UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI SCIENZE M.F.N. Corso di Laurea Specialistica in Fisica delle Tecnologie Avanzate Laboratorio di Tecnologie Avanzate Anno Accademico 2005-2006 GRUPPO VII Alessio Federico Bracco Luca Franco Andrea Midolo Leonardo Pedrazzo Francesco
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Interferometro di Michelson - UniNa STiDuEunina.stidue.net/Fisica Generale 3/Materiale/Laboratorio... · 2011-12-17 · Scopo dell’esperienza `e calcolare il periodo spaziale delle
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI
TORINO
FACOLTA’ DI SCIENZE M.F.N.
Corso di Laurea Specialistica in Fisica
delle Tecnologie Avanzate
Laboratorio di Tecnologie Avanzate
Anno Accademico 2005-2006
GRUPPO VII
Alessio FedericoBracco Luca
Franco AndreaMidolo Leonardo
Pedrazzo Francesco
ii
Capitolo 1
Interferometro di Michelson
L’interferenza e un fenomeno che coinvolge piu onde che, propagandosi nel vuo-to o in un mezzo, si trovano a sovrapporsi. La sovrapposizione di due o piuonde avviene seguendo le consuete regole applicabili per grandezze vettoriali: inparticolare si puo verificare sovrapposizione costruttiva, distruttiva o una com-binazione lineare di entrambe.
Un interferometro e uno strumento che quantifica la radiazione elettromagne-tica proveniente da due o piu sorgenti, nel momento in cui avviene il fenomenodell’interferenza.
Al fine di poter correlare il fenomeno dell’interferenza con spostamenti spa-ziali relativi delle sorgenti occorre disporre di due sorgenti di radiazione coeren-te, spazialmente e temporalmente, entro la precisione dello strumento, aventi lamedesima frequenza e differenza di fase costante. In questo modo e possibilecorrelare la misura di intensita del fascio nel punto di interferenza e ricavare lospostamento relativo delle sorgenti.
Scopo dell’esperienza e calcolare il periodo spaziale delle frange di interfe-renza prodotte in un interferometro con geometria di Michelson-Morley.
1.1 La sorgente coerente
Nell’esperienza e utilizzato come sorgente un LASER a He-Ne, a gas atomicineutri (λ2 = 0, 6328µm). Un laser e un dispositivo in grado di produrre un’ondaelettromagnetica monocromatica entro certe incertezze costruttive, con un buongrado di coerenza spaziale e temporale.
All’interno del tubo laser e presente una cavita risonante alla frequenza pro-pria dell’emissione dovuta al salto quantico principale della molecola che pro-duce la radiazione. Nel laser in questione una miscela di He e Ne viene eccitatamediante sollecitazione elettrica. Decadendo allo stato fondamentale, l’He pro-duce con una buona probabilita una fotone di energia sufficiente ad eccitare unelettrone del Ne. L’elio si comporta in questo caso come atomo di pompaggio,ovvero fornisce l’energia necessaria per eccitare l’atomo di neon che, diseccitan-
1
2 Interferometro di Michelson
dosi, produce la radiazione alla frequenza necessaria (λ2). e importante a talfine il fatto che i livelli energetici dell’He 2s e 3s siano risonanti, rispettivamen-te, con i livelli 2s e 3s del Neon: in questo modo puo avvenire l’inversione dellapopolazione elettronica e l’effetto laser.
La probabilita di emissione e condivisa da diversi livelli energetici, quindivengono prodotte con diverse probabilita due frequenze principali (e altre diintensita minore) allargate da fenomeni statistici. Per produrre un’onda per-fettamente monocromatica e coerente e necessario che il gas venga inserito inuna cavita risonante avente la frequenza propria adatta. Sperimentalmente sirealizza questa condizione con l’utilizzo di uno specchio e una superficie semi-trasparente posti in lati opposti del contenitore del gas. Dalla superficie semi-trasparente viene prelevato il fascio.
La presenza degli specchi induce la formazione di un’onda stazionaria che sipropaga nello spazio con periodo e lunghezza d’onda costante e frequenza moltoben definita. In pratica si potrebbe caratterizzare lo spettro in uscita dal tubolaser come una laurentiana, molto stretta e piccata sulla λ2. La presenza dellasuperficie semitrasparente induce un errore nella coerenza del fascio, tuttavia ilfenomeno e considerato trascurabile. Si ottiene quindi all’uscita del tubo laserun’onda approssimabile come un’onda piana monocromatica:
Ψ(−→x , t) = ae−→k −→x −ωt+φ (1.1)
Dove:a e l’ampiezza dell’onda−→k e il numero d’ondaω e la pulsazione temporaleφ e la fase iniziale al tempo t = 0 e nel punto di coordinate −→x = (0, 0, 0)
1.2 L’interferenza
Quando due onde elettromagnetiche monocromatiche e coerenti si sommano inun punto dello spazio si ha, come gia accennato in precedenza, il fenomenodell’interferenza. Seguendo la notazione complessa, scriviamo le equazioni delledue onde elettromagnetiche coerenti in considerazione:
E1 = E0ei(kx1−ωt)
E2 = E0ei(kx2−ωt) (1.2)
dove abbiamo supposto la fase φ1 = φ2 e, ovviamente, x1 e x2 sono le distanzedi ciascun raggio dalla sorgente. L’onda risultante e data, secondo il principiodi sovrapposizione da
E = E1 + E2 = E0e−iωt
(eikx1 + eikx2
)(1.3)
Dal momento che si misura l’intesita dell’onda e questa e proporzionaleal quadrato dell’ampiezza nel punto di sovrapposizione, si deve calcolare ilquadrato di E:
|E|2 = EE∗ = E20
(eikx1 + eikx2
) (e−ikx1 + e−ikx2
)= (1.4)
1.3 L’interferometro di Michelson 3
= E20
(2 + eik(x1−x2) + e−ik(x1−x2)
)= (1.5)
= 2E20(1 + cos(kx1 − kx2)) (1.6)
Segue immediatamente che
I = 4I0 cos2(π
λ∆x
)(1.7)
ossia si e legata direttamente la lunghezza d’onda della radiazione luminosa allavariazione ∆x di percorso (riconducibile quindi allo spostamento ∆s della slitta)mediante la misura dell’intensita delle frange di interferenza.
Sara quindi sufficiente, in linea teorica, misurare tali frange e calcolarne lafrequenza in funzione dello spostamento della slitta per calcolare la lunghezzad’onda.
Come considerazione aggiuntiva mostriamo ancora che e importante avereluce coerente altrimenti questo fenomeno non si puo osservare. Infatti se laluce fosse incoerente si avrebbero le fasi delle due onde variabili nel tempo e sidovrebbe scrivere
I = 4I0 cos2(δ(t)/2)∣∣medio (1.8)
con δ(t) = k∆x + ∆φ(t) e quindi in un certo periodo τ sufficientemente lun-go il cos2 avrebbe valor medio 1/2 e si avrebbe sempre I = 2I0 ossia non siosserverebbe interferenza.
1.3 L’interferometro di Michelson
Figura 1.1: Schema essenziale di un interferometro di Michelson
Di tutti i dispositivi interferenziali progettati nel corso della storia, l’inter-ferometro di Michelson-Morley (mostrato molto schematicamente in figura 1.1)
4 Interferometro di Michelson
e uno dei piu ingegnosi e utili per misure di precisione in diverse branche dellescienze pure e applicate. Esso venne ideato per dimostrare l’esistenza dell’etere(di cui si parlera piu avanti) e da allora ha trovato numerose applicazioni in geo-fisica (studio delle trasformazioni della crosta terrestre), fisica delle interazionifondamentali (esperimento VIRGO, che dovrebbe rivelare l’esistenza delle ondegravitazionali), cristallografia (determinazione del passo reticolare) e tecnologiadelle comunicazioni (sistema satellitare GPS). Il principio di funzionamento esemplice: una sorgente produce luce, ovvero radiazione elettromagnetica. Es-sa si propaga lungo la direzione di emissione grazie a una lente che concentrai raggi luminosi in un fascio parallelo (qualora non si sia utilizzato un laser).Dopo un certo percorso la luce viene separata in due fasci distinti tra loro orto-gonali, uguali in intensita, mediante un beam splitter (divisore di fascio) come,ad esempio, una lastra piana parallela con la superficie debolmente metalizzatache funge da specchio semiriflettente.
Dopo aver percorso una certa distanza entrambi i fasci vengono riflessi dadue specchi. Ritornano cosı al divisore che agendo in modo contrario rispetto aprima (parte riflessa viene ora trasmessa e viceversa) li dirige verso uno scher-mo. Qui sovrapponendosi generano delle frange di interferenza, che in base alladifferenza di cammino ottico presenteranno dei massimi e dei minimi. Tenen-do fisso un cammino ottico, lo schermo dell’apparato diventera estremamentesensibile (mostrando uno spostamento delle frange di interferenza) a variazionidell’altro percorso del laser e a vibrazioni del suo specchio. Oggi questo tipo diinterferometro e in grado di misurare spostamenti di oggetti materiali dell’ordi-ne di qualche nanometro, utilizzando come sorgente un laser. Risultati ancorapiu sorprendenti si ottengono con un interferometro a raggi X.
1.3.1 Cenni storici
Durante il XVIII secolo si credeva che l’aria fosse formata da una sostanzainvisibile a cui i fisici diedero il nome di etere. Esso nacque per spiegare lapropagazione della radiazione elettromagnetica nello spazio vuoto.
Infatti avendo dimostrato la natura ondulatoria della luce e sapendo cheun’onda e una perturbazione periodica nel tempo e nello spazio che si propaganel mezzo, necessitava un etere luminifero. L’etere pervadeva tutto lo spazio el’ipotesi piu plausibile era che fosse solidale con il sistema della stelle fisse. Laterra, nel suo moto di rivoluzione attorno al sole, con velocita v = 30km/s, simuoveva con velocita v rispetto all’etere, mentre la luce si propagava con velo-cita c rispetto all’etere. Disponendo di uno strumento molto sensibile dovevaessere possibile osservare lo spostamento delle frange di interferenza a secondache il cammino ottico fosse stato parallelo o perpendicolare all’etere luminifero.
Albert Abraham Michelson, che aveva insegnato fisica all’istituto di Cleve-land in Ohio, decise di provare a misurare la velocita della luce per vedere sesi trovava traccia del cosiddetto vento d’etere e si mise in contatto con EdwardMorley, che offrı il suo seminterrato per l’esperimento. Correva l’anno 1887.L’apparecchio fu montato su una lastra di pietra quadrata di 15 cm di lato ecirca 5 cm di spessore. Per eliminare le vibrazioni la lastra veniva fatta galleg-
1.3 L’interferometro di Michelson 5
giare su mercurio liquido, accorgimento che permetteva di mantenere la lastraorizzontale e di farla girare attorno ad un perno centrale. Un sistema di specchiinviava il raggio di luce per un percorso di otto viaggi di andata e ritorno alloscopo di rendere il cammino del raggio di luce piu lungo possibile. Una voltaeffettuato l’esperimento non si trovo traccia di un vento d’etere in quanto lavelocita della luce era indipendente dalla direzione di rivoluzione della terra e dipoco superiore a 300000km/s. Con questo esperimento fallisce la composizionedelle velocita nel caso della luce perche appunto la luce non viene trascinatada nessun mezzo fisico. La spiegazione del fallimento dell’esperienza di Michel-son e Morley e quindi che la velocita della luce e la medesima in tutte le direzioni.
1.3.2 Interferometria e rideterminazione della costante diAvogadro
Il chilogrammo e l’unica tra le unita di misura SI che e definita in relazionead un manufatto e non a una proprieta fisica. Il grammo entro a far parte delSistema Metrico Francese il giorno 1 agosto 1793, definito come la massa di uncentimetro cubo di acqua alla temperatura di 3,98 ◦C a pressione atmosfericastandard. Questa particolare temperatura venne scelta poiche per essa l’acquapossiede la sua massima densita.
Il 7 aprile 1795 fa la sua comparsa il chilogrammo, come suo multiplo. Sic-come questa definizione era difficile da realizzare accuratamente, il chilogrammoviene ridefinito come la massa precisa di una particolare massa standard realiz-zata nel 1875.
Il prototipo internazionale del chilogrammo, un cilindro retto a base circolareche misura 39 mm in altezza e diametro, composto da una lega di platino e iridio,e conservato al Bureau International des Poids et Mesures presso il pavillon deBreteuil a Sevres, Francia.
Dal 1889, il SI definisce l’unita di misura come pari alla massa di questo pro-totipo. Copie ufficiali del prototipo, utilizzate come riferimento nelle taraturedi qualsiasi strumento commercializzato, vengono confrontate con il prototipodi Parigi all’incirca ogni dieci anni. L’utilizzo di questo prototipo comporta chesiano soddisfatti due requisiti fondamentali: la massa e il numero di atomi che locompongono devono rimanere inalterati. Come si puo immaginare esistono tuttauna serie di inconvenienti in quanto: il prototipo e unico, puo essere danneg-giato o distrutto, non puo essere manipolato spesso e non e ancora ben definitala sua interazione con l’ambiente. Sembra che il chilogrammo originale abbiaperso circa 50 microgrammi negli ultimi 100 anni per ragioni ancora sconosciute.
La scomodita legata all’accessibilita dei campioni unita alla loro dubbia ac-curatezza hanno convinto i tecnici e gli scienziati a cercare una definizione mag-giormente soddisfacente, per mezzo di costanti fondamentali o atomiche. Unprogetto su cui si sta lavorando e quello di legare la definizione di chilogrammoal numero di Avogadro.
Infatti e possibile definire il chilogrammo come un numero fissato di atomidi una particolare sostanza, ad esempio il silicio perche puo essere sintetizzato
6 Interferometro di Michelson
Figura 1.2: Prototipo internazionale del chilogrammo
in grossi cristalli con un alto grado di purezza.
Per questo elemento, conoscendo la massa molare e il volume della cellaunitaria, la massa viene calcolata dal volume del cristallo, se la costante diAvogadro e nota:
m =MV n
NAa3(1.9)
Siccome la massa molare M , il volume della cella unitaria a3, il volume Ve la massa del campione m si misurano direttamente con tecniche diverse, epossibile rigirare la formula vista sopra per calcolare la costante di Avogadro:
NA =Mn
ρa3(1.10)
Con questo approccio ci si riduce quindi a dover calcolare la costante diAvogadro con un’incertezza inferiore a 1 parte su 108, che e equivalente all’in-certezza dell’attuale definizione del chilogrammo.
Chiaramente tanto minore e l’incertezza, tanto maggiore e la capacita di con-tare con precisione il numero di atomi necessari per formare un chilogrammo del-la sostanza prescelta (silicio), che adesso e stato calcolato essere 215253734·1017.In questo contesto si colloca l’interferometria a raggi X, ossia nella misura dellaspaziatura a tra due piani reticolari del silicio (pari a 0.192 nm) e con un’incer-tezza di 3 parti su 109. Per questa misura si fanno uso di due interferometri:uno a raggi X su cui non ci soffermiamo e uno di Michelson ad esso congiunto.
L’esperimento e focalizzato sull’utilizzo dell’interferomentro di Michelson dicui e data una descrizione nella prossima sezione.
1.4 L’apparato sperimentale 7
1.4 L’apparato sperimentale
Il nostro interferometro di Michelson possiede una tecnologia molto avanzatarispetto a quello del 1887, utilizzando luce coerente, monocromatica e sistemiottici che facilitano l’allineamento rispetto alle normali lenti riflettenti. Unasorgente produce un raggio laser di determinata lunghezza d’onda.
Il laser viene poi splittato in due fasci, di circa uguale intensita, per mezzodi un sistema ottico, chiamato beam splitter. I raggi percorrono due camminitra di loro ortogonali fino a che vengono intercettati da altri sistemi ottici, icosiddetti corner cube che li riflettono nella stessa direzione del fascio incidente.I due fasci, ritornando cosı al beam splitter vengono un po’ trasmessi e un po’riflessi ricombinandosi. Una parte del fascio risultante viene diretta verso unrivelatore sensibile ai massimi e ai minimi di intensita. Esso e collegato a uncomputer su cui e presente un’interfaccia, sviluppata con il programma Lab-View, che permette di visualizzare le frange di interferenza e di variare diversiparametri che determinano il tipo di misura desiderata.
Figura 1.3: L’interferometro di Michelson dell’esperimento
Tutto il nostro apparato di misura e stato collocato su un banco di legno,con gambe metalliche, per ridurre quanto piu possibile, le vibrazioni provenientidal terreno. Tuttavia il principale smorzatore, che viene utilizzato per dimi-nuire l’effetto di un qualsiasi disturbo meccanico proveniente dal pavimento, ecostituito da una camera d’aria, a forma di ciambella di circa 40 centimetri didiametro e opportunamente gonfiata.
La ciambella, che serve inoltre per ridurre i fenomeni di risonanza, e posi-zionata sul tavolo, sotto la base metallica, dove sono disposti i sistemi ottici.Alternativamente si possono utilizzare dei piccoli cunei di legno che mettono in
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diretto contatto l’interferometro con il tavolo.
Nel corso delle misure il sistema viene protetto da un guscio a forma di paral-lelepipedo di polipan, cioe poliestirene espanso che riduce le vibrazioni acustichee i gradienti termici.
La base metallica serve per garantire la massima complanarita degli elementiottici, che compongono l’interferometro di Michelson. Come gia accennato isistemi ottici sono:
• Una sorgente laser di elio-neon da λ = 632 nm, ovvero una sorgentedi luce rossa coerente monocromatica. Questo viene acceso in un tem-po precedente all’acquisizione delle misure per permettergli di andare intemperatura.
• Il beam splitter e un cubo, formato da due prismi di sezione triangolareuniti insieme, la cui faccia comune e posta a 45◦ rispetto al laser incidentee cosparsa di uno strato di ossido semiriflettente.
Grazie allo strato di ossido il fascio laser incidente viene in parte riflessoe in parte trasmesso.
Il beam splitter poggia su un piedistallo, che a sua volta e fissato alla plan-cia metallica con due viti.
Il piedistallo puo variare leggermente la sua posizione sul supporto; il beamsplitter puo essere spostato limitatamente alle dimensioni del piedistalloe avendo cura di maneggiarlo delicatamente, senza toccarlo con le dita ocon oggetti metallici.
Figura 1.4: Beam splitter cubico
• Il corner cube, utilizzando un sistema di specchi disposti in modo opportu-no, permette di riflettere il fascio in direzione parallela a quella incidente,facilitando cosı l’allineamento dell’interferometro.
1.4 L’apparato sperimentale 9
Nell’interferometro vengono utilizzati due corner cube, uno per la parte difascio trasmesso dal beam splitter e l’altro per il fascio riflesso.
Il primo corner cube e montato su una slitta Schneeberger, una base semo-vente che permette di variare la lunghezza del percorso dal beam splitteral corner cube.
La movimentazione avviene grazie a un dischetto piezoelettrico (dal gre-co piezo = premere), un cristallo in grado di deformarsi (espandendosi econtraendosi) se stimolato da impulsi elettrici, e viceversa (generando unsegnale elettrico se sottoposto a deformazioni).
Il nostro piezoelettrico e di titaniato di bario e con un impulso elettrico da10 V effettua uno spostamento di circa 1 µm. La slitta poggia direttamentesul supporto metallico e puo essere spostata a piacere per l’allineamento.
Figura 1.5: Il corner cube montato su slitta Schneeberger
Il secondo corner cube, che riflette il fascio trasmesso, e posizionato su unastruttura chiamata “parallelogramma”, che poggia a sua volta sul suppor-to metallico e ha lo scopo garantire la stabilita e la rigidita del sistema.Questo ultimo puo essere spostato per ottenere il corretto allineamentodel raggio laser.
• Il rivelatore e un fotodiodo di materiale semiconduttore fotosensibile. Gra-zie ad esso l’intensita del raggio laser formato dalla ricombinazione dellaparte riflessa e trasmessa, viene convertita in segnale elettrico e inviato alprogramma di analisi dati. Il fotodiodo e fisso.
Grazie all’interfaccia utente di LabView viene visualizzato un andamentosinusoidale del segnale elettrico. Infatti lo spostamento del secondo corner cubeproduce una differenza di cammino ottico tra i due raggi laser, generando cosıun fenomeno di interferenza, costruttiva nei punti di massimo e distruttiva inquelli di minimo. Il programma permette di vedere le frange di interferenza intempo reale, mentre la slitta Schneeberger e in movimento.
10 Interferometro di Michelson
Figura 1.6: Il corner cube montato sul parallelogramma
Come si puo osservare dall’interfaccia vengono impostati diversi parametri.
Per quanto riguarda il controllo temporale:
Durata della rampa: tempo necessario per fare un’andata e un ritorno com-pleto della slitta, legato quindi alla sua velocita di spostamento. Tipicheimpostazioni sono: 30, 40, 60, 80 secondi
∆t setting / acquisizione: tempo di posizionamento e d’attesa del sistemaprima di effettuare la misura (fissato usualmente a 0,01 secondi)
∆t tra le rampe: intervallo temporale tra un’escursione completa di tensionedel piezoelettrico e la successiva qualora si vogliano acquisire piu rampeall’interno della stessa misura
Numero di acquisizioni: quanti campionamenti del segnale si desiderano ef-fettuare nel corso della rampa. Si possono selezionare i valori: 128, 256,512, 1024, 2048, 4096, tenendo presente quindi che la risoluzione temporaledello strumento e
∆teffettivo =(∆trampa + ∆tsettingNacquisizioni)
Nacquisizioni(1.11)
Controllo piezoelettrico: in base alla tensione impostata si modifica la mas-sima elongazione nei due versi di spostamento della slitta rispetto allaposizione di riposo. e consigliabile a scopo precauzionale non superare inmodulo i 10 V.
Controllo fotodiodo: per la sensibilita del fotodiodo. Non viene variato.
1.4 L’apparato sperimentale 11
Figura 1.7: Fotodiodo
Salvataggio su file: e possibile salvare le proprie misure in un’apposita car-tella per farne poi la successiva elaborazione.
1.4.1 Allineamento
Prima di iniziare le misure, e necessario effettuare l’allineamento dell’interfero-metro. Questo procedimento avviene per gradi.
Primo passo: si colloca il beam splitter, utilizzando guanti e oggetti non me-tallici, ben centrato sul piedistallo in modo che intercetti il laser incidentea meta della sua altezza; quindi si avvicina il secondo corner cube osser-vando che i due spot (incidente e riflesso) siano distanziati di circa 0.5÷1.0cm.
Secondo passo: se i due spot sul corner cube e sul beam splitter non sonoalla stessa altezza lungo l’asse verticale si provvede inserendo strisciolinedi carta sotto il generatore del laser come spessore, il quale viene tenutoimmobile con degli elastici. Noi abbiamo disposto due o tre striscioline indue diverse posizioni dello strumento.
Terzo passo: individuato lo spot sul rivelatore si cerca di dirigerlo al centrodel fotodiodo agendo sul beam splitter e sul corner cube.
Quarto passo: si posiziona la slitta di Schneeberger con sopra il primo cornercube in modo che il nuovo spot che compare sul rivelatore vada a sovrap-porsi perfettamente al primo. Questa fase e molto delicata perche occorre
12 Interferometro di Michelson
Figura 1.8: Printscreen dell’interfaccia vi della scheda DAC/ADC
che i raggi laser che giungono al rivelatore siano perfettamente paralleli,onde evitare di avere bassi valori di visibilita1. Per verificare il paralleli-smo si utilizzano piccole maschere che si spostano manualmente lungo ilcammino ottico.
Quinto passo: se si osserva sul rivelatore uno spot risultante intenso e pulsantequalora si tocchi leggermente il parallelogramma del secondo corner cube(in quanto si e prodotta l’oscillazione di un elemento e di conseguenzauna differenza di cammino ottico) allora e stato effettuato un correttoallineamento.
Lo schema generale dell’interferometro e presentato nella figura 1.9.
1.5 Scopo dell’esperimento
Tra gli obiettivi piu importanti di questo esperimento vi e senz’altro la misuradel periodo delle frange di interferenza. Questa misura, come visto in preceden-za, da modo di ricavare in maniera semplice la lunghezza d’onda del laser.
Per questo scopo e stato necessario prendere confidenza con alcune proble-matiche legate all’uso dell’interferometro e, piu in generale, all’interferometria.
Innanzi tutto si e dovuto imparare a riconoscere i vari elementi che compon-gono l’apparato di misura e la loro utilita.
1Con visibilita si intende (Imax − Imin)/(Imax + Imin) con I intensita di corrente delfotodiodo
1.6 Procedura sperimentale 13
Figura 1.9: Schema dell’interferometro di Michelson
Inoltre l’esperimento ha avuto anche come scopo quello di imparare, seppurecon molte facilitazioni (ad esempio il corner cube), ad allineare l’interferometroin maniera quanto piu precisa possibile.
Un altro obiettivo importante, di cui si discutera piu avanti nella relazione,e legato alla presenza di vibrazioni negli esperimenti di interferometria. Sonostati analizzati gli effetti delle vibrazioni del suolo sui dati raccolti per mostrarela necessita di collocare l’esperimento su un ammortizzatore.
Infine si e studiato un metodo per analizzare i dati che facesse uso di fit nonlineari e di metodi Montecarlo al fine di produrre risultati soddisfacenti anchedal punto di vista statistico.
1.6 Procedura sperimentale
La procedura sperimentale da noi seguita puo essere schematizzata come segue:
1. Bloccando con alcuni cunei di legno la piattaforma si procede all’allinea-mento dell’interferometro (vedi sezione 1.4.1). Quando lo spot sul fotodio-do inizia a pulsare si rimuovono i cunei e si procede a qualche misura di
14 Interferometro di Michelson
prova. Si ripete questa procedura finche la visibilita non e soddisfacente(> 0.7) facendo anche uso di spessori di carta per modificare lievementel’inclinazione del laser.
2. Terminata la prima fase si eseguono le prime misure di test: ad ogni testsi varia il tempo e il numero di acquisizioni. Questo permette di ricavareil sistema migliore di acquisizione dati.
3. Con i risultati del punto 2, si procede all’acquisizione di 30 rampe2
4. Per verificare l’effetto dell’ammortizzatore lo si neutralizza andando a rein-serire nuovamente i cunei di legno e raccogliendo qualche dato in questomodo.
5. Nel tempo rimanente si e cercato di migliorare ulteriormente la visibilitacercando di rimuovere i ghost dalla superficie del fotodiodo e si sono preseancora una decina di rampe con questo sistema.
2Si intendono rampe di tensione applicata al piezoelettrico della slitta Schneeberger.
Capitolo 2
Calibrazione iniziale
Per determinare la bonta dell’allineamento occorre procedere al calcolo dellavisibilita ogni volta che vengono modificati i parametri geometrici dell’interfe-rometro.
A tal fine si eseguono misure rapide, con rampe da 512 punti. Si eseguequindi un fit dei dati1, in modo tale da riuscire a mediare i picchi di inizio efine rampa e calcolare la visibilita effettiva su tutta l’acquisizione, mediando lamodulazione della curva.
Disponendo dei dati della cosinusoide che descrive il segnale (f = a cos(bx+c) + d) si puo definire la visibilita come
V is =Vmax − Vmin
Vmax + Vmin=
2a
2d=
a
d(2.1)
La visibilita fornisce un indicazione del rapporto segnale/rumore dell’acqui-sizione, in quanto misura la differenza tra i valori massimo e minimo della curva(segnale) rapportato alla somma degli stessi valori (approssimabile con il doppiodi ciascun dato). In questo modo e possibile valutare la percentuale di segnaleeffettivamente riproducente il fenomeno fisico rispetto al dato contenente ancheil rumore di fondo, sempre presente comunque. In base alla definizione data lavisibilita risulta essere una grandezza adimensionale.
L’obiettivo di questa fase e cercare il compromesso migliore nell’allineamentodei vari componenti dell’interferometro, al fine di massimizzare il segnale utilee minimizzare il rumore di buio.
Si procede per approssimazioni successive al fine di determinare le miglioricondizioni di misura, tuttavia gli step di movimentamento sono grossolani: oc-correrebbero infatti delle regolazioni micrometriche, in modo tale che le misuresiano ripetibili e che si possa ricostruire una situazione impostata in una prece-dente misura, qualora quest’ultima sia peggiore della precedente.
1Gli algoritmi relativi al fit verranno discussi nel capitolo 4.1, riguardante le misure e letecniche statistiche utili alla comprensione del fenomeno.
15
16 Calibrazione iniziale
I risultati sono riportati nel notebook allineamento.nb, disponibile in ap-pendice, nel quale e stata creata una funzione apposita per il calcolo della visi-bilita.
E stata scelta in definitiva la configurazione dell’ultima misura, che presentauna visibilita pari a
V is = 0.79± 0.01
L’indicazione della visibilita e tuttavia povera di contenuto statistico, inquanto frutto di una singola misura (singolo set di dati). L’acquisizione di unnumero elevato di misure per ciascuna configurazione avrebbe tuttavia richiestotempi di allineamento molto elevati.
La configurazione scelta presenta una buona visibilita (prossima all’80%),tuttavia non e da escludere il fatto che si possa trattare di un caso fortuito,sito nella coda della gaussiana della distribuzione del parametro. In ogni casoun parametro di visibilita del 70% e ampiamente sufficiente all’esecuzione dellamisura, anche se in questo caso gli errori sulle ordinate sarebbero piu importantipercentualmente rispetto al valore dell’ampiezza (il fondo di segnale costante,rappresentato dal parametro d non trasporta alcuna informazione sulla misura,solo uno shift in verticale della funzione).
Capitolo 3
Determinazione dellecondizioni ottimali dimisura
La valutazione delle condizioni ottimali di misura, per quello che concerne ilsettaggio dei parametri di lettura, e stata effettuata comparando tra di loroalcune serie di dati, acquisiti impostando differenti valori del numero di punti edella durata dell’acquisizione.
Per ciascuna serie sono stati considerati due parametri indicativi: la visibilitae l’incertezza sulla frequenza B del corrispettivo fit cosinusoidale, estrapolatodai dati delle tensioni del piezoelettrico e del fotodiodo.
La visibilita e un parametro facilmente calcolabile che da una stima di quantoil segnale prodotto dal fotodiodo, amplificato dall’elettronica, sia distinguibiledalla tensione di offset e dal relativo rumore. Essa e definibile come
visibilita =Vmin + VmaxVmin − Vmax
(3.1)
dove Vmax ed Vmin sono il valore massimo ed il valore minimo della tensionedel fotodiodo corrispondenti ad una singola rampa. Poiche pero si e osservatoche tale parametro rimaneva praticamente costante per tutte le rampe di unasingola serie, sono stati considerati come Vmax ed Vmax il valore massimo ed ilvalore minimo dell’intera serie.
18 Determinazione delle condizioni ottimali di misura
Il procedimento del calcolo del fit con le relative incertezze sui parametri (ot-tenibili dalla matrice di covarianza) e descritto nel capitolo 4.1 di questo testo.
Vengono di seguito riportati per ciascuna serie di dati, i valori dei parame-tri d’acquisizione utilizzati, i valori della visibilita e della relativa incertezza,l’espressione del fit e l’incertezza sul parametro B.
Tabella 3.1: Risultati visibilita al variare di ∆t e numero di acquisizioni
Come si vede dalla tabella 3.1, il valore della visibilita rimane pressoche in-variato aumentando il tempo di acquisizione o il numero di punti presi. Questosignifica che il segnale che arriva alla scheda di acquisizione del pc e stabile ri-spetto alla variazione dei parametri di lettura. Per quanto riguarda l’incertezzasul parametro B (tabella 3.2), osserviamo che essa diminuisce di quasi la metadel suo valore raddoppiando il numero di punti, mentre tende ad avere oscilla-zioni dell’ordine di 10−7V −1 al variare del tempo di acquisizione. La scelta diun numero troppo grande di punti porta ad un aumento del dead time del di-spositivo di campionamento. Pertando avendo a disposizione un tempo limitatoper l’acquisizione dei dati si e optato per la scelta di 1024 punti per le successivemisure, atte al calcolo della variazione della lunghezza del piezoelettrico Il valorepiu stabile del’incertezza sul parametro B e quello che si ottiene prendendo untempo di acquisizione di 40 s.
Viene di seguito riportato il grafico della tensione del fotodiodo corrisponden-te ad una singola rampa di tensione sul piezoelettrico, con tempo d’acquisizioneimpostato a 40 s e numero di punti pari a 1024.
Tabella 3.2: Risultati dei fit non lineari al variare di ∆t e numero di acquisizioni
-7.5 -5 -2.5 2.5 5 7.5 10
0.5
1
1.5
2
2.5
3
Figura 3.1: Frange di interferenza con 1024 punti e ∆t = 40s
20 Determinazione delle condizioni ottimali di misura
Capitolo 4
Misure sperimentali
4.1 Misure sperimentali, considerazioni generali
Scopo di questa parte di esperienza e eseguire le misure sperimentali utili alfine di determinare il periodo spaziale delle oscillazioni del corner cube mobile,montato sulla slitta Schneeberger, eccitata mediante tensione sinusoidale conampiezza 10V.
Dopo aver eseguito una serie di misure sperimentali in varie condizioni, sonostate scelte le seguenti condizioni di misura, compromesso tra un numero suffi-ciente di punti sperimentali (compatibilmente con le possibilita di acquisizionedella scheda ADC) e il tempo necessario ad una singola acquisizione:
• Range di eccitazione della slitta Schneeberger: ±10V
• Durata della rampa: 40s
• Numero punti acquisiti: 1024
Sono state acquisite 30 misure utilizzando i medesimi parametri al fine diavere un buon numero di punti sperimentali, utili per poter iniziare un’analisistatistica del fenomeno.
Un tipico file di dati ASCII e costituito da quattro colonne contenenti rispet-tivamente un id progressivo della misura, l’istante di acquisizione, la tensionedi comando della slitta e l’intensita misurata dal sensore (tensione prodotta inmodo proporzionale all’intensita incidente sull’area attiva dello stesso).
E stato scelto di procedere all’analisi dell’intensita misurata in funzione dellatensione applicata, anziche del tempo di misura in quanto occorre considerareche il Virtual Instrument responsabile della gestione dell’acquisizione dei datiesegue le misure secondo il tempo impostato, tuttavia, tra una misura e la suc-cessiva e inserito un ritardo (dell’ordine del centesimo di secondo) utile al resetdel circuito di integrazione e alla lettura del buffer della scheda. L’invio delsegnale al piezoelettrico e sincronizzato di conseguenza, tuttavia la misura delperiodo temporale comporta una verifica della sincronizzazione dell’eccitazione.
21
22 Misure sperimentali
Risulta quindi piu efficace pensare ad uno spostamento in funzione della tensio-ne di controllo applicata alla slitta.
Ci si attende, come nelle precedenti acquisizioni la presenza di rumore dovutoalla presenza di perturbazioni esterne quali sollecitazioni meccaniche della base(movimenti sussultori) e acustiche (sebbene di intensita minore). Tali sollecita-zioni riescono a oltrepassare i dispositivi di filtro interposti tra l’interferometroe l’ambiente esterno, quali la ciambella e il contenitore in Polipan, e contribui-scono in modo normale (non correlato con il segnale inviato al piezoelettrico) acreare spostamenti relativi tra i due corner-cube. Sebbene questi spostamentinon possano essere apprezzati ad occhio nudo, essi possono essere misurati dallostrumento visto che possono essere confrontati, come ordine di grandezza, conla lunghezza d’onda del fascio laser utilizzato come campione di misura.
Un’ulteriore causa di non ripetibilita delle misure e data dal fatto che il mo-vimento del piezoelettrico e contrastato da molle. In seguito all’utilizzo dellostesso e possibile che si formino delle deformazioni della base di appoggio nelpunto in cui il piezoelettrico appoggia per eseguire lo sforzo richiesto. Tali de-formazioni, invisibili ad occhio nudo, avendo estensione di alcuni filari atomicilungo la direzione tangente alla faccia interessata del supporto, possono creareproblemi durante la fase di movimentazione della slitta. Si osserva sperimen-talmente che la slitta, una volta contratta dall’applicazione di una tensione di−10V , resta bloccata in posizione fino a quando la tensione non sale oltre i −9Vcirca. Questo fenomeno introduce una non linearita della slitta in questa zona.I dati acquisiti in queste condizioni devono pertanto essere scartati.
Ogni set di misure non conterra quindi esattamente 1024 misure, ma un nu-mero variabile, in relazione alla durata di questa prima fase della singola misura.I dati provenienti da questa fase dell’acquisizione sono stati scartati durante l’a-nalisi dei dati.
L’effetto di blocco della slitta porta inoltre un problema relativo alla fase ini-ziale della misura. Per limitare la formazione di deformazioni temporanee dellaslitta e stato inserito un foglio di carta (piegato in piu parti per aumentarne lospessore) tra il piezoelettrico e il supporto in modo tale da aumentare la zonadi appoggio e diminuire la pressione su quest’ultimo. Tuttavia e stato prece-dentemente osservato che il foglio di carta si comprime in modo non costante,creando quindi differenze apprezzabili di fase del segnale ad ogni misura, comesi puo notare osservando i grafici. Non essendo la fase iniziale un parametroimportante da stimare, l’effetto non e cosı negativo ai fini di questa misura,tuttavia occorre considerarlo nell’esecuzione dell’analisi statistica.
Un ulteriore causa di errore sistematico e dovuta al non perfetto allinea-mento dei fasci che, proveniendo dai corner-cube, vengono deflessi all’internodel prisma e giungono al sensore. I fasci vengono allineati in modo tale cheessi siano convergenti in un punto quando la slitta e a riposo (nessuna tensio-ne applicata al piezoelettrico), tuttavia questo non assicura che, spostando ilcorner-cube mobile (applicando una tensione di polarizzazione del piezoelettri-co), il punto di incidenza del fascio proveniente dallo stesso rimanga fisso, mapotrebbe spostarsi leggermente. La condizione di parallelismo e stata corretta
4.2 Acquisizione e best fit dei dati 23
in parte, in fase di allineamento, interponendo alcuni fogli tra il tubo laser e ilsupporto e sotto la slitta, in modo tale che i fasci risultassero quanto piu possi-bile paralleli. Tuttavia la regolazione e stata eseguita in modo imperfetto, conincrementi grossolani dovuti allo spessore dei fogli di carta inseriti e valutandoi progressi misurando la costanza della visibilita del segnale e il parallelismo deifasci lungo il cammino ottico utilizzando superfici opache poste ortogonalmenteai fasci. Per una regolazione ottimale occorrerebbe disporre di controlli fini conviti micrometriche su tutti gli assi di ciascun componente. L’effetto osservabi-le e che i massimi e i minimi, misurati in una singola acquisizione sono affettida un drift di intensita superiore alla sensibilita dello strumento e le variazionivengono quindi misurate. Al fine di fornire un risultato coerente, compatibilecon la strumentazione utilizzata e necessario eseguire un fit non lineare dellemisure che consideri tutti i punti sperimentali e che produca una stima ottimadell’ampiezza di ciascuna sinusoide acquisita.
-10 -5 0 5 10Vpz!V"
0
0.5
1
1.5
2
Vsens!V"
Figura 4.1: Tensione misurata vs tensione applicata al piezoelettrico
4.2 Acquisizione e best fit dei dati
Nel seguito verra analizzata una singola acquisizione, come esempio delle 30eseguite nelle medesime condizioni operative.
Graficando il file e possibile notare l’influenza dei tre fattori:
• non linearita nella prima fase di acquisizione
• drift dei massimi e minimi delle cosinusoidi
24 Misure sperimentali
• rumore spurio di entita superiore ai limiti dello strumento
-7.5 -5 -2.5 0 2.5 5 7.5 10Vpz!V"
0
0.5
1
1.5
2
Vsens!V"
Figura 4.2: Tensione misurata vs tensione applicata al piezoelettrico: datiutilizzati per l’analisi
In figura 4.1 e riportato il grafico relativo all’intero set di dati acquisito nel fileacquisiz 01 40 1024. In figura 4.2 e riportato il grafico relativo ai dati appar-tenenti alla stessa misura utilizzati nell’analisi successiva: sono stati eliminati ipunti relativi alla non linearita della movimento iniziale della slitta dovuto allacompressione irregolare del supporto di carta e alla deformazione del supportodella slitta.
Il grafico rappresenta con buona probabilita una sinusoide la cui ampiezzadipende anch’essa dal valore dell’ascissa e avente valor medio non nullo.
Al fine di determinare i parametri della sinusoide, utili per l’interpretazionedel risultato della misura occorre considerare un best fit non lineare, data lanatura della funzione. E stata scelta a tal fine, trascurando gli effetti di driftdell’ampiezza delle frange, una funzione del tipo
Si tratta di un metodo di tipo iterativo che, procedendo per approssimazionisuccessive, calcola il best fit point, ovvero l’insieme dei parametri che costi-tuiscono una funzione che meglio rappresenta l’insieme dei dati sperimentali.
4.2 Acquisizione e best fit dei dati 25
L’algoritmo calcola la funzione χ2 a partire dalla funzione stimata con i para-metri iniziali (inseriti dall’utente o scelti dall’algoritmo); dopo aver valutato ilgradiente della funzione χ2 nello spazio dei parametri da stimare (in questo ca-so a, b, c e d), procede ad ogni step in modo tale da minimizzare questa funzione.
Il metodo ha come presupposto teorico il fatto che i punti non siano distur-bati da errori sistematici non contemplati nella scelta della forma funzionaledella curva interpolante, che le misure siano tra loro scorrelate e distribuite inmodo normale intorno al valor medio. Esiste la possibilita di assegnare un pesominore a misure sperimentali poco significative, tuttavia la matrice dei pesi, chevaluta la bonta della misura, non e stata implementata e tutte le misure sonoconsiderate con ugual peso (wi = 1
N , i = 1...N). Discostandosi nella misura daquesti presupposti teorici implica un fit meno accurato.
E importante ricordare il fatto che, trattandosi di un fit non lineare, i para-metri stimati non sono completamente scorrelati e questo si riflette nel fatto chela matrice di covarianza non e diagonale, ma contiene alcuni termini al di fuoridella diagonale principale non trascurabili rispetto allo zero e confrontabili conle varianze relative a ciascun parametro, indicate sulla diagonale principale.
La scelta dei parametri iniziali, di un numero massimo di iterazioni suffi-ciente e la disponibilita di un adeguato numero di gradi di liberta del problema(punti sperimentali - empiricamente sono necessari 2N2 punti sperimentali perottenere N parametri) sono presupposti necessari affinche l’algoritmo riesca afornire una buona stima dei parametri.
E stato verificato che l’algoritmo fallisce nella ricerca autonoma dei para-metri iniziali: occorre quindi specificare una stima grossolana (ricavabile dallalettura del grafico della funzione), prestando particolare attenzione alla pulsa-zione spaziale b, il parametro piu critico.
Al fine di rendere automatica la scelta dei parametri iniziali e stato de-finito un algoritmo di stima grossolana che si basa unicamente su proprietageometriche della funzione scelta:
a: semidifferenza delle ordinate massima e minima del set di punti sperimentale.
d: semisomma delle ordinate massima e minima del set di punti sperimentale.
b: si valuta la differenza tra le ascisse di due intersezioni vicine tra la curva deidati sperimentali e la retta orizzontale y = d. Questa distanza corrispondead un semiperiodo (T/2). Il parametro c e definito come il rapporto traπ e il semiperiodo (ω = 2π
T = piT/2 ).
c: questo parametro e valutato considerando la distanza tra l’asse delle ordinatee la posizione del primo punto di intersezione con ordinata positiva tra lacurva dei dati sperimentali e la retta orizzontale y = d. A questo puntocorrisponde una fase π
2 : si risolve quindi l’equazione bx+ c = π2 e si ricava
la fase iniziale c.
I parametri vengono passati all’algoritmo Levemberg Marquardt medianteil comando NonlinearRegress che fornisce in uscita la funzione di best fit, i
26 Misure sperimentali
parametri calcolati, la matrice di covarianza dei parametri (utile per la stimadell’errore associabile a ciascun parametro), l’errore stimato per ciascuna ordi-nata sperimentale.
La matrice di covarianza contiene una misura teorica dei valori asintoticidi covarianza. Sulla diagonale principale sono riportati i quadrati degli erroriassociabili a ciascuna misura del parametro. E prevedibile che i parametri nonsiano scorrelati tra loro e quindi che la matrice di covarianza non sia diagonaleo approssimabile tale.
L’errore stimato per ciascun punto sperimentale fornisce un’indicazione sul-la bonta delle misure eseguite: spesso eseguendo un’unica misura sperimentaleper ciascun punto si associa ad essa un’incertezza pari alla sensibilita dello stru-mento, o comunque il maggiore tra la sensibilita dello strumento e la deviazionestandard, nel caso di piu misure di uno stesso osservabile. Spesso questo erroree sottostimato, in quanto non tiene conto di errori sistematici non direttamentequantificabili. L’algoritmo approssima al meglio la funzione, quindi calcola ilvalore di χ2 ridotto e impone χ2 = 1, ovvero che la funzione stimata si sovrap-ponga perfettamente alla curva sperimentale, entro gli errori di misura. Adattaquindi gli errori sulle singole misure in modo tale che la condizione sia soddi-sfatta. Questo metodo presuppone tuttavia che tutte le misure della singolaacquisizione siano affette da uno stesso errore sperimentale.
-7.5 -5 -2.5 0 2.5 5 7.5 10Vpz!V"
0
0.5
1
1.5
2
Vsens!V"
Figura 4.3: Fit non lineare dei dati sperimentali
In figura 4.3 e riportata la sovrapposizione tra i dati sperimentali (in nero) ela curva che meglio approssima la distribuzione degli stessi secondo l’algoritmodi Levemberg-Marquardt. E da notare come l’effetto del drift dei massimi eminimi della funzione sia stato mediato dall’azione del fitting. La deviazionedei massimi della curva non e tuttavia irrilevante ai fini della misura, in quantoinfluisce pesantemente sull’incertezza che occorre associare a ciascuna misurasperimentale.
4.3 Analisi della distribuzione dei parametri 27
!BestFit ! 1.34935 " 1.00915 Cos"3.21138 " 1.19799 x#,BestFitParameters! $a ! "1.00915, b ! 1.19799, c ! "3.21138, d ! 1.34935%,EstimatedVariance! 0.0292296,
L’errore stimato per ciascun punto sperimentale e δy = 0, 17[V ], secondo ipresupposti precedentemente enunciati. L’elevata stima dell’errore sulla singolamisura e dovuto a errori sistematici che introducono la variazione dell’ampiezzadelle singole oscillazioni. L’aumento dell’errore e generato dall’aver trascurato,nel modello teorico del sistema, da cui e stata formulata l’equazione della curva,l’effetto dello spostamento del punto di fuoco rispetto al piano su cui giace ilsensore.
Il metodo viene quindi ripetuto su tutta la famiglia di curve sperimentalimisurate e i risultati di ciascun fit popolano una variabile (matrice) software.
4.3 Analisi della distribuzione dei parametri
Fittati tutti i set di dati sperimentali, 30 in tutto, e possibile definire valor me-dio e varianza per ciascuno di essi, in modo tale da poter fornire un’unica curva,rappresentativa del fenomeno analizzato e valutare le incertezze sui parametricaratteristici della distribuzione.
Il set di parametri cosı ottenuto, unitamente alle incertezze associate e con-siderato un campione statistico di base sul quale iniziare la simulazione. Si puonotare che il numero di prove eseguite non e considerabile sufficiente per un’ana-lisi statistica, in altre parole il data-set di cui si dispone non contiene sufficientimisure per poter essere considerato un campione significativo. Occorrera quindiprocedere con una simulazione successiva di misure, utilizzando, come condizio-ni iniziali della simulazione i risultati di questa fase di analisi.
Analizzando i risultati di ciascun fit e possibile verificare che in alcuni casil’algoritmo estrae un parametro a di best fit negativo e corrispondentementeuna fase c negativa. Occorre quindi applicare la seguente identita in modo taleda riportare i parametri in un intervallo fondamentale:
a1 cos(b1x + c1) + d1 = a2 cos(b2x + c2) + d2
a1 = −a2
c1 = c2 + π(4.2)
28 Misure sperimentali
Occorre innanzitutto verificare che i parametri siano distribuiti in modonormale, in modo tale che possa essere statisticamente significativo effettuareoperazioni di media tra essi.
Ciascun intervallo dei parametri e stato suddiviso in 6 classi di larghezza ugua-
1.01362 1.0995 1.18538 1.27126 1.35714 1.44302
2
4
6
8
Figura 4.5: Distribuzione del parametro a (ricorrenze)
1.16825 1.17365 1.17906 1.18447 1.18988 1.19528
2
4
6
8
Figura 4.6: Distribuzione del parametro b (ricorrenze)
le, quindi sono state calcolate le frequenze dei parametri all’interno di ciascunaclasse. Nelle figure 4.5, 4.6, 4.7 e 4.8 sono riportate le distribuzioni statistichedei parametri, sovrapposte ad una gaussiana normale centrata nel valor mediodi ciascun parametro ed avente come deviazione standard la deviazione stan-dard del valor medio dello stesso.
4.3 Analisi della distribuzione dei parametri 29
-0.5473310.456801 1.46093 2.46506 3.46919 4.47333
1
2
3
4
5
6
Figura 4.7: Distribuzione del parametro c (ricorrenze)
Al fine di determinare se i parametri sono distribuiti secondo una statisti-ca normale occorre applicare il test χ2 (per una funzione avente d gradi diliberta, calcolando per ciascun parametro il seguente valore e valutando poi me-diante le apposite tabelle se il risultato e compatibile con l’affermazione che ladistribuzione puo essere descritta come una distribuzione normale.
χ2ridotto =
1d
d∑n=1
(νattesa − νstimata)2
νattesa(4.3)
I risultati del χ2 ridotto relativi ai vari parametri sono:
χ2a = 0, 32
χ2b = 1, 60
χ2c = 0, 89
χ2d = 1, 02
Statisticamente si puo affermare, con un errore massimo del 90% che i pa-rametri sono distribuiti in modo normale.
Osservando tuttavia la distribuzione della fase iniziale c, si potrebbe pen-sare che lo stesso sia un parametro scorrelato tra una misura e la successiva.Abbiamo gia osservato infatti che la fase iniziale non dipende da parametri delsistema in esame direttamente controllabili, ma dalla compressione del foglio dicarta posto tra il piezoelettrico e il supporto della slitta Schneeberger.
Mediando i valori dei parametri, si estrae il valore degli stessi.
Figura 4.8: Distribuzione del parametro d (ricorrenze)
Come si puo osservare il parametro di fase c ha una distribuzione decisamen-te allargata ed e possibile giustificare in questo modo il risultato del test χ2.Tuttavia non e possibile affermare che il valore sia effettivamente distribuito inmodo normale intorno ad un valor medio, ma piuttosto che sia un parametrodistribuito in modo casuale su tutto l’intervallo con distribuzione costante. Ilparametro c non riveste tuttavia alcun significato fisico, in quanto determina(in modo indiretto) la posizione relativa dei due corner-cube nelle condizioni dinessuna tensione applicata (Vpz = 0[V ]). Tuttavia siamo interessati ad una mi-sura differenziale che permetta di stabilire la distanza tra due punti della curvaseparati da una lunghezza d’onda. Possiamo quindi porre la fase iniziale ad unvalore qualsiasi. In particolare e stato scelto in modo arbitrario di porre la faseiniziale al valore di c ottenuto mediando tutti i punti. Essendo una posizione apriori e senza rilevanza dal punto di vista sperimentale si puo pensare che siauna costante priva di incertezza.
Siamo ora in grado di scrivere una funzione rappresentativa del campionein esame, tuttavia, trattandosi di poche curve sperimentali originanti la curvadefinitiva, la rappresentazione e affetta da errori molto elevati.
In figura 4.9 e rappresentata la curva ottenuta, descritta dall’equazioneseguente
Nota una funzione ottenuta con i dati sperimentali e possibile pensare di per-turbare questa curva n volte, sovrapponendo a essa un valore ε distribuito inmodo normale.
4.4 Definizione della perturbazione 31
-10 -5 0 5 10Vpz!V"
0
0.5
1
1.5
2
2.5
Vsens!V"
Figura 4.9: Funzione di best fit dei dati sperimentali
Dal punto di vista teorico, questa operazione equivale ad eseguire n misu-re dell’osservabile nelle medesime condizioni, posto che la stessa si comporti inmodo normale, come precedentemente assunto.
I punti vengono perturbati sostituendovi un valore ottenuto estraendo inmodo casuale, secondo una distribuzione normale avente come centroide il valo-re della funzione bet-fit, precedetemente calcolata, e come deviazione standardl’incertezza associabile a ciascun punto, secondo quanto riportato dal fit, impo-nendo un χ2 ottimale.
-10 -5 0 5 10Vpz!V"
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
Vsens!V"
Figura 4.10: Perturbazione della funzione best-fit
32 Misure sperimentali
La curva tipo che si ottiene in questo caso e simile a quella riportata in figura4.10. Si puo notare dal confronto tra le figure 4.10 e 4.9 che la distribuzionedei valori dei punti ottenuti statisticamente e allargata all’incirca della stessaquantita di cui risultano dispersi i valori delle curve sperimentali.
Ottenuto un set di n = 1000 curve sperimentali e possibile procedere al fitdi tutti i dati contenuti nello stesso, con criteri analoghi a quanto gia svolto inprecedenza.
4.5 Simulazione
Ciascun set di dati, ottenuto sovrapponendo alla curva teorica di best fit un erro-re normale, viene filtrata attraverso l’algoritmo di best fit Levemberg-Marquardt,come fatto in precedenza.
In questa fase si hanno a disposizione direttamente i parametri iniziali delfit, ovvero i parametri della curva teorica ottenuti dalla media dei best fit deivalori misurati sperimentalmente.
E stato scelto un numero n = 1000 prove della simulazione in modo tale daottenere un campione significativo per ciascun parametro.
1.20742
1.20821
1.20901
1.2098
1.2106
1.21139
1.21219
1.21299
1.21378
1.21458
1.21537
1.21617
1.21696
1.21776
1.21856
1.21935
1.22015
1.22094
1.22174
1.22253
1.22333
1.22413
1.22492
1.22572
1.22651
1.22731
1.2281
1.2289
1.2297
1.23049
20
40
60
80
Figura 4.11: Distribuzione del parametro a simulato (ricorrenze)
E stato verificato che i parametri sono dispersi in modo normale gaussiano,come si puo vedere dalle figure 4.11, 4.12, 4.13 e 4.14. L’ipotesi ricavabile dal-l’osservazione delle figure e stata verificata mediante test χ2.
Disponendo in linea teorica di n = 1000 curve sperimentali, ciascuna di essecontenente 1024 misure si ottengono errori statistici sui parametri migliori. Una
4.6 Conclusioni 33
1.1811
1.18122
1.18134
1.18146
1.18157
1.18169
1.18181
1.18193
1.18204
1.18216
1.18228
1.1824
1.18251
1.18263
1.18275
1.18287
1.18299
1.1831
1.18322
1.18334
1.18346
1.18357
1.18369
1.18381
1.18393
1.18404
1.18416
1.18428
1.1844
1.18452
20
40
60
80
100
Figura 4.12: Distribuzione del parametro b simulato (ricorrenze)
volta ottenuto il valor medio teorico e la deviazione standard del valor medio e
Si puo analizzare il fatto che anche il parametro c, per come e stata costruitala curva perturbata, risulta essere distribuito in modo normale e non in modoequiprobabile, come accadeva nei precedenti set di misure.
La curva interpolante (graficata in figura 4.15) risulta essere quindi datadall’equazione
La simulazione ha permesso di migliorare l’intervallo di confidenza per cia-scun parametro della curva di best-fit. Lo stesso sarebbe dovuto accadere sefossero state acquisite piu misure sperimentali, tuttavia questo avrebbe allun-gato i tempi di misura notevolmente.
4.6 Conclusioni
Dalla simulazione delle n prove e possibile calcolare lo spostamento del corner-cube mobile, posto sulla slitta Schneeberger.
Si suppone valido il dato fornito dal costruttore del tubo Laser: lo stesso pro-duce un fascio di luce rossa avente lunghezza d’onda λ = 632nm. Applicando la
34 Misure sperimentali
2.01419
2.01486
2.01553
2.01621
2.01688
2.01755
2.01823
2.0189
2.01957
2.02025
2.02092
2.02159
2.02227
2.02294
2.02361
2.02429
2.02496
2.02563
2.02631
2.02698
2.02765
2.02833
2.029
2.02967
2.03035
2.03102
2.03169
2.03237
2.03304
2.03371
20
40
60
80
Figura 4.13: Distribuzione del parametro c simulato (ricorrenze)
relazione di Bragg si ottiene un massimo di intensita (interferenza costruttiva)quando tra i due cammini ottici e presente una differenza pari a un numerointero di lunghezze d’onda.
Nel caso preso in esame la distanza tra due massimi di intensita adiacenticorrisponde alla traslazione della slitta di una quantita pari alla lunghezza d’on-da del Laser impiegato. La distanza tra due massimi successivi (secondo i datiottenuti dalla simulazione) e pari a:
∆V = 2πb = 5, 312± 0, 002[V ]
Applicando quindi una tensione al piezoelettrico pari a ∆V si ottiene unospostamento del corner-cube (a meno di errori di non linearita o sistematici)pari a λ.
4.7 Metodo di Gauss
Un metodo alternativo che permette di ottenere la stima dei parametri del-la cosinusoide e il metodo di Gauss-Markov. Data la natura non lineare delproblema, il metodo e di tipo iterativo, in quanto deve approssimare in modosempre piu realistico la funzione, mediante funzioni lineari nei parametri.
Si puo notare che i metodi forniscono sostanzialmente gli stessi risultati eerrori statistici sui parametri (matrice di covarianza). Le matrici di covarian-za risultano essere consistenti tra loro, a condizione di imporre nel metodo di
4.8 Parziale oscuramento del sensore 35
1.56308
1.56362
1.56416
1.5647
1.56524
1.56577
1.56631
1.56685
1.56739
1.56793
1.56847
1.569
1.56954
1.57008
1.57062
1.57116
1.5717
1.57223
1.57277
1.57331
1.57385
1.57439
1.57493
1.57547
1.576
1.57654
1.57708
1.57762
1.57816
1.5787
20
40
60
80
100
Figura 4.14: Distribuzione del parametro c simulato (ricorrenze)
Gauss un errore sulle singole misure pari all’errore statistico fornito dal coman-do NonLinearFit. I parametri risultano invece essere sempre sostanzialmenteuguali sia utilizzando Gauss-Markov che Levemberg-Marquardt.
Occorre inoltre considerare che l’algoritmo implementato richiede molto piutempo macchina rispetto a quello ottimizzato, fornito con il software.
Talvolta l’algoritmo fallisce, questo evento e segnalato spesso da un war-ning che segnala la richiesta di inversione di una matrice con determinantemolto piccolo (mal scalata) e/o da un numero eccessivamente elevato (anche senon sempre oltre il numero massimo impostato) di iterazioni richieste prima ditrovare il set di parametri che soddisfa la condizione di uscita dal ciclo.
4.8 Parziale oscuramento del sensore
Il parziale allineamento eseguito, la non perfetta ortogonalita delle superfici aifasci e la presenza di riflessioni non volute e difficilmente controllabili, genera
36 Misure sperimentali
-10 -5 0 5 10Vpz!V"
0
0.5
1
1.5
2
2.5
Vsens!V"
Figura 4.15: Curva interpolante della popolazione simulata
spot spuri sulla superficie del sensore e sulla cornice dello stesso. Il sensore hauna superficie attiva di forma circolare, con un diametro di circa un centime-tro, mentre la dimensione tipica dello spot dovrebbe essere intorno al decimodi millimetro (la distribuzione e gaussiana per ciascuno spot, tuttavia le codedella distribuzione non sono visibili ad occhio, anche se si potrebbe pensare cheabbiano un contributo nell’integrazione superficiale del sensore).
Il contributo della porzione del fascio spuria e minore rispetto al fascio del-l’interferometro, anche in virtu del fatto che non e focalizzato in un punto,tuttavia contribuisce in modo non trascurabile al rumore di buio del sistema econseguentemente inserisce una componente continua (in prima approssimazio-ne) che sposta l’intero segnale in alto riducendone la visibilita.
La condizione ideale sarebbe data dal disporre di un sensore con area attivadelle dimensioni dell’ordine della dimensione del fascio. Questo tuttavia nonrisulta essere conveniente dal punto di vista dell’allestimento del banco di mi-sura, in quanto richiederebbe un allineamento molto preciso. Inoltre si possonoattendere fenomeni di diffrazione da fenditura sottile, secondo il principio diHuygens, che comporterebbero letture falsate del fenomeno dell’interferenza trai due fasci. Al fine di escludere questa eventualita la fenditura e stata sceltacomunque di dimensioni macroscopiche.
E stata tuttavia eseguita una misura schermando i fasci spuri con due plac-chette opache disposte verticalmente presso il sensore, in modo tale da ridurreil piu possibile la presenza di punti spuri sullo stesso. Facendo questo abbiamoeliminato anche una parte delle code delle gaussiane dei due fasci, tuttavia lafenditura era sufficientemente aperta da permettere a buona parte del fascio diincidere sulla superficie del sensore.
Sono state eseguite diverse misure con questa configurazione dell’interfero-
4.9 Considerazioni sulla matrice di covarianza 37
metro, variando il numero di punti sperimentali per ciascuna curva e la frequenzadi movimentazione del piezoelettrico ed e stata condotta un’analisi statistica suun campione di 10 misure eseguite nelle stesse condizioni delle misure preceden-ti, ovvero 40 s di rampa e 1024 punti per ciascuna misura.
L’intero notebook con i risultati ottenuti e riportato in appendice.
Dato il numero esiguo di misure acquisite con queste modalita, il risultatoche si ottiene e associabile ad un incertezza maggiore rispetto all’acquisizione ditrenta misure e le considerazioni che si possono trarre non sono supportate daun campione significativo della popolazione.
E tuttavia possibile concludere, secondo i dati a disposizione, che questaconfigurazione permette di ottenere cosinusoidi piu stabili: il drift potrebbe es-sere causato da uno spot spuro che si sposta dalla cornice all’area attiva delsensore in funzione della posizione della slitta. Come conseguenza l’incertezzaassociabile a ciascuna misura, calcolabile dal confronto del fit con i dati delleacquisizioni, scende di circa un punto percentuale. Questo dato potrebbe tut-tavia essere falsato dal fatto che si hanno a disposizione pochi set di misure.
Non si osserva un’effettiva diminuzione del segnale costante (parametro d).Tuttavia sarebbero necessarie misure aggiuntive per verificare l’effettivo anda-mento del dato.
4.9 Considerazioni sulla matrice di covarianza
Operando su set di dati sperimentali mediante algoritmi di fit, lineari e non,e sempre possibile definire una matrice di covarianza che esprime la mutuadipendenza tra i parametri stimati. In generale e possibile definire tale matricecome
C = (WT A−1W )−1 (4.6)
dove W e la matrice delle derivate parziali, calcolate per ogni punto sperimen-tale rispetto a ciascun parametro e A e la matrice dei pesi delle singole misure,o matrice degli errori.
E importante definire correttamente la matrice A: a priori si potrebbe sti-mare tale matrice con
Aij = σyδij (4.7)
ovvero con una matrice diagonale, contenente per ciascun elemento della diago-nale principale l’errore associato a ciascuna misura σy e 0 altrove.
Questo risulta essere una buona scelta di partenza, tuttavia la stima delparametro σy potrebbe non essere corretta e portare a valori dei parametri ve-rosimili, ma con intervalli di confidenza sovrastimati o sottostimati.
La definizione di matrice dei pesi deriva dal fatto che e possibile associare aun punto che si discosta di molto dalla distribuzione attesa un’incertezza mag-
38 Misure sperimentali
giore e quindi un peso minore nel fit, in modo tale da ridurre l’influenza di erroridi misura o fluttuazioni statistiche inattese nel calcolo dei parametri stimati.
Utilizzando il comando NonLinearRegress e possibile stampare anche lamatrice di covarianza calcolata con tale metodo in modo da poter definire gliintervalli di confidenza dei parametri. E stato tuttavia verificato che gli elemen-ti di tale matrice non sono uguali a quelli della matrice ottenuta applicando ladefinizione generale precedentemente citata.
Al fine di determinare l’esistenza di una possibile correlazione tra i risultatiottenibili applicando i diversi algoritmi e stato analizzato un caso semplice, con-sistente in un set di 10 dati interpolabili con una funzione quadratica parabolicadel tipo
f(x) = a + bx + cx2
I calcoli e i grafici relativi sono riportati in appendice per esteso. Di seguitoverranno esposte alcune conclusioni.
E possibile notare che nel caso venga applicato l’algoritmo di Gauss-Markov,che calcola direttamente la matrice di covarianza applicando la definizione ge-nerale, tale matrice risulta essere direttamente proporzionale alla matrice deglierrori: risulta quindi indispensabile definire correttamente tale valore.
Viceversa, applicando l’algoritmo compilato NonLinearRegress la matricedi covarianza risulta essere indipendente dalla stima dell’errore sulle singole mi-sure.
Ipotizzando che tutte le misure siano affette dallo stesso errore e l’assenzadi punti rigettabili, e possibile associare a ciascuna ordinata un peso pari a 1.
Indicando con Cstd la matrice di covarianza secondo la definizione standarde con Cmath la matrice di covarianza secondo il software di Wolfram, si verificache vale la seguente identita:
Cmathi,j = σestC
stdi,j (4.8)
4.9 Considerazioni sulla matrice di covarianza 39
Questo e valido esattamente nel caso di una funzione lineare nei parametri,mentre risulta valido in modo asintotico per una funzione non lineare e occorretenere in considerazione il fattore di conversione nel momento dell’analisi deidati sperimentali.
Come gia esposto in precedenza la stima degli errori sulle singole misure,ottenuta tramite un algoritmo di best fit dopo averne verificato le ipotesi dibase, e da ritenersi piu corretta rispetto al risultato di medie sulle misure o diassunzione a priori dell’incertezza dello strumento di misura, in quanto tiene inconsiderazione anche eventuali errori sistematici non descritti in modo esplicitodalla funzione di best fit.
E stato quindi verificato che la stima della matrice di covarianza fornita daidue algoritmi e consistente, qualora si imposti, come errore sulle singole misure,il parametro σest.
40 Misure sperimentali
Capitolo 5
Funzionamentodell’ammortizzatore einfluenza sulle misuresperimentali
L’interferometro adoperato in questo esperimento e collocato al secondo pianodi un edificio. E quindi inevitabile che risenta enormemente delle vibrazioni delsuolo.
Mediante varie tecniche sismometriche e stato possibile valutare la presen-za costante di una vibrazione di fondo che si assesta sulla frequenza di circa 7 Hz.
Tale vibrazione e all’origine di una serie di problematiche relative agli espe-rimenti di interferometria. Infatti se l’interferometro non e dotato di un sistemaper schermare le sollecitazioni esterne, queste agiscono su ogni singola compo-nente dello strumento (che di conseguenza si mette a vibrare) dando luogo a unsegnale molto sporco.
La fisica relativa alle tecniche di ammortizzazione puo diventare molto com-plicata se si tengono conto di tutti i gradi di liberta di un sistema massa-molla.
Limitandosi al solo grado longitudinale (vibrazioni lungo l’asse z) si dimo-stra che lo smorzamento e tanto piu efficace quanto piu la frequenza del sistemae piccola (vedi figura 5.1) .
Poiche la frequenza del sistema e definita come√
k/m allora si deve avereuna massa grande e una k piccola. Il nostro interferometro e stato quindi piaz-zato su una ciambella (una camera d’aria tipo ruota da bicicletta) che facesse daammortizzatore con una frequenza naturale (non misurata sperimentalmente)sufficientemente piccola da attenuare bene l’effetto di vibrazioni esterne. I ri-sultati osservati sinora hanno fatto uso di questo espediente che si e dimostrato
41
42 Funzionamento dell’ammortizzatore
0 1 2 3 4 5r
0.2
0.4
0.6
0.8
1amp Guadagno vs.r
Figura 5.1: Guadagno in ampiezza di oscillazioni in funzione del rapporto r trafrequenza di forzante e frequenza naturale
efficace.
In questa sezione analizziamo i risultati di alcune misure effettuate senzal’uso della ciambella ossia neutralizzandone l’effetto mediante dei cunei di legnoposti tra la base dell’interferometro e il tavolo di lavoro.
5.1 Analisi dati e misure senza ammortizzatore
Adottando le medesime tecniche descritte nel capitolo 4 sono stati effettuati ifit su alcuni dati raccolti senza l’ammortizzatore come descritto in precedenza.
Le rampe a nostra disposizione sono tre, due delle quali di 1024 punti el’altra di 4096. L’effetto delle vibrazioni e evidente confrontando una di questeacquisizioni con quelle viste prima.
In figura 5.2 e mostrato uno dei fit con i relativi risultati.
Si nota come l’effetto delle vibrazioni dia luogo a una dispersione piu ampiadei punti che compongono la sinusoide. Ci aspettiamo quindi degli errori piugrandi sui parametri del fit.
Notiamo che tutti gli errori sono cresciuti di un ordine di grandezza fattaeccezione per la frequenza che continua ad essere precisa entro la seconda cifradecimale.
In appendice sono riportati i grafici e i risultati delle altre misure. Poi-che interessati a valutare l’effetto dell’ammortizzatore non abbiamo adoperatole stesse tecniche di prima per avere maggiore statistica. In conclusione si everificato che:
• l’uso di un ammortizzatore permette di guadagnare una cifra decimalenelle misure.
• la presenza di vibrazioni non modifica molto i risultati sulla frequenza masporca molto la sinusoide.
• l’esperimento puo essere totalmente rovinato anche da un minimo sussultodel terreno, effetto che si ha anche con l’ammortizzatore ma in misuradecisamente inferiore.
Infine si conclude che, ai fini di un buon esperimento di interferometria, mol-ta attenzione va dedicata ai sistemi di smorzamento al fine di ottenere risultatisempre piu precisi.