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VICTORIYA TRUBNIKOVA TESINA PER IL CORSO DI ANTROPOLOGIA E ETNOGRAFIA DEI PROCESSI MIGRATORI E DEI CONTESTI CULTURALI “Il teatro e la migrazione: un rapporto collaborativo” Laurea magistrale in Lingua e Cultura Italiane Per Stranieri Università degli Studi di Bologna AA 2012-2013 0
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Il teatro e la migrazione: un rapporto collaborativo

Mar 06, 2023

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Page 1: Il teatro e la migrazione: un rapporto collaborativo

VICTORIYA TRUBNIKOVA

TESINA PER IL CORSO DI ANTROPOLOGIA EETNOGRAFIA DEI PROCESSI MIGRATORI E DEI

CONTESTI CULTURALI

“Il teatro e la migrazione: un rapportocollaborativo”

Laurea magistrale in Lingua e CulturaItaliane Per Stranieri

Università degli Studi di BolognaAA 2012-2013

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Page 2: Il teatro e la migrazione: un rapporto collaborativo

Indice

Premessa.........................................................

.................................................................

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Il teatro e il viaggio verso

l’alterità.......................................................

.............................................

I’attore-migrante: un fenomeno

transculturale...................................................

........................... Il dialogo transculturale: gli

spettatori.......................................................

........................................

Il repertorio – la scelta

significativa....................................................

.............................................

Conclusione......................................................

.................................................................

.............

Bibliografia.....................................................

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Page 3: Il teatro e la migrazione: un rapporto collaborativo

.................................................................

..................

Premessa

Nel corso del Novecento si è verificato un incontro, spesso molto

proficuo, tra la ricerca antropologica e la ricerca teatrale.

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L’emergere di un’ottica di tipo antropologico sul teatro è stata

legata a un’interrogazione di tipo genealogico. La genesi del

teatro è, infatti, intrinsicamente legata alla sacralità del rito

come un atto che svolge la funzione di rendere tangibile e

ripetibile l'esperienza religiosa, cercando in esso la garanzia

del mantenimento dell’identità comunitaria. La partecipazione al

rito supponeva quindi un totale coinvolgimento nella dinamica

della recitazione.

Il teatro, dal greco theasthai “vedere, guardare”, nasce proprio

nel momento in cui avviene una netta separazione tra spettatori e

attori. L'evoluzione del teatro occidentale inoltre è

caratterizzata dall’accento posto sull’esperienza mitica

nell’orizzonte epico. Man mano con l’aumento della dimensione

laica del teatro si sviluppa anche il maggior interesse verso la

parola detta anzichè verso l’azione svolta. Il testocentrismo ha

per di più rafforzato i rapporti del teatro con la letteratura ma

si è indebolito nei termini del mantenimento della propria natura

scenocentrica, come evento epressivo creato per essere visto.

Le scoperte geografiche dell’epoca moderna, unitamente

all’interesse suscitato da tali nuove culture, hanno fatto sì che

nell’arco del secolo scorso venisse riconosciuto anche il

processo di riscoperta dei valori originali del teatro fondato

sull’essere umano e sulla sua esperienza rivitalizzante. Il

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teatro diventa quindi un rito laico volto alla riattivazione

degli archetipi nei subconsci degli spettatori (Grotowski:1993).

Nella ricerca del “rituale perduto” l’orizzonte dei teatrali di

Novecento tra cui Artaud, Grotowski, Brook, Schlechner è stato

ampliato dalle tradizioni dei teatri orientali. Il teatro ha

smesso di essere eurocentrico ed anzi può essere definito come

teatro eurosiano. Viene ripensato anche il rapporto tra l’attore

e lo spettatore che può essere percepito come un incontro di tipo

paradigmatico. Il teatro in questa maniera tenta di diventare un

canale o un mezzo di esperienza piuttosto che concentrarsi

unicamente sul proprio soggetto.

Dopo questo breve riassunto della storia teatrale vorrei

soffermarmi sui punti salienti che possano essere utilizzabili

nel corso della mia ricerca.

L’analisi che segue è basata su un approfondimento ed analisi

sull’attività del Teatro ITC di San Lazzaro (BO). La compania

teatrale, formata dal direttore artistico Pietro Floridia, unisce

persone provenienti dai diversi paesi del mondo (ad esempio

provenienti dal Senegal, India, Cina, Iran, Ucraina). Lo scopo e

la visione principale che ha guidato i fondatori alla

costituzione del teatro degli immigrati risiede nel fatto di

riconoscere ed evidenziare le culture e le esperienze di vita

individuali. Lo spettacolo in questo modo diventa un fulcro

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attorno al quale ruotano i punti in comune che uniscono culture

vicini e lontane.

L’obiettivo principale a cui aspira il direttore artistico

Floridia è proprio questo: la nascita di una “nuova tradizione”

teatrale che permetta di accostare le tradizioni teatrali diverse

e lontane (anche geograficamente) e scoprire i punti in comune.

L’analisi condotta in questo filone permette di valutare come

l’esperienza migratoria incida sulla recitazione, la scelta del

repertorio e del linguaggio scenico.

Nel prosieguo della trattazione, dunque, ci si soffermerà sugli

elementi compositivi della messinscena ovvero l’arte del attore,

il ruolo dello spettatore e lo spazio teatrale.

Il teatro e il viaggio verso l’alterità

Il teatro, tra le tutte le arti raffigurative, risulta quella più

vicina alla vita quotidiana delle persone, rispetto alla maggior

parte dei generi performativi. Il fatto che il teatro sia così

vicino alla quotidianità, pur, allo stesso tempo rimanendo

distante da essa, quel tanto che basta per farle da specchio, fa

di esso la forma più adatta per il commento o “metacommento” di

un conflitto. (Turner: 1999). Il cambiamento del contesto sociale

non può non avere l’influenza sul modo di agire. La riflessività

performativa è una condizione in cui un gruppo socioculturale, o

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i suoi membri più percettivi agiscono in modo rappresentativo, si

rivologono, si ripiegano, si riflettono su se stessi, sulle

relazioni, le azioni, i simboli, i codici, i ruoli, le

condizioni, le strutture sociale, le regole etiche e legali e le

altre componenti socioculturali che concorrono a formare o loro

“io” pubblici. La riflessività performatica, inoltre, è un

semplice riflesso, una risposta rapida, automatica o abituale a

qualche stimolo (Turner:1993).

Nel proseguo si analizzerà la situazione migratoria cercandone di

capire in quale misura l’esperienza che da essa ne deriva

influenzi l’approccio pragmatico sia del pubblico che degli

attori stessi, verso la rappresentazione teatrale.

La materia base della vita sociale è la performance, la

rappresentazione di sè nella vita quotidiana (Turner:1993).

L’artista cerca di comprendere la vita nei confini di se stessa,

pragmatici, piuttosto che in termini soprannaturali: in questo

modo si realizza il discostamento dell’argomento religioso e

della sacralità. Tuttavia il teatro non funge solamente da

strumento conoscitivo della realtà. Esso esercita anche

un’importante funzione spirituale – esplorazione di sè stesso e

dell’altro, un viaggio di espansione-dilatazione-intensificazione

(De Marinis:2011).

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Le rappresentazioni teatrali diventano la dimensione in cui la

realtà e finzione, pubblico e personale, si fondono e confondono

in una narrazione che, essendo verosimile in quanto fondata su

una rielaborazione emotiva di esperienze quotidiane, diventa un

veicolo di discernimento per il pubblico e per gli attori stessi.

(De Marinis: 2011).

Come sottolinea Turner, infatti “nell’agire su una scena bisogna

portare nel mondo simbolico e fittizio i problemi scottanti della

nostra realtà” (Turner: 1999).

L’attore-migrante: un fenomeno transculturale

Per quanto concerne il fenomeno dell’attore-migrante ritengo

opportuno fare riferimento alla concezione dell’identità in

quanto ogni persona funge da portatore di tratti particolari che

la distingue, ciò che rende uguali e ciò che rende differenti:

l’identità definisce se stessa nella presenza di una controparte.

Bisogna però tenere in considerazione l’idea d’identità non in

senso essenzialista ma come un processo indotto da eventi esterni

e definito dall’azione relazionale e contestualmente definita

degli individui, che ne rivendicano quotidianamente la sua

appartenenza (Degli Uberti: 2003).

L’attore può essere quindi visto come il portatore di tre

identità – personale, professionale ed etnica. L’identità

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professionale esige un’attenzione particolare da parte degli

atropologi teatrali – è un punto transculturale all’interno della

personalita artistica, la struttura profonda che permette

all’attore di agire a prescindere dal contesto socio-culturale.

Lì si trovano punti in comune che permettono al regista teatrale

di accostare tutti gli attori in quanto tali e formare “una nuova

tradizione”.

L’identità personale invece si manisfesta attraverso

l’attivazione del sistema corpo-mente dell’attore che si realizza

mediante la sua recitazione. Lo scopo dell’attore su una scena

del teatro, come pure un attore sociale sulla scena del mondo

contemporaneo sta nell’assumere il compito della divulgazione di

qualche messaggio socialmente e culturalmente importante.

L’identità etnica può essere nominata anche identità culturale in

cui costituisce il presupposto per lo sviluppo dell’attore

partendo dalla particolarità della sua tradizione scenica.

In effetti, l’attore migrante sul palcoscenico del teatro a San

Lazzaro, pur essendosi stabilito nel contesto locale, non perde

la sua dimensione culturale del paese di provenienza. Un

immigrato diventa un’inesauribile e insostituibile sorgente di

saggezza e ricchezza culturale. L’esoticità viene messa in

rilievo ma mai in senso negativo: il fine non sta nel mostrare la

peculiare diversità della persona ma risiede nel fatto di farne

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un uso utile per la propria esperienza. I registi del teatro

diffusamente utilizzano la musica tradizionale degli immigrati e

gli elementi delle loro festività rituali. Qui ritorniamo al

discorso dell’oscillazione tra il rito e il teatro – pur negando

la sacralità iniziale, il teatro assume gli elementi rituali in

quando mezzo per trasmettere i messaggi sulla cultura e società

dei paesi stranieri. Le performances culturali sono intimamente

legate a un contesto sociale perché in esso trovano la propria

origine. A questo riguardo Turner usa l’espressione: drammi

sociali che sono considerati "la matrice empirica" da cui i

generi performativi imitano (per mimesi) la forma processuale e

in parte (mediante riflessione) attribuiscono ad essi un

significato (Turner:1993).

Il dramma scenico, nutrendosi di quello sociale, si manifesta

come qualcosa di più rispetto a una semplice opera

d’intrattenimento perché sviluppa una retorica drammaturgica che

fa riferimento alla latente struttura processuale del dramma

sociale da cui ha avuto origine (degli Uberti:2003).

Gli attori del teatro ITC di San Lazzaro sono individui non

professionisti che non si occupavano e non si intendevano di

teatro prima della loro esperienza migratoria. Paradossalmente

questa caratteristica risulta positiva giacche l’attore è

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liberato dalle condizioni professionali e agisce in quanto è

persona viva, un essere umano.

I metodi che si usano per il lavoro con gli immigrati non

includono gli esercizi individuali, il cosidetto training

professionale. Le esperienze pratiche con il metodo di Artaud,

applicato per il Teatro della crudeltà (il principio dello sforzo

e il sacrificio al fine della rappresentazione), non risultano

vincenti nel lavoro con gli immigrati. La ragione di ciò risiede

nel semplice fatto che attraverso il lavoro individuale si

rafforza il distacco dal mondo e nella situazione migratoria

questa esperienza può essere particolarmente dolorosa. Prevale,

invece, il lavoro in gruppo che mira al raggiungere la scioltezza

e organicità. Il regista in questo contesto assume il compito di

essere una guida piuttosto che fungere da capo autoritario: non

impone una lettura concreta del brano teatrale durante le prove

ma dirige il gruppo verso una continua apertura delle risorse

proprie, attraverso l’attivazione e recupero di comportamenti,

situazioni e oggetti della vita reale specifica delle realtà

dalle quali provengono.

Il teatro nella sua veste di mezzo comunicativo è uno strumento

che permette di attingere alla communicazione sia verbale che non

verbale. Una tra le tante difficoltà che deve affrontare un

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immigrato è il problema di esprimersi ovvero il noto problema

della lingua.

Nel teatro ITC, al contrario, il linguaggio non è considerato il

mezzo più efficace per trasmettere il messaggio al pubblico. Le

persone che fanno ancora fatica a esprimersi liberalmente si

sentono, invece, a loro agio attivando il corpo, la mimica e i

gesti. In tal modo si stabilisce il primato del fisico e la

comunicazione si affida alla capacità anche espressiva

dell’attore. Pian piano che la padronanza della lingua diventa

più forte all’espressione corporea si aggiunge quella verbale, in

lingua italiana. Bisogna notare che il regista dà particolare

peso a questo avvenimento – il teatro diventa un mezzo pedagogico

per imparare la lingua pur non manifestandosi come tale. Qui si

può aggiungere una riflessione per una buona parte retorica – se

sia possibile sostituire la madrelingua con quella straniera

nella recitazione. La risposta che ricevo rimane ambigua – il

Teatro ITC non vede particolare differenza in questi due modi di

esprimersi – ciò che conta è il contesto, l’elemento del gioco e

del “come se”, interscambialità dell’esperienza.

La risposta opposta mi viene data da una ricercatrice del teatro

circa i migranti provenienti dalla Federazione Russa – raramente

gli attori russi continuavano il loro percorso artistico usando

l’altra lingua ritenendola “artificiale” (Vagapova:2007). La

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perdita del linguaggio viene infatti vissuta come la perdita in

parte della propria indentità culturale.

Attraverso l’esperienza scenica si negozia il rapporto con altro.

Il lavoro teatrale forgia l’accettazione dell’altro in quanto

diverso e smentisce la percezione in cui l’altro viene accettato

negandone la diversità. Si sottolinea, inoltre, in maniera

particolare l’uso terapeutico del teatro. L’attore non è uno che

recita i personaggi ma l’individuo che sviluppa e perfeziona il

proprio essere. I migranti che si trovano in ambito sconosciuto e

nuovo si sentono sradicati, spaesati, estranei, angosciati ed

attraverso l’esperienza teatrale possono creare una nuova

percezione della realtà un po’ meno ostile. La persona va verso

l’esplorazione di se stesso non in quanto è attore sociale ma

paradossalmente ottiene il risultato opposto – il lavoro su se

stesso pone le chiavi di lettura dei processi sociali in cui

l’individuo passando per l’esperienza teatrale può inserirsi.

In questo senso la “messa in scena” diventa un atto di “messa in

vita” in quanto trae ispirazione dalla vita quotidiana e dal

bisogno degli attori di osservare ed interrogarsi sulla realtà

che li circonda e di cui fanno parte (degli Uberti:2003).

Con la crescente consapevolezza di se stesso si rafforza anche il

sentimento di fiducia e apertura che aiuta a relazionarsi con gli

altri. Per questo motivo sulla scena contemporanea possiamo

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vedere anche i gruppi marginalizzati della società – i detenuti

del carcere (la Compania della Fortezza), i handicappati (il

lavoro di Robert Wilson), i malati (il lavoro nel manicomio di

Trieste).

L’esigenza di percepire la posizione degli altri è stata una

condizione quotidiana che tiene all’erta tutti i sensi

(Barba:1993).

Assistiamo al momento della nascita del cosidetto teatro a disagio

nel quale gli strumenti teatrali risultano particolarmente

efficaci nell’ambito socio-pedagogico-terapeutico negli

interventi sul disagio e sulla diversità.

Il dialogo transculturale: gli spettatori

Certamente il teatro non rappresenta solo la possibiltà di aprire

i nuovi orizzonti per se stesso, il teatro, infatti, esiste da

sempre nel rapporto tra attori e spettatori. Il fatto stesso che

esiste tale relazione attore-spettatore implica che lì si

producano i significati. Il pubblico attraverso l’immedesimazione

stabilisce un dialogo con gli attori e compie il viaggio verso

l’alterità ricevendo l’esperienza extraquotidiana dell’altro sia

sul piano percettivo che su quello cognitivo. Attraverso il

processo d’essenzialismo culturale che contribuisce

all’esclusione degli immigrati, gli attori, che nella vita

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quotidiana si trovano al margine della società a causa della loro

situazione precaria, diventano il centro dell’attenzione e

vengano ascoltati: diventano importanti. L’esperienza teatrale

permette di agire: piuttosto di venire “agite” (De Marinis:

2011). Così l’individuo ha la possibilità di perdere la maschera

che gli attribuisce la società e liberarsi dagli stereotipi

superando fratture e barriere sociali anche importanti, passando

da comparsa a protagonista. Lo spettatore vede sul palcoscenico

un attore, meglio dire un individuo piuttosto che la persona

impostata rigidamente in un certo contesto e preparata

nell’immedesimazione in un determinato personaggio. Il teatro in

questo modo aiuta a evadere dall’isolamento e intercomunicabilità

della vita sociale (De Marinis:2011).

Il teatro diventa un veicolo di confronto con la realtà, il

terreno di dialogo e incontro attraverso cui attore-migrante

stabilisce un legame tra la realtà del paese di provenienza e il

paese dell’approdo. L’incontro attore/spettatore diventa un

incontro paradigmatico l’uno con l’altro. Lo spettatore può

scoprire nuove dimensioni e compiere il percorso dall’apparenza

all’apparizione (De Marinis: 2011).

Lo spazio teatrale diventa sia il terreno d’incontro dove persone

con culture differenti sviluppano un confronto e nuove modalità

espressive, sia il contesto significante in cui un individuo

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migrante affronta e dà un senso alla drammatica condizione

esistenziale vissuta in seguito alla scelta d’emigrare (degli

Uberti:2003).

Il repertorio – la scelta significativa

La particolarità della situazione di migrazione incide anche,

quale diretta conseguenza, sulla scelta del repertorio teatrale.

Negli occhi degli spettatori anche la scelta del tema ricorrente

per un brano teatrale diventa molto indicativa.

Finora ho assistito ai due spettacoli del teatro ITC: un pezzo

breve ispirato dal “Castello” di Franz Kafka e omonimo al film

spettacolo “Titanic”. È molto evidente come nel primo caso

attraverso la messa in scena viene ribadito il messaggio

principale dell’opera kafkiana: il forestiero perduto che non

trova posto nel vilaggio nuovo e viene respinto diverse volte

nonostante fosse chiaro e ben definito lo scopo del suo arrivo.

Il secondo spettacolo definisce come tema principale il tema

della morte – anche questo viene metaforizzato e applicato per la

situazione migratoria – le persone che cercano di salvarsi sulla

nave, che può rappresentare ad esempio una società ospitante,

hanno paura di annegare e perdersi nelle condizioni della vita

nuova. Così nel modo continuo avviene il ripensamento e ri-

negoziamento della propria situazione migratoria.

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Gli attori non sono i semplici protagonisti di una messa in

scena, ma piuttosto una fonte d’ispirazione stessa dei testi

teatrali. Dai loro sogni, dalla loro sensibilità, e dal loro

sguardo verso la realtà, il drammaturgo dà voce, corpo ed anima

all’azione drammatica (Degli Uberti: 2003). Le emozioni che

ricevono gli spettatori funzionano cognitivamente: il legame tra

la realtà e la finzione diventa la base secondo la quale gli

spettatori formeranno il proprio giudizio sull’opera teatrale.

Conclusioni

Si può certamente affermare che il lavoro teatrale da parte dei

cosiddetti attori-migranti mostra esiti positivi poiché consente

allo spettatore di fare un viaggio esplorativo verso l’alterità

sociale e culturale dei protagonisti.

Il teatro come pure il fenomeno migratorio travalica i confini

nazionali e allarga in propri orizzonti. Il teatro permette di

non appartenere a nessun luogo, di non essere ancorato a una sola

prospettiva ma di rimanere in transizione, in movimento. Il

teatro diventa non solo uno spazio dove si condensa la cultura

d’appartenenza ma anche il luogo di distribuzione dell’esperienza

e dell’energia. Nel teatro e nella cultura non esiste il genius

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loci. Tutto viaggia discostandosi dal proprio contesto di origine

e trapiantandosi in quello di destinazione. Non esistono

tradizioni legate indissolubilmente a una determinata geografia,

lingua, professione (Barba: 1993).

Inoltre, altro elemento di notevole importanza è costituito

dall’affinità del rapporto tra teatro e vita. Se la vita può

essere paragonata allo spettacolo delle apparenze allora il

teatro può servire a riportare alla luce la verità. Se nella vita

il codice convenzionale ci trasmette la verità di un immigrato

angoscioso e perso, lo spettacolo gli da la possibilità di

mostrarsi come un essere umano in carne e ossa e riscoprire la

verità dell’individuo nella propria condizione.

In tal modo l’arte teatrale ci permette di prescindere da ciò che

appare in superficie ed attingere ad un’altro livello di verità:

la verità di narrazione. Il teatro in questo senso diventa un

veicolo di conoscenza a doppio senso: all’attore egli consente di

ripensare e rivivere la propria esperienza aprendosi al mondo

locale; gli spettatori, a loro volta, ricevono un’esperienza e

usufruiscono dei significati del dialogo che si è realizzato.

Tale esperienza teatrale per gli immigrati, in definitiva, appare

di fondamentale importanza per gli stessi protagonisti che

nell’atto di rappresentazione praticano con successo il non

facile tentativo di uscir fuori de se stessi, presentando allo

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stesso tempo un invito rivolto al mondo contemporaneo di seguire

il loro esempio.

Chiudo il presente lavoro con le parole di Victor Turner il quale

a quasto proposito ritiene che: l’attore può arrivare a

conoscersi meglio attraverso la recitazione e la

rappresentazione; o un insieme di essere umani può arrivare a

conoscersi meglio osservando e/o partecipando a performances

prodotte e presentate da un altro insieme di esseri umani

(Turner: 1993).

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Bibliografia

1. Barba Eugenio “La canoa di carta : trattato di antropologia

teatrale”. – Bologna: il Mulino, 1993

2. De Marinis Marco “Il teatro dell'altro : interculturalismo e

transculturalismo nella scena contemporanea”. – Firenze: la

casa Usher, 2011

3. De Marinis Marco “Capire il teatro : lineamenti di una nuova

teatrologia”. – Firenze: la casa Usher, 1994

4. Degli Uberti Stefano “Migrazione ed Esperienza Teatrale.

Dinamiche Transnazionali ed Integrazione nell’incontro tra

un migrante senegalese e la società italiana” link??

5. Grotowski Jersy “Il teatro povero”. – Roma: M. Bulzoni, 1993

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Page 21: Il teatro e la migrazione: un rapporto collaborativo

6. Turner Victor “Dal rito al teatro”. - Bologna: il

Mulino,1999

7. Turner Victor “Antropologia della performance”. - Bologna:

il Mulino,1993

8. Vagapova Natalija “Russkaja teatral’naja emigrazija v

Zentral’noj Evrope i na Balkanach” (L’emigrazione russa

teatrale nell’Europa centrale e sui Balcani”). -

S.Pietroburgo: Aleteja, 2007.

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