1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE Corso di Studi in Infermieristica Corso di Studi in Infermieristica Corso di Studi in Infermieristica Corso di Studi in Infermieristica Tesi di Laurea Tesi di Laurea Tesi di Laurea Tesi di Laurea IL VISSUTO DEL IL VISSUTO DEL IL VISSUTO DEL IL VISSUTO DEL PAZIENTE PAZIENTE PAZIENTE PAZIENTE EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO A.A A.A A.A A.A 2012 2012 2012 2012 - 2013 2013 2013 2013 Relatore: Laureanda: Dott.ssa Loriana Degano Nicole Piccoli Co-Relatore: Dott.ssa Chiara Comuzzi Dott.ssa Cristina Nin ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ANNO ACCADEMICO 2012/2013
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINEUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINEUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINEUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHEDIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHEDIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHEDIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE
Corso di Studi in InfermieristicaCorso di Studi in InfermieristicaCorso di Studi in InfermieristicaCorso di Studi in Infermieristica
Tesi di LaureaTesi di LaureaTesi di LaureaTesi di Laurea
IL VISSUTO DELIL VISSUTO DELIL VISSUTO DELIL VISSUTO DEL
1. Si legano direttamente e in modo non specifico a
cellule infette da virus e cellule cancerose e le
distruggono
2. Fungono da cellule killer nella citotossicità cellulare
anticorpo-dipendente
14
Cellule plasmaticheCellule plasmaticheCellule plasmaticheCellule plasmatiche Organi linfoidi
periferici; si
differenziano dalle
cellule B durante
la
risposta
immunitaria
Secernono anticorpi
MacrofagiMacrofagiMacrofagiMacrofagi Quasi in tutti i
tessuti e gli
organi; si
differenziano dai
monociti
1. Fagocitosi
2. Pulizia extracellulare tramite secrezione di agenti
chimici
3. Elaborare ed esporre gli antigeni alle cellule T Helper
4. Secernere le citochine coinvolte nella risposta
infiammatoria, nell’attivazione e differenziazione
delle cellule T Helper e nelle risposte sistemiche alle
infezioni o alle ferite (la fase acuta della risposta)
MacrofagiMacrofagiMacrofagiMacrofagi----likelikelikelike Quasi in tutti i
tessuti
e gli organi; nella
microglia nel
sistema
nervoso centrale
Come i macrofagi
MastocitiMastocitiMastocitiMastociti Quasi in tutti i
tessuti
e gli organi; si
differenziano da
cellule del midollo
osseo
Rilasciano istamina e altri fattori chimici coinvolti nella
risposta infiammatoria
Tab 1 Cellule che mediano le difese immunitarie
15
Il sistema immunitario, come detto in precedenza, svolge la funzione di
individuare e rispondere ad un’ampia gamma attacchi da parte di sostanze
estranee. L’organizzazione anatomica delle cellule del sistema immunitario e la
loro abilità a muoversi rapidamente in vari distretti sono fondamentali per la
generazione della risposta immunitaria. Sono presenti come cellule circolanti nei
vasi sanguigni e linfatici, alcune colonie si trovano negli organi linfatici e alcune
cellule sono sparse nei tessuti di tutto il corpo.
Gli organi linfoidi primari, il timo e il midollo osseo, sono i siti
dell’ematopoiesi e della linfopoiesi. Altri organi secondari includono la milza, i
linfonodi e le placche di Peyer; tutti questi sono collegati ai sistemi vascolare e
linfatico.
1.1.3 Il midollo osseo
Il midollo osseo è un tessuto molle e polposo presente nelle cavità di tutte le
ossa. La sua composizione differisce nella sua composizione nelle diverse ossa e a
seconda dell’età e si presenta in due forme, midollo giallo e rosso (Fig 4).
Il midollo osseo giallo consiste di una struttura di tessuto connettivo che
supporta numerosi vasi sanguigni e cellule, la maggior parte dei quali sono
adipociti.
Troviamo il midollo osseo rosso in tutte le ossa dello scheletro del feto e
durante i suoi primi anni di vita. Circa dopo il quinto anno di vita il midollo rosso,
che rappresenta il tessuto emopoietico, viene sostituito gradualmente nelle ossa
lunghe dal midollo giallo. Il rimpiazzo inizia prima nelle ossa distali. Raggiunta
l’età di 20-25 anni, il midollo rosso può essere ritrovato solo nelle vertebre, nello
sterno, nelle costole, nelle clavicole, nelle scapole, nella pelvi, nelle ossa craniche
e nelle estremità prossimali del femore e dell’omero.
Il midollo osseo rosso consiste in una rete di tessuto connettivo lasso,
stroma, che sostiene gli ammassi di cellule emopoietiche e una ricca rete
vascolare. Il supporto vascolare deriva dall’arteria che vascolarizza l’osso infatti
essa ramifica all’interno del midollo osseo e in sottili arteriole e termina formando
una rete di capillari che poi si riversano in vene di grosso calibro. I vasi linfatici,
invece, non sono presenti nel midollo osseo. Lo stroma contiene una quantità di
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grasso variabile, a seconda dell’età, del sito e dello stato ematologico del corpo;
all’interno sono presenti anche piccole aree di tessuto linfatico.
Fig 4 Il midollo osseo
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1.2 Le malattie del sangue1.2 Le malattie del sangue1.2 Le malattie del sangue1.2 Le malattie del sangue
Possiamo dividere le malattie del sangue in due categorie, benigne e
maligne.
Tra quelle benigne rientrano:
I vari tipi di anemie
Le aplasie midollari
I disturbi dell’emostasi, come la piastrinopenia e le coagulopatie
congenite o acquisite
Le sindromi talassemiche
L’emocromatosi
L’amiloidosi
Sindromi mielodisplastiche
Tra le neoplasie possiamo citare :
Le leucemie
I linfomi
Il mieloma
La mastocitosi
1.2.1 Le malattie benigne del sangue
1.2.1.a Le Anemie
Considerazioni generali:
Come abbiamo accennato in precedenza i globuli rossi circolano nel sangue
periferico per circa 120 giorni e approssimativamente l’1% degli eritrociti muoiono
e vengono rimpiazzati ogni giorno. I globuli rossi classificati come “vecchi”
vengono rimossi dal circolo dai macrofagi della milza, del fegato e del midollo
osseo. Un feedback eritropoietico assicura che il totale dei globuli rossi rimanga
costante. Una riduzione del numero di globuli rossi può derivare da una loro
eliminazione dal circolo ad una velocità maggiore rispetto alla loro produzione:
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questo può riflettere sia uno smaltimento degli eritrociti incontrollato, sia una
riduzione della loro produzione, o entrambi.
L’anemia può essere definita come una quantità di eritrociti non sufficiente
per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti periferici.
Tre parametri possono valutare l’esistenza dell’anemia:
• la concentrazione di emoglobina (Hb), espressa in grammi (g) di Hb per
decilitro (dl);
• l’ematocrito (Hct - Hematocrit), indica la percentuale del volume
sanguigno occupata dalla componente eritrocitaria. La loro
concentrazione è data dalla quantità di cellule per microlitro (µl) o di
cellule per litro. L’ematocrito è il dato meno usato per la diagnosi di
anemia;
• il volume corpuscolare medio (MCV - Mean Corpuscolar Volume), è la
misurazione del volume medio degli eritrociti contenuti nel sangue.
L’RDW rappresenta invece la misura quantitativa della variazione nella
grandezza dei globuli rossi; più alti sono i valori, più eterogenea sarà la
grandezza degli eritrociti.
I valori di emoglobina ed ematocrito, come abbiamo già detto, sono
equamente utili per la diagnosi di anemia nella maggior parte dei pazienti, ma ci
sono alcune limitazioni da tenere in considerazione. I valori dell’emoglobina in un
soggetto sano dovrebbero essere compresi tra 12 e 16 g/dl nelle donne e tra 14 e i
18 g/dl nell’uomo. La loro alterazione può anche derivare da alterazioni del
volume del plasma, non da una variazione della massa di globuli rossi. In
gravidanza, ad esempio, il volume plasmatico incrementa, abbassando la
concentrazione di Hb. In modo simile gli individui con una splenomegalia massiva
possono avere un’anemia causata da un ipersplenismo, ma il livello di anemia può
apparire più grave per un aumento del volume del plasma. Al contrario i pazienti
ustionati perdono grandi quantità di plasma tramite le lesioni sulla pelle,
lasciando alte le concentrazioni di emoglobina ed ematocrito. Un’altra
considerazione da fare è per i pazienti con un’importante perdita di sangue.
19
Immediatamente dopo un’emorragia massiva, le concentrazioni di Hb e di Hct
sono normali, dato che la risposta iniziale all’emorragia, da parte del corpo, è una
vasocostrizione. La riduzione della concentrazione di Hb inizia dopo circa 6 ore.
[18]
Caratteristiche cliniche
I pazienti con anemia solitamente presentano caratteristiche cliniche quali
una riduzione nella tolleranza al lavoro e allo sforzo fisico, difficoltà di respiro,
palpitazioni e altri segni di adattamento cardiocircolatorio all’anemia. Le
manifestazioni cliniche dipendono dalla rilevanza nella riduzione della capacità di
trasportare ossigeno, dalla capacità dei sistemi cardiovascolare e polmonare di
compensare l’anemia e dalle caratteristiche che risultano dallo sviluppo
dell’anemia. In molti pazienti, i sintomi respiratori e circolatori, sono visibili dopo
uno sforzo fisico; quando l’anemia è severa, la dispnea e le palpitazioni possono
essere percepite anche a riposo. Nei casi in cui l’anemia si presenti rapidamente i
sintomi variano da mancanza di respiro, tachicardia, vertigini, debolezza e una
marcata spossatezza. Nell’anemia cronica, invece, si presentano solamente
dispnea moderata e palpitazioni (solo in alcuni pazienti si evidenzia scompenso
cardiaco congestizio, angina pectoris, claudicatio intermittens). I soffi al cuore
sono un sintomo cardiaco associato spesso all’anemia. Anche il pallore è un segno
caratteristico dell’anemia, ma molti fattori possono influenzare il colore della
pelle. Tra questi ci sono il grado di dilatazione dei vasi periferici, la
pigmentazione, il contenuto fluido del tessuto sottocutaneo. Il pallore associato
all’anemia può essere identificato più facilmente nelle membrane e nelle mucose
della bocca, della faringe, della congiuntiva, delle labbra e del letto ungueale.
Sono stati rilevati anche sintomi a livello gastrointestinale nei pazienti anemici.
Alcune sono manifestazioni di un disordine celato (ernia iatale, ulcera duodenale,
carcinoma gastrico); altri possono essere conseguenza di una condizione di forte
anemia, qualsiasi ne sia la causa. Anche la disfagia può presentarsi come sintomo
di una anemia cronica da carenza di ferro.
Possiamo dividere le anemie in tre gruppi: anemie macrocitiche, anemie
microcitiche ed anemie normocitiche.[29]
20
Anemie Macrocitiche
Questo tipo di sindrome può avere diverse cause, tra le quali possiamo
citare:
o Anemia megaloblastica, causa più comune di anemia macrocitica, è
dovuta ad una deficienza di vitamina B12, acido folico o entrambi. Una
carenza di folati e/o di vitamina B12 può essere dovuta sia da un
inadeguato apporto sia da un assorbimento insufficiente. Il termine
anemia megaloblastica, più in generale, viene usato per descrivere un
gruppo di disordini caratterizzati da un modello morfologico peculiare
delle cellule emopoietiche. Una proprietà biochimica comune è un
difetto nelle sintesi del DNA, con meno alterazioni nell’RNA e nella
sintesi delle proteine, che porta ad uno stato di crescita cellulare non
uniforme e ad una compromissione nelle divisione cellulare.
L’emopoiesi megaloblastica solitamente si presenta come anemia, ma
questa caratteristica è solamente una manifestazione di un difetto più
globale nella sintesi del DNA che colpisce tutte le cellule proliferative.
L’ipersegmentazione dei neutrofili è uno dei più rilevanti e specifici
elementi che indicano un’anemia megaloblastica. I principali prodotti
generati dall’eritropoiesi megaloblasitica sono eritrociti macrocitici
con forma ovale. Le anemie megaloblastiche solitamente si
sviluppano in modo graduale e al momento della diagnosi il livello
di anemia è già severo. Valori di emoglobina che si aggirano attorno
a 7-8 g/dl non sono insoliti. Il midollo osseo in pazienti con questa
sindrome è solitamente iperplastico, con una notevole quantità
di precursori degli eritrociti. Anche la leucopoiesi è anormale in questi
soggetti; i leucociti, infatti, sono molto grandi (anche 20-30 µm ).
All’interno del gruppo delle anemie megaloblastiche possiamo evidenziare:
L’anemia perniciosa il cui difetto principale, e caratteristica
significativa, non è l’anemia in sé ma la perdita del fattore intrinseco
(IF – Intrinsic Factor), che produce un malassorbimento di tutte le
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forme di cobalamina. La gastrite atrofica è riscontrata sempre
nell’anemia perniciosa acquisita e differisce dalla gastrite legata
all’anemia non perniciosa, che trattiene la secrezione di fattore
intrinseco per molto tempo dopo la cessazione della produzione di acidi.
L’anemia perniciosa sembra avere una predisposizione familiare e
viene diagnosticata, nella maggioranza dei casi, in adulti con un’età
maggiore di 60 anni, anche se la gastrite può presentarsi molti anni
prima. Oltre alla carenza inarrestabile di cobalamina, l’anemia
perniciosa porta con se molte altre associazioni e implicazioni
prognostiche. Il rischio più grave è quello di insorgenza di due tipi di
tumore gastrico, entrambi colpiscono solitamente il fondo dello
stomaco.
o Le anemie non-megaloblastiche rappresentano anemie macrocitiche
nelle quali i precursori dei globuli rossi appaiono normali senza le
caratteristiche del nucleo e le particelle citoplasmatiche che ritroviamo
nella megaloblastosi; non sono accomunate da un meccanismo
patogenetico comune. La sintesi del DNA, in questo tipo di anemie, non
è uniforme. Quando viene scoperta la malattia l’anemia solitamente
tende ad essere ancora lieve. Molte possono essere le cause di anemia
non megaloblastica, possono essere associate ad un’accelerazione
dell’eritropoiesi (per svariate cause), ad alcolismo o a malattie:
- ipotiroidismo;
- alcolismo, solitamente, può causare macrocitosi, anche
se non anemia nello specifico. Altri tipi di problemi al
fegato possono causare macrocitosi;
- anche i farmaci, tra i quali possiamo citare il
metotrexate, la zidovudina, e altre sostanze che possono
inibire la replicazione del DNA come i metalli pesanti.
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Anemie Microcitiche
La maggior parte delle anemie microcitiche sono dovute ad una inadeguata
sintesi dell’emoglobina, spesso associata ad un ridotto utilizzo del ferro.
L’origine di questo difetto può avere varie cause:
o difetto nella sintesi del gruppo eme
o anemia da carenza di ferro (non è sempre associata ad una microcitosi)1
o anemia dovuta ad una malattia cronica (più spesso è presente
nell’anemia normocitica)1
o difetto nella sintesi della globina
Le sindromi talassemiche sono un gruppo eterogeneo di anemie ereditarie
caratterizzate da difetti nella sintesi di una o più sub-unità della catena della
globina, appartenenti al tetramero dell’emoglobina. Le malattie cliniche associate
alla talassemia nascono dall’unione delle conseguenze dell’accumulo di
emoglobina e dello ammassamento squilibrato delle sub-unità di globina. Le
manifestazioni cliniche sono differenti, da un’ipocromia asintomatica e microcitosi
ad una severa anemia, che può essere fatale soprattutto in certe categorie di
pazienti. Questa eterogeneità scaturisce dalla variabilità nella severità dei difetti
biosintetici primari e dei fattori modulatori ereditati.[35]
Come gruppo, le talassemie rappresentano le sindromi dovute alla
mutazione di un singolo gene (Fig.5). Tra le più comuni:
talassemia alfa e beta
La talassemia (talassemia α) è un tipo di talassemia che coinvolge i
geni che codificano per l'emoglobina HbA1 e HbA2. La malattia è
caratterizzata dalla compromissione della produzione di una, due, tre o
addirittura tutte e quattro le catene α dell'emoglobina, che correla
direttamente con la gravità clinica della malattia. L'alfa talassemia è
trasmessa come carattere autosomico recessivo. I pazienti affetti da
alfa talassemia silente o tratto alfa-talassemico non richiedono
trattamento. Invece, è necessario un trattamento specifico per le altre
1 Argomento trattato in seguito.
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forme della malattia, che può comprendere occasionali trasfusioni di
eritrociti, la chelazione del ferro e altre misure di supporto.
La beta talassemia (βT) è caratterizzata dalle riduzione o assenza di
produzione delle due catene di beta-globina che codificano per la
proteina dell'emoglobina (Hb). Sono stati descritti tre tipi di βT: la
talassemia minore (βT minore) che è la forma eterozigote, di solito
asintomatica; la talassemia maggiore (anemia di Cooley; βT maggiore) è
la forma omozigote, che si associa ad anemia microcitica e ipocromica,
da diseritropoiesi ed emolisi (è presente anche splenomegalia); la
talassemia intermedia (βTI), nella quale ambedue i geni sono
interessati da disfunzione di grado lieve. In questo caso è variabile, ma
è meno grave e viene diagnosticata più tardi.
sindrome correlata all’emoglobina E
La sindrome legata all’emoglobina E (HbE βT) è una forma di beta
talassemia, caratterizzata da un quadro clinico lieve/grave, che varia
da una condizione non distinguibile dalla beta talassemia major ad una
forma lieve di T intermedia. È un disturbo comune ereditario causato
dalla produzione di una proteina abnorme di emoglobina. Se la persona
ha un’alterazione (mutazione) HbE in una dei suoi geni globinici β,
sarà un portatore sano della malattia. Se la persona presenta la
mutazione su entrambi i due geni globinici β. Sarà un individuo
omozigote del HbE e presenterà solo una lieve anemia. Se, invece la
persona ho un’alterazione due HbE ed un altro tipo di mutazione del
gene globinico β può essere affetto da una grave disturbo del sangue
chiamato talassemia βHbE.
sindrome correlata all’emoglobina C
L'emoglobina C-beta talassemia (HbC βT) è una forma di beta
talassemia, caratterizzata da modesta anemia emolitica. I pazienti
sono di solito asintomatici. Quando presenti, i sintomi clinici sono una
modesta anemia ed una splenomegalia. I pazienti affetti dall'HbC βT
sono eterozigoti composti per l'emoglobina C e la beta talassemia.
altre malattie correlate ad un’instabilità dell’emoglobina
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Fig.5 Cellule Talassemiche
Le anemie sideroblastiche sono un gruppo di sindromi caratterizzate da
depositi di ferro amorfi, nei mitocondri degli eritroblasti, che sono contenuti
all’interno di una definita ferritina mitocondriale. I mitocondri saturi di ferro
rispondono per i, così chiamati, sideroblasti ad anello. Il principio dell’accumulo
di ferro nelle varie anemie sideroblastiche può essere riscontrato sia per la
produzione insufficiente di gruppi eme (risultato di enzimi difettosi nella via
biosintetica) sia da errori nelle attività mitocondriali implicate nelle vie
metaboliche del ferro, che creano uno squilibro tra la quantità di ferro importato e
quello effettivamente utilizzato.
Dal punto di vista cinetico le anemie sideroblastiche sono caratterizzate da
un’eritropoiesi inefficace, come gli altri disordini con difetti nella maturazione
citoplasmica o nucleare. L’iperplasia eritroide del midollo osseo è accompagnata
da una conta reticulocitica normale o di poco aumentata. Il grado di turnover del
ferro plasmatico è aumentato, ma l’assimilazione del ferro nei globuli rossi
circolanti è ridotto.
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Possiamo classificare le anemie sideroblastiche in:
• Anemie sideroblastiche congenite
Anemia sideroblastica legata al cromosoma X: questa è la causa
congenita più comune che porta all’anemia sideroblastica e
comporta un difetto in una proteina coinvolta nel primo stadio
della sintesi del gruppo eme.
L’anemia sideroblastica autosomica recessiva causata dalla
mutazione di una proteina coinvolta nel trasporto mitocondriale
della glicina (substrato necessario per la sintesi del gruppo eme).
Solitamente questa forma di anemia si presenta in modo molto
severo.
Sindromi genetiche che si presentano molto più raramente e
possono essere parte di una sindrome congenita associata con
altre patologie, come atassia, miopatia, insufficienza
pancreatica.
• Anemie sideroblastiche clonali acquisite.
Rientrano all’interno di una categoria più ampia di sindromi
mielodisplastiche. Ne esistono tre forme che includono l’anemia
refrattaria con sideroblasti ad anello, l’anemia refrattaria con
sideroblasti ad anello e trombocitosi e la citopenia refrattaria con
displasia multilineare e sideroblasti ad anello. Questa anemie sono
associate ad un rischio di evoluzione della malattia ad una forma
leucemica.
• Anemie sideroblastiche reversibili acquisite.
Le cause possono essere ricondotte all’eccessivo uso di alcol (l’origine
più comune), una carenza di piroxidina, avvelenamento da piombo e
carenza di rame. L’eccesso di zinco può indirettamente causare anemia
sideroblastica aumentando l’escrezione di rame. Gli antimicrobici che
possono portare all’insorgenza di anemia sideroblastica includono
l’isoniazide, cloramfenicolo, la cicloserina e il linezolid.
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Anemie normocitiche
È considerata il tipo di anemia più frequente nella popolazione e viene
definita tale proprio perché i valori dell’MCV sono nella norma. Tuttavia
l’ematocrito e l’emoglobina sono diminuiti.
Questo tipo di anemie possono essere dovute a varie cause:
• perdite severe di sangue
Una perdita considerevole di sangue solitamente è associata ad un
trauma o ad una lesione che possono causare una perdita sostanziale di
sangue. Può anche insorgere durante o nelle prime ore dopo una
procedura chirurgica.
• anemia dovuta ad una malattia cronica
Per quanto riguarda l’anemia correlata ad una malattia cronica, questa
può essere riscontrata in una moltitudine di patologie infiammatorie,
incluse le infezioni, malattie reumatologiche e cancro. La sua eziologia
può essere multifattoriale, comportando non solo anormalità
nell’utilizzo del ferro ma anche in una riduzione nella durata della vita
degli eritrociti, un’inibizione diretta dell’ematopoiesi e una carenza di
eritropoietina. L’anemia derivante da malattie, causata da una
produzione insufficiente, è solitamente normocitica, normocromica e
relativamente leggera, con valori di ematocrito superiori al 30%. Si
possono presentare casi di anemia più severa e i valori del volume
corpuscolare medio possono essere ridotti.
Questo forma di malattia può essere classificata come una delle forme
più comuni di anemia. È caratterizzata da livelli di ferro nel siero molto
bassi, ma, in contrasto con questo dato, le riserve totali di ferro sono
normali o addirittura elevate. Avvengono anche alterazioni
nell’emopoiesi, come, un’inibizione diretta del processo di formazione e
di maturazione delle cellule del sangue (la causa va ritrovata in fattori
solubili presenti nel confuso microambiente del midollo osseo) e una
carenza di eritropoietina.
27
• anemia aplastica (danneggiamento del midollo osseo)
L’anemia aplastica, il modello più evidente di malfunzionamento del
midollo osseo, è caratterizzata da una pancitopenia a livello del sangue
periferico e da un midollo osseo ipocellulare. Da rilievi epidemiologici e
clinici, studi fisiopatologici, e risposte alla terapia, questa malattia ha
caratteristiche peculiari. In primis la diagnosi richiede l’esclusione di
pancitopenia dovuta ad altre cause. L’anemia aplastica può anche
comparire come disordine ematologico primario, nella maggior parte dei
casi idiopatico, o apparentemente secondario a cause vicine, incluse
tossine fisiche e chimiche ma anche da agenti medicali e virus che
possano intervenire in modo indiretto. Anche se la malattia è
solitamente caratterizzata da una severa riduzione nel funzionamento
del midollo che influenza tutte le linee ematopoietiche, il livello di
granulociti, piastrine ed eritrociti potrebbe non essere depresso in modo
uniforme. L’anemia aplastica può essere difficile da distinguere, in
particolar modo, da alcune forme ipocellulari di mielodisplasia. [16]
• anemia emolitica
Le anemie emolitiche autoimmuni sono un gruppo di disordini in cui gli
anticorpi che intervengono contro gli antigeni sulla membrana
eritrocitaria causano una riduzione della vita del globulo rosso. Gli
anticorpi antieritrocitici di queste malattie possono essere di tre tipi:
agglutinine a frigore, quasi sempre dell’isotipo IgM, che raccolgono i
globuli rossi a temperature fredde
gli anticorpi Donath-Landsteiner che si attaccano alle membrane
degli eritrociti nel freddo e attivano la cascata del complemento
emolitico quando le cellule raggiungono la temperatura di 37°C
gli anticorpi IgG “caldi” che si legano agli eritrociti a 37°C ma
falliscono nel loro tentativo di agglutinare le cellule
• anemia falciforme
L’anemia falciforme è un disturbo genetico genetico caratterizzata
principalmente da un’anemia emolitica cronica e da ricorrenti episodi
di dolore. Questi e tutti gli altri elementi caratteristici della malattia
28
sono il risultato delle cellule anomale di emoglobina S dei globuli rossi.
Le caratteristiche cliniche dell’anemia falciforme variano in modo
accentuato tra i vari genotipi maggiori. Anche nel genotipo riconosciuto
per dare la forma più severa di anemia, possiamo ritrovare pazienti
totalmente asintomatici, mentre altri hanno una severa disabilità
dovuta a dolori forti e ricorrenti e complicanze croniche (Fig 6 e 7).
Fig. 6 Ostruzione di un vaso Fig. 7 Cellule dell’anemia falciforme
nell’anemia falciforme
1.2.1.b La carenza di ferro e le sindromi correlate
Le scorte di ferro variano in base all’età ed al sesso. Nei neonati sono molto
alte, ma vengono perse durante i primi mesi di vita e scendono ancora di più
durante l’adolescenza.
La maggior parte del ferro si trova nei gruppi dell’eme, inclusa l’emoglobina,
la mioglobina, i citocromi. La maggior parte del ferro non-eme è immagazzinato
come ferritina o emosiderina nei macrofagi e negli epatociti. Solo una piccola
frazione circola nel plasma, legata ad una proteina trasportatrice, la transferrina.
Il ferro non è prodotto attivamente dal corpo umano solo quando le cellule
muoiono o vengono perse (in particolar modo quelle del tratto gastrointestinale, le
cellule epidermiche e, durante il ciclo mestruale, i globuli rossi). Tre fattori sono
coinvolti nell’anemia da carenza di ferro. Il primo è un danneggiamento nella
sintesi dell’emoglobina, conseguenza di una riduzione nell’apporto di ferro. Il
29
secondo quando c’è un difetto generalizzato nella proliferazione cellulare. Il terzo
quando i precursori eritroidi e degli eritrociti è ridotto, in particolare nelle anemie
severe.
Quando non è causato da una perdita massiva di sangue, la carenza di ferro
è il risultato finale di un lungo periodo di bilanciamento negativo del ferro.
Quando il livello di ferro totale nel corpo inizia a scendere, segue una
caratteristica sequenza di eventi. In primo luogo, il ferro immagazzinato negli
epatociti e nei macrofagi del fegato, della milza e del midollo osseo viene esaurito.
Quando le scorte sono esaurite, il contenuto di ferro nel plasma decresce, e le
riserve di ferro nel midollo diventano inadeguate rispetto alla normale produzione
di emoglobina. Di conseguenza inizia la produzione di eritrociti microcitici e il
livello di emoglobina nel sangue decresce, raggiungendo livelli anormali.
La comparsa dell’anemia da carenza di ferro è insidiosa e la progressione dei
sintomi è graduale: il corpo adattandosi alla condizione non invia segnali e il
paziente non si accorge della condizione fino a quando non inizia ad essere grave.
1.2.1.c L’aplasia midollare
Con il termine aplasia midollare si indicano delle condizioni in cui vi è una
marcata riduzione, fino all’assenza, del tessuto emopoietico midollare. Ciò che ne
consegue è una pancitopenia (anemia, neutropenia e piastrinopenia) che
determina un quadro clinico di astenia, infezioni ed emorragie. Possono comparire
a qualsiasi età, in qualsiasi sesso e in ogni razza. La patogenesi dell’aplasia
midollare è da ricercare in un possibile difetto intrinseco della cellula staminale
emopoietica, in un danno del microambiente midollare e in un difetto immuno-
mediato della proliferazione e della differenziazione cellulare. Vi sono anche
forme idiopatiche (senza una causa apparente), forme secondarie dovute
all’esposizione di fattori tossici (tossici industriali) o a farmaci, od a radiazioni
ionizzanti. L’effetto può essere dose dipendente o non dipendente (idiosincrasica).
Nella prima categoria rientrano tutte le sostanze tossiche come i derivati del
benzene o le radiazioni ionizzanti che causano un danno nella replicazione
cellulare. Nella seconda categoria rientrano diversi farmaci (sali d’oro, idantoina,
etc) che possono causare sporadicamente forme di aplasia. Tra le altre cause si
30
ricordano anche le infezioni virali da virus dell’epatite C, che può determinare
una aplasia anche a distanza di tante settimane dall’avvenuta infezione. L’effetto
che queste cause possono provocare sono una riduzione del compartimento delle
cellule staminali o una alterazione delle strutture cellulari che formano il
microambiente.
L’esordio è molto variabile, con un possibile quadro acuto, con una astenia
ingravescente, severe infezioni con febbre molto alta, con manifestazioni
emorragiche cutanee e mucose. O può essere anche molto più subdolo con mesi di
sintomi a tipo astenia ingravescente, piccole infezioni recidivanti che tendono
difficilmente a guarire. Molto spesso la clinica delle aplasie midollari è simile a
quella delle leucemie acute e solo le analisi di laboratorio possono chiarire la
diagnosi.
1.2.1.d Disturbi dell’emostasi
Piastrinopenia
Si ha una piastrinopenia quando il numero delle piastrine circolanti è
inferiore alle 150.000/mmc. La soglia in cui compare sintomatologia emorragica
però varia da paziente a paziente perché dipende dalla natura dei meccanismi
piastrinopenizzanti, dalla concomitanza di fattori costituzionali e immunologici.
Esistono diversi tipi di piastrinopenia che si possono distinguere in base al
meccanismo fisiopatologico che le determina. Quindi avremo una piastrinopenia:
da ridotta produzione: ne sono causa tutte quelle patologie che
determinano una riduzione del numero dei megacariociti
(piastrinopenie da aplasia midollare, forme congenite ereditarie, le
malattie con invasione midollare da parte di cellule neoplastiche
o forme dovute a infezioni o farmaci);
da piastrinopoiesi inefficace: i precursori piastrinici (megacariociti)
sono normali o aumentati, ma la produzione delle piastrine è anomala
e vi è quindi, una ridotta sopravvivenza piastrinica. Si può osservare in
alcune malattie carenziali, come nei deficit di vitamina B12 o di acido
folico, nelle sindromi mielodisplastiche;
31
da aumentata distruzione: la causa può essere intrinseca alla piastrina
o, come accade più spesso, estrinseca alla piastrina. A questo secondo
gruppo appartengono le piastrinopenie autoimmuni, malattie acquisite
con aumentata distruzione di piastrine nel sangue periferico ed un’
aumentata produzione di megacariociti a livello midollare;
da aumentato consumo: dipende dall’aumentato consumo nel processo
di formazione del trombo;
da distribuzione impropria: rientrano in questa categoria tutte quelle
forme caratterizzate da una milza notevolmente ingrandita che
sequestra nel suo interno le piastrine (da ipersplenismo). Se la
piastrinopenia è grave e sintomatica, la splenectomia è l’unico mezzo
terapeutico efficace. [33]
Coagulopatie congenite e acquisite
Sono difetti dovuti alla carenza di uno o più fattori plasmatici della
coagulazione, congeniti o acquisiti.
Tra le forme congenite ricordiamo:
o emofilia A compare solo nel maschio, perché il deficit è legato al
cromosoma sessuale X, ed è dovuto al deficit del fattore plasmatico
VIII. Il deficit è solo della parte coagulante del fattore e può essere
quantitativamente variabile, così da indurre quadri clinici diversi: da
grave, a moderata, a lieve. Le manifestazioni emorragiche più frequenti
sono gli emartri (versamenti di liquido ematico in un’articolazione), gli
ematomi (versamenti ematici sottocutanei o muscolari), le emorragie
del sistema gastro-enterico e uro-genitale, le epistassi (sanguinamento
dal naso), le emorragie post-intervento chirurgico anche lieve (ad
esempio le estrazioni dentarie).
o Anche l’emofilia B trasmessa geneticamente attraverso il cromosoma
X, ma è molto più rara, con un quadro clinico sovrapponibile a quello
dell’emofilia A. Il difetto riguarda il fattore IX.
o L’emofilia C è ancora più rara ed il difetto, che riguarda il fattore XI è
trasmesso come deficit autosomico recessivo. Le manifestazioni sono
32
molto più rare e più lievi dei difetti precedenti, si hanno emorragie
dopo interventi chirurgici e dopo traumi importanti.
o La malattia di Von Willebrand è un deficit autosomico dominante,
caratterizzato da lievi emorragie cutanee e mucose, con diverse
varianti. È dovuto alla carenza più o meno variabile di una parte di
fattore VIII che regola il legame della piastrina alla parete
dell’endotelio dei vasi. Le manifestazioni emorragiche sono uguali a
quelle di un difetto piastrinico, con epistassi, menorragie e
gengivorragie.
Tra le forme acquisite ricordiamo:
o deficit epatici in cui sono ridotti i fattori VII, IX, X, XIII, fibrinogeno e
protrombina. Può esserci anche una piastrinopenia per il sequestro di
piastrine dovuto alla presenza di una splenomegalia. Prevalgono le
emorragie del sistema gastro-enterico e sono anche frequenti le
epistassi, le ecchimosi e le emorragie post-intervento.
o un deficit di vitamina K la cui carenza si può avere per un deficit di
assorbimento o per l’uso di farmaci antagonisti, come nel caso dei
farmaci usati per la terapia anticoagulante. Le manifestazioni
emorragiche sono epistassi, ematuria, emorragie dal tubo gastro-
enterico.
1.2.1.e Amiloidosi
Il termine amiloidosi viene usato per descrivere un gruppo eterogeneo di
malattia di deposito proteico extracellulare nei quali le molecole di proteina
omogenee si aggregano in modo da formare una struttura lineare di lunghezza
indeterminata e le fibrille sono organizzate in una struttura a foglio
caratteristica.
Le forme più pericolose sono sistemiche, con coinvolgimento di più organi. Le
caratteristiche cliniche che si presentano in questo gruppo di malattie sono
estremamente polimorfe e dipendono dall’organo che, nello specifico, viene colpito
e dalla risultante compromissione della sua funzione. [22]
33
1.2.2 Neoplasie ematologiche
Il cancro si sviluppa attraverso una serie di alterazioni somatiche nel DNA
che conseguono in una proliferazione cellulare incontrollata. Fondamentalmente
le cellule tumorali differiscono da quelle normali sia per la loro composizione
antigenica sia per il loro comportamento biologico. La loro instabilità genetica,
elemento caratteristico delle cellule cancerose, è un generatore primario di
specifici antigeni tumorali. L’alterazione genetica più comune in queste cellule è
la mutazione, che deriva da difetti nel sistema di riparazione del DNA. Delezioni,
amplificazioni e riarrangiamenti cromosomici possono produrre nuove sequenze
geniche risultanti dall’accostamento di sequenze codificatrici, che normalmente
sono sarebbero contigue in cellule normali. La maggior parte di queste mutazioni
avviene in proteine intracellulari, quindi i “neoantigeni” che vengono codificati
non potranno essere localizzati facilmente da anticorpi e non potranno essere
eliminati. L’altra differenza rilevante tra i due tipi cellulari deriva
dall’epigenetica. Alterazioni globali nella metilazione del DNA, così come nella
struttura della cromatina, nelle cellule tumorali risultano in alterazioni drastiche
dell’espressione genetica. Possono derivare da errori di replicazione casuali,
esposizione a fattori cancerogeni o da difetti nei processi di riparazione del DNA.
Quasi tutti i tipi di cancro originano da una singola cellula; questa origine
clonale è la caratteristica discriminante principale tra neoplasia ed iperplasia.
Perché avvenga lo sviluppo di un tumore da un fenotipo normale ad uno
totalmente maligno devono verificarsi ed accumularsi molti eventi mutazionali.
Normalmente le cellule si moltiplicano, si differenziano e poi muoiono in risposta
ai segnali che gli arrivano dall’ambiente circostante. La riproduzione delle cellule
solitamente è stimolata da fattori di crescita extracellulari che interagiscono con
specifici recettori localizzati sulla superficie della cellula. Attraverso la
trasduzione del segnale le informazioni riguardanti fattori di crescita dalla
superficie della cellula vengono trasmessi al nucleo, che controlla la maggior
parte degli eventi cellulari. Quasi tutti i tipi di cancro originano da una singola
cellula; questa origine clonale è la caratteristica discriminante principale tra
neoplasia ed iperplasia. Perché avvenga lo sviluppo di un tumore da un fenotipo
34
normale ad uno totalmente maligno devono verificarsi ed accumularsi molti
eventi mutazionali. Normalmente le cellule si moltiplicano, si differenziano e poi
muoiono in risposta ai segnali che gli arrivano dall’ambiente circostante. La
riproduzione delle cellule solitamente è stimolata da fattori di crescita
extracellulari che interagiscono con specifici recettori localizzati sulla superficie
della cellula. Attraverso la trasduzione del segnale le informazioni riguardanti
fattori di crescita dalla superficie della cellula vengono trasmessi al nucleo, che
controlla la maggior parte degli eventi cellulari. Grazie alle ricerche condotte
negli ultimi due decenni, sappiamo che molti tipi di carco traggono le loro origini
da vie di trasmissione alterate.
L’analisi molecolare dei tumori umani ha dimostrato che l’alterazione di
alcuni componenti che controllano il ciclo cellulare e le vie di controllo del segnale
è presente nella maggior parte dei tumori maligni. Questo scoperta sottolinea
quanto sia importante la conservazione del controllo del ciclo cellulare per la
prevenzione del cancro.
Esistono due tipologie maggiori di geni regolatori, che se inattivati o mutati
possono portare allo sviluppo di cellule cancerose. Il primo tipo comprende geni
che inducono o sostengono la divisione cellulare e vengono chiamati proto-
oncogeni. Se questi geni esprimono un eccesso di prodotto, le cellule vanno in
contro a proliferazione incontrollata. Le forme mutate dei prot-oncogeni sono
dette oncogeni. Il secondo tipo di geni, oncosoppressori, agisce inibendo la
divisione cellulare. La perdita o l’inattivazione di questi geni a causa di una
mutazione determina un mancato arresto della divisione cellulare, per cui le
cellule continuano a dividersi in modo incontrollato. Sia gli oncogeni che gli
oncosoppressori esercitano i loro effetti sulla crescita della neoplasia attraverso la
loro capacità di controllare la divisione cellulare (nascita cellulare) o morte
cellulare (apoptosi), nonostante i meccanismi possano essere molto complessi.
Mentre viene strettamente regolata nelle cellule normali, gli oncogeni
acquisiscono mutazioni nelle cellule tumorali maligne, e le mutazioni
generalmente riducono questo controllo e portano ad un aumento dell’attività dei
prodotti dei geni. In contrasto la normale funzione degli oncosoppressori,
35
solitamente, è di ridurre la crescita cellulare; questa funzione viene persa nelle
cellule cancerose.
La normale crescita e differenziazione delle cellule e controllata da fattori di
crescita legati a recettori presenti sulla superficie della cellula. I segnali generati
dai recettori di membrana vengono trasmessi all’interno delle cellule tramite una
serie di reazioni a cascata in cui sono coinvolte le chinasi, le proteine G e le loro
proteine regolatrici. In ultima istanza questi segnali possono interferire
nell’attività dei fattori di trascrizione nel nucleo, che regolano l’espressione dei
geni, evento cruciale per la proliferazione cellulare, nella differenziazione e nella
morte cellulare. È stato dimostrato che i prodotti degli oncogeni hanno un ruolo
importante nei punti principali di questi cicli ed un’attivazione inappropriata può
portare alla generazione del tumore.
Tra i meccanismi di attivazione degli oncogeni ritroviamo la mutazione
puntiforme, dovute in gran parte alla sostituzione di una singola base
nucleotidica del DNA con un’altra. Altri tipi di mutazione si verificano in seguito
a inserzione o delezione di una base nel filamento di DNA. Nel caso si una
sostituzione possiamo avere conseguenze più o meno grandi sul prodotto finale; in
base alle conseguenze vengono distinte in mutazioni silenti, di senso, non senso.
Le mutazioni silenti avvengono se in seguito alla sostituzione di una base si
ottiene una tripletta che specifica per lo stesso amminoacido la proteina prodotta
sarà la stessa. Le sostituzioni silenti riguardano la terza base del codone, quella
che varia tra codoni diversi che specificano lo stesso amminoacido. Nelle
sostituzioni di senso la maggior parte delle volte la nuova tripletta codifica per un
amminoacido diverso; la proteina avrà quindi lo stesso numero di amminoacidi
ma una sequenza che differisce per un amminoacido. La gravità degli effetti di
una sostituzione dipenderà dalla somiglianza tra l’amminoacido sostituito e il
nuovo e dalla posizione della sostituzione. Nelle mutazioni nonsenso se il nuovo
codone che si forma dalla sostituzione codifica per il segnale di stop avremo una
proteina più corta della precedente (dipende dal punto in cui è avvenuta la
sostituzione). Altre volte invece l’errore consiste nell’inserire una base in più nella
sequenza del DNA. Altre volte durante la replicazione o la riparazione del DNA si
ha la perdita di una base. In entrambi i casi la lettura della sequenza viene
36
completamente alterata. Le mutazioni possono essere di due tipi: spontanee o
indotte. Per quanto riguarda quelle spontanee ci può essere un errore di
incorporazione o di replicazione, un crossing over ineguale, una depurinazione o
una deamminazione; tutti questi casi sono dovuti ad un cambiamento naturale
nella struttura del DNA. Quelle indotte, invece sono provocate da agenti chimici o
radiazioni presenti nell’ambiente, che vengono chiamati mutageni. Un altro tipo
di meccanismo di attivazione degli oncogeni è l’amplificazione di una sequenza di
DNA, evento che conduce ad una sovraproduzione del prodotto genetico. Questo
incremento nel numero di copie del DNA può causare, dal punto di vista
citologico, alterazioni cromosomiche evidenti. Un terzo tipo di meccanismo è il
riarrangiamento cromosomico, che comporta una modificazione del numero e
della struttura cromosomica. Per quanto riguarda i tumori linfoidi e mieloidi
spesso la mutazione è rappresentata da una semplice traslocazione, ad esempio il
trasferimento reciproco di una regione cromosomica da un cromosoma all’altro. Le
traslocazioni sono particolarmente comuni nei tumori linfoidi, probabilmente
perché questo tipo di cellule ha la capacità di ridisporre il proprio DNA per
generare recettori per l’antigene.
La classificazione WHO del 2008 ci fornisce una lista delle principali
neoplasie mieloidi e della leucemia acuta, come riportato in tabella 2.[41]
37
Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità nelSanità nelSanità nelSanità nel 2008200820082008
TTTT----cell lymphoproliferative disorders of cell lymphoproliferative disorders of cell lymphoproliferative disorders of cell lymphoproliferative disorders of
Histiocytic and dendritic cell neoplasmsHistiocytic and dendritic cell neoplasmsHistiocytic and dendritic cell neoplasmsHistiocytic and dendritic cell neoplasms
Histiocytic sarcoma
Langerhans cell histiocytosis/sarcoma
Interdigitating dendritic cell
sarcoma/tumor
Follicular dendritic cell sarcoma/tumor
Dendritic cell sarcoma, not otherwise
specified
Tab 2 : Revisione della classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi da parte della
WHO nel 2008. ( James W. Vardiman et al. 2009)
40
Le leucemie e i linfomi sono i tumori emopoietici più comuni ma negli ultimi
anni si è evidenziato che queste categorie di malattie rappresentano gruppi di
varie sindromi eterogenee che include un grande numero di distinte entità
biologiche. La classificazione di questi tumori originariamente era basata
principalmente sulle caratteristiche morfologiche (alle volte supportata da studi
citochimici) ora richiede una complessa analisi tramite diverse tecniche che
includono l’immunofenotipo e la genetica. Nonostante questi progressi tecnici la
valutazione morfologica rimane fondamentale per la diagnosi di molte malattie.
La diagnosi e la gestione di molte delle malattie ematologiche dipendono
dall’esame del midollo osseo. Questa analisi solitamente comporta lo studio di due
campioni separati, ma interconnessi. Il primo è una preparazione citologica di
cellule midollari ottenute dall’aspirazione del midollo e di applicazione delle
cellule su vetrino, che permette una visualizzazione eccellente della morfologia ed
enumerazione degli elementi. Il secondo campione deriva da una biopsia ossea e
del midollo, che permette un ottima valutazione del numero e del tipo di cellule
presenti nel tessuto, di fibrosi, di infezioni o di malattie infiltranti i tessuti.
Solitamente questi due test vengono sottoposti a pazienti che hanno
evidenziato delle anormalità ematologiche in campioni di sangue periferico; per
una valutazione di tumori primari del midollo osseo; per valutare la stadiazione
dell’evoluzione tumorale nelle metastasi; valutazione dell’evoluzione di malattie
infettive, inclusa febbre di origine non nota; e valutazione di disordini di tipo
metabolico. Molti siti potrebbero essere usati per l’aspirazione del midollo osseo e
per una biopsia. Il sito scelto dipende da come è distribuito il midollo osseo in
base all’età del paziente.
Quindi, nei bambini più piccoli il campione di midollo da esaminare verrà
preso dall’area tibiale media anteriore, mentre negli adulti i migliori campioni
vengono raccolti dallo sterno nel secondo spazio intercostale o dalla cresta iliaca
(anteriormente o posteriormente).
41
1.2.2.a Leucemie
Leucemia Linfoide Acuta
La leucemia linfoide acuta è un tumore maligno caratterizzato da una
accumulo di linfoblasti. L’insorgenza clinica della malattia raramente è insidiosa
e si presenta con segni e sintomi che interessano sia il midollo osseo sia la parte
extramidollare (Fig.8).
Le cause della leucemia linfocitica acuta rimangono ancora non note, ma
alcuni fattori sembra siano associati ad un aumento nel rischio di insorgenza
della malattia.
o predisposizione genetica, infatti, negli studi epidemiologici, pazienti
con rare anormalità cromosomiche dimostrano un rischio molto più alto
di sviluppare leucemie acute.
o irradiazione, ad esempio è stato riscontrato un aumento notevole
nell’incidenza della leucemia nei sopravvissuti agli attacchi atomici in
Giappone, o ad altri eventi nucleari come Chernobyl
o prodotti chimici; il rischio di sviluppare una forma leucemica linfoide
può essere aumentato dall’esposizione ad agenti chimici come il
benzene o altri agenti capaci di produrre aplasia midollare, inclusi i
farmaci chemioterapici. In secondo luogo i vari tipi di leucemia possono
essere legati anche all’esposizione di agenti alchilanti (come la
ciclofosfamide) che possono essere stati usati nel trattamento di
precendenti neoplasie.
o virali; non ci sono evidenze dirette di legame tra un virus e l’insorgenza
di leucemia linfoide. Scoperte scientifiche hanno, però, trovato un
aggancio tra la presenza di un virus e lo sviluppo di due neoplasie
linfoidi.
La maggior parte di adulti diagnosticati con una leucemia linfoidi,
inizialmente presenta sintomi clinici risultanti da un danneggiamento del midollo
osseo. Segni a livello fisico come il pallore, la tachicardia, l’astenia,
l’affaticamento sono dovuti all’anemia; le petecchie o alter manifestazioni
emorragiche vengono attribuite alla trombocitopenia; complicanze infettive sono
42
dovute a neutropenia. Segni clinici di leucemia connessi direttamente ad
infiltrazione i organi con blasti leucemici, come linfoadenopatia, splenomegalia,
epatomegalia, sono presenti in molti pazienti ma non sono frequentemente i
problemi che portano a diagnosi. [21]
Fig. 8 Cellule della Leucemia Linfoide Acuta
Leucemia linfoide cronica
La leucemia linfocitica cronica (CLL – Chronic Lymphocitic Leukemia) è la
forma più comune di leucemie nei pazienti adulti nei paesi occidentali. È una
malattia linfoproliferativa cronica caratterizzata dalla proliferazione e dal
conseguente accumulo di linfociti maturi neoplastici clonali non in grado di
dividersi e immunologicamente inattivi. La proliferazione e l’accumulo di questi
linfociti interessa gli organi linfoidi primari (midollo osseo) e secondari (linfonodi
e milza) manifestandosi con l’aumento del numero dei globuli bianchi nel sangue
venoso periferico e con l’ingrossamento di una o più stazioni linfonodali
(linfoadenomegalia) e/o della milza. Il decorso clinico della malattia è variabile e
le sue complicanze sono associate alla gravità del quadro.
43
Nella maggior parte dei casi i pazienti sono asintomatici. Nei pazienti
sintomatici i sintomi di più comune riscontro sono: astenia, anoressia, perdita di
peso e presenza di linfoadenomegalie superficiali e/o profonde, associate o meno a
ingrossamento della milza (splenomegalia) e del fegato (epatomegalia). In alcuni
casi è possibile che la malattia si presenti con fenomeni di tipo autoimmune.
Leucemia mieloide acuta
La leucemia acuta mieloide (AML - Acute Myeloid Leukemia) è il risultato di
un evento genetico o di una serie di eventi che accadono nei primi precursori
emopoietici che bloccano la differenziazione e che permettono una proliferazione
incontrollata. La proliferazione incontrollata delle cellule leucemiche si accumula
nello spazio midollare, rimpiazzando i progenitori midollari normali, con una
conseguente diminuzione di produzione di globuli rossi, bianchi e di piastrine(Fig
9). Man mano che la malattia progredisce, i blasti leucemici si riversano nel
circolo sanguigno. Alla fine, le cellule leucemiche si accumulano nella milza, nei
polmoni, nel cervello e in altri organi vitali.
Sono stati evidenziati alcuni fattori eziologici, tra i quali citiamo
o i virus: è stata trovata una chiara associazione tra virus della leucemia
a cellule T dell'uomo ed una forma di leucemia delle cellule T, pur non
essendo stato trovato un collegamento tra una qualsiasi forma virale e
lo sviluppo della malattia;
o agenti cancerogeni: è stato dimostrato che l’esposizione al benzene ha
un impronta significativa nello progresso di anemia aplastica,
mielodisplasia e AML;
o trattamento della leucemia mieloide acuta: l’incremento dell’uso di
radiazioni per curare le neoplasie, ha aumentato il numero di casi di
malattia dovuti a questa causa;
o anormalità cromosomiche costituzionali: i bambini che presentano una
trisomia del 21 hanno un alto rischio di insorgenza di leucemia;
o sindromi genetiche associate alla AML: molte alter sindromi
coinvolgenti errori nella riparazione del DNA sono associate con
un’aumento nell’incidenza di leucemia mieloide.
44
Le manifestazioni cliniche iniziali della AML solitamente non sono
specifiche o legate ad una diminuzione nella produzione di cellule del sangue.
L’insorgenza spesso è insidiosa nel corso dei mesi; molti pazienti lamentano una
stanchezza ed un malessere simile a quella data da un’influenza virale, mentre
altri accusano una maggiore tendenza alla formazione di ecchimosi o una difficile
cicatrizzazione delle ferite. L’anemia è una delle caratteristiche che si presentano
al momento della diagnosi, così come la trombocitopenia e una maggiore
esposizione alle infezioni. [11]
Fig. 9 Confronto cellule in un campione di
sangue normale e in uno leucemico
Leucemia Mieloide Cronica
La leucemia mieloide cronica (CLM - Chronic Myeloid Leukemia) e un
disordine clonale delle cellule staminali emopoietiche. È caratterizzata da
un’iperproduzione di cellule mieloidi, come risultato di un’eccessiva proliferazione
e una ridotta apoptosi. Segni clinici includono affaticamento, splenomegalia,
leucocitosi e anemia. La basofilie e la trombocitosi sono comuni.
Il decorso tipico della malattia è bifasico o trifasico. Molti pazienti sono
diagnosticati nella fase asintomatica (o cronica). Se non trattata in modo
appropriato, progredisce nella fase proliferativa accelerate e blastica.
45
Segni e sintomi comuni della CML, quando presenti, risultano dall’anemia e
dalla splenomegalia. Questi includono affaticamento, perdita di peso, malessere,
nausea, e dolore al quadrante addominale superiore sinistro. Rare manifestazioni
includono sanguinamenti (associati ad una bassa conta o ad una disfunzione
piastrinica), trombosi (associata a trombocitosi e/o ad una disfunzione delle
piastrine), artrite gottosa (dovuta a livelli elevati di acido urico), emorragie
retiniche, ulcere e sanguinamenti del tratto gastrico superiore. [9]
1.2.2.b I linfomi
Dividiamo questa categoria di neoplasie in due classi:
o linfomi non Hodgkin (NHL - Non Hodgkin Lymphoma) che sono un
gruppo eterogeneo di neoplasie del sistema emolinfopoetico
caratterizzate da un’espansione monoclonale delle cellule linfoidi. Sono
nel loro complesso la neoplasia ematologica più frequente e
costituiscono il 3% di tutti i tumori maligni. La presentazione clinica
della malattia è variabile e dipende da molti fattori, inclusi quelli
istologici, l’età del paziente e lo stato immunologico. L’NHL si presenta
solitamente con linfoadenopatia che può essere asintomatica, ma può
anche portare ad una compromissione di un organo. Il sintomo più
comune dei LNH è il riscontro di una o più tumefazioni linfonodali.
Nella maggior parte dei casi i LNH aggressivi sono caratterizzati da un
esordio brusco caratterizzato da una rapida crescita delle tumefazioni
linfonodali, dal coinvolgimento di diverse aree linfonodali e dalla
frequente presenza di sintomi sistemici (febbre, spossatezza, perdita di
broncoscopia e procedure di rianimazione cardiopolmonare). Per questo motivo,
per questo tipo di isolamento è richiesta una protezione facciale. La distanza
massima per la trasmissione tramite goccioline è attualmente oggetto di
discussione.
55
La velocità ed meccanismo mediante cui le goccioline vengono espulse dal
soggetto fonte, densità delle secrezioni respiratorie, fattori ambientali quali la
temperatura e l’umidità, capacità del patogeno di mantenere l’infettività a
determinate distanze.
Un’altra variabile, oggetto di discussione, è data dalla grandezza delle
particelle.
I droplet (goccioline) sono tradizionalmente definiti come particelle aventi
diametro superiore a 5 µ.
Trasmissione per via aerea si verifica per disseminazione di “droplet” nuclei
(nuclei di goccioline) ovvero di piccole particelle di dimensioni tali da poter essere
inalate, contenenti l’agente infettivo, che mantiene la capacità infettante a
distanza di tempo e di spazio.
I microrganismi trasportati in questo modo possono essere dispersi a grande
distanza da correnti d’aria ed essere inalati dall’ospite suscettibile, anche
allorquando tale persona non viene direttamente in contatto con il soggetto fonte,
o addirittura non entra neppure nella stanza di isolamento: ciò in conseguenza di
fattori ambientali favorenti (stanza di degenza a più letti, sistema di
condizionamento dell’aria dei locali di isolamento non autonomo, ecc.).
Sono pertanto richiesti speciali trattamenti dell’aria e particolari sistemi di
ventilazione (ad es.: stanze per isolamento aereo), per il contenimento e la
rimozione in tutta sicurezza dell’agente infettante.
Per prevenire la trasmissione per via aerea va inoltre indossata una
protezione respiratoria (filtrante facciale FFP2 o superiore), al momento
dell’ingresso nella stanza di isolamento aereo.
I microrganismi trasmessi per via aerea comprendono il micobatterio della
tubercolosi, il virus del morbillo e il virus della varicella.
Esistono due categorie di precauzioni per quanto riguarda l’isolamento:
o precauzioni standard, che sono le precauzioni utilizzate per
l’assistenza di tutti i pazienti in ospedale indipendentemente dalla
loro diagnosi o da una condizione di presunta infezione. L’attuazione
di queste precauzioni rappresenta la prima strategia di controllo delle
56
infezioni ospedaliere e si applicano a: sangue, liquidi corporei,
secrezioni, escrezioni (escluso il sudore), cute non integra e mucose.
Includono:
� l’igiene delle mani,
� l’uso dei guanti,
� l’utilizzo di barriere protettive,
� la corretta gestione delle attrezzature,
� l’igiene dell’ambiente,
� la gestione di biancheria e delle stoviglie,
� la collocazione del paziente,
� l’educazione sanitaria
� la formazione degli operatori
o precauzioni basate sulla trasmissione, ovvero le precauzioni destinare
esclusivamente all’assistenza di specifici pazienti. Queste precauzioni
sono destinate ai pazienti riconosciuto o sospettati di essere infetti con
patogeni diffusi attraversi la via aerea, con le goccioline, o attraverso il
contatto con la cute asciutta o con superfici contaminate.
� misure aggiuntive di barriera,
� misure aggiuntive relative al paziente
o precauzioni protettive (o misure d’isolamento protettivo), indicate per
creare un ambiente protettivo nei confronti dei pazienti immunodepressi
e, in particolare, sottoposti a trapianto di midollo osseo.
I dispositivi di protezione individuale (DPI), facenti parte della categoria di
barriere protettive, sono costituiti da una varietà di barriere e filtranti
respiratori, da utilizzare da soli o in combinazione, per proteggere le membrane
mucose, le vie aeree, la cute e gli indumenti dal contatto con gli agenti patogeni.
Questi sono inclusi in entrambe le categorie di protezione: sia in quelle standard,
57
sia in quelle specifiche. La scelta di questi dispositivi si basa sulla natura
dell’interazione col paziente e/o sul probabile modo/i di trasmissione degli agenti
patogeni. (Figure 13 e 14)
Possono essere citati, all’interno di questo gruppo:
i guanti (messi sempre per ultimi quando indossati assieme ad altri
indumenti protettivi);
i camici protettivi (la necessità ed il tipo di camice protettivo scelto si
basano sulla natura dell’interazione con il paziente, incluso il previsto
grado di contatto con materiale infettante e il potenziale per la
penetrazione di tale indumento da sangue ed altri fluidi biologici);
mascherine;
dispositivi per protezione per gli occhi e schermi facciali
dispositivi individuali di protezione respiratoria, che prevedono
l’utilizzo di maschere respiratorie FFP2 o superiori
Fig.13 Precausioni standardi da Fig. 14 Procedura di rimozione
applicare su tutti i pazienti dei DPI
58
2.1.2 Motivazioni di isolamento
La decisione di porre misure di isolamento misure di isolamento specifico,
diverse a seconda del caso, sono applicate quando ci troviamo di fronte pazienti
infetti o nel caso di pazienti immunodepressi, anche in questo caso diverse a
seconda della gravità dell’immunodepressione.
La ragione per cui si rende necessario porre in isolamento questi due tipi di
pazienti è che, soprattutto in ambiente ospedaliero, la trasmissione delle infezioni
è facilitata dall’interazione di tre principali elementi, che aumentano il rischio di
trasmissione:
o una sorgente/serbatoio di microrganismi patogeni costituita
principalmente dalle persone (altri pazienti, operatori, visitatori,
familiari o la flora endogena del paziente), dall’ambiente inanimato
(attrezzature, strumentario, dispositivi medici, ecc.) e tramite
materiali biologici (in occasione di trasfusioni o ricezione di organi o
tessuti).
o un ospite suscettibile ed una porta di ingresso specifica per quel
microrganismo. La resistenza delle persone ai microrganismi patogeni
varia molto da soggetto a soggetto. Alcuni possono essere immuni alle
infezioni o essere capaci di resistere alla colonizzazione da parte di un
agente infettante; altri, esposti allo stesso agente, possono stabilire
una relazione di commensalismo con i microrganismi infettanti e
divenire portatori asintomatici; altri ancora possono sviluppare una
malattia clinicamente manifesta. Tutte queste variabili sono
determinate da fattori quali l’età, le malattie predisponenti, alcuni
trattamenti con antibiotici, corticosteroidi o con altri agenti
immunosoppressivi, radiazioni, e una violazione delle “prime linee”
dei meccanismi di difesa causata da interventi chirurgici, anestesia o
cateteri a dimora possono rendere il paziente più suscettibile alle
infezioni. Pazienti con deficit immunitari congeniti o acquisiti sono ad
aumentato rischio, in correlazione con lo specifico difetto immunitario.
59
o una via di trasmissione specifica per quel patogeno. In ospedale i
microrganismi possono essere trasmessi con diverse modalità e lo
stesso germe può essere trasmesso attraverso più di una via. [10; 34]
2.1.3 Impatto psicologico
I visitatori sono stati segnalati, come fonte di svariati tipi di infezione
associata all’assistenza (pertosse, tubercolosi, influenza ed altre infezioni virali
respiratorie e SARS), ma non sono stati studiati metodi efficaci di screening in
ambito sanitario.
Il controllo attuato dal personale della struttura, permette di ammettere o
escludere il visitatore. Familiari e conviventi di pazienti con pertosse e tubercolosi
(soprattutto pediatrici) possono necessitare di uno screening per identificare
precedenti anamnestici di esposizione, così come segni e sintomi di infezione
attiva.
I visitatori potenzialmente contagiosi vengono esclusi, fintanto che non
abbiano ricevuto un appropriato inquadramento diagnostico e un adeguato
trattamento.
Dal punto di vista dell’impatto psicologico, è stato dimostrato in molti
articoli che l’isolamento, sia esso dovuto ad un’infezione contratta dal paziente,
sia esso per una patologia psichiatrica, o sia esso per proteggere un paziente
immunodepresso potenzialmente a rischio comporta degli effetti negativi
sull’assistito. [40]
Questi effetti negativi si evidenziano sia in una manifestazione di stati
depressivi e ansiosi, di un aumento nella paura e nel senso di solitudine, sia dal
punto di vista comportamentale, con episodi di rabbia, ostilità e violenza. La
ragione dietro a questi effetti psicologici negativi è da ricercare probabilmente ad
una sensazione di perdita di controllo, che deriva da più fattori, in ultima istanza
dall’isolamento stesso. [13]
Alcuni autori affermano che, la preparazione emotiva di questi pazienti a
quello che dovranno affrontare, prima del periodo di isolamento, possa aiutarli a
diminuire gli effetti negativi che scaturirebbero da quest’ultimo. [1; 15]
60
2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica
2.2.1 Isolamento per chemioterapia
Tutti i pazienti ricoverati nella Clinica Ematologica, nella sezione degenze
sono posti in isolamento. In questo caso ci troviamo di fronte ad un isolamento di
tipo preventivo, molto meno rigido rispetto a quello della sezione trapianti (come
vedremo in seguito). Quasi tutti i pazienti ricoverati in questa unità sono
sottoposti a chemioterapia e sono in una condizione di immunodepressione
severa(Fig. 15) ; c’è la necessità quindi di prendere degli accorgimenti in modo che
non vengano esposti a delle infezioni potenzialmente fatali per la loro condizione
immunitaria. Tutti i parenti ed i conoscenti che vengono a fargli visita devono
rispettare degli orari molto rigidi e devono seguire delle procedure standard
prima di entrare nel reparto: devono indossare dei calzari sulle scarpe e una
mascherina chirurgica e lavarsi le mani, con la procedura del lavaggio mani
utilizzata in ospedale, con i prodotti appositi. Anche il personale del reparto deve
seguire, sia per quanto riguarda l’uso di DPI, sia per quanto riguarda l’esecuzione
di procedure sul paziente.
Fig. 15 Principali effetti collaterali
della chemioterapia
61
2.2.2 Isolamento per trapianto
Il tipo di isolamento che viene attuato nei confronti del paziente ematologico
sottoposto a trapianto di midollo osseo è di tipo preventivo. Come accennato in
precedenza per isolamento protettivo si intende la permanenza in un ambiente a
bassa carica microbica ottenuta da rigide norme comportamentali sia per il
personale del reparto, sia per i visitatori, sia per il paziente stesso.
In particolare durante il periodo di degenza in un’unità trapianto di midollo
osseo, il paziente essendo aplastico, non potrà avere contatti con persone
provenienti dall’esterno e sarà quindi isolato in una stanza singola (doppia
quando in remissione). Il personale potrà recarsi in stanza del paziente solo con
divisa del reparto, calzari del reparto, mascherina e cuffia e dovrà attuare il
lavaggio delle mani all’ingresso e all’uscita dalla stanza e ad ogni procedura.
Le indicazioni da seguire in questo contesto saranno molto più rigide
rispetto a quelle applicate nel reparto di degenza, essendo la condizione di
immunosoppressione del paziente molto più severa. [3]
2.2.3 Impatto psicologico sul paziente ematologico immunodepresso in
unità trapianti
Dal punto di vista emotivo, per il paziente, l’ingresso nell’unità trapianti, e
di una condizione di rigido isolamento, conferma la severità dell’intervento e
comporta un punto di non ritorno. [24] I fattori che producono stress
nell’isolamento sono riconducibili alla sensazione di perdita di controllo, alla
mancanza di contatto fisico, all’insonnia, alla rigidità delle cure e alle limitazioni
nelle attività quotidiane.
Gli effetti a livello psicologico a cui può portare questa situazione possono
includere una regressione comportamentale, un aumento dell’ansia anche per
procedure minori, depressione, disturbi del sonno, richieste eccessive al personale
ed alla famiglia ed una noncompliance. [20]
62
La combinazione di una diagnosi di neoplasia e di una necessità di
isolamento del paziente, che debba essere anche sottoposto a chemioterapia o
radioterapia può avere, a maggior ragione un impatto psicologico ancora più
violento; può destabilizzare ancor di più l’assistito nel percorso terapeutico ed
avere effetti negativi sulla sua compliance e sull’accettazione della terapia. [7]
In questa situazione, oltre al pensiero della malattia e a non poter vedere i
propri familiari durante il periodo di degenza, il paziente potrebbe dover
affrontare un’altra esperienza molto significativa, come l’accettazione di un
“organo” da parte di un proprio familiare. La conoscenza che un proprio caro, o
anche uno sconosciuto, si sottoporrà ad un’ intervento doloroso per concedere una
possibilità di guarigione all’assistito, può avere un impatto molto forte dal punto
di vista emotivo per il paziente, che non avrà nemmeno l’occasione di esprimere le
proprie emozioni, trovandosi solo e separato dai propri familiari. [32; 6; 31; 38]
Tutte queste variabili psicologiche possono, in qualche modo, influenzare la
ripresa dopo il trapianto e rendere il malato più debole, sia dal punto di vista
fisico, sia dal punto di vista psicologico. [8]
63
3.3.3.3. IL TRAPIANTOIL TRAPIANTOIL TRAPIANTOIL TRAPIANTO
3.1 Il trapianto3.1 Il trapianto3.1 Il trapianto3.1 Il trapianto
3.1.1 Cos’è?
Il trapianto di midollo osseo (BMT - Bone Marrow Transplant) consiste nella
procedura di infusione intravenosa di cellule staminali emopoietiche e cellule
progenitrici, con lo scopo di ripristinare la normale emopoiesi e/o trattare
malattie oncologiche (Fig. 16). Effettuare un trapianto di midollo osseo, significa
impiantare cellule staminali emopoietiche per due motivazioni principali:
• sostituire un midollo anormale, ma non neoplastico, che deve prima essere
“annullato”. Per fare ciò il paziente si deve sottoporre ad un ciclo di
chemioterapia (chiamato ciclo d’induzione), o attraverso la radioterapia.
• somministrare chemioterapia e/o radioterapia in neoplasie ematologiche
(leucemie, linfomi ed altri tumori), allo scopo di eliminare tutte le cellule
neoplastiche, sostituendo infine il midollo osseo attraverso un trapianto
allogenico (donato da altri) o autologo (prelevato, come cellule staminali, dal
paziente stesso) il midollo annullato. Anche un gemello identico al malato può
donare il midollo; in questo casi si parla di trapianto singenico. [27]
Per il trapianto di midollo si ricorre al prelievo da sorgenti di cellule staminali
emopoietiche, come:
o il midollo
o il sangue periferico
o il sangue del cordone ombelicale
o il fegato fetale, proveniente da un individuo diverso dal paziente, ma
immunologicamente compatibile a lui
Le condizioni patologiche in cui si richiede un trapianto di midollo sono
elencate in tabella 3.
64
Patologie neoplastichePatologie neoplastichePatologie neoplastichePatologie neoplastiche Patologie non neoplastichePatologie non neoplastichePatologie non neoplastichePatologie non neoplastiche
Leucemia mieloide acuta
Leucemia linfoide acuta
Leucemia mieloide cronica
Leucemia linfoide cronica
Sindromi mielodisplastiche
Linfomi non-Hodgkin
Linfoma di Hodgkin
Mieloma multiplo
Mielofibrosi
Carcinoma della mammella
Cancro del testicolo
Cancro dell’ovaio
Neuroblastoma
Tumori neuroepiteliali periferici
Tumore di Wilms
Sarcoma di Ewing
Anemia aplastica
Aplasia eritroide pura
Emoglobinuria parossistica notturna
Anemia di Fanconi
Anemia drepanocitica
Talassemia
Immunodeficienza combinata grave
Difetti di adesione dei leucociti
Tromboastenia di Gianzmann
Malattia di Gaucher
Malattia granulomatosa cronica
Sindrome di Chédiak-Higashi
Sindrome di Hurier
Sindrome di Hunter
Leucodistrofia metacromatica
Adrenoleucodistrofia
Sindrome di Lesch-Nyhan
Glicogenosi di tipo II
Osteopetrosi
Incidenti da radiazioni
(come Chernobyl, Hiroshima ecc.)
Tab. 3 Elenco delle principali patologie sottoposte a trapianto di midollo
65
3.1.2 Tipi di trapianto
I tipi di trapianto che possono essere effettuati sono: il trapianto allogenico
(donato da altri); il trapianto autologo (prelevato, come cellule staminali, dal
paziente stesso); il trapianto singenico (prelevato da un gemello identico al
malato).
3.1.2.a Allogenico
Nel trapianto allogenico, le cellule staminali vengono prelevate da un
donatore diverso dal paziente ricevente. I donatore e il ricevente solitamente sono
identici o compatibili per l’antigene leucocitario umano (HLA - Human Leukocyte
Antigen) o complesso maggiore di istocompatibilità.
Le caratteristiche distintive del trapianto allogenico sono: la certezza di
avere cellule staminali, per il trapianto, non contaminate da cellule tumorali e
che contengano cellule T capaci di mediare una reazione immunitaria contro
antigeni estranei. Quest’ultima caratteristica può essere un grande vantaggio
nella risposta immunitaria contro le cellule neoplastiche (graft-versus-leukemia o
graft-versus-tumor effect) quindi potenzialmente eradicando la malattia e
riducendo le possibilità di una ricaduta. Se, però, la risposta immunologica è
diretta verso gli antigeni presenti sui tessuti normali, può portare alla
distruzione di organi sani, evento chiamato rigetto (GVHD - Graft Versus Host
Disease).
La scelta di preferire come donatore allogenico per il trapianto è
determinata da più fattori, inclusa la malattia del paziente, lo stadio della
malattia e l’urgenza di trovare un donatore. Quando viene presa in
considerazione la scelta di un donatore allogenico, si preferisce che questo sia un
parente perfettamente compatibile con il malato, per diminuire al minimo la
probabilità di rigetto. Uno degli svantaggi di questo tipo di trapianto è che i tempi
di attesa prima dell’intervento sono molto più lunghi, a causa di tutte le
procedure di identificazione del donatore appropriato e di compatibilità richieste.
[37; 39; 44]
66
Una volta trovato il donatore, il paziente, come accennato in precedenza,
deve iniziare un regime di “condizionamento” o di “preparazione” prima
dell’infusione delle cellule staminali emopoietiche. La maggior parte delle terapie
preparative sono una combinazione di radiazioni e chemioterapia.
Il trapianto di midollo osseo singenico utilizza cellule staminali prelevate da
un gemello identico al malato. Siccome le cellule sono geneticamente identiche, il
vantaggio nella scelta di questo trapianto è che non c’è rischio di GVHD e,
caratteristica comune al trapianto allogenico, non c’è rischio di contaminazione di
cellule neoplastiche. Lo svantaggio maggiore è che l’individuo non è protetto
dall’effetto graft-versus-leukemia.
3.1.2.b Autologo
Il trapianto di midollo osseo autologo implica che le cellule staminali siano
raccolte dal paziente stesso. Il motivo fondate di scelta di questo tipo di trapianto,
così come quello singenico, è che alcune neoplasie come la leucemia, hanno una
rapida curva dose-risposta alla chemioterapia e alle radiazioni e portano quindi
ad effetti mielosoppressori molto severi in breve tempo.
I vantaggi maggiori di questo tipo di trapianto, a differenza di quello
allogenico, sono che: il paziente può donare a se stesso il midollo, senza doverlo
richiedere ad un’altra persona (importante dal punto di vista psicologico); può
essere effettuato anche in pazienti più anziani, diminuendo il rischio di mortalità
(minore probabilità di GVHD).
Tuttavia aumenta il rischio di complicanze dovute alle radiazioni precedenti
il trapianto. Altro svantaggio, potenziale, riscontrato nel trapianto autologo è la
possibile re-infusione di cellule neoplastiche.
67
3.1.3 Le sue fasi
L’intervento di trapianto di midollo può essere diviso in tre fasi, identificabili
nel periodo di pre-trapianto, il periodo immediatamente successivo al trapianto ed
il periodo recupero dopo il trapianto.
Il periodo di pre-trapianto comprende:
o la fase di identificazione del tipo di trapianto da eseguire e, se
necessario, la ricerca del donatore da cui prelevare le cellule;
l’ingresso del paziente in unità trapianti; la somministrazione di
un’appropriata terapia di condizionamento e la gestione dei primi
effetti collaterali; il supporto psicologico pre-trapianto.
Gli infermieri ricoprono un ruolo significativo nell’intervento di
trapianto di midollo osseo; in particolare, in questa fase svolgono un
ruolo fondamentale sia nella gestione della terapia e dei suoi effetti
collaterali, sia nell’educazione del paziente e dei familiari di come
affrontare l’interventi e nel supporto psicologico.[20]
o la fase immediatamente successiva al trapianto comprende il
trapianto stesso, le complicanze acute relative al trapianto e/o alla
terapia di condizionamento e il supporto psicologico e fisico durante la
severa pancitopenia e immunosoppressione successiva al trapianto.
o il periodo di recupero dopo il trapianto è caratterizzato dalla
preparazione del paziente alla dimissione, alle complicanze tardive
legate alla terapia di induzione e/o al trapianto stesso e all’educazione
sulla gestione della terapia immunosoppressiva e
dell’immunosoppressione stessa.
Psicologicamente sia i pazienti, che i donatori, che la famiglia attraversano delle fasi
di coping e di adattamento durante il processo di trapianto di midollo osseo.
[32]
68
Fig. 16 Trapianto di cellule staminali in paziente
leucemico
69
4.4.4.4. STUDIOSTUDIOSTUDIOSTUDIO
4.1 Lo scopo dello studio4.1 Lo scopo dello studio4.1 Lo scopo dello studio4.1 Lo scopo dello studio
L’esperienza di isolamento affrontata da un paziente in un ambito oncologico
è un evento traumatico nonché difficile da affrontare, non solo per l’isolamento in
sé, ma anche per la patologia di cui soffre il paziente e la terapia a cui viene
sottoposto. [14]
In ambito ematologico il paziente può dover affrontare l’esperienza del
trapianto di midollo osseo, che, oltre ai rischi correlati all’ intervento in sé, ha un
forte impatto sul paziente per l’isolamento protettivo che comporta.
L’assistito infatti è costretto a stare lontano dalla propria famiglia e dai
propri cari per un periodo di tempo molto lungo, che va dall’ingresso in unità
trapianti per il condizionamento pre-trapianto, al trapianto stesso, al periodo
immediatamente al trapianto. [25]
Lo studio che ho voluto affrontare ha come proposito quello di analizzare il
vissuto del paziente affetto da patologia ematologica all’interno dell’unità
trapianti, quindi durante il periodo di isolamento necessario dalla preparazione
per il trapianto, al trapianto stesso e al primo periodo di remissione.
Lo studio è stato puramente osservazionale; è stato valutato l’impatto che
l’allontanamento dai propri cari e la mancanza di interazione con altre persone
per gran parte della giornata ha avuto sui soggetti presi in considerazione. [12]
70
4.2 Mate4.2 Mate4.2 Mate4.2 Materiali e Metodiriali e Metodiriali e Metodiriali e Metodi
Questo studio osservazionale è stato eseguito presso la Unità Trapianti della
Clinica Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine.
Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti ematologici ricoverati
nell’unità trapianti nel periodo che va da luglio 2013 a novembre 2013.
I questionari sono stati consegnati a minimo 5-6 giorni dall’ingresso del
paziente nella zona trapianti, per valutare nel miglior modo possibile l’effettivo
stato psicologico del paziente in una condizione di isolamento. Sono state fatte
due copie per ogni questionario, una in italiano ed una in inglese, per facilitare
eventuali pazienti stranieri ricoverati di compilare il questionario in una lingua
conosciuta a livello internazionale. Vengono di seguito riportate in tabella solo le
versioni italiane essendo state utilizzate solamente quelle.
4.2.1 I questionari utilizzati
Per rendere possibile questo studio ho voluto prendere in esame ed utilizzare
due questionari ridotti a risposta chiusa multipla. Oltre a questi ho voluto
aggiungere una domanda aperta che lasciasse spazio al paziente di esprimere
anche a sue parole le sensazioni e le emozioni provate durante il periodo di
isolamento.
Il primo questionario preso in esame è stato il State Trait Anxiety Inventory,
scala usata in vari contesti ospedalieri (Tab.4). Comunemente viene usata per
rilevare il livello di ansia mostrato da un paziente e per distinguerlo da sindromi
depressive. Viene anche usato spesso per valutare lo stress nei caregiver che si
prendono cura dei pazienti.
Il questionario è diviso in due parti, entrambe composte da 20 domande. La
prima parte ha come intento quello di valutare lo stato di ansia del paziente nel
momento attuale (nel periodo di isolamento, nel nostro caso). La seconda parte
vuole determinare lo stato di ansia che il paziente viveva normalmente nella sua
vita al di fuori dell’ospedale prima del ricovero. Ad ogni risposta è stato attribuito
un punteggio da 1 a 4. La valutazione 4 indica un alto livello d’ansia, mentre il
valore 1 indica un livello di ansia basso. Alcune domande sono formulate in forma
invertita, perché indicano un’assenza di stato d’ansia.
71
Il punteggio finale viene ottenuto dalla somma dei punti dati alle risposte;
più è alto il punteggio, più è alto lo stato d’ansia. Il punteggio varia da 20 a 80 per
ogni parte del test, dove venti indica uno stato d’ansia basso e 80 molto alto. [36]
72
Primo QuestionarioPrimo QuestionarioPrimo QuestionarioPrimo Questionario