualcosa di materiale. I Manichei
parlavano di ‘male naturale’, ‘male sostanziale’.
Altro punto è la persona di Cristo. Chi è Cristo per Ag. Nel 385? E’ ancora un Cristo Manicheo, che non
si è incarnato, perché la carne contamina. Era solo un fantasma senza un corpo reale.
Tutta la discussione avuta in passato nel vedere sin dal 386 che A. si era già convertito al cristianesimo
(Boyere, Sciacca, Labriolle) perché egli stesso dice che credeva già a Cristo alle Scritture e alla Chiesa è
considerata come veritiera. Ma altri come Alfarik dicono che la conversione è avventa molto più tardi;
prima al Neoplatonismo e poi al cristianesimo. Egli dette il nome cristiano a una dottrina che cristiana
non era (Boyere). I termini neoplatonici li legge già con significati cristiani. Il ‘logos’ per Plotino è
inferiore al Padre. Ma Ag. ci dice che quello che leggeva nei libri neoplatonici è uguale alla fede cristiana.
Non ha letto bene quei libri. Boyere dice che essendo egli già cristiano leggeva i libri neoplatonici in
modo cristiano. (es. per Plotino Dio non è il creatore; invece Ag. Nelle Confessioni, quando ci parla
dell’incontro con i neoplatonici sembra intendere che per lui era tutto cristiano).
Ma A. cosa crede veramente prima di leggere i libri Neoplatonici: Conf. VII, 11: “Credevo alla tua
esistenza, all’immutabilità della tua sostanza, al tuo governo sugli uomini e alla tua giustizia
(provvidenza)”. Ma questo lo credevano anche i Manichei (giustizia, esistenza, provvidenza).
L’immutabilità della sostanza invece è indice di un progresso rispetto al Manicheismo. I Manichei
sostenevano che Dio doveva sacrificare la propria natura per combattere l’impero del male (questo era
contrario all’immutabilità di Dio).
Nebridio, che insegnava grammatica, fece una specie di dilemma ad A.: o questo Dio è incorruttibile e
allora non ha bisogno di difendersi dal male. Se invece questo Dio è incorruttibile, un essere incorruttibile
è superiore a quello corruttibile. Prima di venire in Italia Ag. e Nebridio si erano posti questi problemi.
Anche il fuoco è incorruttibile.
Sulla giustizia, A. diceva che ancora credeva in Cristo. Ma non nel senso che credeva nel figlio di Dio
fatto uomo, ma che in Cristo e nelle S. Scritture fosse riposta la via della salvezza per la vita eterna. E’
questa una fede evidentemente molto fluttuante, imperfetta e molto limitata. “Il mio spirito però non
Page 19
l’abbandonava, ma anzi se ne imbeveva ogni giorno di più”. La conversione è un cammino per Ag.. Egli
deve superare delle convinzioni intellettuali e delle abitudini peccaminose. A questo punto A. non si è
convertito del tutto né intellettualmente, né moralmente.
Secondo Solignac (introduzione all’edizione francese delle Confessioni) dice che nel Febbraio del 386 A.
comincia ad ascoltare certi discorsi di Ambrogio nei quali è citato Plotino. P. Burcher fa notare che
Ambrogio predica il De Isaac vel anima, il De bono mortis e L’exameron. Sull’Exameron ci sono
spiegazioni interessanti sulla Genesi che interessavano ad Agostino. Qui Ambrogio utilizza delle pagine
delle Enneadi di Plotino, interpretandole in modo cristiano. Prima del 1950 gli studiosi erano divisi in 2
schiere: quelli che dicevano che A. da manicheo diventa Platonico (Alfarik) e quelli, come Boisiere che
sostenevano che A. si sia convertito dal Manicheismo al Cristianesimo. Altri ancora (Courcelle) dicono
che egli si convertì in realtà a un neoplatonismo più o meno cristiano (quello che fu anche di Ambrogio e
Simpliciano). Ma A. nei racconti che ci ha lasciato (Dialoghi) ci fa capire che ci sono dei passaggi più
rilevanti. Ad es. nel Contra academicos 2, 2, 5, ci parla come di un incendio incredibile che si è acceso
contro di lui, suscitato dai libri neoplatonici. L’onore e la vanità degli uomini non lo trattenevano più.
Egli ha capito che non può più fare il retore, nell’amministrazione pubblica. Vuole invece dedicarsi
unicamente alla filosofia. “Ritornavo a me stesso tutto intero di corsa”. A. si sentiva come se non fosse
padrone di se stesso. Invece adesso ritornava tutto intero a se stesso.
“Ma guardai, volsi lo sguardo, a quella religione che mi era stata istillata da bambino”. Legge i libri
neoplatonici, ma non dimentica le Scritture cristiane. Questa lettura dei filosofi non lo fa dimenticare di
questa fede. Ma, dice, volsi lo sguardo quasi in fretta “detinere”. A. ha fatto un certo confronto, ma nel De
beata vita dice “per quantun potui”, per quanto potevo. Non aveva una fede così avanzata da fare un
confronto profondo tra i neoplatonici e il cristianesimo. Ma un certo confronto l’ha fatto. Ci accorgiamo
subito che questa lettura lo aiuta a superare quella lettura materialistica che aveva, superando il problema
del male in una visione spiritualistica, ma non lo aiuta a risolvere il problema che riguarda la persona di
Cristo.
Courcelle, S. Augustin, fotinienne a Milan, dice che a Milano A. ebbe una fede Fotiniana, cioè come
quella di questo neoplatonico, Fotino, vicino a Porfirio. Porfirio stimava Cristo un sapiente, ma sempre un
uomo; non lo considerava il Figlio di Dio. Anche Porfirio aveva grande stima di Cristo ma disprezzava i
cristiani, esaltava il fatto che Cristo era nato dalla Vergine, assolutamente puro, perché non soggetto al
sesso.
Courcelle dice che non abbiamo tracce per affermare che A. abbia letto Porfirio nel 386. Il libro in
questione di Porfirio è ‘La filosofia degli oracoli’: secondo lui Agostino l’ha letto. Ma non abbiamo prove
per sostenere la tesi di Courcelle.
Page 20
Nel libro VII delle Confessioni, A. dice che il prologo di S. Giovanni si ritrova nei libri Platonici. “Un
uomo gonfio d’orgoglio mi procurò dei libri platonici” (Ag.). Courcelle dice che quest’uomo era Manlio
Teodoro a cui A. dedica il De beata vita e diventerà console nel 397-98. Era un cristiano neoplatonico e
quando diventò console si mise a vivere da pagano. Ma questa è solo un’ipotesi.
Omheara, The young Augustin, dice che quest’uomo sarebbe Porfirio. Ma qui viene detto che gli ha
procurato questi libri, non che li ha scritti.
Solignac dice che si tratta di un neoplatonico milanese non cristiano. Agostino chiamava tutti i non
cristiani ‘gonfi d’orgoglio’. Su questo è d’accordo anche Cipriani.
Poi di quali libri si tratta (nel De civitate dei dice che conosceva: Plotino, Porfirio, Apuleio e Giamblico,
filosofi platonici)? Ma bisogna escludere Giamblico e Apuleio (che è vissuto nel III secolo e quindi non è
un neoplatonico). Rimangono Plotino e Porfirio.
Uno storico francese, P. Henry, per motivi filofogici, diceva che in Agostino si trovano tracce solo di
Plotino e quindi Ag. avrebbe letto solo Plotino.
Tayler, tedesco, Porfirio ed Agostino (1934), dice che Agostino si riferisce solo a Porfirio nelle
Confessioni. E’ interessante il metodo che ha usato. Noi di Porfirio abbiamo poco. Invece di Plotino
abbiamo le Enneadi. Quindi se un idea neoplatonica non si trova in Plotino, ma si trova in A. vuol dire
che A. l’ha presa da Porfirio. Ma questo ragionamento si presta a degli equivoci.
Dal 1955, sia Courcelle che Solignac approfondendo le fonti neoplatoniche si sono accorti che in A. c’è
sia Plotino che Porfirio nei testi dei dialoghi.
Il problema più difficile è: quali libri di Plotino e di Porfirio ha letto Agostino?
Di Plotino vengono trattati Enneadi I, 6 sulla bellezza e I, 8 sul male. Poi ancora III, 2-3 (sulla
provvidenza); V, 1; VI (qualche trattato). Alcuni restringono i trattati, altri li ampliano. Nel De civitate
Dei abbiamo una lista dei trattati delle Enneadi che allora aveva letto. Ma del 386 non abbiamo alcuna
lista. Di Porfirio senza dubbio ha letto il De regressu animae, citato nel De civitate, 10 e De Ordine. La
tesi di P. Courcelle che abbia letto anche La filosofia degli oracoli non lo possiamo provare.
Fino al 386 A. si era interessato della filosofia ma come un materialista. Ora è uno spiritualista. Lo spirito
non è un oggetto come un altro. Il mondo dello spirito è tutta un’altra cosa. Si entusiasma dello
spiritualismo neoplatonico. Dio non si può più immaginare come un corpo. E così l’anima e il peccato.
Ag. ci parla nelle Confessioni VII: “ammonito da questi scritti a tornare in me stesso entrai nell’intimo
del mio cuore sotto la tua guida” (qui è Ag. Vescovo che narra che è Dio stesso a guidarlo). “Vi entrai e
scorsi con l’occhio della mia anime, per quanto torbido fosse, sopra la mia intelligenza una luce
immutabile”. Nell’uomo ci sono diversi gradi di vita. Passando in rassegna questi gradi egli giunge al
grado della razionalità. Ci sono delle regole immutabili, universali, che non cambiano, nonostante lo
spirito dell’uomo sia mutevole. I giudizi di valore che si basano sull’intelligenza comune. Ci sono tante
Page 21
verità di ordine logico e matematico che non mutano. Su tanti valori del pensiero umano dai Platonici
impara che è la verità che illumina la mente di ogni uomo. E’ una luce che permette di dare un giudizio,
anche se non si può dire niente sul suo contenuto. Dai livelli di vita più bassi si giunge a percepire una
luce trascendente. Esiste allora una realtà immutabile ed eterna che ci permette di dare dei giudizi di
valore: questa è la verità Plotiniana che entusiasma Agostino. Questa verità alle volte la identifica con
Dio, altre volte la chiama ‘Facies dei’, il volto di dio, o anche il Figlio generato dal Padre. Nel VII cap.
delle ‘Confessioni’ A. dice di aver scoperto l’interiorità, il metodo che dobbiamo porre a noi stessi, le
domande da porci su alcuni aspetti del nostro pensiero: di che cosa sono certo’? Del fatto che vivo e che
penso. La verità viene intesa filosoficamente. Questa è una riflessione sugli atti. Oltre il metodo scopre
che esiste un mondo di realtà più vere di quelle sensibili. Non bisogna mai pensare a Dio come a un
corpo. A partire da questo concetto di Dio comincia a parlare del male. Il male per Agostino è solo un
difetto di ciò che è bene (questo è n concetto anche plotiniano); ma non esiste una natura che in se stessa è
cattiva. Prima A. pensava che le imperfezioni fossero un male. Invece ora capisce che il male non si può
più intendere in questo modo.
Questa scoperta la descrive come un risveglio: “Mi risvegliai in Te e ti vidi, infinito ma diversamente.
Ebbi un a visione non prodotta dalla carne”. “Tutte le cose sono finite ma non si trovano in Dio come in
un ricettacolo ove si trova tutto il mondo”. Dio é ovunque, ma senza divisione. Non è qualcosa di esteso.
Con la concezione stoica e manichea Dio si trovava dappertutto, ma sempre divisibile in parti. Il male non
è una sostanza, ma una perversione della volontà. “Ero sorpreso di non amarti e più amare un fantasma in
tua vece. Non ero però stabile nel godimento del mio Dio”. Mentre il neoplatonismo entusiasma A. c’è
però anche una delusione. P. Courcelle dice che avrebbe letto in Porfirio che Plotino mirava con queste
ascensioni all’estasi, ma 4 volte nella vita Plotino giunse all’estasi (così riferisce Porfirio). Porfirio dice
“Io una sola volta”. Ma non è un fatto soprannaturale. Il metodo neoplatonico tende a fuggire tutto il
corpo. Fugge tutto: il desiderio, il corpo, ecc.. fino a rivestire solo il ‘Nous’. L’anima si deve spogliare di
tutti i rivestimenti della vita corporale fino a diventare ‘Nous’. Questo è l’obiettivo del neoplatonsmo. La
parte più alta dello Spirito deve rinnovare se stesso. Altro scopo della vita è ricongiungere il divino che è
in noi con il divino che è nell’universo. Attraverso le percezioni sensibili di questo mondo possiamo
tornare alla causa, il Nous. Se questo era la meta, A. si accorgeva che nonostante il suo entusiasmo, non
arrivava. Nella V Enneade sono descritti i due metodi di incontro con Dio.
Ag. però rimaneva deluso dal fatto che dopo l’estasi tornava ad essere un pover’uomo. Siccome egli non
riusciva ad elevarsi cerca un mediatore. Certo che Ag. quando scopre questa luce trascendente, questo
godimento dura poco. Vorrebbe trattenersi a lungo e non vi riesce e lui stesso allora si pone una domanda.
Qui ritorna alla Scrittura cristiana. ‘Respexi detinere’. Conf. VII, 18-24: cercava lo forza per arrivare a
dio. Ma non l’avrebbe trovata senza rivolgersi al mediatore tra Dio e gli uomini. Ma questo Cristo
Page 22
mediatore è per A. nient’altro che un grande uomo (Cristo fotiniano). Invece leggendo S. Paolo capisce
che questo mediatore è il Verbo Incarnato. Così cambia tutto il modo di mettersi in rapporto con Dio.
Fino adesso Ag. questa pietà non la conosceva. Dopo la lettura di S. Paolo scomparvero le ambiguità,
comprende l’armonia tra il VT eil NT e la verità di Cristo presente in Spirito in mezzo a noi.
Alla fine del libro VII delle Confessioni: “Queste pagine (la filosofia neoplatonica) non possegono questo
sembiante pietoso”. In Plotino manca del tutto l’afflato religioso. “Le lacrime della contrizione…Là
nessuno canta lode e ringraziamento a Dio”. Nel neoplatonismo è solo l’uomo che tenta di elevarsi a Dio.
Nel cristianesimo è Dio che si abbassa fino all’uomo. Questa è la conversione intellettuale di Agostino.
Nel libro VIII delle Confessioni ci sarà quella morale. Con la lettura di S. Paolo è diventato realmente
cristiano. Ma per lettura di S. Paolo A. si riferisce all’aiuto di Simpliciano che gli ha permesso di capire S.
Paolo e anche dai commenti di altri autori cristiani a S. Paolo. Così A. non ha letto S. Paolo da solo, ma
aiutato da autori vivi ed altri, morti, ma per mezzo dei loro scritti.
Lezione V dell’11 Novembre 1999.
La conversione di A. non avvenne tutta in un momento. La scena del giardino è il momento conclusivo di
un cammino che comincia con l’arrivo di Agostino a Milano. Alla fine del 385 supera il razionalismo e
rifiuta di comprendere solo con la ragione la sua fede. Con la riflessione personale A. vede anche la
razionalità dell’atto di fede. Credere non è contro la ragione. Spesso si crede anche razionalmente. Nella
vita quotidiana facciamo tanti atti di fede e non sono contro la ragione. Crediamo al padre, alla madre,
agli amici e a chi pensiamo che non possa ingannarci. Nell’antichità la storia e la geografia erano
conoscenze fondate sulla fede dei testimoni. I pochi greci che si erano avventurati in terre lontane
suscitavano la fede degli altri. Già su un piano umano e sociale la fede è razionale.
Questa tappa per A. fu una liberazione. Finalmente capì che credere non è sempre contro la ragione. Poi,
collegato all’atto di fede, è la credibilità dell’auctoritas. Chi merita fede? La Chiesa e prima ancora Cristo.
Dobbiamo credere a Cristo? E per quali motivi? A. è il primo a riflettere sulla razionalità della fede e
sulla credibilità di Cristo e della Chiesa. Queste riflessioni si trovano nel De utilitate credendi e De fide
rerum…. A. crede ormai all’autorità di Cristo e della Chiesa. Nel passare alla Chiesa conserva però una
fede materialistica. Nella primavera del 386 c’è l’incontro con il Neoplatonismo e si converte allo
spiritualismo. Dio e l’anima non si devono concepire come corpi, ma sono esseri spirituali, non corporei.
Questo è dovuto all’influsso dei libri neoplatonici. Ma dopo questa lettura A. non è del tutto convertito:
non crede ancora che Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo. Come Plotino e come Porfirio pensa che Cristo
è un uomo sapientissimo, ma sempre uomo. Il superamento di questo naturalismo viene con la lettura di
S. Paolo fatta poco dopo la lettura dei libri neoplatonici A. comprende l’essenza della fede cristiana.
Comprende che Cristo è il Verbo Incarnato e che è il mediatore tra Dio e l’uomo che salva non solo per
mezzo del pensiero, ma realmente. Allora diventa completamente cristiano. Quest’ultimo passo è stato
Page 23
reso possibile dall’incontro col prete Simpliciano. Fu determinante non solo dal punto di vista morale.
Simpliciano gli ha presentato l’esempio di un retore che si è convertito al cristianesimo: gli ha raccontato
la conversione di Mario Vittorino, anche lui retore, anche lui africano, famoso più di lui. A Roma , nel
foro, Mario Vittorino aveva ottenuto l’onore di una statua. Proprio questo famoso retore si converte e
pubblicamente in Chiesa fa la sua professione di fede. Mario Vittorino interiormente si era convertito al
cristianesimo. Pensava però che non fosse necessario ricevere il sacramento del Battesimo: “Non sono le
pareti a fare i cristiani” - diceva. Era un vero spiritualista. Quando riuscì a comprendere anche questo
Mario Vittorino si convinse a Battezzarsi anche in Chiesa e fece sull’ambone la sua professione di fede.
Nel libro VIII delle Confessioni A. ci dice (2-3):
Simpliciano aiutò A. a convertirsi. “Egli si rallegrò con me per non essermi imbattutto nei libri di altri
scrittori. Nei platonici (tradoti in latino da Mario Vittorino), invece in molti modi viene insinuata l’idea di
Dio e del suo Verbo”. L’importanza di Simpliciano sta qui, nel fatto che ha fatto vedere ad Agostino la
differenza che c’è tra la fede cristiana di Dio uno e trino e il Neoplatonismo. Il ‘Nous’ non veniva detto
che ‘si è fatto carne’, nel Neoplatonismo. Il confronto viene fatto con il prologo di Giovanni e le lettere di
S. Paolo. Proprio Mario Vittorino aveva accostato il prologo di Giovanni al Neoplatonismo. Nel De
civitate dei, A. dice che in uno degli incontri con Mario Vittorino, Simpliciano si sentiva dire che nei
Timpani delle Chiese bisognava scrivere il Prologo di Giovanni. Simpliciano era un cristiano che davanti
a questa filosofia modernissima si entusiasmava con gli altri del suo tempo. Noi oggi possiamo scorgere i
limiti di leggere la fede con le categorie neoplatoniche. Ma allora i Padri non leggevano la filosofia
neoplatonica alla luce della fede cristiana. Cercavano di trovare gli elementi comuni che potevano essere
usati anche per l’evangelizzazione. Purtroppo molti studiosi di A. dicono che egli ha fatto una sintesi
(Courcelle). Questo potrebbe voler dire che allora la filosofia di A. non è né neoplatonica, né cristiana.
Invece dobbiamo dire che la filosofia di Agostino è cristiana, anche se influenzata dal Neoplatonismo.
Fu allora l’influsso determinante di Simpliciano a comprendere la Scrittura. A questo punto bisogna fare
l’ipotesi che Agostino non ha solo ascoltato Simpliciano, ma Simpliciano lo ha anche invitato a leggere
opere di M. Vitorino e di Ambrogio.
Conf, VIII, 4. “M. Vittorino leggeva la S. Scrittura e studiava anche molto attentamente i libri degli autori
cristiani”. Bisogna insistere su questo punto. In questi mesi dall’inizio di Agosto e forse Luglio, fino a
Novembre quando comincia a scrivere i dialoghi, egli studia e legge tutto quello che può, ma non da solo.
Simpliciano orienta A. nella scelta dei libri: innanzitutto il De fide di Ambrogio. Ma anche i trattati
antiariani di M. vittorino e i commenti alle lettere di Paolo di M. Vittorino. Simpliciano lo ha invitato a
leggere con gli occhi di M. Vittorino. Di queste letture noi abbiamo le tracce nei dialoghi. Queste tracce
sono leggere, difficilmente individuabili. La conclusione è che queste tracce sono così numerose che non
Page 24
si può escludere che A. ha letto in questi mesi queste opere. Può darsi anche altre che però ancora non
siamo riusciti ad individuare. Lesse anche tre inni sacri di M. Vittorino.
Cipriani, Le fonti cristiane della dottrina trinitaria nei primi dialoghi di S. Agostino “Augustinianum”
1994. Un autore che ha trascinato nella propria opinione gli altri studiosi era O. Durois che aveva
concluso che la dottrina trinitaria di Agostino nei dialoghi non è cristiana del tutto, ma è anche plotiniana
per il 50%. Lo Spirito Santo per lui sarebbe la ‘ratio’ il ‘logos’ della natura universale di Plotino e non lo
Spirito Santo della Scrittura. Durois dappertutto vedeva questa idea.
Cipriani rilegge questi testi alla luce di un’altra idea. Egli era stato influenzato più da Mario Vittorino.
Aveva le idea cristiane di M. Vittorino. Anche studiosi validi come G. Madec hanno approvato Cipriani.
Ci sono delle pagine in cui si vede chiaramente come A. ha una concezione della Trinità che non ha
niente a che fare con Plotino ma con la fede della Chiesa, ed è debitore a Mario Vittorino.
Cipriani, Le opere di S. Ambrogio lette da Agostino prima dell’episcopato, “La scuola cattolica”.
Agostino pare che in Africa si sia portato le opere di Ambrogio. Pincherle addirittura dice che A. non
stimava Ambrogio e non aveva letto nessuna sua opera. Questo è falso. Secondo Pincherle A. non aveva
con sé alcuna opera di Ambrogio. Invece A. cita Ambrogio anche se non con citazioni esplicite. Questo
stile non è solo di A., ma di tutti gli autori antichi. Dobbiamo ricercare le fonti attraverso il confronto dei
testi. Si può allora tirare la conclusione di una dipendenza letteraria di un autore da un altro. Anche nel
periodo di Cassiciaco (fine 386) A. dimostra di aver letto il De fide.
Cipriani, I Commentari paolini alle lettere di S. Paolo di Mario Vittorino, 1988. Cipriani è giunto alla
conclusione che A. ha letto i commentari paolini di M. Vittorino. Questo ci fa scoprire la fede cristiana di
Agostino nei dialoghi. Tutto il problema della conversione di A. è che i Dialoghi non sembrano riflettere
il pensiero di un vero convertito. Chi legge i dialoghi rimane impresionato dallo stile. A. gareggia con
Cicerone nello scrivere in un latino perfetto, non solo nella purezza della lingua, ma anche nelle parole
che usa. Conf, IX: “E’ stato Alipio a dirmi di non usare la parola ‘Salvator’ in riferimento a Cristo”, non
perché non credessero tutti e due, ma perché non era una parola latina. A. quando scrive le confessioni fa
notare che “i dialoghi servono, ma anelano alla superbia della scuola”, cioè servivano anche per far
letteratura. Nominava Cristo poche volte e non metteva la parola ‘salvator’ e in un’occasione lo chiama
‘Apollo’. Poi A. nelle Retractationes dice che ha parlato troppo della ‘fortuna’ come i pagani. Citando
Varrone ha citato anche le Muse come dei. C’è ancora una cultura filosofica e poco ecclesiastica.
Poi non parla mai della Chiesa e dei Sacramenti. Sembra più un filosofo che un cristiano. C’è però un
altro motivo che ha portato gli studiosi a questa conclusione. I testi in cui si riflette meglio la fede
cristiana non sono stati capiti da Durois e dagli altri. Dove nel De ordine A. parla della provvidenza e del
male vuole superare Plotino. Gli studiosi si sono fermati dove più A. si avvicina a Plotino. Così per
Page 25
Porfirio. Il De ordine dovrebbe essere per Agostino il distacco dalle tesi pagane, invece è stato inteso in
senso opposto. E’ difficile leggere i dialoghi. Bisogna far notare però come A. si sta trasformando.
In questa fase dell’estate del 386 proprio dietro gli stimoli dati da Simpliciano A. viene a contatto con la
letteratura degli autori cristiani. Quando avvenne la scena della conversione nel giardino e che significato
ha? (Conf.). A. già si era convertito al cristianesimo vero, però c’era il problema psicologico: quando
lesse l’Hortensius disse che il giorno in cui avrebbe scoperto la verità, si sarebbe consacrato tutto a questa
ricerca. A. si porta appresso un problema atavico. A. è cosciente di questo suo proposito antico di
dedicarsi alla filosofia, ma per molto tempo non è riuscito a trovare una certezza e allora rimandava. Però
dopo l’incontro con Cristo i dubbi non ci sono più su un piano intellettuale. Ora voleva dedicarsi
interamente alla filosofia. Avrebbe quindi dovuto rinunciare al matrimonio e farsi monaco. Però il
problema sessuale era per lui insuperabile, non riusciva a pensare a una vita celibataria. Una volta un
africano che serviva come ‘agens in rebus’ (amministratore) nel palazzo imperiale di Milano, Ponticiano,
si reca a fargli visita e vede che sul tavolo ci sono le lettere di S. Paolo. Si meraviglia perché non sapeva
niente di quello che succedeva ad Agostino. Egli gli racconta la vita di Antonio scritta da Atanasio del
Monachesimo egiziano. Agostino non sapeva che nella Chiesa ci fossero dei Monaci che si dedicavano
completamente alla preghiera e alla ricerca di Dio. Ponticiano continuando gli racconta anche che,
trovandosi a Treviri, un giorno uscì lui e altri tre compagni e andò nella campagna. Poi Ponticiano con un
compagno persero di vista gli altri due. Essi capitarono in una zona del bosco dove trovarono una capanna
con dei monaci. Ponticiano racconta la vita di questi monaci. Agostino dice la sua difficoltà di convertirsi,
quando invece tanta gente vi era riuscita. Questo racconto di Ponticiano influì molto per acuire la crisi di
Agostino. I primi giorni di Agosto del 386 Agostino si ritirò nel giardino di casa sua e pianse.
All’improvviso sentì la voce che gli diceva ‘tolle, lege’ ed egli andò a prendere il libro delle lettere di S.
Paolo che, aperta a caso sulla lettera ai Romani, gli diceva: “Spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi di
Gesù Cristo” (Libro VIII delle Confessioni). All’improvviso si sentì trasformato: tutte le resistenze (la
carriera e il matrimonio che stava preparando Monica, che aveva cacciato la concubina e gli aveva trovato
una compagna degna del suo rango) della sua volontà per consacrarsi a Dio in modo totale caddero.
Agostino aveva rinunciato alla sua compagna, dicono alcuni, perché la condizione sociale della sposa era
inferiore alla sua che era un professore. La Vitae brevis, uscita recentemente, dice che l’abbia mandata via
perché l’idea di Dio esige la vittima sacrificale che sarebbe quella donna. Agostino avrebbe sacrificato
l’amore e tutto quanto per consacrarsi a Dio. Invece A. quando si converte al cristianesimo pensava
ancora al matrimonio; anche sua madre Monica lo voleva. Ma quando mandò via quella ragazza non
pensava ancora alla consacrazione, anzi pensava ancora al matrimonio, perché non si era ancora
convertito del tutto.
Page 26
La scena del giardino suscitò tante pagine di commento. E anche qui gli studiosi non si sono messi
d’accordo. P. Courcelle, Recherches su le Confessions, dice che questo racconto è pieno di simboli e non
c’è niente di storico. La presenza di tante immagini richiama simboli letterari. Il fatto del giardino ricorda
il bosco di Treviri dove i monaci descritti da Ponticiano abitavano. Il fico rappresenta anche nella
letteratura orientale una figura simbolica. L’aprire il libro sacro è un simbolo della lettura della Vita
Antonii di S. Atanasio, nella quale anche Antonio si convertì leggendo le Scritture.
Franco Bulgiani, La conversione di S. Agostino e l’VIII libro delle Confessioni, Torino 1956, dice tutto il
contrario: la conversione di S. Agostino è tutta storica. Cipriani protende per questa tesi, ma A. è pure un
letterato e quindi forse usa anche argomentazioni letterarie. Il discorso comunque è semplicemente
accademico, perché la comprensione del fatto storico della conversione non porta a comprendere male le
opere successive di A..
Ponticiano inoltre aveva riferito ad Agostino che a Milano stesso c’era un monastero fuori delle mura di
Milano, guidato dallo stesso Ambrogio, che non viveva con i monaci ma ne era il Padre spirituale e la
guida. Il monachesimo improvvisamente viene vicino ad Agostino e lui identifica il suo progetto di vivere
insieme e di condividere al bene comune dove uno solo si doveva preoccupare all’amministrazione dei
beni per permettere agli altri di dedicarsi alla filosofia. Questo l’aveva sempre pensato.
Nei dialoghi compare un linguaggio meno religioso e più filosofico. A. cerca la Sapienza, ma la Sapienza
è Cristo. Identifica la Sapienza con Cristo. S. Paolo dice che Cristo ‘è la sapienza e la potenza di Dio’.
Quando dice che vuole consacrarsi alla Sapienza intende che si vuole consacrare a Dio. La scena del
giardino è avvenuta i primi giorni di Agosto. Quando avvenne questa crisi A. decise subito di lasciare la
scuola. Ma siccome macavano venti giorni alle vacanze della vendemmia non volle ritirarsi subito, perché
in città avrebbero fatto troppo chiasso. Allora decise di finire la scuola, fino alla fine di Agosto, cioè fino
all’inizio delle vacanze.
Successe però che si ammalò anche a causa delle lezioni e usò questa malattia come scusa per allontanarsi
dalla scuola di Milano. Alla fine di Novembre insieme a tutta la famiglia (fratello, madre, cugini) e agli
amici (Alipio, che esercitava a Milano l’incarico pubblico dell’Assessor), poi c’erano due studenti:
Licenzio (figlio di Romaniano) e Trigenzio. Questo gruppo si trasferisce in una villa a Cassiciaco per
prepararsi al Battesimo in Primavera. Durante questi mesi invernali A. continuò a studiare e a leggere:
“Paucissimis libris Plotini”, ma forse anche altri.
Questo periodo è definito da Agostino nelle Retractationes: “Christianae vitae otium”, tempo libero da
dedicare allo studio e alla preghiera. Nei dialoghi abbiamo accenni al canto dei salmi e agli inni di
Ambrogio. Nelle Confessioni A. descrive tutta la gioia, ma anche la sofferenza che provava quando
leggeva i Salmi. Era una vita non si può dire ancora monastica, ma diversa da quella che conduceva
prima. E’ una vita cristiana, egli non è più un pagano.
Page 27
Bisogna leggere i dialoghi e i testi in cui si manifesta più chiaramente la fede di Agostino. Se non si dà
importanza a questi testi non si capisce Agostino.
Testi in cui A. manifesta la sua fede:
De ordine 2, 5-16: In questo testo famoso che Durois aveva inteso in senso plotiniano dice che la vera
filosofia ha come obiettivo di giungere alla conoscenza di Dio uno e trino. Ora però esprime questa fede
con termini molto strani e filosofici. Riferendosi alla prima persona la chiama: “Principium sine
principio”; poi parla dell’”Intelletto divino”, chiama Dio “Tripotens” e non parla invece di tre persone.
Questo Dio trino alcuni lo predicano in modo confuso, invece altri lo predicano in maniera blasfema
(contumeliose), a differenza dei nostra ‘veneranda mysteria’. Quando dice che la Trinità bisogna
conoscerla ‘non cofnuse, nec contumeliose’ dice che bisogna evitare le esagerazioni di Sabellio e quelle
degli Ariani.
La lettera dei PP. Sinodali del Concilio di Costantinopoli del 381 fu inviata al Papa, ad Ambrogio e ad
altri dicendo che “Noi non consideriamo il padre e il Figlio e lo Spirito Santo non in maniera confusa,
come i Sabeliani…”. A. non ha letto questo lettera, ma è Ambrogio che dice nel De fide non bisogna
confondere le tre persone. “Chi confonde le tre persone fa un’ingiuria (contumelia) al Padre”. Qui
Agostino quando dice ‘contumeliose’ ciita Ambrogio.
Ag. usa anche le parole dei filosofi e, in modo speciale, di M. Vittorino (‘Principium sine principio’ e
tripotens’). M. Vittorino non voleva usare la parola ‘Persona’ per la Trinità, perché lo faceva pensare a
una separazione. Anche A. ha delle resistenze sull’uso della parola ‘Persona’ in riferimento alla Trinità.
M. Vittorino usa sempre il termine ‘Potentia’, o in greco ‘DÚnamos’, ‘TridÚnamos’, e, tradotto in
latino ‘Tripotens’.
Nella concezione di M. vittorino c’è anche l’uso di ‘Diade’. Esse sono il Padre e il Figlio, nell’eternità.
Nel tempo il Figlio diventa due, cioè il Figlio e lo Spirito Santo, che è il Cristo nascosto. Nel Padre
prevale l’essere, nel Figlio prevale la vita, nello Spirito Santo prevale l’intelligenza. M. Vittorino vede la
prevalenza: dell’essere, della vita e dell’intelligenza. M. Vittorino dice che lo Spirito Santo è figlio del
Padre. Abbiamo allora due Figli: Lo Spirito Santo sarebbe allora ‘Genitus Geniti’. Il Padre sarebbe come
il nonno dello Spirito Santo. A. nei dialoghi accoglie in parte questa concezione. Nella preghiera che
inizia i Soliloquia, Agostino rivolgendosi al Padre lo chiama ‘Pater pignoris’; per Agostino pignus è lo
Spirito Santo. Poi nel De Trinitate A. si corregge. Aveva confuso la generazione del Padre con la
processione, stimolato da M. Vittorino. Nel De Trinitate A. si corregge spiega l’analogia della Trinità
nell’uomo per correggere la concezione di M. Vittorino, dedicandovi 7/8 libri. La volontà non è prodotto
della mente, come la parola, ha una sua propria identità.
Page 28
Lezione VI del 18 Novembre 1999.
De Ordine: La filosofia deve arrivare a conoscere Dio ma appoggiandosi sull’autorità di Cristo e della
Chiesa.
Contra Academicos III, XIX, 42. Al suo tempo Ag. dice che non si vedono altri filosofi se non cinici,
platonici e peripatetici.
I cinici sono quelli che hanno una libertà licenziosa. Tutti gli edonisti del IV secolo ci rientrano. La
filosofia che si interessa alla dottrina e all’erudizione e alla morale con la quale si provvede ai bisogni
dell’anima è quella che alcuni ‘molto acuti e diligenti uomini’ hanno individuato nell’accordo tra
Aristotele e Platone. Ci sono stati cioè dei filosofi che sono giunti alla conclusione che i platonici e i
peripatetici avevano un’unica filosofia. Anzitutto chi sono questi ‘solertissimi et acutissimi viri’? Forse i
platonici, come Porfirio, perché Agostino in una lettera parla così dei platonici. Ma Ag. quando parla dei
platonici non si riferisce solo ai platonici più vicini, ma anche a quelli più lontani, come Apuleio, che
semmai è un medioplatonico. ci mette anche Antioco d’Ascalona che appartiene alla V Accademia. E’
vissuto nel I secolo A.C., é stato maestro di Cicerone ed è stato anche a Roma. Nel libro di Cicerone
Accademica1, Varrone dice che i platonici e i peripatetici dicono le stesse cose, c’è perfetta consonanza.
Cipriani non crede che uno di quei viri è Porfirio. Si è pensato a Porfirio perché ci è giunto un suo titolo
che pare mostrasse l’accordo tra peripatetici e platonici. Cipriani pensa invece che si riferisca ad Antioco
di Ascalona e agli altri autori di cui parla Varrone. Nel De finibus bonorum et malorum V Cicerone si rifà
ancora a Varrone e riporta la filosofia di Antioco. Così anche nel XIX libro della Città di dio viene citato
VARRONE. Che cos’è la verissima filosofia per Ag? ‘L’unico insegnamento della verissima filosofia’. In
fondo dice Ag. la vera filosofia è il Neoplatonismo, perché nel De regressu animae, Porfirio usa
l’espressione ‘vera filosofia’ a riguardo della filosofia platonica. Anche Cicerone usa l’espressione ‘vera
filosofia’ e si riferisce alla filosofia platonica. Qui Ag. sembra dire la stessa cosa. ‘Questa di cui parliamo
non è la filosofia di questo mondo di cui la nostra filosofia sacra esprime una condanna’ (‘Sacra nostra’:
S. Paolo condanna la filosofia di questo mondo). ‘Le nostre sacre scritture condannano la filosofia di
questo mondo. Invece la vera filosofia è quella del mondo intelligibile’. Ma sono i platonici che
distinguono il mondo visibile dal mondo intelligibile. Ag. dice che la vera filosofia non si interessa del
mondo visibile, ma del mondo intelligibile. Dio (la Trinità divina, le tre ipostasi di Plotino) e l’anima
sono oggetti del mondo intelligibile. Nell’Enchiridion (421) Ag. dice che al cristiano non interessa com’è
fatto il mondo, né quanto è grande, perché questo non serve a salvarsi. La parte fisica, dice Ag., non ci
interessa. La filosofia vera serve invece a rendere felici. Ma della filosofia del mondo intelligibile non
parlano gli stoici, ma solo Aristotele e Platone.
1 Cicerone scrive due libri: Varro e Lucullus, sugli accademici (Academica).
Page 29
Aggiunge che ‘a questo mondo intelligibile le anime degli uomini che vivono immerse nel sensibile e nei
vizi che ne derivano, mai sarebbero state richiamate, se il sommo Dio, per una misericordia usata verso
tutti, non avesse sottomesso il corpo umano all’autorità dell’intelletto divino’ (c’è qui il riferimento
all’Incarnazione). A questa filosofia dell’intelligibile che riguarda la conoscenza di Dio, la ragione più
sottile, che è quella dei filosofi, non avrebbe potuto richiamare gli uomini se il figlio di Dio non si fosse
incarnato. Ha permesso alle anime di risuscitare, ritornare in se stesse e di ricordarsi della patria, cioè di
Dio, anche senza le tante dissertazioni dei filosofi. Ag. pone l’Incarnazione a fondamento della vera
filosofia. La filosofia ha il suo fondamento nell’Incarnazione di Cristo. Ag. ha cercato in qualche altro
libro un’espressione simile. La stessa espressione si trova nel Commento della Lettera agli Efesini di
Mario Vittorino. Non è un’idea che Ag. ha avuto per primo.
Mario Vittorino: parte dalla condizione delle anime che si trovano nei vizi e nelle tenebre dell’ignoranza.
“Le anime immerse nel sensibile non vedono che il corpo, la materia, e credono che solo questa è la
realtà; non sono capaci di rompere questi legami con i sensi. Dio allora ha mandato il suo Figlio. Perché
insegnasse I) chi è il Padre II) chi è lo Spirito e che cosa significa vivere spiritualmente. Le anime
avevano perso la luce dell’intelligenza, perché diventate carnali. La patria è Dio”.
Tutti i concetti sono quindi presenti nei due autori. Dal testo che abbiamo letto sembra che Ag. presenti
Cristo come colui che richiama con l’insegnamento e le opere le anime immerse nel sensibile alla vita
dello Spirito. Ma non è solo un’admonitio. L’admonitio’ è una cosa esterna. Ci vuole sempre chi richiami
le anime dall’esterno all’interno. Con la ragione poi le anime arriveranno a Dio. Però Ag. mette che
l’admonitio non è data solo dagli uomini e dal mondo. Tramite la bellezza, l’unità e l’ordine che c’è nel
mondo sensibile, possiamo risalire al mondo intelligibile. Ag. ha detto che questo non è sufficiente a
risvegliare l’uomo. Solo l’Incarnazione del Figlio di Dio può risvegliare le anime. Sottolinea la necessità
della fede cristiana per risvegliarsi. La vera filosofia è quella di Plotino, per i poveri c’è il cristianesimo. Il
cristianesimo sarebbe la filosofia dei poveri. Durois e Courcelle dicono che il Cristianesimo non apporta
nessuna verità e in Agostino serve solo a purificare l’anima ma non dà nessun aiuto diretto per conoscere
la verità.
Contra Academicos,III, XX, 42-43: “Io ho deciso di non allontanarmi mai dall’autorità di Cristo (nella
ricerca della verità), perché non trovo un’autorità più valida”. Nel De ordine II, ci spiega il motivo per cui
Cristo è l’unica ‘auctoritas’ divina: dice che la verità degli oracoli pagani sono gli auspici dei demoni.
Porfirio nella Filosofia degli oracoli partiva dall’oracolo divino per fare la filosofia. Ag. dice che non è
questa ‘l’auctoritas divina’, la vera ‘auctoritas’ è Cristo; stabilisce anche i criteri per stabilire l’auctoritas
a fondamento della sua ricerca: anche l’auctoritas deve essere credibile. Punto fermo per Ag. che si è
consacrato alla filosofia è l’autorità di Cristo, da cui non vuole allontanarsi. Vuole farsi guidare in tutta la
ricerca dalla fede cristiana, anche se la filosofia per il suo carattere è solo razionale. In questi
Page 30
ragionamenti Ag. va avanti solo con ragionamenti razionali. Su tesi filosofiche importanti già si sa qual è
l’argomentazione dei filosofi pagani. Va avanti con la ragione pur non prescindendo dalla fede. La fede
solo indica, illumina, ma è la ragione che cerca da giungere a quella conclusione. Con la Scolastica si è
scisso il campo della filosofia da quello della teologia. S. Tommaso dice che la filosofia ha come oggetto
le verità di ragione, la teologia quelle di fede. Ma il filosofo cristiano può fare a meno della fede facendo
filosofia? In questo modo nasce il teismo (non tiene conto della fede). Ag. invece è lui che fa il filosofo.
Chi fa il filosofo ha già le sue convinzioni: non si può avere la filosofia pura.
Ma Ag. non vuole solo credere. La fede cristiana non insegna solo un Dio razionale che non interviene
mai nel tempo. Egli è un Dio che crea e che manda nella storia continuamente il Suo Figlio. Allora
cambierebbe la sua volontà? Sarebbe imperfetto? Non sarebbe immutabile?
Dio interviene nel tempo senza mutare, dice Agostino nel De ordine, contrapponendosi a Plotino. Se
questa è l’idea Ag. si accontenta solo di crederla o cerca anche di comprenderla? Questo è un problema di
metafisica che risolve solo per via razionale. Non vuole accontentarsi del semplice credere ma vuole
giungere alla comprensione razionale di ciò che crede. Poi nei Soliloquia dice una preghiera su Dio e
sull’anima e lì c’è tutto quello che lui crede, che egli ha raccolto da autori sacri ma anche da autori
pagani. Ag. attinge anche dall’autorità umana. Tutte la affermazioni che aveva imparato dalla fede e dagli
autori, cerca di comprenderle. Non cerca di comprendere subito tutti gli insegnamenti della Scrittura. Solo
quando diventa sacerdote Ag. affronta la Scrittura con i Trattati esegetici.
Principi della filosofia Agostiniana
I) Fondarsi sull’autorità di Cristo.
II) Non accontentarsi di credere soltanto, ma giungere alla conoscenza intellettuale di ciò che crede.
III) Agostino ha fiducia di trovare nei platonici idee o dottrine che non siano in contrasto con le
Nostre Scritture (o l’insegnamento della Chiesa). Questa ‘subtilissima ratio’ riguarda il mondo
‘intelligibile’, cioè Dio e l’anima. Ha fiducia, ma nello stesso tempo però non tutto il platonismo
è conforme al cristianesimo; solo alcune cose del platonismo non sono in contrasto con le Sacre
Scritture. Non abbraccia tutto il platonismo.
Alcuni sostengono in base a questo che Ag. ha abbracciato in toto il Platonismo quando scrive i dialoghi e
che il Cristianesimo non aggiunge niente alla verità filosofica. Courcelle invece dice che Ag. insieme a
Simpliciano ed Ambrogio hanno cercato di fare una sintesi di cristianesimo e di platonismo. Invece Ag.
mette la fede cristiana a fondamento di tutto e accoglie del platonismo quelle dottrine che non sono in
contrasto con la fede cristiana. Madec dice che Ag. non ha mai tentato di fare un interpretazione
plotiniana della fede cristiana. Ha cercato delle verità anche nel platonismo. Con lui il platonismo si
converte al cristianesimo. Esso viene superato dalla verità cristiana che è più profonda e più grande. Nei
Page 31
punti dove il platonismo non contrasta con la fede segue anche il platonismo, ma non si converte al
platonismo.
Ag., dunque è veramente cristiano. Ma potrebbe anche sbagliarsi. Ag non tocca tutti i temi della fede
cristiana. C’è uno sviluppo e critica le posizioni platoniche a seconda del cammino che fa. Parla del corpo
più tardi perché all’inizio è più interessato a Dio e all’anima. Attacca i platonici perché rifiutano
l’Incarnazione. L’uomo è anima e corpo. Il corpo non è un carcere, né una sostanza diversa dall’anima.
Egli è contrario a Platone sostanzialmente sul tema del corpo. Ma molti temi non li affronta subito. C’è un
carattere evolutivo in Ag.
Ci sono però tante altre interpretazioni contrastanti perché non sempre gli studiosi hanno colto le fonti
cristiane di Ag. Ci sono delle pagine che riflettono chiaramente gli autori cristiani. Invece in molte pagine
non c’è nulla. La fede cristiana spesso all’inizio ha valore solo di ‘admonitio’. Questo significa che Cristo
è vero maestro. Ma allora si potrebbe obiettare che per Ag. Cristo è solo un maestro. Alcuni dicono che
Ag.ha considerato Cristo solo un maestro fino a quando non è diventato prete. Non tratterebbe mai il
problema del peccato e della redenzione. Ma ci sono testi molto chiari di Ag. che non sono mai stati
interpretati correttamente. Chi crede alla Incarnazione e alla Morte - Resurrezione di Cristo, Cristo, per
questo vincolo li libera, dice Ag.. Nei ‘Soliloquia’, troviamo l’espressione ‘Deus per quem vincimus
inimicos’, che Durois ha voluto riferire allo Spirito Santo, ma che invece si riferisce a Cristo. Qui dunque
chiama Cristo Dio, per mezzo del quale vinciamo il nemico, cioè il diavolo e la morte. Questa frase in
Mario Vittorino la troviamo una decina di volte. Noi credendo in lui possiamo vincere altrettante volte. Se
leggiamo il testo di Mario Vittorino comprendiamo come Ag. ha appreso che Cristo è il Salvatore e il
vero redentore. C’è difficoltà a capire i Dialoghi perché la fede cristiana è come nascosta. Perché bisogna
capire le fonti da cui Ag. ha attinto.
Altra difficoltà di capire i Dialoghi è che bisogna tenere presente del ‘genere letterario’. Ag. non fa una
spiegazione piana, una ‘oratio continua’, in forma di trattato. Ha scelto di scrivere e di parlare della
filosofia nel genere dialogico. “Il genere migliore per cercare la verità è quello della domanda e della
risposta”. Ma il dialogo ha delle sue leggi e delle sue norme. Qual è il pensiero dell’autore quando fa
parlare diversi personaggi? Molti autori hanno attribuito ad Ag. il pensiero del personaggio contro cui Ag.
parlava. Flash cade in questo errore. Non si tiene presente che il dialogo ha certe norme particolari.
Norme del Dialogo agostiniano.
M. Rush, Saggio sulla genesi e l’arte del dialogo.
Spesso la retorica si interessa solo a tre generi: genere giudiziale, dimostrativo e laudativo. Ma non parla
delle lettere, dei commentari e dei precetti (o regole). Nessuno ha fatto uno studio su questi generi
Page 32
letterari. Seneca in alcune lettere parla del genere letterario della precettistica. Così Cipriani ha riletto la
Regola di S. Agostino alla luce delle norme di Seneca.
Nella vita dei santi (es. quella di Cipriano scritta da Ponzio o quella di Ambrogio scritta da Paolino,
troviamo dei richiami alle opere precedenti, a una tradizione letteraria. A volte ci sono delle innovazioni,
ma più spesso ci si immette in una tradizione precedente).
Diogene Laerzio parlando dei filosofi, e in modo particolare di Platone, parla anche del dialogo: dice chi
ha inventato il dialogo (Zenone, Alexameno ed altri). Dice anche che non si interessa tanto di sapere chi
ha inventato il dialogo, ma che Platone ha raggiunto la perfezione di questo genere sia per la forma che
per il contenuto dei suoi dialoghi.
1° aspetto: Il dialogo è un discorso fatto da domande e risposte (differente dal discorso continuato in cui
c’è un oratore solo). Qui ci sono due o più interlocutori. L’Octavius di Minucio Felice è un dialogo
‘Agonisticòs’, perché fatto da un pagano, un cristiano e un giudice che decide tra i due. Il dialogo è solo
iniziale, centrale e finale. Ma il discorso è continuato, quindi questo dell’Octavius si può definire un
genere misto.
Nelle Partitiones oratoriae di Cicerone ci sono il padre e il figlio che pone le domande.
2° aspetto: il contenuto del dialogo deve essere adatto al dialogo: deve trattare o argomento filosofico o
politico.
3° aspetto: ci dev’essere una conveniente etoporia dei personaggi che parlano. L’etoporia era usata per i
logografi del tribunale di Atene. Nel tribunale di Atene tutti i cittadini dovevano difendersi da soli. Non
tutti i cittadini erano però capaci di fare un discorso in tribunale per vincere la causa. Ci furono allora dei
letterati che cercarono di scrivere dei discorsi per la gente che non sapeva parlare, ma poi li doveva
leggere in pubblico. Lisia fu uno di questi oratori. Questi logografi dovevano adattare il discorso a chi lo
pronunciava (che non era l’autore). L’etoporia è dunque l’adattamento del discorso al personaggio che lo
pronuncia. C’è dunque la preoccupazione in chi scrive il dialogo che il personaggio venga rappresentato
nel suo carattere. Ag. attribuisce un certo carattere a Fulgenzio e Trigenzio, perché sono giovani è hanno
carattere conflittuale. A uno piace la poesia e si distrae durante i dialoghi perché compone esametri.
Monica viene introdotta sempre in alcuni momenti per spiegare la fede semplice dei cristiani, perché non
è una letterata e non ha studiato. Noi dobbiamo fare attenzione al pensiero espresso, perché rispecchia il
personaggio che lo pronuncia.
4° aspetto: lo stile deve essere accurato. Ag. non vuole scrivere in un linguaggio non perfettamente
ciceroniano e vuole gareggiare con i grandi autori dei dialoghi. Aveva letto anche il Fedone e il Timeo,
oltre a Cicerone. Scrive per i filosofi del suo tempo e ha uno stile molto alto. Non cita quasi mai il nome
di Gesù Cristo perché non è latino. Non esprime quindi sempre in modo piano la sua fede.
Page 33
Si rivolge ai filosofi e quindi usa termini di scuola. Poi rispetta la ‘disciplina dell’arcano’ perché dei
misteri (soprattutto dell’Eucarestia e del Battesimo) si poteva parlare solo ai credenti.
Diogene Laerzio ci dice che i dialoghi di Platone si possono dividere in tanti modi. (vedi sotto). Il dialogo
è di ricerca o di istruzione. Poi ci sono sottodivisioni.
Il dialogo si divide in due grandi gruppi: uyhghtikoj è l’istruzione, l’ammaestramento. Cfr. le Partitions
oratoriae di Cicerone dove si fanno domande e risposte, ma senza problemi particolari o ‘quaestiones’. In
questo genere che è solo espositivo possiamo trovare ulteriori divisioni: un dialogo qewrhtikoj o
pratikoj perché siccome solo la filosofia o la politica sono oggetto del dialogo ecco che allora il
teoretico si interessa della parte logica e della parte fisica, se è pratico si interessa invece della parte etico-
morale, oppure politica.
Poi ci sono altre specie di dialogo basate sulla filosofia.
Lo zhthtikoj è invece il campo della ricerca della verità . Si divide in gumnastikoj e agwnistikoj.
Nel primo i dialoganti si esercitano a trattare una questione. E’ un ‘exercitatio’. Invece l’agwnistikoj è
quasi una controversia: l’uno sostiene una tesi e l’alto quella opposta. Nell’Octavius il pagano sostiene
una tesi e il cristiano insiste sul cristianesimo.
Il dialogo fatto per esercitazione si divide in maieutikoj e peirastikoj. E’ stato Socrate che ha
inventato l’arte della maieutica, cioè l’arte che deve tirar fuori le idee dalla mente della gente. Il dialogo
serve a tirar fuori le idee. Il peirastikoj mette alla prova l’ingegno, tenta. Molto spesso i dialoghi di
Agostino appartengono a questo ramo qui. O Agostino tenta di tirar fuori la verità dai suoi discepoli,
oppure li mette alla prova, facendo un esercizio. Alla fine del III libro del Contra Academicos usa proprio
la parola ‘exercitare’, ‘exercere’, che ha il valore di tentare e di mettere alla prova.
L’agwnistikoj invece fa vedere che c’è sempre una parte dell’accusa che atacca e della difesa che
difende. Endeiktikoj è il dialogo dove c’è l’accusa. Anatreptikoj invece è il dialogo dove si fa la
difesa, la ‘refutatio’, la critica della posizione contraria. Spesso ci sono tutti e due le posizioni nello stesso
dialogo.
fusikÒj
qewrhticÒj
logikÒj
ØyhghtikÒj
ºqikÒj
praktikÒj
politikÒj
di£logoj
Page 34
maieutikÒj
gumnastikÒj
peirastikÒj
zhthtikÒj
™ndeiktikÒj
¢gwnijtikÒj
¢natreptikÒj
Lezione VII del 25 Novembre 1999.
Nei dialoghi usa ancora una forma letteraria aulica, non badando ai termini teologici.
Contra Academicos.
Retractationes, I: il primo dialogo lo scrisse contro gli accademici. Si può intitolare ‘De academicis’,
perché insieme alla confutazione c’è anche una certa difesa storica. Vuole giustificare il ricorso degli
accademici allo scetticismo. Dice anche che gli argomenti degli accademici, a partire da Arcesilao e
Carneade ispirano nell’animo dei lettori la disperazione di trovare il vero. E quindi ostacolano ed esortano
a non dare l’assenso a nessuna idea. Ritengono che tutto sia oscuro e incerto e voleva liberare il suo
animo e voleva trovare gli argomenti degli accademici per liberarsene.
Presenta questo come un’esigenza personale. Gli storici hanno sempre cercato per quale motivo Ag. ha
scritto il ‘Contra Academicos’. Ci fu un tempo in cui Agostino stesso era caduto nello scetticismo. Questo
è il motivo per cui ha cominciato a scrivere contro gli accademici.
Ma un altro motivo potrebbe essere: che Cicerone negli Academica (I, Varro; II, Lucullus), nel Lucullus,
IX, dice che “due sono i punti principali della filosofia: ‘Iudicium veritatis et finis bonus’, la ricerca della
verità e il sommo bene”. Anche Agostino nel De beata vita riprende le stesse tematiche. Prima bisogna
stabilire il criterio della verità e poi stabilire qual è lo scopo della vita, lo scopo al quale bisogna dirigere
tutta la nostra vita.
Cicerone ritiene che non si può giudicare sapiente un uomo che ignora l’inizio (cioè il criterio) della
conoscenza e il fine ultimo (il sommo bene). Chi ignora non sa da dove bisogna partire e dove bisogna
arrivare. Il punto di partenza e il punto di arrivo. Il punto di partenza è gnoseologico, l’altro invece è qual
è il sommo bene.
Page 35
Qualche studioso commentando il De ordine aveva parlato di una trilogia. Agostino avrebbe inizialmente
pensato a tre temi da trattare in modo sistematico: Il de beata vita, il contra academicos e il De ordine.
L’ostacolo è quello di non credere: il male che è nel mondo proverebbe che non ci sia alcuna provvidenza
divina.
Genere letterario.
Non si può anzitutto fare il dialogo senza domande e risposte.
C’è chi deve trattare aspetti filosofici. Poi la ‘etoporia’ e infine un accurato stile per quanto riguarda la
prosa.
I dialoghi venivano poi classificati in diversa maniera.
Qui si propone la ‘inquisitio veritatis’. Questa forma si può presentare come un dialogo di esercitazione.
Il ‘contra academicos’ in diversi punti ci dice l’autore che si propone di esercitare i suoi discepoli, ma
nello stesso tempo contrappone i due giovani, Licenzio e Trigenzio che sostengono parti diverse. Poi la
parte del giudice era di Alipio. Poi la fa Agostino. Quindi prima ha la forma di ‘exercitatio’ e poi la forma
‘agonistica’.
C. A. 1, 9-25: a questo punto il tema lo avremmo anche esaurito senonché io voglio anche esercitarvi e
mettere alla prova il vostro impegno negli studi. ‘Preparati forze maggiori per difendere gli accademici’.
Quindi c’è l’accusa e il difensore. Bisogna cercare i termini per attribuire il dialogo al proprio genere. 1,
2, 5: “Io ritengo di fare con maggior sicurezza la parte del giudice in questa questione. Dovendo andare in
città non posso incaricarmi di fare il difensore di una tesi. Allora preferisco fare la parte del giudice”.
Ritiene che è più facile la parte del giudice che quella del difensore.
Ag. sta usando un genere letterario e quindi deve obbedire ai canoni di questa tradizione letteraria.
Cicerone già si era vantato di trattare temi di filosofia, ma già in modo retorico. Anche Platone ha scritto
dialoghi contro la retorica, ma in realtà poi era un retore anche lui. Ci teneva a fare il letterato. Dobbiamo
giudicare le idee filosofiche dalla retorica. Ci sono quindi dei testi in cui presenta un po’ tutti i personaggi
presenti al dialogo. Il ‘patronus’ è l’avvocato di una parte o di difesa o di accusa. Il sapiente può essere
tale solo perché ricerca la sapienza. Trigenzio sosterrà che per essere felici bisogna trovare la verità, non
solo cercarla.
Come si presenta il dialogo? In tre libri.
I - C’è la disputa in cui c’è l’imitazione di una realtà letteraria, oppure i dialoghi fotografano la realtà
storica? Nel I, 4 Ag. dice: “Dopo pochi giorni che ci recammo in villa, i due giovani si entusiasmano per
la filosofia. Fatto venire uno stenografo, perché il vento non si portasse via le nostre parole, volli che non
andasse niente perduto”. Abbiamo tutto quello che è stato detto nella disputa. Ag. fa delle distinzioni. E’
Page 36
però in realtà una rielaborazione letteraria fatta da Ag. Quanto al contenuto e alle idee ci sono dei giovani
che dialogano con lui. Parla a Romaniano al quale ha dedicato il dialogo. Romaniano era alla corte di
Milano per curare i suoi affari. Ag lo invita a fare il filosofo nella villa. Lo stile del dialogo è misto tra
‘agonistikos’ e la pura ‘exercitatio’. In 5, 6-7 c’è proprio l’aspetto della controversia: Ci sono due
avvocati di due tesi opposte. Il 1° sostiene che la vera sapienza è la ricerca della verità, mentre il 2°
seconda dice che non bisogna soltanto cercarla, ma bisogna anche trovarla. Tutte le questioni filosofiche
avrebbero il loro punto di partenza nel desiderio dell’uomo di essere felice.
IMMETTI….. (parte mancante).
Importante è l’argomento del dialogo e le questioni trattate. Spesso si leggono i dialoghi senza accorgersi
delle questioni trattate. Bisogna avere ben chiara la struttura di ogni libro. Bisogna sapere come le
questioni vengono trattate e dove vengono trattate. Molti giudizi di studiosi sono nati dalla
incomprensione del testo. Non hanno capito cosa Ag. stava trattando e magari hanno dato un giudizio
negativo. Marrou dava un giudizio del tutto negativo sulle capacità retoriche di Ag. di comporre bene.
Dopo 20 anni scrive una ‘retractatio’.
Riprendiamo il I libro. Innanzitutto bisogna fare un’introduzione. La retorica parla di ‘Principium’. Qui
va da I, 1, 1 fino al 4° paragrafo (4§§): c’è un’esortazione rivolta all’amico e benefattore Romaniano,
padre di Licenzio, di darsi anche lui alla filosofia. E’ quindi un ‘protrettico’, come aveva scritto Aristotele
e Cicerone con l’Hortensius. Anche il II è un esortazione, il III cambia.
II, 5. Ag parte dal una constatazione interiore: tutti vogliamo essere felici. Per questo esiste la filosofia. Si
fa filosofia perché uno ricerca la felicità. Oggi si dice: dare un senso alla propria vita. Per questo si pensa,
si riflette e si fa filosofia. I, 2, 5 - 4, 12: “per essere felici bisogna solo cercare la verità o bisogna anche
trovarla?”. Questo dialogo è solo un punto di partenza. Ag. parte da un’esperienza interiore. Il dialogo ci
richiama a riflettere su noi stessi. Però qui è importante capire che per essere felici (e felice nell’antichità
era solo chi poteva raggiungere la sapienza: eudemonismo etico). Licenzio sostiene che per essere felici è
necessario solo cercare la verità, invece T. dice che bisogna trovarla.
Che cos’è la sapienza? Da 1, 5, 13 a 8, 23 La discussione verte sulla definizione della sapienza. II, 9, 24-
25: E’ la conclusione. C’è un ‘Principium’, ci sono due trattazioni e una conclusione. A volte ci si può
ingannare. Uno studioso della regola di S. Agostino (P. Vereiken) ha scritto molti articoli per dimostrare
che nelle opere di Agostino ci sono sempre 5 parti. Il Contra Academicos non ha 5 parti. Vereiken è
partito dalla tesi del discorso giudiziario. Il discorso giudiziario ha un ‘exordium’, poi la ‘narratio’, la
‘prova’, la ‘confutatio’ e la ‘conclusione’. Ma questo vale per il discorso giudiziario, non per il discorso
esortativo, come il ‘Contra Academicos’.
Questo libro è diviso chiaramente in 4 parti. C’è un inizio e una conclusione e ci sono due trattazioni.
Anche nel II libro c’è un principio, ma è molto più lungo: da II, 1, 1 a 3, 9; è ancora un’esortazione rivolta
Page 37
a romaniano, ma ci sono qui anche i cenni autobiografici: A. parla della sua esperienza, del suo cammino
di ritorno alla fede. Poi possiamo dire che tratta un unico punto. E’ un unico tema: La differenza tra
l’antica e la nuova Accademia, con un’attenzione particolare a definire e a descrivere le nozioni di
verisimile e di probabile. Sono nozioni descritte dalla nuova accademia. Sulla base dello scetticismo
accademico, l’obiezione che veniva subito rivolta é che se il sapiente accademico non conosce niente di
certo e non può dare l’assenso a nessuna dottrina, in base a quale criterio agisce? La conseguenza logica è
che non può compiere nessuna attività. Per compiere questo dubbio è stato introdotto il concetto di
verisimile e di probabile. E’ probabile che si debba avere un’opzione anziché un’altra. Tutto questo libro
del ‘Contra academicos’ è teso a spiegare la dottrina degli accademici. II, 4, 10 a 6, 15, spiega la
differenza tra l’Antica e la Nuova Accademia e da 7, 16 a 13, 30 per spiegare le nozioni di verisimile e di
probabile; nell’ultimo paragrafo c’è anche la conclusione brevissima, appena accennata.
Il III libro ha un ‘principium’ da 1, 1 a 2, 4. (4§§). Il tema è “il saggio e la fortuna”. Per raggiungere la
sapienza il saggio è condizionato dalla fortuna. Questo è un tema tradizionale. Secondo le diverse scuole
filosofiche i beni a cui possiamo arrivare o perdere, i ‘beni externa’ (o ‘commoda’), i beni di fortuna,
influiscono nella felicità del sapiente? Era una questione dibbattuta, perché per gli stoici, bastava che uno
era sapiente per essere felice, anche se soffriva nel corpo. Invece c’erano altri come Aristotele che
dicevano che il saggio, se è soltanto saggio, non è sommamente felice. Può esserlo se ha anche i beni del
corpo. Può essere poi ‘beatissimus’ se ha anche i beni di fortuna. Quindi qui la discusione verte su questo
tema. Poi c’è la confutazione dello scetticismo. C’è come una introduzione a questa confutazione. Ag.
porta una confutazione contro gli accademici. Il II libro aveva narrato che non era propriamente ‘contra’.
III, 5, 6 spiega la differenza che c’è tra il filosofo e il sapiente. E’ proprio dall’etimologia della parola che
si impara che il filosofo è colui che ama la sapienza. Mentre il sapiente è colui che ha la sapienza. Gli
accademici sostengono che è sapiente solo chi ricerca la sapienza, ma la sapienza nessuno la potrà mai
conoscere. Ma una volta confusi i termini non si potrà più capire. Questa distinzione tra filosofo e
sapiente ci fa capire che chi dice che ricerca la sapienza suppone che la sapienza si possa conoscere.
Ecco da dove nasce la ‘desperatio degli invenienti’: nasce dal fatto che pur facendo filosofia si dice che è
impossibile conoscere la sapienza. Se è impossibile è finita la discussione filosofica. Bisogna almeno
ammettere che il sapiente conosce la sapienza. Ag. si appoggia su un altro scetticismo che purtroppo gli
studiosi non hanno mai rilevato. Cipriani, Il rifiuto dello pessimismo porfiriano nei primi scritti di S.
Agostino, ‘Augustinianum’ 37, 1 (1997), dice che Porfirio era scettico ma non come gli accademici (è
vero solo il probabile, il verosimile): P. invece diceva che in questo mondo è impossibile conoscere la
sapienza, ma dopo la morte alcuni sapienti illuminati potranno conoscerla. Ag. gioca proprio su queste
due posizioni diverse: si fonda sul pessimismo porfiriano per combattere quello assoluto degli
accademici. Licenzio per difendersi dalle critiche del suo avversario passa da una posizione all’altra. Ma
Page 38
Ag., alla fine del III libro, dice che è molto peggiore il pessimismo degli accademici di quello porfiriano
anche se tutti e due finiscono per allontanarci dalla filosofia. (Cfr. III, 2, 9).
Se le cose stanno come le dice Carneade avrebbe dovuto dire piuttosto che la sapienza non può essere
conosciuta dall’uomo, mentre dice che il sapiente è colui che ricerca soltanto la sapienza. Quindi questa
affermazione è contraddittoria. Il sapiente, che non può conoscere niente di certo è contraddittorio, perché
non sa per quale motivo viva, ‘cur vivat’. La sapienza vera è sapere perché si viva, come si deve vivere e
se addirittura si viva.
E’ pazzesco dire di essere sapiente e di ignorare la sapienza. E’ molto meglio dire che è impossibile in
questa vita. Porfirio (in Agostino): “Amico, la filosofia in se stessa non è la sapienza, ma è solo la ricerca
della sapienza. Se tu ti consacri alla filosofia non sarai sapiente in questa vita finché vivi sulla terra,
perché la sapienza è presso Dio e non può venire agli uomini. Ma se tu ti sarai purificato con le virtù
catartiche dopo questa vita, quando cesserai di essere uomo, perché tornerai ad essere anima razionale
(platonismo), allora soltanto avrai raggiunto la vera filosofia”. Qui stava introducendo uno scetticismo
che non era quello degli accademici: ma Ag. si serve dello scetticismo porfiriano per andare contro gli
accademici.
“Venite alla filosofia….l’uomo non ha niente di più caro della sapienza, venite per essere sapienti e
ignorate la sapienza”. “Io non dico così…” Ag. risponde. Questo è ingannare. Se si dice che nessuno
conoscerà mai la sapienza, ti fuggiranno come un pazzo. Invece rendili pazzi perché gli dici che alla
sapienza si arriverà nell’altra vita e con molte difficoltà.” Ag. in questo dialogo confuta solo lo
scetticismo degli accademici non quello di Porfirio (che eseguirà nella II parte del De ordine).
LEZIONE VIII DEL 2 Dicembre 1999
Il III libro del Contra Academicos incomincia con un esordio che abbraccia da 1, 1 a 2, 4. Il tema è quello
del sapiente e la fortuna, se cioè per essere sapienti e felici c’è bisogno anche di avere i beni di fortuna, e
cioè le ricchezze, una buona moglie, ecc. Il sapiente antico si poneva questi problemi. Aristotele definisce
questi beni come ‘esterni’ che possono esserci o non esserci.
Il libro III comincia però con la sottolineatura della differenza tra filosofo e sapiente. Si può amare la
sapienza e nello stesso tempo dire che non è possibile conoscere la sapienza. Gli accademici dicono che la
verità non si può mai conoscere pienamente. Agostino dice che il sapiente deve almeno conoscere con
certezza la sapienza. Questo primo argomento va da 4, 7 a 6, 13. E’ svolto ancora in forma dialogica.
Invece dal capitolo 7, 14 in poi non c’è più dialogo, ma un discorso continuato che fa il maestro, una
‘oratio’. Si divide in diverse parti. Anzitutto c’è la critica di un testo di Cicerone: 7, 14 – 8, 17.
Poi c’è la critica della posizione dello scetticismo di Zenone e Arcesilao (9, 18 – 21). L’accusa che
rivolge Agostino è quella di favorire lo scetticismo più radicale degli accademici a favore di quello di
Page 39
Porfirio. Anche Porfirio ritiene che durante questa vita nessuno potrà raggiungere la perfezione della
sapienza, ma dopo questa vita almeno pochi potranno conoscere la sapienza. Il primo principio però per i
Neoplatonici è assolutamente inconoscibile. Il motivo per cui i neoplatonici ammettono che dopo la morte
pochi possono raggiungere la perfetta sapienza dipende dal fatto che l’anima razionale vive nel corpo e il
corpo è un carcere che non permette all’anima di vedere la causa prima. Quando l’anima, per Porfirio, si
sarà liberata dal corpo, se avrà cercato di contemplare l’intelletto divino, cioè se si sarà purificata grazie
alle virtù catartiche e alle virtù intellettuali, sarà premiata.
Agostino si serve del contrasto tra Porfirio e gli altri accademici per mostrare la contraddizione dello
scetticismo assoluto degli accademici, i quali anche loro cercano di definire sapiente colui che cerca la
sapienza, anche se mai la raggiungerà.
La vera confutazione però comincia dal cap. 10, 22 fino a 13, 29. In questi §§ Ag. Controbatte il primo
principio degli accademici: “Niente di certo può essere conosciuto”, non possiamo conoscere nulla con
certezza.
La seconda confutazione va dal cap. 14, 30 al 16, 36 e confuta il secondo principio dello scetticismo
accademico: “Non si deve dare l’assenso a nessuna affermazione”. Sono due principi legati l’uno
all’altro, l’uno è conseguenza dell’altro.
Poi c’è la difesa degli scettici accademici da parte di Ag. Storicamente gli accademici si sono rifugiati
nello scetticismo perché contro il dogmatismo stoico imperante non avevano modo di farsi capire. Gli
accademici sono i discendenti dell’Accademia antica e se avessero continuato a insegnare le verità del
platonismo, nessuno li avrebbe capiti, perché loro parlano di cose intelligibili e spirituali, mentre invece
gli stoici parlano in termini materialistici. Il dogmatismo stoico si deve quindi combattere con lo
scetticismo.
Ag. Prendendo spunto da Cicerone insiste su questa tesi: gli scettici non sono veramente scettici, ma
fanno finta di essere scettici per combattere gli stoici dogmatici e materialisti.
Questa difesa va dal cap. 17, 37 a 18, 41.
A questo punto c’è il cap. 19, 42-43 che parla della vera filosofia che è quella del mondo intelligibile, che
è quella del platonismo che è integrato e corretto dall’insegnamento di Cristo.
Qui Agostino abbraccia la tesi dell’ambiente milanese cristiano e neoplatonico. Ci sono però molti limiti
di apertura al platonismo. Ag coglie di esso solo ciò che è conforme al cristianesimo e respinge ciò che vi
è contrario.
Il cap. 20, 44-45 sono la conclusione del III libro e di tutta l’opera.
Argomenti potati da Ag. Contro lo scetticismo accademico che si basa soprattutto su due principi: nulla
può essere conosciuto con certezza e non si può dare l’assenso a nessuna dottrina.
Page 40
Questo scetticismo è molto diverso. Alle volteci sono state delle critiche agli argomenti agostiniani,
perché sembrava che Agostino combattesse ogni forma di scetticismo. Lo scetticismo attuale riguarda da
Dante in poi che il ‘Noumenon’, non si può conoscere, perché la nostra conoscenza scientifica non ce lo
permette (agnosticismo), ma questo riguarda solo la verità trascendente. Ma lo scetticismo degli
accademici non è così sofisticato, era più rozzo, diceva che non si poteva conoscere nulla di certo,
neanche con i sensi. Gli argomenti che adduce Agostino sono tutti rivolti a vincere questo tipo di
scetticismo e non altri. Agostino non sta confutando altri scetticismi: gli basta dimostrare che ci sono
delle cose che noi conosciamo con certezza. Siamo certi di qualcosa che noi conosciamo.
Uno degli argomenti che porta Ag. è l’affermazione scettica degli accademici che ogni filosofia è
diversa dall’altra con un esempio: “Se io interrogo i filosofi su ciò che rende felice l’uomo, ogni filosofo
dice la sua: gli epicurei dicono che è il piacere, gli stoici invece dicono che è la virtù e altri mettono
insieme magari virtù e piacere”. Teoricamente, diceva Varrone (citato da Ag. In De civitate Dei, 19), si
possono fare 286 ipotesi diverse.
Ma anche senza ricorrere a questa ipotesi, le idee sul sommo bene sono molte, a seconda delle scuole.
Gli Accademici si facevano forti di questo dissenso per dire che non si poteva conoscere la verità.
Un'altra affermazione contro la verità assoluta è l’inganno della conoscenza dei sensi. Gli Accademici
contro gli epicurei dicevano che dei sensi non ci si può fidare. Se in un giorno sereno si guarda
un’altissima torre, sembra che la torre oscilli. I sensi possono ingannare. Se uno vede il collo di un
piccione non si sa di che colore è, sembra avere tutti i colori. Se uno vede un remo di una barca dentro
l’acqua, sembra che il remo sia spezzato. Questi fenomeni ottici ingannevoli diventavano argomenti per
gli accademici per dimostrare che non si poteva conoscere assolutamente la verità.
Zenone, uno dei maestri dello stoicismo aveva detto che la conoscenza certa è quella che non ha niente
in comune con il falso. Per combattere il dogmatismo gli accademici dicevano che la conoscenza, anche
la più sicura si può unire con il falso.
Ag. davanti all’affermazione che non si può conoscere niente di certo risponde con le tre parti della
filosofia: la fisica, la logica e l’etica. Fa vedere che in ogni parte della filosofia ci sono delle
affermazioni in cui non si può negare la verità. Ma si tratta di affermazioni, la cui verità non sta tanto nel
contenuto, quanto nella forma della proposizione. Tutta l’argomentazione di Ag. tende a dimostrare che
Page 41
almeno nella dialettica e nella logica ci sono delle verità. Nel De doctrina christiana Ag. distingue la
‘veritas coniectionum’, dalla ‘veritas sententiae’. Se io dico: ‘o c’è un mondo solo o ce ne sono più’ è
una proposizione complessa, molecolare. Se invece dico che ‘il mondo è eterno o non è eterno, questa è
un’affermazione atomica, semplice, sulla quale la verità è essenziale. Se dico che il mondo è eterno non
posso dire il contrario. Per determinare la verità di questa affermazione singola Ag. dice che la Scrittura
ci dà l’esempio ultimo. Quando invece si tratta di verità di proposizione molecolari, cioè composte, non
semplici, la verità di queste proposizioni (‘connectiones’) è data dalla logica stessa. Gli stoici avevano
fatto la tavola delle verità delle proposizioni. Anche oggi la logica moderna dimostra che certi
ragionamenti sono veri o no per la loro forma e non per il contenuto.
La prima ricerca di Agostino si fonda su questo piano qui: ci sono tante affermazioni che sul piano
formale non possiamo metterne in discussione la certezza. Qualche esempio: “Io che non sono ancora
sapiente, conosco però già qualcosa”. Sfida Carneade, il primo degli accademici a confutare lo
scetticismo, a dimostrare che: o c’è un mondo solo o non solo uno, e se non c’è un mondo solo o c’è un
numero infinito di mondi o finito. Di questo Ag. non si preoccupa. Quello che vuole dire è che questa
composizione, che è composta (doppiamente disgiuntiva, con dilemmi cornuti) nessuno può dire che è
falsa. E’ una proposizione certamente vera e perciò è contro gli accademici.
Anche la ‘connectio’ , la proposizione ‘per coniectionem’ ci assicura la verità e si propone in questo
modo: Se i mondi sono uno e poi altri sei, in tutto sono sette. Questa proposizione matematica nessuno
può dire che è falsa, è vera in se stessa. Anche la proposizione 3x3=9 è un’affermazione vera e
inconfutabile. Queste sono affermazioni o logiche o matematiche sempre nel campo della fisica naturale.
Già quindi possiamo fare delle affermazioni certe in questa parte della filosofia.
Anche l’udito e il sapore possono ingannarsi. Le capre mangiano le foglie dell’ulivo: per loro sono
buone, per noi no. Per Ag. c’è la prova del dubbio, la certezza di dubitare.
Contra Academicos 11, 26: “Non vedo come l’accademico può confutare uno che dice così: Quando io
dico che quest’oggetto a me appare bianco, oppure. Questo suono mi piace, o: quest’oggetto ha un buon
profumo o ha un gusto dolce o è freddo o è caldo: questo lo so con certezza. Gli stoici e gli accademici
discutevano della conoscenza sensibili, ma sempre rimanendone fuori. Ag. vince questo dubbio: è vero
che io posso dubitare che il remo sia spezzato o meno, se immerso nell’acqua, però di una cosa io non
posso dubitare: che a me sembra così.” Quando si afferma un atto interiore della propria coscienza,
nessuno può dubitare più: si passa da un tipo di incertezza data dai sensi a un tipo di incertezza data dalla
Page 42
coscienza. Questo è molto originale. Su questo Ag. insisterà sviluppandolo sempre meglio (argomento
della coscienza).
“Dimmi piuttosto se le foglie dell’olivo selvatico sono per se stesse amare o no. Queste foglie il capro le
desidera tantissimo. O uomo improbo, non il capro è più modesto di te. Io non so che cosa sente la bestia,
per me però sono amare e di questo sono certo. Che cerchi di più? Ammettiamo pure che c’è qualche
uomo per il quale queste foglie non sono amare. Ma ho forse detto che sono amare per tutti gli uomini?
Dico solo che sono amare per me e non sempre, solo in questo momento sono amare per me. La certezza
può essere affermata senza essere accusata di falso. Questo argomento è l’argomento principale che dovrà
essere portato avanti.
Nel De vera religione questo argomento appena accennato nel Contra Academicos è accennato in
maniera molto più matura: DVR 39, 73: “Tutti quelli che si conoscono come indubbio, conoscono una
verità e di questa verità che conoscono sono certi, e quindi sono certi di una verità. Chiunque dubita se
esiste la verità, ha in se stesso almeno una verità. Siamo sicuri che esiste la verità perché in noi c’è una
verità di cui non possiamo dubitare. Non deve dubitare della verità colui che ha potuto dubitare di
qualcosa. Dove, nella coscienza e nella mente dell’uomo c’è questa verità c’è una luce senza spazio, non
è il ragionamento che produce questa verità. La verità dunque non è creata dal ragionamento umano, ma il
ragionamento umano la scopre.
L’argomento viene ripreso nel libro XV del De Trinitate 12, 21, dove si legge: “Giammai dunque potrà
sbagliare o mentire chi dice di sapere di vivere”. Questa è la conclusione dell’argomento. Nel De civitate
dei XI 26: “Se sbaglio, sono. Infatti chi non esiste non può certo neppure sbagliare, ma proprio per questo
se mi sbaglio vuol dire che sono”. La coscienza del dubbio o del vivere sono certezze non di ordine
sensibile, ma intelligibile. Molti filosofi naturalmente non danno molto valore a questi argomenti.
Noiret: “Si sente a tanta distanza da Cartesio già echeggiare il ‘cogito ergo sum’ e se vi sono delle
differenze tra i filosofi, non sono tutte a svantaggio di Agostino”. Ogni volta che si parla di questo
argomento agostiniano sul ‘dubito’, si cita sempre Cartesio. Però per Ag. questo atto interiore fonda la
verità, dà la certezza della verità da cui si parte per fare altre considerazioni. Invece per Cartesio quel
‘cogito ergo sum’ ha valore di metodo e non si preoccupa della certezza per opporsi allo scetticismo, ma
si preoccupa di trovare idee chiare e distinte che siano poi un punto di riferimento per tutte le altre
affermazioni che si faranno, cioè la filosofia per Cartesio deve procedere sempre per idee chiare e
distinte. Ora la prima idea chiara e distinta è proprio questa: “Cogito, ergo sum”, ma ha valore di metodo:
Page 43
Cartesio non si preoccupa di stabilire la certezza. Agostino ha un'altra preoccupazione e ricorre a questo
argomento per altre preoccupazioni, per dimostrare che l’uomo può conoscere la verità. Boyere prosegue
che “né Ag., né Cartesio si contentano di constatare il fatto della certezza della propria esistenza. Cartesio
ne fa la prima delle certezze di chi pensa ordinatamente e il modello dell’evidenza o dell’idea chiara e
distinta; S. Agostino ne fa un punto di partenza per pervenire ad altre verità, alla conoscenza dell’anima e
di Dio, ma il primo uso che ne fa e che condiziona tutti gli altri è di costatare l’esistenza non tanto di una
verità, ma della verità ed insieme del fatto del nostro potere di conoscerla. L’esistenza della verità è quella
di una realtà permanente e assoluta che non creiamo noi, ma a cui ci sottomettiamo come nostra regola”.
Anche Michele Federico Sciacca, un grande filosofo italiano degli anni ’50, ha scritto l’opera S.
Agostino. Nel I vol. a pag. 151: “Agostino muove da un invito: chi è sicuro di dubitare cerchi donde gli
derivi questa sicurezza: evidentemente dalla coscienza che egli ha del dubbio: è sicuro di dubitare, perché
è sicuro di esistere come essere dubitante, cioè di essere che pensa: di che ordine è questa verità?
Certamente non di ordine sensibile, ma di ordine intelligibile; infatti non si è scoperta la luce materiale,
ma la luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo. L’autocoscienza dunque, testimoniando di se
stessa testimonia dell’esistenza del mondo intelligibile, in cui va cercata la verità, in quanto non vi
potrebbe essere l'intuizione dell’evidenza personale senza essere partecipi della verità in sé, da cui deriva
ogni nostro vero, senza essere illuminati da una sorgente che è al di là di noi e che noi non vediamo
direttamente.
Il II principio degli accademici: “Nulli rei assentiendum”, come viene confutato da Agostino? Questo
principio è una conseguenza del principio precedente, quindi se si è dimostrato errato il primo principio,
la conseguenza è che alla verità che si è scoperta noi dobbiamo dare l’assenso. Quindi già l’argomento
precedente ci può dispensare da questo. A siccome questo secondo principio è stato proposto dagli
accademici per quanto riguarda la vita pratica necessita di un ragionamento a parte. E’ stato proposto per
la vita pratica perché gli avversari degli accademici, gli stoici, facevano osservare che se essi non hanno
alcuna certezza, non hanno neanche nessun motivo per agire per compiere qualsiasi azione. Uno agisce
sempre per un motivo, per una ragione. Ma se non c’è nessuna conoscenza certa, perché agire. Chi non dà
l’assenso a nessuna conoscenza certa, non può neanche agire. Gli accademici rispondevano non perché
erano convinti di qualche verità, ma perché è più verosimile e probabile; si agisce cioè non solo in base
alla certezza, ma in base anche a ciò che è probabile o verosimile. Questo è spiegato da Ag. nel II libro
del Contra Academicos 11, 26. Cosa intendono gli accademici per verosimile o probabile. Sono
comunque concetti tirati fuori per rispondere a questa questione degli stoici in ordine alla vita pratica.
Anche Agostino si pone su un piano pratico. Già Platone con i dialoghi non seguono sempre una
Page 44
dimostrazione deduttiva; a volte fanno ricorso agli argomenti propri della retorica. La retorica spesso
parte dagli esempi, da ciò che è probabile, ragionevole e non parte da ciò che non si può dubitare affatto.
La premessa è quella più probabile. Nella parte argomentativa bisogna evidenziare argomenti apodittici e
altri argomenti che partono da premesse ragionevoli e probabile. Ag. fa un ‘exemplum fictum’ per
dimostrare che il principio a cui si ispirano gli accademici per la vita pratica è insostenibile. Questi sono
quadretti molto brillanti: Ag. usa piccole frasi che fanno sorridere. Per dimostrare la verità della
risurrezione invece Ag. usa l’esempio storico: se è risorto già Cristo, anche noi risorgeremo. Qui invece
l’esempio è fittizio:
Immaginiamo due viaggiatori: uno, un povero pastore e un altro un cavaliere. Arrivano allo stesso bivio,
perché devono andare alla stessa città. Arrivati a questo bivio il pastore si rivolge al primo che capita e
chiede quale sia la via giusta per andare a quella città e crede in buona fede alla prima indicazione che
ottiene; non si fa domande sulla certezza della risposta che riceve. Il cavaliere, che è un accademico, non
vuole dare l’assenso a nessuna affermazione e allora va cercando ciò che è più verosimile e aspetta che
passi uno più nobile, della sua condizione sociale e quando arriva questa persona gli chiede la strada per
andare nella città dove è diretto. Naturalmente accoglie l’indicazione non con la certezza ma con la
probabilità che sia questa. Cosicché il povero arriva subito in città, mentre il cavaliere prende una strada
sbagliata perché quello che gli ha detto la strada forse voleva portarlo in giro. Questo racconto viene
tradotto anche sulla vita pratica.
Ammettiamo pure che un giovane vede una bella signora, sposa di un altro (bisogna tener conto del
diritto romano che punisce l’adulterio, specie se provato). Questo giovane non si pone il problema se sia
giusto o no commettere un adulterio, ritiene che ciò sia a lui permesso. Lo ritiene probabile e viene colto
in flagrante adulterio. Viene citato in tribunale dal marito. Il giudice deve decidere se è colpevole o no.
Viene chiamato a difendere questo giovane un accademico, che è Cicerone, Perché ha entrambi i titoli di
avvocato ed accademico. Per difendere un’accusa di un crimine, la prima difesa è quella di negare il fatto.
Però qui ci sono i testimoni che l’hanno colto in flagrante. Allora bisogna dimostrare che questo atto si
poteva fare, cioè che non era un crimine. Ma Cicerone non può dimostrare con certezza l’illiceità
dell’adulterio; deve solo dimostrare la probabilità della liceità. Il giudice dopo aver ascoltato la bella
difesa dell’avvocato che non ha dimostrato che quello è lecito, punisce quel giovane adultero non dicendo
che è certo che l’adulterio è illecito, ma che è probabilmente illecito, e quindi con questa probabilità lo
condanna. Ag. vuol dire con ironia che non può essere il criterio del probabile o del verosimile un criterio
valido per l'agire morale, bisogna avere la certezza.
Page 45
De beata vita
Nelle Retractationes Ag. dice: “Il libro De beata vita non è stato scritto dopo i libri ‘sugli accademici’,
ma durante la loro composizione, (dopo la disputa del primo libro che raccoglie due giornate di disputa si
ha una pausa di sette giorni e poi si ha la disputa sulla vita beata) e questo dialogo è nato nell’occasione
della circostanza del mio compleanno e durò tre giorni. Dalla disputa risultò questa conclusione: che la
vita beata dell’uomo non consiste se non nella conoscenza perfetta di Dio. Il Contra Academicos era stato
dedicato a Romaniano, invece il De beata vita è dedicato a un nobile dotto milanese cristiano, anche lui
neoplatonico (Manlio Teodoro). Ag. dice che gli dispiace di aver tributato un elogio troppo alto a questo
Manlio Teodoro. Lo riconosce come dotto cristiano ma poi ha ceduto. Corregge un idea importante:
sostiene che già durante questa vita si può giungere alla sapienza e con la sapienza anche alla felicità,
nonostante la condizione del corpo. I dolori fisici non impediscono la felicità al sapiente.
Lo studio più importante sul De beata vita è quello di Luigi Franco Pizzolato, che insegna a Milano,
Università Cattolica, Il De Beata vita o la possibile felicità nel tempo. E’ un’idea questa che ha un certo
rilievo, perché la sostiene anche nel De ordine, ma che poi corregge. Nelle Retractationes la critica
esplicitamente: “Ho detto che durante questa vita solo nell’animo del sapiente abita la felicità, in
qualunque condizione si trovi il suo corpo”. Il dolore fisico, secondo gli stoici, Plotino ed Agostino, non
impediscono la felicità su questa terra; ma poi dice che il sapiente potrà solo attenuare il dolore e non
eliminarlo. “Lo stesso Apostolo Paolo parla della felicità vera solo dopo la morte, quando vedremo non
‘in speculum et in aenigmate’, ma quando vedremo Dio faccia a faccia”. Questo Ag lo dirà nel De vera
religione del 390, mentre in questo anni è piuttosto ottimista. E’ un errore di cui lui stesso si ravvede.
N alcuni passi questo dialogo sembra oscuro e un po’ confuso. Il motivo è nel III capitolo: “Ho trovato
che questo dialogo nel nostro codice (quello che aveva ad Ippona) era interrotto e gli mancava qualche
cosa che non è poco, ma alcuni fratelli lo hanno trascritto in questo modo ed io quando ho fatto questa
ritrattazione non avevo ancora il codice integro per emendarlo.
LEZIONE IX DEL 9 Dicembre 1999.
Segue: De beata vita
Dichiarazioni di Agostino nelle Retractationes. E’ importante anche leggere il § 6 del primo capitolo
del De beata vita dove si legge con più precisione la data in cui fu tenuta la disputa: “Il 13 Novembre era
il giorno del mio compleanno. Dopo un pranzo leggero che non impedisse l’esercizio della mente, tutti
quelli che stavano con me tutti i giorni, li invitai a sederci nelle terme, oppure in luogo appartato, quanto
Page 46
mai adatto al tempo atmosferico (non era bel tempo). Erano presenti, e adesso non mi vergogno di
presentare la tua benevolenza singolare, anzitutto nostra madre (Monica), il fatto stesso che io vivo lo
devo a lei, poi il mio fratello Navigio, poi i due discepoli Trigetius e Ticentius. Poi concittadine e
discepoli; Volli che non mancassero neppure i miei due cugini Cassidiano e Rusticum che non avevano
studiato neppure la grammatica. Ritenni necessaria la loro presenza perché essi rappresentavano il senso
comune. Questo ci rivela che questo dialogo è un dialogo essoterico, non esoterico: la discussione non è
aperto solo agli alunni della scuola, ma anche agli altri.
ANCHE Platone ed Aristotele facevano questi dialoghi. Platone faceva però anche dialoghi essoterici,
come Aristotele, cioè libri destinati esclusivamente alla scuola. Ci sono dottrine trasmesse oralmente di
questi autori che noi non conosciamo del tutto bene, e magari nel neoplatonismo confluiscono idee, ma
non per questa via, ma attraverso la scuola. Questi due cugini e non solo loro, ma anche Adeodato, che
era il più piccolo, era però di grande ingegno.
Tutti questi personaggi, ma anche il modo in cui viene presentato il dialogo la fa annoverare tra i dialoghi
conviviali (perché ambientato durante un convivio) del genere essoterico (e non esoterico). Agostino è
l’anfitrione che il giorno del suo compleanno prepara un pasto per i suoi amici. Anzi, al di sopra di
Agostino appare Dio stesso che offre ad Agostino un cibo spirituale.
Tutti questi elementi riguardano il genere letterario di questo dialogo. Il suo carattere essoterico di questo
dialogo è stato messo in luce dal già citato L. F. Pizzolato, Il de beata vita o la possibile felicità nel
tempo, in “L’opera letteraria di Agostino tra Cassiciaco e Milano”, Palermo 1987.
Struttura e Contenuto:
De beata vita si divide in 4 capitoli. Probabilmente il terzo, che è il più breve, manca di qualche parte.
A parte questo,
il I capitolo è tutto introduttivo e abbraccia 6 paragrafi. C’è la dedica a Manlio Teodoro e poi
l’introduzione viene fatta con un’allegoria che è una metafora continuata, sviluppata molto: la filosofia è
come un porto dal quale si sbarca nella terra della felicità. Il porto della filosofia viene anche chiamato
‘Portus tranquillitatis’. Ag. descrive a Teodoro tre categorie di naviganti. Ci sono uomini che appena si
dedicano alla filosofia entrano subito nel porto e non c’è bisogno di nessun avvenimento interiore che li
spinga ad entrare nel porto, non vi si sono mai allontanati. Ma questi sono pochi; altri arrivano alla
filosofia dopo una grande tempesta, cioè per esempio la perdita di tutti i beni economici o una disgrazia
Page 47
familiare, ecc. Questa era gente che si era allontanata molto dal porto, però poi una provvidenziale
tempesta li riporta al porto della filosofia. C’è una terza categoria, di gente che forse non si è mai
allontanata molto dal porto, però non si decideva mai ad entrare. Anche qui ci vuole una tempesta, anche
se di lieve entità per tornare alla filosofia; in questa terza filosofia Ag. vede se stesso, è un’allusione
autobiografica.
Il tema viene detto nel 2° capitolo, 7-16. Il punto di partenza del dialogo è il dato di fatto che la
tradizione filosofica riteneva un dato accettato da tutti: tutti vogliono essere felici. Tutta la filosofia
antica, soprattutto ellenistica è orientata in senso ‘eudemonistico’, cioè orientata alla ricerca della felicità.
Agostino lo trova scritto anche nell’Hortensius di Cicerone. Ma per Cicerone per essere felice bisogna
avere ciò che si vuole e che si voglia ciò che è conveniente. Ag. proprio per spiegare questi principi fa
delle domande in cui il maestro provoca il discepolo a rispondere. Qual è quest’oggetto conveniente che
chi lo possiede lo rende felice? Innanzitutto è un bene non passeggero. Il vero bene che ci rende felici è
Dio stesso, che nessuno può perdere senza sua colpa. Poi Ag. dice che se per essere felici significa
possedere Dio, cosa significa possedere Dio. Il primo interlocutore risponde che possedere Dio significa
‘vivere bene’, rettamente, chi vive rettamente ha Dio. Invece un altro dice che possiede Dio chi fa ‘la
volontà Dio’. Infine Adeodato dice che avere Dio significa essere casto, cioè rimanere sempre unito a
Dio.
Nel III capitolo, 17-22, Ag. fa esplodere la contraddizione che c’è in questa risposta. Vivere bene non
significa possedere Dio; significa solo che Egli è propizio, ma ancora lo si cerca e si è in cammino per il
possesso pieno di Dio. Qui c’è una distinzione: si può avere Dio, mantre si cerca Dio, perché a chi fa la
sua volontà Dio è propizio. Però Ag. fa questo ragionamento per sottolineare la differenza che c’è tra il
cercare e il trovare, quaerere et invenire, sono due momenti diversi. Solo chi trova Dio (inventio veritatis)
possiede interamente Dio e non chi lo cerca. Qui entra il discorso degli accademici i quali dicevano che è
sapiente solo chi cerca la verità. La soluzione di Porfirio può anche passare ma non quella degli
Accademici che cercano la verità senza poterla trovare.
Nel IV capitolo, 23-36 c’è la più grande difficoltà e la maggiore importanza. Qui Ag. vuole dimostrare
che come nell’animo c’è il desiderio della felicità, c’è anche la naturale capacità di conoscere la verità che
rende felici. L’uomo non ha soltanto un desiderio inutile (Sartre), Ag. dice che a questo desiderio
corrisponde una capacità del nostro animo e della nostra mente che sola ci rende felici. Tutto il
ragionamento deve dimostrare che l’uomo ha questa capacità ontologicamente. La mente umana è
destinata a conoscere Dio, la verità e solo allora si appaga. Il metodo che Ag. segue in questi dialoghi è
Page 48
sempre lo stesso: è la fede che insegna la verità. Però Ag. non si accontenta della fede, vuole anche capire
con la ragione ciò che la fede ci spiega. Dietro c’è un passo del Vangelo di Gv 17, 3: “Questa è la vita
eterna, che conoscano te unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Nella lettura di Ambrogio
questa frase è intesa in senso trinitario. La vita eterna e dunque la vita beata dell’uomo sta nel conoscere
Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ag. che durante quell’estate era abbastanza libero e aveva letto
le opere di Ambrogio e di Mario Vittorino aveva compreso questi testi. Ma nelle affermazioni di
Ambrogio c’è solo il dato di fede; Ag. invece fa filosofia, vuole capire razionalmente il dato di fede. Deve
partire con argomentazioni del tutto razionali. Ag parte da un’affermazione comune a tutta la filosofia
antica: la felicità è la sapienza, mentre lo stolto è l’uomo infelice. Però Ag. scende al particolare su ‘che
cosa significa essere stolto, povero, infelice, miserabile?’. La miseria vera abbiamo detto è la stoltezza.
Ma essa non è la mancanza di beni materiali o corporali, ma la privazione, l’egestas.
Porta l’esempio di un ricchissimo romano, Orata, che aveva immense ricchezze ma aveva il terrore di
perdere tutto. E’ no stolto perché non ha riposto il suo desiderio nei beni veri, ma ha riposto il suo
desiderio in beni caduchi, temporanei, è sempre un ‘egenus’, un povero. Il vero ricco invece è colui che
non manca di nulla, ha la sapienza e possiede tutto ciò che vuole e non ha posto il suo desiderio in beni
che passano. Per arrivare alla sua conclusione (‘locus a contrario’) Ag. dice che se ‘egestas’ è la vera
stoltezza, qual è il contrario dell’egestas? Non l’abbondanza dei beni corporali, ma la ‘plenitudo’, la
pienezza, che possiede niente di più di quello che deve avere e niente di meno di ciò che non deve avere,
è la pienezza dell’animo. Il contrario della stoltezza è la sapienza. L’argomento si può leggere nel § 32. Il
moto dell’animo è la sapienza. Non si può negare che la sapienza è contraria alla stoltezza e la stoltezza è
privazione; ma alla ‘egestas’ è contraria la ‘pienezza’, quindi la sapienza è pienezza: nella pienezza c’è la
misura. La misura dell’animo è nella sapienza. Con questa categoria del ‘modus animi’ Ag. passa da una
considerazione puramente etica, a una ontologica. Il ‘Modus animi’ è la misura dell’essere partecipata da
Dio all’uomo che vene riempita solo quando conosce Dio. Ma Ag. non si ferma qui, aggiunge dei
passaggi importanti. Qui il discorso è della fede esplicita. La fede stessa oltre che la ragione ci dice che la
vera sapienza è il figlio di Dio, che nel Vangelo stesso ci dice ‘IO sono la verità’.
Chi conosce il figlio di Dio è sapiente e felice. Ma con altri ragionamenti fa vedere che conoscere la
verità è conoscere insieme il padre e lo Spirito Santo che è generato dal Padre. Qui esprime la fede stessa
dei PP., di Ambrogio, nel De fide: “Il Figlio non è senza il Padre e né il Padre è senza il Figlio, ma tutti e
due sono sempre insieme”.
Page 49
Il modus supremus, la misura suprema è Dio stesso, il primo principio: questo è un termine plotiniano.
Nelle Enneadi, dice Plotino, l’Uno è misura di tutte le cose, ma non è misurato da nessuno ed è quindi il
‘Modus’ più alto. Qui Ag. mette insieme i dati della fede con quelli della filosofia, perché sta facendo un
trattato di filosofia, però il ricorso alla fede è stato esplicito e più di una volta.
§ 35: nel § 34 aveva parlato delle relazioni tra il Padre e il Figlio. Qui invece parla delle relazioni tra il
Figlio e lo Spirito Santo. Qui c’è l’eco della diade trinitaria di Mario Vittorino. E’ stato Mario Vittorino a
presentare la Trinità divina con questo schema diadico: Padre-Figlio e Figlio-Spirito Santo. Ma ci sono
anche altri indizi che qui c’è l’eco di Mario Vittorino, per esempio la presenza come ‘admonitio
quaedam’. Il richiamo interiore è lo stesso Spirito Santo che fa si che noi ci ricordiamo di Dio, che lo
cerchiamo e che ne abbiamo sete senza mai provare stanchezza.
Continuando c’è anche un’allusione all’inno Ambrosiano ‘Splendor paternae gloriae’: quest’’admonitio’
viene a noi dalla stessa fonte della verità, cioè l’intelletto divino, il Figlio di Dio. Ma poi ‘il sole nascosto
e misterioso incombe ai nostri occhi interiori questo raggio luminoso (sono le parole esatte dell’inno di S.
Ambrogio).
Già in Mario Vittorino ci sono espressioni simili: ‘Lo Spirito Santo fa che noi ci affrettiamo’. Poi usa
l’espressione che ‘lo Spirito Santo è perfetto Dio, senza alcuna degenerazione’. Solo il Figlio si può dire
che è degenerato. In questi dialoghi c’è l’influsso molto forte degli autori cristiani.
Definizione della ‘beata vita’ (4, 35)
In che cosa consiste la sazietà piena degli animi, che è la ‘beata vita’? Sembra un enigma. Qui gli
studiosi si sono sbizzarriti ad interpretare: queste tre realtà, per chi capisce è un solo Dio e una sola
sostanza, e queste tre realtà mostrano un unico Dio e un'unica sostanza, escluse le vanità della
superstizione (si riferisce a tutte le presentazioni della Trinità divina eretiche o addirittura pagane, come
sono quelle dei Platonici e degli ariani). Con questa formula un po’ enigmatica viene indicata la triade
divina: tre persone, una sola sostanza. “Monica come risvegliandosi alla sua fede, si ricorda del verso di
Ambrogio: fove precantes Trinitas.
In Pizzolato qui vengono espresse le tre ipostasi plotiniane. Questo autore ha fatto scuola. Ag nei
dialoghi ha confuso la Trinità cristiana con quella di Plotino. Ma questo non ha senso. Una conoscenza
religiosa, pia, ma anche perfetta di Dio trino. Qui Pizzolato e tanti altri mostra di Agostino un a
concezione molto intellettualistica. E’ già possibile che si raggiunga la felicità in questa vita nonostante le
Page 50
condizioni del corpo, qui è l’intellettualismo. Già nel De vera religione Ag. si libera e segue S. Paolo:
finché viviamo in questo mondo dobbiamo vedere Dio in ‘speculum et aenigmate’. Avremo sempre da
combattere nelle nostre membra: la carne contro lo Spirito e lo Spirito contro la carne. Però da chi ha
preso Ag. l’intellettualismo. Se leggiamo S. Ambrogio, De Iacob et de vita beata troviamo che
Ambrogio ha la stessa idea di Agostino e lo dice anche in modo molto retorico. Nessun dolore del corpo o
dell’animo può togliere la felicità al sapiente. Anche alcuni concetti dell’uomo perfetto come ‘Modus’
dell’animo umano, sono concetti che si ritrovano nel II libro del De vita beata di Ambrogio, perché
proprio Ambrogio all’inizio dell’anno 486 aveva tenuto dei discorsi in Chiesa proprio sulla vita beata, che
poi furono scritti. Ag. scrive alla fine dell’anno, ma Ambrogio aveva trattato all’inizio lo stesso
argomento. Non abbiamo un argomento assolutamente probante, però possiamo supporre che sia
l’argomentazione generale, di una felicità possibile nel tempo, sia tante categorie che Ag. usa nel De
beata vita, come il concetto di ‘egestas’ che si trova in diverse parti, soprattutto nel I libro 7, 32 e in I 8,
39. Anche il concetto del ‘portus tranquillitatis’ è introdotto da Ambrogio in I, 6, 24: “chi è sempre nel
porto della tranquillità, non sente sofferenze, naufragi e dolori fisici”. Ag. quindi sicuramente tiene
presenti gli insegnamenti di Ambrogio, almeno oralmente, se non ha già letto il libro pubblicato.
Dobbiamo interpretare che l’oggetto del conoscere sia un espressione che dobbiamo intendere da quella
del Vangelo che dallo Spirito Santo dobbiamo conoscere la verità. E’ importante la concezione della
grazia in S. Agostino che è convinto che lo Spirito Santo interiormente chiama gli uomini a Dio. Invece
Pizzolato intende che il ‘Modus animi’ fa entrare nella Sapienza. Invece Ag. dice che la Sapienza è il
‘Modus animi’. C’è bisogno del continuo riferimento alla fede cristiana, altrimenti diventa
incomprensibile il testo di Agostino. La verità è il Figlio, è la Sapienza divina.
Durois e Pizzolato invece ritengono che questa ‘veritas’ sia l’intelletto plotiniano. Ma allora non si può
parlare più di una sola sostanza, l’intelletto divino per Plotino e Porfirio è inferiore al Padre. Per non
parlare poi dell’anima universale che è mutabile e che Agostino non può considerare neanche divina,
perché distingue il creatore immutabile e la creatura mutevole. Ag. non ha fatto confusione, confusione
l’hanno fatta gli studiosi che non hanno ritenuto che Agostino si era convertito realmente al cristianesimo
nel 386, e allora arrivano a leggerlo in chiave plotiniana. Sempre nei libri che Agostino scriverà dopo il
Battesimo, la ‘connectio’ a Dio è opera dello Spirito Santo (De moribus ecclesiae catholicae). ‘Charitate
iungimur deo’. La carità che lo Spirito Santo diffonde in noi fa si che noi rimaniamo uniti a Dio. E’ Ag.
stesso che nei libri successivi ci aiuta a capire ciò che ha scritto prima.
Page 51
De Ordine.
In questo grande dialogo Agostino tratta di alta metafisica, ma molti studiosi moderni neanche di questo
si sono accorti e magari dicono che Ag. sta facendo retorica. Si fa dire a S. Agostino tutto l’opposto di
quello che vuole dire. Il metodo è quello di partire dalle Retractationes I, 3, 1: la disputa fu tenuta in
quella settimana di pausa tra il primo e il secondo libro del Contra Academicos, immediatamente dopo il
De beata vita. Se questa fu tenuta il 13-15 Novembre del 386, nei giorni immediatamente seguente egli
ha tenuto una disputa con i suoi discepoli sull’ordine nel mondo. Però ha scritto solo la disputa del I libro.
L’altra fu fatta (II libro) quando ha terminato la disputa del Contra Academicos e si pensa dopo il 25
Novembre.
Anchequesto è un dialogo maieutico in cui i protagonisti sono Agostino, Trigenzio, Licenzio e in parte
anche Alipio, ma gli altri non intervengono quasi mai, solo Monica interviene ma è simbolo come al
solito del cristiano che crede ma non ha approfondito la sua fede. Monica ha sempre questo ruolo. A un
certo punto dice Ag. di lei: “la tua filosofia mi è molto piaciuta. In senso ampio la filosofia si identifica
per Ag. con il cristianesimo. Ma la filosofia in senso proprio suppone la ragione e così, in questo senso
non ogni cristiano è filosofo, ma solo colui che sa usare la dialettica, la retorica e tante altre cose.
Ambientazione
E’ sempre nella villa di Verocondo ma la scena del dialogo si sposta: questo dialogo presenta degli
ambienti che sono molto diversi, non solo in una cornice esteriore, ma quello che avviene da lo spunto per
il dialogo, cioè dialogo ed ambiente sono ben connessi. Per es. il dialogo si apre con un’immagine di
questo genere: tutti stanno in un dormitorio, è notte profonda, però Ag. si accorge, lui che è sveglio, si
accorge che Licenzio, anche lui è sveglio, e gli rivolge la parola. “Non senti qualche cosa di strano? – Sì
sento il rumore dell’acqua del canale che porta l’acqua ai bagni che prima si ferma e poi riprende. C’è una
causa?” Lo spunto del dialogo è il principio di causalità. Tutto ciò che avviene ha una causa o avviene per
caso? Questo dialogo è contro gli epicurei, secondo i quali tutto avviene per caso. Il principio di causalità
è già difeso nel Timeo platonico, in Plotino e negli stoici, eccetto negli epicurei. Nihil fit sine causa.
Poi però sentono un topolino che sta rodendo il piede di un letto e si sveglia anche Trigenzio e
cominciano a dialogare a più voci. Questa cosa è causale perché Dio si serve del topolino per svegliarci e
farci avere una discussione. Dopo questa discussione notturna che passa in rassegna i problemi della
filosofia antica, prima tratta dell’ordine del mondo: prima si tratta della teoria atomistica epicurea-
democritea. Poi si passa a parlare della posizione fatalistica degli stoici: tutto avviene senza causa, ma
nulla avviene senza ordine. Tutto è ordinato Anche il male, tutto ha una serie infinita di cause, questo lo
Page 52
diceva anche Cicerone per sostenere il fatalismo (‘fatum’). Ma non basta. La mattina si svegliano e dopo
aver detto le preghiere escono fuori all’aperto e assistono alla zuffa di due galli. E ammirano che pure
questo è ordinato; la natura ha tutto ordinato. Però poi per far vedere che l’ordine non è solo quello della
natura, poco dopo su una questione di fede, se Dio sia soggetto o no all’ordine, Plotino sostiene che Dio
obbedisce all’ordine. La provvidenza divina obbedisce all’ordine dell’intelletto divino. La provvidenza
divina che agisce nel mondo contempla l’ordine nell’intelletto divino e lo attualizza. Invece Ag. dice che
Dio non è soggetto all’ordine, ma lui fa tutto con ordine. Queste tre posizioni Ag. la illustra perché alla
zuffa dei galli sostituisce Trigenzio e Licenzio. Uno ha detto un grosso errore, cioè che Cristo non è
propriamente Dio, ma propriamente Dio è solo il Padre. Di fronte a questa bestemmia Trigenzio subito si
scaglia contro Licenzio. Ag. dice che l’uomo anche quando tratta di argomenti così divini si mette fuori
dell’ordine morale. L’ordine naturale è diverso dall’ordine morale dell’uomo. Plotino nella III Enneade1,
2, che Ag. difende molto, ma che si distacca proprio nella posizione finale, dice che non tutto avviene
nell’ordine.
Il secondo principio stabilito da Licenzio è che Nihil fit praeter odinem. Invece questa seconda scena
vuole dimostrare che mentre per i galli bisticciarsi non c’è nessun disordine, per l’uomo c’è il vizio, il
peccato, la non volontà di ammettere di aver sbagliato. Per questo è uno dei dialoghi meglio riusciti anche
dal punto di vista letterario.
Struttura
Si divide in due libri. Il primo libro ci ricorda la disputa avvenuta il primo giorno e la seconda, la
disputa avvenuta il secondo giorno.
Per quanto riguarda il contenuto, dobbiamo fare un’altra descrizione di questa struttura. Ci sono due
argomenti: uno in chiave antiplotiniana, L’ordine del mondo e la provvidenza divina. Questa prima parte
non finisce con il primo libro, ma prosegue nel II fino al paragrafo 23 del II libro: fino a II, 7, 23. Questo
tema del male e della provvidenza divina prende tutte queste parti. L’altra parte del libro è in chiave
antiporfiriana: come è possibile giungere alla perfetta sapienza, cioè al principio primo, il Padre? In II, 8,
26 dice che alla conoscenza dell’intelletto divino, in cui sono tutte le cose (rationes, o lÒgoi nohra…) e
le cause di tutte le cose, bisogna aggiungere che Egli è tutte le cose. Plotinianamente l’intelletto divino è
uno e molti. Qui Ag. riprende in toto l’argomentazione di Plotino. Egli è tutte le cose, ma è anche al di là
di tutte le cose. Perché usa tutti questi ternmini platonici? Perché vuole contrapporsi a quello che dice
Porfirio nel De regressu animae. In questo libro, lo sappiamo dal libro X del De civitate Dei, si dice che
nessun uomo durante questa vita può giungere alla perfetta sapienza. Nessun uomo può giungere
all’intelletto Divino, cioè cristianamente, il Padre. A questo Ag. si oppone con grande ottimismo perché
Page 53
dice che almeno pochi, già in questa vita possono conoscere il Padre e dunque possono avere la perfetta
sapienza e anche quelli che non lo hanno conosciuto in questa vita, possono godere di una purificazione,
il Purgatorio, col quale possono sperare di purificarsi senza dovere reincarnarsi.
Il motivo per cui Ag. è così ottimista è che Cristo è la verità, e se attraverso il Figlio si conosce il Padre,
allora è chiaro che deve affermare che anche nella vita cristiana si può conoscere anche il Padre.
Lezione X del 16 Dicembre 1999
De Ordine
E' uno dei dialoghi più importanti. Abbiamo detto qualcosa circa l’inquadramento storico che ne fanno
le Retactationes. Il dialogo si svolge nei diversi ambienti. C’è relazione tra il contenuto del dialogo e la
cornice.
Struttura del dialogo
Questo è uno dei dialoghi meno compresi. Dipende dalla mancanza di pazienza nel rileggerlo. Sono
venute fuori letture un po' superficiali. Nella "Bibliotheque Augustinienne", il De ordine è ricchissimo di
introduzione e note di Joan Doignon, ma, secondo Cipriani, questo professore ancora non ha capito i
punti essenziali, i problemi che sono trattati.
Si divide in 2 libri.
Il I si apre con un proemio che comprende 2 capitoli 1, 1-2, 5. E' un introduzione molto importante. Il
problema del male nel mondo ha portato alcuni a restringere la provvidenza divina alle cose più grandi
che avvengono nel mondo e a toglierla per quelle meno importanti. Cicerone, per esempio, nega la
provvidenza divina che si estende anche alle cose umane in nome della libertà umana. Se Dio nella sua
prescienza prevede tutto quello che l'uomo fa allora questo nega la libertà umana. Per Cicerone se
vogliamo affermare la libertà dell’uomo dobbiamo negare la provvidenza divina. Ag cita questa tesi di
Cicerone nel V libro del De civitate dei. La causa del mondo è Dio, per cui tutti i mali dipendono pure da
lui. Dice però Ag. che questa e l'altra posizione contro la provvidenza sono blasfeme.
Ag. risponde con l'ordine che vi é nell'universo. Già gli antichi avevano potuto prevedere le eclissi e le
stagioni: l’astronomia era sempre stata oggetto di ammirazione da parte degli antichi. Tutto questo aveva
fatto pensare alla provvidenza divina che ha organizzato tutto. Gli stoici avevano fatto l'elogio del mondo
Page 54
per esaltare la provvidenza divina. Ma coloro che ammettono la provvidenza riconoscono l'ordine che c'è
nel mondo e lo spiegano in modo diverso. Agostino presenta tre soluzioni.
I) Gli atomisti dicono che l'incontro fortuito degli atomi ha provocato casualmente l'ordine che c'è nel
mondo. II) Gli stoici negavano la provvidenza e dicevano che niente avviene senza una causa; è il destino,
il 'fatum', che domina il mondo: c'è una ratio che domina il mondo.
Tutto è ordinato, perché tutto ha una causa. Ag. accenna a queste due costruzioni. III) Una spiegazione
che riconosce che nel mondo c'è una razionalità l'attribuisce a un ordine interno a ogni singolo essere,
negando però che tutto sia ordinato. La natura, mediante una punizione contribuisce a far rientrare anche
il male in un ordine universale. Questa terza ipotesi che viene accennata nell'introduzione si riferisce
proprio a Plotino il quale nella III Enneade, 1, prima critica gli epicurei atomisti e poi gli stoici perché
negano che il male morale dell’uomo sia disordine (ogni azione ha la sua causa).
Già in questa introduzioni gli studiosi non avevano capito che le prime due soluzioni erano quelle
criticate da Plotino, ma la terza è proprio di Plotino. Ag. critica le tre posizioni presentate all'inizio per
presentare una sua soluzione diversa almeno in parte da quella di Plotino. L'introduzione (I, 1-2) ha
quindi la sua importanza.
L'ambiente è quello del dormitorio comune e di notte (cap. 3,6-7,19). Qui vengono criticate le tre
posizioni suaccennate. Importanti sono i capp. 7,18-19 in cui si critica la posizione di Plotino: l'idea di
ordine e di giustizia esigono già la distinzione del bene e del male e se dunque affermiamo che l'ordine e
la giustizia sono eterni, dobbiamo dire che anche il male sia eterno.
Licenzio che prima aveva accennato alla posizione degli atomisti e poi a quella degli stoici, ora accenna
a quella di Plotino. "Dio non ama il male per nessun altro motivo se non perché l'ordine esige che Dio odi
il male. L'ordine è superiore a Dio. Dio odia il male solo perché c'è un ordine che deve rispettare. Ora Dio
ama molto l'ordine, perché per mezzo di questo ordine non ama il male. I mali allora come possono essere
nell'ordine se Dio non li ama? E' questo l'ordine del male, che non sia amato da Dio. Ti sembra piccolo
quest'ordine, che Dio ami il bene e odi il male? Anche i mali sono fuori dell'ordine, perché Dio non li
ama. Questo ordine e questa disposizione eterna custodiscono la bellezza dell'universo con la stessa
distinzione del bene e del male, perciò ne consegue che anche i mali sono necessari, li esige l'ordine
universale, perciò, come dai contrari, la luce serve alle tenebre, così anche il male serve al bene".
Page 55
Poi passa alla giustizia che è la virtù che da a ciascuno il suo. "Ma se questa giustizia è eterna punisce i
cattivi e premia il bene. Se è eterna allora anche qui la giustizia esige la necessità del male. Non c'è
nessuna distinzione se tutto è buono. Cosa si può trovare al di fuori dell'ordine se la giustizia di Dio rende
a ciascuno il suo, secondo i meriti?". L'ultima parte del dialogo ritornerà su questa teoria dell'ordine e
della giustizia.
Questa prima parte che presenta tutte le soluzioni pagane dell'ordine esistente nel mondo arriva fino al
cap. 7, 19 del libro. Poi c'è il libro I 7,20-8,24: rievoca le dispute fatte in precedenza con Zenobio. Poi c'è
Licenzio che si diverte a fare il poeta e si entusiasma della filosofia. Ci è giunta tramite Paolino di Nola
una poesia di Licenzio. Ag. sperava che si convertisse dalla poesia alla filosofia. Ma Ag. parla anche delle
preghiere che fa Licenzio. Ag scrive cercando anche di rendere gioioso e piacevole il dialogo. Questo è
proprio del genere dialogico. La seconda parte I 8-25, 9-27, descrive la zuffa dei galli. Verso le terme
davanti alla porta assistono a questa zuffa. Ma questo è solo un intermezzo che serve a riprendere il
discorso. Continua allora con I, 10, 28-29: niente avviene senza causa e niente fuori (praeter) dell'ordine.
Ma qui viene presentato il principio secondo cui Dio attraverso l'ordine governa tutto. Questo si ricollega
a ciò che aveva detto Plotino che sosteneva che anche Dio obbedisce all'ordine.
Ma allora se questo è vero anche Dio deve obbedire all'ordine ed è inferiore all'ordine. Dio crea e non
può essere soggetto a nessuno, dice Ag. Da questa battuta sorge un litigio tra i giovani. Evidentemente
Ag. vuol far vedere che una zuffa che avviene nel mondo animale è ordinata, mentre la zuffa che avviene
tra gli uomini non è ordinata. Una cosa è l'ordine della natura e una cosa è l'ordine morale. Comunque a
questo punto avviene la conclusione, che è data dall'11° cap. 3-30.
Passando al II libro abbiamo un piccolo esordio, ma solo per introdurre la discussione (II 1, 1) Già però
in II 2, 10- 4, 13, viene detto che lo stolto compie tante azioni che sono contrarie all'ordine, quindi non è
vero il principio stoico che niente avviene al di fuori dell’ordine. La maggior parte degli uomini sono
stolti e non sapienti. Non si può quindi mettere come principio generale che 'tutto ha una causa e quindi
niente avviene fuori dell'ordine'.
Ag. sostiene che gli uomini possono mettersi fuori dell'ordine proprio (II, 4, 11): "Infatti tutta la vita
degli stolti in se stessa non è affatto ordinata" (distinzione dagli stoici) "però la Provvidenza divina la fa
rientrare nell'ordine necessariamente”. Ecco come agisce la provvidenza divina secondo Plotino: essa non
permette che la vita degli stolti sia disordinata, ma in nessun modo permette che ci sia in un luogo dove
Page 56
non deve esserci, nei luoghi eternamente disposti dalla legge eterna. La giustizia eterna esige il male.
Questo ordine eterno fa rientrare nel male il disordine fatto dall'uomo necessariamente secondo la legge
eterna. L'autore fa togliere al giudizio divino l'ordine universale. A uno che ha un orizzonte limitato e
contempla le cose che avvengono nel mondo fissandosi sui dettagli, quando si guarda ciò che avviene nel
mondo, uno viene colpito soprattutto dalla bruttezza morale, dal disordine che c'è nel mondo. Ma se
levando gli occhi della mente guarda l'insieme dell'universo, troverà chi guarda non i singoli uomini,
scoprirà che tutto è disposto nel posto giusto". Queste sono le idee di Plotino, che alcuni hanno pensato
che Agostino avesse fatte sue totalmente. Invece Ag. ha rifiutato proprio l'elemento contrario alla fede in
Plotino. Il punto di non trovare niente in contraddizione in Plotino ai Sacris Nostris, spinge Ag. a una
fiducia critica di trovare idee e dottrine che non siano in contrasto. Però questo lo fa permanere in un
atteggiamento critico. Ag. si staccherà da Plotino quando egli dirà che anche il male è necessario. Anche
nel De civitate dei Ag. dice che il male rientra nella totalità della bellezza del mondo, ma lo dice in un
senso diverso da Plotino. Non è vero il principio degli stoici secondo il quale la vita degli stolti è in se
stessa disordinata. Anche se poi vista nell'insieme dell'universo rientra nella totalità dell'ordine. Sotto
questa idea c'è l'idea che le anime degli uomini che non si sono purificate durante la vita, si devono
reincarnare. E secondo Plotino si reincarnano non solo negli altri uomini, ma anche negli animali. Questa
è la provvidenza divina per Plotino: siccome gli uomini si sono comportati male la Provvidenza divina
permette che essi si reincarnino in animale.
Cap. V 14-17: qui Ag comincia ad insistere su un argomento su cui ritornerà presto. Per affrontare il
problema dell'ordine del mondo è necessaria non solo la fede, ma anche lo studio delle discipline liberali.
Riprendendo il dialogo nel cap. VI 18-23 (nei bagni), si dice che non è vero che l'ordine e l'eterna
giustizia divina esigano il male. Il male non è necessario. Il problema di Plotino, all'inizio del II trattato
delle Enneadi dice il motivo per cui respinge la soluzione cristiana (degli gnostici cristiani). Plotino dice
che se i cristiani credono che il mondo non sia eterno (perché lo ha creato), i cristiani ritengono che Dio
ragiona come gli uomini, con un calcolo (logismÒj). Mentre invece la provvidenza divina deve essere
universale. L'ordine è eterno e il tempo è eterno, non ha cominciato ad esistere con la creazione; tutto
quello che c’è è iscritto nell’ordine della provvidenza divina. L'idea metafisica della discussione è: Dio
eterno può intervenire nel tempo facendo una cosa nuova? (Come la creazione). Nella Città di Dio XI,
XII 4-5 Ag. riprende questo punto.
In De Ordine II, 22-23, Ag. risponde a questo ragionamento fatto da Plotino: "Ora tentiamo di
rispondere a quei problemi che avevamo proposto, ma a cui non avevamo dato una risposta. Secondo
questa idea della giustizia di Dio distingue i buoni dai cattivi e da a ciascuno il suo”.
Page 57
La definizione della giustizia esige la distinzione tra il bene e il male. “Ritieni che ci sia stato qualche
tempo in cui Dio non è stato giusto? No. Se Dio è sempre stato giusto sono sempre esistiti i beni e i mali”.
S. Monica dice che Dio non ha emesso alcun giudizio quando non c'è stato il male e non si può dire che
Dio sia stato giusto quando non ha giudicato tra i buoni e i cattivi. “Perciò da quello che dici noi
dobbiamo credere che il male è sempre esistito”. Monica non osa dire che il male è sempre esistito.
Agostino dice che se Dio è giusto perché separa il male dal bene, quando non c'era il male non era giusto.
Trigenzio dice (ed è la conclusione): “Dio è sempre stato giusto. Dio era in grado di giudicare il bene e il
male anche quando il male non esisteva. Dio è sempre stato giusto, ma quando l'uomo ha commesso il
male allora ha esercitato la sua giustizia. La creatura prima non era punita e poi rimane punita. Ma Dio
non cambia”. Ag. porta l'esempio di Cicerone che fu console nell'anno della congiura di Catilina. Esercitò
le sue virtù ma era giusto, forte e prudente anche prima. Dio non diventa giusto solo quando deve
esercitare la giustizia, ma lo era già prima. Se a Cicerone noi possiamo riconoscere che era virtuoso già
prima, quanto più lo possiamo pensare di Dio. Dio è sempre stato giusto, ma non appena è sorto il male è
intervenuto per separarlo dal bene. Non doveva imparare la giustizia col tempo, quando è sorta
l'occasione. Dio non impara ad essere giusto quando l'uomo o l'angelo pecca. Questa è l'idea
fondamentale dove Agostino si allontana da Plotino. Il male non sorge perché l'ordine di Dio lo esige. Il
male nasce fuori e contro l’ordine di Dio. Una volta che però è sorto, Dio interviene, punendolo e
facendolo rientrare nell’ordine. Questo è però l'ordine meritato con il peccato che è un ordine inferiore.
"Ammetto che qualcosa possa avvenire fuori dell'ordine”: se non concede che qualcosa avviene fuori
dell'ordine deve ammettere che il male è nato per ordine di Dio e che quindi Dio è l'autore dei mali. “A
me sembra che questo sia il peggiore dei sacrilegi”. Licenzio fa finta di aver capito. Licenzio non aveva
niente da replicare e tace. Monica mette la firma alla conclusione. Monica non giunge alla conclusione
con la ragione, ma con la fede: “Io non credo che niente può avvenire fuori dell'ordine di Dio, perché il
male che è nato, è nato fuori dell'ordine di Dio, ma la giustizia divina non ha lasciato che rimanesse nel
disordine, ma dall'ordine meritato lo ha fatto rientrare nell'ordine”. Questo concetto Ag. lo ha ripetuto un
infinità di volte (per es. nella Lettera 140, 2-4: “Colui che si è messo fuori dell'ordine coll'ingiustizia dei
peccati, è fatto rientrare nell'ordine con la giustizia dei castighi”). Il male non viene punito dalla natura
universale (com’era per Plotino), ma il male viene punito da Dio quando sorge. Ag. non si è appiattito
sulla soluzione plotiniana. Ag. non ritiene affatto che il male sia necessario, ma ritiene che Dio fa
rientrare il male nell’ordine quando la creatura razionale liberamente lo compie.
Page 58
La creatura razionale è nell'ordine quando è punito. Sarebbe stato un ordine più bello se la creatura
razionale non avesse mai peccato. L'unica preoccupazione di Ag. è che la fede cristiana poteva accettare
l’idea di Plotino che il male morale non si deve considerare in se stesso, ma nella sua globalità, però poi si
distingue. Ag. nel De libero arbitrio III: “Né il peccato, né la pena del peccato erano necessarie per
abbellire il mondo”, sarebbe stato più bello se non ci fossero stati.
Dal cap. 7, 24 in poi Ag. cambia argomento: non parla più dell'ordine dell'universo, ma dell'ordine che
l'uomo deve seguire se vuole giungere a comprendere l'ordine dell'universo. E' necessaria una
preparazione morale, spirituale e intellettuale per affrontare i temi di metafisica. Qui Ag. non dialoga più
con Plotino, ma con Porfirio. Nel § 26 parla della conoscenza che noi dobbiamo cercare di raggiungere:
riguarda l’intelletto divino e il primo principio: le due ipostasi che Plotino e Porfirio mettevano come
punto di riferimento del filosofo, per vivere secondo le virtù noetiche (intellettuali). Anche Platone nel
Fedone, come Porfirio, 'in questa vita nessun uomo giunge a conoscere il principio primo, pochi invece
arrivano a conoscere l'intelletto divino e solo questi pochi saranno ammessi a contemplare l'uno, dopo
questa vita.
Questa è una forma di pessimismo che avevamo già trovato nel Contra Academicos. Oltre il pessimismo
degli accademici c’era anche quello di Porfirio.
Nel De Ordine cap. 9, 26, Ag. si contrappone a Porfirio (cfr. De civitate dei,X 29 o 30 dove parla del
De regressu animae di Porfirio: “Post hanc vitam, pauci”, sono le stesse parole sia in Agostino che in
Porfirio). Una volta che sono defunti però anche i molti possono essere purificati, dice Agostino, purché
abbiano vissuto rettamente per mezzo della fede. Il semplice fedele che non può darsi alla filosofia perché
non ha le preparazione intellettuale, non può giungere alla sapienza, però si può salvare. Ci sono altri testi
ancora più chiari, dove Ag. dice che la fede nei misteri salva, libera, anche senza la filosofia. Anche
questi testi di Agostino non sono stati rilevati o letti male. Qui alcuni studiosi hanno detto che Ag. cita
Porfirio perché ne condivide le idee. Invece lo cita per criticarlo.
Allora qual è questo ordine che dobbiamo seguire per conoscere anche il primo principio che da unità
all'universo? La causa e il principio primo, Ag. dice che sì, lo possiamo conoscere, anche in senso troppo
ottimistico. Dopo qualche anno si correggerà.. In che consiste questo ordine che dobbiamo seguire? La
fonte di Agostino sarebbe proprio Porfirio. Alcuni però ritengono che sia un'altra fonte: Varrone. Ag.
esplicitamente sostiene che sia una disciplina divina insegnata da Pitgora: l'ordine che dobbiamo seguire è
duplice. I) dobbiamo mettere un ordine morale alla nostra vita (De ordine 8, 25 - precetti di carattere
pitagorico). II) ma non c'è solo un 'ordo vitae', ma dobbiamo seguire anche un 'ordo eruditionis', cioè farci
guidare da un'auctoritas, non tanto umana che può sbagliare (quella dei filosofi), ma da Cristo, il figlio di
Page 59
Dio che si è fatto uomo. Pone Cristo come la vera autorità divina che ci può guidare alla conoscenza della
verità. Ma anche la 'ratio' oltre all''auctoritas' ci può aiutare e ci aiuta mediante le discipline liberali. Molte
arti servono solo per le necessità della vita. Però la ragione progredendo ha inventato le discipline liberali-
razionali, che non hanno a che fare con i sensi, ma con il ragionamento: La grammatica, la retorica e la
dialettica.
Poi ha scoperto il numero: non solo quello che serve a misurare le cose del mondo, ma anche le regole
immutabili del mondo: matematica, geometria, musica, astronomia. Deve passare dai corpi agli
incorporei. Le regole sono incorporee; gli stoici dicevano che anche gli dei e l'anima erano corpi, però
leggeri. Per fare filosofia bisogna giungere a capire che cos'è il nihil, il corpus, il logos, ecc., gli
incorporei. Alla terminologia filosofica si giunge con le arti liberali. Bisogna essere capaci con le arti
liberali di trattare argomenti intelligibili. Bisogna anche pregare e vivere bene. Chi prega bene e chi vive
bene, questo può fare il filosofo.
Lezione XI del 13 Gennaio 2000
La seconda parte del De ordine esprimeva una disciplina ‘quasi divina’ per prepararsi alla filosofia. Il
filosofo che vuole giungere alla conoscenza delle realtà intelligibili deve non solo vivere bene e
purificarsi osservando dei precetti morali, ma anche seguire un 'ordo eruditionis' un ordo studiorum
sapientiae, un disciplinato studio delle discipline liberali. Le discipline liberali hanno tanta importanza
perché rendono idoneo l'aspirante filosofo a passare dai corpi alle realtà incorporee. Le 'Incorporalia'
hanno una loro storia. Già gli stoici, nell'Epistolario di Seneca presenta gli incorporei come una sostanza
che passa dalle cose corporee alle incorporee. Gli incorporei erano solo 4. Il 'Logos' il luogo. Il tempo, lo
spazio e il dicibile o l'enunciato.
Con il tempo si sono aggiunti tanti altri incorporei: Il nihil, la materia informe, il corpo inanimato, il
moto secondo il luogo o secondo il tempo. Però con il neoplatonismo l'incorporeo assume la caratteristica
di sostanze che non hanno corpo, come l'anima e Dio.
Nel De ordine gli incorporei sono considerati al modo degli stoici, in senso largo, e poi al modo dei
neoplatonici. La musica, l'astronomia e le altre arti preparano la mente umana a concepire gli incorporei,
gli intelligibili. Noi nel De ordine II, 44 si dice che nessuno può affrontare lo studio delle realtà divine
(Dio e l'anima), se prima non è riuscito ad avere una nozione degli incorporei.
Page 60
Gli incorporei in questo libro sono ancora influenzate dalla concezione stoica. Poi qualche paragrafo
dopo ci dice quali sono le questioni della filosofia. "Una duplice questione spetta alla filosofia: una
sull'anima e un'altra su Dio". “La prima è per coloro che vogliono imparare, l’altra è per le persone dotte”.
"La prima fa si che conosciamo noi stessi, la seconda la nostra origine (cioè Dio)". "La conoscenza
dell'anima ci fa degni della vita felice, mentre la conoscenza di Dio ci rende felici. Questo è l'ordine degli
studi della sapienza, per mezzo del quale viene reso idoneo il filosofo a comprendere l'ordine universale,
cioè a distinguere il mondo sensibile dal mondo intelligibile. E del Padre dell'Uno, l'anima non sa altro se
non che non sa nulla". Questo è il principio della teologia negativa di Plotino. Per parlare di dio bisogna
più togliere che mettere. Questo è l'oggetto della ricerca filosofica di S. Agostino: l'anima e Dio.
Sull'anima II, 5-17: dice l'origine dell'anima e qual è l'attività dell'anima nel corpo. Quanto si distingue
da Dio (c'erano filosofi pagani che dicevano che l'anima è della stessa natura di Dio) e l’attività
dell’anima riguardo al corpo e riguardo a Dio. Afferma anche l'immortalità dell'anima (l’anima muore
solo in un certo senso). Ma già questo riguarda i ‘soliloquia’.
Nel De quantitate animae Ag. si pone una serie di questioni sull'anima. Nel De anima tratta
dell'immortalità dell'anima.
Soliloquia.
Ag. in quest'opera comincia a trattare la questione dell'anima e di Dio che ritiene proprie della filosofia.
Inizia con una grande preghiera rivolta alla Trinità e poi al Dio unico. Qui Ag. esprime tutte le sue
convinzioni su Dio raccolte con fede, e mandate a memoria. Le manda a memoria per averne poi una
comprensione razionale. Si ripete quello che è stato detto sul metodo agostiniano di fare la filosofia.
Anche autori diversi e anche non cristiani possono aiutare la ricerca cristiana di Ag. sul mondo
intelligibile, sull'anima e su Dio Ag. è convinto di avere insegnamenti utili su Dio anche dall’esterno.
Vuole affrontare razionalmente queste questioni per giungere alla comprensione intellettuale. Per ag.
cristiano che crede che Cristo è la verità incarnata, è possibile passare dalla 'veritas verbi', alla 'veritas
Parens'. Ottimismo eccessivo non condiviso da Plotino e da Porfirio che poi Ag. stesso corregge con
S.Paolo, già nel De vera religione.
Page 61
I soliloquia ripetono sempre. "Che io conosca me perché io conosca te!". A Dio si arriva per gradi
passando per la conoscenza del mondo esterno, poi dell'anima e poi di Dio. Ag è convinto che la
conoscenza dell’anima è un gradino per arrivare a Dio.
Nelle Retractationes Ag. ci informa sul tempo e le circostanze, sull'argomento e sui destinatari
dell'opera. R I, 4: "Scrissi 2 volumi, mentre scrivevo anche il De ordine, secondo il mio ardente desiderio
di studiare per conoscere la verità, sulle cose che più desideravo conoscere (l'anima e Dio), ponendomi
domande e rispondendomi". (Ag. fa un soliloquio tra lui e la propria ragione).
"Nel I libro si cercano le condizioni morali di chi vuole conoscere la sapienza. La sapienza non si conosce
per mezzo dei sensi corporei, ma solo con l'intelligenza”. L'ultimo capitolo del primo libro è una
'ratiocinatio' per dire che le cose che veramente sono, sono eterne.
"Nel II libro si tratta a lungo dell'immortalità dell'anima. Ma non viene portata a termine questa
questione". Ag. pensava di scrivere un terzo libro. Questo ce lo dice esplicitamente nella 'retractatio' del
De Immortalitate animae: “Poi tornai a Milano lasciando la campagna e scrissi il De immortalitate
animae, perché i due libri dei Soliloquia erano rimasti imperfetti” (dopo aver preso appunti nei
Commonitoria – pro memoria). Fu pubblicato lo stesso contro la sua volontà e viene ormai considerato
una sua opera. Questo libro, per i contorti e brevi ragionamenti è così oscuro che affatica quando si legge,
persino lo stesso Agostino. "A stento viene compreso da me stesso".
Anche nel II, 14 libro dei Soliloquia: "Voglio che si chiamino Soliloquia”. Un nome nuovo e forse un
po' duro per il latino. Ma è molto adatto per esprimere quello che è il libro. Ritiene il dialogo la forma
migliore per ricercare la verità. Ma nella sfera umana i dialoghi di solito diventano litigi. Perché c'è
ostinazione, orgoglio e superbia. Invece dialogando con se stesso Ag. non litiga con nessuno. Si conserva
la forma del dialogo, ma con se stesso. Ag rifletteva anche per contro proprio e poi appuntava.
Struttura dei 'Soliloquia'.
I) Esordio. Di un solo paragrafo, che finisce con una preghiera breve.
II) Poi comincia una preghiera trinitaria ispirata da molte letture che Ag. aveva fatto. Ci sono tante
affermazioni che, studiate con attenzione, possono illuminare. Se io una frase non la metto nel suo
giusto contesto non riesco a capirla. Pater sapientiae. Pater intelligibilis lucis. Parter vigilationis,
Pater Pignoris, (Padre del pegno che ci è stato dato perché torniamo a Dio, dice che il Padre è
Padre dello Spirito Santo, ma è un errore teologico che proviene da Mario Vittorino. Poi Ag. si
Page 62
correggerà, nel De Trinitate. "Non si può dire 'Pater pignoris'". Poi parla di 'Deus sapientiae', Deus
vera vitae; questa è la seconda ipostasi. Aveva cominciato dicendo "Te invoco, Deus veritas, e
conclude dicendo: te depreco, Deus per quem vincimus inimicos". Quest'idea è ripetuta molte
volte da Mario Vittorino: "Noi vinciamo per mezzo di Cristo". Qui alcuni avevano voluto vedere
lo Spirito Santo, ed invece S. Agostino si rivolgeva direttamente a Cristo. (C'è tutta una letteratura
che dice che Ag. considerava fino al De vera religione Gesù solo come maestro e non come Dio).
Poi comincia ad usare la Scrittura in cui si indica l'azione dello Spirito Santo. La preghiera va da I,
2 a II, 6.
Dopo aver studiato la questione dell'anima Ag. pensa di studiare la questione su Dio.
III) In II, 7 riprende la preghiera. Viene stabilito il tema del libro: che cosa voglio conoscere? Tutto
quello che ho pregato! La 'scientia' è la conoscenza inconfutabile, certa, (come quando si parla
della matematica che si fonda su regole certe della ragione) ottenuta mediante la ragione. Non c'è
nessun ricorso all'autorità della Scrittura. In seguito si renderà conto che la Scrittura non contiene
solo poche affermazioni che vengono contenute nel 'Symbolum'. Quindi non ci si può fermare
solo agli insegnamenti della Chiesa. Nella Scrittura bisogna prima vedere di riconoscere la fede
della Chiesa.
Nell'Enchiridium Ag. dice che la conoscenza del mondo fisico non è sufficiente per salvarci. Ag. vuole
conoscere ciò che è necessario a salvarci. Già in Seneca si legge: "Anche nella mia scuola la filosofia si
interessa solo di cose inutili. Io cerco le cose che servono a me per vivere bene e per essere felice". In
occidente c'è un utilitarismo che guarda solo a ciò che è utile, ma che oggi ha portato a fare a meno di Dio
e dell'anima. Ag. si propone di conoscere l'anima e Dio con conoscenze assolutamente certe. Nella
conoscenza di Dio con la Sapienza c'è soprattutto l'amore. Però la certezza ci dev'essere perché se no non
c'è vera 'scientia'. Poi però mano a mano Ag. si renderà conto che le sue conoscenze non sono mai certe,
la fede deve avere sempre la preminenza.
La preghiera iniziale abbraccia tutto il primo capitolo I, 1-6. Poi viene il primo tema (II, 7) e anche quale
conoscenza voglia Ag. La conoscenza che chiede Ag. è certa ed indubitabile. Per es. a proposito della
disciplina della matematica tutte le regole sono certe ed indubitabili. Tutte queste arti liberali sono
propriamente la scienza. Ag. siu propone di conoscere l’anima e Dio con le conoscenze certe. Ma piano
piano Ag. si rende conto che tutto rimane un po’ incerto: sempre la fede deve prevalere.
Questo discorso sulla ‘scientia’ si spinge da I, 2-7 a 5-11.
Page 63
Da I, 6-12 a 8-15 dice quali condizioni morali e intellettuali che rendono feconda la ricerca filosofica su
Dio e sull'anima. Perché sia feconda questa ricerca il ricercatore deve avere certe qualità morali. Un
occhio per veder deve essere sano e poi deve essere illuminato. Qui si affaccia per la prima volta la
dottrina dell'illuminazione che è tipica della filosofia e gnoseologia agostiniana. Nell'enumerazione degli
argomenti che Ag. porta per dimostrare l’immortalità dell’anima si affaccia continuamente l'idea della
reminiscenza platonica. Poi Ag. nelle ritrattazioni condanna questa idea e cioè che l'uomo possa
conoscere. Un ignorante può scoprire le leggi dell'aritmetica e della geometria. Questa conoscenza delle
regole matematiche non può nascere dall'esperienza: ci sono leggi matematiche che l'uomo scopre
raziocinando e non con l'esperienza dei sensi. L'uomo scopre queste leggi perché si ricorda di averle
conosciute in una vita precedente (Platone). Ag. usa spesso questi termini perché non riesce ancora a
trovare argomenti che sostengono la spiritualità e l'immortalità dell'anima che non siano legati alla scuola
platonica. Tutti gli argomenti portati da Ag. si rifanno tutti al platonismo. 'In noi c'è la verità, la verità è
immortale, dunque deve essere immortale anche colui che è portatore di questa verità’. La teoria della
reminiscenza platonica è superata dalla teoria dell’illuminazione agostiniana.
La differenza tra platonismo e cristianesimo sarà sempre più chiara in Ag. nelle opere successive. Ag.
non è affatto convinto della preesistenza delle anime. La prima anima è stata creata e poi per
traducianismo si è diffusa in tutte le anime. Anche se la nostra anima era presente nell'anima del primo
uomo, allo stesso tempo si distingue.
La similitudine dell'occhio fa capire molto ma poi non fa capire tutto. L'occhio umano deve essere sano,
ma deve anche essere illuminato. Così anche l'occhio della mente se è vizioso non può vedere la verità,
Dio. Poi a parte questa purificazione morale, c'è bisogno anche della verità. Questa verità è parte del
nostro intelletto o è parte dell'intelletto divino. Ag. risponde che la nostra mente è stata creata in modo
affine al mondo intelligibile e quindi è capace di conoscere le verità intelligibili, quando è illuminata,
perché naturalmente si congiunge ad esse. Ag. non elimina tutti i dubbi.
Il primo punto dal 9-16 al 14-26 è l'argomento della purificazione.L’anima deve avere una mente pura.
Dfi che tipo deve essere questa purificazione? La purificazione sembra come quella dei neoplatonici (il
distacco dalle cose che si vedono) ma in realtà Ag. sostiene il distacco dal desiderio delle cose temporali
(non solo quelle del corpo, ma anche il successo, l'orgoglio, ecc.) Questa purificazione all'anima non la da
nient'altro che la fede, accompagnata dalla speranza e dalla carità. In questo periodo prebattesimale
Ag. non ha un idea della verità come quella plotiniana. Per la purificazione richiede le virtù teologali,
Page 64
anche se qui vengono intese in senso più filosofico e secolarizzato. In questo periodo Ag. dipende ancora
molto dai filosofi anche se la fede cristiana già si fa sentire.
Dopo questo excursus Ag. fa anche un lungo esame di coscienza. Lo fa secondo uno schema di
'Perturbationes' (analisi delle passioni: la cupiditas, la nequitia, il metus e la tristizia – ne parlano anche
Cicerone e gli stoici). Si esamina secondo questo schema. Il criterio con cui esamina è che la Sapienza (la
conoscenza di se e di Dio) deve essere l'unico desiderio del cuore, mentre tutte le altre cose, sono un bene
che bisogna ricercare non per se stesso, ma in vista dell'unico vero bene, che è la sapienza. L'unico scopo
vero è la conoscenza di se e di Dio. L'amicizia è bella purché serva per far conoscere il fine. Dietro questo
ragionamento è implicita la distinzione famosa che Ag. fa nel De doctrina christiana tra l'uti e il frui. Ci
sono cose di cui ci si può solo servire. Ciò di cui si deve godere è solo per arrivare a Dio.
Gli occhi devono essere illuminati, ma si devono anche aprire. La mente è l'occhio dell'anima, deve
essere illuminata, ma deve anche aprirsi, deve guardare. L'intelletto è la 'visio' è la stessa visione.
L'intelletto per giungere a vedere deve esercitarsi, la ragione deve esercitarsi con la dialettica. Chi non è
esercitato nella dialettica non è in grado di affrontare l'argomento. Questa capacità si acquista con
l'exercitatio della ragione. In questa preparazione o purificazione c'è un'altra argomentazione che Ag.
propone. Queste cose sensibili si devono fuggire. 'Omne corpus fugietur' (Porfirio). Ma questa frase in
Ag. va intesa in questo senso: Retr. I, 4, 3: "Avrei dovuto evitare di far vedere che io condividessi l'idea di
Porfirio, falso filosofo. Ma avrei dovuto dire piuttosto che tutte le cose sensibili nel mondo rinnovato
nella Resurrezione finale non sarà un ostacolo alla visione di Dio”. Ma è la corruzione del corpo, dovuta
al peccato che ci impedisce di vedere Dio.
Gli argomenti che porterà a favore dell'immortalità sono fondati sull'immortalità e l’eternità della verità.
Una cosa mortale presente in un soggetto mortale finisce anch'essa. Ora siccome la verità eterna si trova
nell'animo, anche l'animo è immortale. Si affaccia la dottrina platonica della reminiscenza. Questo è
l'argomento che viene ridetto nella Lettera 3 a Nebridio: "L'animus è propriamente l'intelligenza umana
che non hanno gli animali. E' il principio vitale che da vita. L'uomo è un anima, ha un anima (forse
peggio di quella degli animali) ma è diverso dall'animus. Ag. sostiene non tanto l'immortalità dell'anima,
ma dell'animus. L'animus è la stessa anima, ma che indica le funzioni intellettive. Mentre con 'anima' si
intendono le funzioni sensitive e vegetative dell'anima.
Retr. I, 4, 4: "Quelli che sono dotti nelle discipline liberali imparando e quasi riscavando tirano fuori da
se stessi le dottrine delle discipline liberali che avevano dimenticato. Disapprovo quest'idea, poiché è
Page 65
presente a loro la luce della ragione eterna, non perché le hanno conosciute un tempo e si sono
dimenticati".
Lezione XII del 20 Gennaio 2000.
I soliloquia trattavano l'immortalità dell'anima. Non abbiamo potuto esaminare gli argomenti portati a a
favore dell'immortalità dell'anima. Sono i platonici che hanno rivedndicato l'immortalità dell'anima e la
sua spiritualità.
Nel De quantitate animae si parla proprio della spiritualità dell'anima. Qui pure si trova molto
platonismo, anche se Gilson nell'insistere su questo punto esagera.
Retractationes: "In questo dialogo (ci sono solo due interlocutori: Agostino ed Evodio; non c'è alcun
quadro letterario, ci sono solo domande e risposte. Ag. va ora all'essenziale, non fa più letteratura, ma gli
interessa solo l'argomento) ci sono molte questioni.."
Questo dialogo fu scritto a Roma nel 387-88. Non poteva ripartire per l'Africa per l'insicurezza del
Mediterraneo per la ribellione di parte dell'esercito. Comincia a scrivere qui anche il De moribus
ecclesiae Catholicae e De libero arbitrio. Il secondo lo completò a Roma, il primo in Africa.
Le questioni trattate sono: 1) l'anima; 2) la qualità dell'anima; 3) la 'quantitas' nel senso di potenza
dell'anima; 4) perché è stata data al corpo. Con quest'ultima domanda esce fuori dal Platonismo. L'anima
per i Platonici è caduta fuori del corpo. Per Ag. invece è creata da Dio ed è data da Dio al corpo. Ma
anche il motivo che adduce è quello positivo. 5) Il contatto con il corpo crea o no difficoltà all'anima? 6)
Quando abbandona il corpo quale sarà la condizione dell'anima? Sono sei questioni che sono anche
espresse all'inizio del dialogo.
Il corpo è ridotto al minimo. E' ridotto al primo brevissimo paragrafo dedicato ad Evodio.
Nell'introduzione enumera brevemente quello che deve dire sull'anima. Questo è l'esordio. Ma non c'è
nessuna circostanza di tempo e di spazio. Le prime due questioni le sbriga nllo stesso primo capitolo. Da
I,2- 2, 3 riponde alle prime due domande. Invece alle altre questioni dedica tutto ioldialogo III, 4- XXXV,
79. Ma in questa questione dobbiamo distinguere almeno due parti, cioè se l'anima abbia un estensione
corporea (III, 4- XXXII, 69).
Page 66
L'altro aspetto della 'quantitas' inteso come forza e potenza spirituale ha da XXXIII, 70- XXXV, 79. La
seconda questione si divide dunque in due parti. La prima è più ampia, la seconda è più breve. Su A, la
prima questione, ci sono altre questioni trattate:
I) L'anima non è un corpo né ha le qualità del corpo. Cioè non è lunga , né larga e non ha la
lunghezza e l'altezza.
II) La seconda questione si chiede se l'anima cresce con il corpo. Crescendo il corpo cresce anche
l'anima fino a I, 15-25 - 22-40. Gli stoici spiegavano la sensazione proprio con la corporeità
dell'anima. L'anima si estenderebbe a tutto il corpo. Per questi il corpo è soltanto il cadavere, privo
di vita. Con l'anima dentro è vivo. L'anima per sentirlo deve distendersi per tutto il corpo. Come
può avvertire una puntura che è in tutto il piede. L'anima si distende per tutto il corpo e per questo
è corporea. Vedremo invece che il platonismo che sostiene invece che l'anima è spirituale non può
sostenere la sensazione allo stesso modo. Questa obiezione non esige che l'anima si estende per
tutto il corpo. Fino a 30, 61, Ag. parla della sensazione per sostenere che l'anima è corporea,
materiale.
III) 31, 62-32, 68. Un'altra questione sull'umanità corporea è se l'anima si divide in parti. Ogni senso
aveva un anima, per gli stoici. C'è l'anima crescitiva, che fa crescere e quella nutritiva che nutre.
Queste parti gli stoici la localizzavano nel corpo. L'egemonicon nella testa e nel cervello il resto
all'interno del corpo. Ma questi non sono esseri, sono solo qualcosa di mentale. Le categorie per
gli stoici non sono solo le categorie di Aristotele. Di tutto noi possiamo sire che è qualcosa. Il
genere supremo, come categoria è l'aliqui. Ma il corpo è tutto ciò che agisce e patisce. Tutto ciò
che è prodotto e generato è il corpo. Poi ci sono quei quattro che risiedono nel corpo che sono
corporei. Tertulliano "Tutto ciò che è, è un corpo 'sui generis'". Perciò tutto ciò che è, è corpo. Il
pneuma è inteso come soffio vitale. Anche l'anima è spirito, ma inteso come soffio vitale, come
'ignis'. L'anima si divide in parti.
IV) L'ultima questione trattata è il numero delle anime. Evodio fa la questione se c'è uno sola anima o
se sono molte
Il capitolo si conclude con la sottolineatura che accanto all'attività naturale dell'anima la religione
cristiana aiuta l'anima. L'anima cerca di salire fino a Dio. In tutta quest'attività che è molto varia, Ag. dice
che valore ha la religione. Termina poi con le altre tre questioni che erano rimaste sospese e risponde
brevemente come aveva risposto anche alle prime due.
Page 67
Le ultime tre questioni vengono trattate nel § 36, 81. Su tutte queste questioni e altre più difficili sarà il
Mastro interiori a trattare le più difficili e accenna a Deodato il prossimo trattato che sta per scrivere: il
De Magistro.
Questioni.
'Unde sit anima?' da dove viene? Ag. dice: da Dio che l'ha creata. Dio è la patri adell'anima perché è lui
che l'ha creata. Non si parla di preesistenza né di eternità dell'anima. Tutto questo è sostanza. Non so dire
in che cosa consita propriamente, ma so dire che ha una sua propria sostanza. L'anima è diversa da Dio,
dal corpo e dagli elementi, ma ha una sua propria natura. Partecipa della razionalità ed è ordinata
strutturalmente ad ordinare e animare i corpi. Per Ag. c'è qui un punto essenziale del platonismo. I
platonici sostengono che l'anima e il corpo sono due sostanze estranee l'una all'altra. L'anima cade nel
corpo per disgrazia e fatica per liberarsene. Mentre per Agostino è una grazia di Dio che l'uomo abbia un
corpo. E' per la bellezza dell'ordine universale che ci deve essere anche il corpo animate. Dio ha voluto
creare il mondo così bello e quindi ha creato anche l'anima. Ma questa sostanza è come ordinata al corpo,
non c'è estraneità.
Federico Sciacca che era un filosofo spiritualista dice che con questa definizione Ag. ha cambiato il
concetto metafisico dell'anima, perché l'anima è fatta per il corpo, già strutturalmente. Gli studiosi
sostengono che per Ag. come per il Plotino dicono che l'anima è in contrasto con il corpo. Ma questo è un
grave errore. Sembra incredibile come sia possibile sbagliare in questo modo. Ci sono tante affermazioni
contrarie al pensiero di Agostino. E' creata da Dio ed è un essere che ha una sua natura propria. Per i
platonici siccome l'anima viene dal primo principio ha la stessa natura del principio. Ma invece Ag. dice
che anche se è creata da Dio ha una natura diversa. Egli parla della natura mediana dell'anima.
E' stato Dio stesso a fare l'anima con una sua propria natura, come l'acqua, il fuoco e la terra. Questi dono
gli elementi base. L'anima ha la sua natura specifica diversa da tutti glia altri esseri corporei e in Dio
stesso.
Qualis sit? "E' simile a Dio. Immagine e somiglianza di Dio. La somiglianza con Dio è anche per
Platone l'obiettivo massimo. L'ideale che tanti padri della chiesa hanno fatto proprio. Dio l'ha crata non
della stessa natura divina, ma soltanto similis.
Page 68
Dio però fa cose immortali. Invece l'anima fa cose mortali. Quindi l'anima non è onnipotente, c'è
differenza di potenza tra Dio e l'uomo. Ci sono delle spiegazioni non trattate in modo razionale. La grande
importanza viene data alla terza questione che da il titolo al libro. "De quantitate animae".
Qui dovremmo esaminare gli argomenti. Come dimostra che l'anima non è corporea ma è spirituale.
E. Gilson, Introduzione allo studio di S. Agostino 63-64, non ha colto il senso della riflessione
agostiniana. "Il metodo adottato da Agostino è essenzialmente 'apriori'. Le cose alle quali il pensiero
riconosce proprietà essenziali e distinte, sono necessariamente anche cose distinte" (realismo platonico).
Si passa dal piano mentale, intellettuale al piano della realtà ontologica.
"Sarà quindi sufficiente definire l'anima e il corpo per sapere se le loro essenze si confondono. Ora un
corpo è definito in larghezza, lunghezza e profondità. Poiché nulla di tutto questo può considerarsi
appartenente alla natura dell'anima, l'anima non è un corpo. Ha definito le proprietà sia del corpo che
dell'anima, quindi l'anima non è il corpo". Ma la riflessione non è solo questa, sarebbe troppo ingenua.
Cap. XIII, 22: ci sono diversi argomenti che porta Ag. Uno è quello della memoria. La memoria è legata
ai sensi. Noi ci ricordiamo quello che abbiamo sperimentato. Se l'anima fosse corpo, come potrebbe avere
in se questa capacità di abbracciare un mondo intero? Ha una capacità extracorporea, di abbracciare corpi
molto più grandi di lei. L'argomentazione quindi qui fa leva sulle capacità conoscitive dell'anima, sulla
sua potenza.
Ma a parte la memoria Ag. fa un'argomentazione molto più importante. C'è un riferimento alle arti
liberali'. Queste ci rendono capaci di parlare anche di ciò che non è corporeo e ci offrono 'argumenta
certissima' per capire la spiritualità dell'anima. La costruzione geometrica non è frutto dei sensi ma
dell'intelligenza dell'uomo. Se i sensi mi fanno vedere qualcosa che è corpo, tutto ciò che io ha elaborato
con la mente sono cose astratte, incorporee. Non sono incorporei solo quei quattro aspetti della realtà. Qui
ci troviamo anche tanti altri incorporei che sono costruzioni della mente che si possono riflettere. Se i
sensi hanno come oggetto delle cose dei corpi realmente esistenti, perché la mente dovrebbe essere un
corpo, quando ha la capacità di realizzare cose immateriali. L'anima è capace di elaborare e intuire ed
elaborare queste nozioni e quindi non è legata al corpo.
Sensazione: la definizione che Ag. dà della sensazione è la seguente. La sensazione è 'passio corporis
per seipsam non est latens anima'. L'anima di per se stessa non può essere colpita dal corpo. Il corpo non
può esercitare sull'anima un'azione diretta. E' solo il corpo a subire e a patire. La passio corporis però non
Page 69
sfugge all'attenzione dell'anima, l'anima l'avverte. 'Per seipsam'. Ci sono dei fenomeni che sembrano non
sfuggire all'anima, ma non sono sensazioni. Prima ero piccolo ed ora sono grande. Anche le unghie che si
allungano non è una cosa che si avverte immediatamente. Ma questo non sfugge all'anima che ragiona. E'
con la ragione che mi accorgo che questi fenomeni sfuggono alla realtà. Perciò per seipsam, per se stessa
la passio del corpo non sfugge all'anima. Questa teoria è stata elaborata contro lo stoicismo, per cui
l'anima non subisce nessun contraccolpo corporeo. Senza che l'anima si diffonda per tutto il corpo,
l'anima è presente senza occupare spazio. L'anima però è presente dappertutto senza essere presente con
la sua estensione, ma con la sua potenza. Questa è una concezione molto platonica. C'è anche una seconda
parte in cui si parla della 'Potentia animae'. Anche qui Ag. dipende dai filosofi precedenti e da Varrone,
che parla dei 'tre gradi dell'anima'. Già Aristotele aveva distinto l'anima dei corpi animati da quella dei
corpi inanimati: anima vegetativa, sensitiva e razionale. Già nel cap. XXXIII, Ag. comincia a distinguere
le diverse attività razionali.
Nel Neoplatonismo l 'anima estende le sue attività oltre al corpo e all'anima stessa, anche a Dio. I tre
livelli dell'anima sono, il corpo, l'anima stessa e Dio. Livello vegetativo, livello sensitivo e livello
aritstico. L'anima con la ragione modifica i corpi e fa tutto ciò che gli serve per la vita. Le attività
razionali sono il terzo grado, però solo come arte. Mentre il Primo gradino lo chiama 'animatio' il secondo
livello lo chiama 'sensazione', il terzo livello lo chiama 'arte'. Nel quarto livello l'anima rivolge
l'attenzione dai corpi a se stessa e comincia a purificarsi moralmente, a purificarsi dai vizi e a vivere la
virtù. Nell'ulteriore gradino c'è poi l'imperturbabilità, il possesso certo della virtù. Questo era l'ultimo
livello del Neoplatonismo.
Ag. ne aggiunge altri due che hanno come oggetto Dio. L'anima si eleva dai corpi a Dio. Ma la visione
stessa di Dio si ha nel settimo gradino. Questo è il primo tentativo di Agostino di descrivere i gradi della
vita interiore. In primo piano non è la grazia, ma l'attività di Dio. Nonostante questa impostazione molto
naturalistica cerca di mostrare che tuta quest'attività l'anima la compie con l'aiuto di Dio. Già nel gradino
della razionalità artistica ed etica, la religione comincia ad insegnare. Queste cose sono più di curiosità
che di contemplazione. Ag cambierà questo itinerario in modo radicale, quando approfondendo la
scrittura si renderà conto che è essenziale per la vita interiore del cristiano l'azione dello Spirito Santo e la
beatitudine evangelica.
Page 70
Ogni gradino dei sette sarà dato da un dono dello Spirito Santo e da una beatitudine del Vangelo. La
cosa interessante è come e quali sono queste diverse tappe o gradini che portano alla perfezione della vita
cristiana. Tra questo primo abbozzo e gli altri ci sono altre definizioni delle sette età spirituali.
Le altre due questioni del De quantitate animae sono 'Chi è che ha diritto ad adirarsi e a rammaricarsi
del fatto che l'anima sia stata data ad animare e governare il corpo?' Questa domanda è rivolta contro
Plotino e Profirio. Questo aspetto fa arrabbiare Plotino. Non si può creare un ordine più bello e più
perfetto di quello fatto da Dio. Oppure crede di potersi lamentare delle condizioni in cui si viene a trovare
l'anima. Per quale motivo non ci si deve lamentare delle condizioni in cui l'anima si viene a trovare.
L'anima a buon diritto è stata sottomessa alla morte a causa del peccato. Questa frase è un allusione al
peccato di Adamo. Oggi ogni anima nasce sottomessa alla morte a causa del peccato. Ag. è convinto del
'traducianismo', come Tertulliano. Qui è espressa la convinzione del 'peccato d'origine'. L'anima, anche
qui sulla terra può eccellere per la virtù e la pietà, la religione. Questa realtà non impedisce che l'uomo
possa eccellere per la virtù.
L'ultima questione è quale sarà la condizione dell'anima quando avrà lasciato questo corpo, dopo la
morte. Se l'uomo che nasce nel peccato rimane nel peccato, giustamente deve subire necessariamente la
punizione della morte. L'anima si perde e muore spiritualmente a causa del peccato in cui rimane. Se
rimane il peccato rimane anche la condizione della morte in cui è nato. Ma se invece vive la virtù Dio
stesso sarà il premio dell'anima che è vissuta nella virtù e nella pietà, cioè sottomesso a Dio. Anche dopo
questa vita è chiaro che può essere condannato se rimane nel peccato, ma può vedere Dio, per mezzo
della virtù e della pietà.
Sul peccato originale c'è qui la prima formulazione.
Soprattutto queste prime opere di Agostino sono difficili da capire. Ma una cosa è chiara: Ag. non è così
platonico come è stato presentato nei decenni passati. Egli nella fede si ritrova tutto.
Giovedì 3 febbraio e 4 febbraio Mattina e pomeriggio. 10 e 11 febbraio mattina.