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INTERVENTO DEL PROF. STEFANO ZAMAGNI*
TENUTO ALL’UDITORIUM STEFANINI
Giovedì 21 novembre 2013. *Non
rivisto dall’autore, trascritto da
registrazione audio da d. Alberto
Bernardi. Buona sera a
tutti sono molto lieto di
essere con voi in questa
circostanza esprimo dunque gratitudine,
mi complimento anche con la
scuola di formazione sociale e
politica che ha organizzato durante
quest'anno un ciclo, una serie
di incontri, a carattere seminariale
su varie tematiche che interessano
sia la realtà locale, sia
nazionale. Mi è stato chiesto
di svolgere quest'intervento focalizzando
l'attenzione sui cosiddetti nuovi
modelli di Welfare di cui si
va parlando ormai da qualche
tempo a questa parte. Allora
la prima questione è perché si
parla (e da tutti è avvertita
l'esigenza) di transitare a un
nuovo modello di Welfare?
Ovviamente questo significa che il
vecchio non funziona più e non
dà più risultati desiderati. Ora
per far ordine in tutto questo
è bene che ricordiamo che il
primo modello di Welfare è nato
storicamente nel 1919 quando, negli
Stati Uniti d'America, un gruppo
di grandi industriali come
Rockfeller, Carnegie e Ford (quello
delle automobili) eccetera siglarono
tra di loro e altri un
patto in base al quale le
imprese si sarebbero dovute prendere
cura delle esigenze di Welfare
dei loro dipendenti e delle
loro famiglie. Nasce così quello
che in letteratura è noto come
Welfare capitalism cioè il Welfare
capitalistico o Welfare capitalista.
L'idea di base del Welfare
capitalista è il “restitution
principal” (il principio di
restituzione) cioè l’impresa ottiene
profitti grazie al concorso di
una pluralità di fattori (in
primis dal fattore dei lavoratori)
e dunque deve restituire almeno
parte dei profitti ottenuti per
fornire quei servizi di Welfare
(dalla sanità, assistenza, scuola,
educazione) come appunto applicazione
di una sorta di sdebitamento
morale e sociale. Questo è bene
che si sappia perché, da
allora, gli americani hanno mantenuto
questo modello e c'è tuttora e
chi ha cercato, anche in tempi
recenti come Obama, di modificarlo
avete visto in quali difficoltà
è andato. Quando Obama l'altro
anno e due anni fa ha
approvato e ha fatto approvare
dal congresso americano la legge
di riforma della sanità per
dare a tutti una minima
copertura sanitaria apriti cielo
l'accusa che gli è stata
rivolta è stata questa “tu stai
violando le nostre radici” e
cioè il nostro modello di
Welfare capitalism. Ora questo
modello, in America, ha avuto
un certo successo tanto che ce
l'ha tuttora ed è un modello
che aiuta a capire anche un
altro fenomeno tipicamente americano
e cioè la nascita delle
fondazioni d'impresa “corporate
foundations” in inglese. Se voi
fate caso le fondazioni americane
hanno tutti, nel titolo, il
nome e il cognome del fondatore
fondazione Rockfeller fondazione Ford
fondazione Carnegie e più
recentemente la fondazione Bill Gates
e via discorrendo perché, dopo
quello che ho detto si capisce,
perché sono questi personaggi che
avendo accumulato tanti soldi
incidono volontariamente di trasferire
una parte in capo la fondazione
alla quale danno il compito di
realizzare e di distribuire servizi
di Welfare in un ambito o
nell’altro. Quale però il punto
di debolezza di questo modello
il tallone d'Achille. Il tallone
d’Achille è che non garantisce
l'universalismo questo è il punto.
In altre parole poiché questo
patto è un patto volontario se
un'impresa non vuole aderire a
quanto era scritto nel patto
non era obbligata e dunque
accadeva ed accade tuttora che
i dipendenti delle imprese che
avevano sottoscritto il patto
ottenevano i servizi nei diversi
ambiti, gli altri invece niente.
Quindi il modello di Welfare
capitalism tende a dividere la
società tra imprenditori,
chiamiamoli buoni, che si sentono
in dovere di restituire e
quelli che invece a cui non
interessa granché e quindi
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non fanno altrettanto. Questa è
la ragione per cui, esattamente
vent'anni dopo nel 1939, vent'anni
dopo in Inghilterra il grande
economista John Maynard Keynes
scriverà un articolo poco noto
pochissimi lo conoscono perché voi
sapete come funzionano le cose
le cose veramente importanti non
bisogna saperle mai, si imparano
le cose più frivole più banali
non quelle importanti. In
questo articolo intitolato Welfare
and democracy cioè welfare e
democrazia Keynes sviluppa la
seguente idea che se il Welfare
ha da essere deve essere
universalista altrimenti meglio non
farlo. Una tesi, voi direte,
radicale ma Kaynes era uno che
se ne intendeva, era uno che
è intelligente, molto intelligente e
quando si è troppo intelligenti
si rischia di non essere capiti
da chi e meno intelligente che
però ha la pretesa di capire.
Cioè dice Keynes se noi non
facciamo un welfare universalista
(universalista vuol dire che si
rivolge a tutti, a tutti. Tutti
i cittadini, per il fatto
stesso di vivere e di risiedere
un territorio, hanno diritto di
accesso ai servizi perché se
non è universalista il Welfare
fa più male che bene perché
divide la società e mette una
categoria contro l'altra alimentando
la rabbia sociale. Immaginate voi
un lavoratore che lavorava da
Ford che ha tutta una serie
di benefici l'altro che è
magari vicino di casa lavora in
un’altra impresa non li ha.
Capite da soli le implicazioni.
Ecco allora perché Keynes con
questo saggio (e altri suoi
contributi) darà vita tre anni
dopo (nel 1942 facendolo approvare
dal Parlamento inglese) il famoso
pacchetto Beveridge. Beverdige era il
nome della camera dei Lord,
amico e discepolo di Keynes e
che a livello politico riuscì
ad implementare e ne nasce così
il Welfare State. Quindi
Keynes è il teorico e Beverdge
l'operativo che ha fatto nascere
Welfare State. State vuol dire
di Stato, lo stato del
benessere un termine che ancor
usiamo oggi. E qual è
l'idea di base del Welfare
State? Di base è che è lo
Stato, non più le imprese, che
deve farsi carico delle sorti
di benessere dei cittadini perché
solo lo Stato può garantire
l'universalismo. Lo Stato non
discrimina tratta tutti i cittadini
alla stessa maniera e dunque
solo affidando allo Stato il
compito di provvedere ai vari
servizi si può ottenere il
risultato desiderato. Questa è la
ragione per cui da almeno 1942
nasce il servizio sanitario nazionale
in Inghilterra, in Italia ci
vorranno ancora tanti anni. Il
servizio sanitario in Italia nasce,
come voi sapete, nel 1978
pensate quanti anni dopo.
L'assicurazione obbligatoria, contro le
malattie (quella in effetti c'era
già) l’assistenza e soprattutto
la scuola. La scuola, almeno
fino a una certa età, gratuita
per tutti Ed ora il
Welfare State è stata una
grande conquista di civiltà è
inutile discutere questo bisogna
essere ciechi per negarlo. Però
è un fatto che, come spesso
succede negli affari di questo
mondo, il successo del Welfare
State ne ha minato la
sostenibilità cioè ha creato una
sorta di anticorpi. Questo succede
spesso, come voi si sapete,
nelle nostre società. E cioè, a
partire dalla fine degli anni
70 del secolo scorso, dapprima
timidamente poi via via sempre
in maniera più chiara, è
diventato evidente che il Welfare
State non è sostenibile. Cosa
vuol dire sostenibile? Che non
è in grado di generare dal
proprio interno le risorse
finanziarie di cui ha necessità
per raggiungere gli obiettivi che
il Welfare State si prefigge di
raggiungere. Perché non è
sostenibile? Non è sostenibile,
vedete, per due ragioni diverse
ma entrambe convergenti. La
prima regione è dovuta alla
asimmetria tra l'andamento delle
entrate fiscali dello Stato (è
perché lo Stato come fa a
finanziare i servizi di Welfare?
Con la tassazione generale. Preleva
dai cittadini le risorse e poi
le spende nella sanità nella
scuola nell’assistenza eccetera) e
allora l'andamento asimmetrico tra
l'aumento delle, diciamo, dei ricavi
di ciò che lo Stato a
riesce ottenere e la curva che
descrive l'andamento dei costi. I
termini, se avessimo qui una
lavagnetta, immaginate che la linea
che rappresenta l'aumento delle
entrate fiscali è una retta (la
cui pendenza misura la pressione
tributaria), mentre la curva che
designa l'andamento dei costi è
un'iperbole, iperbole fatta così
quindi voi avete una retta con
un'iperbole. Più passa il tempo
e più la differenza verticale
tra le due curve va ad
aumentare. E cosa vuol dire che
i costi superano i ricavi?
Allora nei primi 10 15 anni
cioè negli anni 80 i primi
anni 90 questa differenza è
stata coperta con il debito
pubblico (è così che il debito
pubblico -‐ non è questa
l'unica causa ce ne sono altre
però è una causa importante -‐
si è accumulato da noi come
in altri
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paesi) come a dire che fin
tanto che ha potuto il nostro
Stato si è indebitato. E voi
sapete cosa vuol dire indebitarsi!
Vuol dire trasferire alle generazioni
future una parte degli oneri
che la generazione presente non
riesce a far fronte. Ma quando
si è arrivati al punto? Bisogna
arrivare al 2000 quando è
iniziato il processo di unificazione
europea sono arrivati i guai.
Perché, come voi sapete, dal
trattato di Maastricht in avanti
la regola è che il debito
pubblico deve diminuire e portarsi
al 60% del Pil. 60%! Con,
ovviamente eccezioni, per quei paesi
fortemente indebitati come l'Italia a
cui viene concesso, come dire,
una dilazione di pagamento si
direbbe. Voi sapete che oggi il
debito pubblico sul Pil italiano
e del 133% quindi più del
doppio del limite consentito del
60%. E come riusciremo lo sa
solo una persona cioè il
Padreterno il quale è unico che
sa come riusciremo ad appianare
e ritornare, ma non parliamo di
questo. Ecco allora il primo
punto: la non sostenibilità. E
perché non è sostenibile? Ripeto
perché le entrate fiscali non
possono che aumentare in maniera
lineare, perché le entrate fiscali
dipendono dall'aumento del reddito
del Pil e siccome il Pil
aumenta (adesso no, ma fino
alla crisi) del 2-‐3% all'anno
è chiaro che le entrate fiscali
in media aumentavano del 2%.
Andiamo a vedere la curva dei
costi. La curva dei costi ci
dice che i costi, anno dopo
anno, aumentavano del 5-‐6%. E
questo perché? Ma perché (e
in questo la sanità è la
prima responsabile) i costi della
sanità sono destinati, per ragioni
endogene e endemiche, ad aumentare
indipendentemente dalle inefficienze o
dalle forme di corruzione gli
sprechi che pure ci sono.
Indipendentemente. Perché chi conosce,
e un po' se ne intende di
economia sanitaria, sa che la
sanità è un settore produttivo
che agisce in maniera perversa
rispetto a tutti gli altri
settori produttivi dell'economia. Vi
siete mai chiesti oggi un
telefonino costa molto di meno
di quanto costasse 15/20 anni
fa, perché? La stessa cosa il
televisore, la stessa cosa
l'automobile perché? Perché il
progresso tecnico scientifico in
tutti i settori dell'economia aumenta
la produttività. L'aumento della
produttività abbassa i costi e
l'abbassamento dei costi riduce i
prezzi. In sanità è vero il
contrario. In sanità l'aumento della
produttività dovuto alle innovazioni
progresso anziché diminuire i costi
li fa aumentare. Questo
è uno dei punti che si fa
più fatica a far capire alla
gente io almeno trovo fatica. I
miei studenti lo sanno perché
altrimenti sanno cosa succede loro:
io li picchio e quindi dopo
… di fronte alla testardaggine
di qualcuno cosa volete fare …
quando tu una cosa gliela
spieghi una volta due volte …
cioè la gente normale non
riesce a capire questo fatto.
Allora bisogna fare gli esempi:
una Tac. Sapete quanto costa
una Tac nucleare? Meglio non
dirlo! Ma la Tac nucleare è
molto efficace perché riesce a
diagnosticare la presenza di un
cancro, di un inizio di cancro,
quando la cellula cancerogena è
più corta di 1 mm e voi
sapete che se io riesco a
diagnosticare all'inizio il cancro è
debellato. Il cancro è terribile
non perché sia più grave di
altre, anzi è meno grave, ma
perché non ce ne accorgiamo e
quando ce ne accorgiamo troppo
tardi. Allora con l'attacco nucleare
se tutti facessimo ogni anno un
check up non ci verrebbe il
cancro. Però voi capite le
implicazioni che il costo di
una Tac nucleare è esorbitante.
In altre parole l'innovazione tecnico
scientifica in sanità, come anche
nell'assistenza, aumenta i costi
perché la gente vuole servizi
di qualità. Provate voi a dire
a uno se gratis vuole i
raggi x. Non li vuole più
nessuno, perché non si vede più
niente e poi sono pericolosi
per via delle radiazioni. E se
io ti dico guarda che te
li faccio gratis, no, dice, non
li voglio!! Ecco allora il
punto. Non parliamo poi della
scuola! Chi, avendo una certa
età come me, si ricorda che
quando s'andava a scuola nelle
classi non c'era neanche il
riscaldamento ognuno doveva portare
un pezzo di legna perché
.. perché è così che
funzionava. Oggi dare dei servizi
di qualità agli studenti comporta
dei costi. Ecco allora
la prima causa di insostenibilità:
l'andamento divaricante tra l'aumento
dei costi e l'aumento degli
introiti fiscali. Ripeto: non parlo
dei problemi che tutti invocano
del tipo evasione fiscale, è
chiaro che, se non ci fosse
revisore fiscale, sarebbe meglio
sotto questo profilo. Però non
è risolutivo perché andremo meglio
per 5-‐10 anni e poi
ritorneremo dalla stessa situazione.
È evidente che se potessimo
eliminare gli sprechi o le
varie forme di corruzione si
tirerebbe un sospiro di sollievo,
ma non possiamo essere così
miopi da pensare ad un
orizzonte temporale di 5 -‐10
anni, dobbiamo pensare anche alle
generazioni che vengono dopo. Ecco
allora il punto: che il Welfare
State universalistico non è
sostenibile dal punto di vista
finanziario. Sostenibile vuol dire
che nel breve termine si può
cercare di tamponare ma nel
medio lungo termine non è
sostenibile. E che non lo dice
è purtroppo un mentitore. Ci
sono troppi
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mentitori, gente che fa credere
agli altri “ma io ho la
ricetta magica” … offre … non
credete perché non è vero.
Ripeto sul breve termine è vero
che se noi potessimo eliminare
l'evasione e va fatta (perché è
uno scandalo l'evasione eccetera)
però non è lì la soluzione
del problema La seconda
ragione della insostenibilità è di
altra natura non di natura
finanziaria: è legata ad un
fatto su cui troppo poco si
riflette e cioè che il modello
di Welfare State, affidando allo
Stato la definizione degli interventi
e la gestione erogazione degli
stessi, tende inevitabilmente ad
assumere le forme della impersonalità
e della anonimità. Perché lo
Stato non può differenziare a
seconda della condizione di vita
delle persone, ma i bisogni non
sono omogenei. I bisogni non
sono omologabili. Perché anche la
stessa malattia, con lo stesso
nome medico, in due persone
diverse è una malattia diversa.
Perché anche se ho un disturbo
al cuore è chiaro che lo
stesso disturbo in persone diverse
(che hanno una biografia diversa
e, soprattutto, una struttura
psicofisica diversa) ha un impatto
diverso. Voi direte “e allora?”
e allora vuol dire che la
cura deve essere personalizzata, deve
tener conto di quella particolare
relazione e lo Stato non lo
può fare a meno di cambiare
il modello. Tant'è vero che in
quei casi in cui certe cose
non avvengono è proprio perché,
per una ragione o per l'altra,
si cerca di tenere conto di
questo. Vi faccio un esempio (e
chi s'intende di questo capisce):
la farmaco genomica ora sappiamo
che la farmaco genomica è il
futuro. Farmaco genomica vuol dire
che bisogna dare il farmaco con
il principio attivo che è
adeguato alla struttura genica delle
persone. Invece no. Perché le
nostre medicine vengono sprecate e
non servono? Perché sono basate
su una persona media, allora
chi si colloca al di sopra
della media quella medicina è
come acqua fresca, chi si
colloca al di sotto è troppo
potente sta male, ha le
reazioni. Con la farmaco genomica
noi invece personalizzeremmo l'erogazione,
la somministrazione del farmaco per
tener conto delle reali esigenze
e del bisogno di quella
persona. Però noi oggi sapremmo,
e i medici ce lo dicono,
come potremmo fare, ma non lo
si fa perché costa troppo e
lo Stato ci dice “io non
posso fare questo perché devo
trattare tutti alla stessa maniera.
Ecco allora qual è la seconda
ragione della crisi del Welfare
State che nelle fasi critiche
(pensate il dopoguerra) in cui
ci sono delle situazioni
emergenziali, trattare tutti alla
stessa maniera va bene. Se io
mi rivolgo ad una popolazione
di affamati basta dare a tutti
la stessa razione e va bene
perché la fame è uguale per
tutti. Lo stomaco, i crampi
allo stomaco, sono gli stessi
per il bello e per il
brutto, l'intelligente e il meno
intelligente e così via. Ma
quando un paese evolve è chiaro
che il singolo cittadino chiede
un trattamento differenziato, che
tenga conto della sua specificità.
E questo lo Stato non lo
può dare perché lo Stato si
avvale della modalità di tipo
burocratico e il burocrate, per
definizione sua, tratta tutti alla
stessa maniera. Volete un piccolo
test di quello che dico? Quando
si va all'ospedale (sarete stati
ricoverati!!) appena entri ti danno
subito del tu. Nessuno ti
conosceva ti danno del tu e
io chiedo perché? Perché tutti
devono essere sullo stesso piano.
E beh insomma ora dare del
tu ad un bambino va bene,
dare del tu alla persona
anziana può creare imbarazzo. Questo
per dire, a livello anche di
semplice osservazione, il punto che
ho trattato. Ecco allora
perché negli ultimi vent'anni circa
sulla base, sulla scorta, di
questa duplice difficoltà si è
cominciato a porre il problema
del superamento del modello di
Welfare State. Cioè si capisce
che, per ragioni di finanza
pubblica, ma anche per ragioni
di modalità erogative dei servizi,
non è più possibile continuare
a tenere come modello di
riferimento il Welfare State. Perché
i cittadini si ribellano o sono
insoddisfatti oppure, come dire,
parlano male di forme varie di
reazione, a volte anche in
maniera non civile. Ecco allora
la ragione per la quale,
nell'ultimo ventennio, è avanzato il
terzo modello e cioè la Welfare
society. Welfare society. E qual
è l'idea di base della Welfare
society? Che è l'intera società
che deve farsi carico della
situazione di benessere dei
cittadini, delle persone. Non solo
lo Stato, l'intera società. Quindi,
vedete, Welfare capitalism: le
imprese si prendono; cura Welfare
state lo Stato si prende cura;
Welfare society è l'intera società
che si prende cura dei suoi
componenti, dei suoi cittadini.
E cosa c'è nella società? Nella
società ci sono tre sfere
(immaginate un triangolo). Una sfera
è quella degli enti pubblici.
Questa resta: cioè Stato, regioni,
comuni, (province se volete …
ma questo adesso non mette
conto parlare), quindi una sfera
è occupata dagli enti pubblici,
quali che essi siano.
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La seconda sfera è quella della
“business comunity”: cioè dalla
comunità degli affari, cioè, ancora,
degli insiemi di tutte le
imprese, di tutti i tipi che
operano in un determinato territorio.
E la terza sfera è
quella della società civile
organizzata, cioè la sfera di
quelli che l'articolo 2 dalla
nostra costituzione chiama “i corpi
intermedi della società”. Articolo
due della costituzione italiana.
Corpi intermedi della società. E
quali sono questi corpi intermedi?
Voi ne sapete qualcosa: si
va dalle associazioni di
volontariato, alle associazioni di
promozione sociale, ai sindacati, a
tutto. Perché il sindacato è
un'associazione: che sia ben chiaro,
non è un ente pubblico il
sindacato, è un'associazione che
evidentemente ha una sua
caratteristica, persegue suoi scopi e
così via. Pensate alle fondazioni:
sono un'altra infrastruttura della
società civile organizzata. Allora
l'idea della Welfare society, o
della società del benessere, è
tutta qui. Bisogna trovare il
modo di mettere in relazione
continua (non episodica, ma continua)
queste tre sfere sia per la
progettazione o programmazione degli
interventi, sia per la gestione
degli stessi. Ho detto: allora
è facile da capire, facilissimo.
Da attuare è una difficoltà
enorme, ci vorranno ancora anni
però ci arriveremo. Sì arriveremo,
però, ci vorranno anni e, in
Italia, com'è facile immaginare, ci
saranno alcune regioni che
arriveranno prima, altre arriveranno
dopo per le solite ragioni che
adesso andrò ad illustrare. Però,
notate, questa relazionalità non deve
essere episodica una volta ogni
tanto, deve essere sistematica.
Secondo: questa triangolazione deve
riguardare non solo la gestione
dei servizi, ma la programmazione.
Che vuol dire: l'identificazione dei
servizi che si vogliono fornire,
le priorità e poi, dopo, la
gestione vera e propria o
l’amministrazione vera e propria.
Questo modello ha il nome di
sussidiarietà circolare. Ora cosa sia
il principio di sussidiarietà lo
sappiamo più o meno (non c'è
bisogno, adesso, di entrare nei
particolari). L'articolo 118 della
costituzione, modificato nel 2001,
costituzione italiana, ha introdotto
il principio di sussidiarietà. Quale
però? Ha introdotto la sussidiarietà
verticale e quella orizzontale, non
anche quella circolare. Perché?
Perché nel 2001 queste cose
ancora non si sapevano sono
venute fuori dopo. E la gente,
i nostri parlamentari, non avevano
testa. Nessuno ancora parlava di
queste cose. Il concetto di
sussidiarietà circolare è venuto
dopo. Allora, voi direte, ma
fammi capire meglio le differenze?
La differenza è questa: che la
sussidiarietà orizzontale è quella
del Welfare capitalis, americana.
Cioè la sussidiarietà orizzontale non
garantisce l'universalismo. Questo
scrivetevelo bene in testa! Perché
lo so che ci sono molti
(anche i professori birichini) che
queste cose dovrebbero saperlo, le
sanno, e non lo dicono mai.
E questa è disonestà: non si
può farlo così!. Non si può
tener la gente nell'ignoranza. Anche
se dà fastidio la verità va
detta: cioè la sussidiarietà
orizzontale non garantisce l'universalismo.
Perché la sussidiarietà orizzontale
sapete come funziona? Il comune
o la regione, o a volte
lo Stato, affida a
quell'associazione, a quella fondazione
a quell’altra, la gestione dei
servizi in un certo ambito.
Però è quell'associazione che
stabilisce le modalità di accesso.
E se uno non rientra in
quelle modalità rimane fuori da
queste. Ecco perché abbiamo
bisogno della sussidiarietà circolare:
perché nella sussidiarietà circolare
uno dei tre vertici del
triangolo è rappresentato dall'ente
pubblico. E l’ente pubblico sta
lì a vigilare che non si
creino figli e figliastri, fratelli
e fratellastri. Cioè a dire che
non si creino discriminazioni tra
un gruppo sociale e un altro
gruppo sociale eccetera: questo vuol
dire universalismo. Chiaro? Ecco la
differenza profonda. La sussidiarietà
verticale è il decentramento, lo
chiamano verticale ma in effetti
bisognerebbe chiamarlo decentramento:
quando lo Stato trasferisce alle
regioni dei poteri, le regioni
li trasferiscono ai comuni, e
lì, al comune, a volte alle
aziende speciali e così via. Ma
quello, direi, è un problema
solo tecnico. Il vero punto
discriminante è tra sussidiarietà
orizzontale e sussidiarietà circolare:
la sussidiarietà circolare è quella
che garantisce invece l'universalismo,
cioè la copertura. E quindi
adesso la domanda diventa…
intendiamoci la questione qui è
uno dei problemi dove si
giocano certi valori! Uno può
anche dirmi “io non sono a
favore dell'universalismo” (gli americani
non sono a favore dell'universalismo.
Avete visto ad Obama quante ne
stanno facendo pagare per aver
fatto uno straccio, uno straccio
di riforma sanitaria in chiave
universalistica? Lo ricattano
continuamente! Fra un po’ lo
sbatteranno via!) Quindi direi che
bisogna imparare a rispettare le
posizioni che uno ha.
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Però bisogna avere il coraggio di
dichiarare da che parte si sta.
Questo è il punto! Mentre
rispettiamo tutte le posizioni
dobbiamo esigere che chi prende
una certa linea, soprattutto se
un politico, dichiari apertamente se
è a favore o no
dell'universalismo. Allora se uno mi
dice (io personalmente sono
favorevole all'universalismo perché la
mia formazione e il mio sistema
di valori mi importa a dire
che tutti gli esseri umani,
rispetto a certi bisogni cosiddetti
fondamentali, non possano tollerare
discriminazioni … tra chi è
ricco o povero, tra chi è
intelligente e meno intelligente e
via discorrendo, tra uomo e
donna). Però io non ho
difficoltà a dire e rispetto
che ci sia un altro (è
inutile che faccia i nomi, ma
voi li riconoscete) che dica
“no no i servizi di Welfare
vanno solo per queste categorie
o per questa piccola comunità”.
Però esigo che chi pensa così
lo dica in pubblico perché se
non lo dice in pubblico allora
io mi sento autorizzato ad
offenderlo, dargli cioè del
delinquente. Perché è così che
bisogna impostare il discorso
politico. Perché, ripeto, la libertà
non vuol dire nascondimento della
verità. E voi capite che, nella
realtà, molti si vergognano di
dire “io sono contro l'universalismo”
perché, voi capite, le implicazioni.
Perché si arriva vicino al
razzismo, vicino non completamente.
Gli americani hanno avuto il
razzismo fino a non molto
tempo, fa noi italiani non
l'abbiamo da secoli. La prima
comunità è stata Bologna. Bologna.
Non dimenticatelo: 1257 liber
paradisus: quando a Bologna, che
era il comune, eliminò la
servitù, abrogò la servitù. La
schiavitù era già stata eliminata.
E poi, dopo Bologna, tutto il
resto. 1257. Quindi noi italiani
ne abbiamo fatta di strada.
Alt. Pensate anche alla pena di
morte. Qual è stato il primo
stato a eliminare la pena di
morte? Il granducato di Toscana
nel 1787. 1700 noi non abbiamo
la pena di morte! In America
ce l’hanno ancora, oggi. Bisogna
capirle queste cose. Dopodiché
bisogna rispettare, però neppure che
noi italiani dobbiamo sempre
attirarsi e la frusta addosso.
Perché sul piano dei diritti
fondamentali umani non abbiamo da
imparare niente da nessuno. Gli
altri devono imparare da noi.
Perché quando io racconto questi
fatti storici la gente si tace.
Il fatto è che molti non
li sanno e allora pensano che
gli altri siano più avanti. Gli
altri paesi hanno preso ispirazione
da noi. Chiusa la parentesi.
Ecco allora il punto in
questione. Adesso la domanda diventa:
perché allora è così difficile
attuare la sussidiarietà circolare?
Cioè il modello di Welfare
society? Perché ci sono dei
timidi passi avanti ancora però
non si riesce. Tre ragioni:
primo perché l'ente locale (scusate
l'ente pubblico … anche locale
ma anche regione) dice “a me
non piace perché il potere ce
l’ho io, comando io” perché,
dice, “io sono stato eletto”,
“i cittadini mi hanno eletto
sindaco (oppure presidente della
regione Veneto), allora io ho
avuto il consenso, adesso decido
io”. “Allora io non accetto di
sedermi al tavolo con gli altri
due perché, perché io devo
esercitare il mio potere” “voi
mi avete letto, allora io
decido”. Ecco questa è la prima
difficoltà, ed è una difficoltà
che ovviamente nasconde un neo
molto grave. Chi ragiona così
non sa cos'è la democrazia e,
soprattutto, odia la democrazia anche
se a parole dice che è
democratico. Voi dovete dirglielo. Se
volete date pure la colpa a
me. Dategli anche il mio
telefonino così dopo io provvedo
completare. Perché io sono stufo
di gente ignorante come una
bestia che parlano senza sapere
quel che dicono. È perché se
uno è ignorante non è colpa
sua, però si deve far istruire,
non deve andare in piazza
parlare eccetera, perché il principio
democratico (di nuovo se uno mi
dice “a me non piace la
democrazia”, però lo devi dire)
perché il principio democratico non
dice che il sindaco, il
presidente della regione è eletto
per far quel che lui pensa,
ma è eletto perché venga
perseguito il bene comune. Questa
è la democrazia. È la dittatura
che, invece, attribuisce all’eletto i
poteri. Hitler non era stato
eletto forse? è stato eletto!
ebbe una maggioranza, il suo
partito, del 49%. Lui era il
segretario del partito nazista e
quindi, dice, “voi mi avete
eletto adesso comando io”. Ma
quella è democrazia? Come si fa
a non capire questa cosa?
Quindi ad un sindaco che mi
dice “io sono stato eletto”
quindi ho la fiducia”. No, tu
hai la fiducia di niente!!!
perché tu, diciamo, “se non
sono contenti non mi votano”
perché in 4-‐5 anni tu puoi
distruggere una comunità e quando
è distrutta inutile dire che tu
non sarai votato. Cosa mi
interessa a me che tu non
sarai votato quando nel frattempo
in quei quattro anni hai fatto
del male? Questi sono discorsi
da fare. Quindi allora la prima
difficoltà è che bisogna spiegare
alla classe politica, e a tutti
in generale, che il principio
democratico implica che uno viene
eletto per il bene comune, non
-
7
per fare quello che il suo
partito gli ha detto di fare.
Tanto è vero che quando uno
assume una carica pubblica dovrebbe
rompere il legame col proprio
partito, perché altrimenti la
democrazia non è più tale.
Allora meglio parlare di oligarchia
di un regime oligarchico non
democratico. Questa è una
difficoltà, l’altra difficoltà riguarda
il mondo dell'impresa. Gli
imprenditori dicono “cosa è sta
storia? Io il Welfare? No
no io ho già i miei
problemi: far tornare i conti,
far quadrare i conti dell'azienda
o questo, adesso poi c’è la
crisi ecc.” e prima che non
c’era la crisi? Uguale: non
si interessava! Cioè anche qui
bisogna far maturare gli imprenditori
e parlare loro di responsabilità
civile dell'impresa. Non basta la
responsabilità sociale, ci vuole la
responsabilità civile che vuol dire
quello che sto dicendo: tu
imprenditore non devi pensare solo
agli affari di casa tua, della
tua impresa, devi preoccuparti anche,
pro quota, assieme ad altri che
il bene comune della comunità
evolva ecc. Troppo comodo trovare
un imprenditore che dice “io
penso soltanto a fare l'imprenditore”
ma quello che imprenditore è?
Quello è un delinquente! Voi
sapete cosa vuol dire delinquente?
Non è una brutta parola
delinquente letteralmente vuol dire
uno che non fa quel che
deve fare, quello è un
delinquente. So che molti in
italiano pensano che delinquente
voglia dire assassino no!! Cosa
c’entra? Delinquente è uno, ad
esempio uno studente che non
studia è un delinquente, nel
senso che non fa quello che
ci si aspetta da lui che
faccia questo allora è il
punto: bisogna che si sensibilizzi
la classe degli imprenditori (tutti
tutti dalle cooperative agli
imprenditori for profit e della
meccanica come dell'agricoltura tutti)
che e tu sei imprenditore non
per fare il profitto, anche per
fare il profitto, ma tu sei
imprenditore per aiutare il processo
di sviluppo della tua comunità,
o della tua regione, della tua
città, della tua area la tua
provincia e così via. Questa
è un'idea che esisteva una
volta all'epoca dell'umanesimo civile
del 1400. Basta leggere i libri
di storia, però quelli giusti è
… non quelli che sono pieni
di bugie e di falsità. I
libri di storia ce lo
raccontano. Cosa facevano, cosa
fecero, gli imprenditori tra il
1300 e il 1500 quando nacque
il Rinascimento eccetera? Allora
la seconda difficoltà è di fare
in modo che l’imprenditore, la
classe imprenditoriale, capisca che
il compito dell'imprenditore non si
ferma ai cancelli della fabbrica,
ma va oltre. Nelle forme che
vanno trovate, ovviamente. Perché
anche qui, vedete, molti quando
faccio questo discorso (ma le
cose stanno migliorando), perché qui
non è solo problema di soldi.
Ma allora tu vuoi i soldi?
Ma chi te l’ha detto che
io voglio i soldi? Io quando
mi rivolgo agli imprenditori non
chiedo mai i soldi, sapete
cosa gli chiedo? Il know-‐how
gli dico “dammi la tua
conoscenza”. Tu sei un imprenditore
che ha sviluppato certi talenti,
sai fare certe cose, metti la
tua conoscenza e la tua abilità
al servizio di una causa. Poi
dopo sì, ci vogliono i
soldi come si vogliono e se
puoi metti i soldi, però
intanto comincia. Io sfido uno
che mi possa dire che anche
nelle situazioni di crisi un
imprenditore non possa contribuire a
dare un contributo così. Perché
mica ti chiedo subito i soldi?
Ad esempio c'è da fare un
progetto. E chi meglio di un
imprenditore sa fare i progetti?
Ad esempio in un ambito,
piuttosto che in un altro e
così via. Infine ce n'è
anche per la terza sfera:
quella della società civile
organizzata. E qui casca l'asino.
Perché? perché il mondo della
società civile organizzata (dal
volontariato in avanti, con tutte
le forme eccetera, cooperative
sociali eccetera) deve fare oggi,
per andare nella direzione della
Welfare society cioè della
sussidiarietà circolare, un balzo in
avanti decisivo. Voi direte “in
che senso”? Nel senso che il
terzo settore italiano fino ad
ora è stato cloroformizzato. Sapete
cos'è cloroformio? Uno lo inala
e s'addormenta. Noi abbiamo soggetti
di terzo settore che sono
bravissimi, buoni, generosi ma non
sono capaci a fare niente. In
che senso voi direte? Nel senso
della progettazione. Sono bravi ad
eseguire, ma non a progettare.
Perché? Perché fino adesso sono
stati tenuti a balia dall'ente
pubblico, e l'ente pubblico, fintanto
che aveva i soldi diceva
“guarda qui c'è quell'asilo
gestiscimelo tu, cooperativa
sociale, però queste sono le
regole a b c d eccetera”.
Questi qua prendevano, firmavano la
convenzione ed eseguivano. Quindi
bravissimi ad seguire perché c'era
l’ente pubblico che indicava le
modalità. Provate a chiedere di
inventarsi loro, fare quella che
si chiama “innovazione sociale”.
Sapete cos'è l'innovazione sociale?
La “social innovation”? Come mai
in Europa noi siamo indietro da
matti sull'innovazione sociale? E ci
battono
-
8
gli inglesi, i tedeschi e si
beccano un bracco di soldi e
noi non c'entriamo niente? Perché
siamo fessi!! Perché i soldi di
Bruxelles a noi non arrivano?
Sapete perché? Perché non sappiamo
fare innovazione sociale. Innovazione
sociale vuol dire che c'è un
problema, Bruxelles fa una specie
di bando, chi presenta il
progetto migliore. Poi c’è una
commissione e alla fine ti
danno i soldi. Noi non
cominciano mai niente perché non
sappiamo scrivere progetti. Io, se
avessi tempo vi racconterei un
sacco di episodi. Poi è chiaro
che c'è qualche eccezione, è
ovvio!! Io adesso però parlo in
generale cioè è accaduto che il
mondo del terzo settore è stato
tenuto… (sapete cos'è il
paternalismo? un genitore che educa
il figlio in maniera paternalistica,
secondo voi quel figlio, quando
diventa adulto, è capace di
cavarsela? Ma neanche per sogno!!!
Che è il problema dei nostri
giovani di oggi, perché non
sanno fare niente, soprattutto i
maschi come voi sapete, e
quindi dopo si trovano male.
Appena devono navigare da soli,
in mare aperto, vanno giù, non
ce la fanno, oppure devono
rinunciare e così via). Ecco
la stessa cosa è del terzo
settore. E soprattutto abbiamo fatto
in modo che il terzo settore
(volontariato in particolare) divenisse
una sorta di esecutore. Ma non
è questa la funzione. La
funzione del terzo settore è
quella di essere (dico una
parola forte), di avere capacità
profetica. Chi è il profeta? Il
profeta, ricordatevelo, non è chi
anticipa il futuro. Quelli sono
i maghi. Ci sono già gli
economisti che fanno i maghi e
non ne azzeccano una ecc..
Il profeta è chi ha il
coraggio di denunciare il presente,
non chi anticipa il futuro.
Quelli sono gli indovini, il
vero profeta è uno che vede
le cose che non vanno in
un territorio, le denuncia in
maniera civile. Questa è la
grande funzione. Che nel nostro
caso vuol dire che i soggetti
della società civile devono
intercettare i bisogni. Ma come
fa un Comune a sapere se
nel quartiere qua in fondo di
Treviso c'è un bisogno o
l'altro? Ditemelo voi come fa?
Il burocrate che sta negli
uffici, se sta negli uffici,
come fa a sapere com'è messa
la gente? Come fa a sapere
se è arrivato ieri una carovana
di nomadi? Per scoprirlo deve
mandare i vigili urbani che
devono fare … nel frattempo i
giorni sono passati e il
problema si è incancrenito. E’
chi sta sul territorio, le
associazioni, ecco perché l'associazionismo
è importante: perché chi è sul
territorio che ha continuamente le
antenne per captare i bisogni e
per dire “ah guarda lì succede
questo quell'altro e così via”
ecc.. Vi ricordate due anni fa
il caso che scoppiò Bologna la
mia città di Bologna? Io non
sono di Bologna, vivo a
Bologna. Due anni fa, che
andò su tutti i giornali del
mondo, che quel bambino di otto
mesi morto di freddo d'inverno
(era alla fine di gennaio) in
piazza maggiore a Bologna. Perché
è morto? I servizi sociali del
comune lo sapevano, ma evidentemente
loro hanno chiamato i genitori
(li conoscevano) gli avevano chiesto
“voi avete uno straccio di casa
per far dormire il bambino
eccetera”? Loro dissero “sì sì”
invece non era vero perché
avevano paura che gli portassero
via il bambino. Allora il
burocrate scrive “i genitori
dichiarano che hanno … apposto”
e il bambino dopo è
morto. Lì c’era una società di
volontariato che sollevò il caso.
Ma come? Lo sapevamo! E tu
burocrate stai a sentire quello
che dice il genitore? Ma è
ovvio che un genitore, se sa
che tu gli puoi portar via,
il figlio dice anche quelle
bugie! Ovviamente i genitori erano
un po’ scassati, lo capite da
soli, un po' drogati …
però, voglio dire, i servizi …
Piazza Maggiore è a 15 m
dai servizi sociali!!! e questi
han fatto morire un bambino
così perché, dice, la regola
burocratica … noi li abbiamo
interrogati loro ci hanno detto
che erano apposto… Ma sono
discorsi da fare? Io vi cito
questo esempio che è andato sui
giornali, ma ce ne sono
tantissimi. Perché? Ma perché gli
enti pubblici non hanno
l'informazione. Ecco allora il terzo
settore: quello che raccoglie
l'informazione dei bisogni e riporta
in quel tavolo (triangolare) e
lì, dopo, assieme all'ente pubblico
e alle imprese si dice “e
qui c'è questa emergenza qua …
mi sono arrivati nomadi oppure
sono arrivati gli immigranti da
qua e là … una
situazione è allora troviamo subito
… c'è il problema delle
carceri e così via. Ecco
allora, in conclusione, voi capite
qual'è il problema? Che il
modello della sussidiarietà circolare
è IL modello, non ci sono
alternative. A meno che uno
voglia eliminare l'universalismo. Ma
in Italia non si potrà
eliminare perché scoppierebbe la
rivoluzione. Allora il Welfare state
non è più proponibile, per le
ragioni che ho detto prima. Non
vuol dire che lo Stato
scompare, vuol dire che lo
Stato diventa uno dei tre, con
una funzione ben precisa: quella
di garantire l'universalismo delle
prestazioni. Ora questo modello ha
le difficoltà di cui ho detto,
però queste difficoltà verranno
superate un po' alla volta.
Perché? Perché di fronte alla
realtà che è sotto i nostri
occhi non si può continuare
così. Perché poi, quando la
gente arriva al dunque e dopo
noi italiani sappiamo come alzare
i tacchi e a darci una
mossa. Sarebbe meglio però arrivare
e giocare d'anticipo e che
alcune realtà possano fare.
-
9
In questo voi capite, adesso io
non ho avuto tutto il tempo,
pensate anche alla funzione della
cosiddetta contrattazione aziendale che
vede il sindacato … però
un conto è discutono con
riferimento a quelli che lavorano
in quella impresa, altro conto
invece aprirlo al resto della
cittadinanza. Ad esempio a Bologna
le imprese sono tante: hanno
aperto l'asilo, asilo aziendale
se non credete andate a
controllare. L’asilo centrale non
ospita solo i bambini piccoli
dei lavoratori, ma anche quelli
dei cittadini che vivono nel
quartiere. Questo è un esempio
di sussidiarietà circolare. Perché
altrimenti io cado nel modello
iniziale “io sono l'imprenditore
illuminato, faccio l'asilo per i
miei. Eh no, e allora quelli
che stanno lì vicino niente?
Capite o no? Queste sono cose
che già avvengono, in certe
realtà, bisogna generalizzarle e
portarle a conoscenza di tutto.
Ultimo punto del discorso è
il seguente. Qualcuno potrebbe dire
“ma tutto questo, da un punto
di vista economico, è possibile?
O, meglio, è conveniente?” Questo
è il bello di questo modello
che mentre il Welfare state
consuma risorse, la Welfare society
produce risorse. Voi direte “eh
miracolo!” No non è un
miracolo! Il punto, vedete, è
questo: ci sono due modi di
vedere il Welfare. Il Welfare
come spesa per consumo o il
Welfare come spesa per investimenti.
Fino ad ora è prevalsa la
prima linea. Perché? Perché il
Welfare state tende, mira a
migliorare le condizioni di vita
delle persone, le condizioni di
vita. Se è affamato ti do
il pane, se è ammalato
ti do la medicina. La Welfare
society, invece, mira a migliorare
le capabilities, cioè le capacità
di vita delle persone. Allora a
voi la scelta. Io preferisco
migliorare le capacità di vita
e non le condizioni. Perché se
io miglioro le condizioni oggi,
tu domani sarai nella stessa
situazione e io non potrò
continuare ad aiutarti per sempre
e dopo tu vai a finir
male. Se invece intervengo sulle
capacità di vita (voi sapete
cosa vuol dire le capacità?
Cioè sul tuo potenziale), è
ovvio che ti rendo autonomo
dalla tua situazione di bisogno,
ti metto nelle condizioni di
non aver più bisogno.
L'esempio più banale: dare
l'elemosina appartiene alla prima
linea. Miglioro le condizioni, io
metto nel bussolotto un po' di
soldi, quello mangia un panino.
E però voi capite che
non è un gran rispetto della
dignità umana questo. Perché vuol
dire che quello lì sarà sempre
alle mie dipendenze, dipenderà sempre
da me, da quanto gli butterò.
E secondo voi questo è
dignitoso? No! Io invece preferisco
quello prenderlo e lo faccio
lavorare e gli do un pugno
in testa se non vuol lavorare.
È sì dove pugno in testa
capite cosa vuol dire: perché,
a volte, bisogna anche forzar
con le dovute capacità psicologiche,
allora noi bisogna capire, e su
questo il sindacato da sempre
insiste, che la prima forma di
welfare è il lavoro! perché se
io ottengo il 12, 13, 14%
disoccupato è ovvio che quello
mi costa l’ira di Dio. Perché
gli devo dare la cassa
integrazione, e quello e quell'altro
ecc. e non producono niente.
Ma allora, scusa, non sarebbe
meglio usare gli stessi soldi
per farli produrre? E allora
qui si aprono le possibilità:
ecco perché il triangolo è
importante. Perché quando si pone
sul tavolo questo problema gli
imprenditori, che fanno parte della
seconda sfera, a loro gli
vengono le idee. Ve lo
dico io, “io saprei come fare”.
Avete visto l’esempio dell’inizio di
quest’anno del carcere di Bologna?
Carcere di Bologna: uno di
quelli sovraffollati. E lì c'è
un problema: un tasso di
recidività altissimo. Questi uscivano
poi dopo commettevano un reato
rientravano. Adesso; è andato anche
questo sui giornali, imprenditori
dalla meccanica, assieme ad
associazioni e assieme all'ente
pubblico (che in questo caso si
chiama il Ministero di Grazia e
Giustizia), hanno creato dentro il
carcere un laboratorio per la
fresa … il tornio e quelle
cose lì. Così le imprese
portano i semilavorati, i carcerati
finiscono o completano, poi le
imprese riprendono. I carcerati
imparano il mestiere e guadagnano
dei soldini anche lì il
sindacato ha dato una grossa
mano ecc. tutto in regola e
questi, quando usciranno, avranno dei
soldini, perché i soldi si
possono dare solo al momento
dell'uscita dal carcere, ma avranno
imparato il mestiere e quindi
non torneranno più a rubare a
fare le cose che per le
quali sono andati in carcere.
Ma questo il Welfare state
poteva farlo? No! Perché il
Ministero di Grazia e Giustizia
può fare il laboratorio? No! Ci
sono voluti però gli imprenditori
che si sono loro tra virgolette
tassati, hanno pagato il macchinario
da mettere lì perché lo Stato
non ha un soldo. Però il
carcere ha messo a disposizione
la sala. Quindi questi qua
lavorano, imparano e smettono di
fare caos dentro il carcere. E,
capite, questo è un esempio
piccolo piccolo, però è un
esempio che va nella direzione
quello che vi ho detto.
E questo è un esempio di
sussidiarietà circolare perché in
questo caso tutti e tre i
vertici sono intervenuti perché
nessuno, da solo, ce l’avrebbe
potuto fare. Ma allora perché
noi teniamo la gente in carcere
a non fare niente? E costa!
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Poi dici che non abbiamo le
risorse. Per forza! Diamo le
risorse a chi non produce
niente! E perché allora non
facciamo lavorare i carcerati? Con
questi modelli noi avevamo fatto
un esperimento simile tre anni
fa col carcere minorile. E lì
c'è ancora adesso: fanno le
paste, imparano a fare i
pasticceri. Lì non avevamo
previsto un piccolo incidente: che
questi ragazzi carcerati si sono
… come si fa a un minore
impedirgli di mangiare la crema,
la cioccolata? E adesso bisogna
fare una formazione perché sennò
questi si ammalano tutti di
diabete. Non è per il valore
delle cose, però per dire,
vedete, che se uno imbrocca
questa strada della sussidiarietà
circolare … ma soprattutto è
conveniente perché si risparmiano
risorse. Questo è il punto.
Invece noi continuiamo a tenere
(non parliamo poi degli anziani
non autosufficienti o degli anziani
che ci costano l’ira di Dio)
e teniamo gli anziani a far
niente. Ma vi sembra una cosa
giusta? Dal punto di vista
morale? È morale tenere uno che
sta non proprio bene …
ma sta bene e che potrebbe
fare e non farglielo fare?
Cioè, secondo voi, è civile la
società che impedisce a uno che
ha più di 65 anni di
essere produttivo? Capite che negare
la produttività a una persona è
negargli la libertà? Non ve
l’ha spiegato qualcuno? È
negare la libertà. Allora con
quale coraggio si può? Allora
uno dice “li mettiamo in
fabbrica”. È chiaro che non, ma
il lavoro è solo quello di
fabbrica? Allora gli anziani bisogna
renderli produttivi. È il progetto
che si chiama longevità attiva.
Potete chiamarlo in altra maniera.
Anche per questo ci vuole la
triangolazione: perché ci vuole, in
questo caso il sindacato dei
pensionati, ci vogliono degli
imprenditori, ci vuole l'associazionismo
che trovino il modo di
garantire il trasferimento dalla
conoscenza. Perché ogni pensionato
dentro di sé ha tanta
conoscenza. Ma perché noi dobbiamo
essere così egoisti da fare in
modo che quella conoscenza scompaia
con la sua morte? Ma perché
prima di morire quella persona
non può trasferire, ad esempio
ai più giovani, quella conoscenza?
Ad esempio i pensionati che
erano metalmeccanici vanno adesso in
carcere a insegnare ai carcerati
come si fa al tornio ecc.
Gli stanno vicino… loro si
passano il tempo, sono
contenti come una Pasqua e così
via. e così con tanti altri
esempi. Non parliamo poi
di quel che avviene nella
sanità che ancora è più chiaro.
Cioè, vedete, quello che noi
dobbiamo fare è di passare da
un'ottica di assistenzialismo
paternalistico in cui c’è lo
stato che si prende cura (e
non si prende cura in questa
maniera!!!) ad una situazione in
cui viene restituita la dignità
a ciascuna persona. Perché ognuno
di noi è portatore di carismi
e portatore di talenti. Impedire
ad una persona di sviluppare il
talento, solo perché un po'
malato, perché anziana, è un
delitto. E vedrete che, fra un
po' di tempo, queste cose
verranno messe, come si chiama
… scuro su bianco e il
nero su bianco in qualche
dichiarazione. Perché noi siamo
andati avanti con un'idea taylorista
perché in Italia, sino al 1950,
l'età media era di 60 anni.
Ora è chiaro che uno andava
in pensione e dopo, in media
un anno – due, moriva. E
allora si diceva “lascia che
goda”. Ma scusa, sapete
quant'è l'età media in Italia o
no? L’età media tra uomini e
donne in Italia è di 83
anni, la media 83! Ma scusa,
se uno va in pensione a
65, cosa fa tra 65 e 83?
È giusto lasciarlo a marcire a
far niente? Dice “li facciamo
giocare a bocce”. Ma vi sembra
una risposta interessante? Questo
andava bene ieri quando gli
anni residui di vita dall'età
della pensione erano di pochi
anni. Ma quando gli anni
residui sono di oltre vent'anni,
voi capite che il problema è
serio da un punto di vista
sociale. Allora io chiudo
dicendo che tutto questo è
stato un altro esempio al
distretto verso cui dobbiamo andare:
il distretto del welfare. L'idea
del distretto (come c'è il
distretto industriale) nel quale
distretto del Welfare entra il
distretto famiglia, ad esempio. Io
qui stasera non ho parlato, ma
è chiaro che il discorso della
famiglia meriterebbe un'attenzione molto
diversa di quanto non stia al
momento ricevendo. Quello che volevo
incentivarvi a fare è di
imboccare questa via perché voi
avete la possibilità. Perché Treviso
è una società, una città …
è una comunità molto avanzata,
è una città coesa, è una
città né troppo grande né
troppo piccola. Perché è chiaro
che in una grande metropoli
come Milano o Roma questo
discorso è un po' più
difficoltoso). E, d'altra parte, in
un paese di 15.000 abitanti non
c'è la massa critica. Qui voi
avete la massa critica. La
provincia di Treviso ha un
tessuto di imprese, di associazioni
di ogni tipo (dal volontariato,
le associazioni sociali che vi
invidia il mondo intero) e
allora perché non lo fate?
Voi direte “ma perché l'ente
pubblico …?” Convincetelo!! Chi
occupa le cariche pubbliche lo
dovete convincere! Convincere come?
Con il modello di democrazia
deliberativa: creando petizioni, scrivendo,
parlando sempre in
-
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maniera civile, però determinata!!! Come
ultima razza si può anche dare
un pugno in testa!!! sì sì
funziona funziona!!! Perché io vedo
con certi studenti: quando arrivo
a quello, dopo hanno capito
tutto. Allora vuol dire che in
certi casi funziona: è come la
medicina!!! No? Che quando è
cattiva a volte fa più bene
che non quell'altra. Allora vedete
di imboccare … perché questo
avrebbe significato per voi
sicuramente, ma avrebbe anche un
valore simbolico perché sareste di
guida per altre realtà simili
alla vostra che sono lì lì
e non trovano il coraggio di
fare un passo deciso in questa
direzione. E vorrei
concludere, vediamo se me lo
sono portato, con un brano che
mi piace sempre in questi casi
citare. Una frase di un autore,
che voi conoscerete, che era
Giovannino Guareschi. Giovannino Guareschi
all'autore di Don Camillo e
Peppone dell’Emilia tra Reggio
eccetera.. sentite, in uno dei
suoi scritti, cosa ci dice.
“Nelle situazioni di crisi bisogna
fare ciò che fa il contadino
quando il fiume travolge gli
argini e invade i campi.
Bisogna salvare il seme. Quando
il fiume sarà rientrato nel suo
alveo, la terra riemergerà e il
sole l’asciugherà. Se il contadino
avrà salvato il seme potrà
gettarlo sulla terra resa ancor
più fertile dal limo del fiume
e il seme fruttificherà e le
spighe, turgide e dorate, daranno
agli uomini pane vita e
speranza”. Ecco questo è un
pensiero che penso si addica
molto alla vostra realtà. In
questa situazione salvate il vostro
seme, recuperatelo perché le vostre
radici sono radici profonde, sono
radici solide e buone, se lo
recuperate (adesso la crisi passerà,
come l'ondata del brano passa
primo poi, passa) e se voi
avrete salvato il seme lo
rimpianterete e allora la pianta
darà frutti abbondanti, per tutti.
Grazie.