Il licenziamento disciplinare non prevede rientro http://www.espertorisponde.ilsole24ore.com/problema-settimana/licenziamento-disciplinare-non- prevede-rientro:20130128.php Per «licenziamento disciplinare» s'intende il recesso da parte del datore di lavoro, che fa seguito alle violazioni gravi o gravissime commesse dal dipendente rispetto ai regolamenti aziendali, alle norme del contratto collettivo o alle regole della civile convivenza. Si tratta, secondo la gravità del fatto commesso, del licenziamento per giusta causa (senza preavviso) o per giustificato motivo soggettivo (con preavviso). Mentre nulla muta per i datori di lavoro fino a 15 dipendenti, per quelli oltre tale soglia la riforma ha introdotto particolari conseguenze nel caso in cui il giudice ritenga poi illegittimo il licenziamento. Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (meno grave della giusta causa) è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (articolo 3, legge 15 luglio 1966, n. 604). Un caso tipico è lo scarso rendimento, ossia una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente, a lui solo imputabile, che comporti una notevole sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione e quanto realizzato nel periodo di riferimento da parte del lavoratore, in relazione ai risultati globali di una media dell'attività dei vari dipendenti (Cassazione, 1° dicembre 2010, n. 24361). La giusta causa consiste invece in un fatto che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto: essa viene riconosciuta in presenza di condotte gravissime del lavoratore, che minano definitivamente il rapporto fiduciario con il datore. La procedura Trattandosi di un procedimento disciplinare, occorre attenersi all'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in materia di preventiva affissione del codice disciplinare (non necessaria per le mancanze contrarie ai principi del vivere civile e alle norme di legge), contestazione dell'addebito, audizione del lavoratore che chieda di essere sentito (eventualmente con l'assistenza di un rappresentante sindacale) e/o di depositare giustificazioni scritte, decorso un minimo di cinque giorni tra la contestazione del fatto e l'eventuale applicazione della sanzione. La contestazione volta al licenziamento disciplinare dev'essere specifica – ossia deve contenere tutte le indicazioni utili a individuare il fatto nella sua materialità, per consentire al lavoratore di difendersi al meglio (Cassazione, 19 agosto 2011, n. 17407) – nonché immediata: va comunicata al lavoratore non appena il datore scopre i possibili illeciti. Per contro, specie nel settore del credito, la necessità di condurre lunghe e approfondite indagini bancarie non comporta la violazione del principio dell'immediatezza ove la contestazione disciplinare venga fatta, per esempio, mesi dopo la commissione del fatto; ma essa deve seguire tempestivamente la conclusione degli accertamenti contabili (Cassazione, 27 settembre 2012, n. 16454).Con decorrenza 18 luglio 2012, la violazione del solo procedimento disciplinare – se il licenziamento nella sostanza viene ritenuto legittimo da parte del giudice – implica che il datore di lavoro deve comunque pagare una indennità d'importo compresa tra le sei e le 12 mensilità, secondo la gravità della violazione formale o procedurale (articolo 18, comma 4, legge 20 maggio 1970, n. 300). Prova e documenti
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