INDICE INTRODUZIONE p. 3 CAPITOLO 1. Il mondo dei Centri Educativi Occupazionali Diurni (CEOD) nell’insieme dei servizi alla persona disabile: costi e strategie, due ambiti collegati p. 6 1.1 Definizione del CEOD: normativa di riferimento. p. 6 1.2 Domanda e offerta dei servizi alla persona disabile. p. 12 1.3 Numero dei CEOD presenti nel Veneto distribuiti per A.ULSS e per provincia di appartenenza della struttura: una fotografia del territorio. p. 16 CAPITOLO 2. Un’analisi delle strategie e dei costi: definizione, specificazione e un’applicazione p. 19 2.1 La pianificazione strategica e la valutazione economica delle strategie nei servizi alla persona. p. 19 2.2 Strumenti di regolazione nei percorsi di governance: modello della “Carta dei Servizi” nelle imprese sociali come “strategia obbligatoria” nella misura della qualità. p. 28 2.3 I concetti di costo all’interno dei servizi alla persona. p. 34 2.4 Analisi di un caso: la gestione economica e strategica di una cooperativa. p. 42 CAPITOLO 3. I costi seguono/sono le strategie p. 56 1
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INDICE
INTRODUZIONE p. 3
CAPITOLO 1. Il mondo dei Centri Educativi Occupazionali Diurni (CEOD) nell’insieme dei servizi alla persona disabile: costi e strategie, due ambiti collegati p. 6
1.1 Definizione del CEOD: normativa di riferimento. p. 6
1.2 Domanda e offerta dei servizi alla persona disabile. p. 12
1.3 Numero dei CEOD presenti nel Veneto distribuiti per A.ULSS e per provincia di appartenenza della struttura: una fotografia del territorio. p. 16
CAPITOLO 2. Un’analisi delle strategie e dei costi: definizione, specificazione e un’applicazione p. 19
2.1 La pianificazione strategica e la valutazione economica delle strategie nei servizi alla persona. p. 19
2.2 Strumenti di regolazione nei percorsi di governance: modello della “Carta dei Servizi” nelle imprese sociali come “strategia obbligatoria” nella misura della qualità. p. 28
2.3 I concetti di costo all’interno dei servizi alla persona. p. 34
2.4 Analisi di un caso: la gestione economica e strategica di una cooperativa. p. 42
CAPITOLO 3. I costi seguono/sono le strategie p. 56
3.1 La struttura dei costi di un CEOD: un approccio standard. p. 56
3.2 Strategie alternative ed impatto sulla struttura dei costi. p. 70
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CAPITOLO 4. Strategia buona con costi bassi: un’utopia? p. 83
4.1 Nascita di un CEOD in una rete territoriale efficace ed efficiente: sviluppo ed analisi dei fattori critici di successo. p. 83
CAPITOLO 5. La soluzione: l’educazione come forma che mira ad una mediazione a impatto economico p. 94
5.1 Lo sviluppo delle risorse umane come chiave per il miglioramento della qualità dei servizi in termini economici e strategici. p. 94
5.2 Valutazione dell’outcome nell’ambito dei servizi per i disabili. p. 101
CONCLUSIONI p. 111
BIBLIOGRAFIA p. 116
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INTRODUZIONE
Il successo della cooperazione sociale ha contribuito ad aprire anche in Italia un dibattito
scientifico ed innovativo sulle organizzazioni no-profit e in particolare su quelle che uniscono
una natura di impresa con un’esplicita finalità sociale (i cosidetti “servizi alla persona”).
Il concetto di «impresa sociale», che è entrato nel lessico non solo degli addetti ai lavori, deve
molta della sua popolarità proprio all’esperienza della cooperazione sociale italiana.
Quest’ultima ha contribuito a dimostrare che è possibile creare assetti organizzativi in grado di
realizzare un equilibrio sostenibile tra l’essere impresa e il perseguire finalità di carattere
assistenziale e solidaristico. L’impresa sociale rappresenta oggi una realtà diffusa, seppure in
forme di gestione diverse, in tutta Europa.
Alle cooperative sociali viene riconosciuto un ruolo essenzialmente esecutivo, che
rappresenta l’esito finale di politiche intraprese da un soggetto esterno, cioè la pubblica
amministrazione. Le conseguenze di questa interpretazione sono diverse, a seconda del punto di
vista che si assume come dominante.
Da un lato, l’esternalizzazione a favore delle cooperative sociali costituisce un fenomeno
positivo perché consente di risparmiare risorse, affidando la gestione di servizi ad agenzie che,
in via generale, sono più efficienti delle amministrazioni pubbliche, in particolare per quanto
riguarda la razionalizzazione dei processi produttivi. Ma, d’altro canto, allo stesso fenomeno
può essere data una connotazione negativa, nel momento in cui si evidenzia che la ricerca del
risparmio può passare per una riduzione delle retribuzioni e, in ultima analisi, della qualità dei
servizi.
Ancora, teniamo in considerazione che i vantaggi competitivi che derivano dalle specificità
organizzative dei servizi sociali contribuiscono a spiegare l’emergere, inizialmente in modo
spontaneo, delle organizzazioni di terzo settore e particolarmente delle cooperative sociali. Sul
loro consolidamento hanno poi influito la crisi del sistema del welfare, la spinta innovativa sul
piano culturale esercitata dai movimenti sorti a partire dalla prima metà degli anni sessanta, il
lento processo di devoluzione a favore delle amministrazioni pubbliche locali, la strutturazione,
seppur in modo frammentato, di un quadro normativo favorevole.
A questi fattori vanno aggiunte le decisioni strategiche assunte dalle singole cooperative, ma
soprattutto dalle loro organizzazioni di rappresentanza e coordinamento (si pensi, ad esempio,
all’adozione di codici etici, protocolli di qualità, ama anche più in generale all’intensa attività
formativa effettuata in questi anni dalle cooperative sociali e dalle loro organizzazioni di
coordinamento).
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Dunque, secondo questo approccio, le cooperative sociali sono nate e si sono sviluppate
contribuendo esse stesse a creare le condizioni della propria esistenza, suscitando una domanda
di servizi fino ad allora latente a cui hanno risposto attraverso l’innovazione dell’offerta, e
individuando meccanismi di soluzione che fanno leva sia sui fattori di produzione interni (la
presenza del volontariato) sia sull’interesse di finanziatori terzi (in primo luogo le
amministrazioni pubbliche e le A.ULSS di riferimento).
Questa interpretazione presenta ricadute ben precise a livello di strategia, di governo e di
organizzazione. È’ chiaro infatti che la diffusione o prevalenza di un modello rispetto all’altro
contribuisce a determinare l’identità della cooperazione sociale sia come impresa di servizi, sia
nelle relazioni con i suoi interlocutori più significativi. La cooperativa sociale realizza una
strategia «consapevole-proattiva», finalizzata ad influenzare direttamente il proprio ambiente di
riferimento, proponendosi come soggetto in grado di costruire gli elementi dello scenario in cui
si trova ad agire.
Sulla base delle suddette considerazioni storiche ed operative, questa tesi si propone di
studiare la forma manageriale definita da strategie economiche all’interno dei servizi alla
persona disabile: in modo particolare si prenderà in analisi la natura economica ed educativa di
un Centro Educativo Occupazionale Diurno (CEOD) in gestione ad una cooperativa sociale.
La scelta nasce dall’esigenza di sviluppare una mappa specifica dei costi che tale struttura in
particolare (e non un’associazione o un’Ipab) deve sostenere per svolgere la funzione di
assistenza e crescita sociale di soggetti disabili, nella prospettiva successiva della definizione di
una strategia buona che segue costi bassi e nell’ottica dell’educazione come forma che mira ad
una mediazione ad impatto economico.
Si parla di dimensione economica e strutturale per capire il problema organizzativo e di
coordinamento. Nell’ambito dei servizi alla persona e in modo particolare per la gestione dei
CEOD nelle sue diverse forme, l’attività di coordinamento è ancora necessaria, ma assume
aspetti diversi poiché, dovendo affrontare il rischio e l’incertezza, è diverso il ruolo
dell’organizzazione. Questo passa, infatti, da un ruolo prescrittivo e procedurale ad un ruolo
attivatore della sperimentazione e dell’esplorazione, cui viene richiesto di generare varietà ed
innovazione e non solo uniformità e prevedibilità dei comportamenti e minimizzazione dei
costi.
In questo senso si parlerà di una forma ipotetica di struttura di cooperativa sociale, sulla
scorta dello studio di un caso specifico, come organizzazione che coordina attività specializzate
nell’assistenza e sviluppo personale e sociale della persona disabile, definendo obiettivi,
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capacità professionali e strategia come dati e che il problema da risolvere sia come distribuire i
compiti e le risorse economiche e umane nel modo più efficiente ed efficace possibile.
Strategia e struttura si influenzano reciprocamente, ed entrambe sono esposte alle variazioni
dell’ambiente; la struttura si conforma alla strategia, che a sua volta viene influenzata dalla
struttura in un processo circolare. Si parla, di conseguenza, di un approccio interdipendente in
quanto la strategia da attuare nella cooperativa futura sarà il prodotto dell’attuale struttura in
analisi che ha recepito e rielaborato gli stimoli provenienti dall’ambiente.
Ma l’organizzazione è un sistema che apprende e si trasforma attraverso l’azione di una
pluralità di soggetti (interni ed esterni) che interagiscono con i cambiamenti ambientali. Tali
cambiamenti sono causa ed effetto delle azioni definite dalla strategia. La struttura conformata
sul rapporto impresa sociale – ambiente ha la capacità di modificarsi, evolversi e differenziarsi
sotto la spinta di una pluralità di soggetti individuali e collettivi.
La strategia che si vuole sviluppare a conclusione di questa tesi si misura con la capacità di
creare alternative che generano valore attraverso la combinazione di elementi di varietà e
variabilità che consentono di dominare e sfruttare, piuttosto che subire, la complessità
ambientale e di rilevazione dei bisogni delle famiglie dei soggetti di riferimento.
Verrà quindi posto l’accento, in termini organizzativi e di gestione, su un approccio di tipo
evolutivo: la relazione fra strategia e struttura passa da circolare a contestuale e in tale
approccio, oltre all’ambiente figurano le strategie degli attori e le strutture che governano le
relazioni fra gli attori.
Risulta importante fare questa precisazione in quanto, sulla base di un rapporto e di
un’analisi di costi e di strategie, la cooperativa è collocata in un contesto sociale, istituzionale e
politico più ampio, che include l’insieme di regole, convenzioni e sistemi di sanzione
storicamente e normativamente definiti, che fondano le relazioni tra gli attori e, di conseguenza,
le modalità di gestione diretta.
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CAPITOLO 1
IL MONDO DEI CENTRI EDUCATIVI OCCUPAZIONALI DIURNI (CEOD) NELL’INSIEME DEI SERVIZI ALLA PERSONA DISABILE: COSTI E
STRATEGIE, DUE AMBITI COLLEGATI.
1.1 Definizione del CEOD: normativa di riferimento (1)
Nella Regione Veneto esiste una rete di servizi diurni e residenziali particolarmente radicati
nel territorio, organizzata in un sistema integrato di competenze, responsabilità e risorse sia
pubbliche che del privato sociale.
La Regione Veneto è stata tra le prime a realizzare una politica territoriale dei Servizi
Sociali fondati sull’associazionismo tra i Comuni e sull’integrazione socio-sanitaria (L.R. n. 64/75),
“Costituzione dei Consorzi per la gestione unitaria dei servizi sociali di interesse locale: Unità locali
dei servizi sociali”.
La Legge Regionale sull’assistenza L.R. n. 55/82, “Norme per l’esercizio delle funzioni in
materia di assistenza sociale”, che a più di vent’anni dall’approvazione mantiene la sua attualità,
attribuisce alle A.ULSS la competenza dei servizi per la disabilità finalizzati alla promozione della
salute, prevenzione, cura, riabilitazione e piena integrazione sociale.
La Regione, con Regolamento 8/84 e L.R. n. 22 del 1989, Piano Sociale Regionale, ha
definito gli standard dei servizi sia in termini di caratteristiche strutturali che in termini di
professionalità e di modalità organizzative.
La Regione attraverso la realizzazione della rete dei servizi domiciliari, territoriali e
residenziali risponde alla complessità dei bisogni della persona con disabilità e della famiglia in
un’ottica di promozione sociale e di qualità della vita.
Il CEOD Centro Educativo Occupazionale Diurno, inserito in questo panorama legislativo, è
una struttura territoriale a carattere diurno. Attraverso la conduzione di specifiche attività e
programmi ha la funzione di favorire negli ospiti, in rapporto alle potenzialità ed alle attitudini
individuali, il mantenimento e lo sviluppo dell’autonomia personale nonché relazioni interpersonali
e sociali con l’ambiente interno ed esterno; inoltre ha l’obiettivo di promuovere il conseguimento di
capacità occupazionali e la professionalizzazione, in rapporto alle potenzialità e attitudini
individuali.
Ha bacino di utenza interdistrettuale ed è inserito nel contesto dei servizi educativi,
formativi, socio-sanitari e riabilitativi del territorio, con i quali è funzionalmente collegato;
l’accesso ai CEOD è determinato dalle A.ULSS di residenza a seguito dell’Unità Valutativa
Multidimensionale Distrettuale (U.V.M.D.).
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I CEOD rappresentano i servizi di accoglienza diurna delle persone con disabilità grave. La
maggior parte di essi è nata per dare continuità ai percorsi scolastici e formativi, alle persone con
disabilità in età giovane/adulta, che hanno adempiuto all’obbligo scolastico.
I CEOD sono efficacemente integrati nella rete dei servizi territoriali; l’accoglienza diurna
voluta fortemente dalle famiglie viene sostenuta e spesso rappresentata dalle stesse, sia in qualità di
soggetti fruitori che in qualità di soggetti gestori.
Molte Associazioni o Cooperative che gestiscono i CEOD hanno, tra i loro componenti e
soci, familiari di persone con disabilità che usufruiscono del servizio.
Il Veneto è tra le Regioni che hanno maggiormente consolidato l’esperienza dei Centri
Diurni; si può affermare che oltre la scuola e la residenzialità i CEOD costituiscono il più
importante nodo ella rete dei servizi in materia di educazione, riabilitazione e sviluppo
dell’autonomia delle persone con grave disabilità.
I Servizi Diurni consentono di integrare le risorse della famiglia, a sostegno del difficile
compito di affrontare, nel quotidiano, i gravi carichi che l’assistenza alla persona disabile comporta.
I CEOD sono un efficace mezzo di contrasto ai ricoveri ospedalieri inappropriati (come avveniva
fino agli anni novanta), alla residenzialità e alla istituzionalizzazione; rendono effettivo il diritto
della persona con disabilità di permanere nel proprio ambiente di vita e contribuiscono alla sua
piena integrazione nel territorio di appartenenza.
RETE DEI SERVIZI
DOMICILIARI TERRITORIALI RESIDENZIALI
S.A.D. N.P.I. G.F.
(Servizio Assistenza Per l’età evolutiva (Gruppo Famiglia)
Il 29% dei CEOD presenti nel territorio sono gestiti direttamente dalle A.ULSS, mentre il
71% è gestito da Enti convenzionati (vedi grafico).
Suddivisone CEOD per natura Ente Gestore
CEOD gestiti in
convenzione71%
CEOD gestiti da A.ULSS
29%
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Le tipologie degli Enti Gestori dei CEOD sono rappresentate nella seguente tabella:
Natura dell’Ente Gestore Frequenza
COOPERATIVA SOCIALE 107
A.ULSS 73
ASSOCIAZIONE VOLONTARIATO 22
ONLUS 21
ENTE RELIGIOSO 8
IPAB 7
FONDAZIONE 6
ASS. TEMPORANEA D’IMPRESA 3
ENTE ECCLESIASTICO 1
ENTE RELIGIOSO FONDAZIONE ONLUS 1
TOTALE 249
(3) dati forniti dall’Osservatorio Regionale Handicap “Il Centro Educativo Occupazionale Diurno”
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CAPITOLO 2
UN’ANALISI DELLE STRATEGIE E DEI COSTI: DEFINIZIONE,
SPECIFICAZIONE E UN’APPLICAZIONE
2.1 La pianificazione strategica e la valutazione economica delle strategie nei
servizi alla persona
All’interno di un’impresa sociale, come può essere una cooperativa, la pianificazione
strategica non è solo utile, è indispensabile in quanto rinunciare ad essa significa evadere dalla
identificazione dei bisogni primari verso i quali la struttura intende regolare il suo intervento. In
questo senso, anche all’interno di una cooperativa sociale alla persona, non basta un generico
orientamento alla produzione di servizio (di profitto se parlassimo di azienda for-profit); è
necessaria una strategia economica per raggiungere tale valore, nell’ottica di una riduzione di costi
e risorse.
Inoltre, la pianificazione strategica è un «sistema direzionale», così come lo è il controllo di
gestione, a cui è strettamente collegata. Ciò che viene chiamato «elaborazione della strategia»,
oppure «analisi strategica», oppure «pianificazione strategica», tutte espressioni aventi in comune
l’esigenza di esplicitare gli obiettivi di fondo della gestione e come raggiungerli con decisioni di
grande impatto e rilevanza, sottintende in realtà una varietà di fasi o problematiche connesse alla
questione strategica, così classificabili:
a) quale organizzazione impiegare per favorire la corretta assunzione di scelte strategiche;
b) quale contenuto specifico dare alla strategia;
c) come tradurre in pratica i contenuti di una strategia in azioni coerenti e coordinate;
d) come verificare se le scelte fatte sono ancora valide.
Per pianificazione strategica s’intende, quindi, utilizzare nella gestione della struttura di
riferimento uno strumento “più elevato” del semplice intuito o doti personali di chi coordina il
servizio: consideriamo un sistema di pianificazione strategica inteso come sistema direzionale o
meccanismo operativo che si prefigge di far assumere all’organico gestionale strumenti per una
formulazione di contenuti di strategie e di scelte di implementazione degli stessi il più razionali ed
efficaci possibile al fine di soddisfare domande ed obiettivi primari.
Infatti, parlando di pianificazione strategica si deve necessariamente riflettere sul collegamento
che essa assume con il controllo di gestione: quest’ultimo è un sistema direzionale di monitoraggio
dei risultati, rispetto agli obiettivi determinati in sede di pianificazione strategica.
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In esso sono identificabili una «struttura strategica», definita come aree a cui possono
corrispondere o meno specifiche unità organizzative, e un «processo di pianificazione strategica»,
inteso come l’insieme delle fasi occorrenti affinché si possano tracciare nel modo più possibile
razionale ed efficace le linee guida durevoli del comportamento dell’impresa sociale. Inoltre, tale
processo fa riferimento alla formulazione delle iniziative che permettono all’impresa stessa di
affrontare con successo il confronto competitivo sui mercati di riferimento.
Per capire i CARATTERI FONDAMENTALI DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA,
viene presentato uno schema riassuntivo che ne identifica la validità. (1)
ORIZZONTE TEMPORALE Lungo periodo (pluriennale)
SCOPI Esplicitare i risultati attesi e come raggiungerli
OUTPUT DEL PROCESSO Politiche di gestione e relativi piani d’azione
SOGGETTI COINVOLTI Top management e staff di coordinamento
TIPO DI ATTIVITA’ MENTALE Creativa
TIPO DI PROCESSO Irregolare, poco formalizzabile, con ampio uso di
dati da fonti esterne
La pianificazione strategica ha a che vedere con problemi di strategia aziendale di volta in
volta molto differenti, spesso riguardanti ambienti competitivi in rapida e poco prevedibile
evoluzione, che poco si prestano ad una formalizzazione e procedurizzazione. Tuttavia anch’essa si
avvale, anche all’interno di servizi alla persona, di strumenti rivolti al miglioramento di quelle
scelte che sono all’origine del successo durevole dell’azienda, per sottrarle all’intuito puro e
semplice e all’improvvisazione. Tali strumenti servono ad esempio per individuare meglio i fattori
critici di successo e le azioni per conseguire vantaggi competitivi, oppure per individuare le
opportune alternative strategiche di ciascun business.
Esiste, quindi, un processo di pianificazione strategica, con la sua logica, con le sue fasi, con
i suoi requisiti di coerenza interna, con il suo bagaglio di strumenti; inoltre esiste l’esigenza di
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evitare che tale processo limiti o inibisca la capacità creativa e l’intuito dei soggetti imprenditoriali,
cioè i veri fattori critici del durevole successo dell’impresa sociale, all’origine di tutti gli altri.
Una strategia è in realtà un insieme di scelte, via via più operative, che partendo da un’idea o
un’intenzione devono tradursi in qualcosa di concreto: per verificare la convenienza economica di
una scelta strategica nella gestione di una cooperativa sociale che si pone l’obiettivo di rispondere
in maniera più esauriente possibile ai bisogni della comunità, non basta l’esperienza e il buon senso,
ma occorrono metodi rigorosi e affidabili di valutazione.
Quindi, il processo di pianificazione strategica, con i suoi metodi e i suoi strumenti, può
favorire una corretta valutazione ed implementazione della strategia prescelta e può supportare
validamente le doti personali citate e l’apprendimento organizzativo, e incanalarli in una direzione
coerente con gli obiettivi di fondo dell’impresa sociale.
La pianificazione strategica, intesa come processo, viene concepita come quell’insieme di
attività direzionali, per dare razionalità alla condotta strategica dell’impresa sociale, con cui:
- si definiscono gli obiettivi di fondo della gestione;
- si formulano le scelte principali con cui raggiungere gli obiettivi (strategie);
- si formulano i piani d’azione con cui dare attuazione concreta alle strategie.
I momenti essenziali della pianificazione strategica, con riferimento particolare ad una struttura che
si occupa di fornire servizi e quindi di elaborare una strategia coerente con l’obiettivo primario di
risposta ai bisogni dell’utente e del suo contesto di appartenenza, riguardano:
a) la definizione degli obiettivi di fondo della gestione;
b) la definizione delle regole generali di comportamento, specie nei confronti degli
stakeholders;
c) l’analisi del profilo competitivo di ogni business in cui l’impresa sociale opera;
d) l’identificazione delle alternative strategiche di ogni business e la formulazione delle
rispettive scelte;
e) la formulazione di una strategia di «portafoglio»;
f) la formulazione dei piani d’azione o piani operativi.
Considerando tali fasi bisogna precisare che il processo di pianificazione e controllo, inteso come
corretto modo di affrontare i processi decisionali in una prospettiva globale dell’impresa di lungo e
di breve periodo, fluisce continuamente nel tempo. Occorre perciò partire dal presupposto che
l’impresa abbia già formulato le scelte di fondo e che attualmente operi in ben precisi business, con
riferimento ai quali persegue determinate strategie.
Inoltre, tenendo in esame imprese quali cooperative sociali che offrono servizi ai cittadini
svantaggiati ma all’intera comunità in generale in termini di ricaduta sul territorio delle loro attività
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educative e sociali, alcune delle fasi sopra citate richiedono opportuni studi e analisi aventi per
oggetto l’ambiente di riferimento dell’impresa stessa (ambiente economico, politico, socio-
culturale, tecnologico, demografico, fisico) e gli scenari entro cui la stessa dovrà operare negli anni
futuri. Tali analisi conducono tipicamente a:
a) una valutazione attuale e prospettica della situazione economica, politica e sociale del
territorio di riferimento e della realtà circostante al fine di delineare le probabili tendenze
evolutive dei sistemi socio-economici rilevanti per l’impresa;
b) la definizione dei principali indicatori socio-economici, indici del costo del lavoro, tassi
d’inflazione generali e specifici di settore, indici dei prezzi di attrezzature e materie prime
con le quali si lavora, ecc;
c) l’identificazione dei più rilevanti vincoli esterni, quindi, eventuali vincoli o, al contrario,
opportunità di carattere generale che si prospettano all’operare dell’impresa.
OBIETTIVI DI FONDO DELLA GESTIONE
In un’impresa sociale che compete sul mercato per la distribuzione delle risorse e la
stipulazioni di convenzioni con altri enti, i cui proprietari sono motivati da attese di soddisfacente
rimunerazione del capitale conferito, è naturale fare riferimento ai risultati economico-finanziari
come espressione degli obiettivi di fondo che stabilisce l’impresa stessa. A riguardo diciamo che
questi risultati economico-finanziari sono variamente esprimibili e le attese dei proprietari (il
consiglio di amministrazione della cooperativa) vanno verificate alla luce delle attese di altri
soggetti interessati alle vicende dell’impresa (i portatori d’interesse che nel nostro caso fanno
riferimento agli enti socio-sanitari, alle amministrazioni pubbliche dei Comuni di riferimento, ai
soggetti che stipulano convenzioni o contratti con la struttura, ai genitori dei soggetti disabili, ecc).
In merito a questo diciamo che esistono due modi di esprimere i risultati attesi dai proprietari:
- attraverso indicatori contabili di equilibrio economico-finanziario – modello contabile;
- attraverso indicatori di valore economico creato dalle strategie – modello della creazione del
valore.
Parlando quindi di “classi di obiettivi”, possiamo indicare come obiettivi primari gli obiettivi
economici dei titolari dell’impresa sociale, in quanto il loro ruolo principale è particolarmente
importante e determinante nella politica operativa e gestionale della cooperativa; per definire gli
obiettivi secondari, invece, dobbiamo far riferimento ai clienti/utenti della struttura. Quest’ultimi,
specie in un contesto sociale come l’attuale, esprimono delle aspettative il cui soddisfacimento è la
prima condizione per garantire qualità e identità duratura e stabilizzata; se poi la cooperativa
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prevede anche dei prodotti di vendita, in analisi secondaria, ecco che la risposta dell’utente, in
questo caso la comunità sociale di contorno, diventa d’importanza rilevante.
Ancora, come gli altri stakeholders quali dipendenti e fornitori, la collettività manifesta delle
attese trascurando le quali l’impresa è destinata alla perdita di competitività ed identità sociale per
mancanza di consenso sia interno che esterno. In questo senso, è più corretto parlare di vincoli
all’impresa sociale piuttosto che di obiettivi, in quanto, l’impresa incapace di gestire i rapporti con i
dipendenti, i fornitori di risorse e la collettività rischia di conseguire successi effimeri e di
compromettere proprio quelle prospettive di valore durevole a cui mirano i soggetti a cui compete il
ruolo critico e il potere decisionale di cui abbiamo parlato.
REGOLE GENERALI DI COMPORTAMENTO DELL’IMPRESA
Si tratta di regole di comportamento che l’impresa sociale intende perseguire nei suoi rapporti
con proprietari, clienti, dipendenti, fornitori e collettività, ma anche nei suoi indirizzi strategici in
senso stretto. Tali regole, considerando l’interesse dell’impresa nel fornire servizi efficienti a
rispondere in modo esaustivo al maggior numero di soggetti al fine di acquistare credibilità ed
identità sociale duratura, possono riguardare:
- l’assetto imprenditoriale nelle convenzioni (quali rapporti di forza al suo interno);
- la politica di investimento degli utili, con scopo di suddivisione delle risorse sempre ai fini
sociali;
- la struttura finanziaria (cioè il grado di indebitamento, il rapporto tra capitale di credito e
capitale proprio);
- l’immagine da accreditare nei confronti dei clienti (eccellenza qualitativa) e di altri soggetti
(ad esempio se l’impresa intende assumere posizione strategica come polo che offre più
servizi rispetto a quelli per i quali è inizialmente nata, caso frequente delle cooperative
sociali);
- la presenza nel territorio e nella comunità in generale dei servizi prodotti;
- l’atteggiamento nei confronti dei dipendenti e dei loro rappresentanti sindacali (politiche
occupazionali, salariali, organizzative, di crescita professionale, di apprendimento
organizzativo);
- la politica nei confronti dei fornitori, siano essi enti per convenzioni o finanziamenti, oppure
aziende che offrono lavoro a commessa all’interno della cooperativa che gestisce Centri
Educativi Occupazionali Diurni o Centri di Lavoro Guidato (CLG);
- le modalità di crescita (interna dell’impresa stessa ed esterna a livello territoriale);
- le politiche di comunicazione interna ed esterna;
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- i principi etici da rispettare nelle attività svolte e nell’accoglienza dei soggetti fruitori di tali
servizi.
Sono regole che fanno riferimento rispetto alle strategie da seguire ma soprattutto sulle filosofie
di gestione a cui ispirarsi, cioè su regole generali di condotta che costituiscono altrettanti principi
guida di comportamento dell’impresa sociale in diversi campi e nei confronti di diversi soggetti.
PROFILO COMPETITIVO DI OGNI BUSINESS IN CUI L’IMPRESA OPERA
I business in oggetto, chiamati anche Aree Strategiche d’Affari, compongono la struttura
strategica dell’impresa e insieme formano il suo portafoglio strategico. La loro definizione dipende
innanzitutto da:
- i servizi realizzati per soddisfare determinati bisogni;
- il territorio servito, sia in termini di classi di utenti che come aree geografiche di
riferimento;
- le tecnologie e metodologie con cui l’attività corrispondente viene svolta;
- il grado di integrazione verticale con cui si opera, tenendo conto delle figure
professionali presenti all’interno dell’impresa.
A questo punto, definiti con chiarezza i propri business, è necessario, per ciascuno di essi,
intraprendere una delicata e complessa fase di analisi, rivolta a definire il cosiddetto profilo
competitivo dell’area strategica d’affari in questione. Molto spesso, in questa fase della
pianificazione, si impiegano due concetti denominati:
a) attrattività: riguarda l’area strategica d’affari ed è determinata dalla sua
prevedibile evoluzione futura. Un’area strategica d’affari può avere più o meno
forza di attrazione a seconda delle opportunità e delle minacce insite nelle forze
competitive che agiscono nei suoi confronti;
b) posizionamento: posizione competitiva dell’impresa relativamente a quell’area
strategica d’affari definita dai suoi punti di forza e debolezza.
Nella valutazione del profilo competitivo di un’impresa sociale quale può essere una
cooperativa che opera in ambito di disabilità, risulta importante definire prima di tutto il business
sul quale si intende far leva (ad esempio attività che vedono la collettività partecipe, oppure
sviluppo di un modello di volontariato innovativo che sia di peso importante sia per l’azione
compiuta riguarda ai soggetti fruitori del servizio ma anche per l’immagine sociale che viene ad
assumere; a questo punto si identificano i concorrenti (come lavorano altre cooperative rispetto a
queste attività); infine, dopo un’analisi dei processi del business, si individuano i fattori critici di
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successo e quindi quali punti di forza sfruttare per assumere posizioni importanti nel mercato e
quali punti di debolezza verso cui lavorare per il loro completo e stabile superamento.
ALTERNATIVE STRATEGICHE DI BUSINESS E LE CORRISPONDENTI SCELTE
Lo spettro delle possibili alternative strategiche può essere molto ampio e, soprattutto nel campo
dei servizi sociali, la creatività, l’esperienza e l’intuito imprenditoriale e manageriale assumono un
ruolo fondamentale, giocando un ruolo assolutamente decisivo. Occorre però che tali doti vengano
opportunamente guidate affinché i nessi logici tra obiettivi e azioni siano in qualche modo rispettati
e le buone idee si traducano in vantaggi e non in insuccessi. A tale scopo è utile considerare che le
alternative alle quali l’impresa sociale deve fare riferimento riguardano oggetti come:
1) i confini stessi del business, cioè i prodotti, i clienti e i sistemi entro cui l’impresa opera,
ampliandoli o restringendoli;
2) il tipo di vantaggio competitivo del business, passando da vantaggi di costo a vantaggi di
differenziazione o viceversa;
3) il percorso strategico da seguire, data la posizione attuale dell’area strategica d’affari, tenuto
conto che è individuabile una sorta di ciclo di vita del business stesso, articolato nelle fasi
di:
- ingresso;
- sviluppo;
- difesa o consolidamento;
- sfruttamento;
- disinvestimento.
Collegandosi allora al posizionamento competitivo, si osserva che una scelta come quella di
sviluppare o difendere una posizione occupata sul mercato richiede che si decida come fare ciò: a
questo fine, l’analisi dei processi e delle attività della catena del valore, l’individuazione dei fattori
critici di successo e dei punti di forza e di debolezza possono dare indicazioni utili per trovare le
soluzioni operative che in un processo di pianificazione strategica non possono venire ignorate,
pena la perdita di concretezza del piano.
STRATEGIA DI PORTAFOGLIO
Di questa fase parleremo brevemente in quanto il punto di grande importanza viene riferito
al fatto che essa trae origine dalla presenza di una pluralità di business nel portafoglio aziendale, nel
senso che, nelle scelte di portafoglio, l’esigenza da soddisfare è quella dell’equilibrio, spesso inteso
come finanziario ma in un servizio alla persona sia parla anche di un equilibrio di identità e attività
25
sociale. Questo significa che i vari business devono, quindi, essere distribuiti in modo uniforme
all’interno del mercato dell’impresa, per evitare di incorrere in problemi di liquidità.
PIANI D’AZIONE
Il fatto che questa fase sia posta alla fine del percorso di pianificazione strategica non
significa che acquisti meno importanza rispetto alle precedenti ma semplicemente tiene presente
delle variabili appena descritte avendo carattere prettamente operativo.
Si tratta di una fase delicata che, se non tenuta in attenta considerazione, rischia di far intraprendere
un processo lungo e costoso senza porre le premesse per ottenere risultati concreti.
La formulazione dei piani d’azione porta la direzione del servizio a rispondere a domande tipo:
- Quali e quante risorse, umane e tecniche servono per attuare le strategie prescelte?
- Sono tali risorse reperibili internamente all’impresa e sul mercato in generale?
- Quali sono i tempi di reperimento di tali risorse e, più in generale, quali sono i tempi di
inizio e di conclusione dei progetti mediante i quali le strategie verranno realizzate?
- A quanto ammonta il fabbisogno del capitale generato dalle scelte strategiche?
- È possibile coprire tale fabbisogno in modo quantitativamente e qualitativamente
adeguato?
Normalmente la formulazione dei piani d’azione all’interno di una cooperativa si dovrebbe
materializzarsi:
a) nello sviluppo di progetti o programmi strategici con cui si pianifica
operativamente il cambiamento;
b) nella formulazione di politiche di gestione corrente, per disciplinare la continuità
del servizio offerto;
c) nella stesura del piano operativo, il quale è un documento nel quale i progetti
strategici e le politiche di gestione corrente vengono espressi in termini quantitativi
ed espressi in misure economico-finanziarie. Questo processo di quantificazione
richiede opportune articolazioni sotto il profilo temporale, nel senso che viene
fissato un orizzonte temporale prestabilito, entro il quale ricade la stesura dei
progetti prima definiti e la loro attuazione. Questo perché la direzione del servizio
intende operare una valutazione sulle conseguenze economiche ed operative e delle
politiche di gestione corrente, per valutarne la concretezza con gli obiettivi
dell’impresa: è chiaro che tale valutazione dovrà essere determinata nell’arco di un
periodo temporale opportuno rispetto agli obiettivi prefissati, per consentire una
proiezione significativa delle variabili economiche e sociali interessate.
26
Inoltre, la pianificazione operativa richiede un’articolazione dal punto di vista
organizzativo, perché riflette l’esigenza di tradurre progetti e politiche in piani di
funzione commerciale, di ricerca, di sviluppo dell’impresa, i quali costituiscono
strumenti di guida strategica nei confronti della struttura organizzativa dell’impresa
sociale.
Il piano operativo trova la sua sintesi finale nei documenti amministrativi che espongono la
situazione economico finanziaria dell’impresa, conseguente alle scelte strategiche operate; sono
documenti che, relativamente nell’arco del tempo considerato, sono classificabili in:
- conto economico;
- prospetto dei flussi finanziari;
- stato patrimoniale.
I piani d’azione, così concepiti, sono la base per una programmazione d’esercizio all’interno del
servizio e, rispetto alla pianificazione operativa comportano maggior grado di dettaglio, da un punto
di vista operativo, e attribuzione di precise responsabilità su determinati obiettivi, da un punto di
vista organizzativo. In tal modo i processi di pianificazione strategica e di controllo di gestione si
saldano tra di loro ed assumono per l’impresa sociale che li determina un totale e corretto
programma di gestione del servizio, con i quali poter vantare un invidiabile aspetto competitivo sul
mercato sociale.
In conclusione, parlando di pianificazione strategica in un contesto lavorativo e gestionale come
quello delle cooperative sociali, si nota chetale processo, se rispettato in tutte le sue fasi, può
significare l’andamento positivo (o negativo se non correttamente seguito) del successo
dell’impresa in questione in termini di capacità gestionali e di risposta alla collettività.
Inoltre, rappresenta, per gli enti verso i quali la cooperativa è portatrice d’interesse per la
stipulazione di convenzioni, richiesta di finanziamenti, contratti di comodato per strutture, e altri
rapporti ancora, una efficace ed eccellente «carta d’identità» del servizio, in base alla quale il
riconoscimento sociale e in termini economico-finanziari è d’obbligo.
Detto questo, viene presentato di seguito un prospetto che sviluppa i cambiamenti in termini
di politica sociale avvenuti nel corso degli ultimi anni e verso i quali le imprese sociali hanno
dovuto adeguarsi: in modo particolare, parlando di strategie di gestione, si descriverà la Carta dei
Servizi, strumento fondamentale con il quale le imprese sociali, e quindi anche le cooperative in
esame, acquistano certificazione ed accreditamento e presentano il loro modello strategico
gestionale ai fini di una valutazione periodico e di una presentazione d’immagine alla collettività. (1) Brusa, “Sistemi manageriali di programmazione e controllo” Giuffrè Editore, Milano 2000
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2.2 Strumenti di regolazione nei percorsi di governance: modello della “Carta
dei Servizi” nelle imprese sociali come “strategia obbligatoria” nella misura
della qualità
Il processo di trasformazione dei sistemi di welfare ha assunto caratteristiche e tempi diversi
nelle varie realtà nazionali, ma tutte queste esperienze sono state caratterizzate da alcuni fattori
costanti. Tali fattori sono riconducibili alla riduzione del peso dell’intervento pubblico, alla crescita
dei processi di auto organizzazione da parte dei cittadini e alla nascita di una imprenditorialità
sociale che tende a combinare logiche di mercato e dinamiche di appartenenza su base valoriale e
non solo su base di convenienza economica.
In alcuni decenni, con velocità ed intensità diversificate a seconda dei settori e dei territori, si
sono verificati dei profondi cambiamenti nei modelli di welfare. Schematizzando possiamo
individuare tre periodi dall’avvio del welfare state ad oggi:
1. modello a “gestione diretta” in cui l’utente, a fronte di un bisogno percepito, si rivolge al
servizio pubblico il quale predispone la lettura del bisogno e, attraverso l’individuazione
della risposta congruente, attiva ed eroga il servizio;
2. la seconda fase, che potremmo chiamare della “esternalizzazione”, vede sempre un utente
che a fronte della percezione di un bisogno si rivolge al sistema pubblico che rilegge la
domanda, individua il bisogno ma, a differenza del modello precedente, non
necessariamente eroga il servizio. L’erogazione di questo, infatti, potrebbe essere stata
affidata e quindi esternalizzata, ad un ente gestore con altra natura giuridica. Questa si
configura come la prima fase dell’affermarsi del privato sociale come soggetto
prevalentemente gestore;
3. il terzo modello, che fa riferimento al sistema di sussidiarietà, a cui ancora si sta tendendo,
assegna al portatore del bisogno un ruolo più attivo, identificandolo come soggetto capace
non solo di rilevare il proprio disagio ma anche di orientarsi nel sistema dei servizi (di
qualsiasi natura giuridica essi siano) e di scegliere quello più adatto per la risposta al suo
bisogno. In questo caso il soggetto pubblico avrà il ruolo di supporto alla scelta del servizio,
nel caso in cui l’utente non sia in grado di farlo autonomamente, e di garanzia di qualità del
servizio erogato in qualsiasi nodo della rete l’utente acceda.
Parlando appunto di sussidiarietà, si tiene presente l’attuale passaggio, identificabile nella Legge
Quadro 328/2000 di riordino dei servizi sociali, che esprime la volontà “da stato gestore a stato
regolatore” del sistema integrato di welfare.
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A questo punto facciamo riferimento al “PROGETTO EQUAL ELAICOS”, progetto redatto da
Irecoop Veneto (Istituto regionale per l’educazione e studi cooperativi), che vede la partecipazione
di diverse A.ULSS del Veneto e di alcuni Enti Pubblici regionali: tale progetto coinvolge in qualità
di beneficiari tre sistemi (utente, operatore e struttura di erogazione dei servizi) con l’obiettivo di
miglioramento della qualità dei servizi socio – sanitari. (1)
In sede di analisi di costi e strategie nelle strutture che erogano servizi alla persona, in modo
particolare cooperative sociali, tale contributo è fondamentale in quanto ha seguito di pari passo
l’attuazione della legge e i suoi sviluppi, con interessanti intrecci che hanno permesso
l’ottimizzazione delle risorse e lo studio delle ricadute sui servizi stessi.
Proponiamo ora la riflessione effettuata in termini di qualità ed accreditamento, in un’ottica di
analisi e sviluppo di strategie economiche identificate nella struttura precedentemente presentata e
nell’ipotesi di cooperativa d’eccellenza che successivamente verrà descritta.
Con il termine “processo di regolazione” s’intende “l’insieme di norme, procedure ed azioni
attraverso le quali è possibile indirizzare ed orientare i comportamenti degli attori che agiscono in
un sistema”.
L’accento, quindi, è posto sulla presenza di alcuni attori, ovvero quell’insieme di soggetti ed
organizzazioni che operano in modo autonomo, orientati da propri sistemi di obiettivi. In particolare
si possono identificare le seguenti macrocategorie di attori:
- Ente regolatore
- Ente gestore
- Compratore del servizio
- Cittadino Utente
Ognuno di questi è portatore di propri obiettivi e di un proprio sistema di valori. Il compito quindi
del servizio pubblico è di mettere in atto dei processi di governance capaci di indirizzare il
cambiamento nel sistema dei servizi, in modo da attivare dei percorsi virtuosi che si traducano in un
miglioramento continuo della qualità dei servizi.
Affinché questo accada è necessario che vengano rispettati alcuni principi base che possono essere
così sintetizzati:
Gli enti governativi devono assumere la responsabilità su tutta la rete dei servizi: si
tratta di avviare un grande cambiamento culturale in cui il servizio pubblico diventa il centro
di una rete di servizi gestiti da diverso soggetti ma di cui il pubblico si fa garante rispetto ai
cittadini. In questa logica la Legge 328/2000 affida un ruolo centrale alle Amministrazioni
Comunali quali organizzazioni pubbliche più vicine ai cittadini.
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Deve essere assegnata pari dignità a tutti i soggetti che operano nel sistema: passata la
fase di esternalizzazione nei modelli di welfare, in cui si assegnava al terzo settore
esclusivamente un ruolo di gestore di servizi (spesso quasi esclusivamente su motivazioni di
contenimento dei costi), nel modello di welfare basato sulla sussidiarietà , i soggetti del
privato sociale assumono sempre più un ruolo di partner del servizio pubblico sia in una
logica di gestione ma anche di programmazione dei servizi. In questa cornice si colloca
anche tutta la tematica dei piani di zona in cui il soggetto pubblico è chiamato a gestire un
tavolo di concertazione con tutti i soggetti del territorio per definire i bisogni, le priorità e le
linee di intervento nel territorio.
Devono essere individuati e condivisi dei criteri di giudizio della qualità dei servizi: il
linguaggio comune tra i diversi soggetti che operano nel sistema deve essere la qualità intesa
come ottimalità a cui tendere per quanto attiene alle risorse da immettere nel servizio, al
processo di lavoro realizzato nel servizio, ai risultati ottenuti in termini di soddisfazione
dell’utente da un lato ma, soprattutto in termini di miglioramento della qualità della vita
della popolazione e quindi di risultati ottenuti sugli utenti. Il concetto di qualità deve essere
chiaramente esplicitato e condiviso per diventare il punto di riferimento unificante dei
diversi attori del sistema, prescindendo dagli obiettivi dei singoli.
Il processo di controllo deve rispettare la regola della terzietà: è evidente che un sistema
basato sulla governance deve dotarsi di modalità di controllo che possano essere usate non
tanto, o non solo, con funzione sanzionatoria ma soprattutto come elemento gestionale che
possa mettere in moto processi di miglioramento continuo. È però necessario che questo
processo sia svolto da soggetti che non hanno un’implicazione con i servizi monitorati.
Diventa, quindi, capire chi investire di questo compito nel momento in cui ancora oggi molti
servizi sono gestiti direttamente o indirettamente dal servizio pubblico.
Per mettere in atto veri percorsi di governance, il servizio pubblico deve utilizzare diversi
strumenti di regolazione per influenzare sia l’offerta che la domanda.
Per quanto riguarda l’OFFERTA i principali strumenti a disposizione possono essere così
sintetizzati:
o AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO: si tratta di verificare l’esistenza di alcuni
requisiti di base, solitamente legati alle strutture e al personale, senza i quali nessun soggetto
può operare nel mercato. Il servizio pubblico si rende quindi garante per tutti i soggetti che
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operano nel mercato di alcuni prerequisiti strutturali e funzionali senza i quali si ritiene non
possibile offrire un servizio minimo di qualità.
o ACCREDITAMENTO: questo strumento consente di definire la rete dei servizi che possono
percepire denaro pubblico sotto diverse forme come la retta, la convenzione o anche la
possibilità che il cittadino utente utilizzi dei “buoni servizi” in quel servizio. In questo caso
il servizio pubblico si rende garante anche dell’esistenza di alcuni requisiti legati al processo
di lavoro garantito dal servizio e ai risultati raggiunti o che si vogliono raggiungere.
o INCENTIVARE IL MIGLIORAMENTO: l’accreditamento da solo, però, garantendo degli
standard di processo e di risultato, non si pone in una logica di miglioramento continuo della
qualità. È quindi necessario definire e migliorare la qualità dei servizi producendo misure
sintetiche che possano mettere a confronto diversi servizi incentivando comportamenti
virtuosi.
o INDIRIZZARE I PREZZI: avendo a disposizione misure sintetiche e aggiornate della
qualità dei servizi sarà anche possibile diversificare rette e contributi in funzione della
qualità fornita.
Per agire sulla DOMANDA, invece, il servizio pubblico può usare i seguenti strumenti:
o RIDURRE L’ASSIMETRIA INFORMATIVA: affinché il cittadino diventi veramente
competente e si possa orientare nel sistema dei servizi è necessario dare informazioni
chiaramente comunicabili ai non addetti ai lavori (uso di media accessibili all’utente) in
grado di chiarire la rete dei servizi accessibili, le diverse caratteristiche di ciascun servizio,
la qualità erogata e garantita.
o PROMUOVERE SERVIZI DI QUALITA’: oltre a dare informazioni è possibile anche
pensare di istituire “marchi” di qualità o altri strumenti che garantiscano agli utenti la
qualità del servizio.
o COMUNICARE E RENDERE EVIDENTE IL RAPPORTO QUALITA’/PREZZI: capire
cosa si compra e quanto costa è un elemento fondamentale di trasparenza che potrà orienare
la domanda.
All’interno della legge nazionale di riordino dei servizi socio – sanitari, la Legge Quadro
328/2000, si è data competenza alle regioni per emanare leggi regionali su alcuni di questi punti tra
cui la definizione dei criteri di autorizzazione al funzionamento e di accreditamento nonché le
procedure, i ruoli e le funzioni dei diversi attori.
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La Regione Veneto ha recepito queste indicazioni nazionali emanando la Legge Regionale n.
22 del 2002 (“Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie, socio – sanitarie e sociali),
con successivi decreti attuativi, che definiscono appunto i criteri e i processi di autorizzazione e
accreditamento. All’articolo 1 “Principi generali” la Legge dice che “la Regione promuove la
qualità dell’assistenza sanitaria, socio – sanitaria e sociale. La Regione provvede affinché
l’assistenza sia di elevato livello tecnico – professionale e scientifico, sia erogata in condizioni di
efficacia ed efficienza, nonché di equità e pari accessibilità a tutti i cittadini e sia appropriata
rispetto ai reali bisogni di salute, psicologici e relazionali della persona”.
A questo punto, in base alle suddette riflessioni e sviluppi, parlando di strategia all’interno di
un servizio alla persona e, in modo particolare in cooperative sociali che si occupano della gestione
di Centri Educativi Occupazionali Diurni come quelle prese in esame in questa tesi, risulta
inevitabile affrontare la questione della qualità del servizio stesso, misurabile attraverso processi di
certificazione ed accreditamento introdotti con la riforma ai servizi socio-sanitari (L. Quadro
328/2000).
Relativamente a questo il modello della “Carta dei Servizi” rappresenta la veste ottimale della
struttura stessa, in quanto contiene:
o le norme di funzionamento;
o gli standard di qualità e quantità di servizi erogati;
o le modalità di informazione e di rapporto con gli utenti e forme di partecipazione;
o il dovere di valutazione della qualità dei servizi e pubblicazione dei risultati ottenuti;
o le procedure di richiamo e di tutela degli utenti.
Il Dpcm 19/05/1995 intitolato “Carta dei servizi pubblici sanitari, principi e criteri di attuazione,
finalità, materiale illustrativo” inserisce nella valutazione delle strategie economiche e di qualità dei
servizi alla persona uno strumento indispensabile per il riconoscimento e il finanziamento di queste
strutture, in un’ottica di miglioramento delle prestazioni che seguono direttamente l’analisi dei costi
attuati per la gestione dell’impresa sociale.
La Carta dei Servizi rappresenta uno strumento di comunicazione e di informazione focalizzato
sul cliente esterno in quanto parte attiva nei processi di produzione (o co-produzione) del servizio e
di implementazione della qualità. Non solo portatore di diritti e destinatario di prestazioni, quindi,
ma anche soggetto con specifici doveri sul quale (e con il quale) progettare il servizio.
La Carta dei Servizi intende dar conto dello sviluppo della qualità di un servizio, in quanto
strumento, seppur non unico, di tutela dell’utente e di garanzia della qualità erogata e promessa. Ciò
ancor più oggi in un mercato, quello dei servizi alla persona, che si caratterizza per un elevato
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livello di variabilità e di mutevolezza, ma anche di complessità, sia sul piano degli attori coinvolti
che delle relazioni innescate.
Uno scenario peraltro caratterizzato dal significativo mutamento nel ruolo del sistema pubblico
che, da gestore, viene qualificandosi quale garante di servizi, come sancito dalla normativa di
riordino dei servizi sociali (Legge Quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali). È proprio la 328 a sancire che “al fine di tutelare le posizioni soggettive
degli utenti, (…) ciascun ente erogatore di servizi adotta una Carta dei Servizi sociali ed è tenuto a
È utile, a questo punto, mostrare come tali dimensioni di risultato costituiscano una utile
articolazione delle due categorie con cui si è soliti valutare il comportamento di un’organizzazione:
efficacia ed efficienza.
Per EFFICACIA s’intende la capacità di conseguire gli obiettivi prefissati: esprime la
corrispondenza tra il risultato di un’azione e un modello utilizzato per indicare la positività
del risultato stesso. Un’impresa è dunque efficace in relazione ai risultati conseguiti, a
prescindere dall’ammontare delle risorse impiegate allo scopo. La misurazione dell’efficacia
richiede la possibilità di esprimere in termini misurabili gli obiettivi da raggiungere e,
inoltre, la capacità di misurare il risultato effettivamente conseguito per confrontarlo con
l’obiettivo.
L’EFFICIENZA è definita come la capacità di impiegare nel modo più razionale i fattori in
vista di produrre determinati output. In generale, l’efficienza si sostanzia nella
minimizzazione del dispendio di risorse (e quindi dei costi, come abbiamo definito nel
capitolo precedente) a parità di volumi realizzati e di qualità degli stessi. È lo stesso
affermare che l’efficienza è la massimizzazione dei volumi e delle qualità a parità di utilizzo
delle risorse.
Il perseguimento di obiettivi di efficienza interessa di norma due tipi di misure: i costi
unitari di produzione (ottenuti come l’apporto dell’ammontare dei costi sostenuti e il volume
di risultato) e i rendimenti dei fattori (volumi di risultato rapportati ai volumi dei fattori
impiegati espressi in termini fisici: per esempio, in un CEOD, il numero delle unità di lavoro
standard).
Il giudizio di efficienza non è mai esprimibile in termini assoluti, ma soltanto procedendo ad
una comparazione implicita. Per arrivare ad un giudizio di efficienza i confronti possono
essere effettuati: con le prestazioni dello stesso oggetto di osservazione in intervalli
temporali precedenti o con le prestazioni di oggetti similari a quello osservato (osservazioni
ad altre imprese).
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In concreto, efficacia ed efficienza si prestano come intrecciate e collegate e,
conseguentemente, numerosi indicatori contengono informazioni tanto sull’una quanto sull’altra
dimensione.
L’efficacia dell’azione in una azienda no-profit che offre servizi alla persona è misurata in
termini di soddisfacimento delle attese, esplicite ed implicite, degli utenti. Poiché tale
soddisfacimento può essere collegato anche al prezzo pagato per il servizio ricevuto, e tale prezzo è
collegato al prezzo unitario e dunque all’efficienza, il soddisfacimento delle esigenze degli utenti
non è estraneo nemmeno alla dimensione dell’efficienza.
Anche la capacità di soddisfare le attese degli altri stakeholders può essere prevalentemente
intesa come manifestazione di efficacia.
L’efficienza trova tipica espressione nella produttività, i cui classici indicatori sono costituiti
dai rendimenti. Essi pongono in relazione i volumi di output ai volumi dei fattori impiegati espressi
in termini fisici.
Infine, diciamo che la tensione allo sviluppo (da intendersi in senso qualitativo prima ancora
che quantitativo) costituisce il fattore atto ad assicurare livelli sempre più elevati di efficacia e di
efficienza nel futuro. Il disegno di sviluppo, infatti, è un elemento essenziale sia per soddisfare nel
tempo una quantità crescente di bisogni, sia per perseguire un crescente livello di efficienza.
La tabella che segue posiziona le sette dimensioni di risultato e il binomio efficacia ed
efficienza, considerati nella misura della performance di un servizio alla persona e perfettamente
applicabili al caso ipotizzato di istituzione di una cooperativa che gestisce un Centro Educativo
Occupazionale Diurno.
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EFFICACIA-EFFICIENZA E DIMENSIONI DI RISULTATO (1)
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EFFICACIA EFFICIENZA
PRODUTTIVITA’
ECONOMICITA’
SVILUPPO
SODDISFAZIONE DEGLI UTENTI
SODDISFAZIONE DELSOGGETTO PROMOTORE
SODDISFAZIONEDEI COLLABORATORI
SODDISFAZIONE DEGLIENTI EROGATORI
Parlando di efficacia ed efficienza della rete territoriale per la nascita di un Centro Educativo
Occupazionale Diurno, dobbiamo tenere in considerazione come fattore di successo non solo la
determinazione di una buona strategia organizzativa di lungo periodo facente riferimento agli
obiettivi, alle linee di condotta e alla allocazione delle risorse per il funzionamento di tale servizio.
È necessario fare riferimento anche all’intero contesto territoriale che funge da contorno
nell’attuazione e sviluppo di un’attività educativa e sociale di questa portata: infatti, il successo di
un’impresa sociale non dipende solo dalla capacità di perseguire le strategie che sono state decise,
ma dalla sua abilità nel creare valore cogliendo con flessibilità le opportunità che si presentano.
Perseguire l’obiettivo di una maggiore integrazione sociale delle persone disabili da parte
dei servizi significa, infatti, «educare» il territorio, divenuto reticolare e policentrico, a rendere
accessibili anche ai cittadini con qualche difficoltà in più le inedite opportunità di appartenenza e
relazione che offre a chi può percorrerne liberamente e autonomamente i gangli e gli addensamenti.
Proprio il concetto di territorio assume rilevanza nel definire come strategica quella logica di
intervento socio assistenziale ed educativo, che si propone come critica del paradigma medico-
sanitario, ma anche addestrativo - comportamentista, e che sostanzia sempre più l’identità
professionale dei nuovi operatori del sociale.
Diciamo che una vera integrazione sociale delle persone disabili resta obiettivo da
perseguire al fine di orientare le decisioni prese dai servizi alla persona, in un’ottica strategica
funzionale ed operativa.
Nell’analisi della costituzione di un’impresa che si occupa di fornire servizi alla persona,
assume notevole importanza lo studio dell’ambiente esterno nel quale tale servizio va ad operare:
l’analisi dell’ambiente con l’obiettivo di formulare una strategia si focalizza di solito su quello che è
definito l’ambiente operativo, e cioè quel sottoambiente che interagisce in modo più stretto con
l’organizzazione e che è quindi in una certa misura anche maggiormente influenzabile dall’impresa.
L’aspetto cruciale dell’impresa è rappresentato dal settore in cui opera, che ha un’influenza decisiva
sulle alternative strategiche disponibili (Cappellari R. 2001).
I servizi non possono più essere pensati in base alle categorie di appartenenza al servizio e di
inclusione, altrimenti manterranno le caratteristiche delle istituzioni totali. Tenderanno, infatti, ad
assorbire il soggetto, che, una volta affidato al servizio, non esisterà più per gli altri servizi; in
questo modo, il suo inserimento avverrà in base alle caratteristiche organizzative del servizio stesso,
più che in relazione ai bisogni reali della persona, dato che i protocolli di osservazione e le abitudini
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professionali tenderanno a non vedere ciò che è al di fuori della logica del servizio. Eventuali
interferenza di persone, gruppi, agenzie del territorio esterne al servizio, saranno accettate solo in
quanto compatibili con la struttura organizzativa interna e accolte comunque con un certo sospetto,
in quanto potenziali portatrici di disordine.
In questo senso, una strategia ottimale individuata sia nella cooperativa “Vita e Lavoro” ma
anche nell’ipotesi studiata rispetto al miglior funzionamento possibile per un CEOD, fa riferimento
alla riprogettazione del servizio individuandone il compito principale nel favorire occasioni di
relazioni per i soggetti disabili. Il servizio più adeguato non è quello che cerca di dare risposte al
suo interno a tutti i bisogni che vengono individuati, ma quello che rende più facile la
frequentazione degli spazi da parte di tutti, anche a costo di possibili imprevisti ed inconvenienti
perché è lì che si possono incontrare le persone.
È in questo modo che si lavora per accrescere l’autonomia, non nel senso di irrealistica e
disumanizzante autosufficienza, ma di moltiplicazione delle interdipendenze, di aumento dei nodi e
dei collegamenti con il proprio territorio fisico, sociale e simbolico.
Ecco l’importanza che ricopre il volontariato, sia come opportunità di apertura esterna del
servizio verso la comunità di appartenenza, sia come scelta strategica che segue costi molto bassi,
quasi inesistenti, nella gestione organizzativa di un servizio rivolto a persone con disabilità.
Sia in termini di efficacia che in termini di efficienza, l’esistenza di un gruppo di volontari che operi
a favore dei soggetti ospiti di un servizio, si dimostra uno strategico percorso di buona integrazione
di tale servizio nella comunità e, viceversa, la piena conoscenza da parte di quest’ultima
dell’esistenza di diverse realtà nel territorio: parlando di volontariato si intende “strategia
organizzativa” in quanto pone i suoi fondamenti in scelte di gestione che portino a conoscenza della
cultura organizzativa del servizio, che tengono in considerazione gli interessi degli stakeholders, ma
che soprattutto guardino al raggiungimento dell’obiettivo primario dell’impresa e cioè la
soddisfazione dell’utente inserito e delle loro famiglie.
Tra i soggetti del territorio, il volontariato è certamente uno dei più qualificati nel
contribuire a rendere possibili forme di convergenza nella lettura sociale della disabilità. Grazie alla
sua sensibilità pre-tecnica e alla presenza trasversale ai diversi contesti, il volontariato può risultare
un interlocutore irrinunciabile nel definire i processi e le azioni da avviare all’interno dei diversi
ambiti territoriali per costruire processi di integrazione calibrati su tessuti sociali specifici e, d’altra
parte, prossimi alle storie e alle fatiche dei soggetti disabili.
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Sempre tenendo presente la lettura di quest’analisi in termini strategici di gestione di un
servizio come potrebbe essere un Centro Educativo Occupazionale Diurno, prendiamo in
considerazione una sfaccettatura dell’azione volontaria sulla quale riflettere riguardo il rapporto con
i contesti e i tessuti sociali locali di vita e di relazione (2):
AMPLIFICAZIONE DEI SERVIZI
Il volontariato è prima di tutto un potenziale fattore di estensione del raggio di azione e di
amplificazione delle possibilità di lavoro socio-educativo di servizi e progetti. E’ una
potenzialità che si esplica a diversi livelli:
- a livello ideativo contribuisce a mettere a punto ipotesi, a tenere presente sguardi e
punti di vista più articolati e a sondare terreni di azione educativa insoliti ma utili;
- a livello di competenze, non di rado il volontariato è portatore di capacità e risorse
che possono non essere a disposizione degli operatori e dell’organizzazione;
- a livello organizzativo e logistico si possono ritrovare flessibilità e capacità di messa
insieme di risorse originali, diverse da quelle che si sono strutturate nel tempo nei
servizi e che, spesso, sono legate ad una serie di vincoli e freni di tipo formale e
burocratico.
INTEGRAZIONE TRA SERVIZI E TERRITORIO
Un altro aspetto interessante, del quale abbiamo già in parte parlato, riguarda la relazione tra
servizi e contesto territoriale, dato che il volontariato può contribuire a migliorare le interazioni
tra questi due ambiti. E’ una funzione delicata e cruciale, che si può intravedere nel fatto che il
volontariato, vivendo e abitando nel contesto, si muove tra interno ed esterno dei servizi, e
realizza vere e proprie mediazioni culturali tra la percezione sociale dei servizi, la loro
immagine e ciò che accade effettivamente al loro interno.
Inoltre, il volontariato porta all’interno del servizio la cultura e la sensibilità di un luogo, di
altre organizzazioni, di altri circuiti relazionali, e aiuta il servizio stesso ad entrare in contatto
con questi elementi.
Infine, il gruppo o il singolo volontario sono anche osservatori in presa diretta della quotidianità
del territorio: vedono la percezione di difficoltà, di opportunità che si determinano, di spazi che
si aprono, di nuove connessioni che si possono intrecciare.
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AZIONE EDUCATIVA
L’azione volontaria vista dall’angolatura del territorio, evidenzia immediatamente una
potenziale valenza educativa nei confronti di persone e gruppi presenti, legata al recupero
della pregnanza della quotidianità e della pre-tecnica nella messa a punto di occasioni,
spunti, proposte, opportunità volte alla promozione del benessere e dell’identità delle
persone disabili.
Sotto questo profilo, il volontariato, in particolare quando opera nella e attraverso la
quotidianità, compie un’opera di declinazione di molte ipotesi e griglie metodologiche in
una maniera fruibile da tutti, aprendo possibilità di presenza e di azione ricche, fertili e
inedite.
MOLTIPLICAZIONE DI INTERAZIONI
Prendiamo in considerazione la funzione del volontariato come come potenziale
moltiplicatore di contatti, connessioni, legami, opportunità, all’interno di un territorio
delimitato, della sua azione come soggetto di creazione di punti di contatto che aprono a
nuove possibilità relazionali per le persone con disabilità e le loro famiglie.
INCREMENTO DI CAPITALE SOCIALE
Un ultimo aspetto riguarda la funzione del volontariato come soggetto in grado di
alimentare e far crescere il capitale sociale circolante in un determinato territorio,
rinsaldando tessuti sociali che sembrano soffrire di processi di lacerazione e sfibramento. Se
è vero che l’elemento base di cui è costituito il capitale sociale è la possibilità di fidarsi gli
uni degli altri, allora, la quotidianità dell’azione semplice e del gesto di vicinanza possono
aiutare a far crescere questa fiducia.
Il seguente capitolo intitolava “Strategia buona con costi bassi: un’utopia?”: in questa
sede abbiamo voluto dimostrare come una semplice scelta organizzativa di un servizio nel
farsi carico di sviluppare l’azione volontaria al suo interno come opportunità di duplice
apertura, possa esemplificarsi in una presa di posizione strategica che segue costi molto
bassi ma che si dimostra estremamente positiva sia dal punto di vista organizzativo che
gestionale.
Il successo di un’impresa sociale è sicuramente misurato anche da quanto riesce a
stimolare l’interesse e il coinvolgimento nelle proprie attività, tanto più se si occupa di
fornire servizi alla persona.
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Gruppi ed esperienze di matrice volontaria sono portate avanti da persone che vivono
in un territorio e in esso esprimono anche istanza di partecipazione alle forme della
convivenza sociale che riguardano tutti, non solo le persone disabili e le loro famiglie.
E’ a questo livello che si incontra il valore politico del volontariato locale, radicato e
diffuso nei contesti: una realtà più o meno organizzata, che può esprimere attese,
contribuire ad influenzare scelte e a orientare sensibilità e comportamenti di persone,
organizzazioni ed istituzioni. Si tratta di una dimensione politica che è già inscritta
nell’agire quotidiano, nel modo in cui si avviano rapporti ed opportunità, si dà vita ad
esperienze e vicende concrete.
Un valore politico, dunque, che può essere contemporaneamente orizzontale e
verticale, in grado cioè di trovare ascolto nella gente comune ma anche tra i decisori politici
locali, concernente modalità, stili relazionali, presenze, non solo dichiarazioni verbali e
proclami, che possono contribuire al dibattito locale attorno alla città che si intende
costruire.
In questo senso, dobbiamo tenere presente la risorsa immateriale costituita dal
capitale umano come motore della strategia organizzativa del servizio che stiamo studiando
in questa tesi: capitale umano come l’insieme delle conoscenze, competenze e abilità
proprie delle singole persone che collaborano con il servizio stesso.
E’ sulla base di queste risorse che un’impresa sociale è in grado di generare e
difendere il vantaggio competitivo del servizio in termini di opportunità offerte,
coinvolgimento del maggior numero di attori sociali e soddisfazione degli utenti. (3)
Il tutto con una politica di gestione dei costi assolutamente coerente con la qualità del
servizio offerto.
Strategia buona con costi bassi: non più un’utopia!
(1) Molteni, “Le misure di performance nelle aziende non profit di servizi alla persona.” Cedam,
Padova 1997
(2) Tarchini, “Se il territorio apre alla disabilità” in Animazione Sociale, Associazione Gruppo
Abele, Torino 2004
(3) Cappellari, in Fagotto “Economia aziendale. Modell, misure, casi.” Mc Graw-Hill, Milano
2001
93
CAPITOLO 5
LA SOLUZIONE: L’EDUCAZIONE COME FORMA CHE MIRA AD
UNA MEDIAZIONE AD IMPATTO ECONOMICO
5.1 Lo sviluppo delle risorse umane come chiave per il miglioramento
della qualità dei servizi in termini economici e strategici
È ormai un dato di fatto, accettato dalle politiche di gestione e di valutazione, che
nelle organizzazioni che erogano servizi alla persona, che determina la qualità siano gli
operatori, grazie alla loro capacità di dare delle prestazioni professionali, di leggere i
bisogni degli utenti, di personalizzare gli interventi ed effettuare le prestazioni con
comportamenti adeguati rispetto alle varie esigenze lavorative.
Il vero capitale economico e strategico di un’impresa sociale o di una organizzazione
socio - sanitaria, e in modo particolare di un Centro Educativo Occupazionale Diurno
gestito da una cooperativa come nel nostro caso di studio, è quindi la persona e la sua
competenza.
Tra le scelte strategiche fondamentali particolare interesse va dedicato alla gestione
del capitale umano: le scelte di gestione delle risorse umane rappresentano ormai un
elemento costitutivo della strategica aziendale complessiva e non solamente una
conseguenza della stessa.
Infatti, la strategia sociale riveste un ruolo pari a quello della strategia competitiva nel
caratterizzare la formula gestionale ed organizzativa dell’impresa sociale.
Allo stesso tempo è importante ricordare anche le varie difficoltà nella gestione e
valorizzazione delle risorse umane nell’ambito delle imprese sociali, in modo particolare
nel contesto socio – sanitario, senza dubbio maggiore rispetto ad latri ambiti produttivi a
causa di problematiche tipiche del settore quali, per esempio, il burn out oppure la difficoltà
di realizzare progressioni verticali di carriera per alcune professionalità.
Ricoprendo un ruolo fondamentale come portatore di conoscenze, relazioni e capacità
organizzative che sono legate alle persone che collaborano all’interno dell’impresa sociale,
il capitale umano, e quindi la strategia organizzativa che lo riguarda, devono far in modo di
vedere realizzate tali capacità, conoscenze e competenze. Il loro contributo è fondamentale
94
e, di conseguenza, la gestione delle risorse umane ha un ruolo centrale nell’apprendimento
organizzativo e nella nascita di altri tipi di risorse necessari all’impresa per il suo corretto
funzionamento.
In questo senso, parliamo di educazione come forma che mira ad una mediazione ad
impatto economico in quanto, tenendo presente il valore strategico ed organizzativo
ricoperto dal personale che opera all’interno di un servizio alla persona, notiamo come il
corretto intervento educativo e formativo rivolto agli utenti costituisce il primo passaggio
per un’immagine competitiva, efficace ed efficiente del servizio offerto.
A questo proposito, l’approccio organizzativo che meglio si può adattare alle esigenze di
questo settore sembra essere l’approccio del «Total Quality Management» (Equal Elaicos),
in grado di leggere l’organizzazione come un organismo “vivente” che tende ad adattarsi
sempre meglio alle sollecitazioni/istanze interne ed esterne e fa del miglioramento la chiave
per una gestione efficace della qualità.
Consideriamo, allora, quali potrebbero essere alcune strategie efficaci da attuare in
un servizio alla persona quale un Centro Educativo Occupazionale Diurno, tenendo
presente il ruolo e il contributo offerto dal capitale umano:
o la diffusione di strumenti di miglioramento in tutti i livelli dell’organizzazione per
garantire la soddisfazione continua al minor costo, umano ed economico possibile;
o la valorizzazione delle risorse umane come leva esenziale per il miglioramento
dell’offerta di servizi;
o il coinvolgimento di tutte le figure professionali, anche quelle alla base della
piramide organizzativa, nella soluzione dei problemi e nella progettazione del
miglioramento continuativo.
L’obiettivo delle strategie di gestione delle risorse umane consiste quindi nel creare un
capitale sociale, un insieme di relazioni di fiducia, di comprensione reciproca, di valori
condivisi che favoriscano la cooperazione tra le persone e spingano le risorse a dispiegare le
proprie potenzialità.
Parlando di una politica delle risorse umane, intesa come una serie di linee guida,
strategie e strumenti messi a disposizione dall’organizzazione per incidere su quello che
dobbiamo ritenere il vero centro della problematica ossia la motivazione al lavoro, facciamo
innanzitutto riferimento all’art. 50 – Disposizioni sul personale dei Servizi alla Persona,
95
della Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi alla
persona (DDL n. 14 dell’11 Luglio 2006). Sulla base di questo articolo e della posizione
fondamentale occupata dai diversi operatori nei servizi, “tutto il personale del sistema
integrato di interventi e servizi sociali, di cui alla presente legge, operante sia in ambito
pubblico che del privato sociale viene considerato unitariamente quale personale dei servizi
alla persona”. Inoltre, sempre all’art. 50 si dice che “la Giunta Regionale, attraverso il
monitoraggio dell’attuazione dei piani di zona, definisce la domanda di professionalità ed il
fabbisogno di nuovi profili professionali delle figure professionali, sociali e socio –
sanitarie”.
Il problema, però, è che le organizzazioni ad oggi utilizzano una serie di
pratiche/prassi consolidate nel tempo, a volte codificate a volte no, che spesso per vari
motivi hanno perso il vero scopo per cui erano nate: motivare e professionalizzare.
Nello specifico si trova nelle imprese sociali e socio – sanitarie (1):
o presenza di un sistema di valutazione individuale legato al sistema di incentivazione
che non incide particolarmente sulla motivazione al lavoro, ma più sul rapporto tra
dirigente e dipendente;
o piani formativi generici ed insufficienti a delineare il processo di sviluppo delle
competenze, facendo sì che si acquisti formazione sull’onda delle offerte, della moda
ed altre motivazioni;
o la programmazione delle progressioni, la mobilità interna e sviluppo di nuove
competenze non è pianificata sufficientemente, alimentando un senso di incertezza
trasversale a tutte le professionalità;
o il coinvolgimento del personale sui temi della mission, valori e strategie annuali delle
organizzazioni è assai basso e non permette di alimentare un senso di appartenenza
costante;
o i sistemi organizzativi si focalizzano sulle criticità per sanzionarle, anziché premiare
chi recupera il problema in una logica di miglioramento.
L’assenza di una politica delle risorse umane, ma soprattutto delle competenze per crearle
produce una serie di distorsioni a tutta l’organizzazione e non permette di effettuare il salto alla
“qualità sostanziale” richiesto non solo dalle nuove normative, ma dagli utenti stessi.
96
A questo proposito il DDL n. 14 dell’11 Luglio 2006, all’articolo 51 – Azioni formative,
programmi di ricerca e di alta specializzazione, dice che “al fine di migliorare l’efficacia e la
qualità delle attività del sistema integrato dei servizi alla persona, la Regione promuove la
formazione degli operatori sociali e socio – sanitari e la programmazione regionale delle attività
formative degli operatori sociali si realizza in accordo con gli Istituti scolastici, le Università e gli
altri enti e soggetti titolari”.
È’ importante far notare come a volte, in alcuni servizi ed organizzazioni, manca una cultura
di fondo in grado di produrre attenzione costante agli operatori, mentre è invece forte l’attenzione
all’utente finale. Certo è che il bilanciamento tra bisogni dell’utente e bisogni degli operatori può
promuovere la qualità sostanziale.
La motivazione al lavoro diventa, quindi, il centro del problema e il punto di partenza da
dove iniziare a costruire un insieme organico di azioni che siano in grado di incidere su tutto il
sistema organizzativo.
I numerosi studi e teorie sulla motivazione avvertono che:
1. la motivazione è legata al soggetto e al suo sistema di valori e di pensiero
2. la motivazione è legata ai bisogni del soggetto
3. la motivazione è considerata interna ma può essere migliorata con fattori esterni
4. la motivazione è variabile e discontinua.
Risulta evidente che, essendo la storia di ogni organizzazione, di ogni impresa sociale e le
persone che ne fanno parte assolutamente irripetibili, costruire ed implementare una politica delle
risorse umane non può essere realizzata attraverso metodi standard e preconfezionati, ma solo con
azioni studiate e sperimentate al proprio interno. Risulta inoltre evidente che un’unica azione e un
unico strumento non può risultare sufficiente ad incidere sul problema centrale della motivazione al
lavoro.
A questo proposito, dobbiamo tenere in considerazione il concetto fondamentale di “cultura
organizzativa” dell’impresa sociale, il quale fa riferimento a quell’insieme di principi di fondo, di
valori e di modi di pensare che un gruppo di persone, rappresentanti l’organizzazione in esame, ha
sviluppato nel corso della sua esistenza in termini di adattamento all’ambiente esterno e di
integrazione interna.
Cultura organizzativa e politica delle risorse umane in una struttura sociale come una cooperativa
sono concetti direttamente proporzionali in quanto le conseguenze della prima sono estremamente
97
concrete e influenzabili il secondo concetto, dal momento che questi modi di pensare e di agire
condizionano i comportamenti adottati dai membri di un gruppo.
Al fine di non affrontare l’argomento solo con modalità teoriche, teniamo in considerazione
un punto chiave della politica delle risorse umane e che ha un forte impatto sulla qualità del
servizio: il processo di sviluppo delle competenze.
Implementare il processo, in questo caso, significa:
a) migliorare l’offerta del sistema formativo che deve essere in grado di rispondere ai sistemi
formativi con metodologie capaci di trasferire competenze e non solo conoscenze nel settore
dell’impresa sociale;
b) migliorare le competenze professionali di una figura professionale, intese come l’insieme
delle risorse personali, conoscenze, abilità, metodologie, valori comportamentali, ecc. che
un soggetto mette in campo per raggiungere i risultati a lui richiesti dal contesto
organizzativo;
c) migliorare l’organizzazione che deve essere in grado non solo di inviare i soggetti in
formazione, ma soprattutto di predisporsi a ricevere ed implementare le competenze in
entrata.
Il processo di sviluppo delle competenze è senza dubbio, dunque, una opportunità per le
organizzazioni e deve essere realizzato, vista la complessità, attraverso una precisa strategia
organizzativa che prenda in esame tutte le aree critiche, al fine di evitare di far diventare la
formazione una pratica costosa e poco efficiente.
Le competenze sviluppate dalla singola impresa sociale servono per progettare, costruire,
vendere, assistere i propri prodotti/servizi/utenti, per guidare l’organizzazione, per gestire le risorse
umane, per programmare e controllare la gestione.
Tale patrimonio conoscitivo risiede nell’esperienza imprenditoriale e manageriale, nella
professionalità delle persone, nelle procedure organizzative, nelle norme di progettazione o di
produzione dei servizi che l’impresa intende offrire alla collettività e agli utenti diretti (nel nostro
caso i soggetti disabili che frequentano il Centro Educativo Occupazionale Diurno e le loro
famiglie).
Lo sviluppo del patrimonio di competenze specifiche richiede, in prima approssimazione,
adeguati investimenti: in particolare, può essere accelerato investendo nella riqualificazione e
formazione del personale, come è stato precedentemente specificato e sottolineato anche dalla
legislazione regionale più recente. I processi di apprendimento organizzativo finalizzati al
98
cambiamento sono, però, lunghi e a carattere specifico, legati alla storia, alla cultura, agli attori
concretamente operanti nella combinazione dell’impresa sociale.
Il PROCESSO DI SVILUPPO DELLE COMPETENZE deve tenere in considerazione (2):
POLITICA DELLA QUALITA’ E DELLE RISORSE UMANE
OBIETTIVI SPECIFICI DI SVILUPPO DELL’IMPRESA SOCIALE
SISTEMA ORGANIZZATIVO
OBIETTIVI DI SVILUPPO INDIVIDUALI
PIANI DI SVILUPPO INDIVIDUALI O DI GRUPPO
1. POLITICA DELLA QUALITA’ E DELLE RISORSE UMANE
È necessaria la presenza di una politica della qualità e delle risorse umane chiara e che definisca
linee guida, strategie e risorse soprattutto per ridurre il turn over, in quanto, essendo la competenza
legata al soggetto, l’uscita dall’organizzazione porta alla perdita delle competenze e quindi
dell’investimento fatto.
2. OBIETTIVI DI SVILUPPO DELL’IMPRESA SOCIALE
Risulta fondamentale la presenza di strategie di sviluppo annuali o pluriannuali legate alle varie aree
(utenti, miglioramento attività, struttura, ecc.), al fine di recuperare il fabbisogno di competenza
generale e negoziarlo rispetto ai fabbisogni individuali e di gruppo.
3. SISTEMA ORGANIZZATIVO
Di importanza assoluta è la costruzione di un sistema in grado di supportare l’acquisizione delle
competenze ed incentivare il trasferimento. Prima di tutto, in un organico di personale che lavori
all’interno di un servizio alla persona, è necessario:
- definire il fabbisogno delle competenze
- definire le competenze necessarie e il livello di padronanza
- incentivare la formazione
- richiede di utilizzare le nuove competenze
- verificare il trasferimento delle competenze all’interno dell’equipe lavorativa
- premiare
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4. OBIETTIVI DI SVILUPPO INDIVIDUALI
Il recupero dei bisogni, degli interessi e delle motivazioni del soggetto è un altro punto cardine del
processo. Se manca la consapevolezza del fabbisogno di competenza è sicuro che mancheranno nel
soggetto comportamenti motivati a ridurre il fabbisogno stesso.
5. PIANI DI SVILUPPO INDIVIDUALI O DI GRUPPO
È il momento in cui si negoziano le esigenze organizzative con le esigenze individuali in quanto
non sempre i due tipi di bisogni coincidono. Infatti, risulta di importanza strategica legare lo
sviluppo personale allo sviluppo generale proprio al fine di ridurre il turn over e aumentare il senso
di appartenenza.
Sviluppare le competenze in una organizzazione al fine di migliorare l’offerta dei servizi
risulta essere pratica complessa e richiede competenze sicuramente specialistiche, ma anche precise
risorse.
È ormai indispensabile cominciare a recuperare nelle programmazioni la logica del “cliente
interno”. Per molto tempo, giustamente, si è lavorato sul capire, valorizzare e migliorare il fine
ultimo del servizio e cioè il cliente/utente, ma nel frattempo si è sicuramente perso di vista
l’organizzazione e le persone che vi lavorano, aspetti ad oggi estremamente fondamentali da
studiare e valorizzare.
(1), (2) Callegaro, Porchia, Pedron “Equal Elaicos. Sfida per il miglioramento del sistema dei servizi sociali e socio –
sanitari nel Veneto.” Cleup, Padova 2003
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5.2 Valutazione dell’outcome nell’ambito dei servizi per i disabili
Secondo un approccio manageriale la qualità di un prodotto/ servizio, anche se rivolto
direttamente alla persona, viene valutata in base alla sua capacità di soddisfare le esigenze del
cliente.
Questo approccio, sorto prima di tutto in ambito strettamente aziendale, si sta sempre più
diffondendo anche nell’ambito dei servizi alla persona in quanto attribuisce un ruolo centrale al
cliente/utente e gli consente di prendere parte attiva nella definizione e nel miglioramento del
prodotto/servizio.
Nonostante il valore che acquista l’utente sia uno degli aspetti più importanti della qualità,
non sempre costituisce il migliore indicatore di efficacia di un intervento.
In questo caso viene privilegiato un approccio alla valutazione orientato ai risultati sull’utente,
considerando perciò gli esiti ottenuti sull’utente attraverso l’intervento (valutazione dell’outcome).
Rispetto a questi due aspetti la recente normativa ha introdotto profondi cambiamenti,
infatti, con la Delibera della Giunta Regionale n. 2501 del 6 Agosto 2004 sono stati approvati i
requisiti minimi (organizzativi, strutturali, tecnologici) generali e specifici per l’autorizzazione e
l’accreditamento delle strutture sociali.
Tra i requisiti di accreditamento ve ne è uno generale riguardante la valutazione della soddisfazione
dell’utenza e uno specifico nell’ambito della disabilità relativo alla valutazione dei risultati
sull’utenza.
I servizi sociali sono dunque chiamati a valutare la qualità del loro servizio/intervento
considerando sia il giudizio espresso dai propri utenti, sia gli effetti prodotti sull’utenza da tale
intervento, nella prospettiva di poter offrire prestazioni sempre migliori e rispondenti alle loro reali
esigenze.
La valutazione delle informazioni raccolte presso gli utenti dovrebbe costituire, infatti, un
utile strumento di ridefinizione delle strategie del servizio/intervento e delle relative priorità, e
dovrebbe avere, dunque, una ricaduta concreta nella gestione ed organizzazione di tale
servizio/intervento.
In questo ultimo paragrafo di tesi tenteremo di spiegare ed analizzare, in termini di esito, le
dimensioni della qualità di un servizio, facendo particolare riferimento alla struttura
precedentemente presentata per l’accoglienza di soggetti disabili.
101
In una prospettiva strategica ed economica è fondamentale tenere presente alcuni indicatori
di esito nella programmazione locale e del servizio, al fine di fornire una risposta quanto più
concreta e coerente ai bisogni espressi dagli utenti. In secondo luogo, la misura dell’outcome
permette al servizio di delineare una propria immagine di rispetto e di competizione nei confronti
delle altre realtà presenti nel settore, in quanto dimostra l’attenzione nei confronti di una qualità
percepita ed attuata.
Sono questi aspetti che definiscono la cooperativa, della quale abbiamo presentato le
strategie da attuare per un suo corretto funzionamento, come una struttura che tiene in
considerazione e promuove non solo la cultura organizzativa al suo interno ma pure le esigenze
espresse dagli utenti e dalla collettività intera: pratiche educative e scelte strategiche che facciamo
leva su concetti di qualità e di esito del servizio e delle attività al suo interno, si dimostrano il mezzo
principale per posizionarsi all’apice del riconoscimento sociale e socio – sanitario dell’intervento
all’interno del proprio settore d’appartenenza.
Diversamente dall’ambito aziendale, la valutazione della qualità nell’ambito dei servizi
sociali non consente sempre la costruzione di strumenti e metodologie standardizzate e
generalizzabili e deve inevitabilmente confrontarsi ed adeguarsi con le caratteristiche personali
dell’utenza di riferimento.
Anche all’interno dello stesso settore, quale ad esempio quello della disabilità, si possono
riscontrare forti disomogeneità tra le caratteristiche dell’utenza che può distinguersi sia per il tipo e
sia per la gravità della disabilità.
La difficoltà a creare strumenti e metodologie condivise non è comunque l’unico aspetto
problematico della questione. La capacità di cogliere il livello di soddisfazione della persona
disabile è un aspetto da tempo dibattuto, ed è frequente che, qualora l’utente non sia ritenuto in
grado di rispondere, vengano invitati ad esprimere una valutazione sul servizio i suoi familiari più
prossimi, meno frequentemente invece viene coinvolto l’utente stesso.
A questo proposito, allora, sarebbe interessante, e si dimostrerebbe come una scelta strategica di
fondo in termini di qualità del servizio, prendere in considerazione un’attività di stesura dell’esito
dell’intervento non solo sull’utente ma anche secondo il suo primario punto di vista. Chiaro che
l’utenza che stiamo considerando non risulta sempre facile da intervistare o, comunque, i risultati
ottenuti non sono del tutto credibili o valutabili.
In linea di principio l’utente rappresenta il legittimo ed ideale interlocutore di una simile indagine,
ma nell’ambito della disabilità è anche evidente la difficoltà di definire uno strumento che sia
adeguato alle capacità cognitive ed emotive dell’utente, e che risponda alla complessa varietà delle
102
caratteristiche dell’utenza. In questo ambito, d’altronde, non si sono ritrovate esperienze e risultati
di un certo rilievo neppure in letteratura.
Si può pensare, però, di lavorare con il gruppo di lavoro e quindi con l’equipe di operatori che
svolgono le attività con gli utenti del servizio, per elaborare e sperimentare uno strumento che sia il
più possibile coerente con le risposte dei soggetti disabili.
Utilizzando un approccio consapevolmente sperimentale, si può considerare come indicatore
della soddisfazione dell’utente gli atteggiamenti e gli stati d’animo che caratterizzano la sua
permanenza nel servizio; si pensi alle attività svolte e alle relazioni interpersonali che si instaurano
all’interno del Centro, tenendo in considerazione particolari aree quali:
- Autonomia personale
- Rapporto con gli operatori
- Rispetto delle regole
- Rapporto con gli altri utenti.
Nonostante i limiti che si possono riscontrare, con un’analisi di questo tipo, consapevolmente
guidata e valutata, si può individuare una diversa modalità comunicativa con l’utente stesso e
dunque proporre un nuovo canale di ascolto delle sue percezioni e delle sue aspettative.
Seppure risulti difficile in alcuni ambiti imprenditoriali e soprattutto, come è stato descritto
sopra, nel settore dei servizi alla persona, valutare le dimensioni della qualità in termini di esito
risulta fondamentale per l’identità del servizio stesso e in prospettiva di alcune scelte strategiche di
fondo che la struttura intende attuare.
In modo particolare in ambito socio – sanitario dei servizi alla persona, la valutazione degli
outcomes presenta tre obiettivi principali (1):
1) il miglioramento o mantenimento delle condizioni di vita dell’utente/cliente nei tre settori:
o funzionale e organico (AREA SANITARIA)
o cognitivo e comportamentale (AREA SOCIO – SANITARIA)
o socio – ambientale e relazionale (AREA SOCIALE)
2) l’apprendimento
3) la soluzione dei problemi, quindi, le scelte strategiche da attuare.
Infatti, gli indicatori di outcome sono quelli che più direttamente esprimono l’efficacia con
cui l’impresa sociale persegue la propria missione produttiva, in quanto tendono a misurare
l’impatto delle prestazioni delle aziende no-profit dei servizi alla persona sullo stato di benessere
degli utenti. A volte, inoltre, si suggeriscono misure di risultato aventi per oggetto l’impatto
103
dell’azienda sull’ambiente in generale: è il caso degli indicatori di efficacia sociale, che sono
largamente influenzati dai fattori esterni.
Come abbiamo detto, accanto agli indicatori di outcome propriamente detti, si considerano anche le
misure del grado di soddisfazione dei clienti che costituiscono uno strumento del raggiungimento di
obiettivi di miglioramento dello stato di benessere degli ospiti della struttura.
Tra questi obiettivi, teniamo in particolare considerazione al fine del completamento del
nostro studio relativo al funzionamento di un servizio alla persona che si concentri su costi e
strategie:
OBIETTIVI DI SALUTE
OBIETTIVI DI SISTEMA
OBIETTIVI STRATEGICI
OBIETTIVI DI INTEGRAZIONE
Prima di presentare le diverse configurazioni assunte dagli indicatori basati sulle misure di
outcome e di soddisfazione, ci soffermeremo proprio su questo ultimo concetto, non tanto per
quanto riguarda nello specifico le sue fasi ma piuttosto come viene concepita tenendo in
considerazione un servizio alla persona.
Valutare la soddisfazione dell’utente significa, in concreto e schematicamente:
o ascoltare e comprendere a fondo i bisogni che il cittadino esprime, quindi le sue aspettative;
o porre attenzione costante al suo giudizio;
o sviluppare e migliorare la capacità di dialogo e di relazione tra chi eroga il servizio e chi lo
riceve;
o riprogettare, di conseguenza, sia le politiche pubbliche che il sistema di erogazione dei
servizi.
Infatti, misurando la soddisfazione dell’utente nei confronti di un servizio, risulta importante
analizzare lo scostamento tra i bisogni del cittadino e il punto di vista della
direzione/amministrazione del servizio, sia esso pubblico che privato; inoltre, sempre in termini di
aspettative, valutare le attese del cittadino, i livelli di servizio definiti (e promessi) e le prestazioni
effettivamente fornite, favorisce lo sviluppo della cultura della misurazione e del miglioramento
continuo della qualità, coinvolgendo tutti gli operatori.
Infine, altro fondamentale interesse va dedicato allo studio di quelle che sono le prestazioni
effettivamente erogate e la percezione del cittadino, al fine di proseguire verso una creazione delle
104
specifiche competenze professionali necessarie a progettare e gestire le indagini sulla qualità
percepita.
Possiamo anche aggiungere che la soddisfazione dell’utente si misura quando:
- si definiscono le politiche di intervento nelle fasi della pianificazione e dell’individuazione
delle scelte e delle priorità;
- si intende valutare l’impatto degli interventi di miglioramento dei servizi, per verificarne il
riconoscimento da parte del cittadino;
- si intendono promuovere percorsi di miglioramento della qualità;
- si impostano gli strumenti di controllo e valutazione interni (controllo di gestione,
valutazione dei dirigenti, controllo strategico).
In questo senso, la misurazione della soddisfazione dell’utente si pone come un’opportunità
nel miglioramento qualitativo del servizio e della sua gestione, in quanto si presenta come
occasione per riflettere e progettare in modo concertato, documentare e comunicare, studiare gli
esiti, misurare e valicare gli interventi e i servizi e promuovere la partecipazione. Infatti, la
valutazione partecipata (di utenti, equipe gestionale e stakeholders esterni) crea condizioni di
maggiore controllo sociale sul processo e alimenta responsabilizzazioni utili per il conseguimento
dei risultati attesi.
Parlando ancora di soddisfazione dell’utente, in relazione alle aspettative che esprime,
possiamo fare riferimento alla seguente tabella (Gioga, 2006) che presenta quattro casi di
possibilità: quando si presenta il secondo caso (giustamente soddisfatto) possiamo dire che il
servizio ha svolto un’attività gestionale corretta, in armonia con le aspettative espresse dai suoi
utenti. Si rifletta sulle altre tre possibilità. (3)
SODDISFAZIONE
ASPETTATIVE
1INGIUSTAMENTE
INSODDISFATTO
2
GIUSTAMENTE
SODDISFATTO
3
GIUSTAMENTE
INSODDISFATTO
4
INGIUSTAMENTE
SODDISFATTO
105
Tenendo in considerazione questo prospetto, dobbiamo precisare che la soddisfazione
scaturisce dal divario tra due grandezze di incerta definizione:
- le aspettative dell’utente relative al servizio, le quali sono ampiamente soggettive, mutevoli,
e spesso implicite al momento in cui ha inizio l’intervento delle imprese che offrono servizi
alla persona;
- la percezione dell’utente intorno al servizio ricevuto, la quale dipende: dalla percezione del
mutamento del proprio stato di benessere avvenuto nel tempo (a cui corrispondono anche
fattori esterni), dei rapporti con il personale della struttura e gli altri utenti, dalla
professionalità del personale, dall’accessibilità e dalla convenienza dei trattamenti, dalla
continuità degli interventi, dalle caratteristiche tecniche e ambientali e dal comfort della
struttura fisica.
Facendo riferimento allo studio rispetto alla qualità, diciamo che i criteri per la sua
misurazione, secondo le dinamiche di accreditamento e certificazione sono i seguenti:
- di APPROPRIATEZZA dell’intervento rispetto al bisogno; massimo dei benefici in
rapporto a danni e costi
- di EFFICACIA, come rapporto tra i risultati ottenuti e gli obiettivi perseguiti
- di ACCESSIBILITA’, che eviti le disparità e promuova attivamente l’accesso dei soggetti
deboli
- di EQUITA’, criterio universalistico, da coniugarsi con la personalizzazione e non
l’uniformità
- di ACCETTABILITA’, perchè la soddisfazione della persona resta un elemento
fondamentale da indagare anche nei servizi alla persona
- di EFFICIENZA, come il rapporto tra i risultati ottenuti e le risorse impiegate.
In questo senso, misurare la qualità all’interno di un servizio alla persona, e quindi
permettere delle classificazioni e comparazioni sistematiche per capire se stanno avvenendo dei
cambiamenti e il loro grado, fornisce alla struttura in esame un’opportunità di miglioramento in
itinere e visibile nei confronti degli utenti ospiti e dell’intera collettività: infatti, la soddisfazione
dell’utente è collegata a condizioni di umanizzazione e di comfort, in quanto un servizio alla
persona vede una relazione sociale multidimensionale, caratterizzata e condizionata dall’ambiente,
dall’interdipendenza, dalla reciprocità, che individua scambi non solo economici, ma anche sociali,
simbolici, psicologici e fisici.
106
Qualora gli utenti siano nelle condizioni di esprimere un giudizio intorno alle prestazioni
ricevute, le misure del grado di soddisfazione rappresentano indicatori di performance alquanto
significativi, poiché si integrano strettamente con quelle di outcome (che descriveremo di seguito),
rappresentando un’occasione di verifica circa la qualità dell’impresa che offre servizi alla persona
di perseguire la propria missione e mantenere la propria cultura organizzativa.
Per quanto riguarda i bisogni connessi alla qualità della vita quotidiana, il grado di
soddisfazione manifesta in via diretta il valore di elementi importanti del servizio, quali: le
caratteristiche e la cura delle strutture, la rapidità d’intervento e l’intensità delle relazioni
interpersonali che si stabiliscono tra il personale e gli utenti.
A riguardo di quest’ultimo fattore, la soddisfazione dell’utente testimonia la capacità di
comprendere bisogni e richieste dello stesso, di rispettare e capire la sua persona, di comunicare e di
dialogare con lui, di coinvolgerlo nelle decisioni che lo riguardano, di rassicurarlo circa il servizio e
la cura che sta ricevendo.
Per quanto riguarda, invece, i bisogni connessi alla salute fisica e mentale dell’utente,
sovente il grado di soddisfazione non è direttamente correlato con la qualità degli interventi sanitari
e assistenziali.
Non è questa la sede per l’analisi di questo scostamento in quanto bisognerebbe studiare caso per
caso ogni utente, la sua relativa patologia e predisposizione al miglioramento, per poi collegarle alla
qualità del servizio offerto tramite un progetto educativo individualizzato; possiamo però, in linea
generale, affermare che, tuttavia, il grado di soddisfazione può influire sull’esito degli interventi in
quanto, in primo luogo agisce sull’attenzione che l’utente avrà nel seguire consigli e prescrizioni.
Inoltre, molti degli utenti soddisfatti delle prestazioni socio – sanitarie di servizi sia pubblici che
privati, ricevono un effetto benefico indipendentemente dall’impatto diretto del trattamento a cui
sono sottoposti.
Alla luce di queste considerazioni, le misure di soddisfazione assumono rilievo all’interno
così come all’esterno dell’impresa sociale in questione.
Per quanto riguarda l’interno, le informazioni di ritorno degli utenti relative al gradimento
della struttura, del personale e dei processi aziendali costituiscono tracce che il management può
utilizzare per riflettere intorno ai punti di forza e di debolezza del servizio offerto e, di conseguenza,
per identificare la direzione e i contenuti specifici dei cambiamenti da introdurre a livello di risorse,
di strategie e di funzionamento generale dell’impresa. L’ascolto dell’utente può far emergere sia
nuove possibilità di arricchimento delle attività e delle risorse di una struttura ma, allo stesso tempo,
potrebbe permettere una riduzione dei costi delle prestazioni, progettando un pacchetto di servizi
che escluda elementi giudicati non rilevanti dagli utenti.
107
Per quanto riguarda l’esterno, infine, come già specificato in precedenza, la soddisfazione
degli utenti costituisce una delle principali determinanti dell’immagine della struttura, sia per
quanto riguarda l’ambiente immediatamente prossimo all’utente (la sua famiglia), il contesto
territoriale di appartenenza, ma anche altri stakeholders quali gli enti che collaborano al
finanziamento della struttura e i servizi socio – sanitari di riferimento.
A completamento di quest’analisi rispetto al funzionamento di un servizio alla persona quale
un Centro Educativo Occupazionale Diurno, vengono presentate le diverse configurazioni assunte
dagli indicatori basati sulle misure di outcome e di soddisfazione (Molteni, 1997).
È questo un passaggio fondamentale nella definizione delle strategie e dei costi di gestione ed
organizzazione di un servizio perché permette di classificare, seppur in linea teorica, la qualità
dello stesso e di pianificarne gli interventi e le attività; in termini di buon funzionamento di un
servizio alla persona è fondamentale porre attenzione non solo a dinamiche di struttura e processo,
ma completare la valutazione attraverso lo studi di indicatori di esito.
Secondo il contributo di Molteni (il più esauriente individuato in termini di misure di
performance dei servizi alla persona), la configurazione degli indicatori è così costituita (2):
OUTCOME/UTENTI
Una prima categoria di quozienti pone in relazione l’outcome complessivo con il numero degli
utenti. L’outcome medio unitario, esprimendo l’incremento medio unitario del benessere
dell’utente ottenuto nel periodo considerato, è un ottimo indicatore dell’efficacia dei servizi
erogati e consente di procedere ad interessanti comparazioni interaziendali.
OUTCOME/OUTCOME POTENZIALE
Questo genere di indicatori consente di compiere un passo fondamentale rispetto alla categoria
precedente. Infatti, un indicatore come l’outcome medio per utente assume un significato assai
diverso in relazione al profilo iniziale degli utenti.
In questo modo si ottiene il secondo tipo di indicatore di outcome, che esprime la percentuale
del miglioramento potenziale realizzato e manifesta quanto l’impresa di servizi alla persona è
stata in grado di perseguire gli obiettivi di gestione identificati per il periodo in esame
Da un punto di vista logico, i passi da compiere sono i seguenti:
- misurare lo stato di benessere iniziale dell’utente
- stimare il suo potenziale di miglioramento in un certo arco temporale
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- misurare nell’intervallo di tempo stabilito l’incremento dello stato di benessere,
depurando il valore da fattori extra - aziendali
- rapportare la misura di outcome così ottenuta con il potenziale di miglioramento
dello stato di benessere stimato precedentemente.
SODDISFAZIONE MEDIA
Un’altra classe di indicatori relativi all’esito dei servizi erogati considera il gradimento degli
utenti e, congiuntamente, dei familiari.
Questi indicatori acquistano maggiore importanza nei casi in cui l’utente ha una permanenza
prolungata presso l’organizzazione e le misure di outcome ad esso relative risultano
difficilmente ottenibili.
COSTI/OUTCOME o OUTCOME/COSTI
Introducendo la variabile costi, si perviene ad un altro quoziente significativo, il costo per unità
di outcome: in un rapporto che vede al numeratore i costi delle attività di base e al denominatore
l’outcome complessivo, lo scopo dell’impresa sociale in questione è quello di sviluppare la
propria immagine e conquistarsi un’autonomia finanziaria sempre più ampia.
Invertendo numeratore e denominatore, si ottiene un quoziente che segnala l’incremento di
benessere generato da ogni unità monetaria impiegata per la realizzazione dei servizi delle
imprese sociali e, quindi, può dirsi un indicatore di produttività delle risorse impiegate.
COSTI TOTALI/OUTCOME POTENZIALE REALIZZATO
Se con riferimento al potenziale di miglioramento si introduce la variabile costo, si può giungere
ad una relazione che vede al numeratore i costi totali e al denominatore la percentuale del
miglioramento potenziale realizzata, la quale esprime il costo unitario di un punto percentuale di
miglioramento potenziale realizzato, un valore sintetico delle performance delle imprese sociali
di servizi alla persona.
SODDISFAZIONE MEDIA/COSTO MEDIO UNITARIO
Ponendo in relazione grado di soddisfazione e costi totali delle attività centrali, anche questa
categoria di indicatori consente di riflettere in modo sintetico sul livello delle performance
aziendali.
La relazione che ne deriva vede al numeratore il grado di soddisfazione media e al
denominatore il costo medio unitario delle attività centrali.
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In questa prospettiva di studio di una struttura sociale che offra servizi alla persona, allora,
risulta possibile valutare con efficacia la qualità presente; di conseguenza, ne deriva anche una
riflessione sulle strategie attuate nel servizio in questione e si nota come queste ultime siano
strettamente collegate ai costi di gestione.
Nelle aziende che offrono servizi alla persona l’obiettivo del miglioramento dello stato di
benessere degli utenti costituisce un fattore direttamente connesso al soddisfacimento delle
attese non solo dei clienti, ma anche delle altre fondamentali categorie di stakeholders e cioè il
soggetto promotore, gli enti erogatori e i collaboratori di ogni livello, siano essi retribuiti o
volontari.
Una verifica di questo tipo è indispensabile qualora si parla di programmazione di servizi
educativi e formativi, in quanto mette in rapporto le aspettative con i risultati attesi, ciò che ci si
aspetta di ottenere nell’ambito di un progetto, di un’iniziativa, di un intervento in cui c’è un
obiettivo predefinito da raggiungere (nel nostro caso, l’accoglienza e sviluppo di soggetti
disabili in un Centro adeguato), con ciò che si è venuto a determinare.
Si scopre la necessità, allora, di assumere misure utilizzabili, mettendo a confronto risultati
attesi e risultati ottenuti.
Tale verifica si basa su variabili misurabili (indicatori), ricavate da fattori osservabili propri
delle attività e processi da sottoporre a verifica, e quindi da riconoscere o da stabilire prima di
procedere in senso attuativo, o in un’ottima di cambiamento rivolto ad un miglioramento del
servizio offerto.
In questo senso, valutare la qualità di un servizio significa impiegare un’attività di ricerca
applicata, realizzata nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata con le fasi
della progettazione e di intervento, avente come scopo la riduzione della complessità
decisionale, attraverso l’analisi degli effetti diretti e indiretti, attesi e non attesi, voluti e non
voluti, dell’azione dell’organizzazione imprenditoriale, compresi quelli non riconducibili ad
aspetti materiali (non verso prodotti, ma verso servizi alla persona).
(1) (3), Gioga, “Valutazione e certificazione dei servizi”, Padova 2006 (2) Molteni, “Le misure di performance nelle aziende non profit di servizi alla persona” Cedam,
Padova 1997
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CONCLUSIONI
Giunti fin qui, dopo un’analisi di questo tipo rispetto all’ambito dei servizi sociali, in modo
particolare dei servizi alla persona disabile, possiamo affermare di aver elaborato uno studio
concreto per il funzionamento di un Centro Educativo Occupazionale Diurno: la strategia che si
vuole sviluppare a conclusione di questa tesi si misura con la capacità di creare alternative che
generano valore attraverso la combinazione di elementi di varietà e variabilità, che consentono di
dominare e sfruttare la complessità ambientale e di rilevazione dei bisogni delle famiglie dei
soggetti di riferimento.
Infatti, come cita l’articolo 28 – La tutela delle persone con disabilità, del recente DDL n. 14
dell’11 Luglio 2006, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
alla persona, “l’accesso al sistema dei servizi sociali, socio – sanitari e sanitari avviene secondo il
principio della presa in carico delle persone in condizione di disabilità e approvazione del progetto
individuale di intervento, quali metodologie ottimali per sviluppare risposte integrate in relazione
alle diverse esigenze, fasi vitali, opportunità e risorse che si rendono accessibili.”
In questo senso, sono stati affrontati nello specifico temi relativi ai costi e alle strategie per il
funzionamento di una struttura che possa accogliere soggetti disabili e fornire loro la più adeguata
risposta possibile ai bisogni manifestati, in un’ottica di analisi del servizio relativa a competitività e
riconoscimento sociale.
L’obiettivo principale di ogni strategia analizzata e spiegata è quello di far corrispondere le
competenze dell’impresa sociale alle opportunità offerte dall’ambiente esterno.
Nel caso studiato in questa tesi, quando si sostiene che per la gestione del CEOD sono state
ipotizzate varie strategie organizzative, si vuole sottolineare che vengono analizzati diversi canali
competitivi per rispondere nel modo più efficace ed efficiente possibile alle esigenze dimostrate dal
territorio e dai suoi abitanti in condizioni di svantaggio sociale e sanitario.
Come abbiamo visto, la strategia come scelta d’indirizzo è fondata su (1):
a) obiettivi di lungo periodo;
b) conoscenza specifica dell’ambiente competitivo;
c) valutazione obiettiva delle risorse;
d) realizzazione efficace.
Dato lo scopo della nostra tesi e lavorando in un settore dove le persone, siano esse riceventi
o fornitori del servizio, sono i primi attori coinvolti nel processo di progettazione e formulazione
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delle attività, nella stesura delle strategie dobbiamo dedicare considerevole importanza alle risorse
interne del sistema: prime fra tutte, così come è stato descritto nell’ultimo capitolo, sono le risorse
umane, il capitale sociale che costituisce l’anello di congiunzione tra le scelte strategiche attuate
dalla direzione e le esigenze e ripercussioni sull’ambiente esterno in generale, ma in modo
particolare sugli utenti ospiti della struttura in esame.
Risorse e competenze dell’impresa sociale possono essere considerate i fondamenti della
strategia di lungo periodo in quanto, innanzitutto, le risorse hanno un ruolo fondamentale nella
definizione dell’identità del servizio, rispetto a ciò che essa è in grado di fare e ai bisogni che è in
grado di soddisfare. Inoltre, le risorse devono decidere in quali settori, e con quali tipi di strategia
competitiva, l’impresa può sfruttare al meglio le proprie capacità.
Abbiamo visto che la sopravvivenza e la buona gestione di un servizio alla persona segue
costantemente un’analisi dei costi che, se correttamente valutata ed applicata, inserisce il servizio
stesso in un’ottica competitiva di elevata posizione nel settore occupato.
I costi che scaturiscono all’interno di un’impresa sociale variano in funzione all’obiettivo
innovativo assegnato e degli ambiti competitivi nei quali l’impresa stessa sceglie di competere;
inoltre, dobbiamo tenere in considerazione i rapporti interorganizzativi con i quali avviene il
trasferimento delle conoscenze (tutti gli enti che sono coinvolti nella gestione e finanziamento della
struttura, per non parlare degli stakeholders esterni che ne possono modificare la cultura
organizzativa) e le modalità di formazione del personale che devono rispondere a precise regole
contenute nella legislazione recente in materia di servizi alla persona.
Le basi di una strategia di riduzione del costo devono essere rappresentate dalla
comprensione dei fattori che determinano i costi dell’impresa: è necessario andare oltre i dati della
contabilità di costo e le teorie base delle curve dell’esperienza, per analizzare le singole attività
delle imprese sociali e i fattori che influenzano la determinazione dei costi.
Le fonti del vantaggio dei costi sono numerose, per questo è necessario pensare ad ogni voce
di costo della cooperativa ipotizzata ed analizzata in questa tesi, come separata dalle altre, a sé
stante, e valutare i fattori e le variabili di costo che determinano il suo peso nei costi generali
dell’impresa sociale.
Molti cambiamenti nella riduzione dei costi possono essere ottenuti soffermandosi su
un’attenta progettazione e programmazione del servizio, per discutere di procedure operative ed
amministrative che riguardano l’impresa sociale nel suo complesso.
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L’efficacia di tale riduzione dei costi parte, prima di tutto, dalle motivazioni e dalla mission
condivisa dall’organico dipendente dell’impresa in un’ottica di soddisfazione dell’utente sempre
come primo obiettivo da raggiungere.
Fondamentale a questo punto, come è stato dimostrato nei capitoli precedenti, sarà anche
l’analisi della qualità strategica di gestione ed organizzazione del servizio. Per questo si è data
particolare voce a scelte strategiche attuate all’interno di numerosi servizi alla persona come il
volontariato; inoltre, si è posto l’accento su fattori critici di successo quali la valorizzazione ed
organizzazione delle risorse umane e la soddisfazione degli utenti ospiti delle strutture in termini di
esito del servizio.
In questa tesi abbiamo tenuto in considerazione tutta una serie di elementi caratteristici di
un’impresa sociale che offre servizi alla persona per valutarne il loro peso e valore sia all’interno
dell’impresa stessa, in termini di scelte strategiche organizzative, sia al suo esterno, in un’ottica di
soddisfazione dell’utente e di risposta ai bisogni del contesto territoriale di appartenenza.
Abbiamo parlato di risorse, di struttura organizzativa, di incentivazione e di controllo, di
stile gestionale, di cultura organizzativa, di risorse umane dipendenti e volontarie.
L’interesse, quindi, è stato rivolto su ciò che l’impresa è in grado di fare per assumere una
posizione d’eccellenza nel panorama di servizi sociali rivolti a soggetti disabili, a partire anche
dallo studio di strutture già presenti e funzionanti nel territorio da anni: nella visione di un Centro
Educativo Occupazionale Diurno gestito da una cooperativa, si è parlato quindi di risorse
dell’impresa sociale e sul modo con cui esse concorrono a determinare le routine organizzative in
un ambiente competitivo e in continuo cambiamento dal punto di vista di parametri sociali e
culturali.
Tenendo in considerazione il sistema della cooperativa sociale come forma di gestione di un
CEOD, si è dato valore alla struttura organizzativa del servizio e ai sistemi sui cui è basata tale
organizzazione: questi elementi si sono dimostrati, infatti, essenziali per l’implementazione efficace
della strategia.
Primo fra tutto, come individuato nel capitolo 5 parlando di rete territoriale rispetto a fattori
critici di successo per il funzionamento di un servizio rivolto a soggetti con disabilità, è il ruolo del
servizio del volontariato che, sia in termini di efficacia e di efficienza, che a livello di strategia
organizzativa che segue costi bassi, è tra i soggetti del territorio uno dei più qualificati nel
contribuire a rendere possibili forme di convergenza nella lettura sociale della disabilità.
Può risultare, infatti, un interlocutore irrinunciabile nel definire i processi e le azioni da avviare
all’interno dei diversi ambiti territoriali e nella struttura stessa.
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Dal momento che le imprese sociali di questo tipo conservano un notevole grado di
flessibilità nella scelta delle strutture organizzative e dei sistemi gestionali (basti pensare ai soli
scostamenti economici e progettuali attuati dalle direzioni di imprese sociali di due province venete
diverse che offrono comunque lo stesso tipo di servizi, con i medesimi criteri ed attività), alcuni
fattori che riguardano l’ambiente interno dell’impresa si possono considerare come una
conseguenza, piuttosto che una determinante i queste scelte.
In questo senso abbiamo tenuto in elevata considerazione il ruolo che le risorse umane
occupano all’interno di organizzazioni come le cooperative sociali, in quanto creano un capitale
sociale, un insieme di relazioni di fiducia, di comprensione reciproca, di valori condivisi che
favoriscono la cooperazione tra le persone e spingono le risorse a dispiegare le proprie potenzialità.
Se le cooperative si limitassero a fare gli interessi dei propri soci, se fossero dominanti solo gli
interessi del lavoro remunerato o si proponessero come agenzie professionali di erogazione di
servizi sociali, fiducia, cooperazione e solidarietà verrebbero giocate solo al loro interno, in una
logica autoreferenziale che aprirebbe a comportamenti opportunistici e strumentali rispetto alle
risorse sociali.
In una prospettiva che intende l’impresa sociale come “un’intrapresa” (e non un’azienda) per
produrre, organizzare e generare sociale, i servizi sociali investono sulle capacità dei soggetti
implicati per il perseguimento di progetti di interesse comune, attivando coalizioni, coltivando la
varietà di relazioni sociali, alimentando l’intelligenza sociale di soluzioni concrete ai problemi
organizzativi, curando la qualità dell’ambiente sociale condiviso.
In questo senso, i dirigenti di cooperativa devono stare nella complessità di gestire
un’organizzazione che, da un lato, ha il problema di sopravvivere, di garantire ai propri soci il
lavoro, ma allo stesso tempo devono cercare di incrementare il capitale sociale. Devono, quindi,
riuscire a separarsi dal proprio interesse organizzativo immediato per immaginare un bene
collettivo.
È corretto far leva su un concetto caro a chi si occupa e lavora nel settore sociale: il compito
che le imprese sociali si sono assunte è di sicuro più oneroso delle imprese for-profit. Rispondere
agli interessi degli azionisti è relativamente semplice; lo è meno tenere insieme la pluralità di
interessi, individuali, organizzativi, politici e locali che caratterizzano la mission di molte
cooperative.
Inoltre, sempre ragionando in termini di qualità dell’impresa sociale che offra servizi alla
persona ma seppur non entrando nello specifico per via dell’ampiezza dell’argomento e la diversa
sede di discussione, si è tenuta in considerazione la fondamentale applicazione educativa e
formativa del personale coinvolto nella gestione del CEOD.
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Il primo obiettivo che un servizio di questo genere deve perseguire è lo sviluppo
dell’autonomia e crescita personale e sociale dell’utente ospite: ecco perché parlare di
programmazione e progettazione della pratica educativa risulta fondamentale per ogni soggetto che
si trovi a collaborare in prospettiva di questo obiettivo.
A livello schematico ed analitico, al termine di un percorso di questo tipo che ha voluto
analizzare e strutturare il percorso di funzionamento di un Centro Educativo Occupazionale Diurno
a partire da ogni dinamica organizzativa di gestione, possiamo affermare che il percorso corretto
nella definizione di una scelta strategia che segua costi bassi, da attuare in un servizio di questo tipo
è il seguente (2):
1) RISORSE → identificazione delle risorse dell’impresa ed individuazione delle forze e
debolezze rispetto ai concorrenti.
2) COMPETENZE → individuazione delle risorse di base dell’impresa sociale. Cosa può
fare?
3) POTENZIALITA’ IN TERMINI DI VANTAGGIO COMPETITIVO SOSTENIBILE →
valutazione delle potenzialità delle risorse e delle competenze nel generare potenziale di
creazione, sostenibilità e sfruttamento del vantaggio competitivo.
4) STRATEGIA → selezione di una strategia che sfrutta al meglio le competenze dell’impresa
sociale rispetto alle opportunità esterne.
5) RISORSE – STRATEGIA → individuazione delle carenze di risorse che devono essere
colmate. Investimenti finalizzati all’integrazione e all’incremento delle risorse di base
dell’impresa sociale.
(1), (2) Grant, “L’analisi strategica nella gestione aziendale.”, Il Mulino, Bologna 1994
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BIBLIOGRAFIA
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- Antonelli, 1997 “Il costo delle strategie. Aspetti evolutivi della gestione e determinazioni
quantitative.” Giuffrè Editore, Milano
- Bastia, Farina, 1995 “Il connubio qualità-efficienza nel controllo di gestione” Giappichelli,
Milano
- Brusa, 2000 “Sistemi manageriali di programmazione e controllo” Giuffrè Editore, Milano
- Callegaro, Porchia, Pedron, a cura di, 2003 “Equal Elaicos. Sfida per il miglioramento del
sistema dei servizi sociali e socio-sanitari nel Veneto” Cleup, Padova
- Camarlinghi, a cura di, 2002 “Come le cooperative generano capitale sociale?” in
Animazione Sociale, Associazione Gruppo Abele, Torino
- Campostrini, 2003 “VISaVI – Visti da Vicino. Indagine sui bisogni delle famiglie di persone
con disabilità” Emme&Erre, Pavia
- Centro Studi CGM, a cura di, 2002 “Comunità cooperative. Terzo rapporto sulla
cooperazione sociale in Italia.” Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino
- Cercola, 1990 “La gestione della qualità nell’impresa di servizi” Cedam, Padova
- Cinquini, 2003 “Strumenti per l’analisi dei costi” Vol. 1 Fondamenti di Cost Accounting,
Giappichelli, Torino
- Colleoni, Colpani, Previstali, 2005 “Fare spazio alla disabilità nei reticoli della comunità” in
Animazione Sociale, Associazione Gruppo Abele, Torino
- De Pieri, a cura di, Scienze della Formazione, Fondazione Girolamo Bortignon, 2002
“Verso un sistema educativo integrato” Franco Angeli, Milano
- Favotto, 2001 “Economia Aziendale. Modelli, misure, casi” Mc Graw-Hill, Milano
- Gerli, 2002 “La nuova formazione manageriale” Carocci, Roma
- Grant, 1994 “L’analisi strategica nella gestione aziendale” Il Mulino, Bologna
- Invernizzi, Molteni, 1990 “Analisi di bilancio e diagnosi strategica. Strumenti per valutare
posizione competitiva, vulnerabilità, patrimonio intangibile” Etas, Milano