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INDICE 1. PRESENTAZIONE Rosanna Strozzi 3 2. LE MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE Dr. Alberto Burlina 5 3. L’ASSOCIAZIONE COMETA ASMME Anna Maria Marzenta 7 4. UN RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI Cristiano Quattromani 9 5. LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA MALATTIA CRONICA Dr.ssa Paola Martinelli 11 6. LA PAROLA ALLA SCUOLA Vanna Zuelli 19 7. LA SFIDA DI FEUERSTEIN Dr.ssa Tegani Arianna 27 8. COSA MANGIARE PER STARE MEGLIO Rosanna Strozzi 37 9. ESPERIENZE DI VITA Paola Bucchi 41 10. ESPERIENZE DI VITA Emanuela Carlin 47
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Feb 15, 2019

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INDICE

1. PRESENTAZIONE Rosanna Strozzi 3

2. LE MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE Dr. Alberto Burlina 5

3. L’ASSOCIAZIONE COMETA ASMME Anna Maria Marzenta 7

4. UN RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI Cristiano Quattromani 9

5. LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA MALATTIA CRONICA Dr.ssa Paola Martinelli 11

6. LA PAROLA ALLA SCUOLA Vanna Zuelli 19

7. LA SFIDA DI FEUERSTEIN Dr.ssa Tegani Arianna 27

8. COSA MANGIARE PER STARE MEGLIO Rosanna Strozzi 37

9. ESPERIENZE DI VITA Paola Bucchi 41

10. ESPERIENZE DI VITA Emanuela Carlin 47

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ELENCO DEI RELATORI:

1. Dr. Burlina Alberto (Primario Unità Operativa MME Dipartimento di Pediatria Azienda Ospedale di Padova - Università di Padova)

2. Anna Maria Marzenta (Presidente ASMME)

3. Cristiano Quattromani (Vice-Presidente ASMME)

Dr.ssa Martinelli Paola (Laureata in Psicologia - lavora per l’Associazione RING14 Ospedale “Santa Maria Nuova” di Reggio Emilia)

5. Zuelli Vanna (Insegnante)

6. Dr.ssa Tegani Arianna (Laureata in Filosofia - Insegnante - Mediatore di 3° livello PAS - Feuerstein - abilitato da ICELP - Canada)

7. Strozzi Rosanna (Rappresentante Cometa ASMME Regione Emilia Romagna Mediatore di 2° livello PAS - Feuerstein abilitato da ICELP - Canada)

8. Bucchi Paola (Genitore)

9. Carlin Emanuela (Genitore)

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E’ con grande piacere che presento alle famiglie dei malati me-tabolici e a tutti coloro che si interessano di malattie metaboliche ereditarie questa pubblicazione, realizzata dalla nostra Associa-zione Cometa ASMME, in collaborazione con l’Associazione RING 14 di Reggio Emilia.

Essa vuol essere un aiuto per i genitori che devono affrontare, ogni giorno, tutte le problematiche inerenti la gestione dei propri figli o familiari metabolici in ambito sanitario, scolastico, sociale e familiare.

E’ stata pensata dal gruppo di lavoro, che ha collaborato alla sua realizzazione mettendo a disposizione competenza, esperienza e conoscenza, come uno strumento efficace e fruibile da parte di tutti coloro che lo consulteranno; capace di dare informazioni si-gnificative, perché la conoscenza regala un po’ più di sicurezza.

Ogni famiglia ha una storia a sé, unica e irripetibile, ma è nel confronto con altre realtà più o meno condivisibili, che prende coscienza di se stessa, si rafforza, si rassicura: si rende conto di non essere sola.

STROZZI ROSANNARappresentante Cometa ASMME Emilia Romagna

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1. LE MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE

Le Malattie Metaboliche Ereditarie sono determinate da un’alte-razione genetica che causa la mancanza o l’insufficiente produ-zione di un enzima, fondamentale per l’organismo.

Sono malattie che colpiscono i bambini generalmente nei primi anni di vita, e se non riconosciute causano gravi handicap.Le manifestazioni più frequenti comprendono il ritardo mentale e la compromissione di numerosi organi quali: fegato, rene, cuo-re, occhio ed apparato scheletrico.

La ricerca ha permesso di individuare circa 500 forme diverse di MME. La maggior parte di esse sono ancora poco conosciute, altre ancora potrebbero essere individuate; ognuna di queste è rara se considerata singolarmente.

La frequenza per ognuna di esse può variare (1 neonato affetto ogni 10-100.000 nati) per cui i processi di ricerca procedano in modo estremamente lento e difficoltoso.Alla complessità di classificazione di tali patologie corrisponde l’estrema eterogeneità del quadro clinico dei pazienti.Alcune di esse sono gravi sin dalla nascita , mentre altre si posso-

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no manifestare più tardivamente in modo progressivo, con dan-no soprattutto neurologico.Solo per poche di esse esistono, al momento, cure definitive, nel-la maggior parte la terapia è sintomatica e deve essere prosegui-ta per tutta la vita.

La maggior parte di queste terapie sono dietetiche ma recente-mente si sono iniziati trials terapeutici contenenti l’enzima man-cante. Per alcune di queste patologie è possibile fornire l’enzima mancante sostituendo l’organo, pertanto i trapianti di organi, quali fegato e rene, hanno migliorato la prognosi soprattutto in età adulta.

Chi vive a stretto contatto con queste malattie sa quanta dedi-zione ed attenzione bisogna mettere nello studio, nella cura e nella gestione di questi pazienti. Nella gestione a casa dei pic-coli pazienti è importante che vengano seguiti scrupolosamente la dieta e la somministrazione dei farmaci prescritti dal medico, nelle quantità e negli orari indicati.

E’ altresì importante che la famiglia sia il tramite attraverso cui instaurare un rapporto di fiducia e collaborazione tra i medici specialisti, pediatra o medico di famiglia ed ospedale più vicino al domicilio del paziente.

Dr. ALBERTO BURLINAPrimario Unità Operativa MME - Università di Padova

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2. L’ASSOCIAZIONE COMETA ASMME

COMETA A.S.M.M.E. è un’ Associazione di volontariato, nata nel 1992 per iniziativa di un gruppo di famiglie con figli affetti da patologie metaboliche.Oggi conta più di 2500 iscritti tra pazienti, famigliari e so-stenitori. Negli anni è diventata il punto di riferimento di molte famiglie con figli metabolici che sono seguiti dal pun-to di vista sanitario dall’Unità Operativa Malattie Metabo-liche Ereditarie – Azienda Ospedaliera di Padova – diretta dal Dr. Alberto Burlina, unico centro di diagnosi e cura di tutte le malattie metaboliche ereditarie del Nord-Est e uno dei pochi in Italia.L’associazione ha operato attivamente per la realizzazione di tale Unità Operativa MME

COMETA A.S.M.M.E. ha le seguenti finalità:Informare l’opinione pubblica e prevenire le conseguen-ze delle MMESupportare progetti di ricerca scientifica Destinare fondi per l’acquisto di strumentazione tecnica per la diagnosi neonatale e l’applicazione di nuovi trat-tamenti terapeuticiAssistere le famiglie ed incoraggiare un adeguato inseri-mento sociale dei malati metabolici

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Quindi, concretamente, vengono fatte campagne di sen-sibilizzazione e raccolta fondi, si cerca di creare una rete tra associazioni, istituzioni, azienda sanitaria e cittadini.Sono state acquistate apparecchiature scientifiche destinate all’Azienda Ospedaliera di Padova e finanziati progetti di ricerca.

Mi auguro che l’associazione, sempre più, venga vissuta dalle famiglie come un costante punto di riferimento, di incontro, di sostegno, di scambio di informazioni ed espe-rienze.

Con la presente pubblicazione si vuole iniziare un dialo-go concreto ed utile con le famiglie per renderle sempre più partecipi ed attive all’interno dell’Associazione stessa.

ANNA MARIA MARZENTAPresidente ASMME

ANNA MARIA MARZENTA

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3. RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI

Quando si parla di istituzioni, qualunque esse siano, si pensa a qualche cosa di lontano dal cittadino, si immagina un’entità che ci domina e che poco ha a che vedere con le nostre problematiche di tutti i giorni, con la nostra quoti-dianità.

Io, invece, ho voluto vivere il rapporto con le istituzioni in maniera paritetica, non dimenticando che sono rappresen-tate da persone e come tali le ho avvicinate.

Pur non avendo figli affetti da malattie metaboliche, riesco a portare avanti le problematiche che vivo in prima per-sona, senza però sentirmi esonerato dal necessario senso di responsabilità e senza farmi coinvolgere troppo, così da non subire quelle pressioni psicologiche che, talvolta, sono di ostacolo per affrontare con lucidità un problema.

Mi sono reso conto che sono tante le associazioni che ogni giorno lavorano per far valere i diritti dei malati che rap-presentano e per spiegarne le situazioni di disagio.Ho capito che è necessario avere un atteggiamento attivo ed equilibrato nel momento in cui si fanno le richieste alle Istituzioni, per cui per prima cosa ho cercato di far conosce-

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re l’Associazione, le sue finalità e i suoi obiettivi, ho cercato inoltre di fare un ‘azione di marketing seria e misurata per dare una giusta immagine di chi siamo e cosa vogliamo.Con un restyling attento e misurato dell’Associazione sia-mo riusciti ad instaurare un rapporto di partnership con l’Azienda Ospedaliera di Padova.

Questo nuovo modo di operare, però, non è sempre compre-so ed accettato dalle persone che si rappresentano, in quan-to qualcuno pensa che questo metodo cosiddetto”morbido” non porti da nessuna parte o che addirittura faccia solo gli interessi dell’Azienda Ospedaliera.

Io sono convinto che con un rapporto di collaborazione e fiducia reciproca i risultati non tarderanno ad arrivare, quindi assicuro alle famiglie e a tutti gli associati la mia di-sponibilità a portare avanti gli obiettivi di ASMME nel mi-glior modo possibile.

QUATTROMANI CRISTIANOVice Presidente ASMME

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4. LA SFIDA DELLA MALATTIA CRONICA PER LA FAMIGLIA

Prima di loro

Sognare il figlio desiderato, atteso, il suo futuro con lui…

La notizia dell’arrivo di un bambino automaticamente sti-mola la creazione di aspettative nei genitori.Nella determinazione di queste aspettative il contesto so-ciale e culturale ha un’enorme responsabilità, proponendo una serie di richieste a cui è difficile sfuggire. Risulta im-possibile pensare che una coppia di genitori in attesa di un figlio pensi al futuro in modo avulso dai valori predomi-nanti nella società o dalle proprie convinzioni culturali e sociali. Nessun padre e nessuna madre formuleranno delle fantasie riguardo i propri figli vedendoli impegnati, ad esempio, in una catena di montaggio o in miniera; ma se li raffigureran-no, se non come uomini di successo, almeno come tranquil-li impiegati. Le rappresentazioni mentali che i genitori hanno nei riguar-di del bambino che nascerà vengono condizionate sia dai fattori culturali che sociali.I genitori elaborano grandi progetti riguardo i figli e da loro si attendono molto.

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Il grande giorno, programmato o inatteso, è arrivato, final-mente tutte le fantasie assumeranno un corpo …all’improv-viso vengono pronunciate dai medici parole: IPOTONIA, PROTEINE, EREDITARIETA’ parole mai sentite, mai pronunciate parole che a lungo ver-ranno rifiutate.

Un misto di tranquillità per aver ‘trovato un nome’, ma adesso angosce, ansie, ancora tanti dubbi, incertezze.

Il figlio non è in insieme di sintomi, una patologia, ma in-nanzi tutto una persona con un proprio carattere e potenzia-lità, è da questi che si deve iniziare un percorso insieme.

La vita con loroIl cammino verso la diagnosi…ma quale diagnosi?!

Tutto inizia con una crisi o con strane parole pronunciate in uno studio medico: malattie metaboliche, incomincia un per-corso costellato di accertamenti medici in ospedali lontani da casa in cui si trascorrerà più tempo di quello previsto… La diagnosi di malattia cronica rappresenta sempre un’in-formazione che irrompe tragicamente nella vita del sogget-to e della sua famiglia; il profilarsi di una situazione d’han-dicap viene vissuto come una inaccettabile aggressività del destino.Naturalmente le persone non vogliono sentirsi dire della malattia e si dolgono o detestano l’idea che il proprio stile di vita o che le proprie opportunità debbano essere ridi-mensionate o alterate a causa delle condizioni di salute del bambino; si dovranno modificare gli stili alimentari, biso-

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gnerà gestire e utilizzare il proprio tempo in modo diverso.Il primo incontro con la realtà inattesa della disabilità rap-presenta sempre un momento fondamentale per i genitori che dura nel tempo e influenza i successivi adattamenti alla situazione di handicap. Nel racconto della prima comuni-cazione sono sempre vivi a distanza di anni il dolore pro-vato e il senso d’estraneità e di vuoto, il vissuto è descritto come una sorta di ‘rivelazione della fine’: tutto quello che ci si aspettava non è venuto, è venuto ciò che non si aspettava, non si riesce a prevedere cosa succederà.

Quando la diagnosi viene comunicata per i genitori si ve-rifica una ‘catastrofe’ con connotazioni ambivalenti: da un lato c’è il disgregarsi del mondo normale, una prospettiva di perdita delle rappresentazioni di normalità costruite fino a quel momento sul figlio; dall’altro lato si profila una tem-pesta sul futuro, nel senso che la prognosi di cronicità o di handicap cambia improvvisamente l’orizzonte per la vita di tutta la famiglia. Ci si domanda come cambierà il quoti-diano, come sarà il proprio futuro e quello del bambino, se si sarà capaci di affrontare tutto questo. In questo momento i genitori non devono essere lasciati soli.La fase iniziale della famiglia sarà caratterizzata da shock e stordimento seguita dalla possibilità di rifiuto: ‘non è vero’, ‘ci deve essere un errore’, ‘si sono sbagliati ed è meglio an-dare da qualcun altro’, ‘tutto si rimetterà a posto’. Successi-vamente si possono alternare momenti di rabbia, di collera verso i medici, verso il coniuge e anche verso il bambino a momenti in cui i genitori credono di essere gli unici respon-sabili della malattia. Inizia poi un momento in cui si cerca-no di metter in atto tutte quelle strategie che permettano di avvicinarsi alla malattia del figlio e di riorganizzarsi per affrontare la situazione.

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Dall’ io al noi: la coppiaLa nascita di un figlio con problemi è un evento che crea effetti squilibranti, poiché costringe la coppia a confrontarsi col deficit del bambino e modifica le dinamiche relaziona-li e psicologiche tra i partners stessi. Le reazioni di coppia possono essere differenti: c’è chi considera il sostegno reci-proco, l’appoggiarsi l’uno all’altro come risposte quasi au-tomatiche che conducono a una conoscenza e riconoscenza reciproca più profonda e duratura; viceversa ci sono coppie in cui il riconoscimento della malattia del figlio può con-durre a tensioni insanabili.Quale accettazione? Il primo passo per i genitori è quel-lo di costruire un equilibrio che permetta di riconoscere il proprio figlio per quello che è, non per un ideale da rea-lizzare. Questo implica un percorso personale complesso e frastagliato da mille difficoltà, che porta la famiglia a es-sere sempre in discussione. Durante questa fase le famiglie dovrebbero essere affiancate da persone che condividono le loro idee i loro valori e le accompagnano in questo loro cammino. L’accettazione può avvenire automaticamente, c’è infatti chi non si pone neanche il problema ‘lui è lui, così ed è nostro figlio’, così come può implicare una maggiore fatica: dal chiedersi perché ci è capitato, al passare al rim-boccarsi le maniche per poter far fronte alla situazione. Molto spesso i problemi del figlio rappresentano l’unico e costante tema di discussione tra i genitori, come il ruolo di genitore può soppiantare quello di coniuge, sottraendo spazi al rapporto di coppia. Le modalità di ogni singola famiglia di affrontare questo, come tutti gli altri momenti della quotidianità, dipendono dalla qualità della relazione coniugale. Non si può dire che le crisi di coppia siano scatenate dal

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figlio con problemi, ma esistevano già prima seppur nasco-ste. Si può sostenere che i problemi di comportamento e d’educazione del figlio possono essere gli effetti e le con-seguenze della crisi, dell’assenza di unità, di condivisione educativa ed affettiva.Risulta fondamentale alla sopravvivenza della coppia riuscire a trovare e a distingure il ‘tempo’: quello per sé stessi, per il coniuge e per il figlio.

Spesso il tempo è scandito da sentimenti peculiari: quanta solitudine e sofferenza pur essendo in mezzo a tante per-sone, ma in realtà chi ti capisce? È proprio l’incontro con altri genitori,l’ascolto, la condivisione delle esperienze che permette di superare questo senso di solitudine.

All’improvviso…ci avevi pensato già altre volte, i medici te ne hanno parlato spesso, ma quando accade non si è mai pronti. Ecco che ri-iniziano a prendere corpo nella mente i ‘perché’.In primo luogo saranno i genitori, come singoli, che do-vranno insieme agli altri membri della famiglia, ricostruire gli equilibri della rete familiare.

La famiglia e gli amiciI fratelli

Ai fratelli va riconosciuto il diritto a sapere e, di conse-guenza, il dovere del genitore a spiegare. E’ compito del genitore (dell’adulto) aiutare il bambino a ‘dare forma alla realtà’ fornendogli quanto gli serve per il raggiungimento di questo obiettivo,tenendo sempre presente che essere fra-tello o sorella di una persona con disabilità è profondamen-

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te diverso che esserne genitori. Considerato che la relazione fraterna è la più lunga che una persona possa sperimentare (Cicirelli, 1995), fratelli e sorelle hanno molte domande a cui trovare risposta. Sidoli (2002) sostiene che i fratelli siano coloro che maggiormente subiscono il ‘gioco familiare’, in-teso come l’insieme di regole, ruoli e comportamenti attra-verso i quali i membri del nucleo familiare si influenzano reciprocamente in presenza di un bambino disabile. E ciò porta a vivere il fratello disabile come ‘diverso’, i fratelli senza problemi colgono una differenza osservandolo e con-frontandolo con se stessi, ma il più delle volte non sanno dare a questa discrepanza un nome preciso. Vi sono geni-tori che volutamente tengono la verità nascosta agli altri figli, pensando in questo modo di proteggerli, mentre altri finiscono per non parlare perché troppo scossi dal dolore e dallo smarrimento. I silenzi dei genitori non sono sufficienti a tenere lontana la situazione del fratello disabile dagli altri figli, perché anche quando i bambini sono incapaci di espri-mere ciò che provano, avvertono la tristezza, la tensione e le preoccupazioni dei genitori e se ne chiedono la ragione. Quasi sempre i sentimenti dei fratelli e le loro ansie restano inespresse, non trovando spazio né in famiglia, né in altri luoghi; ciò di cui hanno bisogno è l’ammissione della pre-senza di problemi reali e concreti nei fratelli, così da non sentirsi esclusi o peggio ingannati.Rivestono un ruolo fondamentale la disponibilità, la sere-nità e la chiarezza degli adulti nel dare le informazioni che consentiranno al fratello senza disabilità di gestirla più fa-cilmente.

Cosa direBisogna prestare attenzione a non mentire né eludere le domande.‘Si chiama….’ è importante parlare della malattia o della di-

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sabilità chiamandola per nome; i ‘giri di parole’ e silenzi ri-schiano di trasmettere l’inquietante immagine di una ‘cosa’ talmente brutta da non poter neppure essere nominata.‘ La (nome della malattia o della disabilità) è…’ è apprezza-bile, per quanto possibile, dare un’informazione chiara con attenzione alle domande che vengono poste e legittimare l’espressione di emozioni negative e al contempo ricono-scere e valorizzare l’espressione di vissuti positivi.La ‘palla al piede’ il fratello diversamente abile o malato non deve essere vissuto solo come limite, ma anche come risorsa per tutta la famiglia e persona di portatrice di com-petenze e capacità.

La rete familiareLa storia di vita familiare e dei bambini rappresentano

momenti con caratteristiche diverse

Prima… c’è un prima della diagnosi caratterizzato dalle incertezze, dalle preoccupazioni, dalla necessità di assen-ze dei genitori per i controlli, per le terapie. Tutto ciò può incidere pesantemente sul clima familiare; è importante trovare il modo di comunicare quanto sta succedendo al fratello/sorella, per evitare che questo si traduca in disagi personali.Dopo… a diagnosi avvenuta, pur con le preoccupazioni del ‘cosa succederà da adesso in poi’ e la necessità di metabo-lizzare l’evento, l’attenzione si sposta sugli aspetti operati-vi, sul confrontarsi e imparare a convivere con la realtà del-la malattia e del proprio figlio. Questo percorso coinvolge anche i fratelli/sorelle, diventa importante quindi aiutarli a capire.Sempre…dal momento della sua comparsa la malattia re-sterà come presenza costante nell’esperienza della fami-

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glia. Non è una presenza statica, ma si modifica nel tempo perché cambia ciascun membro della famiglia. Per lo stesso motivo non è possibile pensare alla comunicazione in fami-glia come qualcosa che si esaurisce nel tempo, ma come un processo continuo.

Gli amiciGli amici rappresentano un’ alleanza preziosa anche nel si-lenzio, qualcuno che ti dice che puoi contare su di lui mo-strandolo coi fatti. Alcuni possono non riuscire a ‘stare al tuo passo’, ‘alle tue condizioni’, allora le distante diventano in-superabili. Molti amici vivono i tipici problemi che si avver-tono quando ci si accosta ad una malattia: non sono informa-ti e non hanno esperienza; talvolta non sanno come parlare o interagire con loro. Con un’appropriata informazione, sia i membri della famiglia sia quelli della rete amicale, possono offrirsi più facilmente in aiuto reciproco. Risulta vitale scam-biarsi conoscenze, parlare assieme dei progetti e aiutare a ca-pire i bisogni che circondano una malattia cronica.

BibliografiaDunn, J. e Plomin, R. (1990). Vite separate.

Perchè fratelli sono così diversi. Giunti Editore

I quaderni della Fa.Ce, Abbecedario delle famiglie.Moderato L., (2004) Aiutami a crescere, Tannini Editrice

Valtolina, G. G. (2004). L’altro fratello. Relazione fraterna e disabilità. Franco Angeli

DOTT.SSA PAOLA MARTINELLIAssociazione RING14 “Santa Maria Nuova”

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5. LA PAROLA ALLA SCUOLAPrima di iniziare queste mie riflessioni, ho pensato spesso a quale poteva essere la parola” magica” che poteva acco-munare genitori e insegnanti nel non facile cammino co-mune, ma i termini “rispetto, condivisione, informazione, crescita…” non facevano altro che ricondurmi ad una sola parola: AMORE.Il genitore ama il suo bambino e vuole per lui tutto il bene possibile, vuole che cresca sano e sereno, che diventi auto-nomo, anche se l’istinto è quello di proteggerlo, desidera per lui il meglio, qualunque siano le condizioni di partenza, le capacità e le sue difficoltà.L’insegnante vuole promuovere una adeguata crescita rela-zionale, comunicativa e cognitiva; in altre parole fa in modo che i suoi bambini apprendano, che imparino a tessere rap-porti positivi con compagni e adulti, in un clima di classe sereno: è un atteggiamento di AMORE.Se poniamo l’amore alla base di tutto, allora, anche se i punti di partenza sembreranno distanti, si giungerà, pur tra mille ostacoli, a realizzare il bene del bambino.Probabilmente, leggendo queste righe, ci sarà già qualcuno che pensa:”E’ pura utopia, sta idealizzando troppo!Convengo che spesso l’atteggiamento amorevole è ben ce-lato dietro comportamenti aggressivi, di difesa, di chiusu-ra, che però , a mio parere non nascondono altro che paure, insicurezze, delusioni.

L’immagine è tratta dalla pubblicazione di Cometa ASMME “Un amico speciale”

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L’inserimento scolastico rappresenta una tappa fondamen-tale nel percorso di vita di una persona e non può essere lasciato al caso.E’ l’ingresso del bambino nella società, rappresenta il con-fronto con la normalità, il primo, reale distacco dalla fami-glia che vi investe spesso alte aspettative, speranze di cre-scita e miglioramento per il proprio figlio.In tutti i genitori questo momento si accompagna spesso al-l’ansia: si troverà bene, che insegnanti avrà, come saranno, si farà degli amici, riuscirà ad imparare…?Direi che la stessa ansia coglie spesso anche gli insegnanti, soprattutto quando sanno che nella loro classe ci saranno alunni con problematiche diverse e si chiedono se saranno in grado di far fronte alle esigenze di tutti.

Cerchiamo di affrontare alcuni nodi che possono facilitare l’inserimento e il percorso scolastico, ben consapevoli che questo richiede impegno, responsabilità e ricerca da parte di tutti i soggetti coinvolti.

1. PRIMA DELL’INSERIMENTOE’ fondamentale un incontro con il Dirigente per spiegare quali sono i bisogni e le problematiche relative al proprio bambino..Egli potrà prendere contatti con gli operatori AUSL che lo seguono ed eventualmente con le insegnanti della scuola dell’Infanzia frequentata in precedenza per il passaggio delle informazioni alla scuola primaria.Verranno così informati:

insegnanti della classe di accoglienzainsegnanti di sostegno

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collaboratori scolasticipersonale addetto alla mensa ( in presenza di problema-tiche particolari, riferite all’alimentazione)

Gli incontri saranno importanti perfar emergere problemi, bisogni, emergenze, abitudini allestire uno spazio adeguato con superamento di bar-riere architettonicheorganizzare i collaboratori scolastici ( bidelli) per pro-blematiche legate all’igiene personale e all’utilizzo dei bagni.individuare eventuali acquisti per favorire una miglio-re qualità dell’inserimento: attrezzature, giochi didattici, computer, programmi particolari…verificare la necessità di attivare il servizio di trasporto scolasticogarantire, ove richiesto, un servizio mensa adeguato alle esigenze personali.

2. INSERIMENTO/ACCOGLIENZAA settembre i genitori parteciperanno alla consueta assem-blea di inizio anno con le insegnanti di classe, ma potranno richiedere, dove non venga proposto dalla scuola stessa, un ulteriore incontro per preparare nel modo migliore l’acco-glienza, per descrivere quelli che sono i punti di forza del bambino, ciò su cui far leva, ascoltare le proposte delle in-segnanti e insieme discuterle, condividerle.Le insegnanti avranno un incontro diretto con le docenti di scuola dell’Infanzia per poter avere maggiori elementi di conoscenza ed inserire l’alunno nel gruppo-classe più ade-guato.

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In base all’organizzazione di ogni scuola sono possibili mo-menti di presenza dei genitori durante le lezioni, per con-sentire un inserimento graduale, in classe.

Occorre ricordare che ogni Istituto è dotato di un POF ( Pia-no dell’Offerta Formativa), un po’ il biglietto da visita del-l’Istituto che, al suo interno, promuove e garantisce i pro-cessi di integrazione scolastica e la personalizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento di tutti gli alunni e, in particolar modo, di coloro che si trovano in situazione di disabilità.Il “progetto accoglienza”stilato dal gruppo-docente ha lo scopo di creare un clima positivo, piacevole, crea le condi-zioni per far in modo che i bambini si conoscano attraverso il gioco e il racconto di sé, prendano confidenza col nuovo ambiente e con le persone che vi lavorano, pone le basi per un rapporto di fiducia con l’insegnante.

3. COMPAGNI/AMICIIl bambino disabile è, prima di tutto, persona e come tale ha bisogno di relazioni, di amicizie, di sentirsi parte di un gruppo.E’ un lavoro quotidiano, dove si può assistere al rifiuto di alcuni compagni che non sanno come porsi, ad altri che istintivamente si avvicinano e vogliono conoscere, sapere, aiutare.E’ una crescita reciproca, che può contribuire ad abbattere quel muro di paura e di ignoranza che ancora oggi divide le persone.Il comportamento che paga è sempre quello della chiarez-za: più i bambini vivono la disabilità del compagno, più si

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avvicinano e lo apprezzano per i suoi pregi, le sue abilità.Spesso sono i compagni stessi che fanno notare piccoli o grandi traguardi conseguiti e ne gioiscono insieme, aumen-tando nell’alunno disabile la soddisfazione, l’autostima e il senso di appartenenza al gruppo.In classe spesso emergono figure tutoriali assolutamente spontanee che seguono il compagno durante le lezioni.Quando poi crescono o nei percorsi di scuola secondaria di 1° e 2° grado saranno le scuole stesse ad affiancare, se ne-cessario, un tutor che si prenda cura del compagno, faciliti l’apprendimento, lo affianchi nello studio, a scuola, a casa.Non si dovrebbero sottovalutare anche gli incontri più in-formali: la gita di classe, la festa della scuola, serate orga-nizzate dai genitori stessi per approfondire conoscenze e intrecciare legami più forti.La conoscenza favorisce una maggiore apertura, porta ad allargare la rete amicale, apre ad inviti pomeridiani…

4. APPRENDIMENTOTenuto conto delle potenzialità dell’alunno disabile e delle sue difficoltà, l’AUSL stende la DIAGNOSI FUNZIONA-LE, finalizzata al massimo recupero possibile.La L.104/92, recante norme per l’assistenza, l’integrazio-ne sociale e i diritti delle persone handicappate, fa segui-re all’acquisizione della documentazione della Diagnosi Funzionale, un Profilo Dinamico Funzionale che indica le possibilità di recupero, le capacità possedute che devono essere sollecitate, rafforzate e sviluppate.Questo consente di predisporre, all’inizio di ogni anno sco-lastico, il PEI ( Piano Educativo Individualizzato) che vie-ne definito dal personale insegnante con la collaborazione

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degli operatori AUSL e dei genitori dell’alunno.L’apprendimento è un obiettivo rilevante dell’inserimento scolastico, per tutti gli alunni, anche per chi è in condizioni di estrema gravità, permette una crescita adeguata, aumen-ta l’autonomia, fosse anche quella di imparare a mangiare da soli. Un apprendimento che rispetti i tempi e le modalità dell’individuo fornisce strumenti per il futuro, crea le con-dizioni perché ciascuno possa dare il meglio di sé.Il PEI viene integrato con la Programmazione Didattica di-sciplinare, contiene modalità di svolgimento delle attività e dell’organizzazione, individua l’organizzazione oraria del-l’insegnante di sostegno e degli altri docenti, favorisce la programmazione delle attività extrascolastiche educative.Il PEI è un punto di riferimento importante per le famiglie, qui viene esplicitato e verificato il lavoro svolto dal bambi-no, in base alle sue competenze.Spesso gli insegnanti devono, a loro volta, formarsi e infor-marsi per utilizzare al meglio i supporti tecnici indispensa-bili, come il computer, le tastiere speciali, i programmi ap-positi che aumentano il livello di autonomia del bambino, il suo grado di conoscenza e di comunicazione con gli altri.L’inserimento in piccoli gruppi di lavoro, dove anche il bambino disabile può apportare il suo contributo, dà risul-tati positivi: porta al piacere dell’ apprendere, del cooperare per uno scopo comune, offre a tutti la possibilità di sentirsi utili e riduce i livelli di ansia, modera i conflitti e contribui-sce a sentirsi parte del gruppo.

5. RAPPORTI SCUOLA – FAMIGLIADurante l’anno, la scuola predispone diversi momenti di incontro al fine di informare le famiglie sull’andamento

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scolastico del proprio figlio e per consegnare la Scheda di Valutazione.Sia docenti che genitori possono richiedere ulteriori incon-tri di approfondimento.Spesso questi scambi non bastano e, se non si vuole ricor-rere a continue telefonate, può essere utile l’utilizzo del diario scolastico non solo per l’assegnazione dei compiti, ma come tramite tra la famiglia e la scuola, dove annotare osservazioni, miglioramenti, difficoltà, esperienze di gioia, piccole osservazioni dei compagni e il genitore può rispon-dere con annotazioni di dubbi, soddisfazioni, esperienze vissute con la famiglia su cui far leva in classe.E’ un modo per costruire insieme un sapere condiviso, dove famiglia e scuola non siano in contrapposizione, ma si sentano corresponsabili del percorso di vita del bambino.

Ho un’immagine, nella mente, di cui vorrei far partecipi i lettori.

Penso a un bambino tenuto per mano dalla mamma o dal papà, da un lato e dall’altro da un’insegnante; la strada è accidentata, ci sono ostacoli da superare, intoppi, magari il bambino è un po’ stiracchiato da una parte o dall’altra, in certi momenti, ma le due mani sono ben salde, non lo lasciano fino a che lui ce la fa a camminare da solo.Credo che genitori e insegnanti si debbano battere per pre-tendere il meglio per il loro bambino.

VANNA ZUELLIInsegnante

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“ Non accettarmi come sono”Uno dei libri più noti dello psicologo rumeno Reuven Feuerstein si intitola: “Non accettarmi come sono”.A prima vista, sembra un’affermazione non solo provocato-ria, ma quasi discriminante e offensiva. Anche se con tante difficoltà, non cerchiamo, nella nostra cultura, di promuo-vere l’ascolto, l’accoglienza, l’incontro dell’altro nella sua diversità, qualsiasi essa sia? Cosa significa, allora, questo titolo: cosa non bisogna accettare? Qualcuno o qualcosa di un altro? Per rispondere dobbiamo fare un passo indietro e spiegare che questo psicologo ottantaseienne, Feuerstein, (“Pietra di fuoco”) ha una storia particolare. Precoce insegnante (a 8 anni insegnava ai coetanei la lingua ebraica sui testi sacri sui quali egli aveva imparato a leggere all’età di 3 anni) e reduce, giovanissimo, da un anno di internamento in un campo di concentramento, riesce, nel 1948, a raggiungere il neonato Stato di Israele e lì si dedica ai ragazzi ebrei che, provenienti dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale, sono ritenuti irrecuperabili e quindi non inseribili nei per-corsi scolastici regolari.Questi bambini e adolescenti, con storie dolorosissime alle

6. LA SFIDA DI FEUERSTEIN:Incoraggiare e sostenere il cambiamento

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spalle e incredibilmente bisognosi di sicurezza affettiva, so-ciale e ideale, si comportano come gravi insufficienti men-tali. I pedagogisti israeliani li considerano, per le gravi con-dizioni, non più educabili.Ma Feuerstein inizia con loro la sua sfida: elabora un Pro-gramma di Arricchimento Strumentale (PAS) e li inserisce in piccoli gruppi nei villaggi, a contatto con adolescenti “ normali”.Dopo 2 anni di PAS i ragazzi “ irrecuperabili” si dimostra-no, ai tests generali di intelligenza e ad altre indagini co-gnitive, migliori rispetto ai coetanei ( con una situazione di partenza meno grave) indirizzati ai normali programmi di recupero.Cosa ha fatto Feuerstein? Ha scommesso su due fattori:- sulla capacità dell’individuo di modificarsi, di cambiarsi- sull’importanza cruciale del mediatore che si interpone tra gli stimoli ambientali e il soggetto che apprende ed agisce intenzionalmente perché non venga meno l’incontro tra la mente del ragazzo e la miriade di forme che assume il de-posito culturale di ogni società , con i suoi differenti lin-guaggi, metodi e strumenti.

La modificabilità cognitiva strutturaleFeuerstein ritiene che l’intelligenza non sia corrispon-dente ad una “ quantità” di risultati misurabili né ad un “ saper fare” ripetitivo ma sia piuttosto “ la capacità del-l’individuo di modificarsi, di cambiarsi”. “ Sei un uomo, sei modificabile”: questo è il suo assunto di partenza che abbraccia ogni trasformazione (mentale, relazionale, com-portamentale, sociale) della persona che interagisce con la realtà, con gli altri, con se stessa.Cominciamo allora ad intravedere un possibile significato

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del titolo citato in partenza. La fiducia nella modificabilità umana contrasta l’accettazione passiva delle condizioni di partenza di una persona perché queste “mirano unicamente all’adattamento all’ambiente e al mantenimento del livello attuale di rendimento dell’individuo piuttosto che all’arric-chimento delle sue capacità e del suo comportamento per fargli raggiungere una migliore qualità di vita” (R. Feuer-stein, “Non accettarmi come sono”, Sansoni Editore, p. 17)Per Feuerstein l’accettazione passiva significa tollerare la menomazione, considerandola immodificabile, e investire non sulla possibile trasformazione delle persone ma del-l’ambiente (cfr. op. cit. p. 17)A questo proposito l’autore parla di “ modificabilità cogni-tiva strutturale “ e rimarca che ,affinché si realizzi, è neces-sario che il cambiamento comprenda una forte relazione tra la parte e il tutto (“ strutturale”) perché esso non investe solo un settore specifico dell’apprendimento, ma si espan-de ad altre funzioni o sistemi. Il ragazzo, per esempio, non impara con il PAS, solo a calcolare, ma è sollecitato ad uti-lizzare funzioni limitrofe come il bisogno di confrontare, stabilire relazioni, sviluppare la motivazione intrinseca al compito.La modificabilità cognitiva strutturale porta il ragazzo ad opporre minor resistenza a proposte nuove o difficili e ad essere maggiormente coinvolto in processi di cambiamen-to: questo atteggiamento tende a mantenersi nel tempo e ad estendersi in altri contesti .Se, come si diceva, la modificabilità abbraccia ogni tipo di trasformazione, perché Feuerstein parla di modificabilità “ cognitiva”? Citando il detto sapienziale“ Quando date un regalo a qualcuno, fateglielo sapere, fateglielo riconoscere”, l’autore intende affermare che apprendere significa trascen-dere i singoli contenuti su cui mi esercito e accompagnare

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il mio imparare (in senso lato) con un atto di coscienza che ha un valore enorme. Imparare ad imparare (questo è lo scopo!) vuol dire sco-prire e far scoprire al ragazzo qual è il modello, l’ordito di possibili mille altre esperienze.Allora come insegnanti o genitori , la realtà della modificabi-lità cognitiva strutturale ci induce a cambiare prospettiva.Abituati a fare una necessaria analisi della situazione di partenza, spesso iniziamo dai bisogni dei ragazzi (che non devono mai essere ignorati) ma che ci portano a puntare l’attenzione su ciò che manca, sui loro deficit. Però , anche in ambito terapeutico, sappiamo che ogni cam-biamento è possibile solo all’interno di una relazione in cui l’altro , il ragazzo in questo caso, non sia considerato un “ caso da diagnosticare” ma una persona in evoluzione nella quale si riscontrano risorse utili al cambiamento e al suo mantenimento. Fare la requisizione dei bisogni della persona è solo il pri-mo passo: quello successivo è trovare le sue domande, le sue aspettative, le sue risorse, la sua unicità. Tradotto in parole semplici significa aiutare il ragazzo a chiedersi non tanto“ cosa mi aspetto dalla vita” ma cosa mi aspetto da me, cosa posso dare agli altri. Se l’insegnante o il genitore si focalizzano solo sui bisogni del ragazzo (spesso urgenti e frammentari) è facile pensare che imparare sia acquisire delle tecniche, intese come strategie uguali e ripetitive: di-ventare “ capace di...”, “ veloce in...” , in una parola ricevere un buon addestramento.Forse è l’immagine di studente che tanti insegnanti si por-tano dentro, giustificandola con una difficile situazione di partenza, con i rifiuti che i ragazzi possono manifestare, con le parole di rinuncia che, per abitudine o paura, frenano la speranza di potersi mettere ancora in gioco.

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I primi a credere che un ragazzo possa desiderare di ap-prendere, di cambiare, di migliorare la sua vita dobbiamo essere noi adulti.

La mediazione educativa

Affrontiamo ora il secondo fattore indispensabile all’ap-prendimento: la mediazione. Per Feuerstein essa è “un fat-tore universale, capace di incidere sulla struttura cognitiva umana e di creare nuove strutture che prima non esisteva-no. Essa integra tutti gli altri elementi : l’eredità genetica, la costituzione, la maturazione e l’interazione attiva con l’am-biente”. Il lavoro sugli strumenti del PAS (di cui, più avanti, preciseremo meglio le caratteristiche) è triangolare perché sono necessari sempre tre elementi: gli stimoli , forniti dallo strumento, il ragazzo in situazione di apprendimento e il mediatore cioè l’insegnante o l’educatore che si interpone tra i due. Il mediatore è una specie di “ filtro”, tra il ragazzo e l’am-biente, che lo orienta e ne accompagna intenzionalmente l’evoluzione. Egli è tanto più efficace quanto più cura la qualità della mediazione ovvero del rapporto educativo. Feuerstein individua 12 criteri di mediazione , di cui i pri-mi 3 sono assolutamente essenziali per costruire una buona relazione educativa.La prima, mediazione di intenzionalità e reciprocità, si riferisce al fatto che l’educatore si propone prima di tutto di entrare in rapporto col soggetto, di “agganciarlo” e di aiutarlo a mettere a fuoco gli stimoli. Ciò richiede all’educa-tore di scegliere e creare, di volta in volta, le condizioni più favorevoli all’apprendimento e alla relazione educativa. (cfr. P. Vanini, “Potenziare la mente? Una scommessa possi-bile”, Vannini editrice, p. 39). La seconda, mediazione del

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significato, vuole far emergere l’interesse e la motivazione del ragazzo e coinvolgerlo, con il suo bisogno di ricerca di un senso, nell’esperienza dell’apprendimento, affinché di-venti per lui personalmente significativa.La terza, mediazione di trascendenza, si propone di allar-gare e riconoscere una sfera più ampia di bisogni cognitivi e di valori e di aiutare il ragazzo a trasferire ciò che ha im-parato ad altri ambiti diversi ma compatibili (cfr. Vanini, op. cit. p. 43).Ecco perché, per un insegnante o un genitore, può essere ingannevole fermarsi ai bisogni o alle richieste immediate: è necessario aprire orizzonti e guadagnare prospettive più ampie. Il mediatore potenzia la strumentazione cognitiva del ragazzo e contemporaneamente ne sostiene l’autostima e ne incrementa il senso di responsabilità personale perché punta alle sue capacità di destreggiarsi nel mondo, di assu-mere decisioni e scelte, di imparare ad apprendere e trasfe-rire in contesti diversi e nuovi quelle risposte adeguate che si sono rivelate efficaci in un compito specifico.

L’attività didattica con gli strumenti del PASCome si diceva all’inizio, Feuerstein ha ideato 14 diversi strumenti per un Programma, il PAS, che si prefigge i se-guenti obiettivi:- correggere le funzioni cognitive carenti- sviluppare strumenti verbali e operazioni logiche necessa-rie all’apprendimento- stimolare l’acquisizione di abitudini cognitive positive- mediare il pensiero riflessivo- produrre una motivazione intrinseca al compito- mediare il cambiamento della propria immagine, da ri-cevitore/riproduttore passivo di informazioni a quello di

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generatore attivo di nuove informazioni (cfr. Vanini, op. cit. p. 21)Gli strumenti, composti da schede di lavoro predisposte in ordine di difficoltà., astrazione e complessità crescenti, sono a- disciplinari cioè propongono un tipo di “ laborato-rio didattico” su capacità e competenze trasversali ad ogni possibile materia scolastica e trasferibili ad ambiti più ampi, compresa l’esperienza di vita quotidiana.La “ lezione” sugli strumenti è scandita da momenti precisi che orientano alla meta: come su un sentiero di montagna, ci sono soste, tempi personali di cammino ma è chiaro a tutti dove e perché si va.L’insegnante – mediatore osserva la scheda dello strumento di lavoro, individua con i ragazzi gli obiettivi, prevede le eventuali difficoltà nell’esecuzione del compito e le possibili strategie di soluzione. Ogni ragazzo esegue il compito della scheda, accompagnato dall’attenzione vigile del mediatore che interviene, se necessario, in modo individualizzato.In gruppo si confrontano non solo i risultati ma soprattutto si discute sulle strategie e sui processi utilizzati, valorizzan-do gli errori per comprendere meglio il lavoro svolto.Al termine si “trascende” la specificità dell’esecuzione del compito attraverso due importanti attività: la generalizza-zione e il bridging.Con la generalizzazione si concorda insieme la formulazio-ne, in termini più generali, di una regola, di un principio o di una constatazione emersi nel lavoro.Con il bridging si trasferisce la generalizzazione ad altri campi di esperienza. Tutto ciò aiuta l’insegnante a non ri-durre questo metodo ad una tecnica ma a farne un’espe-rienza vissuta per aiutare il ragazzo a riflettere su come ha imparato (“perché ho eseguito proprio così il compito? Qual è la soluzione più adeguata? Ce ne possono essere altre?

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Dove si annida la difficoltà? Cosa bisogna fare per svolgere l’attività? Cosa si impara? ...) .Il mediatore , quindi è colui che in modo intenzionale sele-ziona ed evidenzia gli stimoli, li ripete, ne modifica l’inten-sità, l’ordine, la durata, regola le risposte dei ragazzi perché possano più agevolmente individuare le connessioni tra i dati, definire i problemi, anticipare mentalmente le conse-guenze delle soluzioni che ipotizzano, controllare l’impul-sività e ridurre il procedimento per prove ed errori (cfr. Va-nini, op. cit. p. 117 e seg.).Il mediatore è un filtro prezioso, tra gli stimoli della sche-da e il ragazzo, perché egli possa gradualmente affronta-re il compito in modo autonomo ed efficace. L’insegnante promuove, incoraggia e sostiene la sfida del ragazzo a se stesso, radicando il senso di competenza, la percezione di poter controllare il proprio apprendimento attraverso la pianificazione del comportamento, in vista di esperienze di successo, riconoscendo eventuali errori per comprenderli e ridurli.Tutto ciò rinforza e alimenta la fiducia personale in un “cir-colo virtuoso” (insegnante/alunno) di riconoscenza cioè di riconoscimento reciproco del proprio e altrui valore , in un processo dinamico di crescita per entrambi in cui si è “dono” l’uno per l’altro.

La mia esperienza personaleHo frequentato i 3 livelli di preparazione per l’applicazione del PAS a partire dal giugno 2001: è stata per me l’occasione di rinnovare, insieme ad un gruppo di colleghi, la motiva-zione profonda della mia attività d’insegnante.Al di là degli strumenti affrontati, mi sono riconosciuta nel-l’ottimismo fiducioso di Feuerstein che crede nella possi-

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bilità di apprendere e modificarsi positivamente in ogni età e situazione di vita. Ho ritrovato la centralità della rela-zione educativa (spesso messa da parte a favore della quan-tità di contenuti da svolgere o di tecniche da imparare) e la reciprocità di rapporto che accomuna insegnante ed allievo nel percorso di apprendimento .Certo, non sono cose nuove ma come insegnante si corre il rischio di dimenticarle, presi dal ritmo frenetico del lavo-ro frammentato da inappellabili suoni di campanella, bu-rocratiche programmazioni didattiche ( che spesso legge solo chi le redige) , miriadi di attività , le più varie, in cui prevalgono il “ fare” e la “ quantità” di offerta piuttosto che il significato condiviso di ciò che si sceglie e si costruisce insieme. Ho avuto il privilegio di applicare parte del PAS (38 ore) con Andrea, un ragazzo di 18 anni affetto da acidosi me-tilmalonica: lo scopo è stato il raggiungimento di una mag-giore autonomia nello studio e l’orientamento, attraverso esercizi specifici, alle operazioni mentali astratte.L’incontro con Andrea è stato arricchente e gratificante: ab-biamo imparato pian piano a conoscerci e a stabilire un lin-guaggio comune, abbiamo utilizzato un modo di lavorare preciso, ma anche creativo, abbiamo progettato un percorso e lasciato spazio alla riflessione calma e attenta di ciò che accadeva di volta in volta. Chi non vorrebbe lavorare così con ogni allievo?.Ho visto Andrea passare da un atteggiamento obbediente, ma timoroso e un po’ distaccato, a un’apertura fiduciosa verso il compito da affrontare e verso di me.Ho constatato con lui i progressi graduali nella capacità di rimanere concentrato, dapprima solo nel momento operati-vo dell’esecuzione, poi anche nella generalizzazione e nella riflessione metacognitiva. L’ho visto entusiasmarsi per l’as-

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senza di errori e per il tempo veloce con cui completava la scheda.Dopo circa due mesi l’ho visto decollare verso un atteggia-mento sempre più sicuro e “ complice” nel percorrere spazi di autonomia affettiva e relazionale: forse il metodo è sta-to l’occasione preziosa per riflettere su questi cambiamenti che sono diventati consapevolmente interiori.Il rapporto educativo è sempre di reciprocità perché non si può dire né dare ciò che non si è, ma mentre aiutiamo un altro a crescere , cresciamo con lui.E’ a me , per prima, che ho dovuto ricordare la possibilità di cambiare, di mettermi in ricerca, di accettare la sfida, di accogliere gli errori senza perdere fiducia. E’ a me che te-nacemente ho chiesto: “ come” ho fatto? “ Perché” proprio così? Qual è lo scopo?Applicare il metodo Feuerstein con Andrea mi ha dato co-raggio, motivazione, gioia. Mi ha allenato , guardando lui e il suo incerto futuro, alla pazienza e alla gratitudine. E an-cora una volta mi ha fatto stupire della ricchezza nascosta in ogni esistenza.

DR.SSA ARIANNA TEGANIInsegnante

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“Lascia che il cibo sia la tua medicina, e la medicina il tuo cibo”(Ippocrate – padre della medicina)

Quando si parla di Malattie Metaboliche Ereditarie viene naturale pensare ai concetti di alimentazione, nutrizione e dieta. L’ALIMENTAZIONE, una delle funzioni fondamentali della vita, è l’assunzione da parte di un organismo viven-te delle sostanze indispensabili per il suo metabolismo e le sue funzioni vitali. La NUTRIZIONE, invece, riguarda il rapporto tra la dieta (intesa come regime alimentare) e lo stato di salute e malat-tia dell’individuo. L’esistenza di tale relazione è stata rico-nosciuta fin dall’antichità.La parola DIETA deriva dal greco “diaita” che significa de-cisione e REGOLA DI VITA. Non potrebbe esserci defini-zione migliore per i malati metabolici che devono seguire, in modo scrupoloso e continuativo, la dieta personale pre-scritta dal medico metabolista, in modo che essa diventi un vero alleato e una regola di vita.Il termine METABOLISMO viene utilizzato per designare l’insieme dei processi chimici dell’organismo, finalizzati al-l’utilizzo ottimale delle sostanze assunte.Per ALIMENTO viene considerata qualsiasi sostanza che,

ALIMENTAZIONE E SALUTECome alimentarsi per stare meglio

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introdotta nell’organismo, è in grado di fornire elementi energetici, nutritivi e plastici, indispensabili alla crescita e allo svolgimento delle funzioni vitali dell’individuo.E’, perciò, utile conoscere caratteristiche e proprietà dei principi nutrienti dell’alimentazione, che sono tutti impor-tanti: zuccheri o carboidrati, proteine, grassi o lipidi, mine-rali e vitamine.Gli ZUCCHERI O CARBOIDRATI sono la fonte energe-tica principale in quanto vengono rapidamente metaboliz-zati in glucosio, che viene utilizzato come “carburante” per lo svolgersi di tutte le funzioni delle cellule e dei tessuti. Le maggiori fonti alimentari di carboidrati sono gli alimenti farinacei, come pane e pasta, le patate, la frutta e il latte.Le PROTEINE sono il principale materiale plastico che ser-ve per la costruzione dei tessuti e degli organi. I muscoli, ad esempio, sono principalmente costituiti di proteine.Hanno, inoltre, una funzione importante per il sistema im-munitario e ormonale e possono essere usate per produrre energia in carenza di glucidi. Le maggiori fonti alimentari di proteine sono la carne, il pesce, il latte, le uova e i legumi.I GRASSI O LIPIDI possono essere considerati come una riserva di energia poiché vengono utilizzati più lentamen-te che i glucidi. Sono fondamentali per il mantenimento delle membrane cellulari e per l’assorbimento di alcune vitamine(A, D, E, e K). I lipidi sono contenuti, soprattut-to, nei condimenti grassi come burro e olio, ma anche nella carne, nel pesce e nella frutta secca.I SALI MINERALI sono oligoelementi molto importanti, vediamone alcuni. Il calcio è un costituente delle ossa e dei denti, è importante per il funzionamento dei muscoli e dei nervi. Il ferro è un componente fondamentale dell’emoglo-bina del sangue. Il magnesio è importante per i muscoli, il cervello e il sistema immunitario. Il potassio è fondamen-

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tale per la trasmissione degli impulsi nervosi e il funziona-mento dei muscoli, in particolare del muscolo cardiaco. Lo zinco è coinvolto nella funzione di molti enzimi. Il cromo è importante per l’azione dell’insulina.LE VITAMINE sono sostanze che non possono essere sin-tetizzate dal corpo umano e devono quindi essere assunte necessariamente tramite gli alimenti. Vengono distinte in vitamine idrosolubili (B, C) e liposolubili (A, D, E, e K). Esse hanno una funzione di attivazione degli enzimi e svolgono un’attività antiossidante.E’ bene seguire alcuni consigli per evitare di consumare ali-menti impoveriti di vitamine:

preferire gli alimenti di stagione, possibilmente biologicievitare le primiziela cottura prolungata provoca il decadimento progressi-vo del contenuto vitaminico, al contrario la surgelazione ne favorisce il mantenimentoconservare frutta e verdura in frigorifero, al riparo da luce e ariaconservare l’olio in una bottiglia ben chiusa e al buiopreparare ortaggi e frutta solo prima di consumarli, la-vandoli interi e tagliandoli solo successivamentecuocere in poca acqua, recuperando il liquido di cottura

Tutti gli alimenti, ad esclusione dell’acqua, contengono calorie.La CALORIA è l’unità di misura per esprimere il valore energetico del cibo: 1 grammo di carboidrati fornisce 4 ca-lorie, 1 grammo di proteine fornisce 4 calorie, 1 grammo di grassi fornisce 9 calorie. Può succedere che, come conse-guenza di una malattia metabolica, si presenti nel bambino una certa inappetenza, una “paura” del cibo, che può es-sere visto come un “nemico”, oppure una difficoltà ad ac-cettare alimenti speciali con gusti particolari. Vediamo in-

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sieme, allora, alcuni consigli che possono aiutare i genitori a gestire al meglio una situazione di questo tipo.- La percezione della bontà di un alimento è sempre affidata al coinvolgimento di tutti i sensi, così per valutare un cibo risultano essere importanti, non solo il gusto, il colore, ma anche l’odore e il profumo, il contatto fisico e la sensazione a livello della bocca.- Se il bambino piccolo ha nella dieta la possibilità di man-giare frutta e verdura può essergli presentata giocando sui colori e creando delle simpatiche figure, ad esempio un trenino con le rondelle delle zucchine e delle carote….- Può risultare utile anche lasciare al bambino la possibilità di giocare col proprio cibo in un piattino, in modo che con la manipolazione ne veda la non pericolosità.- I famigliari dovrebbero mangiare qualche suo alimento speciale, per dargli un senso di tranquillità e di condivisio-ne di eventuali sapori particolari.- L’apparecchiare bene la tavola con stoviglie colorate, il sedersi vicino a lui e parlargli con un tono pacato, il non avere fretta di vedere il suo piatto finalmente vuoto sono dei comportamenti che diventano dei facilitatori nel suo rapportarsi in modo positivo con il cibo.- La sua festa di compleanno deve sempre essere organiz-zata e preparata per tempo, con grande cura, in collabora-zione non solo con i famigliari, ma anche amici, compagni di scuola e insegnanti in modo che sia una festa partecipata Per lui sarà un momento tutto suo, al centro dell’attenzio-ne, quindi molto importante.- Si possono offrire anche agli altri bambini i suoi alimenti speciali, come ad esempio i biscotti, e il successo sarà as-sicurato perché le novità attirano sempre i piccoli, che si creano meno problemi degli adulti.

ROSANNA STROZZIRappresentante Cometa ASMME

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Esperienze di vita metabolica

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Sono la mamma di un ragazzo di 23 anni, Giacomo, che è la luce della mia vita.

Giacomo è nato con una grave malattia metabolica il cui nome sembra una minaccia “acidosi metilmalonica”, manifestatasi nel secondo mese di vita.Passato il primo periodo, quello più drammatico, fatto di rab-bia e di incredulità, tutta la famiglia si è messa al servizio di Giacomo,nonni inclusi, cercando di nascondere l’angoscia e di farlo vivere nel modo più sereno possibile. Abbiamo deciso che chiunque ha diritto alla felicità e abbiamo lot-tato per donargliene almeno un poco , donandola così anche a noi stessi.Da Giacomo abbiamo imparato a gioire delle piccole cose, accan-tonando i nostri egoismi, ma soprattutto fin dall’inizio abbiamo capito che aveva bisogna di tanto amore, quindi suo padre ed io abbiamo lottato per mantenere solido il nostro rapporto; ci siamo presi i nostri spazi e ci siamo accorti con il tempo che lui era felice di questo e se qualche sabato sera non uscivamo, ci domandava il perché e ci spronava fin da piccolo ad uscire. Con questo vorrei sottolineare quanto sia importante per questi ragazzi avere alle spalle una famiglia unita che dia loro serenità.Fino al sesto anno Giacomo ed io, in simbiosi, abbiamo vissuto più tempo in ospedale che a casa, tanto’ che lui si è affezionato a

8. UNA MAMMA SI RACCONTA

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tutto il personale medico e paramedico facendolo diventare quasi una componente della nostra famiglia.Prima dell’inserimento nella scuola abbiamo lavorato molto sulla sua consapevolezza dell’obbligo del regime dietetico; la dieta gli sarebbe stata imposta per tutta la vita quindi era del tutto inutile che anche noi ci fossimo messi a mangiare come lui. Fin da subito doveva misurarsi con il fatto che ogni volta si fosse messo a ta-vola con persone diverse dalla sua famiglia, avrebbe mangiato in modo diverso e per lui doveva diventare normale avere una dieta a parte. Ci siamo detti che era meglio non fargli fare assaggi della nostra cucina affinché non se ne ingolosisse e ha funzionato poi-ché non avendo per anni conosciuto i sapori di questa, nei periodi di sperimentazione di aumento delle proteine ci siamo resi conto che proponendogliene alcuni, ne rifiutava il sapore.In casa non abbiamo mai nascosto il cibo o messo il lucchetto al frigorifero; Giacomo ha partecipato a tutte le feste dei suoi amici senza essere guardato a vista e, se qualcuno, non conoscendo il suo problema, gli offriva qualche cosa per lui proibita, gli spiegava il perché. Non poteva accettarla sentendosi così più grande.Ora se vogliamo parlare della “diversità” di Giacomo, provocata dalla malattia, possiamo dire che si è evidenziata nel momento dell’inserimento nella scuola; come tutti i bambini affetti da ma-lattia metabolica subiva un forte condizionamento dettato dalle esigenze dietetiche, maggiore affaticamento e una scarsa capacità di stare concentrato per lunghi periodi. Il direttore della scuo-la elementare mi propose il sostegno ma, valutando la situazione nella sua completezza non si è reso necessario questo tipo di sup-porto.In quel momento io ed il padre di Giacomo decidemmo che ci sa-remmo fatti carico della crescita culturale del nostro bambino, af-finché avesse potuto in età adulta avere i mezzi per tutelare i suoi diritti e avere voce per difenderli.La strategia fu quella di responsabilizzarlo fin da subito, di con-

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vincerlo che pur nel rispetto dei suoi tempi, avremmo insieme, superato gli ostacoli e avremmo dimostrato al mondo intero di potercela fare.Il primo grande impegno fu curare l’inserimento in classe: per prima cosa insegnai a Giacomo a non nascondere i suoi problemi, ma a parlarne tranquillamente con i suoi compagni e così feci anch’io con le loro mamme contando sul fatto che nella maggior parte dei casi la conoscenza annulla l’ignoranza e quindi si sareb-bero evitate domande stupide che avrebbero potuto mortificarlo.Ricordo che in terza media, avendo rilevato in classe da parte di alcuni compagni una curiosità quasi morbosa verso le strane me-rendine che portava a scuola, Giacomo chiese all’insegnante di lettere di potere parlare a tutta la classe e spiegò a tutti che non era un “ufo” perché nell’ora di ricreazione mangiava cose a loro sconosciute, ma doveva seguire una dieta particolare per potere stare bene; inoltre spiegò loro che non poteva andare al campo scuola con loro perché si affaticava troppo e il suo fisico non glielo permetteva, ma era fortissimo nei giochi di società o di strategia e li avrebbe sfidati volentieri. Da quel giorno ebbe dimostrazione di affetto e rispetto da parte di tutti i compagni.Nel lungo percorso scolastico ho cercato di aiutarlo costantemente mettendogli a disposizione un metodo di studio che gli permet-teva di concentrarsi solo sulle cose importanti dei testi a volte facendogli riassunti mirati, altre costruendogli schemi a caduta, il tutto per metterlo in condizione di stare al passo con la pro-grammazione scolastica.L’ho stimolato in continuazione, l’ho incoraggiato nei momenti difficili facendolo sentire “bravo” e in effetti lo era perché non ha mai sprecato tempo ed è stato concentrato sulla scuola molto più di tanti suoi compagni pieni di capacità. Non nego che tutto que-sto è costato molta fatica, tempo ed energia.Vi assicuro che ho studiato con lui e per lui tanto che, io ragio-niera, avrei potuto fare con lui l’esame di maturità come perito

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agrario. La nostra con il tempo è diventata una sfida: arrivare là dove nessuno poteva pensare che Giacomo sarebbe arrivato.Oggi Giacomo è laureato in Scienze Ambientali, una disciplina della Facoltà di Matematica e Fisica, nonostante la malattia ed un trapianto di rene.Ma non ha solo studiato, ama la musica, suona la batteria e ha frequentato per anni le piste di go-kart, inoltre da qualche mese ha una fidanzata.Nessuno di noi può sapere cosa ci serba il futuro, ma in famiglia va molto forte il motto “cogli l’attimo fuggente” e funziona!!!

PAOLA BUCCHIGenitore

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Sono la mamma di Nicola, un ragazzo affetto da Aciduria Metil-malonica, che gli è stata diagnosticata all’età di 4 anni e mezzo (ora ne ha 23). In tutti questi anni ho passato con lui alcuni mo-menti brutti, anzi bruttissimi, altri invece belli, anche se all’inizio pensavo che di momenti belli difficilmente ce ne sarebbero stati. Ho imparato ad avere fiducia nel futuro guardando le sue piccole conquiste di ogni giorno.Oggi mio figlio è in grado di prepararsi da mangiare da solo, cal-colando esattamente le proteine che deve assumere ogni giorno - non fa più caso agli altri se mangiano cose diverse - se va in piz-zeria con gli amici si gestisce il quantitativo di proteine durante il giorno, in modo da averne un po’ di più per la sera - va in palestra a fare arti marziali - è riuscito ad avere la patente di guida ed a farsi acquistare l’automobile - suona la chitarra - ha avuto una ragazzina, ora non più, ma ce ne saranno altre.VI SEMBRA POCO? TUTTO QUESTO NON E’ BELLO?Mio figlio, nonostante tutte le difficoltà della gestione della sua malattia, ha una vita pari a quella di molti ragazzi della sua età e sa che può sempre contare sull’appoggio della sua famiglia. Cia-scuno di noi ha una propria strada da percorrere fino in fondo e la sua non è sempre semplice, ma guardare al futuro con speranza e fiducia aiuta sempre.

9. FIDUCIA NEL FUTURO

EMANUELA CARLINGenitore

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