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Studi e ricerche
Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943
di Renzo Martinelli
Nella vicenda storica del Pnf, la fase conclusiva — quella
compresa tra l’allontanamento di Starace dalla carica di segretario
(ottobre 1939), che segue di poco l’inizio del secondo conflitto
mondiale, e il 25 luglio 1943 — si manifesta con i segni più
evidenti di una crisi profonda, indubbiamente aggravata dalla
guerra, ma i cui elementi di fondo appaiono di lungo periodo. Gli
scompensi e le contraddizioni che si sviluppano, in termini
macroscopici, in questi ultimi anni del regime, ripropongono
infatti le questioni relative al rapporto partito/Stato e
partito/società: interrogativi mai risolti compiutamente sul piano
teorico, nonostante i frequenti dibattiti interni e le discussioni
apparse sulla stampa, e che anche nella prassi avevano trovato
soluzioni incerte e ambigue.
Tali questioni si ripresentavano ora, durante la guerra,
strettamente connesse allo sforzo di far fronte a una situazione
ben presto catastrofica che, mentre richiedeva al partito l’impegno
più attivo, ne acuiva allo stesso tempo le difficoltà oggettive,
materia
li. A questa contraddizione generale si univano inoltre problemi
e ostacoli di vario genere, tali da complicare ulteriormente
l’analisi del quadro complessivo, e da suggerire l’utilità di un
esame localmente determinato, più ravvicinato e preciso, e capace
nello stesso tempo di verificare ipotesi di carattere generale. Gli
studi locali disponibili confermano la fecondità di questa
direzione di ricerca, anche se limitati, in genere, a una
dimensione provinciale che, mentre rispecchia la realtà
amministrativa e organizzativa dello Stato e del partito fascista,
non appare sempre idonea a cogliere gli aspetti più significativi
del Pnf1. Un ambito territoriale più vasto — la regione — deve
forse essere preso in considerazione a questo fine.
La stessa genesi del movimento fascista, infatti, ci riporta a
un quadro e a una mobilità territoriali (la mobilità che
caratterizzava le squadre d’azione) attraverso i quali risalta lo
’’scambio” e il coordinamento tra provincia e provincia.
Nell’iniziale, decisivo passaggio dai primi episodi di fascismo
urbano alle forme più organizzate di reazione agra-
II presente saggio riproduce, con qualche modifica, una
comunicazione sullo stesso tema presentata al convegno La Toscana
nella seconda guerra mondiale, organizzato a Firenze nei giorni 31
gennaio-2 febbraio 1985 dall’Istituto storico della Resistenza in
Toscana.
1 Tra i contributi più interessanti, segnaliamo Paul R. Corner,
Il fascismo a Ferrara. 1915-1925, Bari, Laterza, 1974; A. Granato,
Il fascismo a Napoli. 1926-1937, Napoli, Tempi moderni, 1981; Anna
Cento Bull, Capitalismo e fascismo di fronte alla crisi. Industria
e società bergamasca 1923-1937, Bergamo, Il filo d’Arianna, 1983;
Marco Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze,
Olschi, 1978; M. Canali, II dissidentismo fascista. Pisa e il caso
Santini 1923-1925, Roma, Bonacci, 1983.
“Italiacontemporanea”, marzo 1985, fase. 158
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ria, lo sfondo territoriale diventa così più ampio,
rapportandosi — ma per superarne appunto il fragile isolamento —
all’estensione stessa del potere delle leghe socialiste e dei
municipi rossi. È quanto accade in una regione chiave nella nascita
e nell’affermazione del fascismo, come la Toscana, che costituirà
il quadro di riferimento dell’analisi del partito fascista
abbozzata nelle pagine seguenti.
Per delineare il quadro complessivo delle caratteristiche
assunte dal Pnf in Toscana negli anni della guerra, è necessario
rifarsi brevemente al periodo di Starace.
Nel corso di otto anni (dal 1931 al 1939) il partito di Starace
era divenuto — anche per la spinta e gli effetti moltiplicatori di
due imprese belliche vittoriose, la guerra d’Etiopia e la
partecipazione alla guerra civile spagnola — un organismo
elefantiaco, la cui attività esteriore, fatta di parate, di
celebrazioni retoriche, di adunate di massa contraddistinte da
coreografie “imperiali”, non escludeva tuttavia né l’attenzione
scrupolosa a una normativa che pretendeva di regolare
minuziosamente la vita e l’attività dei fascisti in ogni occasione,
né la cura per la costruzione e la gestione delle organizzazioni
che facevano capo al partito stesso. Tutto ciò si era tradotto
anche nello sviluppo obbligato della dimensione
burocratico-amministrativa, indispensabile per provvedere
quotidianamente alle esigenze di un corpo di iscritti e di
funzionari ormai di proporzioni imponenti. Accanto a tali
trasformazioni — connesse alla perdita graduale di una precisa
funzione politica — si era definitivamente compiuto l’in- serimento
del Pnf nel quadro delle istituzioni statali, attraverso modifiche
statutarie di
grande importanza, come l’attribuzione del titolo di Ministro di
Stato al segretario, e il conferimento della personalità giuridica
al partito2.
Due elementi fondamentali sottolineano, in quest’ambito, che il
peso del partito fascista era lungi dall’essere scomparso (come ha
sostenuto chi ha parlato, per questo periodo, di “fine del
partito”): in primo luogo, a una perdita effettiva di funzioni
politiche si erano largamente sostituite attività sociali
soprattutto di tipo assistenziale, finalizzate all’attenuazione dei
conflitti sociali e alla ricerca del consenso; in secondo luogo,
sul piano locale i compiti di mediazione politica e anche di
intervento del partito nell’amministrazione della cosa pubblica
erano pur sempre rilevanti.
Questo carattere “localistico” dell’influenza del partito
rappresenta efficacemente la frammentazione del suo peso politico
nei confronti delle strutture accentratrici dello Stato italiano.
L’organizzazione stessa del Pnf, basata sulle federazioni
provinciali, “ripeteva” quella dello Stato senza averne i poteri: e
la mancanza di organismi di unificazione a un livello superiore,
interprovinciale o regionale, esprimeva una diretta soggezione
gerarchica al centro e, nello stesso tempo, la mancanza di poteri
significativi. L’origine di questa rigida unificazione
organizzativa del partito è riconducibile alla lotta contro i
“ras”, cioè alle ragioni stesse per le quali fu fondato il Pnf.
Tuttavia, in un primo tempo il fascismo si organizza, anche
formalmente, in modo da rispecchiare una realtà più ampia: in
Toscana, secondo quanto anche sottolinea Ernesto Ragionieri3, si
viene selezionando uno “stato maggiore regionale” , ed è istituita
la specifica carica di segretario regio-
2 II titolo e le funzioni di ministro, segretario di Stato sono
attribuiti al segretario del partito col DI 2 gennaio 1937, mentre
la personalità giuridica è conferita al Pnf dopo la gestione di
Starace, col Rd 23 gennaio 1940 (XVIII), n. 33.3 Cfr. Ernesto
Ragionieri, Il Partito fascista (Appunti per una ricerca), in La
Toscana nel regime fascista (1922-1939), Firenze, Olschki, 1981!,
p. 64. A questo studio siamo debitori di molte indicazioni, che
abbiamo cercato di sviluppare nel presente lavoro.
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naie (sarà il marchese Dino Perrone Compagni). Dopo
Teliminazione di questa carica, un elemento significativo che
richiama l’importanza di un’ottica regionale è ravvisabile, ancora
negli ultimi anni del regime, sia nell’assai consistente presenza
di personalità di origine toscana nel governo e negli alti gradi
dello Stato fascista, sia nella più diretta influenza che poteva
esercitare, nella regione, un ristretto numero di gerarchi,
anch’essi di provenienza toscana, legati a determinate realtà
locali: si pensi a Buffarini Guidi, o a Pavolini, o a Renato Ricci,
o allo stesso Perrone Compagni, che ancora nei primi anni quaranta
scrive sul “Bargello” di Firenze esortando, con il tono del capo,
all’estrema difesa del regime4.
In Toscana, il fascismo si presenta, dalle origini — come si
rileva dagli studi di Carla Ronchi Bettarini5 e di Ernesto
Ragionieri — in una forma assai frastagliata e complessa, soggetto
a tutti i particolarismi sociali e culturali che contraddistinguono
la regione. Indubbiamente, l’opera di unificazione
politico-organizzativa del Pnf si è così rivelata più ardua che
altrove, per la ricchezza dei fermenti politici, la molteplicità
delle spinte e delle tendenze interne, la virulenza delle correnti
estremiste: tuttavia, il confluire nel movimento fascista delle
confuse aspirazioni di una piccola borghesia qui più colta e
ambiziosa, e delle esigenze, chiaramente classiste, della nobiltà
agraria e in genere dei ceti possidenti, trova dall’inizio una
sorta di cerniera e di tessuto connettivo nella diffusa presenza di
un personale dirigente di estrazione liberale e massonica, la cui
funzione ha avuto, in termini organizzativi, un peso
rilevantissimo
nelle realtà locali più significative (come Firenze, Siena,
Arezzo, Pistoia: tutte le province nelle quali il ruolo della
massoneria nella genesi del fascismo è chiaramente accertato). E se
anche la massoneria viene poi liquidata ufficialmente nella seconda
metà degli anni venti, ciò non toglie che la sua influenza si
faccia efficacemente sentire nella continuità di certi personaggi e
di determinate posizioni di potere: si veda in particolare la
vicenda di Siena, cioè del tentativo, fallito, di scalzare la
classe dirigente liberale-massone da un’istituzione di importanza
strategica come il Monte dei Paschi. Se poi si pensa alla funzione
nello Stato unitario6, si potrà comprendere più agevolmente il
significato della sua presenza alTinterno del Pnf, partito nel
quale si concentrano e si unificano per la prima volta tutte le
varie frazioni e tendenze della borghesia italiana.
La lotta intrapresa da Mussolini contro i “ras” sfocia, in
Toscana, in un assetto del partito fascista nel quale si
distinguono tre elementi di spicco: 1. il permanere, ancora nel
periodo staraciano, di una vivacità culturale testimoniata da
periodici come “Il Selvaggio”, diretto da Mino Maccari, “Il
Bargello” di Firenze, il “Ferruccio” di Pistoia e, in generale,
dalla larga collaborazione degli intellettuali alla stampa di
partito (si vedano anche i giornali di alcune federazioni minori,
come “L’Artiglio” di Lucca, e gli organi dei Guf di Pisa e di
Firenze); 2. la stabilizzazione di gruppi di potere locali, che
hanno trovato nello sviluppo burocratico-amministrati- vo del
partito e delle organizzazioni di massa da questo dipendenti un
proficuo campo di azione, destinato ad accrescere la propria
im-
4 Si veda ad esempio l’editoriale È scritto (“Il Bargello”, 20
aprile 1941), cui faranno seguito altri articolio nei numeri
successivi.5 Cfr. Carlo Ronchi Bettarini, Note sui rapporti tra
fascismo “cittadino ” e fascismo "agrario ” in Toscana, in La
Toscana nell’Italia unita. Aspetti e momenti di storia toscana
1861-1945, Firenze, Unione regionale delle province toscane, 1962,
pp. 335-372.6 Cfr. su questo tema, Ernesto Ragionieri, La storia
politica e sociale, in Storia d ’Italia, vol. IV, Dall’Unità a
oggi, Torino, Einaudi, 1976, passim, e in particolare alle pp.
2132-2133.
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portanza e suscettibile di costituire una sorta di contrappeso
al ruolo preponderante degli organi dello Stato; 3. la sostanziale
continuità, al di sotto di tali fenomeni relativamente esteriori,
dei ceti dirigenti storicamente dominanti, la cui presenza è del
resto significativamente rilevante, come già ha sottolineato
Ragionieri7, nelle responsabilità pubbliche, ma anche nella
gestione del potere finanziario.
Il partito di Starace aveva largamente accresciuto, su questa
base, il numero dei propri iscritti in Toscana; così come aveva
grandemente sviluppato il peso delle organizzazioni parallele (i
sindacati, il dopolavoro, le strutture giovanili, ecc.),
realizzando una complessa configurazione di organismi capace di
fornire servizi di vario genere alla popolazione e di acquisire al
regime un consenso sociale assai appariscente, ma certo meno solido
e convinto — come dimostrano tutte le ricerche locali
sull’antifascismo, numerose negli ultimi anni — di quanto possono
lasciar credere i documenti.
Il partito è ormai un grande apparato, manovrato dal centro, in
cui prevale chiaramente una logica interna, che è poi quella di
tutti i grandi apparati: la riproduzione allargata di se stesso.
Cercheremmo invano, da questo punto di vista, una peculiarità del
Pnf in Toscana, o una sua “esemplarità” , nel periodo 1939-1943; né
possiamo accreditare i contenuti della retorica quotidiana, che non
mancava di richiamarsi, ovviamente, alle gloriose tradizioni del
fascismo toscano, attraverso la frequente celebrazione di date
localmente si
gnificative, la ricostruzione di determinati episodi dello
squadrismo e l’agiografia mar- tirologica, incessante musa
ispiratrice di una quantità incredibile di poeti di provincia:
tutti elementi che costituivano magna pars dell’attività normale
del partito e ne informavano l’ideologia trasmessa quotidianamente
con le pagine dei periodici ufficiali. Dietro questa apparenza di
coesione e di unità di spiriti, il funzionamento effettivo del
partito si presentava però con caratteristiche assai diverse. Sulla
base della documentazione reperita all’Archivio centrale dello
Stato8, possiamo infatti tracciare un quadro generale del peso e
delle funzioni assunte, in questo periodo, dalla macchina
amministrativa del partito fascista.
La macchina amministrativa
Un primo esame delle carte amministrative delle federazioni
toscane mette in luce innanzitutto le proporzioni, complessivamente
assai ragguardevoli, e solo in parte direttamente correlate al
numero degli iscritti, della macchina burocratica del partito.
Negli anni precedenti, infatti, il graduale sviluppo della
dimensione burocratico-am- ministrativa del partito fascista era
stato così rilevante da interferire nell’ambito dell’equilibrio
interno di potere, conferendo al segretario amministrativo,
Giovanni Marinelli — in virtù del ruolo conferitogli dalla gestione
finanziaria dell’organizzazione — un rilievo politico di fatto
assai notevole9.
7 Cfr. E. Ragionieri, Il partito fascista, cit., pp. 69-72.8 Per
il periodo preso in esame, il fondo di gran lunga più consistente
conservato all’ACS è quello denominato “Pnf/Servizi
amministrativi”; assai ridotto, invece, il materiale di carattere
politico (“Pnf. Situazione politica ed economica delle province”)
che, per quanto riguarda la Toscana, comprende solo le province di
Pisa, Lucca, Siena, Pistoia e Grosseto.9 Dopo l’allontanamento di
Starace, la carica di segretario amministrativo fu soppressa, e
Marinelli fu sostituito da un “capo dei servizi amministrativi”
dipendente dal ministero delle Finanze, con un drastico
provvedimento che, sotto il pretesto di uno snellimento del Pnf, ne
accentuava in sostanza la “statalizzazione”. Per una trattazione
più pre-
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Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 37
Negli anni della guerra, non solo la struttura
burocratico-amministrativa non perse la sua importanza, ma la
accrebbe ancora, in seguito prima di tutto all’aumento
rilevantissimo degli iscritti.
Nel momento del “cambio della guardia” tra Achille Starace ed
Ettore Muti, gli effettivi del partito fascista contavano, secondo
i dati ufficiali riportati dalla stampa, ben 2.633.514 iscritti ai
fasci di combattimento, e 774.181 aderenti ai fasci femminili: in
complesso, quasi tre milioni a mezzo, senza contare le
organizzazioni giovanili e tutte le variegate associazioni di massa
create dal regime. Meno di quattro anni dopo, nel giugno del 1943,
Carlo Scorza, ultimo segretario del Pnf, affermerà di fronte al
Direttorio del partito che gli iscritti avevano raggiunto la cifra
complessiva di 4.770.770, di cui1.217.036 donne10.
Si tratta di un aumento impressionante — gli effettivi del 1943
rappresentano più del 10 per cento della popolazione italiana — al
quale aveva fortemente contribuito il provvedimento mussoliniano
(poi criticato anche all’interno del partito)11 che disponeva
l’iscrizione al Pnf di tutti gli ex combattenti. A questa misura
farà seguito, dopo circa un anno, la riapertura delle iscrizioni ai
giovani delle classi 1905-1915. In pratica, si tratta di nuove
centinaia di migliaia di iscritti, ed è facile immaginare ciò che
questo significa per le federazioni provinciali, presso le quali
si
devono istituire ex novo degli appositi “uffici combattenti”
.
La Toscana — che è una regione chiave del fascismo anche per
quanto riguarda il peso numerico — ha, nel 1939, circa 350.000
iscritti; più o meno, il 10 per cento dell’intera forza del
partito. La proporzione sulla popolazione regionale è anche
maggiore, considerando che gli abitanti sono circa tre milioni.
Secondo questo parametro, la federazione più forte è Pistoia
(41.658 iscritti su 207.470 abitanti), ed è anche quella in cui è
maggiore la presenza femminile (il 50 per cento circa del totale);
seguono Firenze (115.260 iscritti su 207.470 abitanti), Grosseto
(23.910 su 190.457), Livorno (31.121 su 263.099), Apuania (21.320
su 181.400), Lucca (39.250 su 348.330), Siena (26.186 su 266.097),
Arezzo (25.343 su 313.089)12.
Sono cifre destinate ad un’ulteriore, sensibile lievitazione
negli anni seguenti; se poi si considerano gli iscritti alle
organizzazioni di massa, si deve ammettere che, nell’ultimo periodo
del regime, la composizione sociale del Pnf — la cui complessità è
stata già messa efficacemente in luce da Ernesto Ragionieri13 — non
può costituire un elemento di conoscenza significativo.
È quindi più utile analizzare la struttura amministrativa in
quanto tale, osservando prima di tutto che in Toscana (come,
evidentemente, in tutta l’Italia) il suo funzionamento quotidiano
comincia a manifestare i segni
cisa di questi temi, mi permetto di rinviare al mio scritto II
Partito nazionale fascista come organismo burocrati-
co-amministrativo, in “Passato e presente”, 1984, n. 6, pp.
175-188.10 Cfr. il discorso di Scorza sul “Popolo d’Italia”, 25
giugno 1943; il grande incremento della presenza femminile è da
collegare allo sviluppo delle attività assistenziali del partito,
svolte in gran parte dai fasci femminili.11 II provvedimento è
annunciato sul “Popolo d’Italia” del 9 dicembre 1939; Mussolini
affermerà, nel famoso “discorso del bagnasciuga”: “Fu forse un
errore quello di immettere nel Partito tutti i combattenti della
guerra mondiale? non credo... Si è pensato che dare questo
riconoscimento fosse un gesto comunque doveroso e in ogni caso non
pericoloso anche se il Partito accresceva i suoi effettivi di
alcune centinaia di migliaia di uomini”. Il discorso, pronunciato
di fronte al Direttorio del Pnf il 24 giugno 1943, fu pubblicato
sul “Popolo d’Italia”, 5 luglio 1943.12 I dati relativi al partito
sono tratti dai documenti conservati nel fondo citato “Pnf, Servizi
amministrativi” (ACS); quelli della popolazione dal volume La
popolazione della Toscana dal 1810 al 1959, a cura di P.
Bandettini, Firenze, 1961. Non abbiamo reperito il dato omogeneo
relativo agli effettivi del Pnf a Pisa.13 Cfr. E. Ragionieri, Il
partito fascista, cit., passim.
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38 Renzo Martinelli
di una crisi sempre più acuta a misura che lo sforzo bellico si
prolunga.
A questa crisi contribuisce in modo decisivo la mole di lavoro
supplementare richiesta dall’ondata dei nuovi iscritti, che rende
necessario un potenziamento del personale impiegato nelle
federazioni, e provoca una conseguente dilatazione delle spese —
proprio quando la situazione rende più difficile il contributo
finanziario alle organizzazioni del partito di enti pubblici e
privati di vario genere, anch’essi in crescenti difficoltà. Anche
la riscossione delle tessere ordinarie era del resto ostacolata
dalle partenze per la guerra, con un effetto evidente soprattutto
alla fine del 1941, quando è chiamata alle armi la gioventù
universitaria (ciò che riduce fortemente gli effettivi dei Guf).
Per le stesse ragioni, il bilancio delle federazioni si
appesantisce: a causa della guerra sono infatti frequenti le
sostituzioni e il reclutamento di personale temporaneo che presta
attività negli apparati federali.
Ma è soprattutto l’ampliamento delle funzioni assistenziali — un
altro effetto del conflitto — che sembra comportare quasi ovunque
un processo di crisi finanziaria (anche se con gravità diversa da
una provincia all’altra) e spinge i segretari federali a chiedere
al Direttorio nazionale del partito sovvenzioni e integrazioni di
bilancio sempre più massicce, destinate spesso a potenziare lo
strumento fondamentale su cui faceva perno l’assistenza, cioè le
organizzazioni femminili. Basterà citare la somma richiesta dalla
federa
zione di Pistoia, per avere un’idea del vero e proprio
sconvolgimento indotto, anche su questo piano, dalla guerra.
“La presenza nella provincia di circa14.000 soldati e di un
Battaglione della Milizia; l’arrivo continuato di feriti e
conseguentemente di familiari che vengono a visitare i degenti a
cura della Federazione; l’assistenza agli squadristi in armi, e ai
volontari del Guf di stanza a Pistoia ed in genere alle famiglie
dei richiamati... tutto ciò incide sul bilancio federale — scrive
in data 17 marzo 1941 il segretario federale Mario Pigli —. Per
tali motivi chiedo che la voce assistenza dei fasci femminili sia
portata — con assegnazione straordinaria — dalle attuali
insufficienti Lire 5.000 a Lire 30.000”14.
Ma se i bisogni finanziari aumentavano a causa del conflitto,
per lo stesso motivo si conferivano alle federazioni anche delicati
compiti di controllo sui prezzi dei generi di prima necessità.
Quest’opera di contenimento — rivelatasi ben presto del tutto
inefficace e fonte, di conseguenza, come si capisce, di un’estesa
impopolarità — si traduceva inoltre nell’istituzione di nuovi
organismi burocratici (i comitati provinciali per il controllo dei
prezzi, presieduti appunto dai segretari federali), appesantendo
ancora il variopinto panorama di enti di ogni tipo che facevano
capo al partito15. Così, si ricava dalla fitta corrispondenza tra
il centro del Pnf e i segretari delle federazioni toscane un quadro
abbastanza uniforme — alla luce di questi sviluppi — di una crisi
amministrativa graduale
14 Cfr. ACS, PNF, Servizi amministrativi, b. 980, Lettera al
Segretario del PNF, allegato n. 3 alla Relazione sulla richiesta di
variazione agli stanziamenti dei bilanci delta federazione dei
fasci di combattimento di Pistoia per l ’anno XIX.15 Cfr. “Il
Popolo d’Italia”, 8 luglio 1941. La composizione di questi comitati
prevedeva, secondo il giornale, “1) Un rappresentante del Prefetto;
2) il Direttore del Consiglio provinciale delle Corporazioni e il
Direttore della Sezione provinciale dell’Alimentazione; 3) i
Presidenti delle Unioni provinciali fasciste degli agricoltori,
degli industriali, dei commercianti, delle aziende di credito, dei
professionisti e artisti; i segretari delle Unioni provinciali
fasciste dei lavoratori dell’agricoltura, dell’industria, del
commercio, del credito e dell’Ente provinciale della Cooperazione”.
Un organismo pletorico, come si vede, che si rivelerà del tutto
inadatto al compito assegnatogli.
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Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 39
ma inesorabile: da un lato aumentano le esigenze sociali, che
postulano un accrescimento delle funzioni e delle competenze,
quindi anche delle spese e delle necessità tecniche in generale;
dall’altro, nonostante l’aumento degli iscritti, si dimostra sempre
più arduo riscuotere gli stessi contributi ordinari, nonché quelli
provenienti dalle varie istituzioni (enti pubblici, banche,
sindacati, ecc.), che costituivano un cespite fondamentale di
finanziamento diretto. Di qui la continua richiesta di fondi, cui
non sempre il Direttorio nazionale riesce a sopperire nei termini
richiesti.
È interessante osservare che questa situazione — connessa al
tentativo di rilancio del Pnf intrapreso da Muti nell’ambito delle
condizioni create dalla guerra — tende a tradursi, in ultima
analisi, in una più accentuata soggezione delle organizzazioni di
partito ai centri di erogazione finanziaria pubblici e privati.
Anche sul piano esteriore, la federazione appare spesso come il
braccio esecutivo dell’assistenza comunale; del resto, l’intreccio
tra il partito fascista e gli altri enti è strettissimo (a Siena,
ad esempio, molte sedi dei fasci sono di proprietà comunale, e
l’affitto dello stabile in cui è collocata la federazione è pagato
dal Monte dei Paschi, mentre funzionari del comune e dirigenti
dello stesso istituto di credito siedono nel collegio dei sindaci
revisori del partito).
Questa condizione di sudditanza, che ovviamente preesisteva alla
guerra, trova adesso delle ragioni e delle convenienze in più per
rafforzarsi, e il tentativo di attribuire al partito funzioni più
incisive (attraverso l’ampliamento delle attività assistenziali, il
controllo dei servizi annonari, e la stessa dilatazione degli
iscritti, tendenzialmente rivolta ad inquadrare tutta la
popolazione) si manifesta, in pratica, come un ulteriore fattore di
dipendenza e di subordinazione. La contraddizione riposa anche su
un fattore assai evidente nelle federazioni toscane, ma
certamente generale: le province stesse sono in una certa misura
bisognose di assistenza, soprattutto in quanto centri rilevanti di
personale salariato, del quale si fanno sentire in vario modo,
direttamente o indirettamente, le spinte al miglioramento della
propria condizione e all’ottenimento di determinati servizi e
agevolazioni (prestiti di favore, gratifiche, ecc.). La macchina
amministrativa appare ormai così imponente da essere in gran parte
assorbita dalla sua stessa gestione interna: ciò che si esprime con
l’emergere di varie forme di corporativismo, verso le quali il
centro del partito sembra più rigido a parole che nei fatti.
Tutte le federazioni della Toscana — prima fra tutte,
evidentemente, Firenze — hanno a disposizione un apparato numeroso,
i cui membri si erano moltiplicati nel periodo staraciano. Si
trattava, anzi, di tre apparati: quello della federazione dei fasci
di combattimento, quello della federazione dei fasci femminili e
quello dei gruppi universitari fascisti. Distinti e organizzati
gerarchicamente, con una delimitazione rigida dei compiti e degli
uffici, comportavano evidentemente non solo un rilevante peso
finanziario, ma anche tutti gli scompensi e le distorsioni
caratteristici degli ambienti impiegatizi allorché superano certe
dimensioni.
La federazione di Firenze, per rifarsi alla struttura più
cospicua, era organizzata attraverso una molteplicità di uffici,
che andavano dal Centro stranieri all’Ufficio sindacale, dalla
Segreteria federale all’Ufficio stampa e propaganda, dalla
Commissione federale di disciplina all’Ufficio organizzazione
capillare, e molti altri: vi prestavano il loro lavoro più di cento
dipendenti, con una retribuzione mensile oscillante tra le 350 lire
e le 3.000 lire (senza calcolare lo stipendio del segretario, che
si aggirava intorno alle4.000 lire). A questi devono essere
aggiunti i dipendenti dei fasci femminili e dei Guf, del
settimanale federale “Il Bargello”, e di altre
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40 Renzo Martinelli
organizzazioni minori16. Nelle altre federazioni della Toscana,
il numero e l’articolazione dei servizi e dei dipendenti era
ovviamente più limitato, ma comunque ragguardevole. L’insieme degli
impiegati presso le federazioni fasciste era del resto così
cospicuo, sul piano nazionale, da costituire, al momento del crollo
del regime, un vero e proprio problema sociale, risolto nello
stesso decreto di soppressione del Pnf con il loro passaggio ad
altre amministrazioni dello Stato17.
Il periodo 1939-1943 si presenta dunque, per la macchina
amministrativa del Pnf, come una sorta di prova della verità,
attraverso la quale un organismo sviluppato e consolidato nel corso
di vent’anni manifesta una sostanziale inadeguatezza nel saper
corrispondere alle esigenze reali della popolazione. Si delinea
quindi chiaramente, in Toscana come nelle altre regioni in cui il
Pnf aveva raggiunto dimensioni più ampie, la fragilità di un
apparato cresciuto abnormemente, le cui funzioni malamente
surrogavano quelle dello Stato, nonostante le velleità di
affermazione autonoma (ma è da notare che la stessa amministrazione
del partito è definita, in un documento interno,
“un’amministrazione pubblica”).
Gli scompensi e le carenze della vita del partito fascista, in
particolare nel campo assistenziale, sono inoltre un fattore
essenziale di impopolarità sul piano locale, e di ostilità verso le
gerarchie federali, come attestano — ma su questo torneremo — le
carte di polizia. A misura che la guerra si prolunga, innestando
nella società italiana i germi di un ra
dicale sconvolgimento, l’azione del partito fascista diventa in
effetti più velleitaria e inefficace, con un progressivo
irrigidimento ideologico nei confronti della realtà. È un processo
visibile con chiarezza analizzando lo strumento propagandistico
fondamentale, la stampa.
La stampa
Tra le misure che seguirono immediatamente l’assunzione della
carica di segretario del Pnf da parte di Ettore Muti, vi fu il
passaggio dei quotidiani del partito sotto l’amministrazione del
ministero della Cultura popolare. Si tratta — anche in questo caso
con l’apparenza di un provvedimento volto a snellire la macchina
del partito, liberandolo da compiti non direttamente politici — di
un altro passo verso la totale “statalizzazione” del Pnf, nel senso
di una diretta appropriazione, da parte degli organi statali, di
incombenze particolari18.
Rimangono affidati al partito essenzialmente i settimanali
provinciali. Anche per questa ragione, la stampa delle federazioni
toscane costituisce uno strumento di grande importanza per
verificare la parabola discendente di questi anni (e non solo per
quanto riguarda le vicende locali: più ancora dello stesso “Popolo
d’Italia” , infatti, i periodici provinciali danno rilievo ai
documenti ufficiali e alle modificazioni complessive del Pnf).
Il panorama della stampa fascista in Toscana si presenta, negli
anni del regime, co-
16 Cfr. ACS, Direttorio, Federazioni fasciste (1932-1943), b.
207, Firenze. Questo fondo, più limitato, contiene materiale
anch’esso di carattere amministrativo.17 Non si tratta di un
passaggio automatico, poiché, secondo l ’art. 8 del decreto (Regio
Decreto-Legge 2 agosto 1943, n. 704), “Il personale assunto
direttamente dal Partito nazionale fascista... qualora non possa
essere utilizzato presso le organizzazioni di cui all’art. 5, è
licenziato ed è ammesso a fruire del trattamento di liquidazione ai
sensi delle vigenti disposizioni” . Tuttavia, le organizzazioni
elencate dall’art. 5 erano in gran parte quelle dipendenti dal
partito fascista, che passano sotto l’amministrazione della
Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri dell’Interno,
delle Finanze, della Guerra, della Marina, dell’Aeronautica,
dell’Educazione nazionale e dell’Agricoltura e Foreste: si può
quindi ritenere che abbiano assorbito la maggior parte degli
impiegati presso il Pnf.18 II provvedimento è annunciato dal
“Popolo d’Italia” il 28 novembre 1939.
-
Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 41
me l’espressione — notevole per estensione e vivacità culturale
— dell’incontro tra i molti particolarismi municipalistici e
intellettuali e la volontà uniformatrice del fascismo. Questo
processo si compie anch’esso sul finire del periodo staraciano,
dando luogo, negli anni 1939-1943, a un esito prevedibile, cioè a
un tipo di periodico pesantemente caratterizzato da esigenze
propagandistiche. Si tratta di giornali che hanno alle spalle, di
solito, una lunga tradizione: molti sono stati fondati già nei
primi anni venti, e c’è persino un foglio, “Il Corazziere”, “organo
della sezione fascista di Volterra”, che risale al 1882, quando
nacque come settimanale politico-amministrativo .
La grande varietà delle testate, che Ragionieri ha già
richiamato per quanto riguarda Firenze, è riscontrabile, in una
prima fase, anche in altre province: a Pisa, oltre al settimanale
di partito, si stampa dal 1923 una rivista fascista
politico-letteraria, “Costruire”, di rilievo nazionale; a Prato
esce per qualche anno un periodico locale, poi assorbito dal
“Bargello” di Firenze; fogli più o meno effimeri compaiono spesso a
fianco degli organi ufficiali, ecc. Occorre inoltre considerare,
accanto ai giornali delle federazioni, quelli dei Guf, che
sopravvivono, con travagliate vicende che sarebbe interessante
ricostruire nei particolari, fino agli ultimi anni del regime. Sul
finire degli anni trenta, la situazione della stampa fascista in
Toscana è comunque in linea con le direttive impartite dall’alto:
ogni federazione ha un solo periodico di carattere ufficiale, che
riserva talora un certo spazio ai fogli dei singoli fasci19. La
vivacità e l’interesse di alcuni di questi periodici (che abbiamo
già ricordato) — nei quali si era
espressa più felicemente la contraddizione tra la subalternità
statale del Pnf e i suoi obiettivi di massa, di inquadramento
organizzativo e di discussione ideologica — appaiono, nel periodo
bellico, ridotti a ben poca cosa. Tuttavia, nella fase iniziale
della guerra, si può riscontrare anche su questo piano il
tentativo, ben presto “rientrato” , di allargare l’udienza di
questi giornali, di conquistare nuovi lettori con il rilancio di
tematiche legate ai problemi locali, di individuare forme
propagandistiche più efficaci. Questo effimero sforzo di
rinnovamento ha il suo stimolo immediato nella guerra, e ne
riflette fedelmente gli svolgimenti, concludendosi tra la fine del
1941 e l’inizio del 1942, quando molti periodici assumono l’aspetto
di semplici bollettini federali, di “fogli d’ordine” del tutto
uniformi nel tono e nell’impostazione.
Le difficoltà amministrative e finanziarie già considerate
giocano anche in questo caso un ruolo preciso, investendo ben
presto la gestione stessa dei giornali, e imponendo di fatto un
ridimensionamento (riduzione di pagine, di formato, ecc.). La rete
degli abbonamenti si contrae, infatti, in seguito alle partenze per
il fronte: la carta aumenta di prezzo; i redattori sono anch’essi
mobilitati, e in qualche caso (per esempio, per quanto riguarda “Il
Bargello”) vengono a mancare, in una situazione di generale
difficoltà, i cospicui contributi di aziende private. Si accumulano
così, frustrando i tentativi di sviluppo e di potenziamento, debiti
e disavanzi non indifferenti.
“Le spese per il giornale settimanale federale — scrive il
responsabile dei servizi amministrativi di Grosseto alla direzione
del
19 I giornali, che hanno periodicità settimanale, sono i
seguenti: “Giovinezza” (Arezzo), “Il popolo apuano” (Apua- nia,
nome fascista di Massa Carrara), “II Bargello” (Firenze), “La
Maremma” (Grosseto), “La sentinella fascista” (Livorno),
“L’Artiglio” (Lucca), “L’idea fascista” (Pisa), “Rivoluzione
fascista” (Siena), “Il Ferruccio” (Pistoia). Su quest’ultimo si
veda lo studio di A. Laura Giachini, Un giornale fascista di
provincia: "Il Ferruccio’’ (1932-1936), in “Farestoria”, Rivista
quadrimestrale dell’ISRT, Deputazione di Pistoia, 1981, n. 1.
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42 Renzo Martinelli
partito — sono state di lire 66.472,75 contro uno stanziamento
di lire 60.000. La maggiore spesa deve ricercarsi nella
sostituzione del personale in armi e nel fatto che per un certo
periodo il settimanale è uscito a 6 pagine, oltre il maggiore costo
verificatosi in seguito ai notevoli aumenti della carta”20.
Si ripresenta così, anche su questo terreno, la contraddizione
di fondo tra le esigenze di un rinnovato impegno del partito
fascista nella società e le condizioni oggettive, strettamente
legate agli effetti della guerra. In questo quadro di progressiva
asfissia, i settimanali fascisti della Toscana si caratterizzano,
nel primo anno del conflitto, per alcuni elementi
significativi.
Il primo è lo spazio ancora riservato alle questioni culturali,
legato a una collaborazione di intellettuali assai ampia e
rappresentativa: sfogliando questi giornali si incontra in sostanza
tutta l’élite culturale del tempo e, accanto a questa, la presenza
di nomi significativi, che diventeranno assai noti dopo il crollo
del regime (da Arrigo Serpieri a Giovanni Papini, da Mario Luzi a
Lorenzo Via- ni, da Lanfranco Caretti a Ruggero Zan- grandi, da
Alessandro Bonsanti a Luciano Bianciardi, da Adriano Seroni a Piero
Bar- gellini, ecc.). Assai nutrita è anche la schiera degli artisti
di cui si riproducono le opere (Ottone Rosai, Bruno Becchi, Renato
Guttu- so, ecc.).
Questa larga partecipazione di intellettuali — indicativa anche
di una qualche forma di “tolleranza”, in una regione come la
Toscana, nei confronti di tendenze e articolazioni culturali
differenziate — è riscontrabile un po’ ovunque sulle colonne dei
settimanali fascisti (non solo sul “Bargello” di Firenze), ricchi
di apposite rubriche, prevalentemente a carattere letterario: si
veda ad esempio
“L’Idea fascista” di Pisa, oppure “L’Artiglio” di Lucca, dove
appare tra l’altro una difesa di Conversazione in Sicilia di
Vittorini (un’opera che “Il Popolo d’Italia” aveva bollato con
parole di fuoco)21.
Accanto a queste caratteristiche culturali, un certo spazio è
riservato alla valorizzazione delle tradizioni comunali, connessa
al tentativo di legare alle esigenze belliche le necessità
economiche locali. Giornali come “Il Bargello” o “Il Ferruccio”
avevano già, su questo piano, un’esperienza interessante: si vedano
il dibattito su “Pistoia industriale”, o al risalto accordato alle
iniziative turisti- co-culturali varate a Firenze per impulso di
Alessandro Pavolini.
Altri periodici affrontano più direttamente le questioni
sociali; così sul “Popolo apuano” di Massa Carrara, si discute la
crisi (e le prospettive) dell’industria marmifera, gravemente
colpita dalla guerra; su “Giovinezza” di Arezzo si trattano i
problemi dei minatori; sono inoltre molto diffuse regolari rubriche
di informazione professionale, dedicate in particolare
all’agricoltura, ecc.
Ma questa impostazione cede presto il passo a un tipo di
uniformità che sacrifica le questioni locali alla tematica generale
dello sforzo bellico, attraverso un’accentuata “ideologizzazione”
della guerra (la civiltà di Roma contro le plutocrazie, il fascismo
contro il bolscevismo, ecc.) e il potenziamento dei settori di
lavoro ai quali il partito fascista affida i maggiori compiti
organizzativi e propagandistici. Viene così dato largo spazio
all’attività assistenziale sviluppata dai fasci femminili — cui
sono dedicati supplementi, pagine speciali, numeri straordinari,
ecc. — ai giovani — in particolare agli universitari — al
dopolavoro — utilizzato anch’esso a fini assistenziali, e assai
forte in federazioni
20 Cfr. ACS, PNF, Servizi amministrativi, b. 735 (la lettera è
datata 7 dicembre 1940).21 Si veda Una sporca “Conversazione”, in
“Il Popolo d’Italia”, 30 luglio 1942. Sull’“Artiglio” appare
successivamente (nel numero del 16 gennaio 1943) un articolo di
Giuseppe De Cesare, Postille a una “Polemica inutile”, che difende
il volume nell’ambito di una discussione locale.
-
Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 43
come Grosseto, Arezzo, Lucca — e all’Istituto nazionale di
cultura fascista.
Quest’ultimo ente aveva sezioni provinciali in tutta la Toscana,
che ci si sforza ora di potenziare, soprattutto nei centri di un
certo peso culturale, come Siena e Firenze. Queste sezioni,
presiedute in genere da intellettuali di prestigio, spesso docenti
universitari (a Firenze, negli ultimi anni del regime, i presidenti
dellTncf furono Iacopo Mazzei, poi Arrigo Serpieri), e finanziate,
al solito, attraverso contributi di enti locali e di istituti di
credito, si vedono adesso affidare diretta- mente compiti di
propaganda, che trovano un’adeguata amplificazione sulle pagine dei
settimanali federali.
Illustrando le nuove finalità dell’Istituto, il professore
Ottorino Vannini, presidente della sezione senese, ricorda ad
esempio che ad esso compete adesso “un compito culturale... e un
compito di propaganda politica, e particolarmente di propaganda di
guerra, mirante a disegnare qui nel capoluogo e nelle più remote
campagne della nostra provincia, le ragioni e le finalità morali,
materiali e politiche della nostra guerra e ad anticipare
nell’animo dei cittadini un senso di orgoglio per l’immancabile
vittoria che l’Italia indubbiamente conquisterà”22. L’attività
dell’Istituto — a Siena come a Firenze, e in tutte le altre
località della regione in cui è presente — si basa essenzialmente
sulle conversazioni di propaganda, che sostituiscono quasi del
tutto, in questi anni, l’opera di iniziativa culturale e di
divulgazione scientifica sviluppata precedentemente (e che aveva
fatto delle sezioni dellTncf qualcosa di non molto diverso dalle
vecchie università popolari). Lo spazio
riservato a questo organismo sui settimanali provinciali fa
supporre che ricerche più particolari in proposito potrebbero
delineare efficacemente il rapporto intellettuali/regime in una
regione ricca di stimoli e di fermenti culturali come la Toscana,
nella quale il fascismo non può prescindere, nella sua ricerca di
un largo consenso sociale, dall’attivo contributo dei
“chierici”.
Mentre, nel 1942, la crisi della stampa fascista si manifesta in
tutta la sua gravità (anche, talora, con ripetute interruzioni
delle pubblicazioni), i contenuti si riducono ai resoconti delle
attività federali e all’esaltazione dell’opera dei gerarchi,
intenti a ispezionare indefessamente fasci locali, visitare reduci
e feriti, solennizzare date significative, ecc. In quest’ultimo
periodo, il solo elemento notevole appare la ripresa della
discussione sul tema del partito, in genere affrontato in termini
di pura retorica del tutto astratta (il partito-nazione, la fusione
completa partito-popolo, ecc.), ma anche con qualche accento
interessante intorno alla questione teorica del ruolo del Pnf nello
Stato fascista23. Anche questo tema potrebbe essere proficuamente
approfondito, per verificare più precisamente la coscienza di sé
dei gruppi dirigenti locali del partito, ai quali sarà ora
opportuno dedicare la nostra attenzione.
I gruppi dirìgenti
Dopo Starace, che aveva diretto il partito per un periodo
inusitatamente lungo, si succedono rapidamente, in meno di quattro
anni, quattro segretari: Muti, Serena, Vidussoni,
~2 Cfr. Attività della sezione senese dell’INCF, in La
Rivoluzione fascista, 15 dicembre 1940. Sul rapporto tra il regime
e la cultura in questi anni, si veda Gabriele Turi, Le istituzioni
culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale,
in “Italia Contemporanea” 1980, n. 138.23 Si veda in particolare
l’articolo di Aurelio Cassanello, Funzione del Partito, sul
“Bargello”, 16 febbraio 1941, nel quale si teorizza la necessità di
un dualismo Stato-partito, “necessario per far girare la macchina
della Rivoluzione Continua...” .
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44 Renzo Martinelli
Scorza. In concomitanza con l’inizio del conflitto mondiale si
inizia quindi, ai vertici del Pnf, una fase particolarmente
travagliata, che non può non avere profonde ripercussioni —
soprattutto in un organismo così verti- cista e gerarchizzato —
nelle organizzazioni locali24.
Ciò che più colpisce, infatti, nell’esame dei gruppi dirigenti
delle federazioni toscane, è la riproduzione di un analogo quadro
di rapidi mutamenti, con frequenti sostituzioni e “reggenze”, cioè
supplenze temporanee. È sempre il fattore guerra che influisce in
modo determinante su tale situazione, provocando un’estrema
mobilità di quadri: molti segretari federali sono richiamati alle
armi (poiché devono “dare l’esempio”), e si assentano per periodi
più o meno lunghi. Per quanto riguarda la frequenza degli
spostamenti veri e propri, formalmente decisi da Mussolini, occorre
tener presente che costituiscono ovviamente un importante strumento
di gestione “dall’alto” del partito fascista e che, dopo Starace,
risulta evidente la necessità di rompere incrostazioni locali di
potere, di soddisfare le ambizioni di uomini legati ai suoi
successori, di operare “scambi” con altre istituzioni, ecc. In
questi anni appare assai alta, del resto, anche la mobilità delle
alte cariche dello Stato, in particolare dei Prefetti (assai
minore, invece, quella dei podestà o dei presidi delle
province).
La mobilità dei quadri direttivi del partito, che è da collegare
anche ai conati di rilancio politico e di rinnovamento
organizzativo già ricordati, manifesta viceversa — in Toscana ciò è
molto evidente — la crisi profonda, fisica, del Pnf. Nelle nove
federazioni della regione i segretari sono, tra il 1939 e il 1943,
ben 25 (senza calcolare i frequenti episodi di “reggenza”), con una
media che riproduce abbastanza fedelmente quello che avviene al
vertice. In questo quadro di continue rotazioni, c’è una sola
eccezione, costituita dalla federazione di Livorno, di cui è
ininterrottamente segretario Umberto Ajello, un fedelissimo di
Ciano. Ajello mantiene la sua carica anche perché è l’unico
federale toscano a far parte, dal 1941, del Direttorio nazionale
(Ricciardi Pollini, segretario della federazione di Firenze, membro
dello stesso organismo dal febbraio 1939, era caduto nell’esteso
rinnovamento seguito alla giubilazione di Starace).
La Toscana non esprime dunque, in questi anni, personalità
politiche di rilievo nell’ambito dell’apparato del Pnf: ciò che del
resto è reso assai arduo dalla condizioni di straordinaria mobilità
già ricordate. Infatti questi 25 gerarchi, spesso trasferiti da
altre regioni, sono presenti in loco troppo brevemente per poter
svolgere un’azione incisiva. Solo negli ultimi mesi del regime,
dopo l’avvento di Scorza a segretario del Pnf25, viene in parte
24 Per due volte, in questi anni, viene rinnovata la
composizione del Direttorio nazionale del partito fascista. Nel
novembre del 1940 si nomina un Direttorio a proposito del quale “Il
Popolo d’Italia” scrive (8 novembre 1940): “...il criterio che ha
presieduto alla scelta trascende la stessa valutazione individuale,
orientandosi piuttosto verso le funzioni che le persone attualmente
assolvono, in modo che nel Direttorio trovino diretta
rappresentanza quegli organi del regime e quelle istituzioni
fasciste che frequentemente ed intimamente collaborano col
Partito... Con la nuova fisionomia che assume il Direttorio
nazionale, il Partito, organo fondamentale del Regime, accentua
sempre più la sua alta funzione di disciplina e di coordinamento
unitario, sul terreno politico, di tutte le attività del regime”.
Alla fine del 1942 è invece designato un “Direttorio di guerra”,
contraddistinto dall’inclusione dei segretari federali di alcune
città — Milano, Torino, Genova, Palermo — “che — per essere state
più colpite dall’offensiva nemica — sono da considerare in prima
linea... il Partito dovrà sempre più intransigentemente accentuare
— in funzione della guerra — la sua azione di ‘motore delle
attività nazionali’ in modo che queste siano sempre più
profondamente dedicate ed esclusivamente protese alla guerra nella
quale siamo e dobbiamo essere — nessuno escluso — tutti impegnati”
(“Il Popolo d’Italia”, 20 dicembre 1942).25 Carlo Scorza, l’ultimo
segretario del Pnf, di origine calabrese è, in effetti, per il suo
passato di “ras” di Lucca, un
-
Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 45
realizzato un piano (concepito per una più efficace difesa
territoriale in vista dell’invasione alleata della penisola)
secondo il quale dovevano essere posti a capo delle federazioni
provinciali uomini legati alle medesime località: e a questo piano
ubbidiscono, in effetti, le ultime sostituzioni avvenute in
Toscana26.
Tra il 1940 e il 1943, i criteri generali di mobilità dei
segretari federali si ricollegano in senso lato al rinnovamento
anagrafico del partito — secondo le direttive elaborate da Muti, e
poi riprese, senza grande successo, da Vidussoni, egli stesso
giovanissimo — e all’opportunità di valorizzare gli ex combattenti
e gli squadristi. Queste tendenze contraddittorie si risolvono di
fatto in una oscillazione permanente, che dà luogo complessivamente
a un ceto di dirìgenti assai fragile.
L’analisi particolare dei segretari federali toscani si
presenta, per la mancanza di un’adeguata documentazione, assai
difficile; qualche osservazione generale è possibile sulla base
delle informazioni fornite dalla stampa locale (e, assai più
limitatamente, dalle fonti d’archivio già citate). Per quanto
riguarda il grado d’istruzione, si può così rilevare che sui 25
gerarchi provinciali della Toscana, un terzo circa è laureato, e
molti hanno un diploma di scuola media superiore. Si tratta spesso
di laureati in discipline tradizionalmente poco consone alla
carriera politica: dottori in chimica, in veterinaria, in scienze
economiche, in ingegneria, più frequentemente che in giurisprudenza
o in lettere; mentre tra i diplomati sono numerosi i
ragionieri27.
Un così alto numero di laureati indica verosimilmente
un’estrazione sociale medio
borghese: la classe delle professioni liberali — importante,
come abbiamo già notato, nella stessa genesi del fascismo in
Toscana — sembra avere occupato le cariche direttive del partito,
limitando di molto il peso delle correnti plebee e
piccolo-borghesi. È un fenomeno che appare legato a una sorta di
progressivo “imborghesimento” del partito fascista, al suo stesso
sviluppo come grande struttura burocratico-amministrativa, e alla
“normalizzazione” dei contrasti interni — anche se, come vedremo,
questi contrasti rimangono vivi allo stato latente e tendono a
riaffiorare proprio nel periodo bellico. La mancanza di un
personale politico educato e formato in quanto tale dal partito
fascista sembra comunque caratterizzare i vertici delle
federazioni: un fenomeno nel quale si esprime ancora l’attenuarsi
di una precisa funzione politica.
Ne è un’ulteriore conferma il fatto che il processo di
“ufficializzazione” del Pnf perviene al suo limite massimo proprio
in questi anni, quando, secondo l’affermazione di Mussolini, il
partito avrebbe appunto dovuto essere “il motore della vita della
Nazione, il sangue che circola, l’aculeo che sprona, la campana che
batte, l’esempio costante”28. È nel 1941, infatti, che viene
conferita a tutti i segretari federali la qualifica di pubblico
ufficiale.
Tale attribuzione soddisfaceva in sostanza le spinte della
burocrazia di partito all’equiparazione formale agli alti gradi
dello Stato, in particolare ai prefetti, che esercitavano un potere
assai maggiore, e che durante la guerra vedono ancora accresciute
le loro prerogative. Si tratta quindi di un’equiparazione che non
investe la sostanza: un titolo in più, che
esponente del fascismo toscano. La sua nomina viene
calorosamente salutata da Dino Perrone Compagni sulle colonne del
“Bargello” (Saluto al nuovo segretario, sul numero del 25 aprile
1943).26 Mario Alburno viene richiamato a dirigere la federazione
di Siena da quella di Viterbo, e Amerigo Pispoli, di Arezzo,
diventa segretario federale di Grosseto.27 È possibile che una
formazione superiore di tipo scientifico potesse apparire più
“neutra”, più “apolitica” di una formazione umanistica, favorendo
in questo senso un’adesione incondizionata alla realtà del
regime.28 Cfr. il “discorso del bagnasciuga”, già citato.
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46 Renzo Martinelli
dovrebbe conferire da solo “un’autorità indiscussa ed
immediata”29 ai gerarchi provinciali, già investiti di una miriade
di qualifiche, presidenze di enti, direzioni di comitati, ecc., cui
difficilmente poteva corrispondere una concreta attività. Il titolo
di segretario federale appare più, in questo senso, un titolo
onorifico, che l’espressione di un effettivo potere.
Se esaminiamo adesso la composizione dei direttori delle
federazioni (sempre sulla base delle notizie fornite dalla stampa e
dai documenti d’archivio), troviamo una conferma importante di tale
carattere, più formale che sostanziale, delle cariche di
partito.
I direttori erano organismi assai ristretti (non più di 15
membri), nei quali erano anche rappresentate le maggiori
associazioni fasciste. In essi è ugualmente rilevante la presenza
di esponenti della media borghesia colta — con una maggioranza di
laureati e diplomati — e di personalità di indubbio prestigio
sociale (docenti universitari, medici ospedalieri, presidi di
istituti scolastici, ecc.). Si può in effetti affermare che
sedevano nei direttori provinciali del Pnf i maggiori notabili del
luogo, gli uomini più in vista nei vari campi professionali, gli
intellettuali di un certo nome: una composizione che contribuiva
certamente a rendere assai arduo l’esercizio di un’effettiva
autorità politica, e che ci riporta al carattere onorifico che
abbiamo già sottolineato.
Da questo punto di vista, la denominazione di “gruppo dirigente”
si attaglia ben poco, in effetti, alla struttura e alle
caratteristiche organizzative del partito fascista: questa formula
implica infatti un elemento importante di democrazia e di adesione
attiva, indubbiamente poco consona alla vita interna di un partito
dichiaratamente antidemocrati
co. Si dovrebbe piuttosto parlare del peso locale di singole
personalità, che non sono necessariamente presenti nei direttori
provinciali, così come del ruolo che potevano avere, nel far pesare
la propria autorità, gli esponenti del regime che conservavano una
base provinciale (o regionale). C’è infatti un rapporto preciso,
com’è evidente, tra la permanenza di Ajello alla testa della
federazione di Livorno e il potere di Galeazzo Ciano; e allo stesso
modo si potrebbe richiamare la già ricordata influenza di Guido
Buffarini Guidi a Pisa, di Renato Ricci a Massa Carrara o di
Alessandro Pavolini a Firenze; mentre sul piano locale gli uomini
provvisti di effettiva autorità al di fuori delle cariche di
partito sono soprattutto collocati nei centri reali del potere
sociale e finanziario (associazioni professionali, banche,
organismi sindacali, ecc.).
Gli stessi documenti interni di partito si riferiscono
esplicitamente a tale situazione, individuando nelle diverse
località un elenco di “personalità di rilievo di oggi con influenza
sulla situazione provinciale”30. Così, a Siena, sono figure di
spicco l’avvocato Bruchi, dirigente del Monte dei Paschi; il
marchese Ongo, proprietario terriero; Piero Valiani, esponente
degli ambienti creditizi; il senatore Sarrocchi, un ex liberale,
ecc. A Pisa troviamo Enrico Piaggio, noto industriale; il principe
Giovanni Ginori Conti, presidente dell’Unione commercianti; Piero
Capello, presidente dell’Ente nazionale cooperativo e consigliere
nazionale, ecc. A Lucca, il presidente della Cassa di risparmio; e
così via. Esercitavano un peso decisivo, di fatto, gli uomini che
dirigevano i settori economicamente più forti, o che potevano
vantare una posizione di potere più solida e antica.
29 Ibidem.30 Cfr. ACS, Pnf, Situazione politica ed economica
delle province, Ufficio disciplina, Situazione politica. Da questo
fondo, suddiviso per province, sono tratti i nomi e le qualifiche
riportati più avanti.
-
Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 47
Il ruolo del segretario federale appare quindi largamente
condizionato: e anche i compiti di mediazione che dovevano in una
certa misura essergli riservati e riconosciuti subiscono
probabilmente un declino negli anni del conflitto, quando tutto
spinge a una maggiore centralizzazione delle scelte, con una
corrispondente riduzione dei margini di autonomia locale dei
gerarchi.
Queste osservazioni — accanto all’accerta- ta incapacità del
partito fascista di assolvere alla funzione decisiva di formare un
proprio quadro dirigente, con un fallimento sostanziale nello
stabilire una continuità tra la “vecchia guardia” squadrista e i
giovani cresciuti nelle organizzazioni del regime — sembrano
accreditare l’idea che la “fine del partito”, come compimento di un
lungo processo di estinzione, debba collocarsi effettivamente nel
periodo 1939-1943. Una conferma significativa si può ricavare da
un’analisi più ravvicinata della federazione di Firenze, nella
quale si presentano con maggiore chiarezza le tendenze
generali.
La federazione dei fasci di combattimento di Firenze
Dal punto di vista della forza quantitativa, la federazione
fascista di Firenze è certamente — a voler accreditare i dati
forniti dai documenti interni e dalla stampa — una delle più
“potenti” d’Italia. Tra il 1939 e il 1943, inoltre, questa forza
aumenta ancora notevolmente, fino a superare largamente la
proporzione nazionale, già ricordata, del 10 per
cento sulla popolazione. Se poi consideriamo anche le
organizzazioni giovanili, e tutte le associazioni facenti capo al
Pnf, arriviamo alla cifra sbalorditiva fornita dal segretario
federale nel 1942: “526.654 unità complessivamente inquadrate su di
una popolazione di 870.438 unità” (ovviamente, considerando tutta
la provincia)31. Il bilancio federale è ugualmente imponente in
termini finanziari — all’incirca sei milioni di lire all’anno — e
il patrimonio immobiliare del partito è così esteso da rendere
necessaria la costituzione di un apposito ufficio32.
In realtà, numeri così alti ci dicono assai poco sull’effettiva
consistenza del Pnf, in particolare sui limiti dell’adesione attiva
alla vita delle strutture organizzative; del resto, il carattere
largamente assistenziale delle iniziative quotidiane porta
indubbiamente a falsare il rilievo del consenso effettivo, che
appare invece, da altre fonti, più apparente che reale.
Le carte di polizia e le relazioni trimestrali dei questori
sulle condizioni dello spirito pubblico gettano infatti una luce
ben diversa sulla realtà: Firenze vi appare come una delle prime
città in cui la mormorazione e l’ostilità latente contro il regime
si trasformano in forme più incisive di insofferenza e di lotta,
anche per l’azione dei gruppi antifascisti più decisi (i
comunisti), che sanno intervenire efficacemente su un terreno reso
propizio dalle difficoltà economiche ed alimentari33.
Già alla fine del 1939, un decalogo per i fascisti pubblicato
sul “Bargello” preannuncia del resto, esplicitamente, l’imminenza
di tempi duri: “1. Ricordati che Mussolini ha
31 Cfr., A l Teatro Comunale il Vice-Segretario del Partito
Mario Farnesi tiene rapporto ai gerarchi fiorentini, in “Firenze”,
Rassegna mensile del Comune, novembre-dicembre 1942-XXI, n.
11-12.32 Cfr. L ’Ufficio Tecnico della Federazione, dell’Ingegner
Carlo Donzelli, nel “Bargello”, 6 settembre 1942: nell’articolo si
afferma che “La federazione... ha attualmente in proprietà diretta
ben 138 immobili per un valore che si aggira ad oltre 50.000.000 di
lire”.33 Mi permetto di rinviare, per una trattazione più estesa
della questione, al saggio di Tamara Gasparri e Renzo Martinelli,
Il Partito comunista d ’Italia a Firenze 1921-1943. Elementi di una
ricerca, in “Studi e ricerche”, II, Firenze, Istituto di storia
della Facoltà di Lettere e Filosofia delTUniversità di Firenze,
1983, p. 545 sgg.
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48 Renzo Martinelli
sempre ragione. Lascia stare, quindi, le notizie di fonte
straniera. 2. Non ti passi per la testa l’idea di ammassare in casa
generi, specialmente alimentari. Il Governo ha disposto tutto per
garantire i rifornimenti in qualsiasi evenienza. 3. Ultimo e primo.
Convinciti che la politica non è il tuo mestiere. Lascia che ne
parli Chi — a Roma — ha la responsabilità di tutto. E Lui — basta
per tutti”34.
Un anno dopo, è lo stesso segretario federale (Ludovico Moroni,
ex squadrista della “Disperata”) a mettere in guardia i “bigi” —
mentre sul “Bargello” si denuncia la diffusa abitudine di ascoltare
Radio Londra — con la minaccia di un ritorno al metodo del
manganello35. Moroni, “iscritto al partito dal 1928, ferito per la
‘Causa’” , è stato dirigente del Patronato dell’assistenza, nonché
membro del direttorio della federazione tra il 1920 e il 1929; è il
successore di Ricciardo Ricciardi Pollini, ed è stato evidentemente
prescelto per “dare l’esempio” , e per soddisfare le rivendicazioni
dei vecchi squadristi. Infatti, per due volte lascia a un
“reggente” la responsabilità della carica per partecipare alle
operazioni belliche, finché, alla fine del 1941, è sostituito da
Luca Scoti Bertinelli, anch’egli squadrista, già vice federale e
segretario amministrativo (e laureato in scienze economiche e
commerciali). La successione, che sembra ubbidire a un
avvicendamento di tipo burocratico, non comporta mutamenti di
rilievo nel direttorio provinciale, del quale siamo in grado di
ricostruire approssimativamente, sulla base dei dati (parziali)
forniti dal “Bargello”, tre diverse composizioni.
Il direttorio nominato nel maggio 1939 comprende 13 membri, tra
cui 3 avvocati, 2 laureati in scienze economiche e commerciali, 1
dottore in medicina e 1 ragioniere: tra i fascisti nominati nella
stessa occasione a vari incarichi di responsabilità, troviamo
ancora 1 ragioniere (ispettore di zona), 1 avvocato (segretario
della commissione federale di disciplina), 1 laureato in
giurisprudenza (fiduciario di un gruppo rionale). Alla fine dello
stesso anno, dopo la sostituzione di Ricciardi Pollini con Moroni,
la percentuale dei laureati è leggermente più alta; su 13 membri,
troviamo adesso 1 ingegnere (podestà di Prato), 3 laureati in
agraria (a uno dei quali spetta il titolo nobiliare di conte), 1
medico, 2 laureati in scienze economiche e commerciali e 1 laureato
in legge. Sono inoltre presenti un industriale, nonché il direttore
delle Officine Galileo. La terza composizione, legata alla gestione
di Luca Scoti Bertinelli, presenta altre variazioni, non
significative: 1 laureato in legge, 1 laureato in scienze agrarie
(docente all’Università di Perugia), 1 medico, 1 laureato in
scienze economiche e commerciali, 1 laureato (senza acuna
specificazione), 1 medico (docente all’Università di Firenze). Sono
inoltre menzionati un agricoltore e un professionista; tra i
vicesegretari troviamo un altro nobile, il marchese Lapo Viviani
della Robbia36.
Un tratto significativo di tale composizione — che conferma le
osservazioni generali già fatte; si può aggiungere un’osservazione
sull’età media, inferiore ai 40 anni, e quindi non molto elevata —
è la sovrapposizione di
34 Cfr. “Il Bargello”, 17 settembre 1939; il decalogo è ripreso
da “Cronaca prealpina”. Può essere interessante un confronto con un
altro decalogo, pubblicato sul periodico fiorentino nel 1931 nel
quale il “mussolinismo” dei fascisti di Firenze si mostrava venato
di atteggiamenti “strapaesani”; si veda E. Ragionieri, Il partito
fascista, cit., pp. 75-76.35 “Ma, perfidi tentennoni di tutti i
tempi, state attenti. Gli angoli dei caffè e i monumentali
caminetti dei salotti non sappiamo fino a quando e per quanto tempo
siano capaci di reggere le vostre vacillanti coscienze ed essere
testimoni della vostra lingua avvelenata... Quel che ‘ci vorrebbe’
noi lo sappiamo perfettamente. È un ‘ci vorrebbe’ senta puntini e
con delle belle legnate accanto”. Cfr. Ludovico Moroni, “Ci
vorrebbe... ”, in “Il Bargello”, 22 dicembre 1940. Si veda anche
Ronda in città — “RadioLondra comunica’’, in “Il Bargello”, 8
dicembre 1940.36 I dati sono tratti dal “Bargello”, nei numeri da!
7 maggio 1939, 19 novembre 1939 e 30 novembre 1941.
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Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 49
compiti pubblici e di partito nelle stesse persone (uno dei
vicesegretari è anche direttore dei servizi demografici,
assistenza, polizia e annona del Comune di Firenze, mentre altri
sono consultori municipali ecc.). È un fenomeno riscontrabile anche
in altre province, e che sottolinea sia il carattere
rappresentativo del direttorio, sia l’influenza notevole esercitata
dall’ente locale.
Nella Firenze degli anni di guerra mancavano comunque del tutto,
a giudicare dagli elementi in nostro possesso, la capacità (e forse
la stessa possibilità) di svolgere un’effettiva politica cittadina:
se si sfoglia “Il Bargello” , la distanza dall’organo battagliero,
e anche stimolante, che ne aveva fatto Pavoli- ni, appare notevole.
Mentre la collaborazione delle più note firme intellettuali si
riduce drasticamente nel 1942, anche la valorizzazione delle
caratteristiche cittadine cede adesso il passo all’esaltazione del
lavoro dei campi, con una costante sottolineatura dell’importanza
dell’agricoltura nella situazione determinata dalla guerra (si fa
propaganda per il grano all’ammasso, ecc.). Un fattore interessante
di vivacità culturale e di polemica interna si manifesta invece
nell’ambiente giovanile, tra gli universitari.
Il Guf fiorentino aveva avuto, tra il 1935 e il 1939, un suo
periodico, “Goliardia fascista” : un foglio nettamente
caratterizzato in senso propagandistico e organizzativo, ricco di
resoconti sportivi e di servizi apologetici sulle realizzazioni del
regime a favore della gioventù — nonostante una presenza non
trascurabile di firme degne di attenzione. Conclusa tale
esperienza, un piccolo gruppo di intellettuali rilancia subito
l’idea di un periodico universitario con caratteri diversi, che
uscirà tra il gennaio e il maggio 1943, dando vita a una vicenda
non priva d’interesse, espressione del contrasto tra il “frondi-
smo” delle nuove generazioni e i dirigenti della federazione.
Il giornale — “Rivoluzione”, quindicinale di politica,
letteratura e arte del gruppo fa
scista universitario di Firenze — si vale, in effetti, di questa
copertura ufficiale (il direttore, Guido Renzi Giglioli, è appunto
il segretario del Guf) per assumere posizioni di critica,
abbastanza esplicitamente, nei confronti del regime, tralasciando
del tutto il ruolo di bollettino organizzativo e propagandistico
che vorrebbero assegnargli le gerarchie provinciali. Di qui molti
episodi polemici, col “Bargello” e anche con organi nazionali (in
particolare col giornale “Roma fascista”). Su “Rivoluzione”, di cui
è condirettore Paolo Cavallina, appaiono scritti di Piero Santi,
Mario Luzi, Lanfranco Caretti, Vasco Pratolini, Franco Calamandrei,
e disegni di Rosai, Becchi, ecc.: giovani intellettuali già
presenti sulle pagine del “Bargello” ed ora arroccati nel tentativo
di mantenere aperto un minimo spazio di autonomia nei confronti
della federazione fascista.
Le travagliate vicende del giornale rispecchiano con grande
nettezza il contrasto tra “vecchi” e “giovani” fascisti; alle
polemiche, i redattori di “Rivoluzione” affiancano un’azione
culturale che ha il suo punto di forza nella valorizzazione della
letteratura italiana più recente e impegnata (Vittorini),
nell’attenzione per gli scrittori americani osteggiati dal regime,
ma anche nelle riflessioni anticonformiste sulla libertà di
pensiero, sulla questione del razzismo, sulla funzione dei miti
politici proposti ai giovani dal fascismo. Particolarmente
esplicita è la denuncia dell’arrivismo e dell’opportunismo dei
dirigenti politici. È una “fronda” nella quale sembrano confluire i
fermenti più estremi del “fascismo di sinistra” e i primi moti di
un antifascismo ancora inteso in termini essenzialmente morali: e
l’opera di repressione della federazione si inizia subito.
Una prima interruzione delle pubblicazioni si verifica nel 1940,
e all’inizio dell’anno successivo il periodico deve adattarsi ad
ospitare, contrariamente agli intenti, una rubrica organizzativa,
“Vita del Guf”. Nello stesso tempo viene messo in atto un tentativo
di
-
50 Renzo Martinelli
“assorbimento” con la nomina di Giorgio Andalò, uno dei
collaboratori fissi del giornale, a responsabile della Gii: il
risultato non è tuttavia quello sperato, poiché lo stesso Andalò
denuncia su “Rivoluzione” , forte della propria esperienza, i gravi
scompensi dell’organizzazione giovanile, la sua frammentazione in
segmenti organizzativi isolati (con la conseguente impossibilità di
esercitare un’effettiva direzione politica), e soprattutto il
deludente livello di “preparazione culturale e spirituale”37.
La prima serie di “Rivoluzione” , quella più significativa, si
chiude con la partenza del direttore per il fronte (nel 1941,
quando un decreto chiama gli universitari alle armi): il suo
successore, nominato nello stesso momento segretario del Guf, è un
dirigente dell’apparato che abbiamo già menzionato, Mario Alburno
(sarà l’ultimo federale di Siena). A lui è affidato il compito di
“normalizzare” il periodico, che infatti rientra subito, mantenendo
qualche residuo tratto di saltuario anticonformismo, nel quadro dei
bollettini propagandistici del regime.
La breve e interessante esperienza di “Rivoluzione”, che
meriterebbe un’analisi più ampia38, mentre testimonia un atto di
coraggio e di presa di coscienza da parte di una frangia piccola,
ma non irrilevante, di intellettuali fiorentini — proprio quando è
più evidente lo sforzo del Pnf di sottomettere gli esponenti della
cultura alle proprie esigenze ideologiche39 — dev’essere collegata
alla situazione di insofferenza e di disagio ormai
largamente diffusa nella popolazione della città.
Le fonti disponibili indicano, a questo proposito, lo
svolgimento di due processi contemporanei e paralleli: da un lato,
all’interno stesso del fascismo fiorentino, si moltiplicano le
denunce e le critiche, in particolare contro il comportamento dei
gerarchi, con un tendenziale riaffiorare dei contrasti e delle
polemiche personali legate all’esistenza di una consistente
“vecchia guardia”; dall’altro, soprattutto i ceti popolari, più
immediatamente sensibili alle crescenti difficoltà materiali,
manifestano chiaramente la loro avversione al regime. Il
diffondersi e il rapido compenetrarsi di questi stati d’animo,
l’atteggiamento critico di molti intellettuali, la diffusione dei
disagi economici, fanno di Firenze, tra il 1941 e il 1943, una
città nella quale la sfasatura tra l’attività propagandistica della
federazione e la realtà, tra le vantate conquiste assistenziali e
sociali e le esigenze popolari, tra l’ottimismo ufficiale e la
consapevolezza generale di imminenti sbocchi traumatici, si
manifesta con stridente evidenza.
Nelle file stesse del partito fascista, cresciuto ormai a
dimensioni tali da vanificare qualunque distinzione effettiva con
l’insieme della popolazione, e perciò stesso tanto più intimamente
fragile e soggetto a riflettere gli umori generali, si osservano i
sintomi premonitori del crollo.
“Liberamente e senza reticenze — scrive un informatore della
polizia politica nel gennaio 1941 — è dato ascoltare in Firenze i
col-
37 Cfr. Ugo Giorgio Andalò, Cultura e GIL, in “Rivoluzione”, 1°
luglio 1941.38 Si veda comunque Giorgio Luti, La letteratura nel
ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre
1920-1940, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 202 sgg.39 Si legge,
ad esempio, sul “Popolo d’Italia” del 4 marzo 1942 (nell’articolo
di Pasquale Pennisi, Rivoluzione e cultura): “... ci si chiede che
cosa ci stiano a fare, nel tempo di questa guerra e di questa
Rivoluzione, l’insegnamento della filosofia di Benedetto Croce e la
propaganda scenica di quella di Leone Tolstoi, la ripresa teatrale
— prosa e rivista — del “pochadismo” francese e la diffusione
cinematografica del costume nordamericano; che cosa i programmi
editoriali attivamente, quando non anche polemicamente, liberali
degli Einaudi e dei Laterza, e le troppe traduzioni lanciate, dalla
scienza al romanzo, da altre case editrici; che cosa l’affermazione
di “Primato” Intorno alla necessità di “non temere il contagio” e
“che solo Paesi di alta cultura possono tradurre m olto”?
-
Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 51
loqui tra fascisti e fascisti, nella forma e nel concetto più
disastroso e più scorretto verso le superiori gerarchie.
Si parla dell’assoluta necessità del cambio della guardia nei
più alti poteri responsabili. Si attribuisce a questi la colpa e il
collasso del momento. Si giunge persino ad affermare che è il
momento d’impossessarsi di bombe, e valersene contro alcuni
dirigenti dei massimi ranghi e degli approfittatori, che accumulano
milioni su milioni, con tutte le forme e sotto vari aspetti, si
delinea una complicità per rendere possibile l’urto contro il
regime [sic]”40. A proposito della manifestazione alla quale
intervenne, a Firenze, nello stesso gennaio 1941, il ministro
Pavolini, la stessa fonte afferma: “La manifestazione organizzata
dal Pnf presieduta da S.E. Pavolini, riuscì bene come numero e come
apparato scenico, ma i commenti della folla non erano davvero
all’unisono con le parole del federale e di Pavolini. Metà dei
presenti me l’hanno definita un’irreggimentazione muta di ragazzi,
di studenti e di anziani, ma priva di entusiasmo, di spontaneità e
di sincerità... Si aggiunga una disorganizzazione completa dei
servizi annonari e ci si renderà conto dello stato d’animo... La
manifestazione del 2 gennaio non ha migliorato la situazione e la
parola del ministro Pavolini è rimasta senza eco nel cervello e nel
cuore della popolazione fiorentina”41.
Due anni dopo, il questore di Firenze scrive, in una relazione
sulle condizioni econo- mico-sociali e lo spirito pubblico della
città, parole che sembrano cogliere profeticamente il corso degli
avvenimenti: “ ...si fa rilevare che parecchi fascisti, con un
pretesto o l’altro, non portano più il relativo distintivo
all’occhiello della giacca, dando la sensazione che qualcosa li
allontana dagli ambienti del partito.
Senza dire che, negli ambienti fascisti come in quelli
intellettuali, si parla e si chiacchiera un po’ troppo...
esprimendo idee e propositi assolutamente in contrasto con la
disciplina di guerra e del partito... molto vigile ed assidua
dev’essere l’opera del regime in tutti i campi per evitare
pericolose sorprese”42.
Non solo a Firenze, naturalmente, viene maturando uno stato
d’animo collettivo osti-
40 Cdr. ACS, Materia polizia politica, Firenze, Situazione
politica e spirito pubblico in relazione agli avvenimenti politici
e sociali internazionali, b. 230.41 Ivi. Il clima politico di
Firenze era stato colto con acutezza, già nel marzo precedente, da
Giuseppe Bottai, che aveva annotato nel suo diario: “25 marzo 1940,
Firenze — Pasqua fiorentina. Nella città sensibilissima s’avverte
più scoperto che altrove il senso di malessere, soprattutto morale.
Nessuno segue le oscillazioni delle menti e degli uomini dinnanzi
al mutar della situazione. Non una direttiva dal centro. Fasci e
fascisti si trovano davanti a fatti in apparenza contraddittori; e
nessuno li avvia a comprenderli. Moroni, il Federale, conviene con
me sul pericolo di lasciare la gente illudersi in questa parvenza
di pace... Firenze dà l’impressione d’aver concentrati in sé e
portati all’estremo tutti i contrastanti elementi della crisi di
valori, che la guerra ha aperto nel mondo e in Italia. Bisogna non
perdere di vista quest’isola fiorentina nel condurre la navigazione
nel mare procelloso”. Cfr. Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, a
cura di Giordano Bruno Guerri, Milano, Rizzoli 1982; nella prima
edizione, questa nota si presenta in forma leggermente diversa per
qualche riga: “Tra la gente, i fascisti più sprovveduti degli
altri. I dirigenti, posseduti dal demone dell’ ‘organizzazione’,
organizzano. Ma che cosa e perché? L’importanza politica del
partito, onnipotente, si dice, non era mai arrivata a tanto”. Cfr.
Giuseppe Bottai, Vent’anni e un giorno, Milano, Garzanti, 19772, p.
163. Per quanto riguarda il clima morale e intellettuale di Firenze
in questi anni, si veda anche Piero Calamandrei, Diario 1939-1945,
a cura di Giorgio Agosti, Firenze, La Nuova Italia, 1982.42 Cfr.
ACS, Ministero dell’Interno - PS - AGR KIB/15, Firenze, 1° gennaio
1943. Lo stesso atteggiamento è riferito in una nota informativa
conservata nel fondo citato ACS, Materia polizia politica-,
“Firenze, 11 maggio 1942. La sera dell’8 corrente, facendo uno
strappo alle mie abitudini, sono entrato in un cinematografo del
centro, ove si proiettava anche la pellicola di propaganda ‘Due
popoli, una guerra’. Il Duce appare non ricordo se due o tre volte
sul quadro luminoso e la sua apparizione è passata sotto silenzio.
Subito dopo è stato proiettato il film Luce, in cui,
-
52 Renzo Martinelli
le al regime. I documenti relativi a tutte le province della
Toscana, soprattutto le relazioni dei questori e le note
informative della polizia politica, concordano nel delineare un
quadro di progressiva corrosione ancora precedente all’entrata
dellTtalia in guerra. Nell’ambito di tale situazione, spiccano
alcune questioni sociali molto concrete, in particolare la
disoccupazione.
Un problema che travaglia le federazioni fasciste già nel 1939 è
ad esempio la “sistemazione” dei reduci d’Africa e di Spagna, che
suscita frequentemente contrasti e difficoltà tra gli stessi
fascisti: spesso questi reduci sono infatti ex squadristi, che non
esitano ad accusare le gerarchie provinciali di essere composte di
“imboscati”, di profittatori, ecc. In molte federazioni, uno sforzo
per affrontare e risolvere la questione viene compiuto con qualche
risultato, lasciando comunque uno strascico di rancori e di
risentimenti propizio al risorgere di vecchi contrasti. E un più
netto riaffiorare di antiche rivalità è infatti percepibile nel
corso della guerra, acuito dalle difficoltà materiali e dal
generale clima di crisi.
L’economia della Toscana, assai diversificata e variegata da
zona a zona, trova infatti la sua unificazione, negli anni del
conflitto mondiale, in una crisi di grandi proporzioni, che
coinvolge nello stesso tempo l’industria marmifera di Apuania (alla
quale si cerca di porre rimedio con la creazione di un nuovo polo
industriale, per il quale però vengono ben presto a manca
re le materie prime), le attività turistiche balneari sulla
costa, l’agricoltura nelle aree mezzadrili (i contadini sono tra
l’altro esclusi, ciò che provoca un diffuso malcontento, dalla
concessione degli assegni familiari che spettavano ai richiamati
alle armi, e che erano regolarmente corrisposti agli operai), i
centri portuali come Livorno43 ecc. Alla disoccupazione — cui reca
qualche temporaneo sollievo la chiamata alle armi e l’invio di
contingenti di operai in Albania e in Germania — si unisce l’ascesa
dei prezzi, inarrestabile nonostante le misure del governo e
l’azione del partito, che ne ricava solo una diffusa
impopolarità.
Nel capoluogo toscano, le reazioni dell’opinione pubblica alla
situazione alimentare sono così vivaci da indurre “Il Bargello” a
intraprendere una campagna contro lo spreco, nella quale si cerca
di fornire un capro espiatorio per gli scompensi e le carenze
dell’approvvigionamento denunciando le responsabilità delle
trattorie del centro, “sempre affollate di ghiottoni dal
portafoglio ben guarnito”44: ciò che però non fa tacere le critiche
alla federazione e al comportamento dei gerarchi.
La diffusione di analoghi sentimenti di ostilità, testimoniata
un po’ dovunque nella regione, rivela la disgregazione graduale del
regime e del partito, visibile ormai nelle reazioni di tutte le
categorie sociali, dagli universitari ai contadini, dagli operai
alle casalinghe. Le donne hanno in questo mutamento un ruolo
essenziale, prima di tutto per ra-
fra l’altro, si vede il Re che visita la Fiera di Milano.
L’apparizione del Sovrano sullo schermo e stata accolta da nutriti
applausi. Ritornata la luce, ho passato in rassegna i presenti.
Almeno metà ostentava all’occhiello della giacca lo scudetto del
Partito” .43 Si vedano le informazioni sulla situazione economica
delle province toscane contenute nelle relazioni trimestrali dei
questori, nel fondo citato ACS, Ministero dell’Interno — PS — AGR
KIB/15. A Piombino si verificano nel 1942 casi di edemi da
denutrizione tra gli operai, secondo quanto scrive Ciano nel suo
diario, sulla base di un’affermazione del segretario federale di
Livorno, Ajello. Cfr. Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di
Renzo De Felice, Milano, Rizzoli, 1980, p. 640.44 “Il Bargello”, 18
luglio 1941.
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Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 53
gioni elementari (ma, forse, anche per gli effetti della stessa
politicizzazione indotta dallo sviluppo dell’assistenzialismo
fascista), come si ricava da numerose note informative pervenute
alla polizia, soprattutto nel periodo 1942-43.
Da Arezzo, nel marzo 1942, si afferma ad esempio: “Ho sentito
molte donne commentare aspramente riguardo l’assegnazione di grammi
150 di pane. Dicono: noi grandi si può anche soffrire, ma i piccoli
non intendono ragione, e quando una mamma vede soffrire i propri
figli perde la pazienza. Ho sentito molti uomini richiamare certe
donne che si esprimevano imprecando contro coloro che hanno la
colpa della guerra. Questi uomini facevano comprendere alle donne
che facessero attenzione nel parlare, e le donne rispondevano: ci
facciano ciò che vogliono, tanto peggio di così non ci può andare a
finire”45.
E accanto all’allargarsi del malcontento popolare, appaiono
sempre più frequentemente elementi di divisione e di crisi
all’interno delle stesse gerarchie del Pnf, testimoniati
dall’abbondanza di lettere e di biglietti anonimi che recano
attacchi ad personam contro i segretari federali (se ne potrebbe
fare uno spassoso florilegio), da episodi riferiti oralmente e
giunti alle orecchie dei fiduciari della polizia politica, ecc. Gli
autori sono in genere esponenti della “vecchia guardia” (così
affermano), che dichiarano di essere mossi da intenti di
moralizzazione e di rinnovamento del fascismo (indubbiamente
maturati sulla base delle difficoltà generali della situazione)46.
La questione della “vecchia guardia” si ripresenta così negli
ultimi anni del regime, ricollegandosi in certo modo alle lotte
intestine dei primi anni venti, ed evidenziando la fragilità
dell’unificazione politico-organizza
tiva realizzata dal partito fascista. La guerra, in effetti,
imponendo al Pnf un’intransigenza ideologica assoluta e
un’esaltazione continua delle origini squadristiche e della mistica
della rivoluzione, porta di nuovo in primo piano il contrasto tra
“rivoluzionari” e “legalitari”; e i primi sembrano illudersi che le
circostanze possano facilitare un loro ritorno.
Si tratta ovviamente di velleità che non hanno la forza di farsi
sentire incisivamente, ma che tuttavia si manifestano a livello
locale, riportando talora in primo piano determinate figure di
dirigenti (come Chiurco a Siena e Perrone Compagni a Firenze), e
acuendo le divisioni interne: un fattore di crisi da tener presente
anche in relazione alle vicende successive al 25 luglio e alla
formazione del Partito fascista repubblicano.
Il dato che possiamo mettere conclusivamente in rilievo, sulla
base di questo quadro complessivo, è la sostanziale “fine del
partito” in Toscana negli anni della guerra mondiale. Si tratta, in
realtà, di un processo di estinzione che giunge a compimento
proprio per la dimostrata incapacità di assolvere, durante il
conflitto, ai compiti stessi per i quali era stata sviluppata
un’enorme macchina amministrativa e organizzativa: il fallimento
del partito fascista su questo piano, la sua fine come organismo
vitale, ha la sua definitiva riprova di fronte alle necessità
oggettive, alle quali si dimostra impari una struttura burocratica
creata per irreggimentare le masse in termini di passiva
acquiescenza alle direttive del regime.
La guerra mette a nudo, quindi, l’intima fragilità del Pnf, che
si può del resto considerare “l’ultimo arrivato” tra le istituzioni
costituzionali, privo di una tradizione organiz
45 Cfr. ACS, Ministero dell’Interno - Direzione Generale PS -
Divisione polizia politica 1927-1944, b. 228.46 Questo materiale è
reperibile nel fondo citato ACS, Ministero dell’Interno - Direzione
Generale PS - Divisione polizia politica 1927-1944.
-
54 Renzo Martinelli
zativa sufficientemente consolidata e di un patrimonio ideale e
culturale profondo. A questa organica debolezza si cerca di porre
rimedio con provvedimenti contraddittori (apertura delle iscrizioni
alle masse e contemporanea epurazione nelle file del partito,
tentativi di rilancio della funzione politica e sviluppo ulteriore
della “statalizzazione”, ecc.), e predicando l’obiettivo di una
totale identificazione con la nazione: ciò che rimane
un’astrazione, non certo realizzabile facendo diventare tutti
fascisti attraverso misure legislative.
In Toscana, come sul piano nazionale, la crisi del partito
fascista è soprattutto ravvisabile in una sostanziale inerzia
politica, nella crisi delle strutture amministrative e nel
progressivo, inesorabile distacco nei confronti della popolazione:
una situazione che, facendo riemergere antichi contrasti e
differenzia
zioni, rimanda ai limiti di fondo del Pnf, al suo sostanziale
fallimento nell’unificare storicamente ceti e classi diverse e nel
selezionare un proprio personale politico. La “fine del partito”
che è dunque, nei fatti, precedente al 25 luglio — e l’ordine del
giorno del Gran Consiglio può in effetti essere considerato anche
il certificato di morte del Pnf — appare così come il crollo di un
fragile antemurale dello Stato italiano, per il quale possono
valere da epigrafe le parole riferite da un informatore della
polizia politica di Firenze nel febbraio 1942: “ ...a quel che si
dice, questa guerra è voluta dal partito per i propri interessi e
non dal popolo, e quindi non può essere sentita dal popolo stesso,
che non vuol combattere e sacrificarsi per il partito, verso il
quale nutre sentimenti di odio’47.
Renzo Martinelli
47 Cfr. il fondo citato ACS, Materia politica, Firenze, b.
230.