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strumenti e ricerche della Scuola di Lingua italiana per Stranieri dell’Università di Palermo Collana diretta da Mari D’Agostino scuola di lingua italiana per stranieri dipartimento di scienze umanistiche università di palermo
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Insegnare la pragmatica della L2 nella L2. Problemi teorici e suggerimenti metodologici

Mar 07, 2023

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Enzo Bivona
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Page 1: Insegnare la pragmatica della L2 nella L2. Problemi teorici e suggerimenti metodologici

strumenti e ricerche

della Scuola di Lingua italiana per Stranieri dell’Università di Palermo

Collana diretta da Mari D’Agostino

scuola di lingua italiana per stranieri

dipartimento di scienze umanistiche

università di palermo

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verso una didatticalinguistica riflessiva

Percorsi di formazione inizialeper insegnanti di italiano come lingua non materna

a cura di

Adriana Arcuri e Egle Mocciaro

UNIVERSITà dEglI STUdIdI palERmo

Unione europeaFondo sociale europeo

Page 4: Insegnare la pragmatica della L2 nella L2. Problemi teorici e suggerimenti metodologici

In copertina foto di Antonio Gervasi - Palermo 2014

CoMItAto SCIENtIFICo

Monica Barni (Università per Stranieri di Siena), Mari D'Agostino (Università di Palermo),Yang Lin(Università di Chongqing), Graziella Favaro (Pedagogista, esperta di Educazione interculturale,Centro CoME, Milano), Antonia Rubino (Università di Sidney)

Questo volume è stato pubblicato con fondi erogati dal Dipartimento regionale dell’Istruzione e dellaFormazione Professionale, Autorità di Gestione del PO Sicilia FSE 2007-2013, Programma OperativoRegionale Regione Siciliana FSE 2007-2013C(2007)6722 del 18.12.07

ISBN 978-88-908671-4-9

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Indice

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Verso una didattica linguistica riflessivapercorsi di formazione inizialeper insegnanti di italiano come lingua non materna

prefazioneadriana arcuri e Egle mocciaro

paRTE pRImalE cooRdINaTE

Ragionando sull’insegnamento dell’italianocome lingua non materna adriana arcuri e Egle mocciaro

l’Italia e l’Europa. le lingue e i diritti di tuttimari d’agostino

paRTE SEcoNdalINEE gUIda

Un’idea di didattica della lingua:per un approccio integrato l1, l2, lSadriana arcuri

Un’idea di lingua: modelli, teorie e prospettive acquisizionali Egle mocciaro

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Il tirocinio: l’occasione di giano adriana arcuri

la valutazione:indicazioni metodologiche e suggerimenti operativimaria Rosa Turrisi

la scrittura autobiografica come strumento di riflessioneadriana arcuri, giuseppe paternostro e Vincenzo pinello

Il pEFIl nel master: per una formazione iniziale in prospettiva europeaadriana arcuri

Il Quadro comune europeo di riferimentoe la sua valenza formativaluciano mariani

paRTE TERzaSTRUmENTI E pRoSpETTIVE

Norma/e ed errore in italiano l2luisa amenta

Un test d’ingresso per gli alunni stranieri:ideazione, sperimentazione, valutazionechiara amoruso

la valutazione in rapporto alla certificazione linguistica.la cIlS a palermo Sara anselmi e miriam mesi

apprendimento integrato in contesto formativo post laureamRosanna Barranco

Repertorio dei software per la didattica dell’italiano l2/lSa cura di Rosanna Barranco

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Risorse per l’insegnamento-apprendimento dell’italianocome lingua non materna.caratteristiche e scelta dei materiali didatticiTindara Ignazzitto

Insegnare la pragmatica della l2 nella l2.problemi teorici e suggerimenti metodologicigiuseppe paternostro e adele pellitteri

Insegnare attraverso l’interazione, insegnare l’interazione.Il caso del task-based language learning and teachinggiuseppe paternostro e adele pellitteri

Il testo letterario nella didattica dell’italiano l2/lS.Tra agonia, morte e qualche ipotesi di resurrezione Vincenzo pinello

l’italiano per scopi specialistici: caratteristiche e didatticamonica Rizzo

Un’esperienza formativa con christopher Humphris(e il bisogno di chiarire con un’intervista)marcello amoruso

Intervista a christopher Humphrisa cura di marcello amoruso

Insegnare a leggere e a scrivere in una seconda lingua.Intervista ad arcangela mastromarcoa cura di adele pellitteri

paRTE qUaRTaINSEgNaRE ITalIaNo all’ESTERo

Insegnare italiano in gran Bretagna (liverpool) Rosalba Biasini

Insegnare italiano in grecia (atene) domenica minniti gonias

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Insegnare italiano in Bulgaria (Sofia) Neli Radanova

Insegnare italiano in Bosnia-Erzegovina (Banja luka) Salvatore cavaliere

Insegnare italiano in polonia (Varsavia) Joanna Jarczynska

Insegnare italiano in Russia (mosca) Elena Borisova

Insegnare l’italiano in cina (chongqing) Yang lin

Insegnare l’italiano in Vietnam (Hanoi) dang Thi phuong Thao

Insegnare l’italiano in australia (Sidney) antonia Rubino

Insegnare l’italiano in argentina (Rosario) mariano Strano

Insegnare l’italiano in Egitto (Il cairo) Hussein mahmoud

Profilo degli autori

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* I §§ 1., 2., 3. e 5. sono di g. paternostro. Il § 4. è di a. pellitteri. Il § 4.1 è di redazione comune. 1 Il presente contributo è organicamente collegato a quello ad esso immediatamente successivo in que-sto stesso volume. la scelta di separare i due contributi è stata presa in quanto ciascuno di essi foca-lizza l’attenzione su due momenti fondamentali della prassi didattica, ossia la progettazione e l’azionein classe, che sebbene strettamente legati, sono tuttavia concettualmente differenti, in quanto rappre-sentano il primo un costrutto, il secondo il processo applicativo di quel costrutto. In altri termini, ilprimo investe la pianificazione dell’azione da proporre alla classe (planning), il secondo il monitorag-gio dell’azione in classe (process).2 “an important task confronting applied linguists and teachers concerned with second and foreign lan-guage learning is to overcome the pendulum effect in language teaching. This effect is most evident inthe area of methodology where fads and fashions, like theories of grammar, come and go with monot-onous regularity” (Nunan, 1991: 1).

Insegnare la pragmatica della l2 nella l2.Problemi teorici e suggerimenti metodologicigiuseppe paternostro e adele pellitteri*

1. InTRoduzIonE

In questo contributo intendiamo offrire a chi ha deciso di intraprendere unpercorso di formazione all’insegnamento dell’italiano come lingua non ma-terna (l2 o lS) una prima panoramica delle principali questioni teoriche edelle più importanti implicazioni didattiche legate al tema dell’insegnamentodella pragmatica1. Non pretendiamo certo di poter esaurire in poche pagineun argomento di così cruciale importanza come quello di cui abbiamo decisodi occuparci, ma riteniamo che da esso non si possa prescindere se si vuoledavvero seguire un approccio che non si definisca comunicativo solo in os-sequio alla moda glottodidattica del momento, rinnovando così quell’ “effettopendolo” evocato da più di un autore2.

data la complessità delle variabili in gioco, il nostro lavoro ha l’obiet-tivo di mettere sul tappeto gli elementi di cui il docente deve tenere conto piùimmediatamente quando intende insegnare la lingua necessaria per comuni-care e, dunque, intende dare alla propria azione didattica una veste “prag-matica”.

Il primo nodo da sciogliere è quello relativo all’individuazione delle parti

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del sapere linguistico che costituiscono ciò che (spesso non proprio con moltachiarezza) si definisce “pragmatica”, la quale si presenta, per chiunque provia capire quali ne siano i confini concettuali, come il lato oscuro della didat-tica delle lingue. Nella prima parte del lavoro, discuteremo del concettostesso di pragmatica e lo collegheremo al suo rapporto, nell’ambito del-l’educazione linguistica, con l’insegnamento della grammatica intesa insenso lato, cioè come il processo didattico che mira a far acquisire le strut-ture morfologiche e sintattiche di una lingua.

Una volta definiti i confini della pragmatica, nella seconda parte passe-remo a interrogarci sulla sua insegnabilità, ma ancor di più sulle modalità incui essa può essere insegnata. da un punto di vista glottodidattico, ciò si-gnifica discutere le difficoltà che molti fra i metodi cosiddetti comunicativiincontrano nel darsi una veste realmente pragmatica. In primo luogo, discu-teremo le variabili dalle quali nessun tentativo di organizzare una progetta-zione didattica centrata sulla pragmatica può prescindere.

per sostanziare il nostro ragionamento faremo riferimento all’espe-rienza maturata in questi anni all’interno dalla Scuola di lingua italianaper Stranieri dell’Università di palermo. In particolare, ci concentreremosu un momento fondamentale del lavoro degli insegnanti, momento chetalvolta viene considerato avulso dal resto della progettazione educativo-didattica: la formazione della classe sulla base della somministrazione –e relativa valutazione – di un test che individui il livello di competenzadell’apprendente. Vedremo come la principale difficoltà che si incontra ri-siede nel coniugare il test con le esigenze di insegnanti che seguono me-todi che, pur essendo (o essendo presentati come) comunicativi, non sonotuttavia pragmatici, in quanto non sempre insegnano a comunicare attra-verso la lingua, ma semmai insegnano la lingua attraverso contesti co-municativi in cui è previsto l’uso di strutture della comunicazioneselezionate e private del potenziale di complessità contestuale che essecontengono.

Nelle conclusioni proveremo a indicare alcune fra le possibili vie che pos-sano creare le condizioni didattiche per inserire la pragmatica come parte in-tegrante del processo di insegnamento-apprendimento della lingua nonmaterna. queste vie (come vedremo anche nel contributo successivo) pas-sano attraverso la presa in carico di due aspetti che a nostro avviso vannoconsiderati come parte integrante dell’azione didattica: la gestione dell’in-terazione e, per il tramite di questa, del contesto.

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2. lA PRAgMATIcA: PRoblEMI dI dEfInIzIonE

Nel dibattito glottodidattico italiano non è mai venuta meno l’attenzioneper gli strumenti e per i metodi d’insegnamento della grammatica (anchedella l1). dalla rinuncia a un insegnamento mirato all’apprendimento di re-gole e di paradigmi e al loro riconoscimento all’interno di frasi costruite a ta-volino e del tutto decontestualizzate, si è passati al rifiuto totale di ogni tipodi regolarità in nome dell’importanza quasi esclusiva data alla “comunica-zione” e alla capacità di “far passare il messaggio”. Negli ultimi anni (sem-plificando molto) si è, infine, assistito a un ritorno alla grammatica vista noncome un insieme di regole e prescrizioni ma come un sistema soggetto a unavariabilità le cui regole possono essere desunte a partire dai testi (basti pen-sare alle esperienze dei manuali scolastici di italiano curati da linguisti comemaria luisa altieri Biagi e Francesco Sabatini)3.

di converso, la pragmatica (e la questione della sua insegnabilità) ha vis-suto, almeno in Italia, all’ombra di questo dibattito, di cui è diventata di fattoil convitato di pietra. Essa è stata per lo più invocata indirettamente (“valpiù la pratica della grammatica”, luogo comune divenuto anche libro di suc-cesso qualche anno fa) attraverso i richiami alla necessità di collegare lestrutture linguistiche ai loro contesti d’uso, benché tali richiami riguardinoessenzialmente i legami con il testo (inteso quasi sempre come testo scritto).Tuttavia, questi richiami non hanno portato a una esplicita attenzione al li-vello pragmatico della lingua se non sul piano delle enunciazioni di princi-pio. Tale mancata focalizzazione è dovuta principalmente alla non pienaperspicuità del concetto stesso di pragmatica. qual è l’oggetto di cui si oc-cupa? la risposta non è affatto semplice, tanto che la pragmatica è stata avolte considerata come qualcosa a cui costantemente ci si richiama senzamai fissare parametri in grado di farne riconoscere con chiarezza il campo diazione. “pragmatica” è una di quelle parole (come “sociale” e “cognitivo”)che, come osservano Searle et al. (1980: 9), danno l’impressione che si stiaparlando di qualcosa di molto specifico quando in realtà spesso non hannoun significato preciso.

le proposte di definizione non si contano. Esse possono essere suddi-

3 per una più approfondita e dettagliata discussione sul dibattito relativo all’insegnamento e apprendi-mento della grammatica nella l1 si vedano andorno, Bosc e Ribotta (2003), Fiorentino (2009) e Fer-reri (2013); per una focalizzazione sull’insegnamento della grammatica nella lS si vedano SerraBorneto (1998), andorno (2011) e Bettoni (2011).

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vise in due grossi filoni, ciascuno dei quali è legato a una tradizione distudi individuabile anche geograficamente (cfr. Schneider, 2011). Il primo(riconducibile alla tradizione anglo-americana) fa della pragmatica uncampo di studi che si occupa della ricerca dei cosiddetti “universali prag-matici”, meccanismi cioè di natura semantica e cognitiva (come le impli-cature, le implicazioni, le presupposizioni, gli atti linguistici e la deissi),tutti studiati peraltro da un punto di vista filosofico. Il secondo, assai piùarticolato, è quello coltivato nella tradizione europea (mondo britannicocompreso) che vede piuttosto la pragmatica come una prospettiva, com-plementare allo studio della lingua come sistema di strutture, che consi-dera la lingua come un sistema di usi: “pragmatics studies the factors thatgovern our choice of language in social interaction and the effects of ourchoice on others” (crystal, 1997: 120).

Il fattore che determina l’allargamento del concetto di pragmatica è dun-que l’interazione, nella quale la lingua diviene lo strumento attraverso il qualei parlanti svolgono le loro attività comunicative, per la cui realizzazione com-piono delle scelte linguistiche. ora, compiere una scelta linguistica vuol direselezionare un’opzione (un elemento linguistico a qualunque livello di ana-lisi) fra tante altre che sono parimenti possibili. Sapere compiere questa sceltapresuppone un certo grado di competenza. ma di che tipo di competenza sitratta? Seguendo la distinzione proposta da leech (1983), dobbiamo distin-guere fra una competenza “pragmalinguistica” e una competenza “socio-pragmatica”. con la prima si intende la conoscenza e il saper usare l’insiemedelle opzioni linguistiche a disposizione di un parlante per agire sul mondo enel mondo (dunque, le modalità di gestione dell’interazione, dal sistema di al-ternanza dei turni alle formule di routine come presentazione e saluti, le formedella cortesia linguistica, il repertorio delle possibili realizzazioni degli atti lin-guistici, con particolare riferimento a quelli che mettono a repentaglio la fac-cia, come complimenti, richieste, proteste)4. la competenza sociopragmatica,invece, riguarda il saper analizzare e riconoscere le situazioni comunicativenelle quali è appropriato usare un determinato elemento pragmalinguistico.

4 la ”faccia” è l’immagine sociale che vogliamo dare di noi stessi e che vogliamo proteggere dalle po-tenziali offese. due sono gli aspetti della faccia: la faccia positiva e la faccia negativa. la prima corri-sponde al desiderio che ciascuno di noi ha di proiettare sugli altri una immagine socialmente accettabilee alla sensazione che i propri obiettivi siano desiderabili anche da qualcun altro. la seconda riguardail desiderio di conservare nella vita sociale un margine di libertà dalle imposizioni altrui. Il concetto difaccia è stato elaborato da Erving goffman (cfr. goffman, 1971) ed è alla base del modello più diffusodi analisi della cortesia linguistica, quello di Brown e levinson (1987).

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parte integrante di questo saper fare è anche il saper adattare la forma prag-malinguistica da utilizzare al tipo di interlocutore.

lo stesso Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (qcER,cfr. consiglio d’Europa, 2002), ponendosi perfettamente in linea con la tra-dizione europea ricordata poco sopra, dedica ampio spazio a quelle che neldocumento vengono definite “competenza sociolinguistica” (grosso modola competenza sociopragmatica di leech) e “competenza pragmatica”(grosso modo la competenza pragmalinguistica di leech), a cui associa i re-lativi descrittori.

per il qcER la competenza sociolinguistica porta a riconoscere, inter-pretare il valore sociale e usare: a) le routine di apertura e chiusura delle con-versazioni; b) le regole della cortesia linguistica; c) le espressioni chepossono apparire scortesi ma che tuttavia vanno usate in talune circostanze;d) le espressioni idiomatiche e gli stereotipi utilizzati dai membri della co-munità target; e) i registri linguistici. parte fondamentale della competenzasociolinguistica è, inoltre, la capacità di riconoscere i legami fra apparte-nenza sociale dei parlanti e i modi in cui questi usano la lingua.

la competenza pragmatica è, invece, declinata in tre sotto-competenze:1) competenza discorsiva; 2) competenza funzionale; 3) competenza di pia-nificazione. la prima riguarda la capacità di costruire il discorso tendendoconto di elementi quali coesione, coerenza, registro, efficacia retorica e ri-spettando il principio di cooperazione all’interno dell’interazione. la se-conda (competenza funzionale) riguarda la capacità di svolgere attraverso lerisorse linguistiche a propria disposizione le più diverse funzioni comunica-tive a partire da quelle che si svolgono nell’interazione. queste funzioni sonoulteriormente suddivise in microfunzioni e macrofunzioni. Se scorriamo ledue sottocompetenze così come sono state declinate dal qcER possiamo in-dividuare in esse il nucleo della competenza pragmatica. Troviamo, infatti,menzionate fra le microfunzioni: dare e chiedere informazioni fattuali (do-mandare, rispondere, fornire informazioni, raccontare ecc.); esprimere e faresprimere atteggiamenti e opinioni a proposito di fatti, conoscenze, senti-menti ecc.; indurre a compiere azioni (suggerire, dare consigli, chiedereaiuto, invitare ecc.); socializzare (richiamare l’attenzione, rivolgere la pa-rola, salutare, ecc.); riparare gli errori di comunicazione. macrofunzioni sonoinvece considerate sia le categorie che definiscono l’uso funzionale della lin-gua (di fatto le tipologie testuali: narrazione, argomentazione, descrizione, re-golazione, esposizione) sia gli schemi interazionali (quelli che l’analisi dellaconversazione definisce sequenze complementari), ossia la gestione nel-

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l’interazione delle microfunzioni: domanda/risposta, accordo/disaccordo, ri-chiesta, invito, offerta/accettazione, rifiuto ecc. la terza (competenza di pia-nificazione) riguarda il conoscere e il saper usare le convenzioni diorganizzazione testuale/discorsiva della lingua target al fine di realizzare consuccesso le macro- e le microfunzioni.

l’importanza che il qcER annette alle competenze discorsiva e di pia-nificazione è dimostrata dal fatto che per esse è stata approntata una scala didescrittori piuttosto dettagliata, mentre non sono state sviluppate scale di de-scrittori che coprano tutte le aree della competenza funzionale5.

coerentemente con l’attenzione rivolta alla lingua per comunicare, ilqcER considera tutte quante le competenze come finalizzate allo svolgi-mento di un compito, che così viene definito: “azione finalizzata che l’indi-viduo considera necessaria per raggiungere un determinato risultatonell’ambito di un problema da risolvere, un impegno da adempiere o unobiettivo da raggiungere” (consiglio d’Europa, 2002: 191). Nella tabella ri-portata a pag. 292, proviamo a schematizzare i punti caratterizzanti la com-petenza sociolinguistica e la competenza pragmatica così come sonodeclinate nel qcER.

3. lA PRAgMATIcA E lA suA InsEgnAbIlITà

Nell’ultimo ventennio il tema dell’insegnabilità della pragmatica della linguanon materna è stato oggetto di dibattito in seno alla linguistica applicata. glistudiosi sembrano ormai concordare sul fatto che la pragmatica non solopossa, ma debba essere insegnata e che, anzi, debba avere un posto centrale

5 per la competenza discorsiva, i descrittori riguardano flessibilità, turni di parola, sviluppo tematico,coerenza e coesione. per la competenza funzionale sono stati individuati descrittori riguardanti le ma-crofunzioni, raggruppate sotto le categorie “fluenza del parlato” e “precisione delle asserzioni”. qual-che esempio servirà a chiarire che tipo di descrittori viene utilizzato. per la competenza discorsiva, ildescrittore della flessibilità relativo al livello a2 prevede che il parlante sia “in grado di espandere leespressioni memorizzate ricombinandone semplicemente gli elementi [e] di adattare alle circostanzeespressioni semplici, ripetute e memorizzate, sostituendo qualche elemento lessicale”. per la competenzadi pianificazione, vediamo come viene descritta la capacità di prendere il turno (sempre livello a2): “Èin grado di usare semplici tecniche per avviare, sostenere e terminare una breve conversazione. È ingrado di iniziare, sostenere e concludere una semplice conversazione faccia a faccia”. Infine, la com-petenza funzionale (la meno articolata quanto a descrittori) così descrive la fluenza relativamente al li-vello a2: “Riesce a farsi comprendere con enunciati molto brevi, nonostante che pause, false partenzee riformulazioni siano molto evidenti”.

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nei sillabi. già a partire dalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso ai sillabiformali, che si pongono come obiettivo l’accuratezza formale della produ-zione linguistica in tutti i livelli di analisi (fonologia, lessico, morfologia esintassi), si sono affiancati i sillabi nozionali-funzionali, che mettono al cen-tro non più l’accuratezza ma la fluenza, sviluppando sia obiettivi grammati-cali sia obiettivi legati alle funzioni comunicative. Entrambi i tipi di sillabofanno parte di quei sillabi che Breen (1987) definisce “proposizionali”, iquali considerano le conoscenze oggetto di insegnamento-apprendimentocome categorie sistematiche e definite.

In Italia il sillabo più utilizzato (perché più completo e aderente ai prin-cipi enunciati del qcER) è quello curato da lo duca (2006). oltre che ilqcER, il sillabo di lo duca ha come punto di riferimento il Livello so-glia per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera (cfr. galli de’paratesi, 1981), con il quale si inaugura quella che potremmo definire lavia italiana all’approccio comunicativo6. Il Livello Soglia è un tipicoesempio di sillabo nozional-funzionale. differentemente da questo, il sil-labo di lo duca si presenta come un sillabo “misto”, con caratteristichedei sillabi funzionali e di quelli formali. Il sillabo è diviso in tre parti, cia-scuna delle quali fa riferimento alle tre competenze del qcER: la primaparte (“compiti comunicativi e funzioni linguistiche”) corrisponde alladeclinazione della competenza pragmatica del qcER; la seconda (“com-piti e testi”) corrisponde grosso modo alla competenza sociolinguisticadel qcER; la terza parte, infine, (“forme, strutture, significati”) corri-sponde alla competenza linguistica del qcER. le prime due parti pun-tano a sviluppare le competenze pragmatiche necessarie ad assolvere alleesigenze comunicative che possono emergere negli ambiti esperienzialinei quali gli apprendenti possono trovarsi a interagire.

le esigenze individuate sono: comunicare nella vita quotidiana; regolarerapporti sociali; descrivere; narrare; argomentare; esporre; riflettere sulla lin-gua italiana. Nella seconda parte si definiscono i generi testuali attraverso iquali i compiti comunicativi possono essere svolti.

Il sillabo non fornisce, tuttavia, una tassonomia completa degli atti lin-guistici connessi a tali ambiti, ma solo una selezione, per quanto ampia,incentrata su quei compiti più facilmente collegabili alle strutture lingui-stiche oggetto della terza parte del sillabo. Tali strutture, a differenza di

6 l’autrice afferma che gli obiettivi di apprendimento vanno organizzati “in un sistema di unità di in-segnamento definite in base ad un approccio comunicativo” (galli de’ paratesi, 1981: 5).

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quanto visto per i compiti comunicativi, sono declinate in modo detta-gliato7.

particolare non trascurabile è che il sillabo lo duca è esplicitamentepensato per gli studenti universitari in scambio, dunque per apprendenti dialto livello di scolarità e ciò non è privo di conseguenze sul piano della se-lezione dei contenuti da insegnare, su quello della loro sistemazione e suquello dello squilibrio fra declinazione delle competenze linguistiche edeclinazione di quelle pragmatiche. pur non potendo discutere diffusa-mente questo punto (che esula dal focus di questo lavoro), ci sembra ap-pena il caso di osservare che la precisazione di lo duca circa i destinataridel sillabo è senz’altro opportuna e dovrebbe indurre almeno due rifles-sioni, una di tipo glottodidattico e una di tipo teorico. la prima attiene al-l’organizzazione dei contenuti da insegnare quando ci si rivolge adapprendenti con un tasso di scolarità basso o medio basso. la seconda èal tempo stesso preliminare e conseguente alla prima, in quanto ha a chefare con la stretta interconnessione di diafasia (cioè l’asse di variazioneche determina la selezione del registro più adeguato alla situazione co-municativa) e diastratia (l’asse di variazione che classifica i parlanti inbase alle loro caratteristiche sociali: reddito, professione, età e, soprat-tutto, livello di istruzione). molto spesso, invece, in sede di determina-zione di curricoli, sillabi e scale di competenza linguistico-comunicativa,questa doppia riflessione è assente. Si preferisce, infatti, separare diafasiae diastratia, concentrandosi quasi esclusivamente sulla prima, la qualeviene considerata come del tutto avulsa dalla seconda, ignorando di fattouna delle questioni teoriche su cui la sociolinguistica si interroga sin dallasua nascita quale ambito di ricerca autonomo, ossia se le due dimensionidella variazione agiscano in modo del tutto irrelato o se, al contrario, unadelle due derivi e sia specchio dell’altra8.

7 la terza parte presenta le strutture linguistiche ordinate in modo piuttosto tradizionale, cioè per partidel discorso e livelli di analisi. In più, per ciascuna struttura, vengono fornite brevi liste di forme “at-tualizzate” che aiutano a chiarirne la funzione.8 la stessa lo duca precisa che gli usi linguistici che devono essere oggetto di insegnamento-appren-dimento sono quelli connotati in senso diatopico (la variazione della lingua rispetto allo spazio geo-grafico), diamesico (varietà parlate e scritte) e, soprattutto, diafasico. E aggiunge: “Non credo che le altredimensioni di variazioni (storia → varietà diacroniche; classe sociale → varietà diastratiche) siano daprendere in seria considerazione nell’insegnamento dell’italiano l2. Farei un’eccezione per la dimen-sione diacronica della lingua, ma solo con studenti che seguano corsi di storia, di letteratura, di storiadella lingua e simili” (lo duca, 2006: 55, n. 25).

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la conseguenza negativa della mancata considerazione della diastratianell’organizzazione dei contenuti non risiede, tanto, nell’esclusione dal sil-labo di tratti delle varietà connotate socialmente. ciò che ci sembra vada sot-tolineato è piuttosto il rischio che si corre quando si sottovaluta il fatto chealla base di ogni scelta di registro (dunque diafasica) vi è una valutazione so-ciale (dunque diastratica) dei parlanti con cui ci si trova a interagire, capa-cità che lo stesso qcER considera importante. In altri termini, la questionenon sta nell’inserire nel sillabo tratti, poniamo, dell’italiano popolare, manell’insegnare a ricostruire anche attraverso tali tratti il grado di formalitàdella situazione comunicativa nella quale si sta interagendo. Solo in questomodo è possibile contestualizzare realmente i registri, che per definizionesono varietà dipendenti dal contesto9.

quello che qui ci interessa sottolineare maggiormente è, però, il fatto cheil sillabo di lo duca, pur cercando di integrare aspetti strutturali e aspettipragmatici della lingua (lo duca, 2006: 14), finisce per affidare ai secondiil ruolo, certamente importante, di strumenti per “contestualizzare” i primidentro singole situazioni comunicative selezionate e controllate. questa or-ganizzazione dei contenuti, che si rispecchia perfettamente nell’azione di-dattica incentrata sui più diffusi metodi che si ispirano all’approcciocomunicativo, punta a fornire la lingua per comunicare, ma non è detto cheinsegni a comunicare attraverso la lingua, soprattutto a partire dalla linguache l’apprendente già conosce, che è poi quella con la quale gli apprendentidevono affrontare i compiti comunicativi al di fuori del contesto classe. d’al-tra parte tali conseguenze sono perfettamente coerenti con le scelte metodo-logiche assunte ed enunciate con grande correttezza scientifica dalla stessalo duca, la quale precisa che tali scelte rappresentano una “netta presa di di-stanza dai cosiddetti sillabi processuali […] che fanno dipendere il lavoro di

9 Non possiamo, ovviamente, nemmeno provare a ricostruire i termini del dibattito sorto in seno alla so-ciolinguistica rispetto ai rapporti gerarchici fra diafasia e diastratia. ci limitiamo qui a ricordare che laposizione più accreditata è quella che vede la diafasia come una dimensione secondaria rispetto alla dia-stratia. le scelte di registro sarebbero, dunque, compiute a partire dalle appartenenze sociali dei parlantie dal prestigio di cui determinati gruppi sociali godono all’interno della comunità (d’agostino, 2011).In ogni caso, la possibilità che ciascun parlante ha di utilizzare l’intera gamma dei registri di una lin-gua è subordinata alla possibilità di accedervi in forza del suo livello di scolarizzazione. a tal propo-sito, Bruno moretti (2011) ha osservato che nessuno è in realtà un parlante nativo delle varietà formalidella propria l1. l’osservazione di moretti risulta assai pertinente ai fini del nostro ragionamento, inquanto invita a non confondere, ancora una volta, la competenza linguistica con la capacità di utilizzarele risorse linguistiche a propria disposizione per affrontare e risolvere i compiti con cui ciascun parlanteè chiamato a confrontarsi nel corso delle pratiche comunicative quotidiane (competenza pragmatica).

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programmazione da una preventiva opera di negoziazione con gli studenti delcorso” (lo duca, 2006: 15)10.

Il cosiddetto “metodo comunicativo” prevede, infatti, che all’inizio dellalezione si presenti un modello, costituito da una o più forme linguistiche,che l’insegnante ritiene di dover approfondire con la classe. per farlo puòutilizzare un dialogo, un video, un qualsiasi mezzo o materiale che gli faci-liti il lavoro. Subito dopo la fase della presentazione è prevista la fase dellapratica, durante la quale le forme andranno esercitate, di solito con esercizidi tipo meccanico. Solo alla fine, con la parte della lezione dedicata alla pro-duzione, è possibile ritagliare uno spazio nel quale gli studenti inizino a usarele forme il più liberamente possibile. Una simile organizzazione della le-zione può comportare l’analisi di un modello di comunicazione che, sebbenesia approfondito e dettagliato, risulta eccessivamente semplificato, e per-tanto poco efficace, dal punto di vista interazionale.

In altre parole, il limite maggiore del metodo comunicativo, o megliodella sua variante più diffusa, risiede nel considerare le funzioni comunica-tive come del tutto avulse dalle complesse dinamiche interazionali nelle qualicompaiono11.

3.1. Dal “se” al “come” (e al “che cosa”)

Negli ultimi anni, il centro del dibattito sulla didattica della pragmatica si èspostato sul “che cosa” insegnare (cioè quali aspetti della competenza prag-matica debbano essere oggetto di insegnamento) e sul “come” insegnarlo.Negli ultimi decenni gli studi empirici sull’insegnamento di elementi di na-tura pragmatica sono diventati sempre più numerosi. Tuttavia tali studi man-cano di un organico quadro teorico di riferimento. Si tratta per lo più di lavoriche descrivono specifiche esperienze di insegnamento e apprendimento di

10 I sillabi processuali sono strumenti operativi in cui i contenuti sono organizzati attorno a precisi com-piti comunicativi che l’apprendente è chiamato a risolvere in “interazioni reali, che lo impegnano nellarisoluzione di problemi per il raggiungimento di scopi specifici. […] Un sillabo così concepito riguardaessenzialmente le metodologie d’insegnamento e si diversifica dalla concezione che lo vede, invece, unaspecificazione degli apprendimenti” (margutti, 2004: 125).11 Tale limite era stato segnalato già alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, come risulta evidente dallaseguente osservazione di d’addio colosimo (1978: 135), in cui si evidenzia come negli approcci no-zionali-funzionali utilizzati per l’insegnamento dell’inglese come lingua straniera “l’attenzione è con-centrata esclusivamente su singole funzioni comunicative le quali vengono illustrate in microscambi,consistenti per lo più in mini-dialoghi strutturati in ‘battuta e replica’ al di fuori di una vera struttura in-terattiva di discorso”.

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determinate forme, routine, atti linguistici, che tuttavia sono difficilmentegeneralizzabili, come risulta evidente dando uno sguardo alla rassegna pre-sentata in Kasper (2011), nella quale gli studi orizzontali (confronto fragruppo diversi di apprendenti di livelli analoghi) superano quelli verticali(confronto sull’evoluzione delle competenze pragmatiche).

ancora meno sono gli studiosi che si siano preoccupati di studiare sulpiano teorico le modalità di acquisizione della competenza pragmatica. Ka-sper ne cita solo due: Schmidt (1993) e Bialystok (1993). Il primo, all’internodella sua noticing hypothesis, distingue fra l’acquisizione e l’uso dell’infor-mazione pragmatica, suggerendo che l’azione linguistica spesso avvienesenza una piena consapevolezza (una consapevolezza cosciente, potremmodire), giacché la conoscenza pragmatica è in larga parte routinaria e non ri-chiede nei parlanti competenti un grande controllo a livello di codifica. d’al-tra parte, per acquisire la competenza pragmatica, i parlanti hanno bisognodi prestare attenzione alle forme pragmalinguisticamente rilevanti e alle con-dizioni sociali di occorrenza.

la seconda, con il suo modello bidimensionale dell’acquisizione di una lin-gua (sia essa materna o non materna), evidenzia come l’acquisizione risulti dal-l’azione combinata di analisi dei contenuti e di controllo della processazione.mentre il primo compito cui attende il bambino quando acquisisce la sua l1 èquello di sviluppare rappresentazioni analitiche del sapere pragmalinguistico esociopragmatico, gli apprendenti adulti di una l2 sono impegnati principal-mente ad acquisire il controllo di processo su rappresentazioni già esistenti.

la scarsa attenzione agli aspetti teorici dello sviluppo delle competenzepragmatiche rende difficilmente confrontabili fra loro ricerche empirichecompiute in contesti e con metodi diversi. ciò di cui si sente soprattutto lamancanza, sul piano della ricerca teorica, sono studi finalizzati a verificarese la competenza pragmatica segua le stesse fasi di sviluppo della compe-tenza linguistica. lo stato dell’arte non consente di dare una risposta cheabbia una sufficiente affidabilità. Nondimeno, è utile provare a (iniziare a)fare ordine nella selva delle variabili e dei vincoli di cui deve tener conto chiintenda, non tanto insegnare la pragmatica (in fondo si tratterebbe di trovarele tecniche più adatte a sollecitare ed esercitare l’uso di un repertorio sele-zionato di atti linguistici che esprimono ciascuno una determinata micro-funzione), quanto organizzare una progettazione didattica mirata a“insegnare a comunicare attraverso la lingua”, che, a nostro avviso, può es-sere considerata una definizione di “pragmatica” accettabile dal punto divista operazionale.

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Il primo passo per provare a impiantare una progettazione focalizzatasulla pragmatica è fare il punto sulle variabili minime che dovrebbero esseretenute da conto, nella consapevolezza che è quasi impossibile prevedere tuttii fattori potenzialmente in grado di influenzare il processo di apprendimento(spontaneo o guidato che sia).

la prima variabile è il livello di istruzione, a cui abbiamo già accennatopoco sopra. aggiungiamo adesso che la riflessione su come insegnare a co-municare attraverso la lingua passa anche attraverso

un approccio che si vuole concentrare sull’indagine del modo in cui i parlanti in-nalzano il livello di formalità delle loro varietà quando ritengono che sia appro-priato farlo. ciò che ci interessa è dunque l’osservazione delle strategie particolariche vengono impiegate a questo scopo e della competenza stessa degli utenti dellalingua di costruire e creare realizzazioni di registri specifici (moretti, 2011: 61).

la competenza degli utenti a cui si riferisce moretti è quella che conduce aosservare “il tipo di conoscenze e principi che permettono [ai parlanti] di co-struire varietà differenti da quella che si può ritenere la varietà centrale e ba-silare delle competenze, ovvero il parlato colloquiale-informale”. questecompetenze, già nei parlanti nativi, si sviluppano a uno stadio molto avan-zato della socializzazione, giungendo in molti casi a fossilizzarsi. Insistiamosu questo aspetto, in quanto è assai frequente, tanto nella riflessione quantonella pratica glottodidattica, far riferimento, in modo anche irriflesso, a unideale “parlante nativo”, competente sia dal punto di vista comunicativo siada quello linguistico. Tale idealizzazione non tiene conto del fatto che lastessa comunicazione fra cosiddetti “parlanti nativi” è spesso a rischio diambiguità e potenziali fraintendimenti, dovuti anche alla diseguale possibi-lità di accesso alle risorse linguistiche.

Il riferimento alla variabile istruzione consente non soltanto di selezionarei contenuti da insegnare per ciascuno dei livelli del qcER, ma anche di va-lutare se e quando sia il caso di seguire un sillabo proposizionale (che pre-suppone la conoscenza da parte dell’apprendente della metalingua) o se equando sia preferibile optare per un sillabo processuale (basato cioè sullavalutazione del tipo di apprendente).

la seconda variabile attiene alla funzione che assolve la lingua target nelrepertorio dell’apprendente, se cioè essa sia lingua seconda o lingua stra-niera. quello degli effetti, in termini di efficacia dell’azione didattica, delladifferenza fra l2 e lS, è un terreno poco esplorato dalla linguistica applicata,così come, peraltro, risulta in generale sottovalutato l’impatto dei fattori con-

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testuali sul processo di insegnamento-apprendimento (cfr. mackey et al.,2013), tanto più nell’insegnamento-apprendimento della pragmatica. dalmomento che gli elementi linguistici di natura pragmatica sono quelli suiquali si regge la gran parte della comunicazione nei contesti quotidiani, essirappresentano il tessuto connettivo della competenza comunicativa. gli ap-prendenti di una l2, a differenza di quelli di una lS, si trovano ad essereesposti a input la cui natura è, potremmo dire, eminentemente pragmatica.contrariamente all’input che riguarda strutture linguistiche anche complesse,l’input pragmatico si presenta spesso in formati per la cui decodifica nonbasta la comprensione della superficie linguistica. Se consideriamo, il cheforse è banale ma spesso ce ne dimentichiamo, il fatto che gli apprendentiguidati di una l2 ne sono anche apprendenti spontanei (ma non necessaria-mente viceversa), arriviamo a scorgere la necessità di proporre percorsi di ap-prendimento che (specie ai livelli più bassi) pongano più attenzione allosviluppo delle strutture pragmatiche rispetto alle strutture linguistiche, o,meglio, facciano scaturire il focus sulla forma dallo svolgimento di azioni lin-guistiche compiute dagli apprendenti. Se, infatti, è del tutto plausibile pen-sare che la convergenza verso le norme sociopragmatiche della lingua targetcresca in relazione al tempo di permanenza nella comunità di cui la linguatarget è espressione, è altrettanto ragionevole supporre che l’apprendimentoguidato possa aiutare ad accelerare tale convergenza.

In terzo luogo, occorre tenere presente che la competenza pragmatica sideclina anch’essa, così come quella squisitamente linguistica, in abilità ri-cettive e abilità produttive (si veda poco oltre per una esemplificazione re-lativa alla pragmatica dell’italiano l2/lS). per quanto riguarda le prime, gliapprendenti di una l2 hanno piena capacità di accedere alle procedure infe-renziali che sovraintendono alla comprensione del contenuto pragmatico diqualunque enunciato. Tuttavia, quando si trovano nella condizione di dovermettere in atto tali procedure nella l2, può accadere che essi non sempre rie-scano a usare le capacità inferenziali acquisite nella l1 (Bialystok, 1993). gliapprendenti, sia nella loro qualità di lettori sia in quella di partecipanti aun’interazione orale, prestano maggiore attenzione, nel processo di decodi-fica del messaggio, alla superficie linguistica rispetto ai contenuti pragma-tici. È questo un punto di grande rilevanza sul piano teorico, giacchél’attenzione per la decodifica del non detto da parte degli apprendenti di unal2 rafforza la necessità di capire se, anche in contesto linguistico-comuni-cativo l1, l’implicito viene sciolto senza tener conto del significato letteraledell’enunciato o dopo che quest’ultimo è stato compreso.

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Fig. 2: le variabili “minime” per una progettazione orientata su obiettivi pragmatici

4. InIzIARE unA PRogETTAzIonE dIdATTIcA oRIEnTATA sullA PRAgMATIcA:lA fAsE dEl TEsTIng

In questa seconda parte del contributo vorremmo concentrarci su quello chedovrebbe essere il momento iniziale di ogni progettazione educativo-didat-tica, cioè la fase di valutazione in entrata del livello di competenza degli ap-prendenti. In questa sede, proponiamo un possibile modo di articolare il test

cfr. figura 1

per quando riguarda le abilità di produzione di azione linguistica di na-tura pragmatica, va notato che gli apprendenti adulti hanno una conoscenzaimplicita delle strategie attraverso le quali possono essere realizzati gli attilinguistici, ma non sempre fanno uso di tale conoscenza. questo squilibriofra sapere e saper fare dipende da diverse ragioni variamente combinate: 1)limitata competenza linguistica nella l2; 2) transfer negativo dalla l1; 3)stereotipi circa ciò che si ritiene sia pragmaticamente appropriato nella lin-gua target; 4) resistenza culturale più o meno esplicita alle norme pragmati-che della l2 allo scopo di marcare una distanza dalla comunità target e daivalori socioculturali da essa incarnati.

la fig. 2 riassume quanto appena discusso. precisiamo che, sebbene ancheuna progettazione focalizzata sulla competenza linguistica debba tenereconto di quelle che abbiamo definito “variabili minime”, tale competenza ètuttavia meno soggetta a variabilità, essendo ancorata soprattutto alla pre-senza/assenza delle strutture nel sistema provvisorio dell’apprendente.

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di ingresso per un corso che abbia come obiettivo di insegnare a comunicareattraverso la lingua (vedi fig. 2). come già accennato, il test su cui ragione-remo è un test progressivo, in cui contenuti linguistici e pragmatici da te-stare sono presentati secondo la progressione dei livelli del qcER. In talmodo è possibile compiere una diagnosi organica dello stato interlinguisticodell’apprendente, che è invitato a svolgere, per ciascuna delle parti nellequali si articola il test, soltanto le sezioni o a rispondere soltanto alle do-mande che egli ritiene di saper completare. l’apprendente, cioè, sa sin dal-l’inizio che non è obbligato a compilarne tutte le parti.

Il test è stato messo a punto dagli autori del presente contributo e vieneutilizzato per la formazione delle classi nella Scuola di lingua italiana perStranieri dell’Università degli studi di palermo (cfr. appendice). Esso è ri-volto a una utenza che per la gran parte è costituita da studenti stranieri, inItalia nell’ambito di progetti di scambio o di cooperazione (Erasmus, marcopolo, convenzioni con atenei esteri, protocolli d’intesa con associazioni divolontariato che operano nel territorio) o per brevi periodi di due/quattro set-timane di vacanza-studio durante le quali seguono i corsi della scuola estiva.Si tratta dunque di apprendenti di alto livello di istruzione per i quali di fattol’italiano è una lS più che una l2, e di ciò si tiene debito conto in sede siadi programmazione dei corsi sia di elaborazione del test.

Il test è articolato in cinque parti. l’apprendente è invitato in prima bat-tuta a riconoscersi in un livello di competenza da scegliere tra “elementare”,“intermedio” e “avanzato”. la prima parte testa le microfunzioni della sotto-competenza funzionale del qcER (cfr. figura 1)12; la seconda si configuracome un esercizio di riempimento di un testo narrativo teso a elicitare lestrutture linguistiche più rappresentative di ciascun livello; la terza prevedesei domande di comprensione del testo utilizzato per l’elicitazione delle strut-ture; la quarta misura l’abilità di scrittura13; la quinta, infine, si concentrasull’abilità orale14. In questa sede ci concentreremo sulla prima parte del test

12 Si tratta di quindici item, presentati in ordine crescente di difficoltà (sette per le abilità ricettive e ottoper quelle produttive). Nel primo caso si chiede di scegliere fra quattro situazioni comunicative quellache si adatta meglio all’enunciato proposto. Nel secondo, è richiesto, invece, di realizzare l’enun-ciato/atto linguistico più adeguato a una situazione comunicativa data. 13 l’apprendente è chiamato a scegliere fra due diverse tracce sulla base delle sezioni della parte 2 (testonarrativo da completare).14 l’apprendente, sulla base della autovalutazione espressa all’inizio del test, è chiamato a scegliere traquattro tracce per ogni fascia di livello (a, B e c del qcER). Il tipo di interazione che viene realizzataè ispirato ai dialoghi utilizzati nel test orale della prova cIlS (certificazione di Italiano come lingua Stra-niera dell’Università per Stranieri di Siena).

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e in particolare sugli item relativi all’abilità produttiva della competenza fun-zionale15.

ciascuna delle situazioni comunicative richiede la realizzazione di attilinguistici quali inviti, richieste, scuse. la difficoltà progressiva degli itemproposti è legata sia alla formalità/informalità sia alla complessità delle strut-ture pragmatiche da gestire. poniamo l’accento sulla complessità diversifi-cata dei compiti che vengono sottoposti agli apprendenti nella parte del testdi cui ci stiamo occupando in quanto è stato osservato (gilabert e Barón,2013) che pochi sono finora stati gli studi che hanno analizzato gli effettidella complessità del compito sulla performance pragmatica.

la micro-funzione comunicativa che si vuole elicitare in ciascun itempuò essere considerata l’enzima che catalizza l’interlingua, nel senso checonduce a stirarla fino ai limiti massimi del sistema provvisorio individuale.l’indicatore linguistico di cui ci serviremo per osservare l’interrelazionefra pragmatica e struttura linguistica è il lessico. Esso è infatti il livello dianalisi più facilmente osservabile e più facilmente disponibile/ottenibiledagli apprendenti e potenzialmente acquisibile a tutti i livelli interlingui-stici (fatte salve le parole più complesse morfologicamente). Nonostante lapoca utilità (controllabilità) del lessico in quanto indicatore acquisizionale(perché non è possibile individuare precisamente una corrispondenza fra illessico a disposizione dell’apprendente e la sua interlingua), dal punto divista didattico è opportuno cercare delle regolarità nell’uso pragmatica-mente appropriato del lessico. con “uso pragmaticamente appropriato” in-tendiamo non l’uso del lessico isolato, ma la capacità di organizzare in uncontesto comunicativo dato le forme che fanno parte del sistema provviso-rio16. a tal fine, negli item proposti si è cercato, per quanto possibile, di nonfornire lessico, in modo da spingere l’apprendente a concentrarsi sulla si-tuazione comunicativa proposta come se fosse un compito da risolvere al difuori del contesto classe, nel quale egli deve raggiungere il suo obiettivocomunicativo senza l’aiuto rappresentato dalla lingua (strutture e lessico)fornita dall’insegnante.

15 gli esempi che proporremo si riferiscono al test somministrato il 9 settembre 2013 in occasione del-l’ultimo modulo della scuola estiva organizzata ogni anno dalla Scuola di lingua italiana per Stranieridell’Università di palermo.16 Il metodo comunicativo spesso fornisce, invece, alla classe, proprio il lessico isolato, sia pur orga-nizzato per campi semantici coerenti con la situazione proposta, assieme alle strutture morfosintattiche(tempi e modi verbali), prima di creare una situazione comunicativa che metta l’apprendente nelle con-dizioni di usare la lingua che già conosce.

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4.1. Organizzare il lessico, controllare la “verbosità”

Usare (anche) il lessico per individuare il livello di competenza (non solo prag-matica) di un apprendente non è semplice. la nostra idea di competenza prag-matica (saper comunicare attraverso la lingua) ci spinge non tanto a considerarequanto lessico conosce l’apprendente, ma a valutare come questi usa il lessicoche conosce. In questa prospettiva abbiamo scelto di concentrarci sulle rispo-ste ai quesiti pragmatici produttivi restituiteci dagli studenti che, in base allerisultanze del test, si sono collocati tra i livelli intermedio e avanzato. la sceltadi ragionare su queste due categorie di apprendenti è giustificata dal fatto chei due livelli condividono grosso modo lo stesso bagaglio lessicale e sono dun-que, da questo punto di vista, confrontabili. gli apprendenti che si collocanoai livelli intermedi hanno, infatti, a disposizione un bagaglio lessicale che sulpiano quantitativo non è di molto inferiore a quello a disposizione degli ap-prendenti più avanzati. la nostra ipotesi è che ciò che cambia e che contrad-distingue gli apprendenti di livello intermedio da quelli di livello avanzato è lacapacità di usarlo in modo pragmaticamente appropriato.

al fine di verificare questa ipotesi di lavoro utilizzeremo il concetto di“verbosità”, introdotto da Edmondson e House (1991), i quali hanno osservatoche gli apprendenti di livello intermedio o iniziale avanzato, quando devonosvolgere un compito comunicativo che richiede l’uso di forme e strutture lin-guistiche aventi funzione pragmatica, solitamente sono più “verbosi”, ossiarealizzano enunciati più lunghi di quanto non facciano i cosiddetti “nativi”nell’assolvere specifici compiti comunicativi. la verbosità, nella terminolo-gia di Edmondson e House, è caratterizzata da una conoscenza del lessicoanche piuttosto ampia, conoscenza alla quale, tuttavia, non corrisponde unapiena capacità di usarlo in modo contestualmente appropriato a causa dellamancanza o dello scarso controllo delle routine comunicative.

la nozione di verbosità va in ogni caso relativizzata, dal momento che,come osserva Kasper (2011), se in un nativo essa può essere vista come unaviolazione della massima griceana della quantità, nei non nativi, la maggioreridondanza può essere dovuta a

greater need to make their intentions, motivations, and reasoning explicit, becausethey need to establish rather than take for granted lack of common ground withspeakers of the target language or other nonnative speakers (Kasper, 2011: 144).

la verbosità può, dunque, essere considerata un buon indicatore dello stadiodi avanzamento della competenza pragmatica dell’apprendente, in special

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modo per quelli dei livelli superiori ai livelli elementari (superiori al livelloa2), tanto più in un test nel quale tale competenza è affidata allo scritto, incui si tende ad essere più ridondanti che nella conversazione orale.

l’apprendente, in altri termini, non sapendo esattamente (almeno sulpiano procedurale) come nella lingua target i parlanti nativi risolvano ilcompito comunicativo a cui è stato messo di fronte, ricorre a tutta la lin-gua che conosce. di conseguenza, esso è portato (grazie alla sua cono-scenza del lessico e delle strutture linguistiche) ad aggiungere, ripetere oparafrasare informazioni, finendo così per risultare più ridondante (piùverboso, appunto) di quanto non lo sarebbero i parlanti nativi nel mede-simo contesto17.

di seguito commentiamo alcune soluzioni a tre degli otto item di cui sicompone la sezione produttiva della parte pragmatica del test. Sono situa-zioni comunicative per affrontare le quali è necessaria una competenza prag-matica via via crescente.

Item 8.Hai voglia di mangiare fuori. Inviti un amico a venire con te e gli dici che cosa vuoi man-giare.

Item 11Sei sul treno. chiedi gentilmente allo sconosciuto seduto davanti a te di abbassare il fi-nestrino e spiegagli il motivo.

Item 13Sei al ristorante. chiedi al cameriere che cosa c’è da mangiare e poi fai la tua ordina-zione.

Iniziamo con l’item 818. Il compito richiede l’espressione di tre informazioni,da realizzarsi con adeguati atti linguistici: l’espressione di un desiderio; l’in-vito a un amico; l’espressione di una volontà. Il compito richiesto dall’itemè pensato per poter essere risolto anche dagli apprendenti di livello elemen-tare (la fascia a del qcER per intenderci).

17 gli esempi che proporremo sono estratti originali dai test svolti dagli apprendenti. In tal modo, è pos-sibile apprezzare le scelte procedurali compiute dagli apprendenti (le eventuali auto-correzioni e cam-biamenti di progetto).18 abbiamo scelto di presentare gli esempi così come sono stati effettivamente realizzati manualmentedagli studenti (accompagnando la scansione digitale dell’autografo con una trascrizione digitalizzata incarattere corsivo) per cercare di riprodurre per quanto possibile il processo di codificazione del mes-saggio, ivi compresi i ripensamenti, le scelte fra alternative aventi diverso significato pragmatico, ecc.

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Voglio andare fuori e comprare qualcosa da mangiare. Mi piace mangiare la pizza, per-ché non vieni con me e mangi qualcosa che piace?

l’enunciato di mayada è ineccepibile sul piano formale (rispetto di sintassi,morfologia e lessico isolato). Tuttavia, non possiamo dire che il prodotto del-l’apprendente sia pragmaticamente accettabile. osserviamo, infatti, come lastudentessa abbia mantenuto separate le tre informazioni richieste nella con-segna, producendo tre microenunciati in sé completi, ma il cui risultato èsemplicemente la somma delle tre parti. Nel primo blocco informativo, ma-yada comunica l’intenzione di compiere due azioni (“uscire fuori di casa” e“comprare qualcosa da mangiare”). Tuttavia, queste due azioni sono il ri-sultato di una separazione dell’unica informazione che l’item richiedeva difornire (“comunicare il desiderio di andare a mangiare qualcosa fuori”).Usando il verbo “comprare”, mayada aggiunge informazione non richiesta(e quindi diventa verbosa) e, al tempo stesso, si allontana dall’informazioneda comunicare (una cosa è “comprare qualcosa da mangiare”, una cosa è“andare a mangiare qualcosa fuori”). Nel secondo e terzo blocco, l’appren-dente isola un’altra delle informazioni da comunicare (“comunicare ciò chepreferisce mangiare”) ricorrendo a una struttura dedicata e presumibilmentenon analizzata (“mi piace mangiare la pizza”)19.

Vediamo, invece, come risolve il compito alessia, apprendente cinese,collocata dal test nel livello c1.

Sta sera voglio mangiare fuori, andiamo a mangiare la bistecca, che ne pensi?

l’enunciato di alessia appare molto più fluente di quello di mayada. la ver-bosità, inoltre, sembra scomparire. le informazioni richieste dalla consegnasono fornite senza particolare ridondanza. la soluzione che rende l’enun-ciato pragmaticamente adeguato è la clausola (unità di turno sul piano con-

osserviamo come risolve il compito mayada, studentessa egiziana che lerisultanze del test collocano al livello B1.

19 È possibile che “mi piace” sia una formula fissa non analizzata, di cui la studentessa inizia a ipotiz-zare le componenti, visto che poco dopo usa la stessa espressione omettendo il pronome.

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Vuoi andare con me per mangiare qualcosa?

In questo caso, lo studente sceglie il verbo “volere”, come mostra il taglio di“puoi”, dimostrando di conoscere i verbi modali e il fatto che i due verbi dif-feriscono anche dal punto di vista semantico-pragmatico. a risultare non ap-propriato pragmaticamente è, piuttosto, la selezione del verbo “andare”, inluogo del più pragmaticamente adeguato “venire”, creando una insolita, ben-ché accettabile, distribuzione dei costituenti. Inoltre, l’apprendente ometteuna delle tre informazioni richieste, in quanto è probabile che la sua ridottacompetenza linguistica non gli consenta di muoversi in modo adeguato al-l’interno della situazione richiesta.

l’item 11 richiede, invece, di esprimere due informazioni: la richiestafatta a uno sconosciuto di abbassare il finestrino di uno scompartimento fer-roviario e la motivazione della richiesta. Inoltre, tale richiesta deve essereaccompagnata dalle opportune formule di cortesia linguistica. diciamo su-bito che di fronte alla difficoltà del compito, gli apprendenti di livello ele-mentare si arrendono e non proseguono oltre, tranne coloro che hanno comel1 un’altra lingua romanza.

proponiamo la soluzione realizzata da marie, studentessa tedesca di li-vello B1.

Scusi, può lei chiudere il finestrino? Ho freddo e sono terrorizzata diventare male.

come in tutti gli altri item, marie fa un uso sovrabbondante del lessico. In que-sto caso, aggiunge alla motivazione della richiesta di abbassare il finestrino (“ho

versazionale) con funzione di invito “andiamo a mangiare la bistecca”, checuce le due clausole che la precedono e la seguono.

la scomparsa della verbosità tipica dei livelli alti non va confusa con lamancanza di lingua necessaria a svolgere il compito, che si evidenzia nelleproduzione degli studenti di livello elementare. analizziamo come risolve ilcompito marvin, apprendente polacco, collocato dal test nel livello a2.

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freddo”) un’ulteriore informazione (il fatto di aver paura di ammalarsi), comese non sapesse quanta informazione è necessario offrire all’interlocutore per nonapparire scortese o impudente nella richiesta. la sua verbosità risulta ancora piùevidente per il fatto che è accompagnata da una sintassi appiattita sui calchi dallasua l1 (nel nostro esempio l’ordine verbo + pronome soggetto obbligatorio).

osserviamo, invece, come risolve il compito cristina, apprendente cinesedi livello c1.

Mi scusi, signore. Potrebbe abbassare il finestrino per favore? Il vento è troppo forte perme. Grazie!

cristina usa opportunamente sia le forme di cortesia (“mi scusi, signore”,“per favore”, “grazie!”) sia quelle di mitigazione della forza illocutiva (“po-trebbe abbassare”). Inoltre, fornisce la motivazione della richiesta utilizzandola giusta quantità di informazione.

quest’ultimo esempio anticipa l’ultimo aspetto su cui intendiamo soffer-marci discutendo l’ultimo item da noi selezionato. la scelta di chiuderel’enunciato con una formula di ringraziamento è probabilmente legata alfatto che l’apprendente immagina che dopo la richiesta giunga l’esecuzionedell’atto richiesto (la chiusura del finestrino). di conseguenza, lo scambiopuò considerarsi concluso dopo aver ringraziato l’interlocutore per aver ac-condisceso alla richiesta.

la necessità di pensare a un contesto interazionale in cui calare l’enun-ciato fa parte del compito richiesto dall’item 13, il quale prevede la richie-sta di una informazione (“il piatto del giorno”) e di un atto direttivo (“fareun’ordinazione”). questo item, oltre alla ridondanza lessicale, si presta adare luogo a una forma di ridondanza che potremmo definire “meta-intera-zionale” e che interessa tanto gli studenti di livello intermedio, quanto quellidi livello avanzato. come esempio dei primi, riportiamo il caso di due ap-prendenti (alicja e Natalia) che fanno parte di un gruppo di studenti polac-chi in Italia per una vacanza-studio di due settimane.

alicja

Buongiorno, mi può raccomandare qualcosa da mangiare? Allora, vorrei spaghetti bolognese

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Natalia

Scusi, che cosa mi consiglia da mangiare? Bene, vorrei gli spaghetti e l’acqua

con l’uso di ”allora” e ”bene” le apprendenti segnalano la necessità di calarel’input contenuto nella traccia in un preciso contesto interazionale. In ter-mini conversazionali, i due segnali discorsivi introducono la mossa conclu-siva di una sequenza in cui alla richiesta iniziale del cliente di sapere/avereil menù segue, di solito, la replica del cameriere e l’ordinazione del cliente.In tal modo, le apprendenti compiono una loro personale ricostruzione diconversazione.

come esempio di performance di apprendenti di livello avanzato presen-tiamo la soluzione di Fei, studente cinese di livello c1.

Garçon, la specialità di oggi? Baccalà? Benissimo, me ne dia un piatto.

al di là dell’opinabile allocutivo iniziale, Fei mostra di aver centratol’obiettivo pragmatico del compito, riuscendo anche a rendere la dialogicitàimplicita nell’input attraverso la ripetizione fittizia del piatto proposto dalcameriere.

5. conclusIonI

In questo contributo abbiamo affrontato la questione dell’insegnamento dellapragmatica dal punto di vista della definizione, non tanto del concetto di“pragmatica”, quanto di quello di “insegnamento della pragmatica”. a que-sto scopo abbiamo scelto di concentrarci sull’inizio di un percorso di pro-gettazione didattica che miri a insegnare a comunicare attraverso la linguapiuttosto che semplicemente a insegnare la lingua per comunicare, obiettivodei metodi comunicativi più diffusi (almeno in Italia). In questa prospettiva,abbiamo presentato il test di ingresso progressivo impiegato per la forma-zione delle classi nella Scuola di lingua italiana per Stranieri dell’Univer-sità di palermo. In particolare ci siamo concentrati su tre item della sezioneproduttiva della parte pragmatica.

dall’analisi delle produzioni degli apprendenti è emerso che – volendo ri-

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correre a un lessico da sartoria – la progressione della competenza pragma-tica somiglia molto al saper fare necessario alla confezione di un vestito.Saper tagliare la stoffa (competenza di base) e saperne imbastire i pezzi(competenza intermedia) sono competenze fondamentali, ma non sono suf-ficienti per realizzare un vestito che possa assolvere alla sua funzione so-ciale (essere indossato e mostrato). per giungere al prodotto finale è, infatti,necessario saper rimuovere l’imbastitura e procedere alla rifinitura (compe-tenza avanzata). allo stesso modo, un enunciato assolve alla sua funzionecomunicativa se i pezzi che lo compongono sono cuciti in modo tale cheesso possa essere appropriatamente inserito nei contesti interazionali che nerichiedono l’impiego. la necessità di includere l’enunciato da realizzare inun contesto interazionale di cui si devono ricostruire setting, alternanza diturni e mosse è, a nostro avviso, uno dei parametri più importanti da consi-derare per decidere della complessità pragmatica del compito da realizzare.

alla riflessione sul ruolo di contesto e interazione nella pratica didatticaè dedicato il contributo successivo, in cui presenteremo una variante del me-todo comunicativo che può, a nostro avviso, soddisfare l’esigenza di inse-gnare a comunicare nella l2/lS attraverso la l2/lS.

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