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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel Ezio Ferrante Rivista Marittima 2017
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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel - Marina Militare

Mar 15, 2023

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Page 1: Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel - Marina Militare

Il Grande AmmiraglioPaolo Thaon di Revel

Ezio Ferrante

Rivista Marittima 2017Supplemento alla Rivista Marittima

Edizione Giugno 2017 Ezio

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In Copertina:Foto di dipinto a olio su tela (archivio Revel)

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Ezio Ferrante

Il Grande AmmiraglioPAOLO THAON DI REVEL

RIVISTA MARITTIMA 2017

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Alla memoria della duchessa Clorinda Thaon di RevelImperiali, figlia del Grande Ammiraglio, senza il cuiprezioso e insostituibile ausilio quest’opera nonavrebbe mai potuto essere scritta.

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3Giugno 2017

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 5

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7

Capitolo I - Una famiglia di uomini illustri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11

Capitolo II - Carriera di un uomo di mare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23

Capitolo III - Grande Guerra e politica navale . . . . . . . . . . . . . . . . . » 51

1. Verso la Guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 51

2. Venezia, il Poeta e l’Ammiraglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61

3. La VITTORIA “perduta” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69

Capitolo IV - Ministro della Marina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 89

Capitolo V - L’Ammiraglio della Vittoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 105

Nota archivistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 133

Nota bibliografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 135

Appendice documentaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 139

INDICE

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4 Supplemento alla Rivista Marittima

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5Giugno 2017

Le commemorazioni del centenario dellaprima guerra mondiale, avviate ormaidal 2014 e tuttora in corso, hanno por-tato anche la Rivista Marittima a dareampio spazio agli avvenimenti, alle storiee ai personaggi, di questo periodo storico,in particolare legati alla Grande Guerracombattuta sul mare. Questo è avvenutonon solo con la pubblicazione di un nu-mero speciale sulla Prima Guerra Mon-diale uscito nel maggio del 2015, ma contutta una serie di articoli su fatti e perso-naggi del periodo che sono apparsi men-silmente sul fascicolo ordinario. Laposizione di rilievo ricoperta in queglianni dal grande ammiraglio Thaon diRevel ci ha portato inoltre lo scorso annoa ripubblicare on-line sul sito della Ma-rina l’importante volume a Lui dedicatoscritto dall’allora capitano di fregata EzioFerrante e pubblicato dalla Rivista Marit-tima nel 1989. Il centenario della GrandeGuerra, il valore storico-editoriale del-l’opera pubblicata, nonché le numeroserichieste ricevute di copie originali, ormaipurtroppo non più disponibili, non pote-vano che indurci a proporre all’Autoreuna nuova stesura dell’opera, propostaprontamente e con entusiasmo accettatadal contrammiraglio Ferrante.Presentiamo dunque oggi, insieme al fa-scicolo del mese di giugno, mese da sem-pre legato ai ricordi e alle imprese dellaGrande Guerra in virtù delle celebrazionidella Giornata della Marina, questanuova edizione del volume, con ulteriori

approfondimenti sulla vita del GrandeAmmiraglio e arricchita inoltre di nuoveimmagini in tutte le sue parti.L’opera, a oltre settant’anni dalla mortedi Thaon di Revel, occupa dunque ancoraun posto a sé tra quelle a Lui dedicate: ri-spetto ad altre biografie disponibili,quella qui presentata ha infatti non solol’importante merito di coprire l’interoarco della Sua esistenza, quando spessoaltre si concentrano sugli eventi che lohanno visto protagonista durante laGrande Guerra, ma anche di basarsi inmassima parte sulla gran mole di docu-menti inediti dell’archivio privato dellafamiglia Thaon di Revel, cui l’Autore haavuto il privilegio di accedere.Ne deriva un ritratto, nitido e preciso, dielevato spessore morale, di Paolo Thaondi Revel, un uomo vissuto a cavallo tral’ottocento e il novecento, proveniente dauna famiglia che aveva già espresso altriuomini insigni e che ebbe una carriera inMarina contrassegnata da una serie diluminosi successi, conseguendo i massimionori e riconoscimenti cui un militare diprofessione del suo tempo potesse aspi-rare: due volte Capo di Stato Maggioredella Marina, Grande Ammiraglio, Ducadel Mare, Collare della SS. Annunziata,Primo Segretario del Re per gli OrdiniCavallereschi e poi, nella carriera poli-tica, Ministro della Marina, Senatore delRegno e Presidente del Senato. La parte più nota della Sua vita, intera-mente spesa per l’Italia e per la Marina,

PRESENTAZIONEla Direzione

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è sicuramente quella che si riferisce alprimo conflitto mondiale dove Egli portòle nostre armi alla vittoria sul mare e laMarina italiana può vantare dunque inLui il massimo artefice di uno dei suoimomenti più fortunati. Ma il GrandeAmmiraglio continuò a rendere ancoraeminenti servigi alla Nazione, segnati daqualche amarezza, nel periodo tra le dueguerre, e anche dopo, fino alle tristi gior-nate del settembre 1943, vivendo infineun dignitoso tramonto e spegnendosi ap-partato poco meno di tre anni dopo laconclusione del secondo conflitto mon-diale, senza così poter assistere alla rina-scita del Paese e della stessa Marina. Il tutto è raccontato dall’ammiraglio Fer-rante in modo vivo e avvincente, tale dapermettere una lettura sempre interes-sante cui non viene mai meno il sostegnodi una documentazione preziosa e inec-cepibile, che conferisce allo scritto dignitàscientifica e originalità.La figura del Grande Ammiraglio conti-nua quindi a vivere di vita propria in pre-ziosi scritti che concorrono a renderne lasua memoria sempre viva nella ForzaArmata. E ne sono testimonianza nonsolo i continui richiami a Thaon di Revelnell’ambito delle commemorazioni incorso della Grande Guerra ma anche la

solenne celebrazione del centenariodell’aviazione navale, istituita nel 1913da Revel stesso, allora Capo di Stato Mag-giore della Marina, o la solenne cerimo-nia tenuta nella Basilica di Santa Mariadegli Angeli e dei Martiri a Roma per laGiornata della Marina nel 2015, con ladeposizione di una corona d’alloro sul se-polcro monumentale del Grande Ammi-raglio, e non ultima la recente iniziativadell’Accademia Navale di riportare sullaparete lato mare della mensa allievi unmotto tratto dal suo discorso pronunciatocome Comandante dell’Accademia, in oc-casione della cerimonia di consegna dellabandiera d’Istituto da parte del Re: “Siatesenza macchia e sarete senza paura”, unviatico impegnativo per i giovani di al-lora e soprattutto per quelli di oggi.Ci sia consentito dunque auspicare che laripubblicazione del volume, in questanuova e aggiornata versione, come giàaccaduto per le opere recentemente rie-dite dal nostro periodico, incontrerà il fa-vore di tanti Lettori, dagli studiosi eappassionati di storia navale a chi operagiornalmente sul mare, e degli enti istitu-zionali, accademici, scientifici e culturali.

La Direzione

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7Giugno 2017

È stato con vivo entusiasmo non di-sgiunto da una certa qual commozioneche, dopo un trentennio, ho ripreso inmano la biografia del Grande Ammira-glio aderendo all’invito della Rivista Ma-rittima per una seconda edizione criticaa stampa, sull’onda lunga del Centena-rio della Grande Guerra e del successoriportato dalla ristampa online sul sitoweb della Rivista stessa del testo origi-nale del 1989. Tre anni prima, in occa-sione di una expertise affidatami da unacasa editrice romana per un’edizionecritica delle lettere del poeta d’Annunzioa Thaon di Revel, avevo avuto la for-tuna di conoscere la duchessa ClorindaThaon di Revel Imperiali, figlia delGrande Ammiraglio. Dell’iniziativa edi-toriale in parola invero non se ne fecealla fine nulla, ma intanto i contattierano stati stabiliti, con reciproca stimae simpatia, sicché a seguito della fre-quentazione assidua di casa Revel, al-lora in via Mercalli a Roma e di frontealla ricchezza documentaria dell’archi-vio di famiglia, religiosamente custodito,nacque a poco a poco l’idea di scrivereuna biografia del Grande Ammiraglio.Un’idea che, non appena da me formu-lata, venne subito accolta con estremadisponibilità dai vertici della Rivista Ma-rittima del tempo, sia dal Direttore, con-trammiraglio Achille Zanoni che dal suovice, contrammiraglio (aus.) FrancescoPascazio, che molti dei collaboratori ‘sto-rici’ ben ricorderanno.

L’archivio della famiglia Thaon di Revelcostituisce dunque la fonte documentariaprincipale che sta alla base della pre-sente opera, anche se è stato necessarioprocedere alle opportune integrazionicon uno studio archivistico incrociato,dato il prevalente carattere «privato» e«personale», nel senso letterale del ter-mine, dell’archivio in parola.Non si potrebbe infatti rivolgere alGrande Ammiraglio l’accusa che gli sto-rici britannici si videro costretti a formu-lare nei confronti di personaggi comeWinston Churchill e Lloyd George, cioèquella di aver inserito indebitamente neipropri dossier privati documenti di rile-vanza pubblica, politica e militare, pri-vandone paradossalmente gli stessiarchivi governativi.Quindi con l’ausilio principale dell’archi-vio di famiglia, utilizzato per la primavolta in maniera organica, mi sono cosìaccinto a ricostruire la lunga biografia diThaon di Revel, che si protrae per quasiun secolo, dal 1859 al 1948 e di cui, sinoad allora, si era potuto apprezzare, in ge-nere, solo il periodo relativo al primo con-flitto mondiale, mentre si ignoravanoquasi completamente sia i precedentiquarant’anni di carriera in Marina, chele vicende legate alla storia politica e mi-litare del Paese del trentennio successivoalla Grande Guerra.Nei numerosi studi biografici sulla figurae sull’opera del Grande Ammiraglio, oggiperaltro fortemente datati, in definitiva

INTRODUZIONEl’Autore

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il periodo del primo conflitto mondialeaveva finito per rappresentare, per dirlacon Fernand Braudel, una specie di «fa-scio di luce» che s’immetteva in duegrandi zone d’ombra, che adesso invecepossiamo contribuire a rischiarare, al-meno nei loro momenti più significativi.E se la critica storiografica ha sempreguardato con un certo sospetto il generebiografico (dalla condanna della storio-grafia ellenistica alle petizioni di principiodi tanti studiosi, da Gustav Droysen ad Ar-naldo Momigliano, per intenderci), biso-gna sottolineare invece come, nellastoriografia navale, il genere biograficovanti una lunga e consolidata tradizione,tanto che, per fare un esempio, lo stessoAlfred Thayer Mahan, si parva licet com-parare magnis, non l’aveva affatto disde-gnata (come stanno a dimostrare i suoilavori sugli ammiragli Farragut e Nelson).Il problema di fondo semmai rimane

sempre quello di trovare un giusto puntod’equilibrio tra «pubblico» e «privato».Da un lato, senza la pretesa di riscrivereogni volta la storia generale e, d’altro,senza nemmeno cedere troppo alle ten-tazioni del privato e del quotidiano. Inaltre parole, in un reciproco non perdersidi vista tra l’immagine e il ruolo pubblicodel personaggio da un canto, la sua vitae il suo carattere dall’altro.Su tali premesse, l’auspicio, formulato al-lora come ora, a distanza di un trenten-nio, è sempre quello di offrire ai Lettoridella Rivista Marittima (che lo stessoRevel era solito leggere sempre congrande attenzione) un contributo peruna rivisitazione critica della figura delGrande Ammiraglio, indubbiamente lapiù fulgida nella storia contemporaneadella Marina italiana.

L’Autore

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11Giugno 2017

Negli antichi Stati sabaudi la famiglia deiconti Thaon di Revel, originaria della con-tea di Nizza, comincia a svolgere un ruolodi primo piano, ai vertici politici e militaridel Regno, alla fine del Settecento. Le ori-gini storiche della famiglia risalivano in-vero alla seconda metà del Cinquecentoquando il capostipite Filippo, «capitanodelle milizie di Lantesca e Belvedere»,viene accolto nell’Ordine dei Cavalieri diMalta «con prove segrete di nobiltà». Laleggenda che, da sempre, aleggiava nellamemoria familiare, lo avrebbe voluto in-fatti nientemeno che figlio di MariaStuarda e del conte di Bothwell “l’impe-tuoso Lord del Border”, e che, portato insalvo da Davide Rizzio, segretario dellaRegina, nella propria città d’origine(Nizza appunto), avrebbe prestato giura-mento nell’Ordine gerosolimitano lostesso anno della tragica morte dell’infe-lice Maria Stuarda (1587) (1).Lo stemma gentilizio dei Thaon di Revel,che era poi un feudo nelle Alpi Marit-time, è «d’azzurro, al capo d’oro, na-scente dal mare d’argento, fluttuoso diverdi, tenente in bocca un serpe di nero,squamoso d’argento, e fissante una stellad’oro nell’angolo destro del capo»; ilmotto, «et sapienti prodest» (che in fran-cese suonava «Bon pour qui sait») (2).Spigolando nell’albero genealogico dellafamiglia, il documento che ne riflette lastoria più antica (in considerazione chei documenti originari sono andati per-duti a seguito delle vicissitudini familiari

al tempo della Rivoluzione francese edell’Impero napoleonico), troviamo nu-merosi personaggi che avevano rag-giunto una posizione ragguardevole.Come Giuseppe Orazio, giudice dellacittà di Nizza, Giovanni Battista, cava-liere dell’Ordine di Malta e progettistadelle fortificazioni di Marsa Muscetto e,soprattutto, Ignazio Pietro che, dopo es-sersi acquistato una salda reputazionemilitare all’epoca della guerra di Succes-sione austriaca, venne nominato, nel1761, «comandante generale delle armidel Regno». Ma nella storia politica e militare delRegno di Sardegna un posto privilegiatoè stato sempre accordato a Carlo Fran-cesco, viceré di Sardegna e comandantedell’Armata delle Alpi che si batté con-tro i francesi che però, in maniera caval-leresca, lo avevano definito «l’unica testapensante tra i generali piemontesi di queltempo» (3).Le turbolente vicende dell’epoca fini-scono per coinvolgere direttamente la fa-miglia (con l’esilio, la proibizione difregiarsi dei titoli di feudi che ormaierano diventati «dipartimenti» francesi,l’abolizione delle relative rendite e, comeaccennato, la distruzione del preziosoarchivio di famiglia). In tali frangentiperò si era stabilito quel profondo le-game diretto e personale con la Corona,che mai verrà meno e che finisce per rap-presentare il filo conduttore dell’interastoria familiare. Nel 1797 troviamo in-

CAPITOLO PRIMO

UNA FAMIGLIA DI UOMINI ILLUSTRI

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fatti Carlo Francesco go-vernatore di Torino, assi-stito dai propri figli,Giuseppe Alessandro,suo capo di stato mag-giore e Ignazio, già mini-stro del Re di Sardegna inOlanda, suo «aiuto supe-riore» (4). La Restaura-zione naturalmentesegna l’apice del successodi chi mai aveva abbando-nato la causa del Monarcasabaudo. All’indomanidel 1815 infatti, GiuseppeAlessandro, capofamigliadella linea marchionale,diventa ispettore gene-rale dell’Esercito e primoorganizzatore della neo-costituita Arma dei Cara-binieri Reali. QuindiIgnazio, capofamigliadella linea comitale, go-vernatore di Genova e vi-ceré di Sardegna e infine,nel 1829, «maresciallodelle Armate del Re». En-trambi, come già il loropadre, vengono insignitidel Collare del SupremoOrdine della SS. Annun-ziata (5).Il maresciallo Ignazio,conte di Pralungo, ebbeuna numerosa prole, co-stituita da ben dodici figlie in questa carrellata im-pressionistica sulla storiadi famiglia dobbiamo sof-fermarci su almeno tre diessi, che rivestono un par-ticolare rilievo ai fini delnostro assunto: Adriano,Genova e Ottavio.Adriano (1813-1854) fuprotagonista di un episo-dio particolare di cui ab-

La fregata a vela da 64 cannoni IL COMMERCIO DI GENOVA, che deve il propriocurioso nome ai commercianti genovesi che ne pagarono la costruzione per offrirlain dono alla marina. L’unità, capitanata dal CV Francesco Sivori, avrebbe parte-cipato alla brillante spedizione navale contro il Bey di Tripoli nel settembre 1825(Coll. Revel).

Il BRICK (o BRIC o BRIG) ZEFFIRO, “storpiatura straniera del nostro brigantino”, scri-verà il purista padre Alberto Guglielmotti, un nome destinato a ripetersi, come noto,nell’onomastica della Regia Marina. Da notare, a fattor comune, la bandiera incui la croce genovese di S. Giorgio (la repubblica di Genova era stata da pocoannessa ai domini del Regno di Sardegna) è innestata nella croce sabauda, in usodal 1816 al 1848 quando, dopo la promulgazione dello Statuto Albertino, vennesostituita dal tricolore con lo stemma sabaudo (Coll. Revel).

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13Giugno 2017

Capitolo Primo - Una famiglia di uomini illustri

biamo notizia da una let-tera della marchesa Co-stanza d’Azeglio alnipote Emanuele (detto«minimo» per distin-guerlo dal più celebreMassimo). All’indomanidella sfortunata battagliadi Custoza del 1849, mi-nistro del Re di Sardegnaalla corte di Sua Maestàapostolica a Vienna, sitrovò infatti a trattareuna questione delicatis-sima che, attraverso lasua mediazione diploma-tica, si può così riassu-mere: i Piemontesiavrebbero eliminato idazi gravanti sulle merciaustriache in transito peri domini sabaudi, mentregli Austriaci, a loro volta,avrebbero dissequestrato i beni dei no-bili lombardi emigrati dopo i fatti del1848. Senonché, mentre i Piemontesiavevano già posto in essere il provvedi-mento in parola, gli Austriaci si eranoben guardati dal fare quanto avevanopromesso ad Adriano di Revel. Durantela cerimonia per gli auguri a FrancescoGiuseppe in occasione del Capodanno1849, Adriano, con un coup de maincolse l’occasione per ricordare pubblica-mente al Cancelliere dell’Impero la suamancata promessa e siccome questi fa-ceva finta di non ricordarsene, Revelesclamò: «Dans la chambre nous étionsvous et moi; vous dites ne pas l’avoir dit;je vous assure que je l’ai entendu».E gli Austriaci alla fine mantenneroquanto avevano promesso! Mezzo se-colo dopo, quando Paolo Thaon di Revelsi recò a Vienna con l’ambasceria del ge-nerale Del Majno per annunciare all’Im-peratore l’avvento al trono di VittorioEmanuele III, ci fu qualcuno a Corte chegli chiese se era parente di quel Revel ...

che aveva dato del bugiardo al Cancel-liere di Sua Maestà Apostolica!Genova (1817-1910), che doveva il suonome, non certo comune, al ricordo delperiodo in cui il padre Ignazio era statogovernatore della città ligure, parimentifu destinato ad una brillante carriera mi-litare che lo portò al grado di Generaled’armata, dopo aver partecipato pratica-mente a tutte le campagne risorgimentalied essere stato addetto militare a Vienna,primo aiutante di campo del principeUmberto, ministro della Guerra, senatoredel Regno e collare dell’Ordine della SS.Annunziata (il quarto della famiglia). Fuanche autore di numerose opere storichedi cui il generale Ponzio Vaglia, primoaiutante di re Umberto, era solito dire,tra il serio e il faceto: «A sun scritt dacan, ma sun franc ben interessant» (6).Infine Ottavio (1803-1868), padre delGrande Ammiraglio, capofamiglia delramo comitale dei Thaon di Revel dopo lamorte dei fratelli maggiori (Federico e Lio-nello), fu primo segretario del ministero

La goletta LA VIGILANTE, “il minimo dei bastimenti nella squadra - per dirla semprecol padre Guglielmotti - armata in guerra da sei a dodici piccoli cannoni”. Agli alboridella regia marina ne esistevano tre esemplari: oltre alla Vigilante, la Staffetta sempresarda e l’Argo già pontificia (Coll. Revel).

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delle Finanze subalpino (cioè ministrodelle Finanze) e lo stesso Cavour, che ta-lora non ne condivideva le vedute, ebbe adefinirlo «uno dei pochi finanzieri delRegno». Fu tra i promotori e firmataridello Statuto Albertino, contribuendo avincere le ultime esitazioni e perplessitàdello stesso Monarca sabaudo. Si raccontainfatti che, accingendosi Carlo Alberto arecarsi a Genova, in preda a gravi disordinipolitici, Revel bruscamente lo avesse am-monito: «Maestà, a Genova si va o con icannoni o con lo Statuto», e il Re firmò!. Etanta era la stima e la popolarità di cui eracircondato che in articulo mortis, al suocapezzale, venne lo stesso Don Bosco persomministrargli l’estrema unzione. È stato il filosofo Giovanni Gentile, sem-pre così attento alla storia risorgimentale,a pubblicare le «Lettere di Carlo Alberto aOttavio Thaon di Revel» (Treves, Milano1931), un complesso di 22 lettere scritte

Il conte Ottavio Thaon di Revel (1803-1868), padre delGrande Ammiraglio, Ministro delle Finanze del Regnosabaudo e firmatario dello Statuto albertino (archivioRevel).

Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Stralcio dell’albero genealogico della famiglia THAON DI REVEL compilato da Ottavio Eugenio,

Marchese di St. André con Revel.

(°) Federico, Lionello, Orazio, Alessandro, Marziano, Carlo, Carolina, Flavia, Ersilia, Adriano.(°°) Eredita il titolo marchionale dopo l’estinzione della linea primogenita.(°°°) Grande Ammiraglio e Duca del Mare. (°°°°) Ministro delle Finanze dal 1935 al 1943.

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15Giugno 2017

Capitolo Primo - Una famiglia di uomini illustri

durante la campagna del 1848(dal 3 aprile al 9 settembre), in cuiCarlo Alberto si rivolge al «trèscher Revel», firmandosi «votretrès affectionné C. Albert», sfo-gandosi a cuore aperto sulle vicis-situdini del momento. Uncomplesso documentario checome ebbe a scrivere Paolo Bo-selli, all’epoca primo segretariodel Re per gli Ordini cavallere-schi, rappresenta «un volume im-portantissimo di storia autenticacon un carattere proprio, con unaautorità senza pari» (7).Ottavio, già vedovo due volte (8),in terze nozze sposò Carolina deRegard de Clermont de Vars, diantichissima nobiltà savoiarda (9)

Due momenti di storia della famiglia Thaon di Revel in due pubblicazioniapparse rispettivamente a cura del filosofo Giovanni Gentile e del Ge-nerale Genova Thaon di Revel.

Due immagini della prima fanciullezza di Paolo Thaon di Revel, trascorsa tra la casa patrizia di Via Cavour a Torino e latenuta di Cimena. Nella foto, in maschera, il piccolo Paolo è con i fratelli Adriano e Vittorio, gemelli di cinque anni piùgrandi (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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(motto araldico: «Brave à tout regard»), ilcui padrino di battesimo era stato il conteSantorre di Santarosa e il cui fratello, Fer-dinand, era morto in seguito alle ferite ri-portate nella battaglia di Novara. All’epocadel terzo matrimonio (allietato nel 1854da due gemelli, Adriano e Vittorio, e poi,nel 1859, da Paolo, il futuro Grande Am-miraglio), Ottavio di Revel aveva da pocosuperato i cinquant’anni e la vita in casaRevel si svolgeva come nella maggioranzadelle famiglie nobili più illuminate deltempo. «La vita era senza fasto ma co-moda, da signori che non posavano alussi, ma a cui non mancava nulla», comeleggo nel citato fascicolo «I Thaon». Conla famiglia di Ottavio vivevano poi i fratelliCarlo e Marziano, le nipoti Enedina e Pao-lina (figlie del defunto fratello Lionello),tant’è che, quando un giorno uno zelantesegretario gli volle mostrare quanto gli co-stava il mantenimento della sua famigliaallargata, Ottavio sprezzantemente gli ri-spose: «Non tengo una pensione». Beitempi che permettevano dei bei gesti!, erail commento della duchessa Clorinda.Tutto sarebbe radicalmente cambiato,con la morte inaspettata di Ottavio nelfebbraio del 1868, quando «il piccoloPaolo», come tutti lo chiamavano, avevapoco meno di nove anni. I ricordi di Paolorelativi a questo primo periodo della suainfanzia tragicamente segnata dallamorte del padre, si riferiscono soprat-tutto alla tenuta di Cimena, acquistatacon il patrimonio dotale della moglie delmaresciallo Ignazio, che era venuta, comesi ricordava in famiglia, «en charrette» daNizza a Torino all’epoca della Rivoluzionefrancese. Era lì che il bambino rimanevaaffascinato di fronte ai racconti del vec-chio «Matthé» (Matteo) che aveva parteci-pato alla campagna napoleonica in Russiae che poi era diventato l’ordinanza delmaresciallo Ignazio.Parimenti, il mondo dei ‘grandi’, comesempre accade, avrebbe conservato nellapropria memoria alcuni episodi della

sua infanzia. Un giorno Paolo chiese allamadre: «Quel âge avez vous?», «J’ai centans», ed il bambino si mise a piangere,spiegando poi che «Si vous avez cent ansmaintenant vous allez mourir». Un’altravolta, addormentatosi in salotto, allamadre che gli chiedeva «Paul, tu dors?»,il bambino rispondeva pronto «Non, jepense». Il ricordo più tragico e vivo è co-stituito, naturalmente, dalla morte delpadre. In una lettera alla madre del 13febbraio 1870, dodici anni dopo il lut-tuoso evento, Paolo scriverà:

«Oh! Quanto fu mai doloroso per me ilgiorno 9 febbraio il quale riconduceval’anniversario della morte di Papà. Oh,quanto quel giorno avrei desiderato diessere a Torino e parlare di lui con te.La sera del 9 febbraio mi pareva chequel giorno pochi anni prima fosse suc-cesso qualcosa di triste: ed i o avevoben ragione» (10).

E sarebbe stato per sempre grato al fratel-lastro Ignazio, maggiore di lui di ven-t’anni, che quella tragica notte gli promisedi svegliarlo se la situazione del padre sifosse aggravata, mantenendo la promessa.La morte del conte Ottavio segnò unasvolta dolorosa per la famiglia anche dalpunto di vista economico; infatti la leggedel maggiorascato attribuiva la quasi to-talità dei beni al primogenito Ignazio e la-sciava solo una modesta rendita allavedova e ai tre figli minori, i gemelliAdriano e Vittorio di tredici anni e Paolodi nove. La famiglia si trasferì dalla grandecasa di via Cavour al modesto apparta-mento di via della Rocca e ben presto neiniziò la diaspora. Dapprima con Adriano,ammesso al collegio militare della Nunzia-tella e poi con il piccolo Paolo che, dopoaver frequentato l’istituto Paternò ed ilcollegio salesiano Val Salice, presso To-rino, fu mandato a Genova al collegio bar-nabita di S. Anna gestito dai fratelliPiccone, un istituto preparatorio agli

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Capitolo Primo - Una famiglia di uomini illustri

esami di ammissione alla Scuola di Marinadi Genova. Ma la lontananza, anziché al-lentare i legami con la famiglia, in un certosenso li stringe ancora di più; scrive Paoloin una lettera del 30 ottobre 1870:

«Carissima madre, non puoi immagi-nare la grandissima consolazione cheio provai ricevendo la tua affettuosis-sima lettera. Sii certa che io non cessoun momento di pensare a te, o dolcemadre mia. Ti prometto, o maman, cheti dirò sempre tutto. Ti aprirò il miocuore e vedrai tutto il bene e tutto ilmale che faccio, vedrai quello che penso,il mio più profondo pensiero, ti dirò ilmio cuore come tu mi dirai il tuo».

In una lettera del 30 gennaio 1871 mo-stra di infuriarsi col fratello Adriano chetarda a rispondere: «Scriverò ancora unalettera oggi e poi non gli scriverò mai piùfinché non risponde ad almeno una dellemie lettere, e manterrò la mia parola.Però, quantunque io non voglia più scri-vergli, io l’amo moltissimo, ti pregoadunque di darmi sue notizie». Alla se-verissima scuola dei fratelli Piccone, glistudi del piccolo Paolo procedono tra lesolite contrarietà scolastiche quotidiane:«Ecco i castighi che ho avuto nella setti-mana — leggiamo in una lettera del 28maggio 1872 — castigato per condottain chiesa (2 punti), per condotta in stu-dio (5 punti), per negligenza a scuola diitaliano (1 punto)». Precisando inoltre:«sono stato castigato in chiesa per averriso un momento, in studio per chiedereun quaderno o un libro o altra cosa, innegligenza per aver sbagliato un la-voro». Ma in complesso gli studi proce-dono bene e nel settembre del 1872, allafine del secondo anno, viene promossocon la media del 7,33.Durante la permanenza nel collegio di S.Anna, a Genova, nonostante la situa-zione familiare profondamente cam-biata dopo la morte di Ottavio, il piccolo

Paolo si avvale sempre della fitta rete direlazioni sociali che fanno capo alla suafamiglia, frequentando i salotti di quelristretto mondo dell’aristocrazia sa-bauda di cui egli, per privilegio di na-scita, faceva parte (in particolare i nomiche vengono ricordati più spesso nel suoepistolario sono quelli della contessa Re-viglio della Venarìa, delle marchese Bec-caria Incisa, Planargia, Anna Gerbaix deSonnaz e di Alberto de Viry).Sino a questo punto non c’è, nell’episto-lario, alcun accenno esplicito alla sceltaprofessionale marittima, niente che ci il-lumini sui motivi di una decisione che dasempre rappresenta, in casi analoghi, unavera e propria crux historicorum per lostudioso che cerca di darle una spiega-zione razionale. Ma se ciascuno di noi ri-flette sulle proprie esperienze, non è in

Paolo Thaon di Revel allievo della Scuola di Marinadove era entralo l’8 luglio 1873 e da dove uscirà con ilgrado di guardiamarina nel 1877, alternandosi tra Na-poli e Genova secondo l’ordinamento del tempo (fotoUfficio Storico della Marina Militare).

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fondo difficile vedere come nella sceltaprofessionale spesso l’elemento fortuitosi innesti su quello propriamente razio-nale, come l’occasione offerta dal caso sifondi con il fattore della propria volontà,naturalmente in tutta una serie di grada-zioni possibili, in modo che alla fine, inquesta mistione tra elementi fortuiti e vo-lontari, si arrivi alla decisione definitiva.Molti anni dopo, il Grande Ammiraglio ri-corderà quanta influenza abbia avutosulla sua scelta un libretto che la madregli aveva donato al momento di partireper Genova, il cui titolo, ancor oggi gelo-samente custodito nella sua biblioteca, èBeautés de la Marine ou recueil des traitsles plus curieux concernant les marins vo-yageurs et les marins militaires des tempsmodernes, di A. Caillot (11).Ed è proprio nel momento in cui il giovaneRevel entra nella Scuola di Marina (se-condo l’ordinamento degli studi del temposi facevano infatti due anni a Napoli e tre

a Genova) (12), che comincia ad affrontarecol necessario filtro critico la propriascelta, che indirettamente gli era stata ad-ditata dalla madre facendogli frequentareil collegio preparatorio di S. Anna.Il 21 luglio 1873, quattro giorni dopo lasua ammissione alla Scuola di Marina, inprocinto di imbarcare, secondo la prassidel tempo, scriverà alla madre: «Farò unacrociera, dopo la quale vi dirò franca-mente se la marina è di mio gradimentoo no. Alors je n’aurai pas de respect pourdire ce que je pense, sayez en sure, chèremaman». La prima crociera dell’allievoRevel sulla fregata ad dica Vittorio Ema-nuele, nave scuola dell’epoca, durerà dal15 luglio al 2 novembre 1873 e lo porteràa Plymouth, Portsmouth, Brest, Cher-bourg, Lisbona e Gibilterra. Un’espe-rienza eccezionale per un ragazzo diquattordici anni nella seconda metàdell’Ottocento. E nelle lettere di quel pe-riodo possiamo quasi rinvenire una spe-

La pirofregata a elica VITTORIO EMANUELE, varata nel 1856 e radiata nel 1900, a doppia propulsione, velica e vapore, èun tipico esempio di quelle unità miste del periodo di transizione dalla vela al vapore. Al comando del CV Giovan BattistaAlbini (MOVM) si coprì di gloria nell’attacco alla piazzaforte pontificia di Ancona il 28 settembre 1860 (Coll. Revel).

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Capitolo Primo - Una famiglia di uomini illustri

cie di giornale di viaggio, in cui riferiscealla madre le impressioni avute durantela navigazione e nei porti stranieri, attra-verso quella «finestra sul mondo» che glisi era aperta per la prima volta.Tra le sue riflessioni ne possiamo co-gliere qualcuna più indicativa per la ve-rifica professionale in corso; scrive inuna lettera del 31 luglio (da Gibilterra):«Ti dirò che questa vita non mi piacemolto. Sto bene. Soffro poco. Ma non tiposso scrivere di più».Ed ancora il 21 settembre (da Lisbona)in maniera ancora più esplicita: «La ma-rina per il navigare mi piace, maquando si va in paesi e città straniere ilpensare che, sopra cento giorni di viag-gio, settanta sono di navigazione, è unavita così monotona che mi piace nulla.Scusami, se fosse solo questo, pazienzaancora, ma tu, nel più bello che dormi,sei svegliato precipitosamente e devimontare in coperta perché si avvicinauna boriana (sic), una tempesta. E ciò èsuccesso più di una volta a noi... e poiquello che mi affligge assai è lo starelontano da mia madre, da casa». Quantiallievi nel corso della storia della ma-rina si saranno così sfogati con i geni-tori? Ancora una volta la marina velicamostrava di essere una scuola di vitatrasformando i ragazzi imbarcati in uo-mini, allargando nel contempo i propriorizzonti spaziali con la visione di cittàsconosciute e, nel contempo, la consa-pevolezza di far parte di una comunitàinternazionale ben più grande di quellache si era potuta immaginare, la comu-nità degli uomini di mare, sia nella suadimensione storica sia nei suoi risvoltiattuali (grande impressione farà al gio-vane allievo la visita alla Victory del mi-tico Nelson e la frequentazione degliallievi britannici e dei «mitchmen» — iguardiamarina — sul vascello-scuolaBritannia), unitamente al piacere di sco-prire dal vero quei luoghi studiati ascuola sulla carta geografica.

In un’altra lettera del 25 agosto, al mo-mento di uscire per la prima volta dalMediterraneo, Paolo annota:

«La fortezza di Gibilterra non ti si offrea prima vista. Vedi, uscendo dal Medi-terraneo, qualche forte, indi un granmonte che dicono abbia la faccia di unleone e poi la città che è ben piccola,ma il pensare che quel monte è unafortezza piena di batterie ti è cosa ve-ramente meravigliosa».

Nei sistematici studi a tavolino fatti allaScuola di Marina, i dubbi sulla professioneche, in un primo tempo, sembravano averassalito Paolo alla dura prova della vita dimare, a mano a mano si dissipano, mentreil giovane allievo scopre il mondo intorno

La visione della nelsoniana VICTORY, icona della storianavale, dovette molto impressionare il giovane Reveltanto da conservarne sempre una stampa d’epoca trale sue carte (Coll. Revel).

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a lui (come la visita al teatro San Carlo diNapoli, di cui scrive alla madre che «il esttrès grand et beau. Plus grand que nôtrethêatre Regio»). Negli studi e nella praticaprofessionale di questi primi anni in Ma-rina, Paolo non fa che confermare il giudi-zio espresso, possiamo quasi dire diprimo acchito, dal contrammiraglio Si-mone di Saint Bon, presidente della com-missione d’esami per l’ammissione allaScuola di Marina e allora ministro dellaMarina, che in una lettera del 16 agosto1873 aveva scritto alla madre che Paolo gliera sembrato «très intelligent et d’un ca-ractère ferme» (Appendice Documentaria,citata d’ora innanzi AD, doc. n. 2).Nelle lettere di questi anni il rilievo mag-

giore è concesso ai problemi e ai feno-meni delle navigazioni intraprese sicché,indirettamente, tali lettere acquistanoun’importanza eccezionale per la storiadella Marina, in quanto ci permettono dirivivere dall’interno le navigazioni deltempo, al di là dei rapporti ufficiali,spesso necessariamente aridi o troppoburocratici. Nella campagna del luglio-no-vembre 1874 la fregata Vittorio Emanuelenaviga nell’Egeo e nel Mediterraneo cen-trale, sostando a Corfù, Pireo, Patrasso, labaia di Suda e Malta. Nelle sue lettere cirendiamo conto come gradualmente si af-fini la sensibilità e lo spirito di osserva-zione del giovane allievo, i cui giudizidiventano sempre più profondi. La Greciagli appare un Paese che «cammina indif-ferente sulle rovine dell’antica sua gloria»,mentre la sua curiosità viene in partico-lare attratta dal pascià Rauf, governatoredell’isola di Creta (un pascià «a tre code»,come precisa fanciullescamente Paolo,vale a dire «il massimo grado dei pascià»),che ha studiato a Parigi e a Vienna, parlabenissimo l’italiano e che a Creta è «gene-rale di truppa e pure ammiraglio nomina-tivo della flotta», ma che in definitiva,scrive Revel, «finge di seguire la religioneturca solo come strumento d’ambizione».Come profondo credente — e lo sarà sem-pre intensamente per tutta la vita — Paolosi piccava di ben distinguere i semplici‘officianti’ dai ‘credenti’ veri e propri!Gli studi procedono bene, come si rilevada una lettera che il comandante Di Suniscrive alla contessa Revel in data 18 di-cembre 1874 (e in queste corrispondenze,dirette e personali, si rivela ancora unavolta il riguardo che le gerarchie marit-time, con Saint Bon in testa, nutrivano neiconfronti della contessa savoiarda): «Il co-mandante e gli ufficiali della Scuola sonomolto contenti e m’hanno riferito chePaolo s’impegna molto di più dell’annoprecedente» e ancora, il 28 novembre1875, «S’è condotto magnificamente abordo». Nella terza campagna d’istruzione

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Nella Coll. Revel è conservata una serie di cartoline(spesso usate come tali nella corrispondenza di Paolocon la famiglia) dedicate alla “vita di bordo”. La pre-sente col suo “serra le vele” sembra assumere un valorequasi emblematico del periodo che vede il tramontodella navigazione a vela, destinata però sempre a rima-nere nel cuore di tutti i marinai (Coll. Revel).

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Capitolo Primo - Una famiglia di uomini illustri

(giugno-ottobre 1876, sempre con la Vitto-rio Emanuele) gli allievi della Scuola di Ma-rina si recano addirittura negli Stati Uniti,a Filadelfia, e le lettere di Paolo in questoperiodo si fanno più «tecniche», ricche dispunti nautici e professionali. Si lamenta,per esempio, che l’uscita dalla rada di Gi-bilterra sia stata fatta «a vapore» mentredue anni prima il comandante Arminjon(che parimenti troviamo tra i corrispon-denti della contessa Carolina) si era fattoun punto d’onore di uscirne «a vela». GliStati Uniti (Filadelfia, New York, Washin-gton) da un lato lo disorientano (con lostesso effetto che avevano esercitato suun altro ufficiale, Augusto Vittorio Vecchi,che vi si era recato col trasporto Volturnonel 1864 e che aveva riferito le proprie im-pressioni nelle Memorie di un Luogote-nente di vascello) (13), mentre dall’altrolato lo deludono pure. La città di Washin-gton gli sembra «plutôt triste» ed il Cam-pidoglio statunitense una semplice«imitation du Romain, mais il est bien in-férieur». Il 21 gennaio 1876 anche il co-mandante Arminjon si rivolge, comeaccennato, alla madre di Paolo per elo-giarne il carattere «rispettoso e obbe-diente nei confronti dei Superiori», e ilsuccessivo 4 luglio, riprendendo l’argo-mento, allude al «caractère franc et loyale»e alle «bonnes dispositions pour l’étude».Gli studi stanno ormai volgendo al ter-mine e dal punto di vista nautico si con-cludono nell’estate del 1877 con lasolita campagna d’istruzione estivadella Vittorio Emanuele (questa volta innavigazione nel Mediterraneo occiden-tale). Paolo elogia la «jolie ville» di Al-geri, frutto del lavoro dei colonifrancesi, mentre a Malta lo colpisce iltramway, «una specie di omnibus conle rotaie», come lo definisce. Il 1 dicem-bre 1877 viene infine nominato guar-

diamarina e con i gradi da ufficiale rag-giunge la sua prima destinazione di ser-vizio che, con un certo orgoglio,comunica alla madre: M. Paul de Revel— Officier de Marine embarqué sur lecuirassé «Affondatore» — Naples.Il primo avvenimento pubblico che locolpisce a bordo è la scomparsa del reVittorio Emanuele, della quale si trovanonumerose tracce nelle sue lettere delgennaio 1878; scrive infatti al fratelloVittorio (14):

Caro Vittorio,ieri perdevamo il nostro re VittorioEmanuele. La dolorosa notizia mi per-venne ad ora molto tarda e ti assicuroche molto m’impressionò. Ecco cometutti ad uno ad uno se ne vanno, chiprima e chi dopo, e dagli ultimi loro mo-menti impariamo a giudicare, a de-durre i loro veri sentimenti, la loro veracondotta. Ci siano essi di fiaccola, giac-ché così vuole Iddio e sappiamoci sem-pre degnamente e virtuosamentecondurre, e giammai dimentichiamoche la morte è il rendez-vous generaleove presto o tardi si finisce. Viviamobene per morir bene. E ci sia guida quelpadre che degnamente servì pro Dio epro Paese. Preghiamo per il defunto ree gridiamo Viva Umberto. (15).

Alla fine della sua vita, quasi settant’annidopo, il Grande Ammiraglio, ripercor-rendo idealmente tutta la sua esistenza ela sua carriera, quando sembrava che ilsuo mondo soccombesse sotto i colpi dimaglio provocati dal secondo conflittomondiale con i conseguenti cambiamentisociali e istituzionali, sarà solito ripetere:«Io ho prestato giuramento in Marinasotto Vittorio Emanuele II, sono nato conl’Italia e muoio con lei».

NOTE(l) La «leggenda» familiare non trova però riscontri nella storiografia, come in N. Brysson Morrison, Maria

Stuarda, dall’Oglio editore, Milano 1964, sebbene nella famiglia si ricordasse la presenza, fino al secolo scorso,del ritratto di una «Dama misteriosa» che dalla descrizione (capelli rosso-oro, volto ovale, palpebre pesanti tipichedegli Stuart) faceva pensare proprio a Maria Stuarda. Tanto più che la collana che la «Dama misteriosa» esibiva

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nel quadro esisteva veramente tra i gioielli di famiglia. Cfr. Archivio privato della famiglia Thaon di Revel (d’orainnanzi citato semplicemente CTR, cioè «Carte Thaon di Revel»), fascicolo «I Thaon».

(2) Vds. conte Silvio Mannucci, Nobilario e Blasonario del Regno d’Italia, Roma 1929, vol. IV, p. 174 e conteLuigi Guelfi Carmajani, Albo d’oro delle famiglie nobili e notabili italiani, Firenze 1979, p. 727. Il titolo di conte diSt. André (che poi era un sobborgo di Nizza) e conte di Pralungo, erano stati acquisiti dalla famiglia con un’accortapolitica matrimoniale, secondo le consuetudini del tempo: il primo da Pietro (1567-1642), mediante il matrimoniocon Camilla Doria Micheletti, il secondo da Gaspare (1670-1710), mediante il matrimonio con Geltrude Provana.

(3) La definizione è riportata da S. Naselli, in Giuseppe de Maistre e i suoi scritti, Bocca, Torino 1933, p. 33.

(4) Sulla storia della famiglia in questo travagliato periodo, ulteriori notizie si possono trarre da Mémoires surla guerre des Alpes et les événements en Piémont pendant la Révolution française, Imprimérie Royale, Bocca Frères,Turin-Rome-Florence, 1871 (a cura di Genova di Revel, il figlio più giovane del maresciallo Ignazio, sulla base diappunti e note di famiglia). Del maresciallo Ignazio esiste inoltre, tra le carte di famiglia, un diario autografo ‘incifra’ relativo agli anni 1789-1794, l’unico documento che praticamente si è salvato del più antico archivio dome-stico. Sicuramente ascrivibile a Ignazio è anche quel Testament Politique apparso in forma anonima (Paris 1826).Il titolo marchionale (marchese di Revel con St. André) fu concesso per primo a Carlo Francesco ed ereditato dalsuo primogenito Giuseppe Alessandro, mentre il secondogenito, Ignazio, si fregiava del titolo di conte di Pralungo.Tali indicazioni torneranno utili quando, ai primi del Novecento, lo stesso Paolo Thaon di Revel, in occasione diuna revisione promossa dalla Consulta araldica, si interesserà direttamente del problema. Sui tre personaggi inquestione (cioè Carlo Francesco, Giuseppe Alessandro e Ignazio), in particolare, Enciclopedia Militare, Istituto edi-toriale scientifico - Il Popolo d’Italia, Milano 1933, vol. VI, pp. 1200-1201.

(5) Il Collare del Supremo Ordine della SS. Annunziata era il maggior Ordine cavalleresco della Monarchia sa-bauda, e poi del Regno d’Italia, istituito nel lontano 1362 da Amedeo VII. Il Collare costituiva la massima ricom-pensa per i personaggi che si erano segnalati per eminenti servigi nelle cariche dello Stato, prima sabaudo e poiitaliano e implicavano nel regio cerimoniale il titolo di eccellenza e di cugino del re, il diritto agli onori militari ela precedenza sulle più alte cariche dello Stato. In merito, vds. Elenco dei cavalieri dell’Ordine supremo della SS .Annunziata nel VI centenario della fondazione, Cascais 1962.

(6) Tra le quali ricordiamo: La spedizione di Crimea (Milano 1891); Da Ancona a Napoli. Miei Ricordi (Milano1892); Umbria e Aspromonte. Ricordi diplomatici (Milano 1894); Sette mesi al Ministero (Milano 1895); La cessionedel Veneto (Firenze 1906). Nell’abitazione del Grande Ammiraglio era conservata la stampa «Arrivo a Venezia delgenerale Genova Thaon di Revel» (da «L’Emporio pittoresco» del 1866), in occasione dell’annessione del Venetoall’Italia, di cui peraltro lo stesso Ammiraglio avrebbe celebrato il Cinquantenario nel 1916 quando, come vedremo,ricoprirà la carica di Comandante in Capo della piazzaforte marittima di Venezia.

(7) CTR, lettera di Paolo Boselli al Grande Ammiraglio in data 8 novembre 1931; quest’ultimo, poco contentodel magro commento critico di Gentile, fece premettere la lettera del Boselli a tutte le copie del libro in parola insuo possesso.

(8) Ottavio aveva sposato dapprima Wilhelmina Dorià Cirié e poi Teresa Caccia da Romentino, da cui avevaavuto due figli: Ignazio, erede del titolo comitale e Alessandro (1841-1858). Sul ruolo di Ottavio nei fatti del1848,A. Colombo, «Ottavio Thaon di Revel nel1848» in Rassegna mensile municipale di Torino, giugno 1831. Per il giu-dizio di Cavour che, nonostante la divergenza di vedute, gli affidò la trattativa per il prestito britannico Hambroche avrebbe finanziato le campagne risorgimentali, vds. CTR, Lettera di Cavour al conte De Raymondi, in data 17agosto 1847.

(9) I de Regard sono discendenti, sempre secondo la tradizione familiare, dalla famiglia Claudia de’ Riguardatidi Spoleto, di cui avrebbe fatto parte Abbondanza de’ Riguardati di Norcia, madre di S. Benedetto.

(10) La filza dell’epistolario Lettere alla Madre rappresenta il primo filone documentario a cui possiamo attingerenell’archivio Revel. Si tratta di un epistolario costituito da ben 242 lettere, che abbracciano il periodo febbraio 1870-febbraio 1883 (la contessa Carolina sarebbe infatti scomparsa il 2 aprile 1884). A tali lettere del figlio Paolo se nedevono poi aggiungere altre 15, come accennato, di Ufficiali della R. Marina e degli educatori di Paolo. La lingua abi-tuale, secondo gli usi del tempo, è il francese, che solo raramente viene sostituito dall’italiano.

(11) Ferra Libraire, editeurs, 16 Rue des Grands Augustins, Paris 1843.

(12) Ex - R.D. 27 maggio 1869, art. 1 - alinea B, al giovane Paolo viene accordata la frequenza gratuita, come co-municato alla madre con lettera prot. 283 della R. Scuola di Marina di Napoli in data 7 agosto 1873.

(13) Voghera, Roma 1897, p. 215 e segg. Tra l’altro Vecchj candidamente confessa come «in su le prime gliStati Uniti mi paiono un paese inintellegibile».

(14) Mentre il fratello Adriano era entrato nella carriera militare, il gemello Vittorio aveva brillantemente in-trapreso quella consolare, una delle tre carriere superiori previste dal «Regolamento per l’ammissione degli aspi-ranti alla carriera della R. Segreteria di Stato per gli Affari Esteri» (le altre due erano l’interna e la diplomatica verae propria che però, ricordiamo, sino al 1923, esigeva che i candidati godessero di una propria rendita).

(15) Il cordoglio per la scomparsa del Re, dalla quale Paolo evidentemente era stato profondamente colpito,torna anche nel suo Giornale particolare, scritto all’epoca dell’imbarco sul Regio Piro-Ariete Affondatore (CTR),dove il giovane guardiamarina si diffonde a parlare delle solenni esequie che Roma aveva riservato al sovrano,alle quali aveva personalmente partecipato.

Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

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Non c’è compito forse più arduo per lostudioso che descrivere la vita di un uf-ficiale di Marina. Spesso infatti (ed è pos-sibile rendersene conto nell’esame delfondo archivistico «biografie» conser-vato all’Ufficio Storico della Marina) nonè disponibile che una semplice ed essen-ziale griglia di dati relativi alle destina-zioni di servizio, a bordo e a terra, aiprogressivi avanzamenti di grado matu-rati nel corso della carriera, a cui è diffi-cile dare un contenuto più personale.Tutto qui. Naturalmente, quando sitratta di un personaggio destinato adascendere ai vertici della gerarchia e adassumere una rilevante funzione istitu-zionale nelle diverse contingenze stori-che della vita del Paese, comegiustamente mettono in evidenza i bio-grafi del Grande Ammiraglio (per esem-pio Luigi Arimattei), anche le cosiddette«date minori» risultano utili per illu-strare la caratura progressivamente as-sunta dal personaggio in parola, «perdare risalto alla rapidità con cui il futuroCapo supremo della Marina italiana do-veva percorrere tutti i gradi della suasplendente carriera». E naturalmente,nei diversi incarichi e destinazioni che sisuccedono a ritmo così serrato, bisognaanche ricostruire il carattere dell’uomo,l’indole del personaggio, che ci offronoin un certo qual senso la chiave privile-giata per meglio comprendere molti epi-sodi, determinate scelte, il carattereimprontato ad un rigido senso del-

l’onore e a una morale di stampo antico,la concezione quasi «mistica » della di-sciplina che lo spinge ad espletare i do-veri del proprio incarico non per timoredi pena o per speranza di premi futuri,«nec spe nec metu», ma per assumersisempre le proprie responsabilità, pa-gando il più delle volte di persona(anche per gli errori degli altri), semprepronto ad accettare autentiche lezioni divita da qualsiasi parte esse potesseroprovenire.«Severissimo verso se stesso — aggiun-gono i suoi biografi — era severissimoverso il prossimo, ma sempre meno, viavia che si scendeva nella gerarchia o nellascala sociale, il che lo faceva rispettare datutti e amare da molti, specialmente dagliinferiori». Un approccio basato sullacomprensione, condivisione e ascolto, af-fabilità, generosità e umiltà (e non senzaun pizzico di umorismo) sono concetti evalori che Revel ci propone sua sponte,molto tempo prima di quanto professatodalle moderne teorie del managementdelle risorse umane che tendono proprioa una rilegittimazione di una leadershipresponsabile. E quello che colpisce più ditutto nelle corrispondenze private diRevel, quando parla della sua vita abordo, è la sensazione pervasiva di sen-tirsi parte di un tutto, soprattutto unsenso di appartenenza orgogliosa, unospirito di gruppo e, diremmo oggi in ter-mini sociologici, un cameratismo soli-dale, sempre rispettoso dei ruoli e dei

CAPITOLO SECONDO

CARRIERA DI UN UOMO DI MARE

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ranghi. Da guardiamarina, mentre stavaordinando una manovra con un tempod’inferno, sentì un marinaio che, sotto ildiluvio che imperversava, esclamava: «Ehgià! Lui fa presto a comandare, ha il cap-potto lui e non si bagna di certo». Al cheRevel si tolse immediatamente la ceratain modo da affrontare gli stessi disagi delmarinaio; aveva ricevuto una di quelle le-zioni che non avrebbe dimenticato facil-mente!. Revel aveva un altissimo sensodella responsabilità, propria e altrui, e ilgiudizio peggiore che poteva emettere suuna persona era «non lo ha fatto perchéaveva paura delle responsabilità». Equanto agli ‘ordini’ era sempre convintoche, se non venivano eseguiti alla perfe-zione, la colpa era di chi li aveva impartitiin maniera non chiara, donde la costantepreoccupazione di assicurarsi sempreche un ordine venisse ben compreso. Del periodo in cui fu imbarcato sull’Af-fondatore, esiste, come accennato, un«Giornale particolare di Paolo di Revel»,denso di calcoli astronomici, di dati tec-nici, con un’attenta disamina dei pro-blemi inerenti alla navigazione, effettuatacon la descrizione della quotidiana rou-tine di bordo di un’unità da guerra intempo di pace, ma anche ricca di spuntiper quanto riguarda il contesto storico-geografico delle località visitate dall’unitànella sua campagna nel Mediterraneoorientale (fine gennaio-agosto 1878),nello stile della letteratura dei viaggi.Con particolare attenzione il giovaneRevel segue, per esempio, gli esercizi ditiro dell’unità durante la navigazione daSalonicco a Volos (11 maggio 1878) eanalizza criticamente le mende tecnichedi quella nave che, appena dodici anniprima, era stata additata come la nave -miracolo della R. Marina, anche se nelloscontro navale di Lissa non aveva affattodato buona prova di sé (i tempi troppolunghi dell’evoluzione dei pezzi, l’ecces-siva loro bassezza rispetto alla coperta,la scarsa libertà di brandeggio limitata

dalle sovrastrutture stesse, l’incomodosistema di caricamento). Le note tecni-che sui problemi inerenti al servizio (tiroe manovra) sono la caratteristica piùmarcata del suo «Giornale», con cui siimmerge sempre più nella propria pro-fessione. Durante la sosta a Smirne, trala fine di febbraio e gli inizi di marzo,una chiromante gli predice che, dopoaver raggiunto le massime soddisfazionidalla sua carriera, alla fine «sarebbemorto sulla paglia». Come vedremo, taleprofezia avrebbe avuto, durante la sualunga vita, interpretazioni diverse daparte dello stesso Revel che, solo al ter-mine della sua esistenza, arrivò a com-prenderne il significato più profondo.Un’esperienza eccezionale si offre poi aRevel quando imbarca sulla fregata adelica Garibaldi che si appresta a com-piere il suo secondo viaggio di circum-navigazione del mondo (aprile1879-agosto 1882), dopo quello deglianni 1872-’74. Il sesto invero effettuatoda una nave della R. Marina. I precedentiperipli del mondo si devono infatti allapirocorvetta Magenta (1866-’69), allacorvetta Vettor Pisani (sia nel 1871-’73che nel 1874-’77) e all’incrociatore Cri-stoforo Colombo (1877-’79). E nel pocopiù di mezzo secolo che intercorre tra laproclamazione del Regno e l’entrata inguerra dell’Italia nel primo conflittomondiale, cioè dal 1861 al 1915, nel con-testo di settanta campagne oceaniche ef-fettuate dalle unità della R. Marina, iviaggi di circumnavigazione saliranno aben ventuno. Per dirla in estrema sintesi,la letteratura critica (16) ha messo benein evidenza quali siano le complesse mo-tivazioni d’ordine politico — diploma-tico — economico e scientifico chespingevano le navi della «Nuova Italia» a«mostrare la bandiera» nei mari delmondo, con le sue missioni di presenzae immagine. La Marina costituiva, alloracome oggi, la «finestra sul mondo» e la«prima portavoce» degli interessi nazio-

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nali nella sua «proie-zione» su scala interna-zionale, godendo sempredell’immunità dell’amba-sciatore e della forza delsoldato, come scrisse aisuoi tempi l’ammiraglioVirgilio Spigai, ovveropresentandosi «comebraccio secolare della po-litica estera, a comple-mento, sostegno esostituzione della diplo-mazia», come ebbe aesprimersi l’ambascia-tore Walter Maccotta, col-laboratore storico dellaRivista Marittima. In ma-niera più stringata “unmix di hard e soft power”,come diremmo ai nostrigiorni. Nel periodo consi-derato, in particolare, sotto un profilosociologico, l’ufficiale della R. Marinaper la sua estrazione elitaria (si trattavain genere di figli ‘cadetti’ di famiglie no-biliari, come nel caso di Revel), i legamipersonali e familiari, i severi studi com-piuti, la conoscenza delle lingue, il sa-persi muovere con disinvoltura negliambienti internazionali, viene vistocome un vero e proprio ‘alter ego’ delprototipo del diplomatico del tempo, at-tore di un collegamento sempre piùstretto fra azione diplomatica, politicanavale e conquista dei mercati esteri infunzione di un programma ‘organico’ diespansione nel mondo dell’Italia, appenauscita dal Risorgimento nazionale.Per due episodi, il viaggio intorno almondo della fregata Garibaldi merita diessere ricordato. Innanzitutto, per ilruolo svolto a protezione delle comunitàdi italiani all’estero in una delle ricor-renti crisi politico-militari sudamericane(il conflitto tra Cile e Perù). In secondoluogo, per il contributo dato, nel viaggiodi ritorno, al principio della libertà di na-

vigazione con la riapertura del Canale diSuez alla navigazione internazionale,durante la crisi provocata dalla rivoltaxenofoba di Arabi Pascià nel 1882. Ilmodo in cui Revel (promosso sottote-nente di vascello il 1° luglio 1880) viveuna tale esperienza, lo possiamo pun-tualmente ricostruire dalle Lettere allamadre del periodo (dal 4 aprile 1879 al16 luglio 1882), un complesso documen-tario imponente (ben 73 lettere), attra-verso cui possiamo ripercorrereanaliticamente quest’esperienza alta-mente formativa non solo sotto il profilostrettamente nautico-tecnico, ma anchedal punto di vista, se così vogliamoesprimerci, politico-internazionale. Nellenumerose tappe di questa straordinariaesperienza internazionale, che peraltroben conosciamo attraverso una serie ditestimonianze incrociate (16), l’epistola-rio di Thaon di Revel ci offre lo specchiofedele delle sue impressioni, come uomoe come marinaio, con una maturazioneben diversa da quel semplice spirito diservizio che sembrava dominare le pa-

Sulla fregata GARIBALDI, al comando di Costan tino Morin, negli anni 1879-1882 ilsottotenente di vascello Revel matura un'eccezionale esperienza con il giro delmondo, in cui i fatti più salienti furono costituiti dalla guerra in corso tra il Cile e ilPerù e la riapertura, effettuata dal 'unità ita liana stessa, del Canale di Suez alla na-vigazione internazionale (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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gine del «Giornale dell’Affondatore». Ilgiovane sottotenente di vascello si co-mincia ad aprire ad una visione piùvasta dei problemi inerenti alla naviga-zione, a un’immagine più complessadelle persone che ha occasione d’incon-trare e dei Paesi che ha la ventura di vi-sitare. Nei Paesi «très intéressants et peuconnus», le forti impressioni si succe-dono incalzanti: dallo stretto di Magel-lano, che ad un certo punto gli sembraquasi un lago circondato da altissimemontagne, in cui non si vede più né l’en-trata né la possibilità d’uscita, alla quasipalpabile immensità del Pacifico in cui«nous avons perdu de vue toute éspècede terre», alle descrizioni a forti tintedelle città straniere conosciute, al modosempre cauto ma preciso in cui cerca dipenetrare a poco a poco nella realtà piùintima dei Paesi visitati. Il Perù, peresempio, gli appare il paese «où l’onchange de gouvernement à tous mo-ments» e, naturalmente, la sua atten-zione è attratta in particolare dallevicende militari e navali della guerra al-lora in corso (come il bombardamentonavale cileno della città di Arica o ilblocco navale alle coste peruviane) comepure da minori episodi di guerra (adesempio, l’attacco di una torpediniera ci-lena contro la fregata peruviana Union).E naturalmente, se è vero che «tutto ilmondo è paese», come recita il vecchioadagio, particolarmente lusingato saràRevel quando, nel colloquio con alcuniufficiali savoiardi della Marina francese,sentirà parlare in termini molto lusin-ghieri della famiglia de Vars, la famigliadella madre. Tra i libri letti durante lalunga crociera all’estero, troviamo «Imi-tation de Jésus-Christ», opera che lamadre gli aveva donato al momento dipartire per il collegio S. Anna (con la de-dica «Aime toujours Dieu et n ‘oublie pasque de ta conduite dépend le bonheur deta mère»), mentre dai libri e dalle rivisteche chiede alla madre si può chiara-

mente capire come Revel sia in grado diapprezzare quella che è stata definita«la deliziosa polverosità di un classico»,di riconoscere quella che Proust definiva«le Vernis des Maîtres» In definitivacome la cultura sia per lui più che mai«l’arte dell’imparare» nel senso più pro-fondo, direi crociano, del concetto. Se lasosta a San Francisco non fa che confer-mare il suo giudizio precedentementeespresso sugli Stati Uniti, il Giappone inun certo senso lo delude (e non si peritadi dichiararlo apertamente), anzi gli pro-cura un certo fastidio l’eccessivo forma-lismo e la troppo zelante esteriorità,unitamente alla «très peu de decence»,

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Un'immagine di Thaon di Revel da tenente di vascello;durante la permanenza in tale grado (1886-1895) rivestìl 'incarico di ufficiale d'ordinanza del principe Eugenio diSavoia-Carignano ed alternò numerose destinazionid’imbarco (foto Uf ficio Storico della Marina Militare).

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anche se non esita a riconoscere che èaccompagnata da «très peu de malice».Infine, come annota sempre nelle suelettere, nel viaggio di ritorno, il passag-gio del Canale di Suez, pur in un conte-sto politico così farraginoso, è avvenuto«senza il più piccolo fastidio». Tra gliimbarchi che si succedono in manieracontinuativa dal novembre del 1882 algiugno del 1884 e, quindi, dal lugliodel1888 al novembre del 1896 (vds. A.D.- doc. n. 1), una parentesi interessante ècostituita dal periodo in cui venne chia-mato a svolgere l’incarico di ufficialed’ordinanza del principe Eugenio di Sa-voia-Carignano, un personaggio inverotrascurato dalla storiografia, nonostanteil ruolo di primo piano svolto durantetutte le campagne risorgimentali (17).La permanenza presso la Casa militaredel principe (formata da un colonnello edue ufficiali subalterni, uno dell’Esercitoed uno, appunto, della Marina) che abi-tava a Torino, a Palazzo Chiablese (18),risulta particolarmente gradita al Revel,sia per motivi personali (ritorno dopomolti anni nella sua città anche se dapoco, purtroppo, è scomparsa la madre),sia per motivi d’ordine più generale inquanto la piccola corte del principe Euge-nio costituisce un osservatorio interes-sante che gli consente di riallacciare, conmaggiore intensità, quelle relazioni so-ciali di famiglia che, nonostante tutto,erano sempre rimaste attive nel ristrettoambiente della nobiltà subalpina, la cuidifferenza da quella romana, come erasolito ripetere, consisteva nel fatto che«la prima aveva sempre dato, la secondaaveva sempre preso!». Inoltre il principeEugenio, come ricorda Revel in numerosetestimonianze del suo archivio, quasiesclusivamente di carattere personale eprivato nel senso letterale del termine,era una persona simpatica e di spirito chetutte le sere, dopo il pranzo, aveva l’abi-tudine di riunire i propri ufficiali, raccon-tando e commentando fatti e aneddoti

della sua vita e di quella di personaggi diprimo piano che, al di là di ogni carattereufficiale, il Principe aveva conosciutoanche nei loro atteggiamenti privati. Traqueste testimonianze di vita vissuta adesempio, il Principe raccontò di una voltain cui aveva venduto a Vittorio Emanueleun cavallo che zoppicava. Quando il Re sene era accorto e aveva cercato ripetuta-mente di manifestare le proprie rimo-stranze sul dubbio «affare» che avevaconcluso, il Principe lo aveva più voltemesso a tacere, interrompendolo e cam-biando discorso. E quando la sera stessaVittorio Emanuele riuscì finalmente achiedergli la ragione di quel suo stranocomportamento della mattina, quest’ul-timo gli rispose: «Voestu fe savé a tuti chet’ses stais...», cioè «Ma volevi proprio farsapere a tutti che sei stato uno stupido?».Un’altra volta, al deputato Saracco, uomodella ‘sinistra’ che in una cerimonia pub-blica cercava di nascondere la Croce dicavaliere con il risvolto del proprio man-tello, il Principe, al quale non era sfuggitala manovra in corso, lo apostrofò con laseguente battuta: «Sarac, se i dà tant fa-stidi, ch‘as la gava» (Saracco se le procuratanti fastidi, se la tolga pure!).In un’altra occasione fu lo stesso Revelche stava per cadere in uno degli inno-centi tranelli tesi dal Principe che l’avevamandato, tra il serio e il faceto, dal prin-cipe Amedeo per l’adesione a una inizia-tiva benefica in favore dei reduci dellacampagna nell’Italia meridionale, ben sa-pendo come Amedeo fosse molto ‘spara-gnino’ nell’elargire contributi in denaro. Arimanere sorpreso questa volta però fu lostesso Eugenio, quando il suo ufficialed’ordinanza ritornò con una offerta ina-spettatamente lauta e, date le circostanze,addirittura sorprendente. Sicché cedendoalla curiosità, il Principe chiese a Revelcome era riuscito in un’impresa ritenutaimpossibile. Il suo segreto presto fu rive-lato: «L’ho chiamato Maestà!». Amedeo in-fatti era noto per la sua ‘debolezza’ di

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continuare a fregiarsi del titolo regaledella sua infelice esperienza spagnola,tanto che un giorno lo stesso fratello Um-berto, spazientito, aveva affermato, bru-scamente, che di re in Italia ce n’era unosolo! Ma è soprattutto al periodo tra-scorso al Sud come Luogotenente Gene-rale di S.M. il Re che si riferivano i ricordidel principe, di cui rendeva partecipi isuoi ufficiali. Come quella volta che, a Pa-lermo, preoccupato dell’eccessivo prolife-rare delle ‘camicie rosse’ e sospettandoche si trattasse solo di opportunisti del-l’ultima ora (ce ne sono sempre in ogniepoca!), emise un bando in base al quale,a chi avesse consegnato una camicia‘rossa’, ne sarebbe stata consegnata una‘bianca’ di ottima fattura … ed è inutileaggiungere che il numero delle camicierosse calò drasticamente. Oppure la sto-ria di quel medico burlone che a un gari-baldino che si lamentava di una piaga,diede come panacea un semplice foglio dicarta stampata. E poi, alle proteste delmalcapitato sull’inefficacia del rimedio,candidamente rispose «Ma come! E’ l’Innodi Garibaldi, ha ‘seccato’ tutta la Sicilia,pensavo che ‘seccasse’ anche la suapiaga!» (19).Dopo l’intermezzo trascorso presso laCasa militare del principe Eugenio, il te-nente di vascello Revel inizia su piccoleunità le sue prime esperienze di co-mando. Il rapporto che lega un coman-dante alla propria nave è stato un tempooggetto di una nutrita serie di studi chehanno avuto come oggetto la psicologia el’etica del comando (20), ma forse unadelle migliori definizioni che mette afuoco il complesso rapporto comandante-nave ci viene offerta da Enrico CostantinoMorin, il comandante di Revel nel viaggiodi circumnavigazione della Garibaldi, inuna sede insolita per un’analisi del ge-nere, le aule parlamentari (21):

«No, non basta che un comandante co-nosca perfettamente la sua nave; biso-

gna che si affezioni ad essa; bisogna chel’ami come una persona cara! Non si faniente di bello, niente di buono, niente digrande, né sul mare, né altrove senza lostimolo potente dell’amore, senza ilfuoco sacro dell’entusiasmo!Un comandante deve volere la suanave forte e bella; deve esultare comed’una fortuna sua propria per le qua-lità che scopre in essa; deve adoperarsisenza tregua, non avere requie, fino atanto che non ottiene siano emendatipossibilmente i difetti che vi riscontra.La sua nave deve essere la preoccupa-zione costante dei suoi giorni, il sognodelle sue notti. È necessario che anchein tempo di pace essa sia la sorgentedelle sue soddisfazioni più ambite se sivuole che, qualora la guerra ne porgal’occasione, essa possa convertirsi nellostrumento della sua gloria o diventarela sua tomba nell’abisso del mare!E se avviene che esigenze di serviziostrappino questo comandante alla suanave, egli deve soffrire e rammaricarsiper averla perduta; deve provare con-tinua e potente la nostalgia del mare efra le cure meno gravi, fra gli agi mag-giori di una destinazione a terra, unsentimento acre e pungente deve spin-gerlo a rimpiangere tutto quello che glirammenta la sua vita di bordo: tutto,perfino le notti vegliate nell’ansia inuna posizione pericolosa!».

Tra i numerosi imbarchi e navigazioni in-traprese dal nostro personaggio nel pe-riodo compreso tra la fine degli anniOttanta e i primi anni Novanta, occupa unposto di rilievo la campagna del brigan-tino Palinuro (febbraio 1894 - maggio1895), un due-alberi a vele quadre di 583t (di 47,16 m di lunghezza e 7,63 di lar-ghezza), adibito a nave scuola, di cui pos-siamo seguire puntualmente le vicendeattraverso il relativo «diario di bordo» con-servato sempre nell’archivio di famiglia. Una destinazione invero particolar-

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mente gradita a Revel in quanto, anchese la R. Marina negli anni precedenti siera posta alla testa del progresso tecno-logico navale, tuttavia «la poesia dellavela» non si era mai spenta.Anzi nel diario di bordo possiamo chia-ramente cogliere una doppia soddisfa-zione: quella di comandare un’unità avela, per i motivi accennati e, nel con-tempo, quella di comandare una nave-scuola, che gli avrebbe permesso dimettere a punto le sue qualità di educa-tore.Il 5 maggio, infatti, Revel scrive: «L’istru-zione dei mozzi fu costantemente curata.Fatto ogni rapporto, avendo però più dimira quella pratica che quella teorica eanziché dei maestri di attrezzatura hoprovveduto a forgiare degli uomini dimare. Imperocché eccezionalmente sa-ranno essi chiamati ad attrezzare basti-menti, più frequentemente a governarecon disinvoltura e stare ad agio nelle im-barcazioni e torpediniere, prestarsi in-somma con attitudine a tutti i complessilavori di attrezzatura militare, così sullegrandi corazzate come sul piccolo avviso.Mi sono studiato di formarne il carattereassuefacendoli a manovrare a riva sotto

qualunque intemperia, siaalla luce che al buio, edall’uopo, ho quasi sempretenuto nottetempo tuttele vele aspettando a ser-rarle che il vento l’impo-nesse».La distinzione che Reveldi proposito introduce trateorici e pratici, ci offre lospunto per illustrare unaltro aspetto del suo ca-rattere: la sua ritrosia ascrivere per un pubblicopiù vasto di quello delproprio àmbito familiareo professionale «strictosensu». In questa diffi-denza sopravvive in lui il

distacco aristocratico per il mondo dellapubblicistica, secondo le vecchie tradi-zioni sabaude che risalgono al Des Ge-neys per cui nella scuola di Marina diGenova «i giornali erano severamenteproibiti» e la stampa quotidiana in fondoera ritenuta «una lettura indegna di unmilitare». Sicché pur di facile e di efficacepenna nell’epistolario privato e in seguitonei suoi rapporti e memorie di serviziopreparate per le gerarchie navali e per iresponsabili politici della Marina, con unaprosa brillante e precisa che si distingueper la sua chiarezza (22), si tiene lontanoin genere dal mondo della pubblicistica,nutrendo qualche malcelato sospettoanche per la storiografia contemporanea,nella convinzione che «chi fa la storia nondeve scriverla» e che «la storia in fondo èquella che si scrive e la verità è quella chesi crede», stando sempre attenti perché,come spesso succede, «Un mensogne ré-pété beaucoup de fois devient une verité».Tanto più significativo è perciò sottoli-neare l’unico suo scritto pubblico (natu-ralmente su un argomento attinente alservizio) apparso sulle pagine della Rivi-sta Marittima sotto forma di Lettera alDirettore (23), in cui interviene su di un

«Se il vapore si può stimare, solo la vela si può amare», come scriveva Conrad; ilcomando di un'unità a vela come il brigantino PALINURO (un due-alberi a velequadre) venne inteso da Revel come un'insostituibile scuola marinaresca ai fini del-l'addestramento del personale (archivio Revel).

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profilo tecnico, cioè «sull’olio usato percalmare le onde», riassumendo le rifles-sioni maturate proprio durante la cro-ciera del Palinuro:

Egregio Direttore,in settembre scorso la Rivista Marit-tima pubblicava un pregevole studiodel capitano di lungo corso, signor Sal-vatore Ranieri, raccomandante viva-mente ed illustrante l’impiego dell’olioper calmare le onde, per cui giudiconon inopportuno raccontarle come duevolte nel passato febbraio ne seguissi ilconsiglio, traendone reale vantaggio.Trovandomi con il regio brigantino Pa-linuro al nord della Sicilia e dovendomirecare da Milazzo a Palermo m’imbatteiin venti sempre contrari e fui costrettoa bordeggiare per parecchi giorni con-tro gagliardo ponente tra il gruppo delleLipari ed il golfo di Patti, ed al certo,stante la considerevole corrente ed ilvento sempre scarseggiante presso lacosta, non sarei riuscito a superare quelpasso, se per cambiare di mure avessiognora girato in poppa, perdendo nelgiramento parte o tutto quanto avevoguadagnato sul bordo; per questa ra-gione, a fine di aiutare la prua a mon-tare le onde nel girar per davanti (cosaal Palinuro normalmente malagevoleper la sua leggerezza in avanti), pensaidi quietare alquanto le onde con lo spar-gimento d’olio alla mura di soprav-vento, e ne ottenni buonissimo effetto;poiché i giramenti mai fallivano, fuor-ché una volta, quando il sacchetto fu ri-tirato a bordo per rin novarvi la materiagrassa. Notai, inoltre, in quella circo-stanza co me il costante impiego dell’olioal vento della nave ne diminuisse sensi-bilmente la deriva, di un terzo circa.Adoperai pure l’olio allorché, lasciatoPalermo per Trapani con tempo rotto,dovetti, non appena fuori del golfo, ri-durmi a piccolissima velatura, poi allacappa fortunale da ponente. Con le

mure a sinistra il bastimento stavabene; non parimente con quelle adritta, giacché, non essendo vento emare nella medesima direzione, maquest’ultimo correndo assai grosso damaestro, esso colpiva lo scafo in pienotraverso, minacciando d’irrompere abordo; e ritengo di dovere allo spargi-mento dell’olio, praticato alla mura edall’anca di sopravvento, se ciò non av-venne e se, a malgrado dell’ampissimorollio, certamente di oltre 40°, non ebbia deplorare feriti gravi nell’equipag-gio, né avarie di rilievo al bastimento.I sacchetti adoperati a spargere l’olioerano formati di vec chia tela, con molte-plici fori nel fondo; essi contenevanostoppa abbondantemente imbevuta delliquido, ed erano tenuti penzoloni nell’ac-qua con sagola che ne stringeva il collo.Accadde che a temperatura atmosfe-rica di 6° centig. l’olio si congelasse oper lo meno divenisse così denso danon più scaturire dai piccoli fori; néservì ad ovviare l’inconveniente il me-scolarlo a petrolio. Allora dovetti cam-biare di quando in quando i sacchetti,oppure colare l’olio per i tubi delle la-trine, consumandone al massimo unlitro e mezzo per ora.La speranza che il debole mio esempiopossa animare altri a tentare con mag-giori risultati la prova e contribuire allaconver sione di tanti scettici sull’efficaciadell’olio per sedare le onde fran genti, miha spinto a narrarle l’esperimento dame stesso fattone, e se il mio contributoalla causa invocata è scarso, valgami in-dulgenza il proposito che m’indusse ascriverle queste poche righe.Di lei devotissimo.

PAOLO DI REVEL

Comandante del r. brigantino Palinuro

All’inizio della seconda metà degli anniNovanta, il capitano di corvetta Revelviene chiamato a rivestire l’incarico diaiutante di campo effettivo del re Um-

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Capitolo Secondo - Carriera di un uomo di mare

berto, un’esperienza che si protrarràsino al tragico regicidio del 29 luglio1900, in cui solo per caso non si trovòpresente (essendo infatti di «sottoservi-zio», dalla Villa Reale Monza si era re-cato a Milano). Il legame diretto epersonale con la Corona era quindi statostabilito e sarà destinato a rinsaldarsisempre più, come vedremo, nel corsodegli anni seguenti.Il libro di memorie Alla Corte del Re Um-berto. Diario Segreto, di Paolo Paoluccidelle Roncole (24), aiutante di campo delRe dal 1892 al 1896, ci fa rivivere, giornoper giorno, dall’interno, la vita di cortedel tempo, o meglio di quella che eraconsiderata una delle corti più brillantid’Europa, tra i pettegolezzi del Palazzoe i drammi del Paese e che, ai nostri fini,ci dà materialmente la misura delle in-combenze e dei compiti affidati agli aiu-tanti di campo del Sovrano. Un tale tipodi Diario (che peraltro non era affattopiaciuto alla duchessa Clorinda, per laquale «non avrebbe mai potuto essere

scritto dal padre per la sua concezionequasi mistica della monarchia e per ri-spetto allo stesso Sovrano».Le impressioni private di Revel nel pe-riodo considerato si possono comunqueseguire nelle Lettere al fratello Adriano(25) e, sul filo della memoria, in alcuniepisodi che egli evidentemente era solitoraccontare a casa e che hanno lasciatouna traccia nelle memorie di famiglia (26).Un giorno, per esempio, colui che pas-serà alla storia come il Re Buono si erarecato a visitare un cantiere e gli operaial suo passaggio avevano salutato piut-tosto freddamente (e possiamo facil-mente immaginarne le ragioni in unperiodo di forti tensioni sociali qual eraquello considerato). Finita la visita, il Reaveva fatto distribuire mille lire, sicchéal suo ritorno gli operai lo salutaronocon un entusiasmo ben maggiore e al-lora il Re commentò cinicamente: «Pic-cole mille lire, piccola dimostrazione».Altro episodio è quello relativo ai fastidiche erano stati procurati al Sovrano a se-

Una foto ricordo del corso del 1873 al momento della promozione a capitano di fregata (Revel è il terzo da sinistra inpiedi)(archivio Revel).

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guito della decisione di innalzare la sta-tua di Carlo Alberto a Roma. DapprimaUmberto dovette concedere l’area ido-nea, a fianco del Quirinale, poi si do-vette tacitare il fornitore del bronzo chevenne pagato direttamente dalla cassareale perché aveva minacciato di fareuno scandalo. Infine lo scultore chiesecon insistenza la croce di cavaliere. Fuallora che Umberto esplose escla-mando: «Me lo poteva dire subito! Chebisogno c’era di far venire mio nonno aRoma?». L’aiutante di campo del Re al-l’epoca viveva dall’interno la vita diCorte con tutti i suoi pettegolezzi, pic-coli e grandi. Come la vicenda del neo-arricchito tal Marone che brigava peravere un titolo nobiliare. «Corre voceche V. M. gli darà il titolo di conte».Disse Revel a Umberto. «Perché?»,chiese quest’ultimo, al che Revel semi-serio rispose: «C’è stato il Conte Verde,il Conte Rosso e magari ci sarà pure ilConte ‘Marone’!». O come l’amiciziaparticolare che legava il Sovrano alladuchessa Litta, di cui però la reginaMargherita alla fine, per ragioni d’età,non era più gelosa, limitandosi a dire,ogni volta che Umberto si recava a tro-vare la duchessa nella sua abitazione diPiazza Esquilino, «va dalla nonna»tanto che, dopo il regicidio, la fece chia-mare per consentirle di vedere un’ul-tima volta la salma del Re assassinato.In quel periodo, il comandante Revelera assiduo in molti salotti aristocratici,come quelli delle famiglie Somaglia,Odescalchi e Rudinì, (la marchesa di Ru-dinì era sua cugina) «e sempre vi facevabella figura pur con mezzi modesti,perché ordinatissimo sia nella personache nella sua esigua amministrazione».La madre, contessa Carolina, infatti gliaveva detto spesso: « Je ne vous laissepas une grande fortune, mais je vous aidonnée santé» . Fu proprio in questoperiodo che, ad uno spettacolo al teatroregio di Torino, il marchese Emanuele

Luserna di Rorà presentò a Revel la si-gnorina Irene Martini di Cigala, che di lìa poco ne sarebbe divenuta la sposa,appartenente a una famiglia di saldetradizioni marinaresche. Basti pensareche il prozio d’acquisto era nientemenoche il celebre ammiraglio Carlo Pelliondi Persano, che, negli ultimi anni dellasua vita (era infatti scomparso nel1883), una volta la settimana andava acolazione a casa Cigala. E zio d’Ireneera pure il vice ammiraglio NapoleoneCanevaro il quale, proprio alla fine deglianni Novanta, come presidente del Co-mitato internazionale degli ammiragliche gestiva la crisi cretese e con gli altiincarichi governativi rivestiti (come mi-nistro sia della Marina sia degli AffariEsteri), era all’apice del successo. Colmatrimonio Revel Cigala, lo storico ac-

Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

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Quando il 1° gennaio 1900 Revel venne promosso capi-tano di frega ta, già da quattro anni era aiutan te dicampo effettivo del re Umber to, un'esperienza interes-sante che contribuirà a stabilire dei legami molto strettitra il figlio cadetto di una famiglia da sempre devota aiSavoia e la stessa Corona (archivio Revel).

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quista un’altra fonte do-cumentaria fondamen-tale con le Lettere allamoglie mediante le qualisi può seguire con pro-fondità le successive vi-cende della vita e dellacarriera di Revel, dall’ot-tobre del 1901 sino aivertici della carriera (set-tembre del 1919), men-tre idealmente taleepistolario rappresentala continuazione del pre-cedente filone che ab-biamo già esaminato,cioè le Lettere alla madre(1870-1883) (27).Agli inizi del nuovo secolo il coman-dante Revel, nell’ambito della Marina èsoprattutto noto come brillante mano-vratore nonché come attento e severoeducatore. Già da tempo, come ricordaGuido Milanesi, Revel rappresentava inun certo senso «il polso della Marina».Anzi il suddetto biografo ricorda un in-contro sotto i portici de La Spezia, da-vanti all’allora famoso Caffé Crastan,con l’allora tenente di vascello Revel ece lo descrive così: «di statura non su-periore all’ordinaria, ma che si avvan-taggiava del portamento molto e retto,biondo con la barba a punta e i baffipiuttosto lunghi, dagli occhi franchi,chiari, di una strana forza penetrativa,incapaci di angoli laterali, rapidi esami-natori e giudicatori». In occasione diquell’incontro qualcuno disse al Mila-nesi: «È il comandante Thaon di Revel.Comanda lo Sparviero...» «Questo giàsignificava molto — commenta il Mila-nesi — s’attribuiva giustamente dellaestrema importanza a quegli Uccelli[cioè a quelle torpediniere che porta-vano il nome di uccelli, come il Nibbio,il Falco, l’Avvoltoio e lo Sparviero ap-punto] destinate a compiere gesta su-preme (...) i comandanti degli Uccelli

erano stati scelti tra i migliori per rico-nosciute doti di abilità e deliberato ar-dire. Esserlo era un alto onore e sicurapromozione: definiva l’uomo, il mari-naio ed il militare, al presente e al fu-turo» (28).Brillante manovratore e severo educa-tore: due doti professionali destinate adaffinarsi nel decennio che precede laguerra italo-turca, in cui il nostro per-sonaggio è al comando sia di istituti escuole di istruzione marinara (come laScuola macchinisti di Venezia e l’Acca-demia Navale di Livorno), sia di unità dabattaglia (come la corazzata VittorioEmanuele, appena entrata in servizio).Nelle lettere alla moglie (scritte quasisempre in francese, rare volte in ita-liano e talora in inglese, soprattutto sesi tratta di brevi biglietti) abbiamo dun-que un’immagine circostanziata, pre-cisa, puntuale della vita di un ufficialedi Marina all’inizio del secolo, con i pro-blemi di servizio, e con quelli creatidalla lontananza della famiglia, dall’in-certezza sui movimenti delle navi esulle destinazioni, «quando le navi na-vigavano davvero».«Piove, fa freddo e rinchiuso nella miacabina — scrive Revel in una lettera del

La torpediniera-avviso SPARVIERO (dislocamento 139 t, velocità 23,5 nodi) rappre-senta il primo comando di unità navale affidato a Thaon di Re vel, un comandoprestigioso che si rileva dalla testimonianza di Guido Milanesi riportata nel testo(foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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26 novembre 1901, quando era imbar-cato sulla corazzata Saint Bon — checosa potrei fare di più piacevole, di me-glio che scrivere, chiacchierare un pococon la mia cara, carissima Irenita? Cir-condato dai tuoi ritratti, da quelli dellabambina, di papà e mamma, di quantoho più caro al mondo, mi sento menosolo e parmi assistito in spirito da te eda loro e il mio alloggio mi pare piùsimpatico». E naturalmente alla malin-conia umana si aggiungono i più pres-santi problemi di servizio e di governodel personale: «Ho avuto oggi un po’ dibisticcio con un mio inferiore, il diret-tore di macchina. Egli è più vecchio dime ed io ho usato trattarlo con riguardie deferenza, ma siccome quello chechiedeva non era ragionevole ed egliparlava sobillato da un altro ufficiale,ho un po’ perduto le staffe e, troncandola discussione sul possibile e l’impossi-bile e proibendogli la facoltà di apprez-zare le mie opinioni, l’ho trattatoalquanto duramente. Ne fui un po’ spia-ciuto ma soprattutto verso me stesso,perché se non gli avessi dapprima con-

cesso di discutere sull’opportunitàdelle opinioni mie, non avrei dovutotroncare la sua parola che man manomi mancava di rispetto. Mi convincoognor che il superiore non deve mai ab-dicare ai diritti del maggior grado». Inuna lettera dell’11 marzo 1903, quandoera comandante della Caracciolo, adi-bita a scuola mozzi, Revel ci descriveuna sua giornata all’estero: «Oggi saràuna giornata campale per le visite: abordo prima il console [italiano aMalta], poi l’Ammiraglio inglese con ilComandante in capo della squadra delMediterraneo (una splendida squadra di15 grandi corazzate e numerosi incro-ciatori), che io avevo già conosciutosette anni fa ad Alessandretta, mi ha in-vitato a pranzo ed a teatro domani sera;quindi la visita al Comandante dell’Ar-senale, poi al Governatore che mi ha in-vitato ad assistere alla rivista navaleche si terrà lunedì in onore del Duca diConnaught, che arriva domani dalleIndie; numerose visite anche nel pome-riggio e un ammiraglio inglese mi hachiesto dello zio Napoleone Canevaro

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Il periodo d’imbarco sulla corazzata SAINT BON (1900-1902) costituisce il primo contatto di Revel con una grande unitàmoderna, appena entrata in servizio (archivio Revel).

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pregando di porgergli suoi saluti». Ilgiorno seguente Revel descrive ilpranzo offerto dall’Ammiraglio, che glisembra «pieno di verve e di energia» eche, quando gli ha raccontato la suacarriera, lo ha sorpreso molto per ilfatto che a trentatré anni era già capi-tano di vascello, «voilà des carrières eton peut se soumettre à des sacrificeslorsqu’on a de telles compensations», èil commento di Revel. In una lettera del5 aprile ci descrive un bozzetto di vitadi bordo riguardante la recita della pre-ghiera del marinaio che, precisa Revel,«è un po’ modificata rispetto a quellache monsignor Bonomelli aveva compo-sto per l’incrociatore Garibaldi quandogli fu consegnata la bandiera» (29) e,naturalmente, le lunghe navigazionimediterranee invitano alla riflessione.Leggiamo per esempio in una lettera del22 aprile 1903, che le virtù principalidel marinaio debbono essere la pa-zienza (per attendere che i venti e iltempo ritornino favorevoli), e la previ-denza (per non essere sorpresi impre-parati contro i subitanei cambiamentimeteorologici). Quandosi è fatto tutto ciò che èin nostro potere e nellenostre capacità occorre«rimettersi alla potenzae alla volontà di Colui acui obbediscono i venti ele onde». E naturalmentei riconoscimenti nonmancarono a chi avevaben operato nell’inte-resse del servizio e dellaMarina, come l’elogio delComandante in capodella Squadra, vice am-miraglio Palumbo (indata 17 gennaio 1901)per il modo in cui laSaint Bon si è presentataed ha operato nellaSquadra, e quello del Mi-

nistro della Marina, contrammiraglioCarlo Leone Reynaudi, in data 26 aprile1903, «per il modo promettente con cuila campagna d’istruzione della navescuola Caracciolo è stata iniziata, comepure per la brillante manovra per l’en-trata a vela nel porto di Alessandriasenza pilota». Scrive Vittorio Tur, ilquale da guardiamarina era stato im-barcato sulla Saint Bon che, secondo laricetta di un noto comandante deltempo, «tre cose erano necessarie pertenere in pugno l’equipaggio: abbon-dare nelle licenze, far mangiar bene lagente, essere giusto nei castighi e nellericompense», aggiungendo poi cheforse la più importante componente diun comando di successo non era statamenzionata: «il prestigio sopra i dipen-denti, per valore, virtù, doti militari eprofessionali»; tra queste ultime, «l’abi-lità manovriera aveva fatto sempre unamaggiore impressione sulla gente» (30).Quello che è importante rilevare a que-sto punto è che il comandante Revel(che il 10 marzo 1904 prende i gradi dicapitano di vascello), dopo gli incarichi

L'imbarco come comandante sulla veterana corvetta CARACCIOLO già prota-gonista di un periplo del globo effettuato negli anni 1881-1884 ed ormai prossimaalla radiazione, impiegata come scuola mozzi, permette a Revel di mettere meglioa punto le sue qualità di educatore, già sperimentate con successo sul brigantinoPALINURO (archivio Revel).

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a bordo di navi scuola(ricordiamo il brigantinoPalinuro e la corvetta adelica Caracciolo) e suc-cessivamente, dal 1904al 1907, con il comandodella Scuola Macchinistidi Venezia e dell’Accade-mia Navale di Livorno,svolge un ruolo di primopiano nella formazione enell’istruzione del perso-nale della Marina, quasia tutti i livelli. In partico-lare il comandante GuidoPo, che negli anni del-l’Accademia Navale saràaiutante di bandiera diRevel (dal novembre1905 al novembre 1907),

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Cartolina artistica della Lega Navale italiana dei primi del Novecento, dedicataalla storia delle navi della R. Marina, in cui compare la fregata a vela CARAC-CIOLO (già borbonica Carolina) (Coll. Revel).

Una suggestiva foto ricordo dell'equipaggio della CARACCIOLO (con Revel secondo della seconda fila seduta) in-dirizzata con dedica seriosa al fratello Adriano, a quell'epoca colonnello dell’Esercito (foto Ufficio Storico della MarinaMilitare).

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giustamente metterà inevidenza un tale ruolo:«È facile comprenderequale grande impor-tanza Revel annettessealla educazione moraledegli allievi e come nontralasciasse occasione al-cuna per plasmarne il ca-rattere. Elogi e punizionisingole e collettive, ceri-monie, ricorrenze, tuttooffriva al Comandantel’occasione per parlarealla mente e più ancoraall’animo dei giovani,che educava alla virilescuola del dovere. Biso-gna riconoscere che neiprimi tempi il coman-dante Revel era da tutticonsiderato come unodei comandanti più ri-gidi e severi. La di lui in-flessibilità eraproverbiale in tutta laMarina. Ed infatti nontanto facilmente deflet-teva dagli ordini o dalledisposizioni impartite:tutti però, dai più elevatiin grado agli allievi, con-venivano sull’equanimitàdei suoi atti. Severo e ri-gido prima di tutti conse stesso, egli s’impo-neva con l’esempio (...). Sotto una guidacosì elevata gli effetti non potevano es-sere che ottimi» (31).Durante le destinazioni a terra, non siallontana troppo dalle navi, in quantoimbarca insieme ai suoi allievi nelle an-nuali campagne d’istruzione estiva, as-sumendo personalmente il comandoprima dell’incrociatore-avviso Vespucci,poi dell’ariete-torpediniere Etna, rispet-tivamente nelle crociere estive del 1906e del 1907 (32).

Dell’ultimo periodo della crociera del-l’Etna nell’estate del 1907 (la crociera incui Angelo Iachino, capocorso, era ca-duto in mare lussandosi una spalla!)nell’archivio di famiglia esistono le mi-nute dei rapporti di servizio di carat-tere riservato, da cui si può dedurrecome, nella campagna navale nel Mardel Nord, il Comandante dell’Accade-mia Navale italiana osservi e giudichi gliistituti scolastici britannici di Osbornee Dartmouth, con sei classi di allievi cia-

Una cartolina celebrativa del 25° anniversario della Fondazione dell’AccademiaNavale di Livorno (6-novembre 1906) (archivio Revel).

Giuramento allievi Regia Accademia Navale nel 1907 (archivio Revel).

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scuno. Dopo essersi diffuso ad esami-nare l’ordinamento, scrive:

«Dall’esame dei temi e quesiti per ilpassaggio di classe emerge chiara-mente la praticità dei criteri che reg-gono e servono da guida agliinsegnamenti e con quanta cura que-sti vengano spogliati di ogni pedante-ria o carattere puramente scientifico.Più che sovraccaricare, con pericolo diconfondere, le giovani menti, si ha inmira di munirle di poche e semplicicognizioni facilmente assimilabili, cheservano in seguito di base a maggiorie più profondi studi. Lo spirito e il fi-sico sono oggetto di particolarissimeattenzioni: la bellezza del luogo, gliambienti pieni di luce, gli esercizi gin-nici, le gare sportive, il foot e il cricket-

ball, il lawn-tennis, la caccia allavolpe, la voga ed il bordeggio, lo sva-riatissimo orario giornaliero, il regimedietetico, le quotidiane abluzioni ebagni, i frequenti ritorni alle famiglie,tutto cerca di realizzare il mens sanain corpore sano» (33).

Revel non dimentica le caratteristichedelle navigazioni fatte ed il rispetto delleesercitazioni previste: «Il golfo di Guasco-gna non ismentisce intieramente la suafama: durante due giorni l’Etna non haquiete. Il 26 mattino all’altezza di capoFinisterre, accosto per sud vero, rotta chemi porta vicino a capo Roca. Il 27 conmare lungo ma non vivo poiché miavrebbe impedito l’impiego dei cannonida 192, così bassi sull’acqua, eseguo, acompleto assetto di combattimento, i tiri

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Il comandante Revel durante la sosta a San Pietroburgo nel corso della crociera dell’ETNA nell’estate del 1907 (Revel èil secondo da sinistra preceduto dalI'Addetto Militare italiano, col. Ropolo) (archivio Revel).

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semestrali contro bersaglio alla deriva ilquale, malgrado il forte rollio, risulta col-pito sette volte a distanze variabili fral.500 e 4.500 metri».In una lettera alla moglie dello stessoperiodo (ottobre 1907), prendendospunto dalle vicende di un comune co-noscente, ha l’occasione di fare un’os-servazione che ribadisce quel pigliopragmatico nella trattazione del pro-blema del personale marittimo: «Ho do-vuto riscontrare che in Marina si finisceper tenere troppo poco conto del carat-tere individuale; a che serve infatti lapiù bella intelligenza e l’istruzione piùcompleta se, all’atto pratico, non si è ca-paci di farla valere?» Nelle successivevicende della Grande Guerra avrebbepoi applicato di fatto severamente isuoi criteri di selezione del personale!Il comando di un’unità da battaglia harappresentato da sempre la massimaaspirazione di un ufficiale di Marina,che Thaon di Revel realizza, nel biennio1907-1909, con il comando della Vitto-rio Emanuele, un’unità che di per sé eper il nome stesso che portava, dovevariuscirgli particolarmente gradita. Lanave, una corazzata di 14.192 t armatacon pezzi da 305 e da 203, sarebbe en-trata in squadra nell’agosto del 1908.Perciò, quando Revel imbarca, nel no-vembre del 1907, si trova di fronte al-l’arduo compito di seguirne le ultime epiù delicate fasi dell’allestimento, spin-gendo al massimo e in un certo sensoforzando la mano agli «arsenalotti», tralentezze che gli sembrano incompren-sibili e le solite lungaggini burocratiche,di cui evidentemente si sarebbe ricor-dato quando successivamente, da mini-stro della Marina, avrebbe promosso lariforma degli arsenali. Il comando diun’unità da battaglia appena entrata inservizio, costituisce inoltre il luogoideale d’incontro col Sovrano (che in-fatti era imbarcato quasi subito nel-l’estate del 1908 per seguire dalla

Vittorio Emanuele le manovre estive diquell’anno) e naturalmente con le piùalte gerarchie navali. Nelle lettere allamoglie del periodo considerato, natu-ralmente la Vittorio Emanuele rappre-senta la grande protagonista della vitadi Revel che riferisce alla moglie i piùminuti dettagli, dalle piccole contra-rietà alle grandi soddisfazioni che il co-mando gli procura. A differenza diquanto accaduto sulle unità su cui erastato sino ad allora imbarcato, la suapermanenza a bordo non sarà caratte-rizzata da grandi navigazioni oceanichema dalla normale attività di squadra nelMediterraneo, segnata dolorosamenteda un evento drammatico, il terremotodi Messina (28 dicembre 1908), in cui laMarina italiana intervenne direttamenteper portare soccorso alle popolazionisinistrate, in un primo episodio di pro-tezione civile avant lettre, passato peròquasi inosservato nella storiografia suc-cessiva. Dal 31 dicembre al 2 febbraio,la corazzata Vittorio Emanuele, insiemealle altre unità della squadra, partecipòattivamente alle operazioni di soccorsotra Messina, Reggio Calabria e Villa SanGiovanni (i marinai della Vittorio Ema-nuele furono particolarmente attivi neisoccorsi a Villa San Giovanni e Canni-tello, spazzate via — balayées diceRevel — dal mare). Nelle lettere del pe-riodo considerato possiamo rilevare losbigottimento dell’uomo di fronte al-l’immane tragedia («sono stato a vedereda vicino la città di Messina, o meglioquella che era un tempo la città di Mes-sina perché ora «c’est toute une ruine»).Ed in merito mi sembra interessanteproporre all’attenzione del lettore unatestimonianza di un altro protagonista,sia pur indiretto, dei fatti in parola, cioèil capitano di porto Epicarmo Corbino,futuro economista e uomo politico delsecondo dopoguerra che, nelle sue me-morie (34), dice di ricordare «con ter-rore la lunghissima scossa avvertita

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sino ad Augusta [sua città natale], l’im-provviso scappare di casa, il trambustoche ne seguì, lo spavento per le atteserepliche», l’ansia per le notizie chegiungevano sulla terribile situazione diMessina dove il fratello maggiore, OrsoMario (35), si era salvato per puro caso.In queste drammatiche circostanze i So-vrani, imbarcati sulla Vittorio Emanuele,direttamente e personalmente assiste-vano alle operazioni di soccorso e perla prima volta si mostrarono a Thaon diRevel in tutta la loro semplicità umana.«Il Re è così semplice che mi ha detto— scrive Revel il 21 maggio 1909 — cheper lui un materasso per terra sarebbestato sufficiente (...) la Regina è statacon me di una naturalezza incantevole(...) tutti e due sono stati veramente am-mirabili». Quando il Re lo loda per lasua grande abilità professionale e orga-nizzativa, con la consueta modestia sischermisce con la moglie «je n’ai fait

rien d’extraordinaire». All’imbarco sullaVittorio Emanuele sono legati altri duericordi in circostanze meno spiacevoli;l’ingresso della corazzata nel porto diBrindisi, che si reputava allora inadattoalle grandi navi, e l’incontro con il kai-ser Guglielmo II, che in realtà aveva giàavuto occasione di conoscere durante lemanovre in Germania a Hamburg nelsettembre del 1896, al seguito del reUmberto e della regina Margherita. Cir-costanza nella quale, nelle corrispon-denze familiari, con orgoglio ricordavacome la Regina Margherita, «allevataper essere sovrana» e nominata perl’occasione Colonnello di un Reggi-mento degli Ussari, si era mostrata digran lunga superiore alla stessa impe-ratrice, tanto che, scrive Revel in caudavenenum «a coté d’elle, l’Imperatricesemblait une cuisinière».Infatti proprio sulla Vittorio Emanuele il12 maggio 1909 avvenne l’incontro tra

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Nel periodo di comando sulla modernissima corazzata a torri VITTORIO EMANUELE (novembre 1907-novembre 1909)gliepisodi degni di rilievo si riferiscono all’azione di soccorso prestata in occasione del terremoto di Messina ed all’incontroa Brindisi tra i Sovrani italiani con il kaiser Gugliel mo, ollre naturalmente ad un’intensa attività addestrativa (archivio Revel).

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i Sovrani d’Italia e quelli tedeschi in cro-ciera nel Mediterraneo con il loro yacht,incontro che purtroppo nella primamattinata venne funestato dallo scon-tro tra il caccia Nembo e lo yacht impe-riale Hohenzollern. Un cattivo auspicioper le sorti imminenti della Triplice e,come ben si sa, i marinai sono sempremolto superstiziosi! Ma per fortunal’Imperatore, che aveva seguito attenta-mente l’avvicinamento e le manovredella squadriglia di caccia venutagli in-contro per scortarlo a Brindisi, nonebbe difficoltà a riconoscere che lacolpa era stata della sua nave. Il pro-gramma della giornata fu il seguente:colazione a bordo della Vittorio Ema-nuele, ricevimento sul panfilo imperialee visita al castello medioevale di Brin-disi. Nella lettera del 13 maggio, Revelsintetizza così le proprie impressioni:«Non ho mai visto un atteggiamentocosì scontroso da parte dell’Imperatoreed un atteggiamento del tipo “je m’enfiche” da parte del Re; non hanno af-fatto i caratteri compatibili per lo stareinsieme; entrambi sono “trop fiers” per

tollerarsi reciprocamente». Due giornidopo, il mattino del 14 maggio, la Vitto-rio Emanuele «senza ausilio dei rimor-chiatori e senza stendere una cima, conmagnifica ed ardita manovra attraversail canale Pigonati, entra nel seno di le-vante e vi si ormeggia tra l’ammirazionedella folla che estatica gremiva le ban-chine e non poteva credere ai suoiocchi». Con la sua manovra, Revel avevaper sempre sfatato la leggenda che ilporto interno di Brindisi non fosse uti-lizzabile per scopi bellici. Nella letteradel 18 maggio, compiaciuto, raccontal’entusiasmo delle autorità locali (nellaseduta straordinaria del Consiglio co-munale con la votazione di un indirizzodi plauso al Comandante della primacorazzata italiana che era entrata nelporto interno di Brindisi) e le festosemanifestazioni della popolazione. Sem-pre schernendosi, secondo il suo carat-tere che ormai abbiamo imparato aconoscere, Revel scriverà: «Il n ‘y a eurien de spécial en entrant dans le port,si ce n’est qu’aucun navire de ma gran-deur n’avait osé le faire».

Un’altra immagine della R. Nave VITTORIO EMANUELE facente parte di un gruppo di quattro unità corazzate veloci congrande autonomia (VITTORIO EMANUELE, REGINA ELENA, ROMA, NAPOLI) veloci concepite nel quadro dei compiti devolutidalla Triplice Alleanza alla Marina italiana, per contrastare il dominio navale dei probabili avversari, con veloci incursionicontro le loro linee di traffico (archivio Revel).

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Al comando e alle grandi soddisfazioniche esso gli aveva indubbiamente pro-curato segue per Revel un periodo noncerto facile con la prospettiva di una si-stemazione quasi definitiva a Roma chestenta però a concretarsi (sebbene ilCapo di Stato Maggiore della Marina deltempo, il vice ammiraglio Bettòlo — ilprimo capo di Stato Maggiore della sto-ria della Marina — gli aveva detto in ma-niera sibillina: «allora resta inteso chepreferibilmente verresti a Roma»). Nel1910 troviamo Revel in giro tra La Spe-zia, Livorno e Napoli, come presidentedi una commissione ministeriale per ilriordinamento degli studi negli istitutid’istruzione della R. Marina, alla qualesi deve la riforma degli studi dell’Acca-demia Navale varata l’anno successivo(con il passaggio dal corso triennaledell’ordinamento del 1884 a quello qua-driennale, e con l’abbassamento dei ti-toli di ammissione al concorso, dallalicenza liceale o dell’Istituto tecnico aquella tecnica o del ginnasio inferiore).Da questo stato di impasse in cui, nono-stante la rapida scalata ai vertici dellagerarchia (il 16 gennaio 1910 viene no-minato contrammiraglio), non riesce atrovare una collocazione stabile nell’or-ganigramma dello Stato Maggiore deltempo, con i suoi equilibri interni con-solidati dalla lunga guida di Bettòlo(1907-1911), lo trae il Sovrano con lanomina ad aiutante effettivo di campo,un gesto significativo che avrà peraltrouna durata limitata (solo otto mesi) acausa della guerra italo-turca, in cui ladestinazione ideale dell’ufficiale di ma-rina è a bordo delle navi da guerra.A distanza di undici anni dal suo prece-dente analogo incarico alla corte di Um-berto, Thaon di Revel non ha difficoltàa riconoscere il nuovo clima instaura-tosi al Quirinale con Vittorio Emanuele«che si comporta come un impiegatomodello recandovisi ogni mattina dallapropria residenza privata di Villa Savoia

e uscendone sempre alla stessa ora». Iricevimenti sono concessi solo a mini-stri e generali «accordando a ciascunoudienze di venti minuti e raccoman-dando relazioni succinte e chiare» (36).Nel contempo Revel ha occasione disperimentare la vasta cultura del So-vrano, la sua portentosa memoria, leimbarazzanti domande che era solito ri-volgere agli interlocutori «nonché la pa-terna bonarietà con cui, all’occorrenza,traeva d’impaccio l’interpellato». Nelfondo archivistico dell’ufficio del primoaiutante di campo del Re, nel periodoconsiderato, possiamo avere un’ideaesatta delle personalità in visita al So-vrano (37) e, soprattutto, ci possiamo

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Con la promozione al Contrammira glio (16 aprile 1910)e la nomina ad aiutante di campo di Vittorio EmanueleIII si offre a Revel l'opportunità di rinsaldare definitiva-mente i legami con la Corona (archivio Revel).

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rendere conto dei legami profondi cheVittorio Emanuele intrattiene con la Ma-rina. Non solo con i personaggi del po-tere navale del tempo (Bettòlo,Leonardi-Cattolica), ma anche coi Capinavali emergenti (Faravelli, Aubry,Amero d’Aste, Millo) (38) e con i sem-plici gregari, ufficiali superiori e subal-terni, impegnati in delicate missioniall’estero. Le Consegne per gli addettinavali, la cui edizione definitiva saràpromulgata proprio da Revel Capo diStato maggiore nel marzo del 1914, pre-vedevano infatti che «prima di raggiun-gere la loro destinazione o al termine diessa o rientrando occasionalmente inItalia, gli addetti navali chiederannosempre a S.E. il Capo di Stato maggioredella Marina di essere ricevuti inudienza da S.M. il Re». Era il modo peril Sovrano di avere il polso della situa-zione internazionale, muovendosi di-scretamente, per linee interne,attraverso tutta una serie di approcci e

contatti personali con militari e diplo-matici, in quella che gli storici hannochiamato la «conduzione regia della di-plomazia» (39). In una lettera dell’11agosto 1911 Revel ci racconta una dellesue giornate campali al seguito del So-vrano: arrivo in treno alla Spezia per ilvaro della corazzata Cavour, colazionesulla corazzata Re Umberto, visita allaDante Alighieri in allestimento ed aglistabilimenti Vickers-Ansaldo. Trasferi-mento in autovettura a Racconigi per ri-cevere un’ambasceria persiana ed unastatunitense. In un’altra lettera dellostesso periodo, ci descrive una giornatadel Re a Torino: visita alle installazionimilitari e all’Esposizione permanentedelle Belle Arti, inaugurazione delnuovo edificio delle poste e dello sta-dio, pranzo alla Galerie d’Armes ed in-fine ricevimento alla Filarmonica.Un osservatorio interessante, cheavrebbe permesso a Revel di seguire davicino lo sviluppo della Nazione nelle

Vittorio Emanuele e la Regina Elena alla cerimonia del varo della R. Nave CONTE DI CAVOUR, con Revel che li precededa sinistra (archivio Revel).

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sue diverse articolazioni e di allacciarequelle relazioni con le personalità poli-tiche e militari straniere che gli sareb-bero riuscite molto utili qualche annodopo. Ma la guerra si avvicinava. Nelleconcezioni relative alla condotta strate-gica della guerra navale non si ravvisa-vano quelle profonde lacerazioni chequalche anno dopo caratterizzeranno laguerra in Adriatico contro gli Austriaci,non sussisteva alcuna distinzione tra«falchi» e «colombe» nell’ambito dellaMarina (anzi in questo periodo i rap-porti tra Thaon di Revel, il Duca degliAbruzzi, Cagni e Millo, i suoi futuri an-tagonisti, sono improntati alla più vivacordialità). Semmai si può rilevare unadistinzione netta tra i «falchi» marini,se così vogliamo esprimerci, e le «co-lombe» politiche, timorose dei contrac-colpi internazionali di un’azione troppoenergica della Marina (e la testimo-nianza più eloquente di un tale atteg-

giamento possiamo ritrovarla nelle pa-gine del Diario del deputato FerdinandoMartini, di lì a poco titolare del neo-co-stituito dicastero delle Colonie). Dopoappena qualche giorno di imbarco sullacorazzata Re Umberto (dal 10 al 17 set-tembre 1911), troviamo Revel al co-mando della seconda divisione dellaseconda squadra, formata dagli incro-ciatori corazzati Marco Polo, Varese,Ferruccio e Garibaldi (quest’ultimo,nave ammiraglia).Come al solito, dalle lettere alla moglie,possiamo ricostruire gli aspetti navalidella guerra italo-turca, come li vive ese li rappresenta il contrammiraglioThaon di Revel, a bordo della sua unità.Il 28 settembre ha luogo la dimostra-zione navale davanti a Tripoli; «non soche effetto abbia fatto ai Turchi — è ilsuo commento — ma io ho dovuto fareuna parte che non mi piace affatto, cioèquella di ‘faire le baubau’». Alla dichia-

Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Varo della corazzata monocalibra CONTE DI CAVOUR (Arsenale di La Spezia, 10 agosto 1911)(archivio Revel).

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Capitolo Secondo - Carriera di un uomo di mare

razione del blocco navale delle costedella Tripolitania e della Cirenaica (se-condo le norme della Dichiarazione diParigi del 1856, sottoscritta dal Regnodi Sardegna e quindi dal Regno d’Italiacome suo stato successore), segue l’ul-timatum da parte italiana e, dopo il suorifiuto, il bombardamento dei forti diTripoli. Il Garibaldi, che aveva diretto isuoi tiri contro il forte Hamidié, è laprima nave a entrare in porto. Seguonole operazioni di scorta dei convogli, e intermini critici Revel si pone l’interroga-tivo se l’organizzazione in atto avrebbepotuto essere parimenti efficiente bat-tendosi con avversari più potenti permare dei Turchi, i quali da parte loro,scrive Revel con un pizzico di ironia, «sirien ne survient sont vraiment plus turcsdu vrai». Vengono svolte, inoltre, azionidi polizia della navigazione per repri-mere il contrabbando di guerra da Tri-poli al confine tunisino. Ma Revel

morde il freno, come si suol dire: si la-menta di fronte alle lentezze della con-duzione della campagna (che, secondolui, va a tutto beneficio dell’Impero ot-tomano, il «grande ammalato» di cuitutti aspettano di dividersi le spoglie eche sopravvive grazie ai propri debitiinternazionali), rimanendo quindi scon-certato di fronte alle atrocità delle ope-razioni di controguerriglia in corso. Mal’occasione tanto attesa gli si presentasubito dopo, nel febbraio del 1912, conl’azione contro due unità militari otto-mane individuate a Beirut. Nella lettera del 25 febbraio annunciaalla moglie, semplicemente ma congrande solennità: «Ieri il tuo Paolo haavuto, con l’aiuto di Dio, la buona sortedi battere i Turchi a Beirut», descri-vendo, quindi, analiticamente le variefasi dell’operazione effettuata: la richie-sta di dichiarazione di nazionalità daparte di due unità militari in porto (una

Immagine degli Incrociatori Corazzati appartenenti alla 2a Divisione della 2a Squadra (archivio Revel).

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cannoniera ed una torpediniera), la trat-tativa con i parlamentari turchi,la let-tera d’avvertimento inviata al decanodel locale corpo consolare ed infinel’azione a fuoco, prima da 5 000 metripoi a distanza ravvicinata, l 000 metridall’imboccatura del porto (in dettaglioA.D., doc. n. 2).Alla relazione circostanziata contenutanella lettera, possiamo aggiungere altridue particolari raccontati dall’atten-dente di Revel, il marinaio GiovanniGorziglia, di Pegli, che lo seguì per ottoanni, il quale racconta come la seraprima dell’azione di Beirut, Revelavesse insistito, contro le sue rimo-stranze, a saldare un piccolissimo de-bito di lavanderia che gli era passato dimente con la partenza repentina dellanave per la missione di guerra. L’argo-mentazione di Revel era stata la se-guente: « Prendile ora, se andiamo afondo e ti salvi, ti possono essereutili»(40). Lo stesso Gorziglia raccontacome, al momento in cui il plenipoten-ziario turco stava sbarcando dal Gari-baldi, Revel lo richiamasse per chiederel’ora esatta del suo orologio e sincro-nizzare il proprio: non voleva rischiaredi cominciare il fuoco prima dell’orastabilita!.Una seconda occasione sarebbe stataofferta al Revel da un’azione contro ilnaviglio ottomano concentrato nei Dar-danelli, ma con precise limitazioni ope-rative (evitare qualsiasi attacco controle fortificazioni o contro la costa otto-mana europea). Dal 14 al 30 marzo del1912 infatti nella corrispondenza traRevel e il ministero della Marina si va-luta appunto l’opportunità di eseguireuna tale azione con le difficoltà e i ri-schi che a mano a mano si delineano(come il rafforzamento delle difese co-stiere che ammontavano a 81 cannonidi posizione e numerosi pezzi da cam-pagna a tiro rapido, lo stato di allertadelle unità da guerra che durante la

notte da Nagara si spostavano a Lam-psaki, un possibile insuccesso navaleitaliano con tutte le prevedibili conse-guenze in ambito internazionale, il ca-rattere incerto e talora contraddittoriodelle informazioni in possesso degli ita-liani, l’indispensabilità di una completa«sorpresa» ai fini della riuscita dell’ope-razione). Revel da un lato è perfettamente con-vinto che bisogna spingere a fondol’azione contro gli Ottomani per accele-rare la fine della guerra ed esprime que-ste riflessioni alla moglie in una letteradel 31 marzo 1912:

«Volere, potere e non dovere, ecco lanostra situazione (...) i Turchi non ce-deranno finché non si dimostra loroche si può colpirli duramente; bisogne-rebbe agire tanto in fretta che le Po-tenze non avessero modo diintervenire in tempo. Oh quelleguerre! Quand donc nos politiciens fi-niront de vouloir la diriger?»

Responsabilmente, nel confronto tra irischi da correre e i vantaggi da otte-nere in un’azione bellica (un rapportocosti — efficacia che di lì a poco eleveràa livello di condotta strategica dellaguerra) il nostro personaggio preferiràrinunciare a un’azione che, a suo av-viso, non offre garanzie di sicura riu-scita ed espone a troppi pericoli le unitàai suoi ordini. Ma «ogni cosa lasciata èpersa»: qualche mese dopo, il 18 e 19luglio dello stesso anno, sia pur conobiettivi ben più limitati, l’impresa saràtentata con successo da Enrico Millo(41). Revel all’inizio resterà invero unpo’ perplesso; poi, quando l’amico Millogli racconterà a voce l’azione e la suacondotta, cavallerescamente non esi-terà a definire il raid dei Dardanelli«fort intéressante et d’un charme trèsgrande», come leggiamo nella letteraalla moglie del 30 settembre dello

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Capitolo Secondo - Carriera di un uomo di mare

stesso anno. E precedentemente, inun’altra lettera del 21 luglio aveva am-messo, non senza un certo rammarico:«Millo ha fatto quello che avrei dovutofare io quattro mesi fa; sebbene la suaazione non sia riuscita completamente(è arrivato a 4/5 del cammino da fare)tuttavia ha dato prova quanto meno diaver ben diretto e preparato le torpedi-niere, di grande abilità di marinaio e diardimento». Ma la guerra a mano amano per Revel si allontana. Dalla finedi aprile del 1912 il Garibaldi stazionain acque nazionali (Taranto, Pozzuoli,Napoli e ancora Taranto) e solo in ago-sto ritorna nel Mediterraneo orientaleper le solite operazioni di polizia. «Chefaremo? — si interroga in una letteradel 6 settembre 1912 — Continueremoa guardarci da un eventuale attacco deiTurchi senza poter andare a cercarli edovremo fare la sentinella davanti allaloro porta di casa, i Dardanelli, per sa-pere quando essi si decideranno auscire». In ottobre lascia il Garibaldi,che si dirige ai lavori e imbarca sul Vet-tor Pisani nel suo nuovo incarico diIspettore delle siluranti, destinato a du-

rare solo pochi mesi (dall’ottobre del1912 al marzo del 1913), anche se i suoibiografi ne esaltano, pur in tale breveperiodo, la «dinamica attività» e il«forte ascendente» sul personale. Allafine di marzo la grande occasione; lanomina a capo di Stato Maggiore dellaMarina, come successore del vice ammi-raglio Carlo Rocca Rey, esonerato dallacarica e collocato in disponibilità. NarraGuido Po (42) che, all’atto della propo-sta di nomina, Revel «ringraziava il Mi-nistro, che era il suo parigrado PasqualeLeonardi Cattolica, per la lusinghiera fi-ducia facendo però doverosamente pre-sente che egli riteneva più di luiindicato all’alta carica un altro ufficialeammiraglio che lo precedeva nel quadrod’anzianità». Per sé chiedeva di esserelasciato nell’incarico che al momento ri-copriva, «ma il Ministro, pur apprez-zando la generosa rinuncia a favore delcollega, diede corso alla nomina diThaon di Revel alla carica di capo diStato Maggiore». Dopo quarant’anni di carriera, all’età di54 anni, Revel era giunto così ai verticidella gerarchia navale!

NOTE(16) Al riguardo i miei scritti, «Marina e Diplomazia» in Affari Sociali Internazionali , n.1/200 e «Marina e Di-

plomazia in Italia dall’unificazione nazionale alla Grande Guerra» in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico M.M.,dicembre 2004.

(17) In merito «Viaggio della R . fregata Garibaldi» in Rivista Marittima, fasc. maggio 1880 e luglio-agosto 1882,e F. Santini, medico di bordo, Intorno al mondo con la Garibaldi (anni 1879-1882), Tip. Fontana, Venezia 1884.

(18) Eugenio di Savoia - Carignano (1816-1888), dichiarato principe di sangue dal cugino Re Carlo Alberto nel1834, dopo aver riconosciuto il matrimonio morganatico dei suoi genitori, seguì, in maniera alternata, due carriere,nell’esercito e nella marina. Allievo nella Regia Scuola Militare di Marina di Genova, all’età di 15 anni conseguì lanomina a Guardiamarina e dopo solo tre anni fu promosso Luogotenente di Vascello. Il 17 maggio 1834 transitò,nel grado di Capitano, nel «Novara Cavalleria» dove operò fino alla promozione a Colonnello. Nel 1840 rientrò inMarina con il grado di Capitano di Vascello e due anni dopo, nel 1842, conseguì la promozione a Contrammiraglio.Nel 1844 fu nominato Luogotenente Generale e Comandante Generale della Real Marina sarda, dimettendosi dallacarica nel 1851 nel grado onorario di ‘Grande Ammiraglio’. Luogotenente Generale del Regno in tutte le campagnerisorgimentali dal 1848 al 1866, MOVM (Gaeta, 1861). Per gli approfondimenti del caso cfr. Mauro Ferranti, Eugeniodi Savoia - Carignano - Un artefice dei Risorgimento ltaliano, Umberto Soletti Editore, Baldissero D’Alba (Cn), 2013(recensione in http://monarchicinrete.blogspot.it/2013/10/eugenio-di-savoia-carignano-un-artefice.html).

(19) Archivio Centrale dello Stato (indicato d’ora innanzi con ACS), Real Casa, Ufficio del 1° Aiutante di campodel re, Affari generali, Casa militare effettiva ed onoraria dei Reali Principi, pos. XII.

(20) CTR, fasc. «Mio padre», pp. 13-19.

(21) Mi riferisco, in particolare, agli studi ormai classici di Giuseppe Fioravanzo come Arte del Comando. Ri-flessioni (Livorno 1950) e «Etica del comando» (in Rivista Marittima, aprile e giugno 1939).

(22) Esattamente alla Camera, nella tornata del 19 giugno 1890. Chi rileva, opportunamente, l’importanza del-l’intervento è Vittorio Tur in Plancia Ammiraglio, Ed. Moderne, Roma 1960, vol. 2, pag. 157.

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Supplemento alla Rivista Marittima

(23) Anche se talora sarà vittima, proprio a causa della sua chiarezza, del cosiddetto paradosso di Montesquieu,secondo cui «quando si dicono delle cose veramente chiare, è proprio allora che si persuade di meno!».

(24) Fasc. giugno 1894. È significativo che il fratellastro maggiore, conte Ignazio, maestro delle Cerimonie diCorte, in una lettera a Paolo in data 29 agosto 1898, sostanzialmente esprima lo stesso punto di vista: «Io non di-vido l’opinione di quelli che scrivono opere per meglio discutere su certi argomenti, anche quando vi sia esagerazioneperché è patriottico richiamare l’attenzione del Governo sulle cosiddette piaghe del nostro esercito». La lettera inparola si trova in Lettere al fratello Adriano CTR, b. 3 (anni 1891-1898).

(25) Rusconi, Milano 1986 (a cura di Giorgio Calcagno).

(26) In particolare busta 3 (relativa agli anni 1891-’98). Le lettere al fratello Adriano constano di quattro buste,relative rispettivamente agli anni 1880-’85, 1886-1890, 1891-1898 e 1911-1919. Ricordiamo che Adriano, gemellodi Vittorio ed ufficiale dell’Esercito (maggior generale nel 1911, andò in posizione ausiliaria nel 1914 e nel 1923assunse il grado di generale di divisione), nel 1900 divenne aiutante di campo del Conte di Torino. Nel periodoconsiderato, Paolo scrive una lettera, in data 11 marzo 1896, all’indomani della sconfitta di Adua, in cui, eviden-temente riflettendo gli umori della Corte, difende dai caustici attacchi della stampa la figura di Baldissera, affer-mando che «tutti gli ufficiali che lo conobbero all’opera a Massaua ne tessero sempre l’elogio, mentre son cinquee più anni che giornalisti, politici e visionari di civiltà africana, chiedevano la testa di Baldissera a poco prezzo».

(27) CTR, fasc. «Mio padre», pp. 37-41.

(28) Le Lettere alla moglie, che costituiscono il terzo filone dell’epistolario di Paolo Thaon di Revel, sono raccoltenei seguenti quattro volumi: vol. I (1901-1904), vol. II (1905-1908), vol. III (1909-1911) e vol. IV (1913-1919).

(29) Paolo Thaon di Revel Duca del Mare, Zucchi, Milano 1937, p. 28.

(30) La preghiera del marinaio che riporta Revel nella citata lettera alla moglie, è la seguente: «A te, o grandeeterno Iddio, Signore del cielo e dell’abisso, cui obbediscono i venti e le onde, noi uomini di mare e di guerra, Ufficialie Marinai d’Italia, da questa sacra nave armata dalla Patria, leviamo i cuori. Benedici, o Signore, le nostre case lon-tane, le care genti; benedici nella cadente notte il riposo del popolo, benedici noi che per esso vegliamo in armi sulMare! Benedici». Una testimonianza da tener presente nell’evoluzione del testo stesso della preghiera del marinaio,la cui migliore ricostruzione storica è dovuta alla penna di Gino Galuppini (La preghiera del marinaio, Ufficio Sto-rico della Marina, Roma 1987).

(31) Cfr. Plancia Ammiraglio cit., vol. l, p. 76.

(32) Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Lattes, Torino 1936, pp. 22-23.

(33) Le tappe delle due crociere estive furono le seguenti: Livorno - La Spezia - Genova - S. Margherita Ligure -Spotorno - Vado - La Spezia - Livorno - Queenstown - Dublino-Bangor - Tobermory - Cristiania - Copenaghen - Leith- Newcastle on Tyne - Portland - Livorno, per la Vespucci. Quindi Livorno - La Spezia - Gibilterra - Tangeri - Stoc-kholm - Kronstadt - San Pietroburgo - Stettino - Swinemünde - Stettino - Copenaghen - Kiel - Amburgo - Gravesend- Portsmouth - Dartmouth - Tangeri - La Spezia - Livorno, per l’ Etna. Sulla vita e l’ordinamento dell’Accademia Na-vale nel periodo considerato, rimangono fondamentali i testi di A. Santini, Livorno Ammiraglia. Cento anni di Ac-cademia Navale (Belforte, Livorno 1981) e G. Galuppini, L’Accademia Navale (1881-1981), Ufficio Storico dellaMarina, Roma 1981.

(34) In un rapporto datato 21 ottobre 1907 Revel annota: «percorse 7 600 miglia, visitate dieci importanti città deimari del nord di caratteri differenti, ma tutti indicatissimi per l’educazione e l’istruzione degli aspiranti e degli allievi,ai quali sempre e dovunque furono agevolate le occasioni di vedere, osservare e imparare». Da sottolineare la distin-zione tradizionale tra «istruzione» ed «educazione», cioè tra «educazione intellettuale» ed «educazione morale» cheproprio nel periodo considerato era al centro della speculazione del filosofo Giovanni Gentile. A Revel di Gentile sa-rebbe molto piaciuta la teoria della didattica tuffata nella prassi, che «non si scrive, ma si fa ,in quanto atto vivo».

(35) Ricordo di una vita, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1972, pp. 39-40.

(36) Personaggio quasi dimenticato ma di notevole rilievo nella storia scientifica e politica del Paese, fu ordi-nario di fisica sperimentale all’Università di Roma e fondatore della celebre scuola di via Panisperna, rivestendoinoltre le cariche di ministro dell’Educazione Nazionale e dell’Economia Nazionale.

(37) Sull’atmosfera e sulle differenze tra la Corte di Umberto e quella di Vittorio Emanuele, cfr. Romano Bra-calini, La Regina Margherita, Rizzoli, Milano 1985.

(38) ACS, Real Casa, Ufficio del 1° Aiutante di campo del Re, Udienze di S.M. il re, pandetta degli anni 1910-1914, vol. I.

(39) Sull’argomento i miei scritti «La figura dell’addetto navale nell’Italia liberale» in Storia delle relazioni in-ternazionali, fasc. II-1987 e «Marina e Diplomazia: la figura dell’addetto navale» in Atti del Convegno sullo studiodella storia navale nell’Italia di oggi, Accademia Navale, Livorno 2006.

(40) CTR, fasc. «Mio padre», pp. 5-6.

(41) Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare(citato d’ora innanzi AUSMM), Documentazione storica,(1912) c. 235. Circa il rapporto di Thaon di Revel sull’operazione di bombardamento dei forti dei Dardanelli, c.231/1 (rapporti della R. Nave Garibaldi). Per un inquadramento generale, Mariano Gabriele, La Marina nella guerraitalo-turca (1911-1912), Roma, USMM, 1998.

(42) Op. cit., pp. 44-45.

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Capitolo Secondo - Carriera di un uomo di mare

Vita di Bordo - Marinai al lavaggio(archivio Revel).

Vita di Bordo - Esercizi di ginnastica(archivio Revel).

Vita di Bordo - Il Bagno dell’equi-paggio a bordo della R.N. SARDEGNA (archivio Revel).

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Vita di Bordo - Il Comandante salea bordo (archivio Revel).

Vita di Bordo - Ricezione segnali abandiere (archivio Revel).

Vita di Bordo - Saluto alla voce (archivio Revel).

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1. Verso la Guerra

La nostra indagine, che sinora si è quasiesclusivamente incentrata nel mondo fa-miliare e privato di Paolo Thaon di Revel,con la sua nomina a capo di Stato Mag-giore della Marina, vede ampliarsi i pro-pri orizzonti ed è quindi portata adesaminare, in una prospettiva di piùlarga portata, la valenza politica e mili-tare dell’azione svolta in tale incarico dal1913 al 1915 e poi dal 1917 al 1919. Alperiodo intermedio, cioè dall’ottobre del‘15 al febbraio del ‘17, in cui ritroviamoil vice ammiraglio Thaon di Revel comecombattente «di prima linea», cioè comecomandante del Dipartimento e dellapiazza marittima di Venezia, sarà dedi-cato un apposito paragrafo incentratosul rapporto speciale con il poeta-sol-dato Gabriele d’Annunzio. A questopunto però il biografo non deve cederealla tentazione di riscrivere la «Storiadella Marina» nel periodo considerato,così ricco di fatti (anche se in un certosenso la indiscussa leadership esercitatada Revel porterebbe a sovrapporremolto spesso la sua immagine e la suaazione a quelle della Marina stessa), madeve limitarsi a porre in risalto il ruolodiretto e personale svolto dal Capo diStato Maggiore nella fitta trama deglieventi navali del tempo , che si susse-guono a ritmo incalzante e che, soprat-tutto per comodità metodologica, sipossono sostanzialmente suddividere in

tre momenti essenziali: la politica dellecostruzioni navali attuata sino alla vigi-lia della Grande Guerra, il ruolo dellaMarina italiana nelle relazioni interna-zionali tra Triplice Alleanza e Intesa e,infine, la condotta strategica dellaguerra navale in Adriatico e nel resto delMediterraneo.E se è vero che «la cronologia dev’esserela guida della storia - come ammonivaChurchill nelle sue Memorie (43), dall’al-tra parte è pur vero che - quando i singoliavvenimenti di questa si svolgono con-temporanei, ma distinti, è necessario se-guirne il filo esaminandoli uno alla volta,salvo a intercalare tra loro le narrazionia mano a mano che uno di essi si imponesugli altri in maniera particolare».Dopo il decennio di ristagno dei bilancinavali, tipico degli anni Novanta delloscorso secolo, sia pur in termini di mas-sima generalizzazione, il programma dicostruzioni navali attuato dai ministriMorin e Mirabello si può rappresentareimperniato su di un ritmo ternario cosìconcepito: «Ogni tre anni impostare treunità da battaglia del tipo più moderno;vararle nell’anno successivo ed infine farleentrare in squadra contemporaneamente,procedendo per divisioni ternarie», in ma-niera da diminare poco per volta quelloche era stato il «vizio assurdo» della flottaitaliana del tempo: la mancanza di omo-geneità con la conservazione di naviormai completamente superate. A titoloesemplificativo, si ricorda che alle eserci-

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CAPITOLO TERZO

GRANDE GUERRA E POLITICA NAVALE

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tazioni navali del 1905, quando le coraz-zate Vittorio Emanuele e Regina Elenaerano state appena varate, partecipavanounità da tempo scomparse nelle altre Ma-rine, come la Lepanto, la Dandolo e la Mo-rosini (in servizio rispettivamente dal1887, 1882 e 1889).Il programma navale varato agli inizi delsecolo parlava invece chiaro: tre naviogni tre anni e del tipo più moderno, inmaniera da avere costantemente unaflotta omogenea e moderna, due requi-siti ritenuti indispensabili (44).Naturalmente a un tale programma na-vale organico e lungimirante si oppo-neva, come in passato, l’endemicalentezza delle costruzioni (45), per cuiunità che al momento della progetta-zione si potevano considerare all’avan-guardia della tecnologia navale, sitrovavano ad essere di fatto superatequando finalmente entravano a far partedella squadra. La guerra libica, inoltre,se da un lato aveva permesso alla Marinaitaliana di svolgere un ruolo di impor-tanza primaria dall’epoca di Lissa, dal-l’altro lato, in termini politico-strategici,aveva accresciuto le «servitù navali» ita-liane nel Mediterraneo. Sotto un profiloprettamente tecnico poi la guerra, oltrea logorare il materiale per l’uso prolun-gato e continuativo, aveva rivelato la in-sufficienza ed i difetti delnaviglio leggero e silu-rante (46). Peraltro, intermini operativi, non ve-niva correttamente ap-prezzata né l’importanzadell’aviazione navale, no-nostante l’impegno per-sonale di molti ufficiali.Come il STV Calderara,autore del progetto“adattamento di un aero-plano tipo Wright a scopinavali” e primo brevettodi volo in Italia nel 1910,dopo le sue esperienze di

volo a Centocelle e nel circuito di Bre-scia, dove ebbe come passeggero un en-tusiasta Gabriele d’Annunzio, che netrasfondeva le esperienze nel romanzoForse che sì, forse che no, i cui protago-nisti sono due ufficiali di marina (47). Esarà proprio Revel il 27 giugno 1913 aistituire il Servizio aeronautico della R.Marina! Il seguente 25 agosto venne fon-data la R. Scuola di aviazione e, nel con-tempo, provvedendo nel contempo allaseparazione tra le componenti aeree del-l’Esercito e della Marina (che durante laguerra coopereranno comunque in ma-niera sempre brillante) e all’istituzionedel “Quadro del naviglio aereo”, dove leaeronavi vennero iscritte in uno specialeelenco equiparato alle navi iscritte nel“Quadro del naviglio di guerra delloStato”. Un evento che è stato solenne-mente celebrato nel suo primo ‘Centena-rio’ a Maristaer Grottaglie il 28-29giugno 2013 (48). Parimenti venivanosottovalutate le potenzialità dell’armasubacquea ai fini della lotta al trafficomercantile (tutt’al più considerata utileper la difesa costiera). Perplessità che non erano peculiari dellasola Marina italiana. Infatti, quando nel1913 l’ammiraglio Fisher sottopose alleautorità navali britanniche il suo celebrememoriale circa «l’uso più probabile e

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Cerimonia a Maristaer Grottaglie del Centenario dell’Aviazione Navale (fonteSMM-UPICOM).

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verosimile che i Tedeschi avrebberofatto (dei sommergibili) contro il navi-glio mercantile», nessuno, neancheChurchill, allora Primo Lord dell’Ammi-ragliato, gli prestò attenzione per il fattoche «la coscienza di ogni marinaio si ri-bellava davanti al solo pensiero di unatale enormità» (49).In questo contesto generale che abbiamotratteggiato a grandi linee, si inseriscel’azione svolta dal nuovo capo di StatoMaggiore, come ce la siamo rappresentatasulla scorta di numerose testimonianzearchivistiche incrociate (50), basate, al-meno da un punto di vista tecnico, su duecriteri fondamentali che vengono cosìriassunti dallo stesso Revel: «Esaminarela nostra situazione marittima in rela-zione allo sviluppo delle altre Marine me-diterranee; realizzare il massimorendimento bellico dei fondi disponibili».Muovendosi tra la tradizionale diffidenzanavale nei confronti della Francia e tra leprime perplessità nei confronti dellastessa Austria-Ungheria, nonostante gliimpegni triplicisti in vigore (l’alleanza congli austro-tedeschi era stata rinnovata daultimo il 5 dicembre 1912), Revel stabili-sce il criterio per cui l’efficienza relativadella Marina italiana si dovesse mante-

nere nella proporzione di 0,6 a 1 nei con-fronti di quella francese e di 4 a 3 nei con-fronti di quella austriaca. Tale criterio,espresso per la prima volta nell’agosto del1914, all’inizio della guerra, avrebbeavuto successivamente, nel novembredello stesso anno, una correzione nelsenso che, almeno per quanto riguardavail naviglio silurante e leggero, la propor-zione nei confronti della Marina austriacafosse fissata nel rapporto di 3 a l a favoredella Marina italiana. In termini di costru-zioni navali, qual era dunque il pro-gramma di Revel?Da un lato il Capo di Stato Maggiore vuoleseguire la linea politica dei suoi predeces-sori, imperniata, per quanto riguarda legrandi unità da battaglia, sul principiodelle «tre navi ogni tre anni e del tipo piùmoderno», un principio a cui la progettatacostruzione delle quattro «Caracciolo»

Capitolo Terzo - Grande Guerra e politica navale

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La vecchia sede del Ministero della Marina tra via dei Por-toghesi e via della Scrofa (dal 1871 al 1929), un tempoCasa Generalizia dei Padri Agostiniani, dove Revel si inse-diò come capo dello Stato Maggiore (dal 1913 al 1915 edal 1917 al 1919) e come ministro della Marina (dal 1922al 1925) (archivio Revel).

Documento RR relativo alle “Consegne di massima pergli addetti navali all’estero” vistato dal Capo di StatoMaggiore il 18 marzo 1914 (archivio Revel).

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(Caracciolo, Colombo, Colonna e Morosini)deroga solo apparentemente. Infatti, se ilprogetto originario prevedeva tre super-dreadnoughts da 40 mila t; successiva-mente, però, venne deciso di costruirequattro corazzate rapide da 30mila t, che,per una serie di vicissitudini, peraltro, sa-rebbero state destinate a non entrare maiin linea (51).Accanto a questo grande piano di costru-zioni navali imperniato sulle unità da bat-taglia (sugli scali italiani erano incostruzione altre cinque corazzate mono-calibro da 25mila t che entreranno in ser-vizio tra il maggio del 1914 e il marzodel1916) Revel punta sul naviglio leggeroe subacqueo. Nel luglio 1913 presenta in-fatti il proprio programma navale basatosu 64 cacciatorpediniere e 64 sommergi-bili (52), tanto che la stampa francese, pro-prio per la sua attenzione al nuovostrumento di guerra subacqueo, lo gratifi-cherà dell’appellativo di «homme des sous-marins» «Il largo numero dei primi — sipremura di spiegare Revel — ci avrebbemessi in soddisfacenti condizioni rispettoai corrispondenti avversari austriaci [dicui però in un certo senso finiva per so-pravvalutare la celerità dei programmi dicostruzione navale]; coi secondi avremmopotuto moltiplicare gli agguati di aggres-sione alle navi del nemico, neutralizzandoparzialmente l’enorme suo vantaggio do-vuto alla facilità di spostamento per rotteinterne all’arcipelago dalmata in forze danoi non controllabili». Nel novembre del1914, con la guerra europea da mesi incorso, il programma navale italiano alungo termine prevedeva che nel 1918 laMarina militare dovesse disporre di «12squadriglie di cacciatorpediniere su seiunità ciascuna, comprese quelle destinateall’esplorazione e un totale di 64 sommer-gibili tra quelli di grande dislocamento equelli costieri».Il programma navale di Thaon di Revel,prima di misurarsi con il precipitare dellasituazione internazionale e l’entrata in

guerra del nostro Paese, con un occhioalla Francia e uno all’Austria (mentre sitralascia di considerare la misura dellapartecipazione della flotta britannica e diquella russa alla guerra contro le potenzedella Triplice nel Mediterraneo), punta aduna forza bilanciata equamente distri-buita tra le grandi unità da battaglia (nellaproporzione di 10 a 16 nei confronti dellaFrancia e alla pari con l’Austria) e ad unforte nucleo di unità siluranti e subac-quee, di cui si avvertiva soprattutto lamancanza. Purtroppo, per i tempi brevidell’imprevedibile crisi europea, non sa-ranno ancora pronte le navi di linea im-postate nel ‘12 (cioè Caio Duilio e AndreaDoria) e le quattro Caracciolo, mentre sipresenterà in forte ritardo il programmarelativo alle unità leggere e subacquee (diesse, solo sei unità su dieci faranno ap-pena le prove in mare).Nel contesto delle relazioni internazionalinavali, il problema di fondo di Revel saràquello di verificare come la flotta italiana,nell’eventualità di una guerra con la Du-plice franco-russa, avrebbe potuto farfronte alle Marine dei due Paesi conso-ciati, praticamente da sola, dato che gliaccordi navali in corso con gli Austro-Te-deschi si limitavano, fino a quel mo-mento, solo a ripartire le zone dirispettiva competenza operativa. Laprima preoccupazione di Revel saràquella di rivedere gli accordi del 5 dicem-bre 1900 (53) e garantirsi (con una nuovaconvenzione navale che sarà firmata il 23giugno 1913) un’effettiva cooperazioneinteralleata nel Mediterraneo con un realeconcorso navale degli Imperi Centrali (54).Una cooperazione che egli riteneva cosìvitale per gli interessi marittimi italiani dafarlo decidere a cedere, in cambio, almenoper il 1914, il comando supremo agli Au-striaci stessi (e per questo si attirerà le cri-tiche del Bravetta e del Caprin in sedestoriografica). Con i nuovi accordi navalila situazione mediterranea dell’Italia ap-pare notevolmente migliorata ma non ri-

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solta completamente; infatti gli accordinavali potevano in realtà far fronte ad unasituazione di emergenza di breve durata,nelle prime battute della guerra, maavrebbero ben presto mostrato il lorofianco debole per la posizione geostrate-gica dello schieramento mediterraneodella Triplice, in cui l’Italia si sarebbe ine-vitabilmente trovata in primissima lineadi fronte all’offesa nemica, senza poi con-

tare il pericolo navale britannico, all’epocaritenuto imprevedibile, che avrebbe resodi fatto disperata una situazione ritenutaverosimilmente precaria da molti punti divista. Ma al momento era tutto quello chesi poteva ottenere dagli alleati. Revel è inverità il primo a riconoscere i limiti dellaConvenzione navale del ‘13 (tanto che de-finisce minime le possibilità di resistenzadella Triplice nel Mediterraneo, perché ne-

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Le occupazioni della sponda orientaledell'Adriatico considerale indispensabilinell'apprezzamento strategico delloStato Maggiore della Marina (1914) (fotoUfficio Storico della Marina Militare).

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anche la sicurezza della lunghissima co-stiera italiana avrebbe potuto essere ga-rantita). A più riprese mostra tutte le sueperplessità sulle premesse e sull’efficaciadei piani strategici combinati con gli al-leati, finendo per chiedersi se lo scolla-mento tra politica generale italiana e leeffettive possibilità della sua strategia na-vale possa alla fine riuscire letale all’Italia.Due infatti sono le ipotesi da considerare,a suo avviso: «Se è la nostra politica chenon è in armonia con il nostro apparec-chio militare marittimo o se sia quest’ul-timo discorde dalla politica nostra edincapace perciò di assumersi tutti quegliobblighi vitali e supremi di cui il Paese,nella sua inconscia fiducia, ama di imma-ginare investita la propria potentissimaMarina». In definitiva, quindi, per dimi-nare questa pericolosa antinomia politica-strategia navale non ci sono che duesoluzioni che si escludono a vicenda: «Ocambiare la Marina, mettendola in rela-zione alla politica», che da più di tren-t’anni ha fatto della Triplice la suaprincipale opzione, ovvero: «Cambiare lapolitica, mettendola in relazione alla Ma-rina», con tutto quello che inevitabil-mente ne può conseguire (55).E la verifica di un tale dilemma non tardaa venire alla luce; infatti al momento dellacrisi europea del luglio del ‘14 sono pro-prio le preoccupazioni di carattere marit-timo, oltre naturalmente alle altrenumerose considerazioni di fondo, che fi-niscono per assumere un rilievo di primopiano e pilotare la scelta della neutralitàproclamata dal Consiglio dei Ministri il 1°agosto 1914. In tale occasione, alla sedutadel Consiglio, viene chiamato a parteci-pare lo stesso Thaon di Revel, mentrenelle sedute precedenti, data l’infermitàdel Ministro della Marina, contrammira-glio Enrico Millo di Casalgiate, aveva soli-tamente presenziato il sottosegretarioBattaglieri. Lo scarno resoconto della se-duta del 1° agosto 1914 poco ci aiuta a ca-pire quale sia stato il ruolo svolto in tale

occasione dal Capo di Stato Maggioredella Marina (56), ma plausibilmente lepreoccupazioni sulle questioni marittimeespresse dal ministro delle Colonie Ferdi-nando Martini nel suo Diario (57) lascianochiaramente trasparire quale sia stato iltenore dell’intervento di Thaon di Revelnel mettere a nudo i pericoli dell’entratain guerra dell’Italia a fianco degli ImperiCentrali nonché la precarietà della situa-zione della Triplice di fronte ad un pode-roso concentramento navale nelMediterraneo non solo delle flotte francesie russe, ma adesso, inequivocabilmente,come si poteva supporre dal precipitaredegli eventi, anche di quella britannica. Ilrisultato? La distruzione per metà dellenostre città marittime, la perdita delle co-lonie per l’impossibilità di difenderle edinfine la rescissione delle comunicazionimarittime italiane da parte degli avversaricon l’inevitabile mancato afflusso di queirifornimenti necessari allo sforzo bellicodella Nazione in guerra (in merito A.D.,doc. n. 5). Nel suo Diario, che abbiamoavuto più volte occasione di citare, Martinilascia cadere con una dose di notevolesarcasmo l’osservazione che «nei Capi diStato Maggiore la fantasia non è un requi-sito indispensabile». Ma al di là della bat-tuta ad effetto, invero una grande fantasiastrategica si richiedeva ai responsabili tec-nici delle Forze Armate del tempo «notonly preparing for the next war but alsoplanning two wars ahead», cioè in duescenari differenti: una contro la Duplicefranco-russa ed un’altra contro la stessaTriplice, come ben fa rilevare Brian R. Sul-livan, e tutto questo nel breve volgere diappena due anni, dal 1913 al 1915 (58).Ed infatti in seguito alle complesse vi-cende della situazione internazionaledell’epoca che portano l’Italia a schierarsidalla parte dell’Intesa franco-russa-britan-nica, proprio a norma dell’art. 3 del se-greto Patto di Londra del 26 aprile 1915,il Capo di Stato Maggiore della Marina(che non conosceva il testo del Patto di

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Londra, con cui l’Italia siimpegnava a entrare inguerra entro un mese,cioè il 25 maggio 1915,come d’altra parte non co-nosceva il testo della Tri-plice Alleanza) dopoappena venti mesi dallastipulazione della conven-zione navale con gli Au-stro-Tedeschi, si trova adirigere i negoziati con iFranco-Britannici per assi-curarsi il concorso alleatonella lotta adriatica controgli Austriaci, una lotta cheavrebbe visto in primalinea l’Italia e la Marinaitaliana. Naturalmente, dalpunto di vista marittimo la situazione sipresenta in termini ben differenti daquella già prospettata; non si tratta infattidi assicurarsi la cooperazione dell’alleatoper far fronte ad una soverchiante flottanemica nel Mediterraneo, ma essenzial-mente di attenuare, con l’aiuto delle flotteconsociate, la difficile situazione strate-gica dell’Adriatico in cui, come affermeràlo storico Camillo Manfroni, «tutti i van-taggi erano dalla parte del nemico e tuttigli svantaggi dalla partenostra», soprattutto in re-lazione alle unità leggeredi cui la Marina italiana di-fettava per i propri molte-plici compiti operativi, aseguito dei ritardi nei pro-grammi di costruzioni na-vali e della inaspettata edimprevedibile guerra eu-ropea. Come è stato osser-vato con efficacia«l’Adriatico può venire pa-ragonato a un gigantescofosso pieno d’acqua, limi-tato da una parte da unasponda bassa e pianeg-giante, dall’altra da un

muro a picco sull’acqua. La sponda bassaè quella italiana, il muro costituisce l’av-versaria». La cooperazione alleata, oltre alconcorso in unità navali che il testo dellaconvenzione, stipulata a Parigi il 10 mag-gio 1915, definisce «actif et permanent»,affrontava il grosso problema del co-mando unico navale in Adriatico, difronte al quale Thaon di Revel si mostrarigidissimo mentre, per ovvie necessità le-gate alla particolare situazione del 1913,

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Ricordi della guerra adriatica conservati in una teca nell’appartamento delGrande Ammiraglio (si notano, oltre ad una foto di D 'Annunzio con dedica, i fa-mosi «sacchetti» lanciati dal Poeta nei suoi voli di propaganda) (archivio autore).

tIl bastone di comando del Grande Ammiraglio, conservato in una teca in casaThaon di Revel (archivio autore).

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si era mostrato arrendevole nell’analogacircostanza. Per il Capo di Stato Maggioreil comando unico in mano agli Italianirappresenta e riassume il senso stessodella guerra navale in Adriatico e dellepretese italiane sulla sponda opposta,sancite di fatto dal Patto di Londra. Laguerra infatti nelle vedute di Revel dovevagarantire il dominio italiano dell’Adriaticoe liberare una volta per tutte la Marina ita-liana dalla «sindrome» di doversi prepa-rare a condurre contemporaneamenteuna guerra a levante e una a ponente e ameridione, cioè una guerra a est, in Adria-tico, contro un nemico in possesso di unanetta superiorità geostrategica e unaguerra ad ovest e a sud, per assicurare lalibertà delle comunicazioni marittime nelMediterraneo. La convenzione, attribuiscecosì agli Italiani «l’initiative et la directioncomplète des opérations qui seront exécu-tées dans l’Adriatique par la flotte alliée»;nonostante la sua difficile gestazione, cherichiese ad un certo punto, per superarelo stato di impasse in cui erano finiti i ne-goziati, l’intervento dello stesso Churchill,l’accordo costituisce un grande successopolitico-strategico iniziale della guerra(59), anche se esso non mancherà di darluogo a petizioni di principio e ad equi-voci durante la sua attuazione, comeavremo occasione di vedere.A prescindere dagli scollamenti tra poli-tica e strategia, cui si rimediava all’ultimomomento, nelle continue smagliature tra«high policy» e «war planning», qual erain definitiva il piano di guerra italianocontro l’Austria?In realtà dal 1909 al 1914 di piani diguerra navale in Adriatico contro gli Au-striaci, pur alleati, ne erano stati prospet-tati diversi, imperniati su due obiettivi difondo: la battaglia risolutiva di maha-niana memoria contro la flotta austriaca,una sorta di «Tsushima mediterranea»,ovvero la grande spedizione marittimacontro il territorio nemico, sia pure conuna diversa gradualità di obiettivi (che an-

davano da uno «massimo», che prevedevalo sbarco nientemeno che a Trieste, aduno «minimo», che contemplava l’occupa-zione di un punto della costa nemica perservirsene come base di operazione,punto che di volta in volta veniva indivi-duato nella penisola di Sabbioncello, nelleisolette di Lagosta e Meleda, secondo unatentazione che riaffiorerà in diversi mo-menti della guerra anche ad opera degliAlleati) (60).In sostanza si ripetevano gli interrogatividel 1866, riassunti nell’alternativa «Pola oDalmazia» (cioè andare a sfidare la flottaaustriaca nella sua sempre munitissimabase di Pola, ovvero intraprendere unaspedizione marittima contro il territorionemico). Nel 1866 si era finiti, nel vicolocieco dell’attacco all’isola di Lissa, la Gi-bilterra dell’Adriatico, cioè nell’attacco diun’isola fortificata senza essersi primagarantito l’indiscusso dominio del mare.E le conseguenze di quella triste giornatadel 20 luglio 1866 si stavano pagando damezzo secolo! Delle spedizioni marittimepianificate, alla prova dei fatti non se nefece niente (tranne il rapido intermezzodell’occupazione di Pelagosa), sia per l’im-possibilità di disporre del corpo di spedi-zione necessario, sia perché il sempliceblocco dell’Adriatico sembrava rispon-dere pienamente alle esigenze dell’Intesa,contribuendo a chiudere un cordone ma-rittimo intorno agli Imperi Centrali sulfronte adriatico, tanto più che nella pri-mavera del ‘15 gli Alleati stavano vivendola drammatica esperienza di Gallipoli (dacui per fortuna, per il veto della Russia,gli Italiani erano stati esclusi a priori!).Più difficile, invece, si sarebbe mostrata lascelta nell’ambito della Marina italiana trala ricerca della grande battaglia navale ri-solutiva e la meno appariscente, ma piùredditizia in un bacino ristretto comel’Adriatico guerriglia navale condotta conmezzi sottili e insidiosi. Un dilemma lace-rante, sofferto, a cui solo l’evidenza deifatti imporrà alla fine una scelta obbligata.

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Ma nonostante il concorso delle unitàfrancesi e britanniche, Thaon di Revel nonsi lascia prendere la mano dai facili entu-siasmi della vigilia, dall’euforia delle «ra-diose giornate» di maggio che sembraaver contagiato tutto il Paese con in testagli artefici dell’intervento (Salandra, Son-nino, Martini). Egli, ancora una volta, nonesita a esporre ai responsabili politici leproprie perplessità su una guerra che, asuo avviso, non poteva che essere lunga edifficile, al di là di ogni superficiale aspet-tativa, e sulla reale efficacia della coope-razione delle flotte alleate, che stavano inmare ormai da quasi un anno. Come al so-lito, la sua franchezza non viene apprez-zata, tant’è che lo stesso presidente delConsiglio Salandra nei propri ricordi de-finisce l’Ammiraglio «disfatto e agitato

con mancanza di fede nel risultato finale»e Martini, dal canto suo, non esita a direche Thaon di Revel con i suoi dubbi gliaveva fatto «un’impressione molto mode-sta» (61). Revel si mostra subito fermis-simo di fronte a quella che gli sembravaun’illecita invadenza dei nuovi alleati. In-fatti quando l’Addetto Navale britannicogli chiese di consegnargli tutto ciò che gliItaliani avevano avuto nel passato informa confidenziale dalla Germania (concui l’Italia peraltro ancora non era inguerra) concernente la flotta, immediata-mente Revel gli rispose che avrebbe fattocercare negli archivi e lo pregò di tornareil giorno seguente. Quindi, fatti racco-gliere i documenti desiderati, si rinchiusenel suo ufficio a Palazzo Sant’Agostinocon il suo Aiutante di bandiera, il conte

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Immagini della guerra adriatica. Revel (rispettivamente 2° e 3° da sinistra) nelle due foto veste la divisa di campagna gri-gio-verde con la quale volle essere sepolto trent'anni dopo (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

La giurisdizione di Revel come comandante della piazzaforte marittima di Venezia e delle forze navali dell'Alto Adriatico(ottobre 1915-febbraio 1917) si estendeva da Grado ad Ancona e naturalmente implicava controlli ed ispezioni anchenei settori terrestri affidati alla Marina che, nel periodo considerato, andavano dalla difesa di Grado alle trincee del bassoIsonzo (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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Manfredi Gravina (che poi avrebbe nar-rato l’episodio alla duchessa Clorinda)(62) e bruciò tutti i documenti in que-stione nel suo caminetto. Ripresentatosil’ufficiale britannico l’indomani, gli si fecedire che non si era trovato nulla se nonquanto i servizi speciali avevano già con-segnato. «Tanto gli parve disonorevoleconsegnare all’Inghilterra ciò che ci erastato dato, con fiducia nel nostro onore,soltanto in ragione di un’alleanza».D’altra parte la situazione di stallo dellaguerra navale in Adriatico non facevaaltro che confermare quelle fosche previ-sioni del Capo di StatoMaggiore, il cui pragmati-smo (63) aveva colpitosfavorevolmente i nostripolitici, mentre sotto ilprofilo prettamente ope-rativo, nonostante gliespedienti strategici delcomandante in capo dellaflotta, Luigi di Savoia ducadegli Abruzzi (64), in cuipossiamo rintracciare unabuona dose di ingenuità edi ottimismo, gli Austriacinon uscivano dalle pro-prie basi come ci si aspet-tava, ma con le loroscorrerie costiere, difficil-mente prevedibili ed in-tercettabili in tempo,tenevano sotto pressionetutta la costiera adriaticacon la minaccia dei bom-bardamenti navali all’albache, ahinoi, allo stato at-tuale delle cose, non pote-vano che rimanereimpuniti. La guerriglia na-vale si estendeva di fatto atutto l’Adriatico e l’auspi-cato urto decisivo dimassa non avveniva (enon sarebbe avvenuto nel-l’intero corso della guerra,

almeno nel Mediterraneo). Né si mostravapagante mantenere in crociera continua,senza uno scopo determinato, le unitàmaggiori sempre più esposte all’insidiasottomarina, sicché i tragici siluramentidegli incrociatori Amalfi e Garibaldi, le vi-cende dell’inutile occupazione e del con-seguente sgombero dell’isoletta diPelagosa, l’esplosione nel porto di Brindisidella corazzata Brin, fanno precipitare lapolemica tra «falchi» e «colombe» sullacondotta strategica della guerra in Adria-tico. Ha luogo di fatto un pericoloso scol-lamento tra le direttive dello Stato

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Una singolare immagine a colori dell’incrociatore cor. AMALFI e la cartolina cele-brativa del varo dell’incrociatore cor. GARIBALDI, le cui drammatiche vicendesono richiamate nel presente testo (Coll. Revel).

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Maggiore e quelle del Comando dellaflotta, che farà dire a Thaon di Revel: «èmeglio una direttiva mediocre che duebuone ma antagoniste». Il Capo di StatoMaggiore aveva voluto il Duca degliAbruzzi al comando della flotta per varieragioni: innanzitutto, nel suo attacca-mento alla Monarchia, vedeva di buon oc-chio al comando della squadra unprincipe di sangue che aveva pochissimoda rischiare personalmente,dato che do-veva attenersi agli ordini del Capo di StatoMaggiore; se le cose fossero andate bene,ne avrebbe avuto il merito, se fossero in-vece andate male, la responsabilità sa-rebbe ricaduta inevitabilmente su chi taliordini aveva impartito, cioè sullo stessoRevel. In secondo luogo la presenza al co-mando della squadra di un principeavrebbe smussato la riluttanza degli am-miragli alleati a sottomettersi al comandoitaliano nelle operazioni adriatiche. Ma ifatti avevano smentito le previsioni; ilDuca degli Abruzzi si muoveva in ma-niera molto autonoma e, spalleggiato daicontrammiragli Millo e Cagni, conducevauna «sua» guerra in Adriatico.Thaon di Revel si trova così a dirigere untipo di guerra che non approva, peraltroin una situazione fortemente condizio-nata dalla presenza di un principe di Casareale al comando della flotta. L’unica viadi uscita per sottrarsi a un simile stato diimpasse gli appare quella di presentare leproprie dimissioni, e lo fa il 1° ottobre1915, in maniera da evitare uno scontroaperto con il Duca e una lacerazione al-l’interno della compagine marittima.“Maestà — disse in tale occasione a Vitto-rio Emanuele — devo combattere e guar-darmi dagli Austriaci, dagli Alleati e dagliAmmiragli italiani, Le assicuro che i primimi danno meno da fare dei primi due”.Una settimana prima lo stesso aveva fattoil Ministro della Marina, vice ammiraglioLeone Viale, in carica dal 13 agosto del1914 nei due gabinetti presieduti da An-tonio Salandra. La doppia carica di mini-

stro e di capo di Stato Maggiore della Ma-rina viene assunta dal vice ammiraglio Ca-millo Corsi, mentre il comando dellaflotta viene lasciato al Duca degli Abruzzi(per un bilancio dell’attività di RevelCSMM dal 1913 al 1915, A.D., doc. n. 4).Da parte sua, senza problemi, Revel ac-cetta il comando in capo della piazzafortemarittima di Venezia e dell’Alto Adriatico(la cui giurisdizione si estendeva dalfronte, che in quel tempo era a Grado,sino ad Ancona), una destinazione diguerra che Revel non vuole interpretarecome una retrocessione, dato che si trat-tava di un posto di prima linea e che go-deva di una completa autonomia .L’occasione ideale dunque per sperimen-tare i nuovi metodi della guerra marittimache voleva mettere a punto per una piùgenerale condotta strategica della guerraadriatica, qualora l’occasione propizia sifosse alla fine nuovamente presentata. Eal suo arrivo trova Venezia in un ‘atmo-sfera di paura per i frequenti bombarda-menti aerei e di sospetto per la possibileinfiltrazione di spie, ma non si perded’animo. Era solito infatti dire che «la piùbella destinazione in tempo di guerra è ilcomando di una piazzaforte, perché si hadiritto di vita e di morte su tutti».

2. Venezia, il Poeta e l’Ammiraglio

E il nuovo Comandante affronta il pro-blema più urgenti della città: la difesa con-tro le possibili offese nemiche (aeree,marittime e anche, eventualmente, terre-stri, un’ipotesi che sembra prenderecorpo soprattutto nell’autunno del ‘17).Egli fa di Venezia una piazzaforte con unadifesa a 360°, ricorrendo talora, secondoil sistema britannico, anche a cannoni fintiche si alternavano con quelli veri per farcredere al nemico che la difesa fosse piùpotente di quella che realmente era. Revelaffronta anche il problema alimentare perla difficoltà dei rifornimenti (ponendo su-

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bito in essere il divieto per chiunque di re-carsi nell’area della piazzaforte senza unpermesso scritto) ed ordina, inoltre, comemisura prudenziale, l’oscuramento, sinoad allora mai attuato. Il periodo vene-ziano di Thaon di Revel lo possiamo rap-presentare puntualmente attraverso unafonte d’archivio e una di stampa (65), e la

testimonianza di coloro che gli furono vi-cini nel periodo considerato, che va dal-l’ottobre del ‘15 al febbraio del ‘17 (comeManfredi Gravina e Guido Po), mediantele quali possiamo ricostruire quella che,senza enfasi, è definita la sua «instanca-bile attività». Le sue giornate si alternanotra la sede di comando in Arsenale, il ca-

nale della Giudecca (basedelle unità leggere e sottili)e il campo d’aviazione diSant’Andrea al Lido. In casodi bombardamento aereo,ricordava la duchessa Clo-rinda con una punta di or-goglio, il padre non si servìmai «della stanza blindatache c’era al pianterreno delComando in capo, anzi si re-cava subito sull’altana di S.Biagio, dove era sistemato ilcomando dell’artiglieriacontraerea, per meglio ren-dersi conto di quanto succe-deva». Con il suo motoscafo

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Moderno impianto binato Vickers Terni da 381/40 mm. in torre navale corazzata, denominato “Batteria Amalfi”, posizionatosul litorale del Cavallino (area sabbiosa a nord di Venezia), maggio 1917 (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

Revel e d’Annunzio nell’hangar dell’aviazione marittima dell’isola venezianadi Sant’Andrea (Coll. Revel).

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si portava quindi immediatamente neipunti colpiti per verificare di persona ictuoculi quanto era accaduto e l’entità deidanni, e sempre senza alcuna preoccupa-zione di esporsi personalmente. Le visiteinaspettate nei punti più disparati dellacittà in qualsiasi momento della giornatadel Comandante della piazzaforte nellaprescritta divisa di campa-gna grigioverde (con panta-loni ‘corti’ e mollettiere, conla quale volle poi essere tu-mulato), facevano stare al-l’erta tutti quanti e la suapresenza ovunque, special-mente dove c’era un peri-colo o un problema, loresero tra i Veneziani moltopopolare (e Venezia gliavrebbe conferito in seguitola cittadinanza onoraria).Con disinvoltura non di-sgiunta da fermezza, Revelaffronta anche le mormora-zioni allusive che, nel climadi sospetto per lo spionag-gio austriaco esistente nellacittà lagunare, sembrano in

diverse circostanze coinvolgere anche lepersone che gli stanno più vicino. Come ilfratello «triestino» di Ersilia Cozzi, mogliedell’ammiraglio Napoleone Canevaro (zio,ricordiamo, della consorte di Revel) che vi-veva insieme alla sorella e al cognato a Pa-lazzo Clary alle Zattere ovvero il suostesso Aiutante di bandiera, Manfredi Gra-

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Due immagini raffiguranti i lavori per la difesa della città e del patrimonio artistico di Venezia. A sinistra il monumentoequestre dedicato a Bartolomeo Colleoni, mentre a destra si nota il bastione innalzato davanti alle facciate della Ba-silica di San Marco (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

Un gruppo di ufficiali inglesi in visita al Comamdante della piazzaforte marittima diVenezia (sesto da sinistra seduto) durante la Grande Guerra (1916) (archivio Revel).

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vina, al quale molti rimproveravano lamadre «tedesca». Nel primo caso, con lacitata disinvoltura, Revel fece scrivere unalettera «anonima» dalla stessa polizia lo-cale e, nonostante le proteste del vecchioAmmiraglio, reduce glorioso della batta-glia di Lissa, che aveva fiutato l’espediente(«Sarà, ma questa lettera mi ‘puzza’ di po-lizia», aveva detto al nipote acquisito,Revel), lo convinse a mandare il cognatonella tenuta toscana di Castelvari.Nel secondo caso agì invece allo scopertocon grande fermezza di fronte alle insi-nuazioni sul suo fidato aiutante di ban-diera, Manfredi Gravina, che non solocontinuò a tenere presso di sé, ma a cuiaffidò addirittura, in seguito, il comandodi una torpediniera (la 24 OS). E lo stessocomportamento usò infine nei confrontidel capitano di fregata conte AlfredoDentice di Frasso (di madre e di moglieaustriache, peraltro già volontariamente«confinatesi» nella loro tenuta di San Vitodei Normanni), che venne nominato co-mandante della difesa marittima diGrado, una destinazione di primissimalinea. In questi due ultimi episodi, Revelvoleva dimostrare all’opinione pubblica,esacerbata dalla guerra e in preda alla«psicosi della spia», che un ufficiale di Ma-rina deve essere considerato, fino a paleseprova contraria, al di sopra di ogni so-spetto. Ed infatti entrambi gli ufficiali inparola, così apertamente messi alla prova,fornirono testimonianze eccellenti dellapropria «italianità». Anzi Dentice diFrasso, nei drammatici momenti dell’au-tunno del 1917, quando si dovette abban-donare Grado, oltre a salvare tutto ilmateriale disponibile, lascerà un messag-gio inequivocabile in tedesco ai nemici cheavanzavano, un messaggio che, profetica-mente, non senza un pizzico di sarcasmo,ammoniva: «Oggi a me, domani a te!».Con la figura di Dentice di Frasso, primocomandante del Reggimento Marina, evo-cato dai ricordi della duchessa Clorinda econ il 1° TV Andrea Bafile, comandante del

battaglione Caorle, eroicamente decedutosul basso Piave la notte sull’11 marzo1918 (66), vicinissimo a d’Annunzio cheamava chiamarlo “il mio fratellod’Abruzzo”, MOVM alla memoria e solen-nemente tumulato alla Sagra della Maiellaa Bocca di Valle di Guardiagrele, l’accentobatte su un punto focale della strategia diRevel: la cooperazione Esercito-Marina inun’ottica interforze ante litteram. Nella‘visione’ di Revel tra i molteplici compitidella Marina (blocco strategico dell’Adria-tico, protezione delle comunicazioni ma-rittime nel Mediterraneo nelle zoneassegnate all’Italia nonché dei nostri corpidi spedizione in Albania e, poi, in Mace-donia, nel contesto generale di una stra-tegia della vigilanza per controllare erintuzzare le possibili offese costiere delnemico) spiccava anche la protezione delfianco destro dell’esercito, che si battevalungo la linea (la fronte, come si diceva al-lora) dell’Isonzo per evitare che gli au-striaci, dal mare, tentassero azioni disorpresa con bombardamenti navali o ef-fettuassero sbarchi alle spalle dello schie-ramento terrestre. Mentre, oltre il limescostiero, si proiettavano, sotto il profilooperativo, sia reparti di marinai che rin-novano la tradizione della fanteria di ma-rina (abolita nel 1878), per dirla inestrema sintesi, raggruppati via via in bat-taglioni e, infine, nel Reggimento Marina(dapprima su tre, poi su quattro batta-glioni, con un quinto destinato all’adde-stramento dei complementi). In ciascunbattaglione – è bene far rilevare — se il co-mando era sempre affidato a un ufficialedi marina, l’incarico di ‘secondo’ venivainvece affidato a un capitano ‘anziano’dell’esercito, proprio all’insegna della piùstretta integrazione interforze. Unita-mente, già dagli inizi della guerra, all’im-piego al fronte di artiglierie navali (cheaveva dato luogo al Raggruppamento ar-tiglieria Marina), in postazioni sia fisseche mobili, cioè su pontoni armati egrosse maone per il carbone, in maniera

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che ‘la volata del cannone appenasporgesse dalla frisata per quantooccorra’, come ricorderà l’allora tvGiuseppe Fioravanzo. Tutto ciò at-teso, in considerazione dell’impor-tante doppio contributo, in terminidi uomini e artiglierie, all’interocomplesso delle forze della Marinaoperanti sul fronte terrestre venneconferita la denominazione di Bri-gata Marina, il cui comando vennestabilito a Venezia (67).E proprio a Venezia, a ridosso delfronte, la base più avanzata, piùesposta della Regia Marina in Adria-tico, sullo scorcio del 1915, si incon-trano due personaggi d’eccezione, ilvice-ammiraglio Paolo Thaon diRevel appunto e il Poeta, l’Immagini-fico, Gabriele d’Annunzio, che in-sieme, in un reciproco gioco disponda, trasformano gradualmentela città lagunare sotto assedio (su cuicadono più di mille bombe in qua-ranta incursioni aeree) nel laborato-rio della nuova guerra aeronavalenell’Adriatico. Seppur coetanei(Revel classe 1859, d’Annunzio1863), non si possono certo immagi-nare due personaggi così diversi traloro. Il primo, come abbiamo visto,è un gentiluomo piemontese di vec-chio stampo, religiosissimo, severis-simo con se stesso e con gli altri,riservatissimo, di poche ma pre-gnanti parole, seppur non privo diun senso di humour all’inglese,come quando, sulla porta del suo uf-ficio di Capo di Stato maggiore dellaMarina a Palazzo Sant’Agostinoaveva fatto affiggere un cartello chesuonava così: “Il Vostro tempo è pre-

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Proclama di d’Annunzio agli aviatori, “guardie alate del nostro cielo“,con dedica autografa a Revel (archivio Revel).

Foto del poeta D’Annunzio con dedica autografaa Revel. Molto stretti furono i rapporti tra l’Immagi-nifico e l'Ammiraglio durante il periodo venezianodi quest'ultimo, in cui D'Annunzio, dalla base ope-rativa della Casetta Rossa sul Canal Grande, di-venne ben presto l'elemento di puntadell'offensiva aeronavale italiana (archivio Revel).

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zioso … anche il Mio”. D’Annunzio dalcanto suo, dagli ‘otia’ contemplativi e leti-ficanti della letteratura e della poesia,dopo aver ingaggiato con veemenza labattaglia ‘interventista’ a favore dell’In-tesa, si era arruolato, volontario di guerraa 52 anni, col grado di tenente dei Lancieridi Novara (era stato infatti sottotenente dicomplemento nel 1890), alle dipendenzedel Duca d’Aosta, comandante della III Ar-mata. Ma il Poeta non vuole assumere ilruolo di “scrivano nazionale” – comeavrebbe voluto Salandra e lo stesso Ema-nuele Filiberto — vuole “agire”, nell’as-sunto che “fosse giunta l’ora di fare e nondi parlare”. E dopo aver partecipato avarie azioni sul fronte dell’Isonzo, si erastabilito a Venezia, circondato dalle piùbelle intelligenze del mondo navale e ae-reonautico. Tanto più che di marina e diaeronautica non era infatti completa-mente digiuno: già nel 1888 si era interes-sato a problematiche navali con una seriedi articoli apparsi su La Tribuna (“Inmorte dell’Ammiraglio di Saint Bon”, rac-colti poi nell’aureo volumetto L’Armatad’Italia), mentre nel 1909, come accen-nato, aveva maturato una serie di espe-rienze aeronautiche sul campo, volando“sui tetti di Brescia” con Glenn Curtiss eMario Calderara (‘il mio pilota di pace’,dirà d’Annunzio) e prendendo poi il pro-prio brevetto di pilota nell’agosto 1915.Lo studio di Revel all’Arsenale (dove siconserva, ancor oggi, la sua scrivania) e la“Casetta Rossa”, alle spalle di Campo S.Maurizio sul Canal Grande, residenza ve-neziana di d’Annunzio, diventano così lecentrali operative della nuova guerra ae-ronavale da porre in essere nell’Adriatico.E al riguardo siamo in grado di ricostruireil rapporto Revel — d’Annunzio attra-verso una fonte privilegiata, tuttora ine-dita, l’epistolario tra i due personaggi, uncorpus di sessanta lettere che abbraccianol’arco di un decennio, dal 1915 al 1925. Inparticolare il corpus delle lettere scam-biate nel corso della guerra, soprattutto

durante il periodo veneziano di Revel,rappresenta una sorta di backstage in cuipossiamo seguire la genesi e gli sviluppidelle imprese, fortunate o meno, in cui sisostanzia la guerra aeronavale adriatica ein cui ci sfila davanti tutta una galleria dipersonaggi, noti e meno noti, vivi e morti(con d’Annunzio inizia infatti il ‘culto deicaduti’ della Grande Guerra), tratteggiatidalla sua penna magistrale. Come Co-stanzo Ciano, Luigi Rizzo, Luigi Bresciani,Giovanni Randaccio e Giuseppe Miraglia,il suo primo pilota di guerra, “crocefissoalla sua ala, che d’Icaro ebbe l’animo e lasorte”. Da rilevare il tono reverenziale etalora sussiegoso, con cui d’Annunzio sirivolge a Revel: Mio Ammiraglio e Capo,Mio Ammiraglio amatissimo, Nuovo e in-faticabile difensore di Venezia e, special-mente quando deve chiedergli qualchepiccolo favore, gli scrive rivolgendosi “nontanto al mio Ammiraglio quanto al miogrande amico” e poi, nel dopoguerra, “MioDuca e Maestro”. E proprio al Poeta risale,in anteprima, quella denominazione di“Grande Ammiraglio”, che poi verrà codi-ficata con l’attribuzione a Revel dell’omo-nimo grado militare nel 1923. La guerraera cominciata male, molto male: il fati-dico 24 maggio una forte aliquota delleforze aero-navali austro-ungariche avevamesso a ferro e fuoco il litorale roma-gnolo e marchigiano (affondando il cacciaTurbine), l’impiego di grandi unità in com-piti secondari, voluto dal Duca degliAbruzzi, aveva portato in quel 1915 all’af-fondamento degli incrociatori Amalfi eGaribaldi e della corazzata Regina Mar-gherita, mentre per opera dell’Eviden-zbüro, il servizio segreto austriaco con isuoi fiancheggiatori italiani, era esplosanella base di Brindisi, la corazzata Bene-detto Brin (una tragica sorte che toccherànell’agosto dell’anno successivo anchealla modernissima corazzata monocalibraLeonardo da Vinci.). Il tutto mentre quellache avrebbe dovuto essere ‘la grande bat-taglia navale risolutiva’, la “Big Battle” per

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la conquista del “Command of the sea”, dimahaniana memoria, alla quale aspira-vano il Duca degli Abruzzi, rimasto al co-mando della flotta e gli ammiragli Millo eCagni, sembrava sempre più lontana, at-tese le difficoltà oggettive del teatro geo-strategico adriatico e l’atteggiamentorinunciatario della flotta austriaca, che silimitava a colpi di mano insidiosi controla costiera adriatica e lo sbarramento diOtranto, asserragliandosi in genere nellapostura strategica di Fleet in Being. Inquesta “situazione di stallo strategico”,Revel e d’Annunzio appaiono quindi per-fettamente in linea nel portare gradual-mente avanti invece una guerriglia navalebasata su mezzi leggeri, sottili e insidiosi(in particolare con i celeberrimi MAS (68),subacquei, aerei (69) e persino … ferro-viari (70). Una “strategia della costri-zione”, che ai nostri giorni Robert Greenene “Le 33 strategie di guerra” (71) cosìriassumerebbe: “Porre in essere tutte lepossibili alternative di disturbo in unatrama devastante: colpendo, ritraendosi,adescando, sopraffacendo, in maniera daesercitare una pressione senza tregua ecreare un livello di allarme tale da indurrela controparte a commettere gesti avven-

tati e sfruttando appieno, in ogni caso, ilvantaggio temporaneo acquisito”. Il tuttoprima che si possa dispiegare, con l’im-piego di mezzi sempre più adeguati, la“strategia della battaglia in porto”, checonsisteva nel portare l’offesa contro legrandi navi nemiche direttamente nelleloro basi. Tipo il Mas con cui Rizzo af-fonda la notte sul 10 dicembre 1917 la co-razzata Wien nella rada di Trieste, ovverotra l’aprile e il maggio 1918 i tentativisfortunati dei Barchini saltatori legati alnome di Mario Pellegrini e, infine, la Mi-gnatta di Rossetti e Paolucci con l’affon-damento della corazzata nemica ViribusUnitis. Nella sua corrispondenza con l’am-miraglio d’Annunzio batte in particolaresul tasto aeronautico, sia a livello propo-sitivo che operativo. Manda a Revel i “sac-chetti tricolori” con i “messaggi” cheavrebbe lanciato nei suoi celebri voli, sem-pre con il corredo della “sua significa-zione ideale” e i relativi addentellatistorici. L’11 maggio 1917 indirizza a Revele a Cadorna un memoriale di ben dodicipagine intitolato “Dell’uso delle squadri-glie da bombardamento nelle prossimeoperazioni”, sviluppando quelle sue intui-zioni già espresse (e molto prima di Dou-

het!) all’indomani dellesue prime esperienze divolo nelle conferenze “Peril Dominio dei Cieli”, te-nute a Milano e Torino nelfebbraio del 1910, la-sciando intravedere chia-ramente quale possaessere, pur con i limitatistrumenti tecnici a dispo-sizione, il potenziale di-struttivo dell’arma aerea.Ma quello che preme farrilevare è, soprattutto, l’in-teresse che il Poeta, “conardore d’apostolo e intui-zione da precursore” (purdopo gli studi pioneristicidi Alessandro Guidoni)

Il MAS è il vero protagonista della guerra adriatica e finisce per rappresentare lostrumento ideale in cui meglio si identifica la concezione della guerriglia navalepropugnata da Revel (archivio Revel).

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mostra per le “siluranti aeree”, cioè gli ae-rosiluranti, esibendo una perfetta padro-nanza di concetti e norme d’impiegodello strumento aeronavale “come senella vita non avesse fatto altro che occu-parsi di aerei e motori” (72). E Revel, ap-poggiando l’interesse dannunziano, dàsubito il via al primo impiego sperimen-tale dell’aerosilurante in Adriatico, conl’attacco a Pola nella notte sul 3 ottobre1917 effettuato da un biplano trimotoreCaproni da 450 HP e, qualche mese dopo,nel marzo 1918, costituisce la PrimaSquadriglia navale Siluranti Aeree (com-posta da quattro trimotori da 600 HP), di

cui il Poeta si sentì orgoglio-sissimo di assumerne il co-mando, coronando così ilsuo pur “breve sogno”,dopo aver comandato la“Squadra della Comina” consette apparecchi, “settecome le stelle dell’Orsa”. “Ioora devo modificare – scriveil Poeta — il mio motto ‘piùalto e il più oltre’ in ‘piùbasso e più oltre’ e per benlanciare il siluro contro lanave nemica debbo scen-dere a meno di quattrometri sull’acqua”. Dalmarzo 1918 la Squadriglianavale siluranti aeree vivràla sua avventura sino al set-tembre dello stesso anno,con una progressiva messaa punto degli strumenti tec-nici (il passaggio dai biplaniCaproni da 450 cv ai trimo-tori da 600 cv, dalla tenaglialeggera che tratteneva il si-luro sotto la fusoliera allatenaglia pesante), sino a chel’iniziativa venne accanto-nata per l’intensificarsidegli impegni sul fronte ter-restre nel rush finale dellaguerra. Nonostante le vivaci

proteste dannunziane, la Squadriglia saràinfatti inglobata in un’unità mista, dibombardieri e caccia, denominata ‘Squa-dra di San Marco’ per partecipare alle ul-time battaglie sul fronte terrestre. Manella strategia generale della guerraadriatica la pur breve vicenda dell’aerosi-lurante sotto le insegne dannunziane,con il mottetto Sufficit Animus (Basta ilCoraggio!), molto opportunamente as-surto a simbolo, con relativo logo dellerecenti celebrazioni del Centenario del-l’aviazione navale nel 2013, costituiràuna particolare sfaccettatura di quellastrategia della battaglia in porto da sem-

Revel in attesa di D'Annunzio, di ritorno da una delle sue missioni, nel campo diaviazione Sant'Andrea al Lido (archivio aeronautico Caproni di Taliedo).

Un’immagine preziosa nella sua unicità che ci mostra Revel a bordo di un bi-plano Caproni nel 1917 (archivio aeronautico Caproni di Taliedo).

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pre preconizzata da Revel, anche se itempi prematuri e le urgenze operativenon permisero di cogliere al momentoquei successi che D’Annunzio insistente-mente caldeggiava. Ma dell’efficacia ope-rativa delle siluranti aeree il Poetarimarrà sempre convinto tanto da ritor-narvi esplicitamente anche in seguito, nelsuo dorato esilio del Vittoriale degli ita-liani quando, durante la crisi italo — in-glese del 1935, rompendo l’abitualeriserbo in cui si era confinato, mandò aMussolini il seguente messaggio: “Il Co-mandante della Prima Squadriglia Silu-ranti Aeree ha l’onore di dirvi chebasteranno duecento siluranti per averragione della massa navale britannica nelnostro Mediterraneo”. All’impiego dell’ae-rosilurante era dedicato dunque l’ultimomessaggio ‘operativo’ del Poeta-soldato,del ‘marinaio volontario da Pescara’ cometalora amava definirsi, un messaggio chepurtroppo in Italia nessuno ascoltò! I rap-porti epistolari tra il Poeta e l’Ammira-glio, nati durante le intense giornateveneziane, saranno destinati a conti-nuare, sia pur blandamente, anche dopola fine della guerra. Gli ultimi contatti cifurono infatti nel settembre 1927 conl’invito del Poeta, da poco Principe diMontenevoso, a partecipare al Vittorialealla rappresentazione de “La figlia diJorio”, ma Revel, cattolico osservante, ri-tenne di non poter accettare l’invito e in-tervenire allo spettacolo, dato che tutte leopere dannunziane erano all’Indice. In-fine nel 1932, trovandosi con la famigliasul lago di Garda, memore dei ripetuti in-viti dannunziani, Revel fece recapitare alPoeta “un biglietto da visita con qualcheparola e il suo indirizzo ma … non vi furisposta alcuna!”. L’epopea del Poeta edell’Ammiraglio “quasi amici” negli anniveneziani, per servirsi di una metaforafilmica, era finita come, di lì a poco, stavaper volgere al termine il “mondo” in cuientrambi i “nostri” personaggi erano vis-suti e avevano operato.

3. La VITTORIA “Perduta”

Lo «Stallo» della guerra navale contro gliAustriaci agli inizi del ‘17 determina lanecessità di un profondo mutamentonella condotta della guerra e, quindi, uncambiamento ai vertici navali . Revel ap-pare come la personalità che in maggiorgrado possiede requisiti morali, biogra-fici, professionali tali da poter attuare lasvolta desiderata a livello politico. Dopodiciassette mesi di lontananza dal su-premo potere navale, le idee da lui sem-pre professate, apparivano ormai comequelle vincenti, ed erano state superate leperplessità e le velleità che nell’autunnodel ‘15 invece avevano determinato, conle sue dimissioni, l’allontanamento diRevel da Roma.

Nella guerra adriatica le Navi da battaglia non ebberomodo di operare in un contesto strategico limitandosi ingenerale a giocare il ruolo di Fleet in being. Nella foto lanave da battaglia VITTORIO EMANUELE (1908- 1923) (ar-chivio Revel).

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Già il 18 gennaio 1917 il ministro Corsiaveva esposto il suo punto di vista sul ri-chiamo alla carica di Capo di Stato Mag-giore della Marina, allo stesso Revelappositamente convocato a Milano, maquest’ultimo aveva di fatto opposto il pro-prio rifiuto. Non voleva che si ripetessequella dicotomia nella conduzione dellaguerra sul mare già sperimentata nei primiquattro mesi di guerra, non voleva rico-minciare a «lottare per essere ubbidito».Ma il 26 gennaio fu lo stesso Vittorio Ema-nuele a convocare il Comandante dellapiazzaforte marittima di Venezia al pon-tile di San Giuliano, a Mestre, e dopoun’ora di colloquio la delicata situazionetrovava una soluzione che si sarebbe gra-dualmente rivelata nei giorni seguenti. Seinfatti Revel aveva declinato l’invito delministro, non poteva sottrarsi a quellefatto direttamente dal Sovrano!Il 7 febbraio il Duca degli Abruzzi, chequalche giorno prima si era recato a Romaper conferire con il Presidente del Consi-glio e col Ministro della Marina, lasciava ilcomando della flotta, ufficialmente «permotivi di salute»; Cagni e Millo venivanorispettivamente allontanati dai propri co-mandi nella zona di operazioni e destinatiai più tranquilli comandi dipartimentali,alla Spezia e a Napoli; il 16 Revel assu-meva la carica di Capo di Stato Maggioredella Marina e di Comandante delle Forzenavali mobilitate. Il ritorno di Revel a Pa-

lazzo Sant’Agostino viene salutato inmodo inaspettato dal famoso “Colpo diZurigo”, cioè l’effrazione del Consolatoaustriaco a Zurigo, diventato la centraleoperativa dello spionaggio nemico (di-retta dal sedicente ‘vice-console’ CV Ru-dolf Mayer dell’imperial-regia marinaaustro-ungarica), realizzato il 24 febbraio1917, in maniera rocambolesca da ‘pro-fessionisti dello scasso’ (73), agli ordinidi un apposito nucleo speciale della R.Marina (74). Con “il colpo di Zurigo” ve-niva infatti smascherata con successo larete dei sabotatori al soldo dell’Eviden-zbüro austriaco che tanti danni avevanoprocurato in Italia (75), allarmando peri-colosamente l’opinione pubblica. Ungrande successo, che lo stesso Revel nonaveva esitato a definire “l’equivalente diuna battaglia navale vinta”, il cui cente-nario 1917-2017 è passato purtroppopressoché inosservato (76). Nel contempo i nuovi metodi della guerramarittima, sperimentati in quasi due annidi guerra imponevano infatti a suo avvisoche il potere di studiare le direttived’azione e, nel contempo, di dispornel’esecuzione, fossero accentrati in unasola persona (77). Qualche mese dopoanche il ministro Corsi lascerà la propriacarica, sostituito prima dal vice ammira-glio Arturo Triangi e poi dal parigradoAndrea Del Bono, che vi rimarrà sino algiugno del 1919 e dal cui archivio perso-

Nelle due foto, gruppi di cacciatorpediniere in navigazione. La guerra in Adriatico fu soprattutto condotta dalle silurantie dalle unità minori (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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nale abbiamo utilizzato vari documentinel presente saggio.Thaon di Revel aveva dunque conseguito,con l’appoggio diretto del Sovrano (quel-l’appoggio che invero gli era mancato dueanni prima, al momento delle sue dimis-sioni), una vittoria completa. Egli infattiera solito dire, come già accennato, chenella guerra adriatica doveva tenere abada innanzitutto gli ammiragli italiani,quindi quelli britannici e francesi (e, dopol’aprile del 1917, anche quelli statuni-tensi) che cercavano di sottrarsi agli ob-blighi convenzionalmente pattuiti neiconfronti dell’Italia, imperniati sul dogmadel comando unico italiano in Adriatico;infine doveva tenere a bada gli ammiragliaustriaci che, in ultima analisi, eranoquelli che, con la loro strategia rinuncia-taria, gli creavano minori problemi e che,paradossalmente, nei propri bollettini diguerra, «si mostravano i più onesti esti-matori dell’opera sua!». A titolo di curio-sità è interessante notare come il generaleCadorna graduasse diversamente daRevel i propri obiettivi polemici, affer-mando di combattere implacabilmentetre distinte battaglie: contro gli Austriaci(che sul fronte terrestre costituivano unapresenza certo più opprimente di quelladel fronte marittimo), contro i suoi gene-rali (ed in questo il suo giudizio combaciaperfettamente con quello di Revel, ten-dente ad evidenziare le lotte interne perla conduzione della guerra) ed infine con-tro i politici di Roma che «nulla capiscono»(di peso minimo sono, per Cadorna, le po-lemiche con gli Alleati, che invece rappre-sentano Revel una preoccupazionecostante) (78). I problemi aperti con gli Al-leati sul fronte marittimo erano infatti dinatura sia tecnica sia politica, anche senon sempre era possibile tracciare unalinea netta di demarcazione tra i dueaspetti, molto legati tra loro. Essi, in so-stanza, si riassumevano nei seguentipunti: protezione del traffico mercantileinteralleato nel Mediterraneo e lotta co-

mune contro la minaccia subacquea ne-mica; difesa dello sbarramento di Otrantoper assicurare il blocco strategico e, so-prattutto, per impedire l’uscita dall’Adria-tico delle unità subacquee tedesche eaustriache che facevano capo special-mente alle basi di Cattaro e di Pola; pro-blema del comando unico interalleatonell’Adriatico e concorso in termini di na-viglio militare che gli Anglo-Francesi sierano impegnati a fornire all’Italia, con laconvenzione navale del 10 maggio 1915,per contribuire alla comune lotta controla flotta austriaca. Infatti mentre le grandiflotte di superficie, nel Mar del Nord, nelMediterraneo e nell’Adriatico, giocavanoda entrambe le parti il ruolo di fleet inbeing (ed erano di fatto ‘flotte in potenzaridotte all’impotenza’ nelle proprie basi -secondo un gioco di parole che si ripeteràspesso nell’immediato dopoguerra -aspettando, per agire, quella grande occa-sione che stentava a prendere corpo sulpiano operativo, anche se nella battagliadello Jutland era stata potentemente sfio-rata), gli Imperi Centrali, dal canto loro,spingendo alle estreme conseguenze lalotta sottomarina, in maniera del tuttoinaspettata ed imprevedibile, stavanoquasi mettendo in ginocchio le forze del-l’Intesa. Nel solo primo trimestre del ‘17,le Marine mercantili dell’Intesa avevanoperso, nell’Atlantico e nel Mediterraneo,poco più di sette milioni di naviglio (ed inparticolare le perdite complessive dellapur modesta flotta mercantile italianaerano state, dall’inizio delle ostilità, paria 323 unità per 500.248 t). Una situazioneveramente d’emergenza che, con le paroleseguenti, viene rievocata nelle sue WarMemories dallo stesso premier britannicoLloyd George (79):

«Quando ripensiamo alla campagnasottomarina della Germania noi siamosoliti considerarla come uno dei suoipiù grossi errori. Ora, se è vero cheessa risultò, da ultimo, l’errore fatale

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che ne decise la sconfitta, non bisognadimenticare che quell’errore solo perun miracolo non tornò fatale a noi e ainostri alleati. Ci furono delle settimanein cui il Governo tedesco poté credersi,grazie a questa campagna, sicurodella vittoria , mentre l’Inghilterra e isuoi alleati vivevano in grandi ansietàe talora in un vero stato d’allarme. Incerti momenti alcuni dei nostri leaderspiù prudenti pensavano che noi pote-vamo essere battuti e che sarebbe statomeglio fare la pace mentre non era-vamo ancora in condizioni disperate».

In questo contesto il contributo italianopilotato dal nuovo Capo di Stato Maggioredella Marina si delinea soprattutto nelsenso di sostenere le ragioni tecnico-ope-rative del sistema del «Convogliamento»,cioè della riunione in convogli dei piro-scafi mercantili, possibilmente omogenei

per velocità, scortate da unità leggere chene assumevano la protezione durante latraversata, rispetto a quelle del sistemaprecedentemente usato, in genere, dagliAlleati, cioè il sistema del «pattuglia-mento», per cui i piroscafi seguivano rotteprecedentemente stabilite lungo le qualisi mantenevano unità da guerra per unservizio indiretto di vigilanza. Un sistemache, considerate le gravi perdite del navi-glio mercantile interalleato, si era inverodimostrato poco pagante, ma su cui gliAlleati continuavano a insistere. Oltre chel’accettazione del sistema del convoglia-mento, si poneva la necessità di fissareuna comune strategia dei trasporti marit-timi in tempo di guerra determinando ilruolo delle singole marine militari alleatenella protezione collettiva del trafficomercantile, che si era mostrato una fonteinesauribile di polemiche. Solo nel ‘17, difronte alla minaccia sottomarina tedescae all’urgenza della crisi da essa creata, siintroducono le Conferenze navali interal-leate, con fini consultivi; vengono creatiun Consiglio navale interalleato, con loscopo di vigilare sulla condotta generaledella guerra marittima e di coordinare lalotta antisom, un Consiglio interalleato deitrasporti marittimi e, ormai alla conclu-sione delle ostilità (settembre 1918), si staper giungere a un Comando unico navaleinteralleato con il fine di coordinare nelcampo strategico i movimenti delle forzenavali nel Mediterraneo (80). I riflessi stra-tegici, operativi ed economici della grandelotta ingaggiata dalle Marine dell’Intesanel debellare l’insidia subacquea nemica,si riscontrano in una nutrita bibliografia(81); quello che è importante sottolineareai nostri fini è l’atteggiamento costante diThaon di Revel in nome della Marina ita-liana, nella fitta trama degli avvenimentiche si succedono: la difesa rigida, senzacompromessi od esitazioni, di quelli checrede siano i preminenti interessi marit-timi dell’Italia. Ed in tale atteggiamentoRevel si mostrerà assolutamente intransi-

Il ritorno del vice Ammiraglio Thaon di Revel alla direzionedella Marina nel febbraio 1917 come capo di Stato Mag-giore e comandante delle Forze Navali Mobilitate segnòla vittoria definitiva della sua concezione della guerriglianavale (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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gente. La storia delle relazioni tra gli Al-leati nella guerra navale adriatica non èstata ancora scritta in maniera esaustiva,per cui nella presente opera, senza pre-tendere di rifare la storia generale, se-condo il nostro proposito espresso nellepremesse, possiamo limitarci ad indicarealcuni episodi che risultano più indicativiper il nostro assunto. Ad esempio, nellaconferenza interalleata del giugno 1917,di fronte alla proposta inglese che tutte leforze navali di vigilanza nel Mediterraneopassassero alle dipendenze del Comandoin Capo britannico, Revel sostiene la tesi(e riesce alla fine ad imporre il suo puntodi vista) che nei mari «nazionali» (cioè ilTirreno, lo Ionio, l’Adriatico ovviamente eil Golfo della Sirte) il compito sia di esclu-siva competenza della Marina italiana, eche invece sulle rotte internazionali (Gi-bilterra — Genova e Napoli — Biserta) leunità militari italiane possono collaborarecon quelle alleate. La suddetta «rigidità»si inasprisce quando si tocca il problemadel comando unico italiano in Adriatico:l’Adriatico, l’Amarissimo, è per il Capo diStato Maggiore il simbolo stesso dellaguerra marittima italiana e quindi il co-mando navale interalleato deve essere diesclusiva competenza degli Italiani (se-condo, peraltro, quanto stabilito dallaconvenzione navale di Parigi). Interpre-tando letteralmente il pensiero dell’Am-miraglio, magari con termini che al lettorecontemporaneo possono sembrare un po’retorici, data l’enfasi di cui sono pervasi,il Manfroni scrive: «In Adriatico nessunopoteva comandare all’infuori degli Italiani;a loro incombeva l’iniziativa e la respon-sabilità. Era il sacro retaggio che i morti diLissa ci aveva affidato e mai la Marina ita-liana avrebbe rinunciato a questo suo do-vere» (82).

E proprio sul problema del comando inAdriatico (in particolare, A.D. — doc. n. 6e n. 9) spesso si spacca l’armonia dellacoalizione navale dell’Intesa, soprattutto

con i Francesi, per le loro petizioni diprincipio (83). In merito possiamo ricor-dare la richiesta francese che le navi dabattaglia italiane si trasferissero da Ta-ranto a Corfù sotto il comando di un am-miraglio francese per far fronte adun’eventuale sortita della flotta russa dalMar Nero, magari riarmata dai Tedeschidopo il crollo zarista (secondo la richiestagià anticipata nella conferenza di Parigidell’aprile - maggio 1917 e rifiorita dopola rivoluzione russa), quasi a significareche in sostanza l’Adriatico era stato svuo-tato del suo significato e della sua perico-losità dal punto di vista navale ebisognasse guardare ormai oltre, ad altrepossibilità operative al momento conside-rate più pressanti, anche se subito doposi sarebbero rivelate, alla prova dei fatti,completamente aleatorie.Parimenti possiamo segnalare il gentleme-n’s agreement italo-francese, a cui però siaddivenne solo dopo innumerevoli di-scussioni, relativo al problema di chiavrebbe dovuto comandare se la flotta ita-liana fosse uscita per necessità dall’Adria-tico, ovvero se quella francese fosseentrata, per pari urgenza operativa, nel-l’Adriatico. E la soluzione non poteva cheessere di compromesso nel senso che sistabilì, sempre dopo le solite intermina-bili diatribe che, se si fosse presentato unreale pericolo navale fuori dell’Adriatico,le unità maggiori italiane sarebbero ac-corse sotto il comando francese; vice-versa, nell’eventualità di una situazione diemergenza adriatica, il grosso della flottafrancese sarebbe entrato in Adriatico, masolo sotto il comando operativo italiano.E la situazione si complicò in un certoqual senso dopo l’intervento degli StatiUniti (6 aprile 1917) e la conseguente pro-posta americana di uno sbarco nella pe-nisola di Sabbioncello, da eseguirsi conforze e sotto il comando statunitensi, conil solo appoggio logistico della Marina ita-liana. Revel vi si oppose ipso facto, sia perragioni di opportunità e fattibilità (in fin

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dei conti la proposta statunitense non fa-ceva altro che ricalcare uno dei piani diguerra già abbozzati a suo tempo, comeabbiamo visto, dallo Stato Maggiore ita-liano, peraltro con un corpo di spedizionedi diecimila uomini, mentre secondo i pia-nificatori italiani ne sarebbero occorsi al-meno venticinquemila), sia per le solitequestioni di legittimità (nell’Adriaticoogni operazione doveva essere direttadagli Italiani), tanto più che i «quattordicipunti» wilsoniani, in sede propriamentepolitica, nulla facevano sperare di buonoper le pretese italiane sulla Dalmazia e nelMediterraneo, secondo quanto stabilitonel Patto di Londra e poi dagli accordi diSan Giovanni di Moriana. In realtà Revelintuisce subito come l’intervento ameri-cano implichi uno ‘scadimento’ del poterecontrattuale dell’Italia nei confronti del-l’Intesa, all’uopo raccontando con sottileironia come, nelle sue visite di servizio aParigi per partecipare alle conferenze in-teralleate, la prima volta nulla sembravaabbastanza buono per ospitare la delega-zione italiana, alloggiata all’hotel Grillone via dicendo. La seconda volta l’albergoprescelto era stato il Ritz, la terza il Mau-rice e, quella che fu l’ultima volta, l’hotelLotti. In pratica, Revel faceva rilevarecome «a misura che gli americani si avvi-cinavano, arrivavano o andavano in lineac’era sempre meno bisogno degli italianie quindi gli alberghi a loro disposizione aParigi diventavano sempre più scadenti!».In ogni caso la risposta di Revel ormai eramonocorde e stereotipa: ogni questioneadriatica era essenzialmente una que-stione italiana; ogni azione compiuta inquesto mare doveva essere eseguita sottoil comando di un ufficiale italiano perché,a suo avviso, «appunto ed unicamente perla questione adriatica l’Italia era entrata inguerra». Il limite della strategia italianaconsiste forse nel sopravvalutare la por-tata del pericolo austriaco in un Adriatico,ormai globalizzato, con la presenza delleunità francesi, britanniche e americane (i

33 sub-chasers di base a Corfù) e dove,quindi, probabilmente nulla di grave po-teva succedere, proprio per il concentra-mento delle flotte dell’Intesa (a cominciaredalle forze italiane, già di per sé superioria quelle della Duplice Monarchia, corro-borate dalle aliquote operative delle sud-dette flotte alleate (e per fortuna che lenavi giapponesi del contrammiraglio Sato,se ne stavano di base a Malta impegnatein compiti di scorta dei convogli alleati nelMediterraneo!). Senza troppo fidarsi degliaccordi e delle promesse accese con gli Al-leati in sede propriamente politica (a cui,come sarà efficacemente detto, «Sonninoe Revel erano attaccati come a delle cam-biali»), sarebbe stato più utile impegnarsidi più nel resto del Mediterraneo per so-stenere così manu navali, le proprie pre-tese al momento della resa finale dei conti.

Il 6 novembre 1918 Thaon di Revel viene promosso «am-miraglio», un grado che da Persano in poi nessuno avevapiù rivestito nei ranghi della Marina tranne i membri dellafamiglia reale (archivio Revel).

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Ma nell’autunno del ‘17 il grave stato diimpasse del fronte terrestre, la possibilitàdella caduta stessa di Venezia e dell’arre-tramento delle forze navali italiane a Brin-disi e a Taranto (senza poi contare ilpericolo stesso di un’invasione marittima)sembravano dare corpo alle fosche previ-sioni di Revel. In questa rapida carrellata,dobbiamo sottolineare come l’ultimo pun-ctum dolens era costituito dalla difesadello sbarramento di Otranto, fonte dicontinue recriminazioni tra gli Alleati checoncorrevano a gestirlo. Tale sbarra-mento, che assicurava il blocco strategicodell’Adriatico, secondo il sistema britan-nico era stato sino ad allora affidato allavigilanza di piccole unità a vapore armatealla meglio (come i drifters, gli chalutiers ei trawlers), protette da unità leggere te-nute in crociera permanente lungo la lineadi difesa mobile. Un sistema che avevaprestato il fianco a molte critiche perchéle unità in esso impegnate non impedi-vano, nonostante tutto, il transito delleunità subacquee nemiche che facevanostrage del naviglio mercantile nel Mediter-raneo, ed erano peraltro di per sé l’obiet-tivo delle sortite a sorpresa della flottaaustriaca (come aveva mostrato la gior-nata del15 maggio 1917). Allo sbarra-mento mobile che abbiamo descritto, gliItaliani volevano opporre un sistema fisso,integrato da unità di superficie, ma essi fi-nivano per scontrarsi inevitabilmente coni Britannici che, non credendo alla validitàdel progetto italiano, volevano mantenere,in sostanza, quello esistente, salvo poi arinfacciare agli Italiani ogni inconvenienteche vi avesse luogo. E solo sullo scorciodella guerra si pervenne ad una soluzionedi compromesso, come al solito tardivaper le esigenze operative, per cui final-mente lo sbarramento fisso si aggiungevaalle linee di sorveglianza mobile (84). Maproprio nella crisi dell’autunno 1917 sipoteva constatare il successo del dominiodel mare, silenziosamente conquistatodalla Marina italiana, e sarà proprio Thaon

di Revel a sottolinearlo ore rotundo, suc-cessivamente, quando avrà occasione dichiedersi platealmente nel Senato delRegno: «che cosa sarebbe accaduto nellegiornate oscure del novembre 1917, se laMarina non avesse dominato l’Adriatico?Chi poteva trattenere il nemico dall’inva-sione? Tutto il nostro Esercito era verso ilfronte del Piave e tendeva a riorganizzarsi,ma se il nemico avesse avuto l’ardimentonecessario e non ci fosse stato chi gliavesse contrastato di attraversare l’Adria-tico, in qualunque punto della costiera asud di Chioggia, l’Italia era aperta all’inva-sione. Fu la Marina ad impedirlo; essa solaaveva armato tutte le coste e provvedutoalla loro difesa» (85).E nei drammatici giorni di Caporetto,mentre i «marinai-fanti» si battevano conle proprie artiglierie, dapprima nella im-provvisata linea di resistenza che andavadalle foci del Tagliamento a Latisana e,poi, a Casa Cornoldi e alle Fornaci diBrazzà sul basso Piave, Venezia si appre-stava a sperimentare la sua difesa a 360°,nonostante le sollecitazioni volte a farladichiarare «Città aperta». Nei tristi giornisuccessivi a Caporetto, dal 26 ottobre al20 novembre, Revel da Roma si trasferiscenuovamente a Venezia, divenuta il fulcrodella resistenza italiana, per controllare dipersona il rafforzamento della difesedella città e della laguna e per stare più vi-cino al fronte, dove si battevano i repartidella Marina e dove spesso si recava per-sonalmente, impartendo direttamente or-dini, sempre scritti, anche se su fogliettivolanti, come il suo stile voleva. “Morticome sul ponte delle navi/come sanno/imarinai dovunque morire”, sarà l’epitaffiodannunziano dei “mirabili fanti navali”che trovarono la morte sul fronte terre-stre!. E proprio a quei giorni risale un epi-sodio che Revel non poteva non ricordaresenza commuoversi. Al Comando Marinadi Martignacco, gli venne riferito che Vit-torio Emanuele era passato più volte eaveva chiesto espressamente di lui. Reca-

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tosi perciò a Villa Italia, sede diguerra del Sovrano, mentrel’Aiutante di campo, generaleBrusati, stava già facendo pre-parare i bagagli, Revel, nel col-loquio col Re, cercava disollevargli il morale, dicendogliche la Marina ‘teneva’ e nonaveva disertori tanto che, aibandi di arruolamento volonta-rio per combattere sul fronteterrestre, tutti gli equipaggi in-distintamente si erano offerti,sguarnendo, fino ai limiti delpossibile, le navi stesse. Ebbe intale occasione l’impressione chele sue parole facessero bene alSovrano che alla fine, con ungesto improvviso e per lui certoinusuale al di là di qualsiasi formalismoprotocollare, mettendogli una mano sullaspalla, gli chiese in piena confidenza:«Perché lei, Revel, è mio amico, non èvero?». «Ma certo, Maestà, certamente», ri-spose al culmine dell’imbarazzo l’Ammi-raglio che, in tale circostanza, non poténon sentirsi come il sarto di manzonianamemoria davanti al cardinale Borromeo!(86). E non sarà l’unica volta, come ve-dremo, che il Re si aprirà umanamente difronte a Revel nel momento del paventatopericolo.E dopo l’episodio di Cortellazzo, alla focedel Piave, del 16 novembre 1917, in cui iMAS di Costanzo Ciano respinsero il pe-ricolosissimo tentativo delle corazzatenemiche Wien (affondata poi da Rizzonella notte sul 10 dicembre successivonella rada del porto di Trieste) e Budapestdi bombardare dal mare le postazioni ter-restri italiane in corso di assestamento edopo la scorreria del 22-23 aprile 1918 diuna squadriglia di caccia contro lo sbar-ramento di Otranto, la flotta austriacapraticamente non si mosse più. E quelloche doveva essere il «grande piano» delsuo nuovo comandante, ammiraglioHorty - per cui una forte aliquota della

flotta si stava dirigendo all’ennesimo at-tacco del Barrage di Otranto - al suo esor-dio venne sventato nei pressi di Premudadal MAS di Rizzo all’alba del 10 giugno1918, proprio il giorno in cui cadeva il 59°compleanno del Capo di Stato Maggiore,che così si esprimeva dando l’annuncioalla moglie dell’affondamento della co-razzata austriaca Szent Istvàn (87):

11-VI-1918Mon Irène,

Hier Dieu a voulu protéger l’Italie.Deux grands navires autrichiens mo-yennant deux petits motoscafi ont étécoulés dans la moyenne Adriatique. Sila Providence veut nous assister dansune lutte que nous croyons juste denotre part, il faut continuer à travailleren silence et persévérance et ne pass’enorgueillir des premiers succès.Hier j’ai diné chez le Roi qui a été trèscordial et m’a remis la nouvelle déco-ration de la Croix au Mérite de Guerre.Embrasse Nellina [la figlia Clorinda],les choses les plus affectueuses àAdrien [il fratello Adriano]Mille baisers de ton.

Paul

l resti della corazzata austriaca WIEN, affondata, da Luigi Rizzo, nel porto diTrieste la notte del 10 dicembre 1917, con una dedica autografa dello stessoRizzo a Revel (archivio Revel).

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Negli ultimi giorni di settembre1918, il generale francese Fran-chet d’Esperey, comandantedell’Armé d’Orient che si bat-teva in Macedonia (teatro ope-rativo al quale partecipava,ricordiamo, dall’agosto 1916 unCorpo di spedizione italiano, dicui la Marina si era assunta iltrasporto e gli oneri logistici),per tramite del suo governo,chiese all’Italia la distruzionedella base nemica di Durazzo,precisando che, qualora la ma-rina italiana non avesse credutodi effettuare l’operazione ri-chiesta, la flotta franceseavrebbe potuto compierla dasola con i propri mezzi. NelConsiglio di Guerra che neseguì, Revel, ben compren-dendo quali sarebbero stati, allaresa dei conti che ormai si avvi-cinava, gli effetti strategici e po-litici negativi per l’Italia di unasimile richiesta, qualora fosserimasta inevasa, propose imme-diatamente che l’operazionecontro Durazzo venisse effet-tuata dalle forze italiane con il“concorso” degli alleati (fran-cesi, britannici e una squadri-glia di sette sub-chasersamericani), ma “sempre e solosotto il comando unico ita-liano”. Una volta approvata lasua proposta, Revel si recò su-bito a Brindisi, ove giunse il 29settembre e, dopo una rapidis-sima preparazione, alzò il suovessillo sulla corazzata mono-calibra Dante Alighieri. E nel po-deroso dispositivo aeronavaleinteralleato dispiegato per ef-fettuare il bombardamento na-vale di Durazzo del 2 ottobre,Revel riservava a sé e al GruppoDante “la parte più aleatoria e

Cartolina celebrativa del varo della corazzata monocalibra DANTE ALI-GHIERI (Castellammare di Stabia, 20 agosto 1910) con la panoplia deisuoi progettisti e costruttori. Sulla DANTE Revel, Capo di Stato Maggioree Comandante delle Forze navali mobilitate, innalzò la sua insegna dicomando in occasione dell’operazione interalleata del bombarda-mento di Durazzo il 2 ottobre 1918. Di seguito altre due foto che riguar-dano la medesima nave: l’una ci mostra l’«imbraco» delle artiglierie dibordo, l’altra le sue prime prove a fuoco (archivio Revel).

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densa di responsabilità, cioè il compito ditenere sotto controllo la base nemica diCattaro, pronto a ingaggiare battaglia conle navi nemiche che eventualmente neuscissero in soccorso di Durazzo. Ma gliAustriaci non reagiscono e la grande bat-taglia navale, che a questo punto tutti au-spicavano, ancora una volta non ci sarà!.Mentre appena qualche settimana dopo,l’impresa di Rossetti e Paolucci a Pola(nella notte sul 1° novembre) avrebbe se-gnato il trionfo di quella «Strategia dellabattaglia in porto», da sempre predicatadal Capo di Stato Maggiore (che ne avevaseguito la preparazione, come al solito,molto da vicino). La celeberrima “Notte diPola”, una delle due notti epiche della Ma-rina italiana insieme a quella di Alessan-dria di 23 anni dopo, è stata più volteanaliticamente descritta in tutte le sue se-quenze (e senza peraltro sostanziali no-vità), mentre ci si è soffermati di meno suisuoi prodromi che investono diretta-mente la figura di Revel. Ce ne parla nellesue memorie (88) lo stesso Raffaele Pao-lucci, all’epoca tenente medico di comple-mento imbarcato sulla corazzataEmanuele Filiberto, una delle vecchieunità da battaglia che facevano da scudodi artiglieria al litorale veneziano. L’ini-ziale progetto personale di Paolucci eraquello di “penetrare di notte anuoto in un porto nemico, trasci-nando da solo una torpedine”. Equando fu sicuro della sua pre-parazione, perseguita costante-mente tutte le notti, dopo averesposto il suo progetto (inutil-mente) alle autorità navali lo-cali, decide si rivolgersidirettamente a Revel con racco-mandata personale e col bollo‘esente da cesura’, ben sapendodi compiere, come esordiscenella sua lettera, “un atto di in-disciplina osando di rivolgermidirettamente al Comandante su-periore della R. Marina”. Revel

non risponde, ma il 2 agosto 1918 com-pare inaspettatamente a bordo dell’ Ema-nuele Filiberto, fa convocare Paolucci e gliespone la sua filosofia strategica, in cuic’è posto per tutti (“Lo scopo che mi pre-figgo è quello di colpire con ogni mezzo laflotta nemica e per raggiungerlo mi servodi coloro che ne mostrano capaci”), quindilo licenzia dopo avergli dato la mano esorriso con molta simpatia. Ed è Revel chemette in contatto operativo due perso-naggi che, con metodi diversi, si prefigge-vano lo stesso scopo, cioè il maggiore delGN Raffaele Rossetti che a La Spezia stavalavorando a quella ‘special engine’, cono-sciuta poi col nome di mignatta. Il 5 set-tembre al Comando delle siluranti allaGiudecca, infine l’incontro di Paolucci conRossetti, il suo compagno d’avventura:“Ci siamo stretti la mano con cordialità –ricorderà Paolucci – Ha l’aspetto di unuomo forte e sereno. Mi accorgo che amaparlare poco. Non poteva infatti darmi lebrevi spiegazione fornitemi con un nu-mero minore di parole; questa serietà tut-tavia mi piace”. E all’Arsenale, in unabaracca in legno dove lavorano sei operaiche Rossetti si è portato dietro da La Spe-zia, Paolucci vede per la prima volta l’ap-parecchio in corso di perfezionamento ene scopre il funzionamento, che così ci

La MIGNATTA usata per affondare il 1° novembre 1918, nel porto di Pola, lacorazzata austroungarica VIRIBUS UNITIS (foto Ufficio Storico della Marina Mi-litare).

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descrive: “Due propulsori di siluro, ad ariacompressa, regolabili con manovellaesterna, con due torpedini agganciate allatesta di ogni siluro che contengono cia-scuna 170 kg di tritolo. L’accensione av-viene automaticamente all’ora volutamercé un apparecchio di orologeria. Esisteinoltre uno speciale congegno magnetico(mignatta) per tenere attaccata automati-camente la torpedine allo scafo nemico”.Due mesi ancora di preparativi e affiata-mento tra i due protagonisti e l’impresadi Pola passa alla storia. Se la parago-niamo poi a quella di Alessandria, non sipuò non rilevare, in un particolare moltosignificativo, un progressivo imbarbari-mento della guerra. Dopo aver rivelato,per salvare vite umane, che la nave correserio, imminente pericolo, nel marasmagenerale che ne segue, «quando Rossettichiede a Von Vukovich [comandante dellaViribus Unitis] se possiamo salvarci — rac-conta sempre Paolucci — il comandanteci dice “Si salvino”. Così saliti in coperta cigettiamo in mare». Non sarà così ventitréanni dopo in circostanze analoghe, allor-ché il capitano di vascello Charles Mor-gan, comandante della Valiant, farà inveceriaccompagnare Durand de la Penne nellacala dove era stato rinchiuso insieme alsuo compagno nell’impresa, Emilio Bian-chi, pur dopo la sua rivelazione a fin dibene («Gli dico che fra pochi minuti la suanave sarebbe saltata, che non vi era piùniente da fare e, se voleva, poteva metterein salvo l’equipaggio!» (89). Salvo poi il‘beau geste’ col quale, dopo l’armistizio,l’ammiraglio Morgan, diventato nel frat-tempo Capo della Missione navale alleatain Italia, «chiese e ottenne l’onore di ap-puntare la MOVM al petto di de la Penne edei suoi compagni, intendendo con questogesto esprimere la profonda ammirazionedella marina britannica per l’attacco effet-tuato ad Alessandria» (90) Parlando diRevel e degli esiti della guerra sul mare,ex-post, il Duca degli Abruzzi, il principaleantagonista dei metodi di Thaon di Revel,

come abbiamo visto, nella conduzionedella strategia adriatica, secondo la testi-monianza dell’ammiraglio De Feo, gover-natore dell’Eritrea negli anni Trenta, cosìsi era espresso: «Chissà! Forse l’ammira-glio Revel aveva ragione!»(91).La guerra navale era costata alla Nazionela perdita di 3 corazzate, 2 incrociatoricorazzati, 1 esploratore, 8 cacciatorpedi-niere, 6 torpediniere, 8 sommergibili e 11navi ausiliarie, per un complesso di 108281 t di naviglio, a cui si aggiungevano955 000 t di unità mercantili, unitamentea 267 velivoli e 7 aeronavi dell’aviazionemarittima; 3.169 erano i caduti e 2.936 iferiti, su una forza totale mobilitata di68.014 uomini.Le complesse vicende armistiziali e, suc-cessivamente, quelle della Conferenza dipace di Versailles (alla cui prima faseThaon di Revel come delegato navale) (92)non avrebbero risparmiato delusioni eamarezze a colui che ormai da tutti ve-niva chiaramente indicato come l’arteficedella vittoria navale italiana in Adriaticoe che, all’indomani della conclusione dellaguerra, come nei primi anni della pace,avrebbe continuato a combattere la «sua»battaglia volta ad assicurare il dominio diquesto mare all’Italia, necessario, secondole sue vedute, per tutta una serie di con-siderazioni strategiche, riassunte in ma-niera efficace e pregnante nel seguentebrano che Revel avrà occasione di pro-nunciare di fronte al Senato del Regno:«Senza il dominio della Dalmazia e del suoarcipelago, le aperte, popolose e ricchecoste della Romagna e della Puglia sa-ranno alla mercé del nemico e poco im-porta che non esista più la DupliceMonarchia danubiana perché nel nuovoRegno dei Serbi-Croati si sarebbero sem-pre potute installare basi nemiche, peresempio francesi, e all’Italia mancherà lasicurezza adriatica tanto a lei necessaria,dovendo essa prevedere ancora una voltala contemporaneità delle offese da levantee da ponente».

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Insieme al ministro Sonnino, di fronte auna vittoria che ormai sembrava “per-duta” (Revel preferiva questo aggettivo alposto di quel “mutilato” tipico della pub-blicistica politica dell’epoca) si trovaquindi a difendere fino al limite del pos-

sibile l’applicazione integraledel Patto di Londra perché, asuo avviso, «appunto ed uni-camente per la questioneadriatica l’Italia era entrata inguerra», come ormai era so-lito ripetere da anni. Eral’epoca in cui a chi (come Gae-tano Salvemini) faceva notareche Revel era affetto dalla«scabbia adriatica», l’Ammi-raglio, con la consueta ironia,che sfiorava il sarcasmo, ri-spondeva che, in ogni caso,era meglio avere la scabbiaadriatica che la «dissenteriarinunciataria». Nelle carte diRevel numerosi sono gli epi-sodi in cui si rileva, sempresul filo della memoria pri-vata, come l’Ammiraglio (etale grado gli infatti era statoconferito «per merito diguerra» dopo che non erastato più ricoperto nella Ma-rina italiana, da Persano inpoi, eccezione fatta per i prin-cipi di sangue reale) cerchi inogni modo di salvaguardaregli interessi italiani in Adria-tico: dagli espedienti di sa-pore nelsoniano per cuicontinua per ventiquattro orele occupazioni adriatiche,anche dopo che gli era perve-nuto l’ordine ufficiale di so-spenderle, adducendo lalarvata giustificazione che ilmessaggio che tale ordinetrasmetteva era risultato «il-leggibile», all’apprezzamentostrategico di alcune situa-

zioni particolari (ad esempio, che il pos-sesso dell’isola di Cherso senza Lussinoera completamente inutile, dato che nonerano separate da un braccio di mare di 7miglia, come si pensava nella Conferenzadi Parigi, male interpretando le carte nau-

L 'Ammiraglio Thaon di Revel con i delegati delle Marine alleate a Parig i nel1918 (archivio Revel).

L’Ammiraglio Thaon di Revel all’uscita della Conferenza degli alleati a Parigi,accompagnato dall’Aiutante di Bandiera T.V. Manfredi Gravina, Conte di Ra-macca ((foto Ufficio Storico della Marina Militare).

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tiche, ma solo da sette metri di mare,tant’è vero che le due isole erano unite daun ponticello di legno), alla profonda con-vinzione, al di là delle petizioni di princi-pio wilsoniane, dell’italianità della spondaorientale dell’Adriatico e della «volontà»italiana dei suoi abitanti. Tanto chequando si diffuse la notizia che l’isola di

Lussino, a causa della sua «presunta» lon-tananza da Cherso, non sarebbe statadata all’Italia, per iniziativa del sindacoFrancesco Bussanich, i suoi abitanti vole-vano addirittura colmare di pietre il pic-colo canale divisorio di modo che le dueisole diventassero una sola!. Sempre com-muoveva l’Ammiraglio il racconto che il

Le occupazioni adriatiche effettuate dalla Marina italiana all'indomani dell'armistizio con gli Austriaci (archivio Revel).

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Comandante del Ct Acerbi, Guido Po, gliaveva fatto di un episodio che gli era ca-pitato: un giorno ad Abbazia, dopo le ma-nifestazioni d’entusiasmo dellapopolazione che praticamente aveva rico-perto di fiori la nave, alla fine, quando lafolla si diradò, i marinai scorsero accoc-colato sul molo un bambino immobileche, alla richiesta del perché non se ne ri-tornasse a casa, per tutta risposta disse:«Voglio guardare l’Italia». E quando il co-mandante Frochot, addetto navale fran-cese a Roma, gli chiese se non ritenessegiusto che sulle piazzeforti conquistatedall’Italia alla Duplice Monarchia fosseroinnalzate, insieme a quella italiana, anchele bandiere degli Alleati, Revel, con celatosarcasmo, gli rispose «Mais oui, certaine-ment, mais le même jour, à la mêmeheure, il faudra hisser le drapeau italienaussi à Lille et à Strasbourg» … e ovvia-mente non se ne parlò più!.Polemicamente l’Ammiraglio contestavaquello che pareva l’atteggiamento troppoblando e rinunciatario assunto dai politiciitaliani alla conferenza della pace equando Vittorio Emanuele Orlando (dettoscherzosamente in quel tempo, dalle sueiniziali, Vittorio Emanuele Zero) giustifi-cava la propria arrendevolezza lamentan-dosi dell’atteggiamento impetuoso di

Clemenceau («che si metteva a tirarepugni sul tavolo»), Revel lo rimbeccò: «Eb-bene li tiri anche lei» (93). Ma dato che la conferenza di pace chiara-mente mostrava che gli impegni assuntidagli Alleati col patto di Londra e con gliaccordi di San Giovanni di Moriana veni-vano ormai disattesi nello spirito e nellalettera, l’Ammiraglio, giudicando la situa-zione per lui insostenibile e vedendo comela vittoria adriatica, quale lui l’aveva con-cepiva, veniva di fatto vanificata, per la se-conda volta decise di dimettersi dallacarica di Capo di Stato Maggiore (il 24 no-vembre 1919). E in seguito, nei nuovi inca-richi di ispettore generale della R. Marina(novembre 1919-maggio 1920) e di presi-dente del Comitato degli Ammiragli (mag-gio 1920-30 ottobre 1922), a cui vennechiamato, continuava da solo la «Sua»lotta per la difesa degli interessi politici estrategici in Adriatico, ogni volta che gli sipresentava l’occasione opportuna.Le vicende, le difficoltà, le delusioni deldopoguerra adriatico nell’ambito dellaMarina italiana sono state esposte in unaricca memorialistica (94) e sempre hannofinito per trovare in Thaon di Revel un os-servatore attento, con una parola di com-mento appropriata e lungimirante. Peresempio, vincendo la sua abituale diffi-

denza verso la stampa diopinione, dichiara al quo-tidiano La Tribuna:

«Io non sono un uomo po-litico, quindi non spetta ame il proporre se Fiume— incontestabilmente ita-liana — e le città dellaDalmazia aventi popola-zioni di varia nazionalità,debbano costituirsi incittà libere ovvero plebi-scitariamente, od inun’altra forma, essere ri-congiunte all’Italia. Iosono un uomo di mare e

Targa ricordo sul molo Audace a Trieste, dell’approdo della R.N. AUDACE il 3 novem-bre 1918.

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debbo quindi limitarmi aprospettare la questionedella nostra sicurezza inAdriatico dal punto divista delle nostre neces-sità marittime e navali».

E sotto il profilo strategicoper Revel non ci sonodubbi sulla necessità as-soluta del possesso ditutte le città della costaistriana e dalmata; solo intale maniera infatti, a suoavviso, si sarebbe potutogarantire il predominiomarittimo sulla costaorientale, perché nel-l’Adriatico, secondo unodegli aforismi che l’Ammi-raglio era solito ripetere«O si domina o si è domi-nati, tertium non datur!».Parimenti intensi nell’im-mediato dopoguerrasono i contatti con il pub-blicista e opinion-makerstatunitense Whitney Wil-son, che poi aderirà allacausa dannunziana diFiume, organizzerà aNew York il «Fiume Day»e il «D’Annunzio Day» esarà nominato dal Poeta‘ambasciatore negli StatiUniti’ della «Reggenza del Carnaro». In unadelle numerose lettere a Wilson, Revelavrebbe ribadito che: «Trento, Trieste,Istria, Dalmazia, Adriatico sono cinque pa-role magiche le quali per gli Italiani, di qual-siasi parte del mondo, giustificano la fiduciasulla quale si basa la vita e l’azione stessadella nuova Italia. L’Italia non sarà comple-tamente unita e non potrà sentirsi sicurafino a quando le sue “porte” resterannoaperte, fino a quando non avrà ricondottoalla loro culla quelli fra i suoi figli che si tro-vano ancora sotto il giogo straniero».

E quando esplode la crisi dannunziana aFiume (95), nel Consiglio della Corona del25 settembre 1919, Revel definisce l’oc-cupazione di Fiume da parte dei legionaridannunziani come un «deplorato episo-dio» (né altro avrebbe potuto fare, cono-scendo la sua mentalità ancorata alrispetto della tradizione e della gerar-chia), esprimendo tuttavia l’avviso che,per una corretta interpretazione, è neces-sario, “risalirne le cause”, cioè l’insoddisfa-cente sistemazione politica dell’Adriatico,dovuta alla mancata applicazione del

L’arrivo delle grandi unità austriache a Venezia (nella foto le navi da ballaglia TE-GHETTOFF e PRINZ EUGEN) (24 marzo 1919) per essere avviate alla demolizione, rap-presenta il segno più tangibile della vittoria adriatica; in tale occasione, in cima alpennone della corazzata TEGHETTOFF venne emblematicamente segnalato: «Paceai morti di Lissa » (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

L’esploratore austriaco ADMIRAL SPAUN entra nel bacino di San Marco come predadi guerra (24 marzo 1919)(foto Rivista Marittima).

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Patto di Londra. Ed in seguito, il 17 dicem-bre del 1920, poco prima del “Natale disangue” che chiude l’esperienza dannun-ziana a Fiume, nella votazione del Senatosulla ratifica del Trattato di Rapallo, chesanciva definitivamente la rinuncia ita-liana alla Dalmazia, l’Ammiraglio fu unodei ventidue senatori che presentaronovoto contrario (di fronte purtroppo a ben262 che si espressero invece per il «sì»).Una battaglia senza esclusione di colpidunque, che possiamo seguire analitica-mente nei suoi numerosi interventi parla-mentari dell’epoca (96), in cui spessol’ammiraglio si trovò a combattere dasolo, anche nello stesso ambito nazionale,con le posizioni assunte dall’Esercito sulla

indifendibilità della costiera orientale econtro le posizioni conciliatrici (a suo av-viso ‘troppo conciliatrici’) assunte ufficial-mente dai responsabili politici dellaMarina del tempo (97). La grande batta-glia adriatica ingaggiata da Revel sin dailontani giorni dei suoi pro-memoria diservizio alla vigilia della guerra, era ormaiirrimediabilmente persa, anche se l’Am-miraglio avrebbe continuato a sostenerlae a mantenerla viva in ogni occasione chegli si sarebbe offerta, tanto più che, nellagravissima crisi istituzionale che si profi-lava all’orizzonte nell’ottobre del 1922,inaspettatamente gli si offriva l’occasionedi ritornare clamorosamente alla ribaltapolitica.

Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

NOTE(43) Crisi mondiale e Grande Guerra 1911-1922, Il Saggiatore, Milano 1968, vol. II, p. 265.

(44) All’uopo A. G. De Riccardi, Studio critico della guerra e politica navale europea, Tip. commerciale editrice,Roma 1933, p. 25 e segg.; M. Gabriele, La politica navale italiana dal 1885 al 1915, Ufficio Storico della Marina, Roma1985, p. 231 e segg. e «Leggi navali e sviluppo della Marina» in Rivista Marittima, fasc. luglio e agosto-settembre 1981.

(45) Per cui dal momento dell’impostazione all’entrata in servizio erano richiesti, per esempio, per la costru-zione di grandi unità da battaglia, dai 28 mesi della Dante a i 48 della Giulio Cesare e ai 51 della Leonardo daVinci; mentre all’estero i tempi oscillavano dai 23 mesi della King Ceorge V (Gran Bretagna), ai 27 della ViribusUnitis (Austria-Ungheria), a i 33 dell’Arkansas (Stati Uniti)

(46) «The lack of light craft to serve as escorts or scouts (...) and the small displacement of those which wereavailable», come ben fa notare Paul Halpern (The Mediterranean Naval Situation 1908-1911), Harvard UniversityPress, Cambridge (Mass.) 1971, p. 198.

(47) A riguardo Ludovico Calderara- Attilio Marchetti, Mario Calderara. Aviatore e Inventore, Lo Gisma editore,Firenze 1999, p. 62 e 139.

(48) http://www.aviation-report.com/100-anni-di-aviazione-navale-limpiego-del-cielo-a-sostegno-delle-forze-navali/.

(49) Op. cit., vol. II, p. 268.

(50) Ai documenti analiticamente riportati nell’Appendice documentaria (vds. doc. n. 4 e 7) possiamo aggiungereil promemoria indirizzato al presidente del Consiglio Salandra in data 251uglio 1913 in cui egli, proponendo unpiano organico della flotta nel prossimo quinquennio (cioè 1913-1918), ribadisce l’esigenza che l’Armata sia almenolo 0,6 di quella della Francia e i 4/3 di quella austro - ungarica (ACS, carte Salandra, b.2, fasc. 16) (A.D., doc. n. 5).

(51) Nell’ottobre del 1914, secondo le decisioni del Comitato degli Ammiragli, furono stabilite le seguenti mo-difiche: 33mila t (anziché 30 mila) e 28 nodi (anziché 25). Tali corazzate rapide dovevano annullare il pericolosovantaggio strategico degli esploratori pesanti austriaci, rispetto alle analoghe unità italiane. Per un ulteriore ap-profondimento, vds. Guido de Riccardi, op. cit., p. 46.

(52) In una piena consonanza di vedute con il Capo di Stato Maggiore, generale Alberto Pollio, da Halpern de-finito «a firm champion of the Triple Alliance», che a su a volta premeva per incrementare le costruzioni subacqueeal fine di garantire la difesa della costiera italiana dai prevedibili attacchi della flotta francese alle comunicazionilitoranee e alle grandi città portuali del Tirreno.

(53) Per cui la zona d’operazioni austriaca comprendeva tutto l’Adriatico sino al parallelo di Santa Maria diLeuca, quella italiana tutto il Mediterraneo occidentale sino alla congiungente Santa Maria di Leuca - Ras el Tin(Alessandria d’Egitto), mentre il Mediterraneo orientale veniva considerato zona d’operazioni comuni (alla Ger-mania si riservava il Mar del Nord, il Baltico, la Manica e la parte dell’Atlantico che bagna l’Europa). Secondo unavisione molto ottimistica «ogni i flotta doveva ottenere il dominio del mare nella sua zona ed impedire la riunionedei gruppi nemici per batterli separatamente». All’uopo G. Ducci, «Accordi e convenzioni durante la Triplice Al-leanza», in Rivista Marittima, marzo 1935; M. Gabriele, Le convenzioni navali della Triplice, Ufficio Storico dellaMarina, Roma 1969, p. 170 e segg. e P. Halpern, op. cit., p. 290 e segg..

(54) Il testo della convenzione, pubblicato per la prima volta dal Pribram e dal Caprin, prevedeva la riunionedel grosso della flotta italiana fra Messina e Milazzo, della flotta austriaca ad Augusta e della divisione navale te-desca operante nel Mediterraneo a Messina, ovvero tra Gaeta e Napoli, dato che gli obiettivi principali erano: l’at-

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tacco ai trasporti militari francesi dalle colonie al territorio metropolitano, quindi battere separatamente le dueparti della flotta francese (di Biserta e Tolone), ed infine scontro decisivo al più presto, prima dell’arrivo dellaflotta russa del Mar Nero, ritenuto all’epoca plausibile.

(55) M. Gabriele, La politica navale cit., 285 e segg., e «Origini della convenzione navale italo-austro-germanicadel 1913» in Rivista Storica de l Risorgimento, fasc. 3-4/1965 e R.B. Boshworth, La politica estera dell’Italia giolit-tiana, Editori Riuniti , Roma 1985, p. 246.

(56) Archivio Centrale dello Stato, Consiglio dei Ministri, Verbali delle Adunanze, 1° Agosto 1914.(57) Diario 1914-18, a cura di L. De Rosa, Mondadori, Milano 1965, p. 86.(58) «A Fleet in Being: the Rise and Fall of Italian Sea Power (1861-1943)» in The International History Review,

February 1988, p. 114.(59) Op. cit., p. 317. Sulla convenzione navale con l’Intesa alla vigilia della guerra, cfr. M . Gabriele, «La conven-

zione navale itala-franco-britannica del 10 maggio 1915» in Nuova Antologia, fasc. 1972 e 1973, aprile e maggio1965 e J.P. Halpern, «The Anglo- French-Italian Convention of 1915» in The Historical Joumal, March 1970.

(60) AUSMM, Documentazione storica, (1909), c. 119 (studio sommario circa una spedizione dell’Italia control’Impero austro-ungarico); (1909), c. 296 (studio di preparazione militare marittima contro l’Impero austro-unga-rico); (1914) c. 518/f.1 (studio militare sull’Istria) e f.3 (progetto d’occupazione dell’isola di Lagosta) e f. 4 (occu-pazione delle isole Curzolane) e f.6 (notizie sull’isola di Lissa) e Cronistoria documentata della guerra marittimaitalo – austriaca, Ufficio Storico della Marina, Roma 1922, fasc. XII (Impiego delle Forze navali – Operazioni (“Offertadi concorso americano per l’occupazione di una base in Dalmazia: Sabbioncello’, p. 53 e segg.).

(61) F. Martini, Diario cit., p. 868 e J. A. Thayer, L’Italia e la Grande Guerra, Politica e Cultura dal 1870 al 1915,Vallecchi, Milano 1964, vol. II, pp. 221-222 .

(62) CTR, fasc. «Mio Padre» II, pp. 10-11.(63) Chiaramente espresso nel Piano Generale delle operazioni marittime in Adriatico in cui Revel aveva definito

quello che egli chiama il ‘canone inoppungnabile’ della strategia navale in guerra, cioè «non esporre assolutamentela flotta a perdite non compensate da prevedibili vantaggi, ovvero da perdite superiori, o almeno equivalenti delnemico». Per la genesi e gli sviluppi di detta impostazione strategica il mio saggio « Le Operazioni navali in Adria-tico 1915-18», in Bollettino d’Archivio USMM, giugno 2008, pp. 65 – 148.

(64) AUSMM, Documentazione storica, (1914), c. 331 (Breve promemoria circa la possibilità di dare alla nostraazione in Adriatico un’impronta coercitiva).

(65) AUSMM, (1915-1917), c. 493/1 (Diario di Thaon di Revel - Navi e Siluranti in azione) e G. Scarabello, Il mar-tirio di Venezia durante la Grande Guerra e l’opera di difesa della R. Marina italiana, Venezia 1932-33, 2 voll..

(66) Sarà proprio Revel a indirizzare alla flotta, il 24 marzo 1918, uno speciale OdG per illustrare il sacrificiodi Bafile e, pochi giorni dopo, il 9 aprile 1918, a voler rendere ancora più significativo l’omaggio all’eroe abruzzese,disponendo che il Battaglione “Monfalcone” assumesse la denominazione di “Bafile”, con il mottetto dannunziano“E sul monte e nello stagno / Son qual fui falcon grifagno” (http://www.guardiagreleweb.net/focus/storia/3064/andrea-bafile-nella-difesa-del-basso-piave).

(67) «Cannoni navali alla fronte terrestre», in Rivista Marittima, gennaio 1970. Sul contributo dei marinai sul fronteterrestre, con i suoi 384 caduti, più di 1.500 feriti e mutilati e 584 ricompense al valore militare, in particolare cfr. l’ormaiclassico testo di M. Giordani, Il Reggimento San Marco, Bertarelli , Milano 1920, F. Schiavi «Con il Reggimento Marinanella prima guerra mondiale» e F. Sanfelice, «La collaborazione tra Thaon di Revel e Cadorna e il ruolo della Marina ita-liana» in Rivista Marittima, rispettivamente aprile 1980 e dicembre 2016. Quest’ultimo riassume come «nei primi dueanni di guerra, la Marina provvide ad occupare, presidiare e mettere in stato di difesa il litorale redento, fornendocannoni, munizioni e personale alla III Armata; ma quello che più conta, con le navi e siluranti dislocate in Alto Adriatico,poté tenere in rispetto le unità avversarie, le quali mai si avventurarono a disturbare il fianco destro del nostro schiera-mento e quando lo tentarono, ne ebbero tali risultati da costringerle a rinunziarvi [‘Cortellazzo docet!], facendo rilevarecome tale collaborazione – non priva di momenti di dissenso, fu sempre caratterizzata dalla volontà di aiutarsi recipro-camente a superare ogni difficoltà, per il bene del Paese» e, infine anche, http://www.marina.difesa.it/storiacultura/sto-ria/storianavale/Pagine/grandeguerra.aspx e http://win.storiain.net/arret/num160/artic4.asp.

(68) I MAS, nei diversi significati assunti dalla sigla (Autobarca Armata SVAN, Motobarca Anti Sommergibile,Motobarca Armata Silurante, Motoscafo Anti Sommergibile, sino al dannunziano Memento Audere Semper), sonostati tradizionalmente distinti in quattro gruppi: SVAN, Orlando e Baglietto da 12 t; MAS da crociera SVAN da 19t; tipo Elco, privo di siluri; tipi veloce e velocissimo Baglietto da 30 t e SVAN da 1830 t. Durante la guerra ne furonoordinati 422, ma costruiti solo 244 esemplari, all’uopo E. Bagnasco, «Lo sviluppo e l’impiego dei MAS nella primaguerra mondiale» in Rivista Marittima, giugno 1966.

(69) Una delle preoccupazioni di Revel fu sempre costituita dallo sviluppo dell’Aviazione marittima; infatti, dallasituazione non certo ottimale esistente all’inizio della guerra (solo 15 idrovolanti e 3 aeronavi), si arrivò a contare allafine della guerra ben 552 idrovolanti, 86 aeroplani e 16 aeronavi, che avrebbero compiuto 3. 173 missioni di guerra;in merito, G. Fioravanzo, «L’attività aerea della Marina durante la guerra 1915-18», in Rivista Marittima, giugno 1965.

(70) Come scrive Vittorio Tur (Plancia Ammiraglio cit., vol. II, p. 274) il concetto di treno armato per la difesacostiera «era stato pensato e voluto dall’ammiraglio Revel , validamente aiutato dal ministro dei Lavori PubbliciCiuffelli» . Si trattava di vetture ferroviarie opportunamente modificate ed armate con pezzi da 152 o 120 mm econ due antiaerei da 76. Scaglionati sui 387 km di costa adriatica, essi potevano efficacemente agire, a chiamata,sia contro navi sia contro aerei. L’idea venne trovata così efficace che gli Stati Uniti, sviluppando il concetto, nel

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Supplemento alla Rivista Marittima

dicembre del 1917, diedero inizio alla costruzione di quelli che chiamavano «naval railways guns» che, 235 giornidopo, entravano in servizio sul fronte occidentale (sull’argomento, l’esposizione a essi dedicata nel Navy Museumdi Washington D.C., sezione World War I). Per un approfondimento del problema, in particolare, Ufficio Storicodella Marina, I treni armati della R. Marina per la protezione costiera durante la guerra italo-austriaca, Roma 1928.

(71) The 33 Strategies of War, Viking – Penguin Books, London 2006 (trad.it. Baldini Castoldi , Milano, 2006,pp. 269-288).

(72) Sull’attività aeronavale di D’Annunzio nella Grande Guerra, i classici testi di S. Laredo de Mendoza, Gabrieled’Annunzio combattente nella Grande Guerra (1915-’18), Impresa editoriale italiana, Milano 1964; Guido Po, Ga-briele D’Annunzio combattente al servizio della R. Marina, Ufficio Storico della Marina, Roma 1931 e A. Schiacchi-tano, «L’opera di G.d.A nella prima guerra mondiale» in Rivista Marittima, giugno 1965 e il mio saggio «D’A., Thaondi Revel e le Siluranti aeree» in D’Annunzio e il Volo, San Pelagio, 1989.

(73) http://www.ilgiornale.it/news/colpo-zurigo-quando-i-migliori-007-erano-italiani-994775.html.(74) A dirigerlo erano stati chiamati il cv Marino Laureati e il tv Pompeo Aloisi (che aveva già militato nell’Ar-

mata dal 1888 al 1902 per passare al servizio diplomatico e, allo scoppio della guerra, ritornare volontario neiranghi navali come ‘responsabile della missione estera riservata per il Dipartimento militare marittimo di Venezia’,cioè agli ordini di Revel), che a Berna agiva sotto le mentite spoglie di addetto di Legazione, al pari dei tt.vv. di ori-gine triestina con perfetta padronanza del tedesco, Ugo Cappelletti e Salvatore Bonnes, l’uno come sedicente vi-ceconsole a Zurigo e l’altro come addetto commerciale alla Legazione italiana a Berna.

(75) In particolare con l’esplosione nel porto di Brindisi della corazzata a torri Benedetto Brin il 26 settembre 1915e poi, all’ancora nel Mar Piccolo di Taranto, della moderna corazzata monocalibra Leonardo da Vinci il 2 agosto 1916che si capovolse adagiandosi a 11 mt di profondità. Disastri che drammaticamente contarono tra gli equipaggi 752 vit-time. Fatto ancora più grave, fortunatamente sventato, nelle carte di Zurigo vennero rinvenuti i progetti criminali perdue nuove azioni di sabotaggio previste rispettivamente per le corazzate monocalibre gemelle, Giulio Cesare e Conte diCavour!. Per i documenti delle relative inchieste, rispettivamente, AUSMM, c.463/1 e 5, 464/1, 465/1 e 544/2 e c. 590/1.

(76) Tranne qualche rara eccezione tipo http://www.go-italy.net/item/1917-2017-primo-centenario-del-colpo-di-zurigo/94/4350.

(77) È infatti significativo che, con R.D. 4 febbraio 1917, n. 202, vengano delineate le nuove attribuzioni delCapo di Stato Maggiore della Marina, modificando il precedente assetto normativa previsto dal R .D. 8 febbraio1916, n. 99, e stabilendo, tra l’altro, che «il Capo di Stato Maggiore è tenuto al corrente della situazione interna-zionale e della eventualità di conflagrazioni politiche o di probabili rotture diplomatiche» e che «durante il tempodi guerra può essere destinato, conservando la sua carica, ad assumere il comando in capo delle forze navali mo-bilitate». Evidentemente tali modifiche apportate alla vigilia della riassunzione del suo incarico, agiscono in fun-zione delle richieste fatte al Sovrano per un chiarimento della situazione ai vertici della Marina, stabilendo unmiglior collegamento tra strategia e politica stessa. Se vogliamo servirci della tipologia di Edward Luttwak (Strategy:the Logic of War and Peace, Harvard University Press, Cambridge - Mass., 1987), Revel si batte non solo per un rac-cordo nella dimensione «verticale» della strategia (come interazione tra i suoi cinque livelli, cioè ‘technical, tactical,operational , theatre and grand strategy’), ma anche in quella «Orizzontale» (collaborazione a ogni livello e spe-cialmente nella sfera della Grande Strategia, tra tutte le componenti dello State Power). In altre parole, Revel nonvoleva rischiare ancora una volta di stipulare convenzioni tecniche internazionali senza conoscere gli accordi presiin sede propriamente politica né tantomeno proporre piani che non sarebbero stati eseguiti dai suoi subordinati.

(78) Cfr. Gianni Rocca, Cadorna, Mondadori, Milano 1988, p. 92.(79) Memorie di Guerra, Mondadori, Milano 1934-’35, vol. II, pp. 3-4.(80) Come peraltro in campo terrestre si procedeva con un Consiglio Supremo di guerra (per assicurare la con-

dotta generale della guerra), con un Comitato esecutivo militare (per coordinare l’azione delle varie armate indi-pendenti) e con un Ufficio di collegamento, per assicurare il necessario raccordo tra i due organi.

(81) In particolare ricordiamo Ravenna - Di Losa, Il traffico marittimo, Ufficio Storico della Marina, Roma 1932,2 voll.; J.A. Salter, Il controllo interalleato del traffico marittimo, Ufficio Storico della Marina, Roma 1938; L. Casta-gna, La guerra al traffico marittimo, Ufficio Storico della Marina, Roma 1938; S. Salza, La lotta contro il sommer-gibile, Ufficio Storico della Marina, Roma 1932, 2. voll.; P. Chack e J.J. Antier, Histoire maritime de la premièreguerre mondiale, Editions France-Empire, Paris 1968, 3 voll.; P .J. Halpern, The Naval War in the Meditenanean(1914-1918), Allen & Unwin, London 1987.

(82) Per una trattazione specifica bisogna infatti ancora rimandare all’opera fortemente datata di Camillo Manfroni,I nostri alleati navali, Mondadori, Milano 1927, e al più recente lavoro di F. de Rosa de Leo, «L’alta direzione dellaguerra nei conflitti mondiali», in Rivista Marittima, luglio-agosto 1973. Per i necessari riscontri archivistici, cfr. AUSMM,doc. stor. 740/1 (accordi navali con gli Alleati); 740/2 (conferenza di Corfù); 741/1 (di Roma); 741/2 (di Parigi); 742(di Londra); 743/1 (di Londra e Parigi); 751/2 (missione a Malta per accordi sul traffico marittimo). 453/5 e 462/4(impiego dei drifters); 494/4 (intervento degli Stati Uniti nel conflitto); 497/3 (Cooperazione navale interalleata).

(83) Suggestivo a tale riguardo è il paragone che introduce Lloyd George nelle sue Memorie di Guerra (pp. 119-120): «Mettete Nivelle al posto di Falkenhayn e, al posto di Conrad, Cadorna. Mettete la Francia al posto della Prus-sia e l’Italia al posto dell’Austria. L’analogia sarà allora completa e voi potrete trarre irresistibilmente le conclusioni( ...) solo che la gelosia francese per l’Italia aveva in sé un elemento che mancava nell’invidia prussiana nei riguardidell’Austria. I Francesi consideravano l’esistenza stessa di un’Italia unificata come una recente creazione dovutaal valore delle armi francesi. Per essi l’Italia era ancora qualche cosa da tenere sotto tutela» . E la situazione ma-

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rittima (con la flotta francese che faceva da riserva strategica tra Malta e Corfù, tagliata fuori dal comando unicodell’Adriatico) non era molto differente da quella tratteggiata così magistralmente dall’uomo politico britanniconei confronti della situazione sul fronte terrestre.

(84)Sicché alla fine della guerra, per l’insistenza degli Italiani, si mise a punto un poderoso sbarramento percui, almeno in linea teorica: «se un sommergibile nemico non fosse stato segnalato di giorno e di notte dalle crocieredi unità di superficie, se non fosse incappato nelle mine e nelle ostruzioni retali fisse [che si avvalevano, secondoil «progetto Cerri», di una rete esplosiva antisommergibile lunga ben 66 km e profonda 50 m.], se non fosse statopreso dalle reti dei drifters [e delle unità similari], poteva essere sempre intercettato dagli idrofoni o inseguito daichasers». Sull’argomento cfr. C. Manfroni, Storia della Marina italiana durante la guerra mondiale 1915-1918, Za-nichelli, Bologna, 1925, p. 224 ed inoltre W.S. Sims, La villoria sul mare, Accademia Navale, Livorno 1923, pp. 188-189 e Woofenden T.A., Hunters of the steel sharks: the submarine chasers of WWI, Bowdoinham, Melbourne, 2006.

(85) Atti Parlamentari, Senato del Regno, Leg. XXVII, la sessione 1924-25, Discussioni, tornata del 18 maggio1925, p. 2700.

(86) CTR. fasc. « Mio Padre» II, p. 21.(87) CTR, Lettere alla moglie vol. IV (1913-19), lettera in data 11 giugno 1918.(88) Il mio Piccolo Mondo Perduto, Cappelli Editore, Bologna, 1947, p. 132-138. Per le biografie di Paolucci e

Rossetti, AUSMM, c.1212.(89) In G. Giorgerini, Attacco dal Mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina italiana, Arnoldo Mondadori edi-

tore, Milano, 2007, p. 220.(90) In F. Maugeri, Ricordi di un marinaio, Mursia, Milano, 1980, pp.75-76.(91) CTR, fasc. «Mio Padre» II, p. 32.(92) Su tale argomento si segnala, nella ricca bibliografia esistente, l’ormai classico R. Albrecht - Carrié, Italy

at the Paris Peace Conference, New York 1938. Per i necessari riscontri archivistici cfr. AUSMM, 1470/15, 1471 e1488/1 (per le vicende che seguono l’armistizio) c. 1511-1514, 1582-1583 e 1475-1476 (per le vicende della Con-ferenza di pace e i suoi riflessi nell’ambito della Marina).

(93) Molti degli episodi citati sono in CTR, fasc. «Mio Padre» II, pp. 22-23. Precedentemente, all’epoca delle pole-miche sul comando italiano in Adriatico, Revel aveva raccontato di essere «disposto a tutto» pur di non cedere allepretese alleate e quando gli venne chiesto il senso della frase «essere disposto a tutto», sorridendo rispose: «Se fossestato necessario avrei tirato un calamaio in testa allo stesso Clemenceau». Ma ad onta delle polemiche contingenti,alla Francia Revel era rimasto sempre legato: innanzitutto dalle tradizioni della sua famiglia e dalla lingua stessa cheegli abitualmente usava, come abbiamo visto nel suo epistolario. Tanto più che le enciclopedie francesi si diffondevanoa parlare della storia dei Revel e dei St. André molto più di quanto facevano quelle italiane ed in fin dei conti in Francia,durante la Grande Guerra, l’Ammiraglio era molto popolare. La stampa lo gratificava dell’appellativo di «Amiralissime»ed il suo nome e la sua figura erano molto noti anche negli ambienti popolari: un giorno alla Gare de Lyon, mentrescendeva dal treno col comandante Melodia (che ha raccontato l’episodio) il portabagagli, che gli si era avvicinato, al-l’improvviso esclamò: «Mais c’est l’Amiral Thaon de Revel»! e, un’altra volta ad Aix-les-Bains, si firmò all’Hotel Clochesemplicemente «Pau! Revel, marin», al che l’albergatore replicò: «Mais vous n’etes pas l’Amiral Revel?».

(94) Tra cui segnaliamo in particolare G . Menini, Passione adriatica. Ricordi di Dalmazia 1918-1920, Zanichelli, Bo-logna 1928, mentre per un più attento esame dei fondi archivistici rimando a AUSMM, c. 1469/1, 1515, 1522/2, 1536e 1537 ed inoltre ACS, Carteggi di personalità, Carte Sonnino, fasc. III/8, 12- 15 e 17-19, (rivendicazioni in Dalmazia).

(95) Per i documenti conservati dalla Marina sulla difficile gestione della crisi fiumana, AUSMM, c. 1443/1,1444/1, 1445/1-4, 1488/2, 1496/2-6, 1497/1, 1555 e 1558. Per un commento generale alla situazione fiumana,cfr. F. Gerra, L’impresa di Fiume, Longanesi , Milano 1966. Nell’epistolario D’Annunzio-Revel non ci sono ri scontridiretti sui rapporti tra il Poeta e Thaon di Revel durante la Reggenza del Carnaro; vi si trova solo memoria indirettadi un progetto dannunziano rivolto all’epoca di Nitti (quindi tra il giugno del ‘19 ed il giugno del ‘20) contro la Ca-pitale, una specie di ‘marcia su Roma’ ante-litteram; l’autore della lettera sarebbe stato Monnicelli o forse Tamaro.Revel aveva disapprovato il messaggio dannunziano, dicendo di essere vincolato al giuramento, e quindi bruciòpersonalmente le lettere in parola.

(96) In particolare segnaliamo Atti Parlamentari, Senato del Regno, Leg. XXV, 1° sessione 1919-1920, Discussioni,tornate del 1° aprile, 13 luglio e del 15 dicembre 1920 (quest’ultimo intervento, nel testo dattiloscritto originalecon correzioni autografe è riportata nell’App. Doc., n . 10). Revel, ricordiamo, aveva giurato come senatore il 12marzo 1917 ed era stato introdotto nella Camera Alta, secondo la prassi del tempo, dai senatori ammiraglio Ca-nevaro e generale Bava-Beccaris.

(97) Basti pensare alla posizione assunta dal Ministro della Marina in carica, contrammiraglio Giovanni Sechi,nella discussione in Senato sul Trattato di Rapallo (nella tornata del l6 dicembre 1920). Invece, da parte sua, ilnuovo Capo di Stato Maggiore della Marina, il vice ammiraglio Alfredo Acton, si schiererà nei suoi interventi pub-blici sulle posizioni di Revel, imperni ate sull’applicazione integrale dell’art. 5 del Patto di Londra che aveva asse-gnato all’Italia, alla lettera «la provincia della Dalmazia,(...) comprendendo inoltre al nord Lissarika e Trebinja e alsud tutto il territorio compreso nella linea tirata dalla costa (al capo Planka fra Traù e Sebenico) e lungo lo spar-tiacque in direzione est, in modo da comprendere entro il territorio italiano tutte le valli dei fiumi che si gettanoin mare in vicinanza di Sebenico ( ...), tutte le isole situate a nord e ad ovest della costa dalmata [da Premuda aPunta Dura] e arrivando a sud all’isola di Meleda, insieme alle isole di Sant’Andrea, Busi, Lissa (sic!), Lesina, Tercola,Curzola, Cazza, Lagosta, insieme a tutti gli isolotti e agli scogli vicini, compresa Pelagosa».

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Thaon di Revel non aveva mai avuto oc-casione di incontrare Mussolini, l’uomopolitico emergente del momento, anchese aveva sempre seguito con attenzionela campagna pubblicistica condotta su IlPopolo d’Italia per la rivendicazione deidiritti e degli interessi italiani in Adria-tico e nel Mediterraneo; per Revel infatti,come era solito ripetere, «ci sono dei ri-cordi che costituiscono dei diritti».Alla fine di ottobre del 1922, mentre sisvolgeva a Napoli l’adunata fascista checulminerà nel celebre discorso di Mus-solini al Teatro San Carlo, anche Revelsi trovava ufficialmente nella città par-tenopea per condurre un’inchiesta inambito Marina; egli rimase soprattuttoimpressionato dall’opzione monarchicadel fascismo, dal motto formalizzatoproprio durante le giornate di Napoli, di«Italia con Casa Savoia» (un’opzione chegli sarebbe stata garantita poi, in sepa-rata sede, dal generale Cesare Maria DeVecchi e dallo stesso Costanzo Ciano,l’audace protagonista della guerriglianavale in Adriatico, che si era imposto,nel breve giro di pochi anni, tra i capidel nuovo partito). Da Napoli, Revelscrisse al generale Cittadini, primo aiu-tante di campo del Re (che in quei giornisi trovava nella tenuta reale di San Ros-sore), riferendo sulla situazione politica,come aveva potuto osservarla da Napolie concludendo che «ormai al fascismonon si può più che voltargli le spalle: oper sfuggirlo o per precederlo». Eviden-

temente l’Ammiraglio vedeva più di altrinel nuovo movimento uno strumentopolitico per l’affermazione dell’Italiacome grande potenza, di cui l’aspettomarittimo non poteva non essere unodei principali fattori. Quindi, ponendosipiù in un’ottica internazionale che in-terna, era disposto a guardare con unatteggiamento positivo il nuovo corsodella politica italiana, a condizione, na-turalmente, che ad esso non venisse maimeno l’appoggio determinante del So-vrano ed il suo beneplacito e, come me-glio si chiarirà in seguito, di non pagareil prestigio internazionale con la monetadi un pericoloso avventurismo politico.All’indomani della chiamata di Mussolinial governo, circolava insistentemente lavoce che Revel sarebbe stato preposto aldicastero della Marina (come il generaleDiaz a quello della Guerra), ma a chiquella mattina del 31 ottobre 1922 glichiedeva se davvero sarebbe stato nomi-nato ministro, egli si limitava a rispon-dere seccato: «Je n’en sais rien». Ma adogni buon fine andò a consultarsi, per ilcaso che si verificasse l’eventualità di cuisi parlava insistentemente anche sullastampa, con gli ex- presidenti del Consi-glio Salandra e Boselli e con un terzopersonaggio di cui però, la duchessa Clo-rinda, sempre estremamente precisa finnei dettagli, nonostante le mie ripetutedomande, non ha voluto rivelarne ilnome, autorizzandomi indirettamente asupporre che, in un momento così deli-

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cato della vita nazionale,Revel si fosse rivolto di-rettamente al Sovranoper acquisire il suo pa-rere in merito. Nel primopomeriggio di quel 31 ot-tobre si presentò a casaRevel, allora ancora in viaMario Pagano (dove pur-troppo nessuna lapide loricorda, al pari della suc-cessiva abitazione ro-mana di via Mercalli,dove si trasferirà nel1936), Giacomo Acerbo,neosottosegretario allaPresidenza del Consiglioche, a nome di Mussolini,invitava l’ammiraglio perle ore diciassette all’HotelSavoia, in via Ludovisi,per quella che sarebbestata la prima riunione di gabinetto delnuovo governo di unità nazionale (98). Eproprio lì in effetti, per la prima volta,incontrò Mussolini e, oltre al generaleDiaz, Giovanni Giuriati, Costanzo Ciano,il principe Colonna di Cesarò, persona-lità già a lui note, ebbe occasione di co-noscere quelli che sarebbero stati i suoinuovi colleghi di governo (tra cui il filo-sofo Giovanni Gentile, il nazionalistaLuigi Federzoni, l’economista Alberto DeStefani e così via). E in seguito avrebbeconosciuto pure il prof. deputato delPartito Popolare Giovanni Gronchi, Sot-tosegretario al dicastero dell’Industria eCommercio e … poi Presidente della Re-pubblica! La prima cosa che disse il Pre-sidente incaricato era che per tutti ipersonaggi convocati aveva preventiva-mente ottenuto il pieno assenso del So-vrano, il che doveva rappresentare pertutti, in un certo senso, un invito vinco-lante per la partecipazione al nuovo go-verno.Nonostante l’eccessiva kermesse fascistagli desse subito fastidio (e dalla quale si

sarebbe mantenuto sempre lontano perstile di vita e signorilità di modi) e nono-stante gli fosse stato affiancato comesottosegretario Costanzo Ciano (di cuiaveva un ottimo concetto come mari-naio, ma che finiva per giudicare «insop-portabile» in sede propriamentepolitica), Revel si mise subito al lavorocome ministro della Marina, in quell’an-tico Palazzo Sant’Agostino, tra via deiPortoghesi e via della Scrofa, che perquattro anni e mezzo, complessiva-mente, l’aveva già visto come capo diStato Maggiore.All’indomani della Grande Guerra la R.Marina costituiva un organismo potente,con 16 grandi navi corazzate (navi dabattaglia e incrociatori), 16 incrociatorileggeri ed esploratori, 44 cacciatorpedi-niere, 95 torpediniere, 59 sommergibili,95 MAS e un numeroso naviglio ausilia-rio, anche se il materiale navale era statoduramente provato dalla guerra, du-rante la quale erano state percorse dalleunità militari italiane nientemeno che 25milioni di miglia pari a 1. 200 volte il

Nominato Ministro della Marina nel primo Gabinetto Mussolini, Thaon di Revel il 24maggio 1923 viene insignito dell titolo di Duca (a cui solo nel 1940 si aggiunse il pre-dicato «del Mare») e il 4 novembre 1924 gli fu conferito il grado di Grande Ammira-glio, equipollente a quello di Maresciallo d’Italia (archivio Revel).

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giro del mondo! Peraltro, la situazionenell’immediato dopoguerra era stata ag-gravata dai nuovi impegni adriatici, dallasia pur lenta smobilitazione (ritardata,rispetto a quella posta in essere dal-l’Esercito), dall’incerto andamento delleassegnazioni di bilancio (99), nonchédalla tradizionale ristrettezza degli or-ganici in relazione ai bisogni di arma-mento del naviglio.La prima preoccupazione del ministroRevel è dunque quella di procedere ad unriordinamento interno dell’intera orga-nizzazione dell’apparato militare marit-timo, con la verifica e la ridistribuzionedelle voci di spesa in quei bilanci di eco-nomia dei primi anni Venti («impari allepiù elementari necessità», dirà subito),nell’intento di dare la preferenza allesomme abitualmente stanziate dai suoiimmediati predecessori sui capitoli dispesa inerenti alle nuove costruzioni ealla manutenzione del naviglio, alle ne-cessità della difesa costiera e foranea. Intal modo egli voleva evitare che, qualorasi fosse continuato col sistema prece-dente, l’efficienza della flotta si riducessea 3/4 nel 1928 e addirittura alla metà nel1932.Così, nell’arco di un triennio di gestioneRevel, la percentuale delle spese per lacostruzione e manutenzione del naviglionella complessa orditura dei bilanci na-vali, sale dal 2,3 al 4,6%, mentre vengonocontratte le spese generali e quelle con-cernenti gli arsenali di Stato per la Ma-rina (che passano rispettivamente dal 2allo 0,50% e dal 23,77 all’11%).La politica di costruzioni navali attuatada Thaon di Revel si iscrive tecnicamentesull’onda lunga dei risultati concordati insede internazionale con il Trattato di Wa-shington sulla limitazione degli arma-menti navali, sottoscritto il 6 febbraio1922 (100), e s’impernia essenzialmentesu unità leggere e subacquee e sui primiincrociatori (tipo Trento e Trieste) co-struiti in ottemperanza alle limitazioni

stabilite dal Trattato stesso (disloca-mento 10 mila t e calibri massimi delleartiglierie 203 mm). Sicché nel triennio1924-’26 vennero impostate 14 unità disuperficie (2 incrociatori e 12 cacciator-pediniere) e 15 sommergibili di vario di-slocamento (dalle 770 t del Mameli alle1.368 della classe «Balilla» (101).Ma il vero merito del ministro Revel,sulla scorta dell’esempio fornito in ge-nere dai suoi predecessori in divisa bluchiamati alla direzione politica della Ma-rina (esattamente 79 ufficiali su di un to-tale complessivo di 113 ministri dellaMarina che si succedono nelle 54 combi-nazioni ministeriali da Cavour a Musso-lini), è quello di svincolarsi dalla strettadei cosiddetti bilanci d’annata, che nonoffrivano nessuna garanzia in tempi

Durante la sua gestione politica della Marina (ottobre1922-maggio 1925) Revel, nostante le endemiche ristret-tezze di bilancio, diede impulso al rinnovamento dellaflotta italiana imperniato sulla costruzione di cacciatorpe-diniere, sommergibili e dei primi incrociatori da 10 mila t, iltipo concordato nella Conferenza di Washington sulla li-mitazione degli armamenti navali (nella foto l'incrociatoreTRIESTE in costruzione presso lo Stabilimento Tecnico Trie-stino) (foto Ufficio Storico della Marina Militare)

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medi e lunghi, e di battersi per un pro-gramma navale quinquennale che riuscìa far approvare, sullo scorcio ormai delsuo mandato, con la legge di bilancio1925-’26, ponendo le basi del successivosviluppo della R. Marina.Durante la sua permanenza a PalazzoSant’Agostino come ministro, Revel mo-stra di essere perfettamente al correntedella mutata situazione internazionale edei suoi riflessi inevitabili nel campo ma-rittimo, come possiamo rilevare dai suoiinterventi parlamentari in sede di discus-sione del bilancio della Marina (102), incui egli afferma che, pur dopo la vitto-riosa guerra in Adriatico, non bisognafarsi illusioni perché la guerra futura,quando sarà portata, come probabil-mente accadrà, in altri scacchieri marit-timi (come lo Ionio, il Tirreno e, più ingenerale, nel Mediterraneo), i metodi diguerra sperimentati con successo inAdriatico (di cui egli stesso, come ab-biamo visto, era stato un difensore ad ol-tranza), non saranno più sufficientiperché «i caratteri geografici di questiversanti e la posizione degli appresta-

menti avversari sareb-bero assai diversi», senzaperaltro dimenticare chela situazione militare ma-rittima dell’Adriatico,sebbene di gran lunga al-leggerita rispetto a quellaesistente prima dellaguerra, non era stata de-finitivamente risolta a fa-vore dell’Italia, «e perciòvolevo andare in Dalma-zia!», proclama Revel tragli applausi generali dellaCamera.

«Cosicché si può, senzatema di errare, asserireche i compiti guerreschisaranno, rispetto al pas-sato, capovolti e primo

fra tutti dovrà considerarsi quello delmantenimento delle comunicazionimarittime. La difesa costiera deriveràindirettamente dalle misure che sa-ranno prese per impedire all’avversa-rio di ostacolare il libero sviluppo deinostri traffici. Vincolando l’avversarioin zone favorevoli allo svolgimentodella nostra manovra, impedendogliper quanto è possibile le scorrerie neinostri mari, noi raggiungeremo i duescopi. Ma per far ciò occorre che leforze mobili di cui la Marina disponesiano pari al gravoso compito che lorosarà imposto. È per questo che primodovere che io reputo spetti al Ministrodella Marina è precisamente quello dioccuparsi della costruzione e dell’effi-cienza del naviglio (...) e il mio piùgrande desiderio — conclude Revel —è una Marina più Grande per una Pa-tria più Grande».

Né egli trascura, nonostante il rigido si-stema di economie introdotto nell’am-ministrazione marittima, le tradizionalirelazioni internazionali affidate alle

Un'immagine di Pola italiana sullo sfondo dei ricordi dell'antichità classica; Revel erasolito dire che «ci sono dei ricordi che costituiscono dei diritti » (archivio Revel).

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unità da guerra anche nei primi anniVenti (1921-’23). Con l’incrociatore Libiasi continua così a svolgere quello che permolto tempo sarebbe stato l’ultimo girodel mondo (sino agli anni 1956-’57,quando un altro periplo sarà compiutodall’Incrociatore leggero Montecuccoli,che toccò 34 porti di quattro continential comando dell’allora CV Gino Brindellie di cui si festeggia oggi il 60° anniversa-rio, nel segno di una tradizione navaleche, nell’arco dei primi sessant’anni distoria unitaria, poteva vantare ben 22circumnavigazioni del globo, oltre a nu-merosissime crociere oceaniche, nell’as-sunto, come tiene a ribadire sempreRevel, che:

«L’efficienza permanente della Marinamilitare ha una importanza di primoordine ai fini nazionali, non solamenteper la preparazione della guerra, maanche per lo svolgimento della politicaestera, soprattutto nei riguardi deipaesi con noi confinanti e dei paesi lon-tani. Una nazione come la nostra cheha un sesto dei suoi figli all’estero,sparsi in ogni punto del globo, che hacolonie politiche lontane, soprattutto dipopolazioni importantissime, comel’onorevole Carlo Del Croix [presidentedella potente Associazione nazionalemutilati e invalidi di guerra] ha fattorecentemente presente al Presidentedel Consiglio, deve potersi affermare efermamente portare l’espressione dellapropria forza a contatto dei figli lon-tani. Solo le navi possono ciò fare. Ciòsi risolve in un elemento di prestigiomondiale, oltre che nella più validaprotezione dei propri cittadini al-l’estero».

Sempre disposto a fare tutte le econo-mie necessarie ad ogni costo (non a casoricordava che il padre, il conte Ottavio,era stato Primo Segretario delle Finanzedi Re Carlo Alberto), ma non per quanto

riguarda le esercitazioni e la naviga-zione, perché, come spesso soleva dire,«è condizione imprescindibile per chivive nel mare, sotto e sopra il mare, diessere ben preparato. Io preferirei qua-lunque altra economia — ribadisce il Mi-nistro — all’economia di combustibile,che porterebbe a non navigare, perchénon importa avere ottime navi e ottimiapparecchi di guerra, quando il perso-nale sia incapace di bene impiegarli»(103). Il lontano dramma di Lissa contutte le sue contraddizioni — modernis-sime e costosissime navi, ma con equi-paggi spesso incapaci di utilizzarne almassimo tutte le potenzialità — non erapassato alla fine invano! (104). I pro-blemi del personale erano sempre statial centro dell’interesse propositivo diRevel, specialmente quando era Coman-dante dell’Accademia navale. E ora comeministro della Marina era sempre piùpropenso a considerare la carriera mili-tare non semplicemente alla streguadelle carriere civili degli altri funzionaridello Stato, ma semmai al pari delle «li-bere professioni, ove solo i più capaci,valenti, arditi e volenterosi, e talvolta ipiù fortunati, salgono e giungono allemaggiori vette, mentre i mediocri oinetti si fermano alle prime balze». Ne-mico giurato dell’avanzamento per an-zianità, criterio ancora dominante nellalegge 59/1889, allora vigente, ne ispiròle linee guida della riforma che megliovalorizzava l’avanzamento a scelta eche, successivamente venne approvatacon legge 1179/1926, rimasta in vigoresino alla normativa del 1955 (105). Conrisultati che lasciamo giudicare ex-postal capitano d’industria, come allora si di-ceva, Adriano Olivetti, per il quale sonodue istituzioni sapevano formare i pro-pri dirigenti: la Chiesa cattolica e … laMarina militare!E nell’agosto del 1924 si svolgono così,dopo dieci anni, le prime manovre stra-tegiche ‘a partiti contrapposti’ nel Ca-

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nale di Sicilia, imperniate sulla prote-zione del traffico mercantile, secondo ilseguente tema che evidentemente pre-suppone uno stato conflittuale con laFrancia (ipotesi tra le più accreditate aquell’epoca per lo scenario della guerrafutura): «Un convoglio formato da ottopiroscafi, proveniente da Smirne con uncarico indispensabile per lo sforzo bel-lico nazionale, ha potuto raggiungereTobruk e di lì si deve portare in un portonazionale (costa orientale della Sicilia,dello Ionio o dell’Adriatico meridionale)ad una velocità di sette nodi». Alle eser-citazioni in parola partecipava un com-plesso aeronavale, distinto nei duepartiti “Azzurro” e “Rosso”, di 5 coraz-zate, 13 unità di superficie, 26 sommer-gibili, 4 squadriglie di MAS, 6 squadrigliedi idrovolanti e 5 aeronavi.

In questo periodo Thaon diRevel (che sin dal 4 novembre1919 era stato nominato Cava-liere dell’Ordine Supremo dellaSS. Annunziata, il 748° cavalierenella storia dell’Ordine e ilquinto membro della propria fa-miglia a fregiarsi dell’altissimaonorificenza (dopo Carlo Fran-cesco, Giuseppe Alessandro,Ignazio e Genova, che ne furonoinsigniti rispettivamente nel1799, 1815, 1820 e 1905), ricevedue ambitissimi riconoscimentidallo Stato: infatti il 24 maggio1924 il Sovrano, con motu pro-prio, gli conferisce il titolo diDuca, mentre il 4 novembredello stesso anno, per equipara-zione con il grado di Maresciallod’Italia, viene nominato Grandeammiraglio. Ma sarà opportuno,avvalendosi delle risultanze of-ferte dall’archivio di famiglia,

Il Grande Ammiraglio con le insegne del Col-lare della S.S. Annunziata (archivio Revel).

Lettera del ministro Revel a D’Annunzio (la «Sirenetta» è la figlia di Revelstesso; con tale vezzeggiativo era solito chiamarla il Poeta durante il pe-riodo veneziano) (archivio Revel).

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per fare in proposito due precisazioni.In realtà Vittorio Emanuele avrebbe vo-luto conferire a Revel il titolo di mar-chese, ma l’Ammiraglio vi si opposedecisamente, per due ragioni, sia d’or-dine familiare che istituzionale, con leseguenti motivazioni: «Il titolo di mar-chese esiste già nella mia famiglia [doveinfatti, ricordiamo, i membri del ramoprincipale si fregiavano del titolo di‘marchesi di St. André con Revel’] e sa-rebbe troppo poco per la Marina rispettoal titolo di Duca della Vittoria attribuito

al generale Diaz. In fin deiconti — faceva rilevare Revelcon una nota di amara ironia— la Marina non ha mai avutouna Caporetto!».Un’altra precisazione è al ri-guardo necessaria: il titolo diDuca era stato concesso senzanessun predicato e solo nelcorso degli anni successivi lastessa opinione pubblica co-minciò lentamente ma costan-temente a designare Revel conl’appellativo di «Duca delMare», inesistente dal punto divista araldico. Sicché, dopo di-ciassette anni dal conferimentodel titolo privo di predicato, ilSovrano (che evidentementenon aveva gradito la sua oppo-sizione al conferimento del ti-tolo di marchese) con unsecondo motu proprio in data11 gennaio 1940 gli conferì uf-ficialmente quel predicato «delMare» (peraltro non estensibilealla figlia) che in fondo, nellaprassi quotidiana e giornali-stica, gli era già stato attribuito,come scriveva Marc’AntonioBragadin, «dalla stessa voce delpopolo», quel popolo, fatto ma-gari di semplici marinai cheavevano prestato servizio allesue dipendenze nella sua lunga

carriera navale e che, per la semplicità el’affabilità dei suoi modi, lo continuavanoa sentire sempre molto vicino.Tra le numerose lettere di congratula-zioni per la nomina a Duca e a GrandeAmmiraglio, tra cui possiamo ritrovare irappresentanti dell’establishment nobi-liare, politico e militare del tempo, aRevel riuscì particolarmente gradita lalettera di un suo ex-marinaio, Retali Mas-similiano, di Marina di Campo, nell’isolad’Elba, che così scriveva al suo antico Co-mandante:

Conferimento a Thaon di Revel della nomina a Balì di Gran Croce da partedel Sovrano Militare Ordine di Malta, una nomina che gli risultò particolar-mente gradita in quanto nella sua famiglia si contavano, nel corso dei quat-tro secoli precedenti, numerosi appartenenti all'Ordine stesso (archivio Revel).

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

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«Eccellenza, gradisca dalmio più profondo delcuore le mie più vive fe-licitazioni per l’alta ono-rificenza avuta. Chiscrive è un vecchio mari-naio della vecchia navePalinuro e rammen-tando il temporale pas-sato fuori Palermo,passato nel 1894 comepure nella campagna diMadera, ricordandoquello dell’entrata diVigo di Spagna, poté ap-prezzare le alte doti dicomandante e di mari-naio di V. E.. Il mio desi-derio è quello che, finoche avrò vita, di posse-dere quale ricordo unasua fotografia con de-dica che gli sembreràopportuna. Augurando-gli lunga vita anche perla nostra amata Marina.Sempre subordinato, ilgià 1° nocchiere dellaR.N. Giulio Cesare (incongedo)».

Retali MassimilianoMarina di Campo (Elba)

29-5-1923

E il Grande ammiraglio Thaon di Revel,duca del Mare e ministro della Marina,pur carico di onori, non modifica, ma ad-dirittura accentua in questo periodo lasemplicità della sua vita di sempre. Pro-fondamente modesto, era solito citarespesso una massima della sua lettura pre-ferita, «L’Imitazione di Cristo»: «pergrandi e potenti che si sia, non si può ag-giungere nulla alla propria statura».Aveva un grande rispetto per l’individua-lità del prossimo, chiunque esso fosse, espesso ricordava una frase che gli eraparsa particolarmente veridica: «La Li-

bertà di un individuo finisce dove comin-cia quella di un altro». Sempre buon cam-minatore, si manteneva in perfetta formafisica (da giovane aveva battuto un pri-mato andando a piedi da Torino ad Astiin otto ore e cinquanta minuti) ed al Mini-stero della Marina era solito in quegli annirecarsi ancora a piedi dalla sua abita-zione, sia la mattina sia il pomeriggio, condue itinerari diversi: la mattina, da viaMario Pagano (che è una traversa di via XXSettembre), entrava a Villa Borghese, equindi, passando per Piazza del Popolo,giungeva in via dei Portoghesi. Il pomerig-

Nel periodo tra le due guerre Revel ricoprì anche cariche di carallere scientifico eculturale, tra cui quella di presidente del Comitato Talassografico. La lettera di con-gratulazioni qui riprodotta gli fu indirizzata, appunto, dal Direttore di tale organismo(archivio Revel).

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gio, invece, compiva un percorso più di-retto, attraverso il centro della città, fa-cendo così rivivere in tal modo l’austerafigura di Simone Pacoret di Saint Bon che,ministro della Marina agli inizi degli anniSettanta dell’Ottocento, si era dovuto farconvincere, dopo molte insistenze, a re-carsi in carrozza almeno per la firmareale al Quirinale, dato che al ministero ciandava sempre e solo a piedi!. Non soloper le sue origini ma evidentementeanche per il suo carattere, Vittorio Ema-nuele lo sentiva sempre vicino e, comenelle oscure giornate di Caporetto, anchenei momenti di pericolo non poteva cherivolgersi a lui. Ad esempio, durante la vi-sita ufficiale in Spagna dei Sovrani (1923),quando alla stazione di Barcellona la follairrequieta ruppe i cordoni e quasi travolseil corteo reale, Vittorio Emanuele istinti-vamente, pur tra le numerose persone delseguito che lo circondavano, immediata-mente si rivolse al Grande Ammiragliocon queste parole: «Revel, Revel, stia vi-cino alla Regina!». E l’essere chiamato pernome dal Sovrano nel momento del peri-colo, era stata, per chi aveva il culto quasimistico della Monarchia, una grande sod-

disfazione, e ogni voltache Revel ricordava l’epi-sodio, al pari di quello av-venuto cinque anni primanelle tristi giornate di Ca-poretto, non poteva fare ameno di commuoversi. Maper il ministro Revel si ad-densavano all’orizzonteuna serie di amarezze edelusioni, tanto più pro-fonde quanto erano staterosee le speranze della vi-gilia, e che possiamo rias-sumere in tre puntifondamentali: la costitu-zione di un’aeronauticaindipendente e la conse-guente abolizione dellagloriosa aviazione marit-

tima (marzo 1923); la difficile gestionedella crisi internazionale di Corfù (agosto-settembre 1923) e, infine, la polemica conMussolini sull’ordinamento del ComandoSupremo (maggio 1925), che porterà allesue dimissioni da ministro. In sede parla-mentare Revel avrebbe più volte avevaavuto occasione di ribadire «l’interesseche sempre aveva avuto per l’aviazione»e l’importanza che lo strumento aereoaveva assunto, ai fini operativi per la Ma-rina dalla sua istituzione in poi, ricor-dando in seguito «quella forte violenzache dovette esercitare sull’animo suo nelcontrofirmare il decreto di istituzione del-l’aeronautica indipendente». Ma nel con-tempo non manca di esprimere la suaprofessione di fede nel senso che «l’avia-zione navale deve tornare ad essere affi-data agli uomini di mare» tanto più chegià s’imponeva (1924) «in prima linea lanecessità della costruzione sollecita dinavi portaerei» (ed infatti il trattato di Wa-shington riconosceva all’Italia il diritto dipossedere, al pari della Francia, unità por-taerei per complessive 60 000 t).Triste e commovente il giorno del tra-passo dell’aviazione navale, destinata a

Una singolare lettera di felicitazioni di Giulio Douhet che con le sue note teorie suldominio dell'aria avrebbe suscitato le vivaci reazioni polemiche dei pensatori navali(archivio Revel).

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confluire nella nuova Arma azzurra,come racconta un personaggio che avevavissuto sin dagli inizi la vicenda aero-nautica italiana, il comandante GiulioValli, il quale infatti racconta che:

«alla vigilia del giorno in cui furonoabbassate le bandiere delle varie sta-zioni aeromarittime, togliendo ad essel’impronta del Corpo a cui appartene-vano, fu ordinato che tutti gli aerei ef-

ficienti delle varie sta-zioni e tutto il personaledi volo eseguissero unvolo di disarmo e di con-gedo dall’aria; e che lagloriosa bandiera del-l’Aeronautica Marinafosse esposta nella prin-cipale stazione che lacustodiva ad esaltazionedella memoria di coloroche con la vita e conl’opera l’avevano ono-rata».

Molti ufficiali e sottuffi-ciali della nuova Armaprovenivano dai ranghidella Marina (come Gui-doni, De Pinedo, Pelle-grini, Maddalena) e i primicento ufficiali addestratinella R. Accademia Aero-nautica, ospitata presso laR. Accademia Navale diLivorno, facevano vita incomune con i cadetti diMarina e avevano glistessi insegnanti e in certiperiodi (gennaio-agosto1924, dicembre 1924-gen-naio 1925 e giugno 1925)il loro comandante fu unufficiale di Marina: il capi-tano di vascello GiulioValli appunto. Tanto piùche si pensava, almeno

agli inizi, che si trattasse di un periodo ditransizione che avrebbe preluso, in tempipossibilmente brevi, alla ricostituzione diun’Aeronautica della Marina, di cui glianalisti navali non tralasciavano occa-sione per ribadirne l’assoluta necessitàoperativa nella guerra sui mari. Ma ognisperanza si rivelerà vana e bisogneràaspettare la metà degli anni Cinquantaperché la Marina possa disporre di per séalmeno di velivoli ad ala rotante! (106).

Sia durante la Grande Guerra che in seguito Revel si mostrò sempre convinto asser-tore e deciso sostenitore della necessità di disporre dell'aviazione navale (foto UfficioStorico della Marina Militare).

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Un secondo motivo di diver-genza tra Revel ed il regimefinì per essere determinatodalle vicende dell’occupazionemilitare di Corfù (agosto -settembre 1923). In quellaestate si registra infatti, nelMediterraneo, un’acuta ten-sione nei rapporti italo-greci inrelazione alla ratifica ellenicadel Trattato di Losanna che,tra l’altro, avrebbe dovuto san-cire definitivamente la sovra-nità italiana sulle isole egee delDodecaneso. Di fronte allepossibili reazioni greche si eramessa a punto, in una rapidaescalation, una serie di misurecoercitive nel puro stile della‘diplomazia delle cannoniere’,di cui tanti esempi si eranoavuti precedentemente (mi-sure che, nella fattispecie, an-davano dalla semplice“dimostrazione navale” all’oc-cupazione militare di qualcheisola greca, come Samo, gli iso-lotti viciniori o la stessa Corfù)(107). Ma la situazione preci-pita rapidamente il 27 agostocon l’eccidio della missione ita-liana Tellini che, per contodella Conferenza internazio-nale degli Ambasciatori, stavaprocedendo alla delimitazionedel confine greco-albanese. Lareazione italiana immediata-mente si indirizzò verso l’ul-timo obiettivo di quella«scaletta» operativa che erastata precedentemente abboz-zata dalle «Istruzioni» del mi-nistro, cioè l’occupazionemilitare di Corfù, da realizzaresenza impiegare la forza edevitando qualsiasi incidentecon la popolazione. Da partesua Revel non poteva che ve-

L'esploratore PREMUDA, dopo il bombardamento navale contro l'isola diCorfù, quei «Sette minuti di fuoco» (dalle 16.08 alle 16.15 del 31 agosto 1923)che finirono per sortire gravissime conseguenze (foto Ufficio Storico della Ma-rina Militare).

Nell'occupazione di Corfù (31 agosto 1923) venne impiegata una potentedivisione navale di ben 17 unità (2 corazzate, un esploratore, 5 cacciatorpe-dinere, 2 torpediniere, 4 MAS e tre sommergibili). Sulla corazzata CAVOUR al-zava l'insegna di comando il vice ammiraglio Emilio Solari (foto Ufficio Storicodella Marina Militare).

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dere di buon occhio, di per sé, un colpodi mano militare su Corfù che avrebbeposto fine alla lunga serie delle deplo-rate «rinunce adriatiche» e che avrebbecontribuito notevolmente a risolverel’annoso problema strategico dell’Adria-tico con l’acquisizione della forte posi-zione strategica corfiota. Anche se, inverità, intuisce subito il pericolo di un ir-rigidimento da parte della Gran Breta-gna, ma almeno all’inizio sottovalutaquanto ormai sia condizionato lo scena-rio del delicato equilibrio mediterraneo.Peraltro nell’attuazione dell’occupa-zione militare, «i sette minuti d fuoco»della corazzata Cavour, dell’incrociatoreSan Giorgio e del cacciatorpediniere Pre-muda (che avrebbero potuto esseresenza rischio evitati, sia in linea con leistruzioni governative sia con una piùserena valutazione della situazionereale), con le loro conseguenze, sorti-rono ripercussioni gravissime nell’opi-nione pubblica internazionale (giàimpressionata da un gesto di forza chesembrava assolutamente sproporzio-nato rispetto alle cause che l’avevano de-terminato), contribuendo così aesasperare una situazione che si andavafacendo di giorno in giorno sempre piùdifficile, dato che la crisi regionale italo-greca stava divenendo terreno di scon-tro nello stesso ambito societario e dipossibile confronto militare con lastessa Gran Bretagna. Ed è a questopunto che Revel esercita la sua azione dimoderazione nei confronti di Mussoliniche, invece, sembrava voler procederesino alle estreme conseguenze, confi-dando proprio nello strumento navale.Nella visione del ministro Revel, Corfù èsì importantissima, ma non tanto da ri-schiare lo scontro armato con la flottabritannica (ipotesi verso cui si era mo-strato sempre sfavorevole sin dalla vigi-lia della prima guerra mondiale, comeabbiamo visto).Durante la riunione del Consiglio dei mi-

nistri del 12 settembre, al biglietto diMussolini su cui gli veniva posta la do-manda: «Quanto può l’Italia resisterecontro la Gran Bretagna?», Revel, comeera solito raccontare in famiglia, calcandovolutamente la mano per frenarne i bol-lenti spiriti del capo del Governo, sulverso dello stesso, prontamente e laconi-camente, si limitò a rispondere: «Quaran-tott’ore»!. La teoria del «rischio calcolato»dell’ammiraglio si scontra così con la«politica di rischio di guerra» di Musso-lini, al quale non rimase altro, di frontealla reiterata posizione negativa espressain sede politica e tecnica dal suo ministrodella Marina che affidarsi a una soluzionediplomatica della vertenza stessa conl’evacuazione di Corfù (108).Ed infine possiamo ricostruire la pole-mica Mussolini - Thaon di Revel sull’or-dinamento del Comando Supremo sullascorta di una testimonianza privilegiataquale ritroviamo, come al solito, nell’ar-chivio di famiglia: il «Diario storico-do-cumentato delle dimissioni di S.E. ilGrande Ammiraglio Thaon di Revel», undocumento importantissimo, in quantorappresenta l’unico fascicolo raccolto edordinato da Revel a memoria futura,dato che, come abbiamo avuto più volteoccasione di ribadire, le carte Revel con-servate nell’archivio di famiglia riguar-dano quasi essenzialmente la sua vitaprivata o comunque i riflessi privatidelle sue vicende pubbliche. La crisi po-litica tra il Presidente del Consiglio e ilMinistro della Marina si consuma so-stanzialmente nello spazio di pochigiorni, dal 1° al 9 maggio 1925, e si im-pernia sull’opposizione intransigente daparte di Revel al progetto di legge sul-l’ordinamento dell’Alto Comando che,preparato in ambito Esercito, pervienesul tavolo del Ministro della Marina,della cui preparazione era stato tenutoall’oscuro, alle ore 9.00 del 1° maggio, ilgiorno prima, cioè, della prevista discus-sione in seno al Consiglio dei Ministri.

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La risposta di Revel è immediata: dueore dopo aver ricevuto ed esaminato ilprogetto (A .D., doc. n. 12), manda il pro-prio Aiutante di bandiera, comandanteRossini, dal Capo del Governo per rasse-gnare le proprie dimissioni, con la se-guente lettera:

«Eccellenza,ho l’onore di rassegnare le dimis-

sioni dalla carica di Ministro della Ma-rina e prego l’E.V. di sottoporle perl’accettazione a Sua Maestà il Re.

firmato P. Thaon di Revel»

Mussolini, presoalla sprovvista, sulmomento non rie-sce a spiegarsi qualipossano essere lemotivazioni di untale gesto che gli ar-riva del tutto ina-spettato, tant’è veroche al comandanteRossini domandastupito: «È per l’Ae-

ronautica?». Ma subito dopo, attraversouno scambio di lettere e, successiva-mente, in un colloquio personale con ilGrande Ammiraglio (che avviene il 4 mag-gio alle ore 11.00) ben si chiarisce il signi-ficato del dissenso del Ministro dellaMarina. Revel si oppone alla costituzionedi un Comando Supremo secondo lanuova formulazione proposta (in cui,cioè, la carica di Capo di Stato MaggioreGenerale sia affidata, in maniera perma-nente, ad un alto ufficiale generale del-l’Esercito alle dipendenze del Ministrodella Guerra con poteri di controllo sulle

Nel periodo tra le dueguerre il Grande Ammira-glio continuò ad esercitareuna presenza costantenella vita pubblica delPaese oltre che a costituireun punto di riferimento si-curo per la Marina. Nellafoto, un momento dellacerimonia con la qualeVenezia nel 1925 gli con-ferì la cittadinanza onora-ria (foto Ufficio Storicodella Marina Militare).

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altre Forze Armate ai fini del coordina-mento e della preparazione alla guerra).Seppur convinto assertore della coopera-zione interforze, come ci aveva dimo-strato sul campo durante la GrandeGuerra, il nuovo progetto implicava, a suoavviso, non certo un più efficace coordi-namento tra le tre forze armate, ma lanetta subordinazione della Marina (edell’Aeronautica) all’Esercito stesso. Sutale punto, Revel mostra tutta la sua in-transigenza nel corso delle varie fasi dellacrisi, che si succedono con un ritmo ser-rato nella prima decade di maggio (conl’intervento diretto del Sovrano nel collo-quio con Revel del 5 maggio alle ore10.00, la mediazione del comandante Ric-cardi, suo capo di gabinetto, e la modificadi alcuni punti del progetto di legge inquestione, che però non riguardavano leobiezioni mosse sostanzialmente Revel).Revel appare quindi irremovibile; non puòtollerare che ad un generale dell’Esercitosi affidino «mansioni direttive anche sullaR. Marina per ciò che riguarda la prepara-zione e la condotta della guerra» . All’or-dinamento in questione, egli a sua voltapropone, in alternativa, un proprio pro-getto sulla Difesa Nazionale (A.D., doc. n.13), in cui esprime il suo punto di vista sulcoordinamento e sull’autonomia di ogniForza Armata (in cui, in particolare, la ca-rica di “Comandante in Capo per la difesanazionale” sia da attribuire a rotazione —come avviene oggi — ad ufficiali gene-rali/ammiragli delle tre Forze Armate).Ma i due progetti appaiono tra loro al mo-mento inconciliabili, e Mussolini, che sindal 4 maggio ha presentato il progettosull’Alto Comando all’esame del Consigliodei ministri (al quale Revel si era benguardato dal partecipare), di fronte alla ir-removibilità del Ministro, il 7 maggio neaccetta le dimissioni, assumendo perso-nalmente l’interim della Marina stessa.Ma Revel, secondo il suo stile, come ab-biamo visto altre volte, non abbandona labattaglia (anche se si tratta, ancora una

volta, di una causa persa in partenza,come la sua precedente insistenza sul-l’italianità della Dalmazia, vanificata poidal Trattato di Rapallo) e in Senato il 18maggio difende sino in fondo il proprioprogetto contro quella che gli appare ine-vitabilmente una visione distorta dellaguerra futura, una guerra che ubbidiscead una logica di potere e di controllo es-senzialmente terrestre (A.D., doc. n. 14).Vittorio Emanuele, dal canto suo, si li-mita a commentare cinicamente: «Revelha sempre le dimissioni in tasca», allu-dendo alle altre due volte in cui si era di-messo dalla carica di Capo di StatoMaggiore della Marina (come ricordiamo,nell’ottobre del 1915, per le polemichesulla condotta strategica della guerraadriatica, e nel novembre del 1919, perla mancata applicazione integrale delPatto di Londra che, a suo avviso, com-prometteva il problema navale della si-curezza adriatica). Dopo essere stato perben due volte ai vertici della gerarchianavale ed essere stato chiamato nell’ul-timo triennio alla direzione politica dellaMarina, il Grande Ammiraglio prendevacongedo dalla Marina nella sua veste diMinistro, con il seguente commiato, ve-nato di commozione, pubblicato sul Fo-glio d’Ordini del Ministero della Marinan. 111 del 9 maggio 1925.

«Nel lasciare la carica di Ministro ri-volgo il mio affettuoso saluto a tutti co-loro che con opera di intelligenza e diamore hanno concorso, nell’ambitodelle proprie attribuzioni, a far sì chela Marina abbia sempre in ogni circo-stanza bene risposto all’alto compitoaffidatole dalla Nazione.Sono sicuro che nessuno verrà mai menoin tale assiduo lavoro e che tutti conti-nueranno ad anteporre al proprio van-taggio il bene della Marina, alla qualeauguro di avere ognora la potenza indi-spensabile per assicurare la vita d’Italia,ed, occorrendo, la sua salvezza».

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NOTE(98) Un particolare gustoso viene a proposito ricordato nelle memorie di famiglia (fase «Mio Padre» I, p . 10):

quando si vide davanti alla porta di casa un giovane sconosciuto con gli occhiali che si presentò semplicementecon le parole: «Sono Acerbo», irresistibilmente, alla moglie dell’ammiraglio Revel, Irene Martini di Cigala, sarebbevenuta voglia di rispondergli: «Bene, aspetteremo che maturi!».

(99) Riassunto nella presente tabella (espressa in milioni di lire del tempo):

E.F. 1919-’20 1920-’21 1921-’22 1922-’23 1923-’241 220,6 960,8 l 074,1 2 544,3 l 799,1

1924-’25 1925-’261 061, l l 085,7

(100) Il Trattato di Washington stabiliva il tonnellaggio globale delle navi da battaglia delle singole potenzefirmatarie (Gran Bretagna e Stati Uniti, 525 000 t; Giappone 315 000; Italia e Francia 175 000) (equiparazione, que-sta, che venne avvertita come un grosso successo politico internazionale). Fissava il dislocamento standard di cia-scuna unità da battaglia (non superiore alle 35 000 t) nonché il calibro massimo delle loro artiglierie (che nondoveva eccedere i 16 pollici) e una ‘vacanza navale’, cioè una interruzione della costruzione delle nuove unità,fino al 1932 (anche se all’Italia e alla Francia venne accordato il permesso di impostare le nuove costruzioni sindal 1927). Il Trattato fissava anche una serie di limitazioni qualitative, oltre che per le navi di linea, anche per leunità portaerei (27 000 t) e gli incrociatori (10 000 t con artiglierie da 203 mm). Per un approfondimento critico,G. Bernardi, Il disarmo navale tra le due guerre mondiali (1919-1939), Ufficio Storico della Marina, Roma 1975, p.29 e segg. (per la sotto-commissione navale ‘allargata ‘ per coinvolgere nella limitazione degli armamenti navali iPaesi non firmatari ed i lavori romani tenuti dalla stessa nel febbraio del 1924, p. 52 e segg.). Per alcune interpre-tazioni «a caldo», cfr. pure F. Accinni, «La Conferenza di Washington e la nostra Marina da guerra» e L. Fea, «Alcuneconsiderazioni della Conferenza di Washington sulle costruzioni navali», entrambi in Rivista Marittima, giugno esettembre 1922.

(101) Per un totale complessivo di 50 283 t. Sulla conduzione politica della Marina durante la gestione mini-steriale Revel, mancano studi specifici. Rimandiamo pertanto a quelli più generali, peraltro non numerosi, sullapolitica italiana del primo dopoguerra; W. Polastro, «Lineamenti della politica navale italiana nel primo dopo-guerra» in Rivista Marittima, luglio 1978 e M. Gabriele, «La politica navale italiana dal 1861 ad oggi» in Rivista Ma-rittima, marzo 1961. Inoltre si ricordano saggi tradizionali che, anche se mantengono una loro precisa validità,possono ai nostri giorni apparire fortemente datati: R. Bernotti, I Fondamenti della politica navale (dattiloscrittoconservato nella biblioteca dell’Istituto di Guerra Marittima); Oscar di Giamberardino, Politica Marittima, Cappelli, Bologna 1932; U. Cugia di Sant’Orsala, Orientamenti di politica navale 1919-1932, Roma 1932.

(102) Tra gli interventi parlamentari di Revel in veste di ministro della Marina, ricordiamo in particolare quellialla Camera e al Senato nelle tornate del 10 e 20 dicembre 1924 (ai quali la Rivista Marittima ha dedicato il sup-plemento allegato al fascicolo di gennaio 1925).

(103) Revel terrà a ribadire che, sotto la sua amministrazione, «La Marina è diventata tutta una scuola. Tuttilavorano per imparare (...) con 200 ufficiali che seguono i corsi speciali, 99 allievi ufficiali che seguono i corsi spe-ciali di complemento e 342 allievi che seguono i corsi normali. In totale — sottolinea il Ministro — abbiamo oltremezzo migliaio di ufficiali e di allievi ufficiali che studiano». Durante la sua gestione politica della Marina furonoaumentati i limiti temporali del servizio di leva marittimo (da 24 mesi a 28) e la forza bilanciata della Marina venneportata stabilmente a 45mila uomini (di cui 15 mila volontari).

(104) per esempio, sulla rivista L’Italia marinara, periodico della Lega Navale Italiana, gli articoli del direttore,Francesco Aponte, e dell’analista navale Isacco Yessua (nei fascicoli dell’ottobre e dicembre 1924) che lamentanosoprattutto l’impiego ristretto ed inadeguato dell’Aeronautica e dimostrano l’assoluta necessità di disporre di unanave portaerei.

(105) «Aeronautica marittima. Ricordi» in Rivista Marittima, marzo 1948. Scorrendo la sua biografia infatti lotroviamo impegnato nelle vicende aeronautiche sin dai primordi (nel 1910 era stato destinato al Corpo Aeronauticoe all’allestimento dei dirigibili del R. Esercito); nella guerra libica si impone come uno dei capi dell’aviazione ma-rittima; nella Grande Guerra, dopo numerosi comandi di dirigibili, lo ritroviamo alla Direzione dei Servizi aero-nautici dell’Alto Adriatico e, nel primo dopoguerra, all’Ispettorato di Aeronautica presso il Ministero della Marina.

(106) Come leggiamo nelle «Istruzioni» di Revel al comandante della flotta Solari in data 30 luglio 1923;AUSMM, doc. stor., (1923), cart. 1669/1 (Riassunto delle disposizioni impartite e delle proposte relative al pro-gramma da svolgere in occasione della prevista annessione delle isole del Dodecanneso all’Italia). Per una storiaanalitica delle fonti diplomatiche della crisi corfiota, cfr. Ministero degli Affari Esteri, Documenti Diplomatici ita-liani, Settima Serie: 1922-1935 vol. II, (27 aprile 1923- 22 febbraio 1924), Roma 1955 pp . 125-266.

(107) Per un’analisi critica dell’intera vicenda corfiota, T. Argiolas, Corfù 1923, Volpe, Roma 1973 e il miosaggio «Un rischio calcolato? Mussolini e gli ammiragli nella gestione della crisi di Corfù» in Storia delle RelazioniInternazionali, n.5/ 1989. Per la memorialistica navale, A. Foschini, La verità sulle cannonate di Corfù, Roma 1955;V. Tur, Plancia Ammiraglio cit., vol. III, p. 35 e segg.; R . Bernotti, Cinquant ‘anni nella Marina Militare, Mursia, Mi-lano 1971, p. 132 e segg.. Per gli aspetti diplomatici inoltre vds. R. Guariglia, Ricordi 1922-1946, Ed. scientificheitaliane, Napoli 1950, p. 25 e segg..

(108) ACS, carte Del Bono, B.2, fasc. 17, Revel a Del Bono - Riservata personale del 31 gennaio 1918.

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104 Supplemento alla Rivista Marittima

Il FOM di commiato di Revel, Ministro della Marina, n.111 del 9 maggio 1925 (esemplare tratto dal “Diario storico docu-mentato delle dimissioni di S.E. il Grande Ammiraglio”, all. 21) (archivio Revel).

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Dopo le dimissioni da ministro, Thaon diRevel tornava ad essere un privato citta-dino «sui generis»; infatti come grandeammiraglio rimaneva sempre in servizionella Marina senza alcun limite di età eper questo continuava ad avere un pro-prio ufficio e una propria segreteria(retta per molti anni dal comandanteNegri) a Palazzo Sant’Agostino, e poi,(dal 1929) nella nuova sede ministerialedi Palazzo delle Ancore, sino alle dram-matiche giornate del settembre 1943.Profondi, dunque, rimanevano i legamicon la Marina e con i suoi personaggi deltempo. Molti degli ufficiali erano stati in-fatti suoi allievi in Accademia, moltissimisuoi subordinati nei comandi navali, al-cuni suoi personali collaboratori nell’ul-tima esperienza ministeriale (comeDomenico Cavagnari ed Arturo Riccardi,suoi ex-capi di Gabinetto), presto li ritro-veremo alla direzione politica della Ma-rina ed ai vertici della gerarchia. Ma,come l’albero che si erge imponente edisolato e domina sul resto della macchiamediterranea, figuratamente parlando,egli non aveva un vero e proprio gruppodi seguaci, non aveva creato una ‘scuola’.Durante la Grande Guerra, in mezzo alotte interne e a polemiche vivaci, erauscito ad imporre il proprio punto divista sui metodi più opportuni per con-durre la guerra navale contro gli Au-striaci e i fatti gli avevano dato ragione.Aveva usato il pugno di ferro con chi glisi era opposto o che, secondo lui, non era

stato all’altezza dei compiti che gli eranostati affidati e, in un certo senso, avevafatto il deserto intorno a sé, ergendosialla fine come l’unico e solo ‘Ammiragliodella Vittoria’, sia pur contornato da va-lorosi personaggi come Rizzo, Rossetti ePaolucci, la cui fortuna erano legate alleleggendarie imprese nella guerra suimari (dall’affondamento della Wien edella Szent Istvàn a quello della ViribusUnitis). Ma quasi tutti gli altri erano spa-riti di scena. In un memoriale inedito cheporta la data del 31 gennaio 1918, indi-rizzato al Ministro della Marina, vice am-miraglio Andrea del Bono (109), Revelaveva tracciato un quadro non certo con-fortante dei capi navali italiani che, inquel particolare momento, devono es-sere presi in considerazione per l’attri-buzione dell’ambita carica dicomandante della flotta. Il vice ammira-glio Cutinelli Rendina viene giudicato«non ulteriormente idoneo agli alti co-mandi navali» per i pesanti addebiti for-mulati a suo carico a causa dellacondotta in guerra (nelle due azioni na-vali di superficie del 29 dicembre 1915 edel 15 maggio 1917, in cui viene definitoaddirittura «assente»), nonché per le pe-santi responsabilità accertate dalla com-missione d’inchiesta sull’affondamentodella corazzata Leonardo da Vinci nelporto di Taranto. Riguardo al vice ammi-raglio Cerri, il più anziano degli ammira-gli in comando, Revel scrive che «le suestesse doti di carattere tendono a tali

CAPITOLO QUINTO

L’AMMIRAGLIO DELLA VITTORIA

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

estremi da divenire in pratica difetti»,perché «la bontà e la calma degeneranotalvolta in lui in una eccessiva mitezza,in una tendenza pericolosa a scusare imancamenti e gli errori dei dipendenti,ad accettare come fatali certi fatti cheun’azione energica e tempestiva avrebbefacilmente evitato». Per «ragioni di op-portunità», scarta anche il vice ammira-glio Corsi, ex-ministro della Marina eCapo di Stato Maggiore durante il suo‘esilio’ veneziano degli anni 1915-’17.Non prende nemmeno in considerazionela possibile nomina dei vice ammiragliCagni e Millo, i suoi acerrimi nemici nella

determinazione dei cri-teri della guerra adriaticanella sua prima fasc. In-fatti, precisa nel memo-riale in questione,«chiamare l’uno o l’altroal Comando delle Forzenavali del Basso Adria-tico, significherebbe nontenere alcun conto deimotivi reali per i qualivennero già esonerati daicomandi navali minori».Secondo il suo giudizio,«Cagni non possiede suf-ficiente equilibrio e pa-dronanza di sé peraffidargli senza preoccu-pazione un organismomilitare». Su Millo pesainvece l’ombra della per-dita della corazzata ita-liana Regina Margheritache, all’uscita del porto diValona, era finita su unbanco di mine, da moltiindividuato come ita-liano.In conclusione, o permancanza di requisiti in-dividuali, vagliati attra-verso una sottileindagine psicologica, o

per addebiti rilevati nel corso delle ope-razioni navali in Adriatico, Revel prati-camente decapita il vertice navaleitaliano del tempo di guerra e in questosenso ci spieghiamo meglio come l’Am-miraglio della Vittoria, nell’interesse su-periore delle istituzioni marittime, fossestato un giudice implacabile che mal siadattava ad avere dei «seguaci», nelsenso letterale della parola.Nel frattempo iniziava pure, dopo l’eu-foria iniziale conseguente alla vittoria,un serio ripensamento critico sullastessa esperienza bellica che aveva vistole potenti unità da battaglia giocare il

La sede del Ministero della Marina al Lungotevere delle Navi (inaugurata nel 1929),dove Thaon di Revel, come Grande Ammiraglio, cioè come ufficiale ammiraglio inservizio senza alcun limite d’età, continuò ad avere un proprio ufficio sino alle dram-matiche sequenze del settembre 1943 (foto SMM-UPICOM).

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erano state addebitate - ne costituisse,in certo qual senso, quello negativo.Revel era stato colui che, con «trovate»geniali ed efficacissime, era riuscito ad«riagguantare» una guerra contro gli Au-striaci, che agli inizi era sembrata sfug-gire di mano agli Italiani, anche se talimetodi avevano bisogno di una revisionecritica in funzione della nuova situa-zione geo-strategica dell’Italia, ormaicon le sue ambizioni mediterranee eoceaniche.Nei confronti del Grande Ammiragliocontinuava poi l’ossequio formale del re-gime, pur dopo i toni aspri che aveva fi-nito per assumere, nel maggio del l925,la polemica in Senato sull’ordinamentodel Comando Supremo. La presenza diRevel e di Diaz nel primo governo mus-soliniano aveva avuto la funzione di ga-rantire il sostegno delle Forze Armate altrono e all’ordine costituito e, pur dopola fine dell’esperienza ministeriale, la fi-gura del Grande Ammiraglio continuavaa giocare un ruolo preciso nel clima diquell’appoggio politico-propagandisticoche il regime chiedeva alle Forze Armate.Per Revel gli impegni pubblici nell’ambitodella Marina si coniugavano poi con quellilegislativi nel senso che, come senatore dinomina regia, era chiamato, vita naturaldurante, a far parte dell’Alto consesso,anche se l’unico vantaggio materiale eracostituito, in quei tempi, dalla possibilitàdella libera circolazione sui mezzi pub-blici e da un certo numero di biglietti perla famiglia, tutto qui! Tanto più che, daparte sua, Revel si era sempre oppostoalla concessione di qualsiasi «indennità»parlamentare. Ambitissima comunque,per evidenti motivi di prestigio, era la no-mina a senatore e in occasione dellaprima «infornata» di nuovi senatori nel-l’immediato dopoguerra (negli anni in cuiRevel era ministro della Marina), sul suotavolo arrivavano valanghe di «raccoman-dazioni» da parte degli stessi aspiranti,dai familiari o dai mentori più diversi.

ruolo di flotta in potenza, mentre laparte attiva della guerra era stata riser-vata, di fatto, ai treni armati, alle unitàleggere, sottili e insidiose, mentre i bat-telli subacquei italiani non avevano coltogli sperati successi, soprattutto se para-gonati a quelli ottenuti dai sommergibilitedeschi e austriaci che avevano infe-stato, nonostante tutto, con successol’Adriatico e il Mediterraneo. Era valsaveramente la pena spendere somme cosìrilevanti per avere una flotta imperniatasulle grandi unità da battaglia rimasteparalizzate nelle proprie basi, mentre glistessi marinai, con le artiglierie smon-tate dalle navi, combattevano nelle trin-cee e negli acquitrini dell’Isonzo e delbasso Piave ‘come’semplici truppe difanteria? Come scrive uno dei maggioriteorici navali del periodo tra le dueguerre mondiali, l’ammiraglio Oscar diGiamberardino, «negli elementi più pen-sosi della Marina, nonostante la vittoria,c’era un senso di insoddisfazione per ciòche era avvenuto in guerra (...) era man-cata la tanto attesa battaglia navale riso-lutiva, quella atta a scardinare laresistenza dell’avversario e a dare nuovaluce alla gloria marittima nazionale», in-cidendo profondamente sull’esito dellaguerra, senza dover aspettare l’effettoindotto dal blocco navale alleato, cheagiva per effetto del dominio del mareche l’Intesa aveva detenuto sin dall’ini-zio della guerra, per ragioni geo-strate-giche, sugli Imperi Centrali. Inconclusione «nessun ammiraglio italianoin guerra aveva meritato l’onore di unastatua su di una colonna rostrata» (110).Ma nell’opinione pubblica Revel era«l’Ammiraglio della Vittoria», al di sopradi ogni discussione e di ogni petizionedi principio in sede critica, un punto diriferimento ineludibile, il polo positivodella Marina della Nuova Italia, come sicontinuare a pensare che il povero am-miraglio Persano - che poi, a onor delvero, non aveva tutte le colpe che gli

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A tutti Revel rispondeva di aver presobuona nota dei singoli «desiderata» mapoi, al momento della decisione, nell’am-bito del Consiglio dei ministri, chiese edottenne il laticlavio solo per due personementre, con la consueta ironia, si limi-tava a dire «e poi ho la nota degli auto-candidati», leggendo integralmente lalista di tutti i nominativi che, per diversevie, gli erano pervenuti. «Così potrò sem-pre dire di averne parlato!», osservavasempre sul filo dell’ironia. Ad esempio,nel dibattito in Senato, di fronte a unalunga lista di candidati presentata daTommaso Tittoni, all’epoca presidentedell’assemblea, Revel non esitò a ribat-tere: «Ma si tratta dei candidati del Pre-sidente del Senato o di TommasoTittoni?».Come Cavaliere dell’Ordine Supremodella SS. Annunziata, Revel godeva poidi tutti i privilegi del rango (il titolo diEccellenza, l’appellativo di «cugino delre», il diritto agli onori militari e alla pre-cedenza su tutte le cariche dello Stato).Nella seconda metà degli anni Venti e neiprimissimi anni Trenta, le giornate delGrande Ammiraglio trascorrono quinditra il suo ufficio al Ministero della Marina,dove in genere si recava in mattinata, e aPalazzo Madama, dove invece in genereandava il pomeriggio, sia per seguire i la-vori in aula, sia come frequentatore dellasua ricchissima Biblioteca (tanto più cheera solito chiamare scherzosamente il Se-nato «il mio club»). E alla fine della gior-nata, prima di ritornare a casa, entravavolentieri in chiesa, e quella abitualmentepreferita era S. Maria della Vittoria, in viaXX Settembre (alla quale aveva donatocome ex-voto la sua sciabola della GrandeGuerra), in cui, come raccontò un giornoalla stessa figlia : «Mi siedo lì tranquillo,penso al Signore, forse non penso aniente. Cela me repose. Je ne crois pas qu‘il soit mal». Era stato chiamato inoltre afar parte di numerose organizzazioniscientifiche, culturali e filantropiche,

come presidente, vice presidente o comemembro di comitati d’onore; incarichivissuti da Revel, secondo il suo stile, sem-pre attivamente e in prima persona. Peresempio, già presidente della SocietàGeografica italiana dal 1921 al 1923, di-venta presidente della Delegazione ita-liana nella Commissione internazionaleper l’esplorazione del Mediterraneo, vicepresidente del Comitato per la Storia delRisorgimento, membro del Consiglio di-rettivo della Enciclopedia Treccani (il cuigettone di presenza, di ben 500 lire, erasolito devolvere all’Istituto di benefi-cienza marinara «Principe di Piemonte»,ora «Andrea Doria»). Quindi socio dellaPontificia Accademia Tiberina, della«Dante Alighieri», della Reale Insigne Ac-cademia di San Luca, socio d’onore dellaR. Accademia dei Lincei, della R. Accade-mia delle Scienze, Lettere e Arti di Mo-dena, consigliere dell’Ordine Mauriziano,socio dell’Istituto del Nastro Azzurro edella Società Veterani e Reduci. Gli impe-gni al Ministero della Marina e al Senato,le cerimonie pubbliche, le riunioni e lemanifestazioni dei numerosi enti di cuiera stato chiamato a far parte, erano piùche sufficienti per un uomo che, a settan-tatre anni (nel 1932), si pensava non do-vesse essere più chiamato a ulterioriimpegni di natura prettamente pubblica.Ma Vittorio Emanuele, sebbene nonavesse mai di fatto preso posizione, se-condo il suo stile, in difesa di Revel nellecrisi militari e politiche che, per ben trevolte (ricordiamo nel 1915, 1919 e 1925),lo avevano portato alle dimissioni dallecariche di Capo di Stato Maggiore dellaMarina e di Ministro, non si era dimenti-cato del suo fedele suddito e non appenase ne presentò l’occasione, con la scom-parsa di Paolo Boselli (nel marzo appuntodel 1932), volle chiamarlo a succederglicome Primo Segretario del Re per il GranMagistero dei Santi Maurizio e Lazzaro eCancelliere dell’Ordine della Corona d’Ita-lia.

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Il che significa praticamente che, nel pe-riodo compreso tra il 1932 e il 1943, ilpersonaggio che in Italia, dopo Musso-lini, aveva più frequenti rapporti con ilSovrano, nelle settimanali riunioni fis-sate ogni giovedì, per l’esame e la firmasovrana dei decreti per l’attribuzionedelle onorificenze, sarà proprio il PrimoSegretario per gli Ordini cavallereschi,cioè il grande ammiraglio Thaon diRevel. Eccezionalmente affini per forma-zione, carattere e abitudini (entrambiamanti della vita sobria e semplice,senza pretese ed esibizionismi, di pochema incisive parole, ponderati e sicuri neigiudizi, appassionati delle buone letture,dotati di un temperamento compassatoe calmo più che freddo), Vittorio Ema-nuele e Revel avevano in comune tutti irequisiti per diventare ottimi amici, neilimiti consentiti dall’amicizia di un re.Nei loro colloqui si soffermavano a par-lare degli argomenti più disparati e il Retrovava sempre modo di dirgli qualcosadi gentile nei confronti della sua fami-glia (che, ricordiamo, all’epoca dell’occu-pazione francese durante il periodonapoleonico, era stata una delle pochenel Regno di Sardegna a essere rimastaincondizionatamente fedele al Monarcasabaudo, senza mai accettare incarichi oprebende dai Francesi).Ed è singolare come la profonda religio-sità del Grande Ammiraglio riuscisse ascuotere l’interesse, sempre piuttostotiepido, del Re nei confronti della reli-gione. Un giorno Revel citò una dellefrasi della sua lettura preferita, l’Imita-zione di Cristo; il Re ascoltò con grandeinteresse (o almeno così parve a Revel)e, quando si stava accomiatando, si feceripetere le parole che Revel aveva citatoe dove esattamente si trovassero, ripro-mettendosi di leggerle. Tra loro eranosoliti fare a gara di puntualità e, quandoun giorno la figlia fece notare a Revelche usciva troppo presto per recarsi alleudienze del Sovrano, quest’ultimo le ri-

La sede del Magistero dell’Ordine dei Santi Maurizio eLazzaro in via Vicenza a Roma, dove Revel esplicò lefunzioni di primo segretario del Re per gli Ordini cavalle-reschi dal 1932 al 1946 (archivio autore).

Nella biografia del Grande Ammi raglio un significato par-ticolare riveste la figura del Sovrano, con cui Revel in-staura sin dal lontano 1911 rapporti diretti e personali (daquando cioè viene nominato aiutante di campo effet-tivo), destinati successivamente a rafforzarsi nel periodotra le due guerre mondiali (foto del dipinto donato dallostesso Vittorio Emanuele III al Grande Ammiraglio - archi-vio autore).

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spose un po’ bruscamente: «Non vorraimica che faccia aspettare il Re!». VittorioEmanuele, dal canto suo, si regolava allastessa maniera, come possiamo rico-struire dalla testimonianza di un suo uf-ficiale d’ordinanza: «Sua Maestà sa cheil Grande Ammiraglio è sempre puntua-lissimo e desidera, a sua volta, arrivareancora prima per non farlo aspettare». Iltutto in linea con il vecchio adagio percui «l’exactitude est la politesse du Roi».Anche se poi non tutti, nell’ambito dellastessa famiglia reale, avevano mostratodi apprezzare una così zelante puntua-lità, tant’è vero che il principe Eugeniodi Savoia - Carignano, di cui Revel, ricor-diamo, era stato ufficiale d’ordinanza,per evitare che, insieme ai suoi colleghi,si presentasse troppo presto e lo tro-vasse a fare ancora colazione con la suafamiglia, aveva fatto affiggere un car-tello con la seguente scritta: «I Signori

Ufficiali sono pregati di non presentarsiprima delle nove».Certo se lo studioso disponesse dellememorie del Grande Ammiraglio rela-tive ai suoi rapporti così frequenti con ilSovrano, avrebbe una chiave privilegiataper meglio penetrare l’atteggiamento delRe in quel complesso periodo della vitanazionale, gli anni Trenta ed i primi anniQuaranta; ma purtroppo dobbiamo pro-cedere solo sulla base di testimonianzeindirette e, come vedremo, di pochefonti archivistiche, di carattere per lo piùindicativo, ma non certo esaustivo. Ungiorno la figlia domandò a Revel perchénon prendesse nota delle conversazionifatte, settimana per settimana, con Vit-torio Emanuele, ma la risposta di Revelnon ammetteva ulteriori repliche: «Misembrerebbe di tradire la sua fiducia».La sua nomina a primo segretario del Reper gli Ordini cavallereschi (111), dal

Lellera con la quale il Primo Segretario del Re per gli Ordinicavallereschi, Paolo Boselli, (predecessore, nell'incarico,del Grande Ammiraglio) esprime a Revel il suo parere sul-l'epistolario Ottavio di Revel-Carlo Alberto, a quell’epocapubblicato dal filosofo Gentile (archivio Revel).

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1932 in poi, diventa per Revel l’impegnopreminente, sicché la maggior partedella giornata viene ormai spesa negliuffici della sede dell’Ordine (via Vicenzan. 5, dove ebbe come fidatissimo colla-boratore il commendator Toscani). Unincarico che sembrava fatto su misuraper Revel, per la sua concezione quasimistica della Monarchia e la fiducia nelconseguente ordinamento nobiliare delRegno, anche se ben presto si renderàpersonalmente conto che «L’Ordre estdevenu un bureau de bienfaisance», do-vendo sempre più spesso elargire sus-sidi alle casate nobili di un tempo,ridotte ormai a malpartito, mentre mon-tava la boria dei nuovi nobili «rampanti»,che Revel da sempre aveva guardato consospetto. Ed al riguardo possiamo citareun episodio significativo avvenuto moltotempo prima, all’inizio del secolo, in oc-casione della revisione dei titoli operatadalla Consulta araldica. In questa circo-stanza il comandante Bollati, i cui fami-liari solo da pochi anni potevano vantareil titolo di baroni di Saint Pierre, ebbeun’espressione poco fe-lice nei confronti di Revelche, come figlio cadettodel conte Ottavio, potevatutt’al più fregiarsi del-l’appellativo di «Cavalieredi conte». «Finalmente sisaprà- esclamò con boriaBollati - chi ha veramentediritto al titolo e chi in-vece se lo attribuisce in-debitamente»; al cheRevel pronto ribatté:«Certo è più facile accer-tare il diritto quando il ti-tolo si ha da pochi anni,che non quando lo siporta da qualche secolo»,alludendo in maniera tra-sparente al fatto che i di-plomi originali deimarchesi di St. André e

conti di Revel erano andati distrutti al-l’epoca della Rivoluzione francese,quando Carlo Francesco li affidò alconte Piossasco che, per non esserecompromesso agli occhi dei Francesi,finì per bruciarli. Quindi un profondo ri-spetto per la tradizione delle antiche fa-miglie nobili, anche se magari nongodevano più del lustro avuto nei secoliprecedenti, unitamente a una viva diffi-denza per tutti coloro che brigavano perprocurarsi un titolo che consacrasse,nell’opinione pubblica, il successo con-seguito ma solo nelle ultime genera-zioni, eccezion fatta per chi in guerra,sul terreno del valore militare, come gliantichi capitani d’arme, si era mostratodegno di guadagnarsi un titolo, il cui to-ponimo, inserito nel predicato, ricor-dasse le gesta compiute (da Dia RossiPassavanti ad Eugenio Casagrande, daCostanzo Ciano a de Vecchi di val Ci-smon, dai generali Badoglio, Vaccari,Gonzaga a Luigi Rizzo e Raffaele Pao-lucci). Quest’ultimo personaggio meritaun cenno in più, per la sua affermazione

Nel 1932 Revel viene nominato primo segretario del Re per gli Ordini cavallereschi,una carica che gli permette di essere sempre più vicino al Sovrano con le abitualiudienze di ogni giovedì per la firma reale dei «motu proprio» (archivio Revel).

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politica nei ranghi nazionalisti (che gliavrebbe assicurato durante il ventenniola carica di vice presidente della Ca-mera), per il suo matrimonio (con la fi-glia del generale Pollio, già Capo di StatoMaggiore dell’Esercito sino alla vigiliadella Grande Guerra), e per i suoi suc-cessi professionali come illustre clinico,prima a Bologna poi a Roma. Tra gli uo-mini di mare della Grande Guerra, Pao-lucci è forse quello che mantienerapporti più frequenti con il Grande Am-miraglio, che egli definisce nelle sue me-morie «Un nobile uomo, diritto comeuna spada, una coscienza adamantina».A Paolucci suggerirà di assumere comepredicato del titolo comitale, al quale ar-dentemente aspirava, quello di conte diVal Maggiore (cioè l’insenatura del porto

di Pola dove si era svolto l’affondamentodella Viribus Unitis, di cui Paolucci erastato protagonista insieme a Rossetti,caduto però, nel frattempo, in disgraziaper le sue idee politiche e per la pole-mica accesa con l’ormai potentissimoministro Costanzo Ciano) (112).Con questa ‘filosofia’ degli Ordini caval-lereschi, Revel non tarda ad accorgersiche l’Ordine è anche diventato «un bu-reau de déplacement», alludendo ai tanticasi che si sottoponevano al suo esameper un aiuto concreto e che egli, nei li-miti del possibile, cercava di soddisfare(per esempio, istituendo, come avevafatto precedentemente in Marina, una‘indennità di lutto’ per venire incontro aimeno abbienti nei tragici momenti dellascomparsa di un familiare).Inoltre, come presidente della Commis-sione per la revoca delle decorazioni, cer-cava di svolgere un’attività mediatrice difronte alle pretese della dittatura che siandava sempre più consolidando, comepossiamo vedere nel ‘caso Nitti’. Musso-lini da tempo personalmente premevaper la revoca delle decorazioni all’uomopolitico lucano, per la sua «attività anti-taliana e antimonarchica» svolta al-l’estero, una motivazione che non potevacerto lasciare indifferente il Primo Segre-tario del Re per gli Ordini cavallereschi.Revel preparò una prima bozza di de-creto di revoca e, in una delle soliteudienze del giovedì, la prospettò a Vitto-rio Emanuele che la firmò, pur con unadelle sue solite battute eloquenti: «Chissàche in materia di finanze non avesse ra-gione lui!». Una battuta interpretata daRevel come un implicito riconoscimentodelle benemerenze maturate precedente-mente da Nitti che lo spinse ad archiviarel’intera pratica in questione, rispondendoa Mussolini (senza però citare il fattodella già avvenuta firma regia) che, a suoavviso, la revoca delle decorazioni sa-rebbe stata un’arma a doppio taglio perl’impatto pubblicistico che avrebbe inevi-Un’inusuale immagine in abiti borghesi (archivio Revel).

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tabilmente finito per avere, e il Duce nonreagì. Naturalmente la frequentazione as-sidua del Sovrano fa crescere il peso diRevel nella vita politica del tempo, comepossiamo cogliere, a titolo esemplifica-tivo, nel Diario di Galeazzo Ciano che ri-ferisce il parere del Ministro delleFinanze, Paolo Thaon di Revel, nipote delGrande Ammiraglio (era infatti figlio delfratello Vittorio, ministro plenipotenzia-rio da poco scomparso e con cui spesso,data l’omonimia, viene talora confusoanche nelle fonti ufficiali) (113). Ciano in-fatti, raccontando di un colloquio avuto

Un’immagine di Raffaele Paolucci nel periodo tra le dueguerre quando l’insigne clinico fu deputato al Parla-mento ricoprendo anche la carica di Vicepresidente(fonte: Orsogna.net).

Lettera della medaglia d’oro Raffaele Paolucci che fusempre molto vicino a Revel, del quale l’affondatoredella VIRIBUS UNITIS parla a lungo nelle sue memorie in-titolate «Il mio piccolo mondo perduto» (archivio Revel).

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con il collega delle fi-nanze, afferma: «sembrache il Grande Ammiraglioabbia molta influenza sulRe» (114). Una considera-zione generale, fatta pe-raltro di riflesso e cheinvece avrà una serie diesiti precisi dal punto divista politico, tra la finedel 1942 e gli inizi del1943, sia nei circoli demo-cratici, sia in quelli del fa-scismo moderato.Revel, che mantiene neiconfronti del fascismo ungiudizio essenzialmentein funzione della sua po-litica estera, non può chevedere di buon occhio lemanifestazioni della suapolitica di potenza, pur-ché il «colpo di mano», labrinkmanship del suoCapo, non degeneri tantoda mettere a repentagliola sicurezza stessa dellaNazione, comprometten-done i risultati sino ad al-lora conseguiti. NelSenato del Regno, Revel èinfatti il relatore ufficialesia per le vicende dellaguerra etiopica, sia perl’occupazione dell’Alba-nia. In sintonia con ilclima imperante, nelprimo caso ha paroleaspre contro gli antichialleati che, a suo avviso, ancora unavolta si opponevano alle aspirazioni ita-liane; nel secondo, vede con favore la so-luzione finale di quel problema adriaticoche sempre gli era stato a cuore. Il pos-sedere, infatti, le due coste del Canaled’Otranto, significava fare dell’Adriaticoun mare interno italiano, quello chesempre egli aveva auspicato e per cui si

era battuto, come abbiamo avuto occa-sione di vedere, in tante circostanze(115).Ma quando la guerra europea si profila al-l’orizzonte, quando l’alea del rischio contutte le sue incognite prevale sul calcoloe sulla previsione razionale, Revel nonesita a mostrare tutte le sue perplessità.Nell’ambito della Marina infatti una

Lettera di nomina di Thaon di Revel a membro della prestigiosa Académie de laMarine française (archivio Revel).

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guerra condotta contemporaneamente siacontro la Francia che contro la Gran Bre-tagna era da sempre stata consideratacosì assurda da non essere presa nem-meno in considerazione. Nel caso di spe-cie di una guerra con la Gran Bretagna,nonostante le azioni navali previste daidiversi piani di fattibilità (attacchi controle basi avversarie e azioni di interdizionedei traffici nemici nel Canale di Sicilia), larelatività delle forze in campo e la posi-zione geo-strategica dell’impero del marebritannico con le sue infinite risorse, no-nostante i possibili successi iniziali ita-liani, alla fine, per Revel, non potevanoche decretare la vittoria britannica, comed’altra parte lo stesso Revel aveva già pro-spettato bruscamente a Salandra nellacrisi europea dell’estate 1914 e allo stessoMussolini nel 1923 in occasione dell’af-fare di Corfù. Ma nessuno chiese il pareredel Grande Ammiraglio nel 1940! E con gliuomini di mare che gli stavano più vicini,Revel spiega meglio il proprio pensiero. Atale proposito, Raffaele Paolucci riferiscein maniera seguente alcune osservazionial riguardo del Grande Ammiraglio: «Laguerra navale è fatta di tecnica e mezziche non s’improvvisano. Egli (Revel) cicredeva assolutamente impreparati sottoogni punto di vista. La Marina, dotata dibuone navi ed ottimi equipaggi, nonavrebbe potuto opporsi in maniera moltoefficace alla flotta inglese: difettavamo dicarburante ed i depositi non erano tali daassicurarci una lunga autonomia, moltidei nostri sottomarini erano superati onon adatti al Mediterraneo, e soprattuttodifettavamo di un’aviazione navale e diportaerei» (116). Dall’osservatorio privile-giato del suo ufficio al Ministero della Ma-rina, Revel segue con attenzione levicende della guerra navale in Mediterra-neo che si susseguono nei primi mesi delconflitto, le servitù strategiche semprepiù onerose imposte dal traffico di rifor-nimento al fronte del deserto e dalla suaprotezione navale; ma ufficialmente non

lascia trasparire giudizi o avanza consiglinon richiesti in ambito ministeriale, limi-tandosi a osservare soltanto e a tenereper sé le proprie impressioni, nella con-vinzione che, come si regna uno alla volta,così si comanda l’organismo navale unoalla volta. Né risulta che richieste partico-lari di pareri siano state fatte dai respon-sabili politici e tecnici della Marina deltempo (cioè Domenico Cavagnari e ArturoRiccardi, i suoi capi gabinetto degli anniVenti, che si succedono al potere neiprimi trentasette mesi di guerra, con ladoppia carica di sottosegretario e capo diStato Maggiore della Marina), al di là delpuro ossequio formale (117). Sarà inveceproprio Mussolini, alla fine di quell’incon-cludente estate del 1940, che si rivolgeràal Grande Ammiraglio, dapprima perchiedergli il proprio parere sul da farsi ein seguito per affidargli la presidenza diuna Commissione governativa d’inchie-sta. Forse Mussolini si aspettava dal vec-chio Ammiraglio qualche soluzionestrepitosa, come quelle che aveva postoin essere nella guerra precedente; maormai la vastità del teatro di operazioni,la complessità tecnologica della guerrasui mari, il dominio aereo che gli Alleaticominciavano a esercitare sul Paese, fran-tumandone a poco a poco il fronte in-terno, mal si prestavano alleimprovvisazioni sia pur geniali. Cionono-stante, Revel, con encomiabile spirito diservizio, addita alcune misure di naturatecnico-ordinatoria che gli sembrano op-portune, sotto la spinta degli eventi cheincalzano: la protezione delle navi inporto da eventuali attacchi siluranti, na-vali od aerei (una raccomandazione che sirivelerà profetica, di lì a poco, con l’at-tacco britannico a Taranto che decapiteràla flotta italiana); una maggiore libertàd’iniziativa al comandante in mare senzatroppo vincolarlo alle direttive centrali.Soprattutto, comincia ad affiorare in luiun pensiero che riassume il senso dellaguerra navale ad oltranza contro un ne-

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mico implacabile: «meglio che le navi pe-riscano in combattimento che non passi-vamente all’ancora nei porti». Alla fineinfatti, secondo lui, la Marina sarà giudi-cata solo per i risultati conseguiti in basealla reale attività e non in funzione di con-siderazioni prudenziali per un’eventualecontinuazione indeterminata della lotta;bisogna agire al momento e bisogna agirecon tutta l’energia possibile e i mezzi di-sponibili, perché «in mare il futuro è sem-pre l’oggi». Egli infatti era solito dire chela peggiore giustificazione da addurre èquella di affermare di non aver agito perpaura delle responsabilità! Parimenti inuna «memoria» richiestagli e «trasmessaal duce dopo la conferenza con lui occorsain ottobre 1940», insiste sul concetto di vi-gilanza delle basi navali dagli attacchi ne-mici, sulla necessità di una più intimacorrelazione operativa tra lo Stato Mag-giore Generale e Supermarina, sul forza-mento e la distruzione del porto di Maltamediante navi-brulotto con 500 tonnel-late di esplosivo, sulla necessità di fulmi-nee azioni notturne mediante repentinesortite di navi da battaglia con dei caccia-torpediniere che possano scortarle a ve-

locità elevata, e sulla necessitàdi allargare il teatro di opera-zioni marittime per danneg-giare le linee di comunicazioninemiche, servendosi di banchidi mine e di MAS, nel Mar Rossoe di sommergibili con base aChisimaio nell’Oceano Indiano.Suggerimenti, questi ora elen-cati, che mostrano che Revel hauna visione strategica ad ampioraggio della guerra marittima edei suoi problemi essenziali.E naturalmente le vicendedella guerra s’intrecciano congli eventi di natura pretta-mente privata, indubbiamentepiù fausti, come il matrimoniodella figlia Clorinda con un uf-ficiale di Marina, il capitano di

corvetta Mariano Imperiali duca di Fran-cavilla, celebrato nella chiesa di SantaMaria della Navicella al Celio, il 16 gen-naio del 1941, testimoni alle nozze il cu-gino della sposa, Paolo, ministro delleFinanze, ed Umberto di Savoia, principedi Piemonte che, nel biglietto che accom-pagnava il regalo nuziale, aveva occa-sione di ricordare «la vecchia e costanteamicizia» tra la Corona e la famigliaRevel.Le vicende della guerra, ormai, andavanodi male in peggio, sia pur con occasio-nali impennate ottimistiche; nel novem-bre del 1941 Mussolini affida al GrandeAmmiraglio la presidenza della Commis-sione governativa d’inchiesta con l’inca-rico di «procedere nell’esame dellosvolgimento delle operazioni militari inAfrica settentrionale che hanno provo-cato la ritirata delle nostre truppe dallaCirenaica e di riferire sulle eventuali re-sponsabilità dei dirigenti delle opera-zioni stesse», come il Duce si esprimenella sua lettera del 16 novembre 1941.Della Commissione d’inchiesta inter-forze facevano parte il generale d’ar-mata Pietro Ago ed il generale di

Dopo aver abitato per un quarto di secolo a via Mario Pagano, il GrandeAmmiraglio nel 1936 si trasferì nella nuova casa ai Parioli (nella foto), dovela sera dell’8 settembre 1943 si presentò l’ammiraglio de Courten per chie-dere consiglio sulla drammatica situazione in atto (archivio autore).

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squadra aerea Giuseppe Manno. E qual-che giorno dopo, lo Stato Maggiore Ge-nerale emanava una circolare, in data 21novembre, a tutti i ministeri militari, agliStati Maggiori e al Ministero dell’Africaitaliana per una specie di presentazioneufficiale della Commissione stessa, chie-dendo nel contempo di facilitare in ognimaniera, dal punto di vista documenta-rio ed amministrativo, il procedimentoistruttorio formalmente in corso. I lavorisarebbero durati pochi mesi e gli atti fi-nali dell’inchiesta (le cui pesanti conclu-sioni sono riassunte nell’A.D., doc. n. 15)consegnati personalmente a Mussolini aiprimi di marzo.Il capo del Governo, con lettera datata 6marzo 1942, così rispondeva al GrandeAmmiraglio: «Ho letto la relazione, checonsidero obiettiva, esauriente e tale daprecisare le singole responsabilità.Esprimo a Voi, Grande Ammiraglio, lamia gratitudine. Avete reso un altro ser-vizio al Paese» .La conclusione della Commissione d’in-chiesta rappresenterà l’ultimo contattoufficiale con Mussolini; nel contempoperò Revel continuava le sue abituali vi-site, ogni giovedì, al Quirinale, nellequali, negli anni della guerra, spesso si

passava dagli argomenti e daiproblemi riguardanti le onori-ficenze, alle questioni di piùbruciante attualità, come pos-siamo, purtroppo frammenta-riamente, ricostruire dal fondoarchivistico del Primo AiutanteGenerale di campo del Re, ge-nerale Paolo Puntoni (118). Sitratta di brevi biglietti cheRevel fa recapitare tramitel’Aiutante di campo, diretta-mente al Sovrano, evidente-mente per sciogliere con delleinformazioni certe dei dubbiche erano affiorati durante ilcolloquio della mattina o delgiorno precedente e da cui,

lato sensu, possiamo farci un’idea, siapur molto approssimativa, degli argo-menti delle loro conversazioni.In un biglietto, che porta la data del 7maggio 1942, Revel fornisce i dati tec-nici dell’unità francese Bougainville adi-bita al servizio coloniale; in un secondobiglietto, del 4 febbraio 1943, il GrandeAmmiraglio informa il Re del nome delPrimo Lord del Mare in carica. Minuti in-dizi soltanto, ma che ci fanno capirecome i discorsi frequenti tra il Re ed ilsuo fidato collaboratore spaziassero benal di là delle esigenze strettamente d’uf-ficio. Tanto più che una ben altra partitasi stava ingaggiando, da mesi, da partedelle forze politiche per spingere il Re arisolvere politicamente la situazione di-sperata dal punto di vista militare in cuil’Italia, dopo la sconfitta di El - Alamein,stava precipitando.Infatti, sia nei rinnovati circoli democra-tici, sia negli ambienti del fascismo mo-derato, si cominciava nuovamente aguardare al Re come all’unico capace dirisolvere la situazione in sede politica e,naturalmente, si cercava di «indurlo» aprendere quelle decisioni reputate ne-cessarie, nel quadro politico-militare delmomento.

Il matrimonio della figlia Clorinda con un ufficiale di Marina, il capitano dicorvetta Mariano Imperiali duca di Francavilla, celebrato nella chiesa diSanta Maria della Navicella al Celio, il 16 gennaio del 1941 (fonte: miles.fo-rumcommunity.net).

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Dino Grandi, a quel tempo presidentedella Camera dei Fasci e delle Corpora-zioni, nonché Guardasigilli, lo dice chia-ramente: «avrebbe vinto chi avesseguadagnato il Re». Ed evidentementel’interesse si rivolgeva anche ai più di-retti collaboratori del Sovrano, come ap-punto il Grande Ammiraglio, perspingere il Re a fare un passo decisivo.In questo contesto i circoli democratici(il filosofo Benedetto Croce, il conte Ca-sati, il marchese della Torretta, IvanoeBonomi che di lì a poco diventerà Capodel Comitato di Liberazione Nazionale epoi presidente del Consiglio) cercano unprimo approccio con il Sovrano propriotramite Revel, come possiamo rico-struire dalla testimonianza resaci dalDiario di un anno dello stesso Ivanoe Bo-nomi, che rappresenta, per il nostro as-sunto, una testimonianza eloquente alfine di ricostruire la statura morale diRevel, la sua profonda concezione mi-stica della Monarchia, ma nello stessotempo i limiti della sua stessa azione,concepita in termini politici. Bonomi cipresenta infatti il seguente racconto cir-costanziato dei suoi contatti con ilGrande Ammiraglio:

«Parlai al Duca del Mare nel suo ufficiodi via Vicenza sede, allora come ora,dell’Ordine Mauriziano. Il vecchio Am-miraglio ha per il Sovrano un rispettoquasi religioso, non concepiva che unsuddito si arrogasse il diritto di darenon richiesto consigli al Suo Re. Ma ioseppi prenderlo per il verso buono. Glirappresentai la situazione tremendadel Paese, lo sfacelo al quale si andavaincontro con l’inerzia e l’indifferenza,il dovere di ogni italiano di salvare laPatria. Egli mi promise di parlare alRe, di dirgli la gravità dell’ora e di in-durlo ad intervenire. «Io sono — midisse — fervidamente credente. Pre-gherò Iddio che mi dia la forza di par-lare al mio Re». Mi congedò commosso

con le lacrime agli occhi. Quando piùtardi il Duca del Mare riferì al mio in-caricato, il conte Casati, la conversa-zione avuta con il Re, seppi che ineffetti si era comunicato nella chiesavicina per avere da Dio la forza di par-lare, ma il colloquio non aveva portatoad alcun risultato; il Re si era trince-rato dietro le solite finzioni costituzio-nali asserendo che soltanto la Camerae il Senato avrebbero potuto provocareil suo intervento» (119).

Un secondo passo presso il Sovrano daparte del Grande Ammiraglio si registrain occasione dei contatti e delle proposterumene fatte allo scultore Pietro Cano-nica che si era recato nel regno di Roma-nia, nell’aprile 1943, con l’incaricoufficiale di dare un assetto monumentalealla piazza Bibesco, in onore del principeGiorgio Valentino Bibesco, pioniere del-l’aeronautica rumena. In tale occasione ilCanonica ebbe una serie di colloqui uffi-ciosi con personaggi della corte rumenache lo pregarono di rendersi interprete everificare mediante le sue personali co-noscenze, se l’Italia avrebbe appoggiatouna richiesta rumena di una pace sepa-rata e se si poteva sperare che l’Italiastessa seguisse l’iniziativa rumena. Unavolta ritornato a Roma, Canonica esposequello che era venuto a conoscere, in unariunione tenuta alla Fortezzuola, a VillaBorghese, ad un numero ristretto di amici(il maresciallo Caviglia, il senatore Berga-mini e sempre Ivanoe Bonomi) e fu pro-prio Caviglia a suggerire allo scultore dirivolgersi al Duca del Mare per rappre-sentare a Vittorio Emanuele quanto eraemerso dai suoi contatti rumeni. La serastessa della riunione (e siamo al 1° mag-gio 1943), Canonica riuscì a incontrareRevel che, aderendo prontamente allasua richiesta, così si espresse: «Se si po-tesse uscirne [dalla guerra] così, sarei fe-lice, però vedo la situazione bruttissima.Domattina alle dieci vado dal Re per la

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firma. Aspettami all’OrdineMauriziano e ti porterò la ri-sposta». Come racconta Ca-nonica nelle sue memorie(120), il mattino seguente, amezzogiorno, Revel arrivò,pallido e sconvolto, alla sededell’Ordine, dove lo scultorelo attendeva. «Il Re non simuove- disse appoggiandosiad una poltrona e scuotendola testa - ha voluto saperetutto ma non si muove. Tunon sai ... il Re è ricattato daMussolini». E al suo interlo-cutore che ribatteva: «Unaragione in più per muoversi»,Revel pacatamente rispose:«Tu non lo conosci a fondo, sedici questo. Credi, non c’èmodo di riparlarne». (al-l’uopo anche A .D., doc. n. 16e n. 17).Ma gli eventi stavano matu-rando lentamente sotto l’ur-genza della sconfittamilitare che metteva in gi-nocchio il nostro Paese; ilcolpo di stato militare - mo-narchico del 25 luglio ‘43 eraormai alle porte, anche secoglierà il Grande Ammira-glio completamente allasprovvista. Nelle carte Revelesistono due documenti relativi ai fattidel 25 luglio che lo informano nei parti-colari, ma solo ex-post, di quanto era ac-caduto. Il primo è una lunga relazioneintitolata «Storia del colpo di Stato ita-liano», senza data e di provenienza in-certa, che ripercorre le ultime fasi dellapolitica italiana sino al pronunciamentodel Gran Consiglio e alla conseguentedecisione regia. Il secondo invece risaleal settembre 1943 ed è costituito da undiscorso, molto particolareggiato e pole-mico, fatto dal maresciallo Badoglio,nuovo capo del governo, ad un gruppo

di ufficiali italiani, in Agro di San Gio-vanni Ionico, all’indomani delle vicendedell’8 settembre 1943, ed è intitolato «Lacaduta del fascismo e l’armistizio». Mail Re ancora una volta, almeno in questacircostanza, non avrebbe dimenticato ilsuo fedele suddito che personalmente siera impegnato nei mesi precedenti a cer-care di offrire il proprio contributo allasoluzione della grave crisi politica in cuiversava l’Italia. Il 27 luglio infatti ilGrande Ammiraglio veniva nominatopresidente del Senato e così, nella dram-matica estate del ‘43, Revel tornava ad

Il dipinto del Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel - olio su tela cm200x150 del 2014 del Pittore di Marina Giuseppe Frascaroli (coll. privata).

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avere una rilevante valenza politica isti-tuzionale, che però non bisogna soprav-valutare. In tempo di guerra, un Senatoche non si riunisce e che non delibera,rivela, in termini strettamente politici,uno scarso potere e quindi la presidenzadel Senato equivale, in tali circostanze,se vogliamo avvalerci dell’analogia sto-rica, a una specie di ducato di Friedlandconcesso dall’Imperatore a Wallenstein,solo che il Senato del 1943 non è Frie-dland e, quel che più importa, Thaon diRevel non è Wallenstein!Tra le numerosissime lettere di congra-tulazioni che Revel riceve in tale occa-sione e che provengono dal poterepolitico e militare del momento, ho vo-luto, ancora una volta, sceglierne una diun suo antico subordinato, LeonardoZaccaria, di Bari, che, sotto la data del 1°agosto 1943, così scrive al suo anticoComandante:

«La Patria che in Voi riconobbe sempreun figlio prediletto, non poteva avervilontano nella sua ora decisiva. La Vo-stra fede patriottica, tutta compresa disilente dedizione e di eroismo puro, ri-darà alla Grande Assemblea il suovero volto: Italia».

Nei ‘quarantacinque’ giorni di Badoglio,l’evento più importante a cui partecipaRevel è il Consiglio della Corona del 3 ago-sto 1943, in cui, secondo la testimonianzaraccolta da Dino Grandi (121), si sarebbeassociato al parere del Re e del Principeereditario «per una liquidazione imme-diata» della guerra, contrastante col pa-rere di Badoglio e del ministro degli EsteriGuariglia che invece, in tale occasione,«raccomandano di non cedere, sperandodi ottenere in futuro migliori condizionidagli Alleati». Alle complesse vicende cheportano alla conclusione dell’armistiziocon le Potenze alleate, Revel rimane com-pletamente estraneo; il Grande Ammira-glio non è invitato partecipare al

successivo Consiglio della Corona, convo-cato d’urgenza con il precipitare degli av-venimenti, quel drammatico pomeriggiodell’8 settembre, in cui si decide l’accetta-zione finale delle condizioni armistizialipur nel malinteso, gravido di conseguenzedolorose per la Nazione, della sua realiz-zazione temporale. Come un qualsiasi cit-tadino, ascolta alla radio il proclama diBadoglio, ma subito dopo viene reinseritonel grande gioco politico del momento(«equidem invitus», mi sentirei quasi didire) con la visita dell’ammiraglio Raffaelede Courten, ministro e capo di Stato mag-giore della Marina, accompagnato dal suoAiutante di bandiera, comandante Gio-vanni Cantù. L’esito di questo colloquio èriassunto in una lettera scritta due annidopo dallo stesso Revel a De Courten, conuna postilla controfirmata dallo stesso,una lettera che, per la sua straordinariaimportanza documentaria ai fini dellacomprensione delle tumultuose vicendenavali dell’8 settembre, riportiamo inte-gralmente:

Roma 3.10.1945Signor Ammiraglio,È venuta al mio orecchio la malevo-lenza, certamente messa in giro daqualche circolo politico, che 1’8 settem-bre 1943 sarei stato propenso acché lanostra flotta non avesse obbedito agliordini ricevuti.Farei appello a Lei, ammiraglio deCourten, affinché sia smentita tale ma-levolenza, col darmi atto che essendoLei venuto da me la sera dell’8 settem-bre 1943 per informarmi dell’avve-nuto armistizio, che fu assoluta novitàper me, io le dissi che l’ammiraglio Ber-gamini doveva semplicemente obbe-dire, perché un soldato non puòsottrarsi agli obblighi che gli derivanodall’onore militare.Con alta osservanza

Paolo Thaon di Revel G.A.

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Quanto afferma il Grande AmmiraglioRevel risponde completamente alla verità

Raffaele de Courten3.10.1945

La mattina successiva, il 9 settembre,Revel, che si era recato al Quirinale,come faceva da oltre undici anni, per lafirma reale del giovedì, avverte l’ango-sciosa sensazione del vuoto anche fisicodi potere lasciato dalla partenza per Pe-scara, avvenuta poche ore prima, del Ree dei Capi militari. E’ la più grande delu-sione della sua vita pubblica; il Re, il‘suo’ Re, non solo l’aveva estromessodalle decisioni estreme sulle sorti ultimedel Paese ma, alla fine, l’aveva pure ab-bandonato al suo destino!. Rimasto dasolo nella piazza deserta del Quirinale,alla sua mente ritornò forse l’amara pro-fezia del Machiavelli di un’Italia senzacapo, senz’ordine, lacera e corsa – e di lìa poco – più schiava degli Ebrei, piùserva de’ Persi! Eppure aveva avuto occa-sione di vedere Vittorio Emanuele ap-pena tre giorni prima, quasi per ironiadella sorte, in un ultimo atto di devo-zione, alla guida di una delegazione disenatori (122). La mattina del 10 settem-bre, quando viene a conoscere l’azionedi coordinamento che il Maresciallo Ca-viglia personalmente aveva deciso disvolgere, si presenta al Ministero dellaGuerra e, con lo spirito di servizio disempre, si mette a disposizione per qua-lunque necessità si fosse prospettata.Ma i tempi ancora una volta stringevanoe Caviglia il pomeriggio stesso cede al ri-catto tedesco, come due giorni prima ilgoverno del Re e il governo avevano ce-duto al ricatto anglo-americano: era l’ini-zio della lunga notte della Roma nazista!Nei primi mesi dell’occupazione tedescadi quella che avrebbe dovuto essere, se-condo gli accordi pattuiti, la «Cittàaperta» di Roma, Revel continuava a re-carsi nel proprio ufficio di via Vicenza.

Non aderisce alla Repubblica Sociale e,senza mai disinteressarsi di quanto ac-cade intorno, si mostra sempre disponi-bile a cercare di dare il proprio consiglioa chi glielo chiedeva (123). Ed è in talecontesto che si devono interpretare icontatti avuti con Alessandro Pavolini, ilpotente neo-segretario del ricostituitoPFR, tra la fine di settembre e gli inizidell’ottobre del 1943. Il passo che Revelsi decide a fare nei confronti dell’uomopolitico è dettato dalla necessità chemolti gli andavano in quei giorni pro-spettando, di dissuadere cioè i tedeschidallo smantellare il patrimonio indu-striale napoletano a proprio ed esclusivobeneficio. Come leggiamo nelle carteRevel, con una lettera del 22 settembre1943, il Grande Ammiraglio prospettauna tale pericolosa evenienza a Pavolinicon le seguenti parole:

«V.E. capirà facilmente che la devasta-zione di tutte le industrie italiane signi-ficherebbe per molti anni la miseria piùnera delle maestranze operaie e di con-seguenza di tutto il popolo italiano»,

chiedendo all’uopo un intervento delleautorità italiane presso quelle tedescheper far cessare lo scempio. E il passo diRevel sortì, almeno formalmente, posi-tive conseguenze, per quanto potevanoesserlo in una situazione così forte-mente condizionata e pregiudicata. Inuna lettera del 5 ottobre, Pavolini infattilo assicurava di aver fatto tutto quantoera in suo potere «per il raggiungimentodegli scopi che Voi giustamente indicatenella Vostra lettera». E sempre sotto ladata del 5 ottobre, nell’agenda del Mare-sciallo Graziani, tornato in auge con lasua adesione alla RSI, troviamo la se-guente annotazione: «Da Thaon di Revelper tranquillizzarlo». Il Grande Ammira-glio che, ricordiamo, aveva presieduto laCommissione d’inchiesta a carico di Gra-ziani, figurava nella lista degli ufficiali

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da trasferire al Nord e il Maresciallo, inmaniera cavalleresca e senza rancoreper gli esiti della precedente inchiesta,stando almeno a quanto scrivono i suoibiografi (124), volle parlargli per tra-smettergli il messaggio di stare tran-quillo perché nessuno l’avrebbemolestato (anche se nelle carte Revelnon c’è nessun riscontro al riguardo).Fatto sta che, nella tragica situazioneromana di quell’orrido inverno del 1944,quando cominciarono di fatto le «retate»di alti esponenti delle regie forze armateche non avevano aderito alla RepubblicaSociale, Revel, al di là di qualsiasi rassi-curazione, preferì trovare ospitalitàpresso l’Istituto Salesiano conosciuto colnome di «Poliglotta». Una curiosa para-bola - che lo stesso Revel non mancavadi far rilevare - per un uomo di mare cheaveva cominciato i propri studi proprionel collegio salesiano dei fratelli Piccone,più di settant’anni prima!. Tra i religiosiperaltro si trovava benissimo; del resto,una volta aveva confessato alla moglieche, se non l’avesse a suo tempo cono-sciuta, alla fine della propria vita

avrebbe deciso di dedi-carsi alla vita religiosa,come d’altra parte la-sciava chiaramente inten-dere la sua profonda fedeed il suo altissimo senti-mento religioso (125). Su-bito dopo la liberazionedi Roma, nella cerimoniain suffragio degli ammi-ragli Inigo Campioni eLuigi Mascherpa, tenutaalla Basilica romana diSanta Maria degli Angeliil 23 giugno 1944 (126),per la prima volta dopo ifatti del settembre ‘43 ela conseguente diaspora,si ricomponevano le filedella Marina italiana in-torno a colui che, nella

memoria e nell’immaginario collettivo,ne rappresentava la tradizione e l’unità,il grande ammiraglio Paolo Thaon diRevel. Per lui, invece, personalmente co-minciava un periodo non certo lieto, chesi sarebbe protratto nel corso dei suoiultimi anni di vita, in cui avrebbe finitoper dare un senso completamente di-verso all’interpretazione di quella profe-zia della chiromante orientale, secondola quale nella sua vita avrebbe avutograndissime soddisfazioni, ma alla fine«sarebbe morto sulla paglia». Preceden-temente Revel si era convinto che la pro-fezia alludesse forse ad una sua finalesfortuna economica, dovuta alla sua en-demica «incapacità di combinare buoniaffari» ma, nel clima infuocato dellametà degli anni Quaranta, si fa strada inlui un’interpretazione ben più dolorosa.‘Morire sulla paglia’ significa trascorreregli ultimi suoi anni e morire in unmondo che, per quanto poteva giudicare«a caldo», stravolgeva i valori tradizio-nali in cui aveva sempre profondamentecreduto e che avevano costituito l’asseportante della sua esistenza (l’istituto

Nell’Istituto salesiamo in Vaticano, chiamato ‘Poliglotta’, dopo la lunga notte diRoma nazista, si festeggia l'avvenuta liberazione (in prima fila l’allora Capitano diFregata Giovanni Cantù, ufficiale superiore addetto al ministro della Marina DeCourten, il Grande Ammiraglio, il salesiano don Fasulo e la duchessa Irene, mogliedi Revel) (archivio Revel).

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monarchico e l’ordinamento nobiliaredella società, il sogno di una grande Ma-rina che doveva essere la proiezione dipotenza della Nazione su scala interna-zionale).E infatti il 6 luglio del ‘44 il presidente delConsiglio Bonomi (A.D., doc. n. 18), purriconoscendo i personali meriti politicidel Grande Ammiraglio e il suo direttocontributo volto alla soluzione della crisipolitico militare del ‘42-’43, gli chiedevadi dimettersi dalla carica di presidentedel Senato. E sebbene escluso, in unprimo tempo, dai provvedimenti di deca-denza dalla carica stessa di senatore (ex- art. 8 legge 159/1944), Revel venne poiincluso in una seconda tornata di inda-gini il 27 agosto del ‘44. Circostanza nellaquale, il suo atteggiamento si mostra fer-missimo nel rifiutarsi di presentare a suodiscarico qualsiasi giustificazione né ab-bozzare qualsiasi linea di difesa, limitan-dosi solo a scrivere all’Alto Commissarioper l’epurazione la seguente lettera,quanto mai eloquente:

«In merito io non ritengo di presentaredelle difese. La mia lunga vita spesa alservizio della Patria, la mia vita mili-tare e civile che è nota all’Alta Corte miinduce, non già per sentimenti di iat-tanza, ma per uniformare sempre lamia azione a quell’alto sentimento didignità a cui ho sempre obbedito, dinon controbattere le accuse».

Ed infatti, con ordinanza in data 18 no-vembre 1945, venne scagionato da qual-siasi addebito e assolto conprovvedimento liberatorio e con la con-ferma nella carica di senatore. Duranteil periodo della Luogotenenza, Revel,come primo segretario del Re per gli Or-dini cavallereschi, continua con Umbertoquei rapporti di collaborazione cheaveva avuto con il Padre, indubbiamentecon una maggiore disinvoltura e unamaggiore intraprendenza, come i tempi

richiedevano. Spesso infatti, al di là dellesemplici pratiche burocratiche del suoufficio, commentava con Umberto i fattipiù esplosivi della difficile situazionepolitica del momento, gli sottoponevagiornali con commenti particolarmentecaustici, cercando così di scuotere la na-turale riluttanza del Luogotenente, chesi trincerava dietro un diplomatico «nonmi faccia vedere, così potrò dire di nonsapere» (127). La difficile situazione po-litico-istituzionale in cui sono in gioco lesorti della Monarchia, spinge alla fine ilGrande Ammiraglio, fuori dalla consuetariservatezza, a prendere una posizionepubblica con l’adesione politica alBlocco della Libertà con il suo pro-gramma monarchico (A.D., doc. n. 19).E Raffaele Paolucci, che era stato sempremolto vicino al Grande Ammiraglio nelperiodo tra le due guerre, condividen-done sempre gli ideali, in una lettera del17 aprile 1946, così plaudirà alla sua ini-ziativa politica:

«Una bandiera si è finalmente levatafra tante diserzioni ed abbandoni, fratanto silenzio ed oblio: è la bandieradel mio Grande Ammiraglio. Io la sa-luto alla voce come se fossi ancorasulla tolda di una nave ed ho gli occhiumidi e il cuore dei vecchi tempi per-duti; che Dio la benedica per oggi e persempre».

Ma per un’ironia della sorte e per un per-verso meccanismo giuridico, Revel nonpoté votare al referendum istituzionale«monarchia o repubblica» del 2 giugno1946. Per il fatto stesso di essere statoministro dopo il 3 gennaio 1925, data ne-fasta delle leggi liberticide fasciste, erastato infatti automaticamente esclusodall’elettorato (ex- art. 3 del d. l. luogote-nenziale 32/1946), anche se nessun ad-debito gli era stato contestato nella suaazione ministeriale durante la precedenteinchiesta sulla decadenza dalla carica di

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senatore. Ed è lo stesso presidente delConsiglio Alcide De Gasperi, pur senzapoter incidere nella sostanza dei fatti, apremurarsi di fornirgli una spiegazioneal riguardo con una lettera in data 23marzo 1946 nella quale, tra l’altro, scriveche l’ordinanza di proscioglimento dallaprecedente inchiesta svolta dalla Com-missione di epurazione «non aveva ef-fetto liberatorio nei confronti di altrecariche ricoperte» (cioè quella di ministrodella Marina), anche se di fatto tale atti-vità era già stata presa in considerazionee non aveva dato luogo peraltro a nessunrilievo da parte degli inquirenti». Di Vit-torio Emanuele, dopo i fatti del settembre‘43, Revel non ne parlò più, né si recòmai, dopo la liberazione di Roma, a tro-varlo prima della sua abdicazione e lapartenza per l’esilio egiziano. Troppogrande era stata la sua delusione! Mentre, da parte sua, Vittorio Emanuele

continuava a rievocare la figura delGrande Ammiraglio con gli episodi cheavevano vissuto insieme e sempre in ma-niera lusinghiera (128). Solo al momentodi lasciare per sempre l’Italia, dopo lasua abdicazione, volle accommiatarsi dalsuo vecchio e fedelissimo suddito, indi-rizzandogli un messaggio ed affidando-gli un’ultima estrema incombenza: laconsegna di una lettera a Pio XII.Nel telegramma di commiato così siesprimeva Vittorio Emanuele, sotto ladata del 10 maggio 1946:

«Voglio Le giunga il mio memore affet-tuoso pensiero et ringraziarLa della co-stante prova di devozione che sempremi ha dato et che sono per me di con-forto nella presente ora. Aff.mo Vitto-rio Emanuele».

A tale messaggio Revel, per il momento,non rispose e le ragioni del suo silenziosono esposte chiaramente in una letteradell’8 giugno 1946:

«Maestà, io speravo che il 2, 3 giugnoapportassero all’animo mio gioia edorgoglio, ma (come ben disse recente-mente un ufficiale americano) gli ita-liani non ancora meritano un sovranocome Umberto II!Onde più non posso indugiare a mani-festare, Maestà, la commossa gratitu-dine per il telegramma inviatominell’allontanarsi dall’Italia, tele-gramma che conserveremo tra i piùcari ricordi familiari. La sua lettera cisarà di conforto e varrà a ricordare lagrande benevolenza del mio Re di 45anni, la mia costante devozione al mioRe ed alla Patria».

E negli ultimi giorni del «Re di maggio»,nell’inasprirsi degli animi e delle ten-sioni in attesa della comunicazione de-finitiva dei dati del referendum da partedella Cassazione, e dopo la decisione del

Dopo il colpo di stato militare-monarchico del 25 luglio1943, il Grande Ammiraglio riacquista una valenza poli-tica istituzionale con la nomina a presidente del Senatodel Regno, di cui era stato chiamato a far parte sin dal1917 e come tale viene ricordato nella Galleria dei bustidi Palazzo Madama (archivio Revel).

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governo di attribuire al presidente delConsiglio le prerogative di Capo delloStato, Revel fu tra quelli (come d’altraparte Paolucci) che consigliarono al Redi non lasciare l’Italia prima di cono-scere il pronunciamento finale della Su-prema Magistratura. Ma il Re, nelprecipitare ormai di una situazione dive-nuta insostenibile, preferì anticipare lasua partenza per l’esilio il 13 giugno1946, alle ore 16.30, dopo aver rivoltoper radio alla Nazione un toccante di-scorso di commiato, che non poteva nonsuscitare la più profonda commozionedel grande ammiraglio (129).Con l’uscita di scena del Sovrano e l’av-vento della Repubblica, il mondo idealedi Thaon di Revel, lentamente ma ine-vitabilmente, sembrava destinato a dis-solversi ed il Grande Ammiraglio sirinchiuse nel più assoluto riserbo esolo dall’esame del suo archivio pri-

vato possiamo renderei conto, sia pursommariamente, della sua profondaamarezza.In una lettera al salesiano don Fasulodell’Istituto Poliglotta, che l’aveva ospi-tato durante l’occupazione nazista, indata 17 giugno 1946, Revel si sfoga neiseguenti termini:

«Prevedevo che saremmo scesi moltoin basso, ma la realtà ha già superatoquanto prevedevo. Non vedrò gli ita-liani rinsavire, ma purtroppo, per pocoancora viva, vedrò, temo, lo sfacelodella Patria. Quanta umiliazione! Ab-biamo errato tutti, ma perché perseve-rare nella vendetta?Nessuna clemenza: lacerarsi, distrug-gere, distruggersi e per chi? per glistranieri - chi palesemente, chi subdo-lamente - tutti nemici nostri. Poveraderditta nostra Italia! A che il Risorgi-mento e gli eroici suoi martiri? Rasse-gniamoci all’Onnipotente, nel qualemai verrà meno la fede! Aspettiamouna buona morte».

Una testimonianza interessantissimadello stile di vita quotidiano di Revelnegli ultimi mesi della sua esistenza, civiene presentata da un giornalista, Mi-chele Biancale, con un penetrante ritrattoche, per la sua freschezza, vivacità e pro-fondità, merita di essere sottoposto inte-gralmente all’attenzione del lettore (130),per meglio spiegare come Revel, ai limitiestremi della sua esistenza terrena, siacostretto a confrontarsi con quella «linead’ombra» di cui aveva parlato JosephConrad nel suo celebre omonimo ro-manzo a sfondo proprio marinaresco,laddove l’esperienza del destino si rivelatragicamente nel crollo di un mondocome quello in cui Revel stesso aveva vis-suto e profondamente creduto:

«Gli esemplari d’umanità, di quellagenuina, che siamo soliti ammirare in

Busto del Grande Ammiraglio sul ”Viale dei Pini” in Accademia Navale a Livorno (foto SMM-UPICOM).

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quei volumi che per noi rappresen-tano il Vangelo della vita, essendo di-ventati così rari, come si legge di certicampioni di faune che tra poco siestingueranno, il nostro interesse siattacca alla loro persona con taleforza che neppure il più sconfinatoamore potrebbe uguagliare. Sono casirarissimi al segno che le grandi cittàdi milioni d’abitanti non ne offronoche scarsi esemplari che diventano fe-ticci, oggetto di venerazione, a chi sascoprirli, e quasi di culto. I periodi sto-rici di transizione da un regime ad unaltro che sono i più adatti ad ammae-strare il carattere e a sconvolgere lecoscienze fanno più rari quegli esem-plari di cui si diceva innanzi; ma lirendono anche più ricercati da coloroche sperano dal loro contatto il risol-levarsi d’una nobile e alta umanità.Quest’uomo-tipo abita nei pressi dellamia casa. Ignoravo chi fosse quel vec-chietto tutto vestito di nero, con uncappello di feltro, di pelle rosea su cuisi distacca, con più nitido candore, labarbetta a punta.Pulitissimo e distinto passeggia primadi notte intorno al nostro quartiere,sempre solo, pensoso, un po’ curvo. Gliho visto qualche volta un’ombrella gri-gia per difesa dal sole; ma credo chenon l’abbia mai aperta, contentod’averla come un accessorio tipica-mente ottocentesco del suo costume. Èun uomo che, data la sua età, ha le sueabitudini, ma le pratica senza pedan-teria e con una certa larghezza. Primadi rincasare verso le otto di sera, fa gliultimi passi sul marciapiede dinanzi alsuo cancello e guarda a tratti il cielocon i suoi dolci occhi azzurri. Ma io l’hovisto anche di mattina e anche di buonmattino, specie nel tempo in cui, in di-visa ammiraglia, attendeva una mac-china che andava a prenderlo perportarlo chi sa dove.Ho poi saputo tutto di lui. A giudicare

dall’ossequio che lo circonda special-mente da parte di coloro, d’ogni ceto,che abitano la sua strada, deve esserepersonaggio di non comune impor-tanza. Ma credo che ormai la sua di-visa gli serva poco o nulla; e del restonon aggiungeva nulla alla dignità in-nata della sua persona. Se era richiestoa quella che fu la Reggia, o per consiglio per buoni uffici, essi saranno, comesi dice, archiviati; e se fece parte del Se-nato, ormai è legalmente decaduto. Èun uomo che di giorno in giorno di-venta il simbolo di un tempo che fu; èun antenato ancora in vita; unostemma araldico non ancora fissatonei quarti d’uno scudo. È l’uomo chepiù mi piace in tutta Roma.Non so se si sia accorto della mia sim-patia. Quando lo vedo avanzare dilontano placido e misurato, io rallentoil mio passo. Lo distinguo facilmenteper via del suo lutto ch’è certo di fa-miglia e non già di un’istituzione. Seil sole è ancora alto porta gli occhialineri, e poiché nel camminare si don-dola un poco, e il capo basso mostrail suo feltro dalla falda giovanilmentealzata su d’un lato, sembra che pro-ceda sulla plancia d’una nave di bat-taglia e che il vento marino gli facciaforza sull’ala del suo copricapo. Nonè né lieto né triste: è grave. Quandodall’altro marciapiedi egli è giuntoalla mia altezza, avvertendo quasi ilmio occhio fermo su di lui, alza inte-ramente il capo a guardarmi. Io miscopro con largo saluto; ed egli si to-glie il cappello, lo abbassa a taglio sinquasi al ginocchio e s’inchina. Ho unabreve emozione.È un personaggio gremito di passato.Giorno per giorno egli ne taglia larghibrani e ne sazia la sua brama di ri-cordi. Può superare agevolmente glianni, quelli che noi chiamiamo fatali,in cui egli fu chiaramente anacroni-stico; e ricollocarsi agevolmente in

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quella Italia che fu a un tempo piccolae grande, buffa ed eroica, povera ericca, accorta e audace, casalinga eviaggiatrice. Ha un’abitazione deco-rosa ma modesta; è cordiale col suoportiere; e se esce con la sua vecchiamoglie le si affianca con il rispetto d’uncavaliere del tempo dei tempi. Si arre-sta sull’angolo dinanzi al chiosco deigiornali; ma non ne compra dieci in unmazzo; si uno, sempre quello; osservale cose e gli uomini con una curiositàdiscreta e bonaria . È strabiliante pen-sare che questo vecchietto che batteplacido i marciapiedi dei Parioli era ilpadrone dei mari, il dislocatore di navid’ogni sorta, il navarca pieno di accor-tezze, di strategia e di coraggio: unaspecie di Nettuno d’Italia.E nulla di ciò traspare al di fuori. Tuttoil mare sembra che lo abbia ora in unascatola, tutti i tipi di navi in un atlante.Mi pare di scoprire talvolta, dalle sueocchiate in tralice con le quali guardail cielo, l’abitudine del vecchio naviga-tore di controllare la posizione dellestelle. Ma forse è in ciò una mia fan-tasia. È in lui l’immagine viva d’unaItalia che cara alle nostalgie di coloroche vi vissero operosamente e serena-mente, nel reciproco rispetto delleidee fortemente sentite e sincera-mente praticate. Altri la ricerca nellestorie, altri nelle cronache, altri neidiari, altri nelle testimonianze dellearti figurative, cioè nel carattere dellaritrattistica del tempo, nel costumemodistico, nei quadri di feste, di balli,di ricevimenti. Io ho la ventura di ri-vederla, ogni giorno, in lui. E poichéegli ha ormai perduto tutti i suoi at-tributi sociali e ogni altra sua attività,si configura nell’aspetto scarno ed es-senziale del simbolo. Dal tumulto deicontrasti d’ogni genere, dai nuoviaspetti politici della nazione, dal tra-sformismo dei volti, delle idee, dalpazzo babdismo economico, io torno

a lui come a un punto fermo dell’esi-stenza.Non gli ho mai parlato: ma so bene checosa mi direbbe se io l’interrogassi. Oh,non parole d’ira, di rimpianto, di ran-core; ma parole d’una saggezza man-zoniana, d’una comprensione dellenuove idealità e delle nuove realizza-zioni. Ma egli è fuori del tempo, è di-staccato dal presente; vive la suastoricità con tutta la possibile discre-zione per non urtare l’attualità. E per-ciò va solo e silenzioso nei pomeriggicol passo incerto di chi sente mareg-giare al di sotto il terreno. Non sembriesagerato ciò che sento per lui.Prima di conoscerlo mi accadevad’amare le personalità eternate nelbronzo ottocentesco sugli alti piedistallidinanzi ai vari Ministeri: Sella, Spa-venta, Cavour, già altre volte da me in-solentite per via della deficienzaartistica. L’arte è poi passata in se-conda linea. E mi pento d’aver dettomale persino del monumento di PietroCossa.Salivo con diletto le scalee marmoreedei più scuoranti edifizi pubblici otto-centeschi, perché sono rappresentantid’una Italia già tanto schernita ed oratanto rimpianta. Transitando per ilcortile del Ministero delle Finanze miaccadeva di arrestarmi incantato nelmezzo dell’area a guardare i finestronidi quelle sale inverosimilmente larghedecorate, ahimé, da Brugnoli.Erano testimonianze d’un’Italia pove-retta, economa; ma che all’occasionesapeva essere signora. E sono certo cheanche lui fa, ancora, sottili le sue spese,per una lodevole abitudine al rispar-mio ignorato dai dilapidatori e dilapi-datrici d’oggi.Scrivo così perché ignoro la sua vitacasalinga e il giro della sua servitù.Ma non c’è troppo da strologare. Èuno di quegli uomini per cui la fedenella propria missione ddiberata-

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mente eletta è senza contrasti esenza debolezze: salda, integra elucente. L’Italia marinara che nonc’è più vive in lui. I suoi sogni glirappresentano le vecchie crocieredelle nostre navi in tutti i portidella terra, nel tempo in cui l’Italiapoteva loro affidare il messaggiod’una sua capacità d’un suo buonvolere, d’un certo suo diritto ad es-sere considerata come una na-zione. Ora si deve ricominciare; esembra che egli si vada istruendo,con curiosa bonarietà sui modi ditali ricominciamenti. È l’Italia vec-chia che osserva la nuova. E dallacittà così tortuosa e malfida, dallavita che in casa si conduce, cosìprecaria e piena di sorprese, rien-trando la sera nel mio quartiere eincontrandolo mi sembra di rien-trare in una cittadella d’una spe-cialissima Italia su cui sventolil’insegna di questo signore deimari.A questo punto sento di dovere ri-volgere una domanda un po’ a mestesso, un po’ a quelli che legge-ranno questo scritto. Che cosa migiova ammirare cotesto uomo?Quale norma potrò mai trarre dallasua virtù? La mia anima che si deli-zia della sua presenza e che siesalta delle qualità altamente rappre-sentative della sua persona, potrà maimodellarsi su di lui? La cosiddetta le-zione della storia non si rivela forse peruna fiaba se la lezione che ci viene daiviventi che noi conosciamo e prati-chiamo è al di fuori d’ogni efficacia suimodi del nostro vivere e pensare? Èun’ammirazione romantica, un’aspira-zione ad altri tempi meno crudeli, adaltre forme di vita che si configuranonella persona di cotesto delizioso vec-chio. Io mi sento, così, genericamentepiù pacato, meno corrivo, meno con-vulso; avverto che i contrasti spirituali

non s’aboliscono ma si allentano, epure nell’impossibilità di pormi nellasua posizione storica, politica e crono-logica, avverto l’efficacia di tali fattorinella formazione di un simile uomo.È tutto ciò ch’egli può darmi: e non èpoco, nell’abbozzo confuso d’umanitàche circola nel mio quartiere, ch’è si-mile agli altri di Roma, egli solo ha unanettezza di contorno e un rilievo pre-ciso. È riconoscibile non soltanto dalnero dell’abito. Avvertirò la mancanzad’un sicuro riferimento storico il giornoin cui le sue passeggiate pomeridianesaranno troncate. Allora i legami con

Sepolcro monumentale del Grande Ammiraglio nella basilica diSanta Maria degli Angeli, eseguito su progetto dello scultore Ca-nonica (foto SMM-UPICOM).

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nel febbraio del ‘48, se ne aggiungevadolorosamente uno umano e personalecon la scomparsa della moglie Irene. Ela «buona morte» coglierà poco dopoThaon di Revel nella sua abitazione divia Mercalli ai Parioli, mercoledì 24marzo del 1948, alle ore 18.15, all’etàdi 89 anni.Le sue ultime parole furono rivolte aTrieste (il cui problema si dibatteva inmaniera accesa proprio in quei giorni);per suo espresso desiderio, fu sepoltocon l’uniforme grigioverde di campa-gna della Grande Guerra. Come leg-giamo in una cronaca dell’epoca«hanno ravvolto la bara nel tricolore el’hanno posta su un affusto di can-none. Tutta Roma s’è inchinata reve-rente, le bande militari suonavanol’inno del Piave, fiori cadevano anchedal cielo sulla salma del grande ita-liano dagli aerei volanti a bassa quota.Erano i funerali non solo del vecchioduca Paolo Thaon di Revel, ma dellavecchia Italia, che s’impersonava in lui,e con lui moriva. Oh, una pur gloriosaItalia, se tutti i membri del governoavevano reputato doveroso rendereomaggio al feretro, nella Basilica ro-mana di Santa Maria degli Angeli»(131), destinata ad accogliere le suespoglie mortali, insieme ai rappresen-tanti militari e politici della vittoria ita-liana nella Grande Guerra. Da partesua, l’allora comandante GiovanniCantù esprimeva in questi termini ilcordoglio della Marina: «Tutti i marinaid’Italia che hanno nella mente e nelcuore principi e sentimenti basati sullesplendenti tradizioni della Marina ita-liana e che sono stati confortati, sor-retti ed assistiti attraverso tutti glieventi della storia nazionale da questiprincipi, considerano Paolo Thaon diRevel uno dei più alti fattori della loroformazione intellettuale (...) il proto-tipo del marinaio, fermo nel carattere,nell’abnegazione, nella disciplina, nella

una tradizione che in lui erano visibilidiventeranno mnemonici, sbiaditi,pronti a rompersi. E forse sull’antadella mia strada, in alto, che porta ilnome d’un illustre naturalista, appa-rirà il suo; e a ragione, perché all’arbi-trio onomastico che fa assegnare allestrade romane i personaggi menoadatti a caratterizzarle succederà ilcriterio più esatto di assegnare loroquelli di personaggi che vi vissero e cheesercitarono un’influenza benefica suquegli altri che si trovarono a vivercicon lui. Ma ciò avverrà in un avvenirenon prossimo.Oggi che scrivo è il Corpus Domini. Nelpomeriggio passerà per la nostra stra-dina solitaria e variata di giardini unabella processione. Non ci saranno aterra quelle ginestre abbondanti chegiuncavano le vie nelle processionipaesane; ma qualche fiore pure cisarà. Quelli che non mancherannosono drappi e tappeti tesi ai balconi ri-velatori d’un gusto e d’un fasto dome-stici. So già che la vecchia signora del nostroammiraglio esporrà un ampio drappoazzurro che sembra proprio una faldadi mare sul tono mattone della fac-ciata. E al passaggio del Santissimo luisarà sull’attenti come nelle cerimoniereligiose a bordo della sua nave neglieventi memorabili dell’Italia».

L’accelerazione della storia negli ultimianni, il totale ribaltamento di unmondo che, nonostante tutto, mante-neva ancora vive tradizioni centenarie,sembravano confinare Thaon di Revelin una lontananza mitica, intoccabileed irraggiungibile, in una dimensionediversa da quella in cui si svolgeva lavita d’ogni giorno con le proprie ansieed i propri problemi. «Morire sulla pa-glia» doveva dunque significare tuttoquesto e ancora di più, se pensiamoche, al significato politico-istituzionale,

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dirittura, nell’esempio, nell’amore perla Marina e per l’Italia».Le ultime volontà del Grande Ammira-glio sono contenute in una dichiara-zione autografa del 21 ottobre 1940, incui egli afferma che, se lo Stato gli ac-corda gli onori di pubbliche esequie«esso disporrà secondo quanto megliocrederà»; in caso contrario, egli vuolela sua sepoltura «in forma semplicis-sima» nella tomba di famiglia nel cimi-tero di Torino, accanto ai genitori edalla figlia Giovanna.Ma se vogliamo trovare un vero e pro-prio testamento spirituale, dobbiamorisalire a molti anni indietro, ad una«preghiera» che Revel invia allegata aduna lettera alla moglie il 28 settembre1911, dalle acque di Tripoli, pocoprima di iniziare le operazioni control’Impero ottomano, in quella attesaprova delle armi a cui si era preparatonei primi 38 anni di carriera in Marina.Un testamento di più elevato valoreumano e spirituale il Grande Ammira-glio non poteva lasciarci:

R.N. «G. Garibaldi» il 28 Settembre 1911

Dinanzi a Tripoli

DIO MIO!

La mia vita vi appartiene e dispone-tene secondo la vostra volontà; permet-tetemi la preghiera che fino alla finedella mia esistenza io sappia discer-nere ognora il mio dovere e possegga imezzi e la capacità per adempierlo in-tieramente.Chiedo perdono a quanti ho offeso e semi offese taluno lo perdono cordial-mente.Vi raccomando pietà ed indulgenzaper le colpe verso di Voi e vi supplico diaccogliermi nella Vostra Grazia.Assistite, consolate la mia ottima Irene,le carissime mie piccine Titolina e Nel-lina; confortate mio fratello Adriano, ilquale solo al mondo non saprà darsipace di avermi perduto.Sia in ogni momento fatta la vostra vo-lontà.

Paolo di Revel

NOTE(109) La Politica bellica nella tragedia nazionale (1922-1945), Polin editore, Roma 1945, p. 12 e segg..

(110) Per la storia degli ordini cavallereschi italiani, cfr. L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Milano 1966 eGli Ordini militari e civili dei Savoia, Milano 1968. Per una storia comparata degli ordini cavallereschi europei editaliani si rimanda al catalogo del Musée National de la Légion d’honneur et des Ordres de Chevalerie (a cura di C.Ducourtial-Rey e I. De Pasquier), Paris 1982 (nel predetto Museo parigino la storia degli Ordini cavallereschi italianisi può vedere nella «Salle cles Ordres étrangers»).

(111) Per la storia del titolo comitale concesso a Raffaele Paolucci , vds. Il mio piccolo mondo perduto cit., p. 393 esegg..

(112) Ad esempio in ACS, Archivi fascisti - PNF, fascicoli personali di senatori e consiglieri nazionali, fasc. 410 (inuna pratica intestata inequivocabilmente al Grande Ammiraglio, troviamo in realtà solo documentazione relativa al ni-pote Paolo).

(113) Diario 1939-’43, Rizzoli, Milano 1971, p. 655.

(114) Atti Parlamentari, Senato del Regno, Leg . XXIX, 1a sessione 1934-’35, Discussioni, tornata dell’8 dicembre1935 e Leg. XXX, Assemblea Plenaria, seduta del 15 aprile 1939.

(115) Il Mio piccolo mondo perduto cit., p. 394.

(116) Nelle carte Revel (Documenti, vol. XVII, anni 1941-47) è conservata, ad esempio, la seguente lettera del-l’ammiraglio Riccardi che porta la data del 17 agosto 1942: «È il Vostro spirito che ci anima, Eccellenza, quelloche ha vinto ogni difficoltà, che ha dettato le più salde leggi alla Marina, che nel Vostro nome amatissimo è risorta.È nel Vostro nome, solo per Esso, con immensa fede, con perenne devozione, con infinito ardore che la Marinacontinuerà a percorrere le rotte che Voi, solo Voi, avete iniziato».

(117) ACS, Real Casa, Ufficio del 1° aiutante di campo del Re, quinquennio 1941-’45, Revel a Vittorio Emanuele,biglietti in data 7 maggio 1942 e 21 gennaio 1943.

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(118) Diario di un anno (2 giugno 1943-10 giugno 1944), Garzanti, Milano 1947, p. XXXVII.

(119) La testimonianza dello scultore Canonica è stata raccolta da Guido Rupignié nell’articolo «Canonica co-spirava con la principessa Bibesco» in L’Europeo del 25 dicembre 1955.

(120) Una testimonianza del colloquio in questione possiamo reperirla nel Diario dello stesso maresciallo Ca-viglia (aprile 1925 - marzo 1945 - Casini, Roma) sotto la data del 20 maggio 1943 (p. 413-14) in cui, sorvolandosulle reali motivazioni del colloquio col Re, il Maresciallo scrive: «In una conversazione con un carissimo amico[i.e. Canonica] ho appreso che l’ammiraglio Thaon di Revel tornò tempo fa un mattino dal Quirinale, dove era an-dato, quale segretario dell’Ordine mauriziano, a far firmare alcuni decreti, triste, commosso, e quasi piangente.Interrogato affettuosamente, per tutta risposta scrollava la testa in un atteggiamento di dolore. Finalmente disse:«Non c’è rimedio. Il Re non può far nulla; è ricattato da Mussolini» - «La verità è che il Re è debole» è il commentodi Caviglia.

(121) 25 Luglio. Quarant’anni dopo, Il Mulino, Bologna 1983, p. 354.

(122) La lettera scritta dal Grande Ammiraglio trova la sua ragion d’essere nelle polemiche dell’immediato dopo-guerra, in cui la stampa insinuava che Revel avesse spinto la flotta a disubbidire all’ordine del Re; fu comunque unepisodio spiacevole per il Grande Ammiraglio in quanto, come possiamo ricostruire dalle sue carte del periodo con-siderato, ritenne come una specie di umiliazione rivolgersi per la conferma a un ufficiale più giovane, che peraltro al-l’inizio si mostrò molto perplesso nel firmare, temendo chissà quali contraccolpi per la propria posizione di potereacquisita nel frattempo.

(123) Ai numerosi ufficiali di Marina rimasti a Roma, che si recavano a trovarlo nel suo ufficio di via Vicenza perchiedere consiglio sul da farsi, il Grande Ammiraglio, senza alcun velleitarismo, rispondeva semplicemente di «regolarsisecondo ciò che ciascuno, nella propria coscienza di militare, riteneva fosse il miglior interesse della Patria», in quanto,a suo avviso, «bisogna ispirarsi alla propria coscienza con la più limpida purità d’intenti e soltanto la Storia — dopomolti anni — potrà giudicare se l’interesse della Patria sia stato meglio servito dall’uno o dall’altro indirizzo prescelto».Parimenti le nuove autorità navali romane, nel riordinamento dell’organigramma del Ministero della Marina, salomoni-camente decisero che, se il Grande Ammiraglio avesse aderito al fascismo, il suo ufficio a Palazzo Marina sarebbe statoconservato, altrimenti sarebbe stato abolito (ACS, Ministero della Marina, Gabinetto, archivio segreto (1943), cart. 509,allegato B al fg. n. 12615 del 12 settembre 1943). Il Grande Ammiraglio, con il suo comportamento, come vedremo trapoco, li tolse immediatamente dall’imbarazzo.

(124) La scelta infatti era duplice: o darsi alla lotta clandestina attivamente (F. Maugeri Ricordi di un marinaiocit. p. 178 e segg.), o cercare di evitare la cattura e la deportazione in attesa degli eventi (R. Paolucci, Il mio piccolomondo perduto cit., p. 426 e segg.).

(125) Come giustamente ha messo in evidenza, in un profilo suggestivo, Domenico Mondrone, I Santi ci sonoancora, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 1977.

(126) Per la cronaca della cerimonia di suffragio in parola, ACS, Ministero della Marina, Gabinetto - Archivioordinario, cart. 595.

(127) L’ammiraglio Franco Garofalo, che fu molto vicino come aiutante di campo a Umberto nel periodo dellaluogotenenza e del breve regno, così riassume la funzione del consigliere del Re: «I consiglieri sono per il Re quelloche i libri di consultazione sono per gli studiosi: fonti di pensiero, di erudizione, di saggezza; dai quali si trae solquel tanto che serve allo svolgimento di un proprio e ben definito disegno; null’altro» (Un anno al Quirinale, Gar-zanti, Milano 1947, p. 217).

(128) Giovanni Artieri, Cronaca del Regno d’Italia, Mondadori, Milano 1978, vol. II, p. 1046.

(129) «Ritratto d’un uomo fuori del tempo» ne Il Messaggero, 18 agosto 1946.

(130) E c’era anche chi (come il caustico settimanale Candido del 4 aprile 1948) coglieva l’occasione per rim-proverare al Presidente del Consiglio (che nella cerimonia funebre sembrava esprimere non solo un dolore con-venzionale), che «Thaon di Revel, questo cittadino illustre, questa gloria nazionale, questo grande italiano,destinato a simboleggiare tanta parte della nostra storia, ebbene non godeva nemmeno del diritto di voto» [pereffetto del meccanismo giuridico che abbiamo spiegato].

(131) La salma del Grande Ammiraglio venne deposta ‘momentaneamente’ nella piccola cappella delle reliquie,in attesa del monumento funebre progettato dallo scultore Canonica che, tra problemi burocratici e di commit-tenza, venne di fatto realizzato solo due anni dopo dallo scultore Umberto Bruni, nella parete sinistra della cap-pella dove, nel 1749, il Vanvitelli aveva eretto l’altare del Beato Nicola Albergati. Il Grande Ammiraglio ora riposain un’arca di marmo a forma di nave romana, ornata di una medusa e sostenuta da due rostri a testa di lupo,simili a quelli di bronzo che ornavano le navi romane di Nemi. Sullo sfondo, il «suo» Adriatico!

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133Giugno 2017

ARCHIVIO PRIVATO DELLA FAMIGLIA THAON DI REVEL (CTR)Lettere alla Madre (1870-1883), vol. 1.Lettere alla Moglie (1901-1919); vol. I (1901-1904); vol. II, (1905-1908); vol. III, (1909-1911); vol. IV (1912-

1919).Lettere al fratello Adriano (1880-1919): b. l (1880- 1885); b. 2 (1886-1890); b. 3; (1891- 1898); b. 4 (1911-

1919).Lettere di Gabriele D’Annunzio a Revel (1915-1925) (60 lettere).Documenti (1893-1947): vol. I (1893-1914); vol. II (1915-1917); vol. III (1917); vol. IV (1918-1919); vol. V

(1919); vol. VI (1920-1922); vol. VII (1922-1924); vol. VIII (1924-1926); vol. IX (1926-1928); vol. X(1928-1930); vol. XI ((1931-1933); vol. XII (1933-1935); vol. XIII (1936-1937); vol. XIV (1938-1939);vol. XV (1939-1940); vol. XVI (1939-1940); vol. XVII (1941-1947).

Fasc. «I Thaon»; fasc. «Mio Padre» I e II; fasc. «Diario storico documentato delle dimissioni di S.E. il GrandeAmmiraglio Thaon di Revel dalla carica di Ministro della Marina (maggio 1925)».

«Giornale particolare di Paolo di Revel. R. piro -ariete Affondatore»; «Diario di bordo del brigantino Pali-nuro (1894-1895)»; «Copia dei rapporti di servizio dell’ariete-torpediniere Etna (1907)».

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (ACS).Real Casa. Ufficio del 1° aiutante di campo del Re — Affari Generali (1889). Casa militare effettiva ed ono-

raria dei Reali Principi (Eugenio di Savoia — Carignano); Udienze di S.M. il Re (1910- 1914), vol. I; fa-scicoli degli aiutanti di campo, fasc. n. 234 (Adriano e Paolo Thaon di Revel); quinquennio 1941-1945,Revel a Vittorio Emanuele tramite generale Puntoni, biglietti in data 7 maggio 1942 e 21 gennaio1943.

Ministero della Marina. Gabinetto - Archivio segreto (1943) cart. 59 (riordinamento Ministero Marina); Ar-chivio ordinario (1944), cart. 595 (cerimonia in suffragio degli ammiragli Campioni e Mascherpa aSanta Maria degli Angeli).

Carte Del Bono, b. 2, fasc. 15 (relazione sull’attività del Capo di Stato Maggiore dal 1913 al 1915) (°); b. 2,fasc. 17 (Assegnazione al comando della flotta. Giudizi di Thaon di Revel sugli ammiragli in servizio) (31gennaio 1918).Carte Salandra, b.2, fasc. 16 (promemoria del Capo di Stato Maggiore della Marina in occasione della pro-

clamazione della neutralità italiana) (1° agosto 1914); b. 1, fasc. 15/1 (relazione sull’attività del Capodi Stato Maggiore della Marina dal 1913 al 1915) (°); b.1, fasc. 14 (promemoria sul Comando Supremonavale in Adriatico) (1917).

Carte Sonnino, fasc. II, sf. 16 e fasc. III, sf. 4, 10-13, 15, 19 (problemi ed interessi italiani in Adriatico).Carte Boselli, b. 1 fasc. 15/1 (relazione sull’attività del Capo di Stato Maggiore dal 1913 al 1915) (°).(°) Si tratta sempre della stessa relazione compilata da Revel in data 6 ottobre 1915 (vds. A.D. doc. n. 4),che ritroviamo identica quindi nelle carte del ministro Del Bono e dei presidenti del Consiglio Salandrae Boselli.

Archivi fascisti - PNF, fascicoli personali dei senatori e consiglieri nazionali (Paolo Thaon di Revel, fasc.n. 410).

Consiglio dei Ministri, verbali delle adunanze, riunioni del l agosto 1914 e del 6 settembre 1923.

NOTA ARCHIVISTICA

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

ARCHIVIO DELL’UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (AUSMM)Documentazione storica

c. 119 (studio sommario circa una spedizione dell’Italia contro l’Impero austro-ungarico);c. 296 (studio di preparazione militare -marittima contro l’Impero austro-ungarico);c. 312/14 (piani di guerra in Adriatico);c. 518/3 (piano per l’occupazione dell’isola di Lagosta e Meleda);c. 518/4 (piano per l’occupazione delle isole Curzolane);c. 331 (breve promemoria circa la possibilità di dare alla nostra azione navale in Adriatico un’im-pronta coercitiva);c. 493/1 (Diario storico «Navi e siluranti in azione»);c. 1212 (affondamento della Viribus Unitis);c. 740/1 (accordi navali con gli alleati); 740/2 (conferenza Corfù); 741/1 (Roma); 74112 (Parigi); 742(Londra); 743/1 (Londra e Parigi); 75112 (missione a Malta); 453/5 e 462/4 (impiego dei drifters);497/3 (cooperazione navale interalleata);c. 1470/15, 1471, 1488/1 (armistizio con l’Impero austro-ungarico);c. 1511-1514, 1582-1583, 1475-1476 (conferenza della pace di Parigi); c. 1443/1, 1444/1, 1445/1-4,1488/2, 1496/2-5, 1497/1, 1555, 1558 (fatti di Fiume);c. 1684 /1923-24) (programma navale e nuove costruzioni);c. 1700/3 (1923-1925) (stato di previsione della spesa per l’esecuzione di missioni politiche spe-ciali).c. 1682/2 e 1627/5 (Relazioni del Ministro della Marina sui bilanci navali negli E.F. 1923-24 e 1924-25).c. 1669-1672 (incidente italo - greco e occupazione di Corfù).

Biografiec. 25/9 (Thaon di Revel).

Ministero degli Affari Esteri, I Documenti Diplomatici italiani, Serie Settima; 1922-1935, vol. II (27aprile 1923-22 febbraio 1924), Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, Roma 1955.

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BIBLIOGRAFIA CRITICA: OPERE

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Agnelli, Milano 1932.Milanesi G., Paolo Thaon di Revel, duca del Mare, Zucchi, Milano 1936. Po G., Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Lattes, Torino 1936.Siliato L.S., Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, il precursore, Chiantore, Torino 1941.Stendardi T., Il Duca del Mare Paolo Thaon di Revel. Profilo Biografico, Ardenza, Napoli 1933.Vicoli F., Il condottiero di una flotta vittoriosa. Paolo Thaon di Revel, La Prora, Milano 1934.

BIBLIOGRAFIA CRITICA: ARTICOLI

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Cantù G., «Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel» in Marinai d’Italia, giugno 1959.Cocchia A., «X Anniversario Thaon di Revel» in Il Mattino del 29.3.1958. Cutolo E., «Le due guerre» in L’Idea del 23.9.1943;De Giovanni R., «Colloquio col vecchio Re ad Alessandria d’Egitto» in Gazzetta del Popolo del 19.10.1947.Degli Uberti U., «Il Grande Ammiraglio» in Prore Armate del 21.6.1941.Ferrante E., «D’Annunzio, Thaon di Revel e le siluranti aeree» in D’Annunzio e il Volo, San Pelagio 1989;

«Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel: una vita per la Marina» in Millenovecento. Mensile distoria contemporanea, n.27, Gennaio 2005, pp. 86-103.

Gatti M., «Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Il precursore» in L’Avvenire del 15.6.1941.Landini A., «Il Grande Ammiraglio Thaon di Revel» in Il Tirreno del 28.3.1948. Marino G., «L’ammiraglio Thaon di Revel promotore della nostra potenza navale» in Giornale di Sicilia

del 27.4.1941.Severi G., «Il Duca del Mare» in Italia Nuova del l0 aprile 1948.Editoriale, «Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel» in Gazzetta del Mezzogiorno, del 22.9.1943.Editoriale, «Il Duca del Mare» in Italia Nuova del 29.9.1945.Editoriale, «Dalle nostre navi mercantili l’Italia attenderà la sua sicura rinascita» in L’Orizzonte d’Italia

del 12.6.1947.Editoriale, «In memoria del Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel» in Rivista Marittima, marzo 1948.Editoriale, «Paolo Thaon di Revel» in Il Timone del 3.4.1948.Editoriale, «Centenario della nascita del Grande Ammiraglio Thaon di Revel» in Notiziario -Rassegna at-

tività marinare del 10-15 giugno 1959.Editoriale, «L’Ammiraglio che andava in ricognizione tra le linee nemiche» in Corriere Mercantile del

28.3.1968.La scomparsa del Grande Ammiraglio naturalmente attirò l’attenzione della stampa quotidiana e tra gli

elzeviri dedicatigli, in particolare, ricordiamo: Il Tempo, L’Osservatore Romano, Il Giornale d’Italia,Risorgimento Liberale, del 26 marzo 1948; Corriere Militare e Italia Nuova del 10 aprile 1948; L’Ecodel Sud dell’8 aprile 1948.

NOTA BIBLIOGRAFICA

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

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nel LXX anniversario della Vittoria, USMM, Roma 1987; «La figura dell’addetto navale nell’Italia libe-rale» in Storia delle relazioni internazionali, fasc. II-1987; (con Franco Gay) La Marina italiana. Storiadi Uomini e di Navi, Editalia, Roma 1987; «Un rischio calcolato? Mussolini e gli ammiragli nella ge-stione della crisi di Corfù» in Storia delle Relazioni Internazionali, n.5/ 1989; «Historical and Techni-cal Account on the Special Engines of the Italian Navy during World War I and II», in Les Marines deGuerre du Dreadnough au nucléaire, Service Historique de la Marine, Paris 1990); «Il Potere Marit-timo» in Storia d’Italia 1796 -1975, Editalia, Roma 1990; (con Franco Gay) L’Armata navale d’Italia,Editalia, Roma 1990; «La politica delle costruzioni navali militari in Italia dall’Unità alla GrandeGuerra» in La penisola italiana e il Mare, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli 1993, pp.429- 443; «Ilruolo storico degli addetti navali» in Marina Militare e Politica estera, IGM, Livorno, 1999; «Marina eDiplomazia in Italia dall’unificazione nazionale alla Grande Guerra» in Bollettino d’Archivio USMM,dicembre 2005; «Lo scénario adriatique et les problèmes de stratégie navale» in La Marine italiennede l’Unité à nos jours, Institut de Stratégie Comparée, Paris 2005, pp. 53 -86; «Marina e Diplomazia:la figura dell’addetto navale» in Atti del Convegno sullo studio della storia navale nell’Italia di oggi,Accademia Navale, Livorno 2006 e «Le Operazioni navali in Adriatico 1915-18», in Bollettino d’Ar-chivio USMM, giugno 2008, pp. 65-148; “La guerra economica sui mari: Blocco e dominio delle Slocs”in Quaderni della Società Italiana di Storia Militare 2017.

Ferranti Mauro, Eugenio di Savoia - Carignano - Un artefice dei Risorgimento italiano, Umberto Soletti Edi-tore, Baldissero D’Alba (Cn), 2013.

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Nota bibliografica

Giugno 2017

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Note Bibliografiche e Appendice_Layout 1 07/07/2017 09:14 Pagina 137

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

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Rivista Marittima, dicembre 2013 (http://www.marina.difesa.it/conosciamoci/editoria/marivista/Documents/supplementi/Supplemento_Dicembre_2013.pdf).

Thaon di Revel Genova, La spedizione in Crimea, Milano 1891; Da Ancona a Napoli. Miei Ricordi, Milano1892; Umbria e Aspromonte. Ricordi diplomatici, Milano 1894; Sette mesi al Ministero, Milano 1894;La cessione del Veneto, Firenze 1906; (a cura di) Mémoir es sur la guerre des Alpes et les événementsen Piémont pendant la Révolution française, Imprimerie Royale, Bocca Frères, Turin-Rome-Florence1871.

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Sulla storia degli Ordini cavallereschi che, come abbiamo visto, tanta importanza rivestono nella biografiadel Grande Ammiraglio, ricordiamo:Bascapé G. C., Gli Ordini cavallereschi in Italia: storia e diritto, Milano 1977.Milazzo G., Gli Ordini cavallereschi in Italia, Palermo 1921.Muratore D., La fondazione dell’Ordine del Collare della SS. Annunziata, Torino 1909. Ceva di San Michele M., Sul motto o divisa dell’Ordine Supremo della SS. Annunziata, Roma 1898.Du Courtiai-Rey C. e De Pasquier I (a cura di), Musée National de la Légion d’Honneur et des ordres de la

Chevalerie, Paris 1982.L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Milano 1966;L’Ordine Mauriziano dalle origini ai giorni nostri, Torino 1917;Norme per il conferimento delle onorificenze dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Roma, s.d.;Gli Ordini militari e civili di Savoia, Milano 1966;Elenco dei Cavalieri dell’Ordine Supremo della SS. Annunziata nel 6° centenario della fondazione (1362-1962), Cascais, 1964.Tra gli interventi parlamentari di Thaon di Revel ricordiamo:Camera dei Deputati, Leg. XXVII, sessione 1a, Discussioni, tornata del 9 e 10 dicembre 1924.Senato del Regno, Leg. XXV, la sessione 1919-1920, Discussioni, tornata del 13 luglio, 9 e 10 dicembre

1920; Leg. XXVII, la sessione 1924-’25, tornata del 20 dicembre 1924 e del 18 maggio 1925; Leg. XXIX,1a sessione 1934-’35, Discussioni, tornata dell’8 dicembre 1935; Leg. XXX, Assemblea Plenaria, sedutadel 15 aprile 1939.

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139Giugno 2017

Doc. n. 1 - Stato di Servizio nella R. Marina del Grande Ammiraglio (AUSMM, biografie, c. 25, f. 9).Doc. n. 2 - Lettera di Simone di Saint Bon alla contessa Carolina, madre del Grande Ammiraglio (CTR, Let-

tere alla Madre).Doc. n. 3 - Lettera del comandante Arminjon alla contessa Carolina (CTR, Lettere alla Madre).Doc. n. 4 - Relazione sintetica sull’opera svolta dal capo di Stato Maggiore della Marina Revel dal 1° aprile

1913 al 1° ottobre 1915 (1915), (ACS, carte Del Bono, b.2, f.15; carte Salandra, b.1, f.15/1; carte Boselli,b.1, fase. 15).

Doc. n. 5 - Promemoria del Capo di Stato Maggiore della Marina al Presidente del Consiglio in occasionedella proclamazione della neutralità italiana (1° agosto 1914) (ACS, carte Salandra, b.2, fase. 16).

Doc. n. 6 - Promemoria sul Comando Supremo Navale in Adriatico redatto dal capo di Stato MaggioreThaon di Revel (1917) (ACS, Carte Salandra, b.1, f.l4).

Doc. n. 7 - Promemoria sulla politica delle costruzioni navali redatto dal capo di Stato Maggiore Thaon diRevel (1917) (CTR, Documenti, vol. III).

Doc. n. 8 - Promemoria del capo di Stato Maggiore della Marina Thaon di Revel «Per poter continuare laguerra» (CTR, Documenti, vol. III).

Doc. n. 9 - Lettera del capo di Stato Maggiore della Marina Thaon di Revel al 1° Lord dell’Ammiragliato in-glese, R.R. Eric Geddes sul Comando Supremo Navale in Adriatico (CTR, Documenti, vol. IV).

Doc. n. 10 - Discorso dell’amm. Thaon di Revel in Senato in occasione della ratifica del Trattato di Rapallo.(Atti Parlamentari, Senato del Regno, Leg. XXV, 1a sess. 1919-1920, Discussioni, tornata del 15 di-cembre 1920).

Doc. n. 11 - Discorso del Ministro della Marina Thaon di Revel al Senato del Regno pronunciato il 20 di-cembre 1924: “La funzione della Marina Militare nell’economia di guerra e di pace dell’Italia”. (AttiParlamentari, Senato, Leg. XXVII, 7a sessione 1924).

Doc. n. 12 - Disegno di legge riguardante l’Alto Comando dell’Esercito, sottolineato nei punti salienti dalGrande Ammiraglio (CTR, Diario storico documentato delle dimissioni da Ministro della Marina delGrande Ammiraglio).

Doc. n. 13 - Disegno di legge riguardante la difesa nazionale presentato dal Grande Ammiraglio e discussoin Senato nella tornata del 18 maggio 1925, (CTR, Diario storico documentato delle dimissioni daMinistro della Marina del Grande Ammiraglio).

Doc. n. 14 - Intervento al Senato del Grande Ammiraglio per sostenere le ragioni del proprio progetto perla Difesa Nazionale (Atti Parlamentari, Senato del Regno, Leg. XXVII. 1a sessione 1924-25, Discussioni,tornata del 18 maggio 1925).

Doc. n. 15 - Stralcio delle risultanze della Commissione d’inchiesta sulla condotta della campagna militarein Africa Settentrionale presieduta dal Grande Ammiraglio (ACS, Carte Graziani, b.65, f.47, sf.57).

Doc. n. 16 - Appello dei Senatori al Sovrano (maggio 1943) (CTR, Documenti, vol. XVII).Doc. n. 17 - Appello dei Senatori al Sovrano (luglio 1943) (CTR, Documenti, vol. XVII).Doc. n. 18 - Lettera del presidente del Consiglio Bonomi al Grande Ammiraglio (CTR, Documenti, vol. XVII).Doc. n. 19 - Manifesto politico sottoscritto dal Grande Ammiraglio (CTR, Documenti, vol. XVII).

APPENDICE DOCUMENTARIA

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Documento n. 1

STATO DI SERVIZIO DI S.E. IL GRANDE AMMIRAGLIO PAOLO THAON DI REVEL DUCA DEL MARE(Archivio dell’Ufficio Storico della Marina, Biografie, cart. 25, fase. 9)

Allievo della R. Scuola di Marina 8 luglio 1873Guardiamarina 1° dicembre 1877Sottotenente di vascello 1° luglio 1880Tenente di vascello 1° gennaio 1886Capitano di corvetta 1° maggio 1895Capitano di fregata 1° gennaio 1900Capitano di vascello 1° marzo 1904Contrammiraglio 16 aprile 1910Vice Ammiraglio 1° luglio 1913Ammiraglio (per merito di guerra--motu proprio di S.M. il Re) 6 novembre 1918Grande Ammiraglio 4 novembre 1924

IMBARCHI

R. fregata Vittorio Emanuele 15 luglio 1873 4 novembre 1873R. fregata Vittorio Emanuele 20 luglio 1874 4 novembre 1874R. fregata Vittorio Emanuele 16 luglio 1875 3 novembre 1875R. fregata Vittorio Emanuele 3 luglio 1876 10 novembre 1876R. fregata Vittorio Emanuele 18 luglio 1877 23 ottobre 1877R. ariete Affondatore 16 dicembre 1877 29 giugno 1878R. corazzata Principe Amedeo 30 giugno 1878 1° novembre 1878R. fregata Garibaldi 1° aprile 1879 21 agosto 1882R. corazzata Venezia 20 novembre 1882 1° giugno 1884R. ariete Bausan 3 luglio 1888 16 novembre 1888R. trasporto Città di Genova 21 novembre 1888 11 agosto 1889R. inc Montebello (Uff. in 2a) 11 agosto 1889 13 dicembre 1891R. rim Atlante (Com.te) 15 maggio 1892 22 agosto 1892R. torpediniera Sparviero (Com.te) 21 aprile 1893 6 febbraio 1894R. goletta Palinuro 7 febbraio 1894 8 maggio 1895R. nave Savoia 16 ottobre 1895 11 novembre 1895R. nave Piemonte (Uff. in 2a) 16 novembre 1895 11 novembre 1896R. nave Saint Bon 5 dicembre 1900 6 marzo 1902R. nave Caracciolo (Com.te) 6 dicembre 1902 15 novembre 1903R. nave Vespucci (Com.te) 16 novembre 1903 6 novembre 1906R. nave Etna (Com.te) 6 luglio 1907 12 novembre 1907R. nave Vittorio Emanuele (Com.te) 27 novembre 1907 17 novembre 1909R. nave Umberto (Com.te) 10 settembre 1911 17 settembre 1911R. nave Garibaldi (Com. te della 2a divisione

della 2a squadra) 22 settembre 1911 26 settembre 1912R. nave Vettor Pisani

(Ispettore delle Siluranti) 1° ottobre 1912 11 marzo 1913R. nave Liguria 16 agosto 1913 9 settembre 1913R. nave Libia 20 ottobre 1914 1° novembre 1914R. nave Trinacria (Capo di Stato Maggiore

della Marina e comandante delle forze navali mobilitate) 16 febbraio 1917 19 marzo 1917

R. nave Elba (Capo di Stato Maggiore della Marina e comandante delle forze navali mobilitate)20 marzo 1917 1° agosto 1919

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Appendice documentaria

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DESTINAZIONI A TERRA

Ufficiale d’ordinanza effettivo di S.A.R. il Principe di Savoia Carignano 1° giugno 18841° luglio 1888

Aiutante di Campo effettivo di S.M. il Re 16 agosto 18961° novembre 1900

Comandante della R. Scuola Macchinisti 10 agosto 19041° novembre 1905

Comandante della R. Accademia Navale 11 novembre 190521 novembre 1907

Aiutante di Campo effettivo di S.M. il Re 1° febbraio 19111° ottobre 1911

Capo di Stato Maggiore della Marina 1° aprile 191311 ottobre 1915

Comandante in Capo del Dipartimento e della Piazza Marittima di Venezia 12 ottobre 19158 febbraio 1917

Capo di Stato Maggiore della Marina e Comandante in Capo delle forze navali mobilitate 9 febbraio 191724 novembre 1919

Ispettore Generale della R. Marina 24 novembre 191930 maggio 1920

Presidente del Comitato Ammiragli 31 maggio 192030 ottobre 1922

Ministro della Marina 31 ottobre 19229 maggio 1925

ONORIFICENZE

Cavaliere della Corona d’Italia-Motu proprio di S.M. il Re (decreto 29 marzo 1888)Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro-Motu proprio di S.M. il Re (decreto 3 dicembre 1896)Ufficiale della Corona d’Italia-Motu proprio di S.M. il Re (decreto 31 dicembre 1899)Croce d’oro per anzianità di servizioUfficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro (R.D. 4 giugno 1908)Commendatore della Corona d’Italia-Motu proprio di S.M. il Re (decreto 22 settembre 1908)Medaglia commemorativa per l’opera soccorritrice prestata nel terremoto del28 dicembre 1908 e Medaglia

d’oro per essersi segnalato nel prestare soccorso alle popolazioni funestate dal terremoto (R.D. 27maggio 1911).

Commendatore dell’Ordine militare di Savoia: «Per la costante attività, il coraggio e la perizia dimostrataal comando di una divisione navale durante la guerra distinguendosi in particolare modo nell’attaccodelle fortificazioni dei Dardanelli, ma più ancora nella azione compiuta a Beyruth che egli personal-mente comandò e diresse, nella quale in circostanze difficili d’ordine internazionale affondò le duenavi da guerra turche rifugiate nel porto, con esecuzione piena degli ordini avuti e con intero suc-cesso- Mediterraneo 1911-1912» (R.D. 16 marzo 1913).

Campagna di guerra 1911-12Medaglia commemorativa della guerra italo-turca 1911-1912 Grande Ufficiale della Corona d’Italia (R.D. 29 maggio 1913)Commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro (R.D. 29 dicembre 1913) Cavaliere di Gran Croce decorato del Gran Cordone della Corona d’Italia--Motu proprio di S.M. il Re (R.D.

2 aprile 1914)Grande Ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro-Motu proprio di S. M. il Re (decreto 30 gennaio 1915)Cavaliere di Gran Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro-Motu proprio di S.M. il Re (decreto 11 ottobre 1915)Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia-Motu proprio di S.M. il Re per distinti servizi resi durante

la campagna di guerra 1915-1916 (decreto 20 gennaio 1916).Medaglia d’onore di lunga navigazione (decreto luog. 26 settembre 1918)Medaglia mauriziana al merito militare di 10 lustri (R.D. 12 ottobre 1918)Gran Croce all’Ordine militare di Savoia-Motu proprio di S.M. il Re: «Capo di Stato Maggiore della R. Marina,

comandante in capo delle forze navali mobilitate dal febbraio 1917, nella suprema direzione della

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

guerra marittima in Adriatico e dell’azione bellica ovunque esercitata da mezzi della R. Marina, hadato alta prova di singolare perizia, somma energia, perspicuo apprezzamento delle situazioni bel-liche. Nonostante la gravità e la persistenza delle insidie nemiche, mercé i provvedimenti da lui or-dinati e le mirabili virtù della nostra gente di mare, i traffici marittimi hanno potuto svolgersi cosìda assicurare in ogni tempo al Paese gli indispensabili rifornimenti. Con fervore e tenacia ha prov-veduto all’apprestamento dei mezzi complementari di offesa e di difesa che meglio convenivano allepeculiari caratteristiche della guerra combattuta in Adriatico ed alla preparazione degli uomini checoll’impiego di essi hanno inflitto al nemico perdite gravissime e circonfuso di gloria imperitura laMarina italiana. Sotto il suo alto comando la R. Marina ha portato validissimo contributo alla vittoria»(decreto 1 giugno 1919)

Croce al merito di guerra (l a concessione)-Motu proprio di S.M. il Re Croce al merito di guerra (2 a concessione) determinazione ministeriale del 2 luglio 1921 (commutata in

quella al Valor militare)Croce di guerra al Valor militare con la seguente motivazione: «Mentre si recava a Cortellazzo preceden-

temente bombardata da navi nemiche venne fatto segno a tiro di batterie nemiche e malgrado fossesconsigliato a proseguire continuò il suo cammino imperturbabile noncurante il pericolo destandol’ammirazione dei marinai del battaglione “Monfalcone” che si stava preparando all’assalto (Cortel-lazzo 19 novembre 1917)» (R.D. 17 febbraio 1924) (in commutazione della croce al merito di guerraconcessagli per determinazione ministeriale del 25 luglio 1921)

Croce di guerra al Valor militare con la seguente motivazione: «Capo di Stato Maggiore della Marina siassumeva l’alto incarico della delicata missione del bombardamento di Durazzo, prendendone per-sonalmente la direzione a bordo della R. nave “Dante Alighieri” e raggiungendo brillantemente l’obiet-tivo prefisso» (R.D. 17 febbraio 1924) (in commutazione della Croce al Merito di guerra concessagliper determinazione ministeriale del 6 agosto 1921)

Conferitogli il titolo di Duca (R.D. 24 maggio 1923)Gran Cordone dell’Ordine coloniale della Stella d’Italia- Motu proprio di S.M. il Re - f.o. 12 luglio 1924 Cavaliere dell’Ordine Supremo della SS. Annunziata.

Documento n. 2

LETTERA DEL MINISTRO DELLA MARINA SIMONE DI SAINT BON ALLA CONTESSA CAROLINA, MADRE DEL GRANDE AMMIRAGLIO (CTR, Lettere alla Madre)

IL MINISTRO DELLA MARINARome, 16 aòut 1873

Madame,Je vous remercie des paroles flatteuses que vous avez eu la bonté de m’adresser. Je ne doute pas que lespremiers succès de votre fils ne soient le présage de ceux qui l’attendent dans sa carrière, car j’ai eu oc-casion de le connaître a Livourne et j’ai vu qu’il est très intelligent et d’un caractère ferme; quant au resteil suffit de dire qu’il a été élevé par vous.

Agréez, madame, l’expression de mon profond respect.Votre devoué serviteur

S. de S. BON

(sulla busta:)Madame la Comtesse Thaon de Revel de Vars Turin

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Appendice documentaria

Giugno 2017

Documento n. 3

LETTERA DI V. ARMINJON ALLA CONTESSA CAROLINA(CTR, Lettere alla Madre)

COMANDO DELLA R. SCUOLA DI MARINA SECONDA DIVISIONE

Genes 21 janvier 1876

Madame la Comtesse,Madame la comtesse de Sonnaz votre soeur s’est donnée la peine de monter au collège pour remettre

la somme de 112,50 que vous lui aviez confiée. M. le Capitaine Barella a du vous adresser le jour mêmeun récepisté (?) en ajoutant la note des dépenses courantes que vous réclamiez. Je vous prie de me par-donner le retard que j’ai mis à vous répondre; la cause en est une grave maladie de mon beau-père quim’impose la necessité de m’absenter pendant quelques heures de la journée.

Madame de Sonnaz pourra faire sortir votre fils tous les quinze jours et le voir au parloir une foispar semaine. La santé de M. Paul est excellente et je n’ai que des éloges à faire sur son compte. Je me gar-derais bien de vous dire ce dernier mot si je n’étais pleinement rassuré par votre prudence et par votrediscretion Madame, car souvent les louanges aux élèves ne produisent pas tout l’effet qu’on désire. Avec(?) la vanité de donner à la marine un jeune homme dont l’instruction serait portée à un point plus élevéà cause de l’amour propre habilement stimulé, je m’éxposerais à former un officier médiocre et difficileà plier à toutes les exigences de la discipline. C’est pourquoi j’évite ordinairement de faire des compli-ments aux élèves et je me garde encore davantage des parents qui ont trop d’éstime pour leurs enfants.Mais le caractère de M. Paul est pour moi une assurance; il est respectueux et obéissant avec tous les su-périeurs et il n’acuse (?) jamais la mauvaise habitude de faire des commentaires sur leur compte.

Vous recevez chaque mois Madame le bulletin des études; vous ne feriez pas mal de présenter chaquefois à M. Paulles observations que vous jugerez convenable, afin qu’il se mette au concurrence avec lespremiers élèves de sa classe.

Veuillez agréer Madame la Comtesse l’éxpression de mon respect et de mon sincère dévoument.Votre très humble serviteur

...Arminjon

Documento n. 4

RELAZIONE SINTETICA SULL’OPERA SVOLTA DAL CAPO DI STATO MAGGIORE REVEL DAL l APRILE 1913 AL l OTTOBRE 1915 (191)

(ACS, carte Del Bono, b. 2, fase. 5; carte Salandra, b. l, fase. 15/1;carte Boselli, b. l, fase. 15)

UFFICIO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA

Assunsi la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina il 1° Aprile 1913, pochi mesi dopo la con-clusione della pace con la Turchia (Ottobre 1912).

Mentre la Marina abbisognava di un periodo di raccoglimento per rassettare il materiale e riordinareil personale, dovendosi fra l’altro riaprire i corsi d’istruzione per gli Ufficiali, sospesi durante la lunguaguerra; occorreva d’altra parte mantenere in servizio attivo un rilevante numero di navi per fronteggiarele esigenze politiche e militari in Libia, in Albania, nel Dodecaneso, in Grecia, nel Bosforo, nonché permotivi d’ordine pubblico territoriale e marittimo.

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Solamente nell’estate 1913 la Marina potè riprendere la sua vita normale. Raccolte le Forze Navalisotto un solo Comando, per stabilire l’indispensabile unità di direzione, venne prescritto con appositeistruzioni che le esercitazioni fossero - per quanto possibile - improntate al carattere di vera guerra, ondeottenere che la Flotta raggiungesse sollecitamente la piena efficienza bellica necessaria ad affrontare qua-lunque evento.

E infatti, all’inizio dell’attuale conflitto, le navi dell’Armata si trovarono pronte al combattimento,come forse mai furono.

* * *

La Triplice Alleanza era stata rinnovata il 5 dicembre 1912, e dopo tale rinnovamento le relazionidella nostra Marina con quelle dell’Imperi Centrali erano diventate più intime e cordiali. Nell’agosto 1913S.A.R. il Duca degli Abruzzi visitava la Flotta Germanica ed assisteva con alcuni Ufficiali ad importanti

esercitazioni di natura riservatissima.Già nell’aprile erano state intavolate trattative con lo Stato Maggiore della Marina Tedesca e col Co-

mandante della Marina Austriaca per coordinare le eventuali azioni di guerra delle varie Flotte, discipli-nandole con una Convenzione Navale. La quale, ottenuta attraverso non poche difficoltà, assicurava ilpieno concorso della Flotta Austriaca nel Tirreno, soddisfacendo in tal guisa pienamente il punto di vistaitaliano.

La Convenzione ottenne l’Alta approvazione dei Sovrani alleati.Giova ricordare in proposito la preoccupante dislocazione di potenti Forze Anglo-Francesi nel Me-

diterraneo avvenuta nel 1913 e la poca simpatia che in quel tempo la Marina Francese ostentava perquella italiana. L’Ammiraglio Boué de Lapeyrére aveva voluto che sulla poderosa corazzata «FRANCE»- indice della rinnovellata potenza navale francese - fosse trasferito il gruppo simbolico che già avevaornato il «BRENNUS» (un legionario romano incatenato con la epigrafe «vae victis») e il 7 Novembre1913, la Squadra Francese, incontrata nelle acque di Rodi la Forza Navale Italiana comandata da S.A.R.il Duca degli Abruzzi, la oltrepassava senza salutarla, rispondendo poi colpo per colpo al saluto diessa.

In armonia alla Convenzione Navale, la Germania dislocò permanentemente in Mediterraneo una Di-visione di rapidi Incrociatori (Goeben, Breslau, ecc.). Seguirono accordi per un continuo scambio di notiziee per una rapida concorde entrata in campagna; a tal fine fu redatto un apposito libro di segnali e di evo-luzioni denominato «Triplokodice»: l’edizione tedesca era pronta, e quella italiana in corso di stampa aBerlino, allorché scoppiò fulmineo il gran conflitto europeo.

Cordiali e frequenti concerti per la collettiva preparazione alla guerra, colloqui col Comandante dellaMarina Austriaca, scambi d’idee e di vedute, si erano protratti fino alla vigilia della nostra dichiarazionedi neutralità. Giustificata era dunque la supposizione che, partecipando l’Italia ad una grande guerra eu-ropea, la sua Marina avrebbe operato a fianco di quelle degli Imperi Centrali, e logico era pure che questoorientamento politico dovesse essere tenuto in particolare considerazione nella preparazione bellica li-toranea.

Fu per conseguenza raccomandato, sia al Ministro del tempo, sia in sede della Commissione Supremadi Difesa, convocata in Maggio 1913 (presieduta da S.E. Giolitti) l’assestamento militare del litorale occi-dentale e specialmente quello di Maddalena.

Né con ciò furono trascurate le eventuali combinazioni belliche dell’Ionio e dell’Adriatico: infatti, daquell’epoca, fu ripetutamente proposto e domandato che il Mar Grande di Taranto e la rada di Brindisifossero chiusi mediante dighe per impedire l’avvicinamento delle navi all’ancora da parte di sommergibilidi cui consideravo già allora molto temibili le insidie. Tendevasi in tal modo a preparare basi navali chela guerra guerreggiata dimostrò preziosissime.

Di pari passo si dava impulso alla preparazione logistica, sollecitando il completamento della dota-zione del carbone e l’aumento di quella del combustibile liquido, per fronteggiare un non breve periododi guerra anche se fossero tagliate ed ostacolate le vie marittime dei rifornimenti. La scorta di naftetineche è ora di circa 150 mila tonnellate era in quel tempo di appena 30 mila, quanto cioè se ne consumaronoall’incirca nel primo mese della guerra attuale.

* * *Poiché la Convenzione Navale con l’Austria e la Germania garantiva alla Marina Italiana solamente

per un determinato obbiettivo un aiuto relativo ed anche incerto, perché dipendente dalle circostanze

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Appendice documentaria

Giugno 2017

politiche, era prudente far su di esso un assegnamento non assoluto, né indefinito, e presupporre com-binazioni nelle quali mancasse totalmente il predetto aiuto.

Già prima che scoppiasse il conflitto europeo, non poteva disconoscersi per quanto discussa - comeavviene di tutte le cose che ancora non hanno ricevuto la sanzione della pratica - la capacità distruttivadei sommergibili.

Solo mercé un buon numero di sommergibili, completato da un largo stuolo di siluranti, ritenevo sisarebbe potuto, in tempo relativamente breve e con spesa proporzionata alla finanza del Paese, diminuirela grande differenza di potenzialità esistente tra la nostra Flotta e quella Francese, rafforzata in Mediter-raneo da potenti unità inglesi, ed attenuare ad un tempo il vantaggio derivante alla Flotta Austriaca dalleprivilegiate condizioni geografiche dell’opposto versante.

Onde, allarmato del costo enorme delle grandissime corazzate (i cui progetti e relativi quesiti eranostati... in principio del 1913 dal Ministro del tempo sottoposti agli Ammiragli) feci, fin dalla primavera1913, quanto era in mio potere, pregando anche S.E. il Presidente del Consiglio, perché si desistesse datali costosissime navi (soggette ad esser poste fuori combattimento- se non inabissate - forse da un solosiluro, certamente da una mina subacquea) le quali avrebbero assorbito totalmente l’annuale assegnazionefinanziaria prevista per la riproduzione del naviglio, non lasciando margine alcuno per siluranti e som-mergibili.

Le navi tipo L, così dette dal Ministro Leonardi Cattolica, progettate per 29 mila tonnellate, raggiun-geranno, se non supereranno, le 32 mila tonnellate, e costeranno non meno di 100 milioni.

Nel luglio 1913 avevo presentato una memoria al Ministro della Marina, proponendo di portare a 64i Cacciatorpediniere e ad altrettanti i sommergibili; più tardi- confermatesi le mie previsioni sulla capacitàdistruttiva di questi ultimi e sulla insufficiente protezione subacquea delle navi da battaglia- proposi sirinunciasse alla quarta grande nostra non ancora impostata a Livorno.

* * *

Mentre propugnavo la costruzione di numerosi sommergibili, disponevo per un intenso allenamentodi quelli in servizio e venivano emanate in proposito norme tassative intese ad ottenere che gli Stati Mag-giori e gli equipaggi fossero addestrati in tutte le forme d’impiego guerresco di essi.

Anche al servizio Aeronautico circondato allora presso le principali Marine da una grande riserva-tezza, quasi di mistero, ritenni necessario volgere in modo particolare le mie cure, considerando le mac-chine aeree di notevole ausilio nella guerra marittima specialmente nell’esplorazione.

A metà 1913 convocai una Commissione, presiedendola personalmente, perché formulasse proposteatte ad organizzare in modo rapido ed efficace tale servizio; ed a questo scopo veniva pure istituita pressol’ufficio di Stato Maggiore un’apposita sezione, ampliata quindi in reparto.

Ma i fondi concessi fino a poco prima della nostra guerra, se valsero a formare un utile nucleo ini-ziale, non permisero lo svolgimento di un programma largo com’era necessario. Più tardi (Gennaio e Giu-gno 1915) quando si poté disporre di adeguati mezzi, l’efficacia ne risultò molto ridotta dall’insufficienzadell’industria nazionale (ancora non affermatasi nelle costruzioni aeronautiche) dall’impossibilità di ser-virsi di quella europea già assorbita dalla guerra e dalla qualità scadente della produzione americana,peggiorata con l’intensificarsi delle commesse mondiali.

Mentre mi adoperavo per l’incremento dell’aeronautica, si divisavano anche i mezzi per opporsi alleoffese aeree nemiche o per neutralizzarne i danni. Si progettavano infatti depositi interrati del combu-stibile liquido, precorrendo in ciò tutte le altre Marine, e si sollecitava la costruzione e sistemazione diartiglierie antiaeree. Ma trattandosi di un problema nuovo, nella soluzione del quale si era ben poco in-nanzi anche all’Estero, accorsero lunghi studi intorno a gravi difficoltà tecniche, non peranco completa-mente risolte: cosicché, nonostante continue sollecitazioni, le armi ed i mezzi aerei affluironotardivamente.

Altri mezzi di guerra cui dedicai specialmente la mia attenzione furono le torpedini, insistendo per-ché si riguadagnasse il tempo trascorso in esperienze, e se ne costituisse una dotazione al minimo di 5000, magari ricorrendo all’estero in aggiunta alla produzione nazionale: nessuna commessa ne fu fattaall’estero e le consegne da parte delle Ditte nazionali impegnate- nonostante i termini perentori- proce-dettero così a rilento, che all’inizio delle ostilità si avevano veramente pronte solo l 500 torpedini Bollo,e se ne raggiunse il numero minimo stabilito, non prima del mese di ottobre. Nei prossimi mesi, però, colregolare svolgimento dei contratti in corso, si raggiungeranno 10 mila armi.

* * *

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Diligenti studi ed accurate memorie del mio predecessore, Vice Ammiraglio Rocca Rey, avevano di-mostrato quanto nociva ai servizi della Marina, particolarmente a quelli navali, fosse la instabilità delpersonale nelle destinazioni, e qualmente questo nocumento fosse in massima dovuto alla insufficienzadi personale, specialmente di Ufficiali.

Assunta io la carica di Capo di Stato Maggiore subito domandai, e di poi ancor ridomandai, che iquadri organici degli ufficiali fossero accresciuti proporzionalmente ai prevedibili bisogni di eventualeguerra, che si prevedesse e provvedesse a coprire rapidamente i predetti quadri, che frattanto la proget-tata soppressione degli ufficiali del Corpo Reale Equipaggi fosse rinviata a quando opportuna legge avesseprovveduto a colmare i vuoti da essa derivanti, e che la forza bilanciata del Corpo Reale Equipaggi fosseprogressivamente aumentata fino ad avere normalmente al completo gli equipaggi delle navi da battaglia,indipendentemente dai militari dei corsi e delle scuole speciali.

Le difficoltà che malamente furono superate all’inizio delle ostilità (quantunque queste fossero datempo presentite) per far fronte ai servizi di guerra, la penuria di Ufficiali di Vascello di carriera in cuiancor si dibatte la Marina, onde i forzati strizzamenti degli Stati Maggiori delle Navi e di talune PiazzeMarittime, hanno purtroppo sanzionato l’avvedutezza delle proposte presentate da più di trenta mesi edi poi ripresentate.

* * *

Il tema delle grandi manovre navali divisate per l’autunno del 1914 era stato prescelto con l’intendi-mento di riprodurre, in misura naturalmente ridotta, azioni combinate delle Marine Italiana e Austriacacontro quella Francese; ma scoppiata ai primi di agosto la perdurante conflagrazione o seguitane imme-diatamente la nostra dichiarazione di neutralità, rinunciammo alle manovre, e senza attendere si definisseil nuovo orientamento politico, sollecitai i provvedimenti atti a fronteggiare le varie eventualità bellichecosì nel Tirreno come nell’Adriatico.

Considerando il corso degli avvenimenti, i quali facevano presagire assai lunga la guerra, la proba-bilità che difficilmente l’Italia potesse rimanere neutrale fino al termine del conflitto, e che in ogni modo,per far rispettare la neutralità avremmo dovuto mantenerci in potenza, rinnovai le proposte intese a raf-forzare il nostro apparecchio navale e costiero, nonché a soddisfare gli assillanti bisogni del personale.

Feci ancora presente l’insufficienza di sommergibili, di cacciatorpediniere, di mine, di draga mine,di velivoli, di cannoni antiaerei, la necessità di motoscafi, di rapidi rimorchiatori, di bombe per distruggeresommergibili, e l’urgenza di assicurare a Brindisi una buona base navale nel basso Adriatico.

Man mano che la situazione politica nazionale diventava più delicata, si deliberarono al fine i relativiprovvedimenti, ma ormai con scarsi frutti, sia perché le industrie nazi:mali male mantennero gli assuntiimpegni, sia perché l’attuazione di essi richiedeva quell’elemento, che, come io aveva scritto in una rela-zione del dicembre 1914, non può essere sostituito da nessuna spesa, da nessun sacrificio: il tempo.

All’inizio delle ostilità il naviglio da guerra disponibile era in completa efficienza e s’intensificaval’allestimento di quello che poteva entrare in servizio in tempo utile; pronto era anche il naviglio ausiliarioin misura più che sufficiente pei vari obbiettivi della Flotta.

La base di Brindisi grazie agli scavi sollecitamente eseguiti nel porto interno e nell’avamporto (in di-fetto delle dighe foranee proposte anche per Taranto sin dalla primavera del 1913) mercé la molto rin-forzata difesa, poteva, all’inizio delle nostre ostilità, accogliere ed assicurare protezione militare nauticaad una rilevante Forza Navale.

Sempre mediante scavi, tutt’ora in corso, venivano pur al medesimo intento migliorate le condizioninautiche dell’Estuario di Venezia.

La difesa di Porto Corsini era stata convenientemente rafforzata: e l’utilità di tale provvedimentovenne subito dimostrata dal come fu respinta con gravi perdite del nemico l’attacco che all’apertura delleostilità esso mosse a questa base secondaria.

Potentissime batterie da 381 tratte dagli impianti destinate navi tipo L sono in preparazione per au-mentare la difesa dei fronti a mare di Brindisi o di Venezia.

* * *

Constatato che i serbatoi interrati di nafta, progettati nel 1913, ‘sarebbero pronti solo in epoca lon-tana, si provvide con espedienti a diminuire la visibilità di quelli già in servizio, ad impedire la pericolosadispersione del liquido incendiato da quelli che fossero colpiti e ad operare possibilmente il ricupero delcostoso combustibile.

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Completato l’assetto logistico, considerando quanto fosse pericoloso, specialmente nella fase iniziale,far navigare navi onerarie nelle acque guerreggiate, si organizzava il rifornimento delle Piazze Adriatichemediante trasporti ferroviari che all’atto pratico precedettero regolarmente, pur trattandosi di quantitàingenti di materiali speciali od ingombranti, come il carbone, la nafta o persino l’acqua.

Si era allestito con la massima alacrità il materiale di ostruzione per garantire dalle insidie subacqueele navi ancorate nelle basi: si erano istituite nuove stazioni di carica dei sottomarini e aumentata la po-tenzialità di quelle esistenti: in complesso, si erano presi o affrettati tutti quei provvedimenti, già in mas-sima da lungo tempo proposti, e non potuti attuare, o solo parzialmente attuati, astraendo dai quali,nella guerra marittima odierna, è vano sperare il successo.

* * *

Ritenevo intanto anche necessario fossero apportate alcune varianti alla nostra legislazione marit-tima, non più rispondente alle esigenze e agli usi della guerra moderna, ed eccessivamente liberale a tuttovantaggio del nemico.

Tali varianti in genere, e il dichiarare l’Adriatico zona di guerra, mediante il blocco di sbarramentoin sostituzione di quello litoraneo, impossibile a tenersi senza gravissimi rischi, hanno poi dato modo direprimere il contrabbando marittimo, d’impedire la navigazione e il commercio del nemico, di requisireil naviglio mercantile avversario, confiscando quello adatto a servizi ausiliari di guerra, ponendo altresìin mano al R. Governo un prezioso pegno per risarcire i danni arrecati dal nemico alla vita o alla proprietàdei privati cittadini.

Altro provvedimento importantissimo, che appena applicato dimostrò tutta la sua efficacia militare(colpendo alle radici lo spionaggio marittimo e litoraneo, e rendendo più incerte le scorrerie sia di naviche di sommergibili) fu il divieto di pesca in Adriatico e nei paraggi settentrionali del Golfo di Taranto(opportunamente temperato con disposizioni a favore della classe peschereccia).

Tali provvedimenti ed altri ancora da me in tempo proposti, dovettero non di rado superare principie ragioni teoriche o dottrinali, subendo ritardi spesso dannosi.

* * *

Volgeva al fine di Aprile 1915, quando il R. Governo dispose che un nostro Ufficiale di Marina si re-casse a Londra (sostituita poi con Parigi) per concertare con i rappresentanti navali della Francia e del-l’Inghilterra il concorso di quelle Marine per una guerra contro l’Austria.

Anni or sono era stato autorevolmente affermato che a compensare la preponderanza strategica, lo-gistica e difensiva della sponda opposta rispetto alla nostra, dovesse l’efficienza della Flotta Italiana esserall’incirca doppia dell’Austriaca. Non essendo possibile ciò conseguire in un futuro prossimo, io aveva,come già dissi, presentato memoria al Ministro del tempo, proponendo di portare a 64 i cacciatorpedinieree parimenti i sommergibili.

Il largo numero dei primi ci avrebbe sempre assicurato la prevalenza sui corrispondenti avversariaustriaci; con i secondi avremmo potuto moltiplicare gli agguati di aggressione alle navi maggiori del ne-mico, neutralizzando parzialmente l’enorme suo vantaggio derivante dalla facilità di spostamento perrotte interne all’arcipelago Dalmata in forze da noi non controllabili.

Ad attenuare la insufficienza del nostro naviglio sottile (considerato quanto le Marine Inglese e Franceseavrebbero potuto ragionevolmente concedere in relazione ai loro obbiettivi ed alle Forze impegnate) indicaial nostro Delegato navale un minimo di concorso da richiedere, al disotto del quale egli non doveva scen-dere: in questo minimo erano previsti 24 cacciatorpediniere da 30 nodi, con armamento non inferiore a 76m/m; ma quasi subito emerse l’impossibilità di attenerli, scarseggiandone sia gli inglesi che i francesi.

Furono quindi necessarie istruzioni supplementari, le quali, sollecitamente portate a Parigi da un in-viato speciale, prescrivevano d’insistere perché il già ridotto concorso navale (ma particolarmente gli in-crociatori e i cacciatorpediniere) raggiungessero Taranto o Brindisi prima della nostra apertura di ostilità.Il tempo passava senza ottenere il concorso navale nella misura da me ritenuta indispensabile, ma vanoessendo proseguire a discutere, dappoiché il limite impegnativo (a me non prima noto) della nostra en-trata in campagna si avvicinava improrogabile, il nostro Delegato, dal R° Ambasciatore autorizzato, fir-mava la Convenzione Navale. Quattordici giorni dopo cominciavano le ostilità contro l’Austria: la dimanegiungevano a Brindisi le prime unità alleate.

* * *

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Fin dal Settembre 1914 aveva redatto un minuto esame che comunicai al Comandante in Capo del-l’Armata delle eventuali nostre operazioni di guerra in Adriatico, ave era considerato nelle varie sue partiil problema del conflitto marittimo contro l’Austria, particolarmente per noi difficile per la più volte ri-cordata grande sproporzione di capacità difensiva e strategica fra le due opposte sponde Adriatiche. Suc-cessivamente venivano stabilite opportune direttive per i Comandanti in Capo delle Piazze di Venezia edi Taranto, in armonia alle quali detti Comandanti compilarono le istruzioni particolareggiate per l’im-piego bellico dei mezzi navali ed aerei dipendenti.

Nel mese di Aprile, tenendo conto dei nuovi insegnamenti forniti dai fatti di guerra svoltisi partico-larmente nei mari del Nord, e vagliati ormai esaurientemente con scambi verbali d’idee e con la comuni-cazione di varie memorie al Comandante dell’Armata, gli elementi relativi alla condotta della nostra guerramarittima, veniva redatto il «Piano Generale delle operazioni marittime in Adriatico». Approvato dal R 0Governo e munito dell’Alta sanzione di S.M. il RE, esso era quindi trasmesso a S.A.R. il Comandante inCapo dell ‘Armata, facendogli presente che in esso non erano stabiliti i modi atti a raggiungere gli ob-biettivi indicativi, intendendo giustamente il R. Governo di non vincolare l’azione del Comando, ma invecedi!asciargli la ampia e completa libertà di azione estesa anche alla scelta del momento e del tempo ritenutipiù opportuni e rispondenti al raggiungimento dei varii obbiettivi.

Nei criteri generali d’ordine politico militare del piano, mentre si affermava il canone inoppugnabiledi non perdere di vista gli obbiettivi principali del la guerra, e di non compromettere perciò l’efficienzadella flotta col disperderne le forze per la protezione delle città indifese e del litorale nazionale in genere,si stabiliva che le forze navali avrebbero dovuto provvedere a tale difesa ogni qualvolta avessero potutofarlo efficacemente in relazione alla loro dislocazione del momento.

A protezione di alcune città litoranee si disposero, lungo la costa, banchi di mine, che scarsi all’inizioper la penuria di dette armi, furono poi intensificati e quindi resi più temibili- si sollecitarono opportuniprovvedimenti di polizia marittima- si mandò in seguito a Venezia la Divisione «PISA» la quale, compostadi navi più veloci di quelle più forti, e più forti di quelle più veloci Austriache, valse con la semplice mi-naccia, unitamente ai sommergibili che in maggior numero si poterono dislocare ad Ancona ed a PortoCorsini, a tenere in rispetto il nemico, che pare abbia desistito dalle sue poco proficue scorrerie. Infine siprepararono ultimamente e già concorrono a difesa delle coste treni armati con cannoni, anche antiaerei,pronti a spostarsi secondo occorra, nei punti minacciati.

Prima dell’apertura delle ostilità, e nel decorso di esse, si fecero varie volte presenti - data la probabilelunga durata della guerra- le necessità di risparmiare quanto più possibile il delicato naviglio sottile, ri-ducendone l’impiego nei servizi aventi carattere di continuità, per paterne disporre intensiva mentequando occorresse; di non esporre assolutamente la Flotta a perdite non compensate da prevedibili van-taggi, ovvero da perdite superiori, o almeno equivalenti, del nemico; e infine, di piegarsi al carattere in-sidioso della guerra attuale, evitando di esporsi vanamente, e aspettando con pazienza le occasioni dinuocere al nemico.

Tali criteri, coi quali non si volle infirmare il principio sancito dalla libertà del Comando, quando se-guiti, potevano risparmiare alla nostra Flotta alcune disavventure: ma poiché queste trovano riscontroanche in altre Marine belligeranti, se ne può forse ricercare la ragione nell’esasperante forma assuntadalla lotta marittima, cui l’uomo di mare e di guerra stenta ad assuefarsi.

* * *

Il concorso navale alle operazioni terrestri era stato richiesto sotto due forme: di azione con il batteredal mare le posizioni del nemico contro cui avesse urtato l’ala destra dell’Esercito; di protezione impe-dendo alle forze navali nemiche di offendere le nostre truppe operanti presso la costa e permettendoloro in una successiva fase con obbiettivo Trieste di valersi della strada litoranea.

Sul concorso di azione si fecero, assai prima che la nostra guerra fosse decisa, le più esplicite riserve,sia perché le nostre navi obbligate a spostarsi in acque cosparse di mine ed infestate di sommergibili sa-rebbero state esposte a pericoli gravissimi non compensati dalla probabilità di riuscita nello intento of-fensivo, sia perché le peculiari caratteristiche del tiro navale radente non rispondevano all’impiego dellebocche da fuoco di bordo contro opere o bersagli nascosti alla vista o malamente identificabili.

Si ritenne più efficace e si fornì più sicuro concorso di azione provvedendo il fronte terrestre e par-ticolarmente l’ala sua destra costiera di numerose bocche da fuoco (oltre 200 di vari calibri) tratte dallariserva, da Piazze marittime, da navi di valore militare secondario, armate in parte da personale della R.Marina. Le artiglierie di cui fu munito il litorale conquistato, le mine opportunamente affondate nelle

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Appendice documentaria

Giugno 2017

acque fronteggianti la nostra avanzata, i sommergibili e le torpediniere pronte ad intervenire hanno pie-namente fino ad ora soddisfatto il compito di protezione, non mai essendo state le nostre truppe offesedal mare.

Mentre per tal modo la Marina assolveva nell’alto Adriatico la sua missione nei riguardi della econo-mia generale della guerra, nel basso Adriatico bloccando strettamente il Canale d’Otranto, adempiva altrafunzione gravemente nociva al nemico.

Ad altri compiti secondari, ma pure importanti, fece fronte la Marina concorrendo efficacemente al ri-piegamento dei nostri presidi nella Tripolitania, assicurando il trasporto di migliaia di soldati, di cavalli edi molto materiale dalle isole al continente, il rimpatrio dalle Americhe e dall’oriente di decine di migliaiadi richiamati, senza che il minimo incidente turbasse sì complicato e largo servizio; non ultima ragione ditanta fortuna fu l’intensiva vigilanza contro i sommergibili, sulle loro basi e sui loro mezzi di rifornimento.

* * *

Premesse queste considerazioni d’ordine generale, esporrò con la maggiore concisione permessadalla mole e dall’importanza del lavoro compiuto dall’Ufficio, i criteri e i provvedimenti coi quali ho attesoprima e durante il divampare della Grande Guerra, alla preparazione bellica della Marina nei riguardi deiprincipali elementi che ne costituiscono l’efficienza; riferendomi in particolar modo all’organizzazione eall’impiego delle Forze Navali, alla preparazione strategica’ della campagna in Adriatico e alla sua con-dotta fino ai primi di Ottobre 1915.

6 ottobre 1915 IL VICE AMMIRAGLIO(P. Thaon di Revel)

Documento n. 5

PROMEMORIA DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINAAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO IN OCCASIONE DELLA PROCLAMAZIONE

DELLA NEUTRALITÀ ITALIANA (l AGOSTO 1914)(ACS, carte Salandra, b. 2, fase. 16)

Roma, l Agosto 1914

Eccellenza!Le Forze Navali dei vari Stati di Europa, presenti in questo momento in Mediterraneo, sono quelle

prospettate nello specchio che mi onoro di allegare alla presente. Dallo esame di esso la E.V. rileverà che nella ipotesi di conflitto marittimo in Mediterraneo tra: Ita-

lia-Austria-Germania da un lato e: Francia-Inghilterra dall’altro; la sproporzione delle forze, a svantaggiodella Triplice Alleanza, è presso a poco del 14% e salirà al 26% colla probabile entrata in servizio, nelprossimo mese, delle due nuove corazzate francesi tipo Courbet.

Questa situazione viene ad essere sempre più peggiorata se si considera che le forze della TripliceAlleanza, rispetto a quelle anglo-francesi, hanno lo svantaggio di essere divise e senza unità di comandoe se, com’è doveroso, devesi tener conto anche dell’eventuale concorso che,rc:ssono portare in Mediter-raneo, alla Triplice Intesa, le Forze Navali russe del Mar Nero e quelle del Regno di Grecia. Il conflitto av-verrebbe in condizioni di equipollenza se la triplice Alleanza dovesse misurarsi soltanto contro la Francia;ma se l’Inghilterra interviene le probabilità di vittoria della nostra Triplice sono davvero scarse tenutoconto che alla predetta inferiorità si aggiunge; per l’Italia, una lunga distesa di coste aperte ed una doviziadi basi navali, nessuna delle quali è per sé stessa capace di resistere a lungo senza la necessità d’interventodella Flotta, la quale pertanto resterebbe paralizzata nella sua libertà di mosse. Essa dovrebbe infatti ac-correre per distoglier e il nemico dall’attacco.

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Né la disponibilità di sommergibili è tale da garantire la difesa delle nostre principali piazze fortimarittime e città costiere.

Indipendentemente dal parallelo or ora fatto sulle potenzialità effettive delle Forze antagoniste edammettendo la necessità di conflitto armato marittimo, nel quale certamente, la R. Marina farebbe tuttoed intero il proprio dovere, esso, pei suoi riflessi sul Paese, và esaminato sotto due punti di vista:

1°): Dal punto di vista della politica interna:È indubitato che con Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Palermo, Ancona completamente esposte

alle offese marittime che certo non mancherebbero e sarebbero gravi, la popolazione invocherebbe l’in-tervento della Flotta or quà or là, aumentando la già grande difficoltà di far fronte al suo compito. Né vipotrebbe essere il vantaggio della reciprocità perché il litorale Mediterraneo francese è assai ristretto epraticamente non offrirebbe che Nizza quale preda. In queste condizioni le probabilità favorevoli sonotroppo scarse a petto alle avverse perché sia augurabile una tale lotta: la convenienza di evitarla s’im-pone!

2°) Dal punto di vista militare marittimo:Pur ottenendo la nostra Flotta la completa indipendenza nei riguardi della politica interna per l’adem-

pimento del suo difficile compito strategico-tattico, la lotta che si prospetta non dà affidamento di potersicuramente conquistare quel dominio del mare necessario alla protezione del litorale nazionale controle offese del nemico.

Mi onoro infine di far presente alla E.V. che in caso di lotta contro Francia ed Inghilterra non è pos-sibile garantire i necessari contatti colle nostre colonie poiché tutte le vie ad esse adducenti sono sottoil controllo inglese.

THAON DI REVELVice Ammiraglio

Capo di Stato Maggiore della Marina

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Appendice documentaria

Giugno 2017

Documento n. 6

PRO-MEMORIA SUL COMANDO NAVALE SUPREMO IN ADRIATICO REDATTO DAL CAPO DI STATO MAGGIORE THAON DI REVEL (1917)

(ACS, Carte Salandra, busta l, fase. 14)

UFFICIO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINAPro-Memoria

COMANDO NAVALE SUPREMO IN ADRIATICO

L’art. 3 del Memorandum italiano firmato a Londra il 25 Aprile 1915 dice «Le Flotte della Francia edella Gran Brettagna daranno il loro concorso attivo e permanente all’Italia fino alla distruzione dellaFlotta Austro Ungarica o fino alla conclusione della pace».

A questo proposito sarà immediatamente conclusa una Convenzione Navale fra la Francia, la GranBretagna e l’Italia.

Tra i rappresentanti dei tre Ammiragliati interessati è stata stipulata la seguente Convenzione Navalea Parigi il 15 maggio 1915.

Art. 1°

Le Flotte Alleate coopereranno insieme col più grande accordo.

Art. 2°

Verrà costituita, al Comando del Comandante in Capo dell’Armata Navale italiana, una Prima FlottaAlleata composta, indipendentemente dalle unità italiane:...

Art. 3°

Il Comandante in capo dell’Armata Navale italiana avrà l’iniziativa e la direzione completa delle ope-razioni che saranno svolte nell’Adriatico dalla Flotta Alleata indicata all’Art. 2.

Art. 4°

In vista delle eventualità che imporrebbero alla Flotta Alleata indicata all’art. 2 di portarsi nel nord del-l’Adriatico, o per ogni importante operazione nell’Adriatico che richiedesse l’intervento dell’insieme delleForze Alleate, verrà costituita una Seconda Flotta Alleata composta delle navi da battaglia francesi, delle navida battaglia italiane o inglesi delle quali non avesse disposto il Comandante in Capo dell’Armata italiana.

Questa seconda Flotta Alleata, accompagnata dalle sue navi di flottiglia e posta sotto il Comandodel Comandante in Capo dell’Armata Navale francese sarà pronta a rispondere all’appello del Comandantein Capo della Flotta italiana.

Art. 5°

(parla delle basi di queste Flotte).

Art. 6°

Finché vi saranno delle Forze navali del nemico nell’Adriatico, gli Alleati s’impegnano ad assicurareil loro concorso all’Armata Navale italiana, in maniera da mantenere, per quanto è possibile, la potenzanavale alleata nettamente superiore a quella del nemico.

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

* * *

Negli Art. 3 e 4 della predetta Convenzione Navale che contemplano le due Flotte Alleate operanti inAdriatico (delle quali la prima al Comando italiano e la seconda al Comando francese) viene tassativa-mente stabilito che: per ogni importante operazione nell’Adriatico che richieda l’intervento dello insiemedelle Forze navali alleate, la seconda Flotta alleata, accompagnata dalle sue navi di flottiglia e posta sottoil Comando del Comandante in Capo dell’Armata navale francese, sarà pronta a rispondere all’appellodel Comandante in Capo della Flotta italiana.

E poiché l’Art. 3 dà al Comandante in Capo italiano l’iniziativa e la direzione completa delle operazioniche saranno svolte nell’Adriatico dalla Flotta alleata indicata all’art. 2, quantunque nella Convenzione Na-vale non vi sia esplicito cenno sul Comando Supremo in caso di riunione delle due Flotte alleate, è logicoconcludere ch’esso spetti al Comandante in Capo italiano quale quello che presumibilmente è già in con-tatto col nemico, ha già studiata, predisposta od iniziata l’operazione, mentre il concorso della secondaSquadra alleata, in ogni caso, non può avere che carattere di rinforzo; l’opportunità d’intervento del qualenon può che essere stabilita dal Comandante in Capo italiano.

* * *

Malgrado l’evidenza delle precedenti illazioni il 7 gennaio 1917 venne presentata a S.E. Lacaze, dalnostro Addetto Navale a Parigi e per ordine di S.E. Corsi una Nota Verbale intesa a promuovere una piùsolenne e tassativa sanzione sulla importante questione del Comando Supremo in Adriatico.

In essa, dopo esaminate le argomentazioni in pro e contro si terminava colla seguente frase:Qualora poi dovesse compiersi azione che richiedesse l’intervento dell’intera Forza navale francese,

naturalmente sarebbero presi accordi preventivi fra i due Comandanti in Capo e la direzione supremadelle operazioni verrebbe assunta dal Comandante in Capo francese, qualunque fosse la zona delle opera-zioni stesse.

Non si comprende, in tale documento, questa spontanea liberalità in aperto contrasto.colle consegnedi. massima impartite al Comandante Grassi allorché venne inviato a Parigi come delegato alla stipula-zione della Convenzione Navale, se non riferendosi a quanto, in data posteriore, cioè 11 gennaio 1917,scrive l’Addetto Navale francese a Roma C. Amm. S. Pair, e cioè: «Che parlando con S.E. Corsi nel Giugno1916 circa l’eventuale entrata in Adriatico di naviglio sottile in caccia di sommergibili, S.E. Corsi ebbe adallargare la questione e, parlando di operazioni di più grande stile, gli aveva spontaneamente detto chese nel corso dell ‘esecuzione di un piano militare l’Ammiraglio Dartige fosse stato condotto ad entrare inAdriatico, il Duca degli Abruzzi si sarebbe posto ai suoi ordini.

Ciò sembra non avrebbe dovuto essere detto per non compromettere quanto già sanzionato dall’art.4 della Convenzione Navale, nel quale non v’ha luogo a fare distinzione fra operazioni di grande o piccolostile, essendo tesi fondamentale della Convenzione Navale la distruzione della Flotta Austroungarica.

Continuando, l’Addetto Navale francese afferma che il Comando resterebbe al Duca degli Abruzzi sequesti domandasse il concorso francese per una operazione in Adriatico, ma aggiunge che se La Squadraaustriaca sortisse ci si troverebbe di fronte ad una situazione ben differente. Non si tratterebbe più di unaoperazione di ordine secondario, ma dell’avvenimento più importante della guerra navale in Mediterraneo.In questo caso, aggiunge: È certo che la nostra Armata Navale, che attende da sì gran tempo questa occa-sione, non mancherebbe di correre verso il nemico comune e mi sembra ben improbabile che non soltantoil Ministro della Marina francese, ma anche il Governo francese accetti che il Comando navale francese alquale in tempi ordinari le Potenze alleate riconoscono la qualità di Comandante in Capo, la perda al mo-mento preciso di andare al fuoco.

* * *

La distinzione fra operazione di ordine secondario ed avvenimento più importante della guerra na-vale in Mediterraneo non sembra possa sussistere in quanto l’uscita della Squadra austriaca devesi rite-nere avvenimento capace di prodursi ogni giorno che passa e si rientra nell’orbita dell’Art. 3 dellaConvenzione Navale. D’altra parte, se da gran tempo la Flotta francese attende l’occasione per misurarsicolla Flotta austriaca, quella italiana è dal1866 che la spia e l’anela e per essa la battaglia navale in Adria-tico ha tale carattere nazionale e di debito d’onore che in nessun caso e per nessuna considerazione puòanche apparentemente ammettere di lasciare ad altra bandiera che non sia l’italiana la direzione dello

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Appendice documentaria

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scontro. La impossibilità, per la Marina italiana, di lasciare ad altri la direzione dello scontro decisivo inAdriatico contro la Flotta austriaca è non soltanto fondata su ragioni militari ma su altissime considera-zioni di poli tica interna; ragioni imprescindibili.

Le incerte argomentazioni dello Addetto Navale francese lasciano capire essere anch’egli di ciò inti-mamente convinto.

C’è, ad ogni modo, poca chiarezza nelle sue premesse, giacché per eludere la qualifica di rinforzoallo intervento francese parla di Armata francese che accorre senza pensare che a Corfù ha l’obbligo disoggiornare una sola parte della Flotta francese; che presentemente vi sono solo le prime due Squadrefrancesi comandate ognuna da un V. Amm. e che non v’è nessuna necessità che ne assuma il Comando ilComandante in Capo personalmente.

* * *

La nota verbale predetta venne esaminata dall’Ammiragliato francese il quale consegnò una NotaVerbale di risposta al nostro Addetto Navale a Parigi il 17 gennaio 1917. (Prima seduta della Conferenzadi Londra il23 gennaio 1917). In essa si sorvola sulle condizioni normali per considerare solo il caso dellaFlotta A.U. scesa a Cattaro dicendo che finché si trattiene al nord difficilmente potranno raggrupparsi lediverse forze alleate per poter tagliare il nemico dalle sue basi. Nel caso dunque di dislocazione a Cattaroe di uscita allargo della Flotta A.U. si può sperare di poter tagliare il nemico dalla sua base e combatterloed è a questo scopo che l’Armata Navale francese ha stabilita una base a Corfù da dove le Forze ch’essastaccherebbe potrebbero subito, appena dato l’allarme, correre incontro al nemico e combatterlo in unionealla Flotta italiana.

La Nota, continuando, osserva che siccome le Squadre francesi a Corfù si alternano per esercitazioni,così può essere una qualunque di esse che accorre. Bisogna quindi che il Comando della Forza Alleata chesarà composta dal raggruppamento delle unità itala alleate e della Squadra francese di rinforzo, sia assi-curato da accordi stabiliti precedentemente e perfettamente stabiliti.

È per questa ragione che l’Ammiraglio italiano ha posta la questione: Se la Squadra da battaglia au-striaca lascia le sue basi e si incontra colle Forze alleate, a quale degli Ammiragli Comandanti in Capodelle Squadre che partecipano all’azione sarà affidata la direzione suprema dell’azione?

L’Ammiragliato francese, nella sua Nota, fa subito una eccezione dicendo: essere indispensabile pre-cisare che la questione posta non può concernere il Comandante in Capo dello insieme delle Forze alleatein Mediterraneo. Questi fu oggetto d’una Convenzione fondamentale al principio stesso della guerra. Gliaccordi stabiliti il 6 agosto 1914 tra la Gran Bretagna e la Francia hanno fissato che nel Mediterraneo ladirezione generale delle operazioni apparterrà alla Francia.

Questa convenzione non può essere posta in discussione e ciò appare talmente certo che l’accordoanglo franco italiano del 10 maggio 1915, che ha regolate le relazioni delle tre Flotte alleate non ha nep-pure sollevata la questione.

In tutte le circostanze nelle quali il Comandante in Capo dell’Armata Navale francese è chiamato adintervenire personalmente è a lui che deve essere data la direzione delle operazioni.

Queste argomentazioni non reggono a nostro avviso sia perché l ‘Italia non ha firmato l’accordo francoinglese del6 agosto 1914, sia perché di esso non venne tenuto conto nello accordo anglo franco italiano del10 maggio 1915, sia infine perché appaiono in contraddizione collo spirito informatore dello Art. 3 dellaConvenzione Navale.

* * *

La Nota continua un po’ incerta negli argomenti ed in definitiva ammette che l’intervento del Coman-dante in Capo Francese sarà eccezionale e solo quando la Flotta italiana aumentata dei distaccamenti al-leati che le sono aggregati a titolo permanente, dovesse essere inoltre rinforzata da nuove unità dellaFlotta Alleata, com’è detto nell’accordo maggio 1915.

Aggiunge: Tuttavia, nel caso nel quale le operazioni della Flotta italo alleata si mantengano nel bassoAdriatico e richiedano lo intervento della Squadra francese presente a Corfù questa Squadra sarebbe inprincipio posta sotto gli ordini del Comandante in Capo italiano.

Quest’ultima argomentazione lasciava adito ad una soluzione conforme ai desideri italiani e su di essaavrebbe dovuto imperniarsi la discussione dell’argomento alla Conferenza di Londra.

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

* * *

Nella Conferenza di Londra Sir E. Carson porta in discussione la questione del controllo del Mediter-raneo (pag. 16) e l’Ammiraglio Jellicoe dice: Dobbiamo prima occuparci della questione del Comandodelle Flotte nel caso di uscita della Flotta austroungarica perché questa è una questione sollevata dagliitaliani. I-Io qui una carta venutami dal Ministro della Marina; ho chiesto a Sir H. Jackson di redarre unamemoria sulla questione del Mediterraneo ed egli menzionò in essa la questione del Comando. Non so sela questione è stata riso!ta favorevolmente (quella di azione tra Flotte). Secondo quanto ho capito il nostroAmmiraglio va sotto gli ordini francesi.

Il V. Amm. Oliver osserva: Questo nelle grandi operazioni.L’Amm. Jellicoe: Tutto è sotto il Comando in Capo francese fuori dell’Adriatico.A questo punto interviene l’Amm. Lacaze, Ministro della Marina francese, il quale dice:Sembrami, quale Ministro della Marina, che la questione del controllo è stata risolta e che non è neces-

sario cambiare la soluzione. È convenuto che in Mediterraneo, fuori dell’Adriatico, il supremo Comandospetta all’Ammiraglio francese mentre nell’Adriatico il Comando è italiano. Se la Flotta francese mandaSquadre nell’Adriatico ad aiutare la Flotta italiana in una azione allora, naturalmente, le navi mandatesaranno agli ordini del Comandante Supremo italiano.

Se supponiamo una azione, nella quale partecipi tutta la Flotta francese, allora è considerato che ilComando debba appartenere, in questa ipotesi, all’Ammiraglio francese, perché questa sarebbe una azionenella quale tutta la posizione del Mediterraneo sarebbe coinvolta, e senza dubbio l’azione sarebbe com-battuta fuori dell’Adriatico.

* * *

A questa dichiarazione del Ministro francese, l’Ammiraglio Corsi così rispose:Se parte della Flotta francese viene nell’Adriatico noi prendiamo il Comando, ma se viene in Adriatico

il Comandante in Capo francese e la maggior parte della Flotta, il Comandante in Capo francese è il Co-mandante.

* * *

RIASSUMENDO

dallo insieme di tutti questi documenti appare che la questione che a noi tanto interessa era rimasta im-pregiudicata fino a questa ultima dichiarazione impegnativa del nostro Ministro. Bastava associarsi, senzaaltro, alla dichiarazione di S.E. Lacaze perché si potesse sostenere che in ogni caso spetti a noi il ComandoSupremo in Adriatico. Questo dice infatti tale dichiarazione nella sua lettera e nel suo spirito.

SI RITIENE

quindi necessario ritornare sulla dichiarazione del nostro Ministro alla Conferenza di Londra perchévenga ben spiegato ed accordato che in ogni caso il Comando Supremo in Adriatico spetta all’Italiamentr’esso, fuori dell’Adriatico (in Mediterraneo), spetta alla Francia.

F.to P. Thaon di Revel

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Appendice documentaria

Giugno 2017

Documento n. 7

PRO MEMORIA SULLA POLITICA DELLE COSTRUZIONI NAVALI ITALIANE REDATTO DAL CAPO DISTATO MAGGIORE THAON Di REVEL (1917) (CTR, Documenti, vol. III)

UFFICIO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINAPro Memoria

Negli anni precedenti al 1913 era stato autorevolmente affermato che a compensare la preponderanzastrategica, logistica e difensiva della sponda Adriatica opposta alla nostra, dovesse l’efficienza della FlottaItaliana essere all’incirca doppia dell’Austriaca (Commissione Suprema per la Difesa dello Stato -1908).

Nel Luglio 1913, non essendo possibile di conseguire quanto sopra in un futuro più o meno prossimo,proposi di portare a 64 i cacciatorpediniere ed allo stesso numero i sommergibili. Il largo numero deiprimi ci avrebbe messi in soddisfacenti condizioni rispetto ai corrispondenti avversari Austriaci; coi se-condo avremmo potuto moltiplicare gli agguati di aggressione alle navi del nemico, neutralizzando par-zialmente l’enorme suo vantaggio derivante dalla facilità di spostamento per rotte interne all’ArcipelagoDalmata in forze da noi non controllabili.

Nelle proposte e nei provvedimenti per nuove costruzioni navali ho sempre avuto di guida due criterifondamentali:

1° - La nostra situazione marittima in relazione allo sviluppo delle altre Marine Mediterranee.2° - Il massimo rendimento bellico dei fondi disponibili.In relazione all’indirizzo generale di politica estera seguito fino all’Agosto 1914, chiesi allora navi

da battaglia, cacciatorpediniere di vario tonnellaggio, che, nei nostri limitati scacchieri, si riteneva potes-sero utilmente impiegarsi, specie i più grandi, anche per il servizio di esplorazione, e sommergibili, colcriterio fondamentale di ottenere che l’efficienza relativa della nostra Armata si mantenesse nella pro-porzione 0,6 ad l rispetto a quella Francese e di 4 a 3 rispetto a quella Austriaca.

Queste aliquote costituivano- a mio avviso, allora- il minimo indispensabile per mettere la Marina ingrado di sostenere abbastanza efficacemente la politica estera del tempo. È con questi criteri infatti chechiesi, come è detto più sopra che fossero impostati senza troppo ritardo 34 C.T. e 43 sommergibili aprescindere, s’intende, dalle costruzioni in corso o già deliberate.

Lo svolgersi degli eventi di guerra ed il progresso del naviglio silurante Austriaco mi consigliarono,per’altro, nel Novembre 1914 (Relazione a S.E. il Ministro della Marina n. III R.P.), di aumentare le varie ri-chieste fatte nel Luglio 1913, e nei riguardi dell’aumento del naviglio silurante domandai che la propor-zione fra noi e l’Austria fosse del «Triplo». Specificai che a noi incombeva la necessità di avere un numerodi siluranti ben superiore a quello Austriaco in Adriatico e poiché l’Austria, al Novembre 1914, aveva co-struito od in costruzione circa 50 siluranti modernissime, noi avremmo dovuto contare nella nostra Flottaleggiera oltre 100 unità, poiché, per allora, non si avevano esploratori in costruzione ed allo stesso navi-glio silurante doveva essere affidato anche il compito dell’esplorazione.

Domandai, in definitiva, che per il 1918 potessimo contare sopra 12 Squadriglie cacciatorpedinieregrossi e veloci, su 6 unità ciascuna, compresi i C.T. destinati all’esplorazione.

Pei sommergibili proposi di iniziare subito una serie di 24 sommergibili da circa 300 tonn., facendoseguire altre costruzioni per modo tale da avere nel1918 un totale di 64 sommergibili tra quelli di grandedislocamento e quelli costieri.

È noto che, malgrado queste previggenze, per attenuare la insufficienza del nostro naviglio sottileallo scoppio delle ostilità venne richiesto il concorso Franco-Inglese, concorso concesso in misura inferiorea quello richiesto e che via via si è andato assottigliando ed ora è ridotto assai modesto in confronto alleprime e successive promesse.

Allo scoppio delle ostilità la nostra Flotta, coll’ausilio dell’aliquota data dagli Alleati, rispondeva or-ganicamente e sufficientemente alle esigenze di guerra che era dato prevedere, malgrado non avesse rag-giunto l’intera efficienza da me desiderata, ma ora, per le perdite subite, pel logoramento, per il naturaleincremento della Marina avversaria la quale non ha subito soverchie perdite accontentandosi di lottamolto prudente, e per gli aumentati, non prima previsti, nostri compiti (Albania, Salonicco, Difesa trafficonel Tirreno) la nostra Marina dispone ora di mezzi inferiori al suo compito ed ho il dovere di farlo notoaffinché il R° Governo provveda più largamente di mano d’opera e di materiali l’Amministrazione dellaMarina affinché essa possa sollecitamente provvedere allo allestimento delle navi sottili e leggiere giàprogettate o di costruzione iniziata, ed al mantenimento in efficienza del naviglio in servizio.

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINARevel

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

TABELLE ALLEGATE AL DOCUMENTO N. 7

Roma, 21 Maggio 1917

UFFICIO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA

TABELLA DELLE SOMME APPROSSIMATIVAMENTE GIÀ SPESE OD IMPIEGATEPER LA COSTRUZIONE DEL NAVIGLIO DA BATTAGLIA COMPRESE LE UNITÀ PERDUTE

Navi di dislocamento superiore alle 5 000 tonnellate

4 Super dreadnoghts ..................................................................... 404.000.0006 Dreadnoghts................................................................................. 408.000.0004 Tipo «Vittorio Emanuele».......................................................... 156.000.0002 Tipo «Brin» ................................................................................... 80.000.0004 Tipo «Pisa» ................................................................................... 120.000.0002 Tipo «Filiberto» ........................................................................... 50.000.0003 Tipo «Varese» .............................................................................. 18.000.0002 Tipo «Carlo Alberto» .................................................................. 42.000.000

TOTALE 1.326.000.000

Esploratori - Cacciatorpediniere - Torpediniere

2 Tipo «Agordat»............................................................................ 8.000.0003 Tipo «Quarto».............................................................................. 31.000.0003 Tipo «Mirabello».......................................................................... 18.000.0004 Tipo «Aquila»............................................................................... 18.000.0003 Tipo «Poerio» ............................................................................... 12.000.0005 Tipo «Leone»................................................................................ 53.000.00020 Tipo «Bersagliere» « Lampo» «Nembo».................................. 30.000.00010 Tipo «Animoso» .......................................................................... 30.000.0008 Tipo «Abba» ................................................................................. 24.000.00010 Tipo « Sirtori» .............................................................................. 47.000.000l Tipo «Audace» ............................................................................. 4.000.0002 Tipo «Bertani».............................................................................. 9.500.0008 Tipo «Palestro»............................................................................ 40.000.00028 Torpediniere tipo «Airone» ..................................................... 23.000.00039 Torpediniere tipo «P.N.»............................................................ 20.000.00024 Torpediniere tipo «P.N.» miglior. ........................................... 14.000.00010 Torpediniere tipo «P.N.» nuove................................................ 10.000.000

TOTALE 391.500.000

CONFRONTO DEL NAVIGLIO DA BATTAGLIA DELL’ITALIA E DELL’AUSTRIA(Allegato alla Relazione diretta a S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri)

ITALIA

Navi da battaglia

Velocità Armamentol tipo DANTE 22 XII 305/46 - XX 120/502 » CAVOUR 22 XIII 305/46 - XVIII 120/502 » DUILIO 22 XIII 305/46 - XIV 152/454 » V. EMANUELE 20 II 305/40 - XII 203/45

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Appendice documentaria

Giugno 2017

Incrociatori corazzati

Velocità Armamento3 tipo PISA 21 IV 254/45 - VIII 190/452 » VARESE 19 I 254/45 - II 203/45 - x 152/40.

Esploratori

3 tipo QUARTO 28 VI 120/50l » MIRABELLO 34 VIII 102/352 » RACCHIA 34 I 152/40 - VII 102/352 » AQUILA 34 III 152/40 - IV 76/405 » POERIO 31 V 1025 » LEONE in allestimento2 » NIBBIO in allestimento

18

Cacciatorpediniere

17 tipo ANIMOSO 30 I 120 - VI 7620 » BERSAGLIERE 26 IV 767 » STOCCO in costruzione8 » PALESTRO in costruzione2 » BERTANI in costruzione

55

Torpediniere

28 tipo AIRONE (210 T.) 23 III 4739 » P.N. (ISO T.) 27 I 5724 » P.N. (migliorato) 27 II 766 » P.N. (miglior. costr.)2 » Orlando (costruz.)

98

AUSTRIA

Navi da battaglia

Velocità Armamento4 tipo VIRIBUS 21 XII 305/45 - XII 152/505 » RADETZKY 20 IV 305/45 - VIII 240/45 - XX102/50

Incrociatori corazzati3 tipo ERZHERZOGH 20 IV 240/40 - XII 190/423 » ARPAD 19 III 240/40 - XII 152/403 » MONARCH 17 IV 240/40 - VI 150/401 » SANKT GEORGE 22 II 240/40 - V 190/42 - IV 152/40.1 » KAISER KARL VI 20 II 240/40 - VIII 150/40E

Esploratori

2 tipo NOVARA 27 IX 102/501 (più 1 in allestimento)1 » SPAUN 26 VII 102/502 » ASPERN 20 VIII 120/403 tipo NOVARA in costruzione

9

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Cacciatorpediniere

1 tipo MAGNET 26 VI 47(6-2) 4 » TATRA 32 II 102/50 - VI 76.21 » HUTZAR 28 I 76 - VII 47.6 » TATRA in costruzione

21

Torpediniere

(27-1) 26-250 tonn. 28 III 7624 -200 tonn. 26 IV 4730 -95-100 tonn. 19-27 II 47

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Documento n. 8

PRO MEMORIA DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA THAON DI REVEL«Per poter continuare la guerra» (CTR, Documenti, vol. III)

Roma, Settembre 1917

RISERVATOCopia n. 18

PER POTER CONTINUARE LA GUERRA

Le varie offensive che, già in numero di 11, furono così brillantemente e strenuamente sferrate sul-l’Isonzo dal nostro valoroso Esercito, hanno per naturale conseguenza un consumo enorme di tutte quelleenergie che, sotto diverse forme, il Paese ha di volta in volta approntate nei periodi di preparazione alleoffensive stesse.

E poiché ogni nuova offensiva assume per necessità varie carattere più intenso, ne consegue che, divolta in volta è anche più intenso il consumo di metallo, di esplosivi, di armi, di materiali e di viveri d’ognigenere, per la maggior parte dei quali l’Italia è tributaria dell’Estero, se non nella confezione almeno nellematerie prime: principalissime tra queste i metalli, i combustibili e le granaglie.

A questo stato di cose fa riscontro, sul versante opposto della fronte terrestre, ossia sul campo dellalotta marittima, un continuo decrescere dei mezzi di rifornimento, ossia del tonnellaggio, in conseguenzadell’opera distruttrice dei sommergibili e delle mine del nemico; perché, al modo come ora sono regolatele cose, tutte le energie nazionali convergono a sostituire al più presto ciò che consumano le offensiveterrestri, e poco o nulla rimane disponibile per supplire a ciò che divorano le insidie subacquee del ne-mico. In altri termini, non v’é equilibrio o compensazione tra il bilancio di uscita e quello d’entrata; e poi-ché quello di uscita tende ad aumentare e quello di entrata tende a diminuire, non sembra prematura lapreoccupazione che, a non lunga scadenza, possano le offensive terrestri essere definitivamente paraliz-zate in seguito alla paralizzazione, o quanto meno alla insufficienza, dei rifornimenti dal mare.

Sembra dunque giunto il momento di analizzare se ed in quale forma possa pararsi alla minaccia dicui sopra: e il suggerimento che la logica detta a chiunque anche ignaro delle cose tecniche è quello diprevenire e combattere le cause per le quali producesi il deperimento graduale del tonnellaggio.

Quali sono queste cause?Sono i Sommergibili e le Mine: per eliminare queste cause bisogna dunque combattere a fondo e gli

uni e le altre: ciò equivale a dire che bisogna apprestare senza ulteriore indugio i mezzi occorrenti, conquella larghezza e con quella intensità che possano restituire l’equilibrio al sistema «fronte terrestre-rifornimenti dal mare». E pertanto urge ormai riconoscere che «Se finora ogni cura e ogni precedenza fu-rono consacrate alle necessità del fronte terrestre, occorre d’ora in poi consacrare quelle cure e quellaprecedenza alla tutela delle vie marittime, senza di che anche l’attività e l’efficienza combattiva del fronteterrestre dovranno tra breve fatalmente arrestarsi».

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Appendice documentaria

Giugno 2017

Sommergibili

Per combattere i Sommergibili abbiamo tre mezzi: sott’acqua, sopr’acqua, dall’aria:a) la lotta sott’acqua è lotta tra due ciechi: vano sarebbe confidare nell’abilità o nella fortuna dei

nostri Sommergibili in confronto di quelli nemici; la distruzione di un’unità nemica in tali condizioni èfrutto del caso, e pur richiedendo un dispendio enorme di energia e di tempo conduce sempre a risultatitroppo miseri perché su essi possa o debba farsi un positivo assegnamento. Tale forma di lotta, che l’espe-rienza ha ormai condannata, deve essere esclusa dal nostro computo.

b) La lotta sopra acqua è lotta impari, in cui tutti i vantaggi sono evidentemente per colui che è invi-sibile di fronte a colui che non può celarsi; essa richiede un numero grande di unità di superficie per ogniunità di profondità, e quando la fortuna favorisce l’avvistamento di un sommergibile, spesso l’offesa nonpuò essere portata a fondo prima che al sommergibile non sia possibile di tuffarsi e di sottrarsi all’attacco,dopo avere a sua volta attaccato.

Questa forma di lotta è senza dubbio efficace in mari ristretti, come il Canale di Otranto, lo strettodi Malta, il Golfo di Trieste: ma in vaste distese di mare come il Mediterraneo la sola ricerca del sommer-gibile è già impresa assurda e bisogna limitarsi a colpirlo quando esso volontariamente, o per imprudenzao per avaria, rivela la propria presenza. Questa forma di lotta, non può dunque, da sola, bastare allo scopodi distruggere i sommergibili del nemico, la cui produzione mensile in fatto di nuove unità è certamentesuperiore alla distruzione che gli alleati infliggono nei vari mari.

c) La lotta dall’aria è quella che presenta, con un minimo di consumo, il massimo rendimento; con-sumo minimo di materiale e di personale, consumo minimo di tempo per la grande velocità di cui i velivolisono dotati. E poiché il sommergibile, qualunque esso sia, deve pur far ritorno alle sue basi, senza lequali non può vivere a lungo, è nelle basi nemiche che bisogna colpirlo, troncando per esso le sorgenti dienergia e di potenza. Occorrono attacchi continui senza tregua, in qualsiasi tempo nei nostri mari, sullebasi di Cattaro e di Pala ed altrove se sarà necessario, con numerosi velivoli da bombardamento capacidi portare forti quantità d’esplosivo.

È dunque nell’aviazione che si riscontra uno dei mezzi più efficaci per la distruzione dei sommergibili,ossia per la difesa del tonnellaggio: è dunque all’aviazione che urge rivolgere le più assidue ed intense cure.

Poco importa che i mezzi aerei da approntarsi siano assegnati più all’Esercito o più alla Marina: ciòche importa è che tutti i mezzi aerei, a chiunque appartengano, siano concentrati e sfruttati per attaccarea fondo, in modo continuativo, le basi navali del nemico.

Mine

Per combattere le mine non abbiamo che un solo mezzo; spazzarle rastrellando le acque: e appenascoperte e portate alla superficie, affondarle.

Da quando il nostro traffico marittimo si appoggiò alla costa sotto la protezione delle batterie, dellepiccole unità di pattuglie e delle stazioni di vedetta, un grande vantaggio si ebbe nella protezione deltonnellaggio. Ma ora il nemico ha a poco a poco scoperto la nostra nuova tattica, la quale ha per caratte-ristica e anche per necessità di far navigare i piroscafi in acque basse, sia per poter facilmente salvare ilcarico e la nave e la gente in caso di sinistro, sia per rendere difficile al sommergibile di avvicinarsi allapreda. Di questa circostanza il sommergibile ha saputo trarre profitto in quanto i bassi fondali sonoanche quelli che favoriscono l’impiego delle mine. La mina viene dunque gradatamente sostituendosi alsiluro, e il nemico ama seminarle preventivamente sulle rotte costiere da noi seguite, sicché negli ultimitempi sono più numerose le perdite per mina che quelle per siluro.

Bisogna spazzare queste mine, ossia occorre apprestare d’urgenza il numero necessario di unità dra-ganti. Costruirle, comprarle, requisire e trasformare quanto all’uopo già esiste e può servire, ecco un’altranecessità che bisogna affrontare con risolutezza senza ulteriore ritardo.

Concludendo

La sola via per assicurare la continuità delle offensive terrestri è quella di assicurare i rifornimentidal mare. Tali rifornimenti non possono essere assicurati se alla Nazione non saranno assicurati con pre-cedenza assoluta i mezzi indispensabili per assolvere il grave compito: e quei mezzi si compendiano oggiessenzialmente in due categorie di unità, sul cui urgente approntamento io non saprei abbastanza insi-stere con tutti i modi in mio potere: «Velivoli da bombardamento e dragamine».

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA(P. Thaon di Revel)

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Documento n. 9

LETTERA DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA THAON DI REVEL AL 1° LORD DELL’AMMIRAGLIATO INGLESE R.H. ERIC GEDDES

SUL COMANDO SUPREMO NAVALE IN ADRIATICO(CTR, Documenti, vol. IV)

Roma, li 2 aprile 1918

Signor MinistroRingrazio sentitamente per la Sua lettera del18 marzo 1918 alla quale pregiomi dare riscontro.Considerazioni d’ordine militare, di politica interna italiana e le Convenzioni esistenti affidano alla

Marina Italiana l’onore e l’onere della guerra adriatica ed impongono che la direzione delle operazioni edil Comando siano Italiani, così come, ovviamente, direzione e Comando nel Mare del Nord sono e debbonoessere Inglesi.

La Marina Italiana, nel suo duello col tradizionale avversario, ha un debito di onore imprescindibileverso se stessa e verso la Nazione la quale non tollererebbe una ingiustificata abdicazione; essa si è assuntae mantiene la responsabilità di questo particolare fronte della guerra navale in nome d’Italia e degli Alleati;pone a disposizione di questi la sua incontestabile maggior conoscenza, pratica ed esperienza dei luoghi,ed ha sempre accolto, com’è pronta ognora ad accogliere con grato animo ed a dare il benvenuto ad ognirinforzo e concorso che le venga dato dagli Alleati. Come furono le benvenute le Navi Franco-Inglesi agliordini del Comandante in Capo Italiano in Adriatico, così lo saranno tutte quelle unità degli Stati Unitid’America che piacesse al Consiglio Navale Alleato di dislocare in tale mare.

Non solamente ciò non ostacola progetti offensivi contro le coste Austro-Ungariche, ma farà approfit-tare alle Forze navali degli Stati Uniti d’America, a vantaggio di tutti gli Alleati, della indiscutibile maggiorconoscenza ed esperienza che noi abbiamo di questo particolare teatro della guerra.

La questione non ammette il menomo dubbio e perciò io considero ormai l’argomento del Comandoin Capo in Adriatico come tassativamente definitivo.

Esso è e deve rimanere Italiano come è stabilito dalle esistenti Convenzioni, e prego pertanto Lei dicompiacersi considerare la questione esaurita evitando ulteriori discussioni alle quali, con mio dispiacere,non potrei partecipare.

Gradisca, Signor Ministro, i sensi della mia particolare considerazione.Devotissimo

f.to Revel

Documento n. 10

DISCORSO PRONUNCIATO IN SENATO DALL’AMM. REVEL IN OCCASIONE DELLA RATIFICA DEL TRATTATO DI RAPALLO

(Atti Parlamentari, Senato del Regno, leg. XXV, l a sessione 1919-1920,Discussioni, tornata del 15 dicembre 1920)

Onorevoli Colleghi,Poiché la precisa cognizione della realtà è preziosa guida di condotta nell’avvenire, consentite che

succintamente vi esponga la veritiera situazione dell’Adriatico quale essa risulterà in seguito all’applica-zione del trattato di Rapallo.

Mercè l’annessione dell’Istria, di Cherso e di Lussino noi avremo il completo dominio del Golfo diVenezia con influenza decrescente verso il Sud.

Nel medio Adriatico la nostra sicurezza sarà scarsa e nell’Adriatico inferiore saremo in condizioni

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Appendice documentaria

Giugno 2017

peggiori che non durante l’ultima guerra. Difatti per il nuovo possesso della costa albanese al Nord diCapo Stylos da parte della Grecia risultando essa padrona delle due sponde del Canale settentrionale diCorfù, questa rada, con le sue sentinelle avanzate di Merlera e Fano, dominerà strategicamente il Canaledi Otranto; l’isolotto di Saseno, se munito di artiglierie di grandi portate, sistemate in caverne, e se accu-ratamente e con amore preparato per lunga autonomia e resistenza, potrà farle contrastare ad altri ilpossesso della rada di Valona, ma non potrà assicurarne l’uso a noi; infine Lagosta, per quanto ben munitaed agguerrita, non ci compenserà del maggior valore di Cattaro, non più attaccabile dal dominante MonteLowcen, il quale sarà invece elemento formidabile della sua difesa.

L’avvenire dirà se l’integrale indipendenza dell’Albania, del manomesso ed infelice Montenegro edella Dalmazia, (posto che l’annessione non ne fosse stata possibile) se in sostanza un maggiore frazio-namento politico della opposta sponda non ci avrebbe giovato; l’avvenire dirà pure se l’amicizia del nuovoStato Serbo-Croato-Sloveno valeva il sacrificio della Dalmazia e del suo arcipelago; se infine gli oneri chesarebbero derivati dal possesso della Dalmazia non sarebbero stati giustificati dalla nostra maggiore si-curezza in Adriatico e compensati dal risparmio di forze navali che in quel mare ne sarebbe seguito, conmaggiore disponibilità di esse negli altri mari nazionali, ovvero con corrispondente economia di spesenavali.

Ben sanno i combattenti dell’Adriatico quanto la loro guerra sia stata durissima per il mancato pos-sesso dell’arcipelago dalmato e come, mercè la sua protezione, il nemico, nonostante le nostre incursioniaeree e gli agguati ed appostamenti di siluranti, di M.A.S. e di sommergibili, tenuti non per giorni e setti-mane, ma continuati per mesi ed anni, abbia potuto svolgere quasi ininterrottamente il suo traffico lito-raneo tra Fiume e Cattaro! Se taluni agguati furono fortunatissimi, quanti silenziosi eroismi non ebberoinvece altra ricompensa se non il sentimento del dovere intieramente adempiuto!

Siffattamente grande era l’oppressione strategica dell’arcipelago dalmato, che già prima delle ostilitàe replicatamente durante esse, anche in Consessi Interalleati, ne erano state progettate delle occupazioni;ma più che le difficoltà di raccogliere uomini e navi, dissuase dall’impresa la circostanza che i trasportimarittimi avrebbero dovuto muovere da Ancona e traversando l’Adriatico sarebbero stati esposti a peri-coli gravissimi, particolarmente subacquei: nulli o quasi nulli sarebbero invece stati tali pericoli se noiavessimo posseduti i canali dalmati, ed i trasporti partendo dal Quarnero ne avessero potuto seguire lesicurissime rotte interne.

Taluni di Voi, On. Colleghi, forse penserà che la nostra inferiorità strategica in Adriatico potrà in av-venire essere attenuata da una più larga applicazione di recenti o di futuri mezzi di guerra; forse qualcunoanche penserà che le grandi navi da battaglia, sono destinate a scomparire e che esse non più si affacce-ranno in Adriatico. Or bene consentite che colui il quale fin dal1913 non fu favorevole alla costruzionedi grossissime navi da battaglia di oltre 30 mila tonnellate per l’Italia e quindi non può essere sospettatodi infatuazione per tale tipo di unità di combattimento, vi dichiari, ora, che l’era delle grandi navi da bat-taglia è finita solamente pe gli Stati che come l’Italia eli oggi, non hanno i mezzi finanziari per costruirle.E se la Francia con un bilancio militare navale di ben 905 milioni di franchi di fronte al nostro di 406 mi-lioni di lire, segue per ora, nei riguardi delle grandi costruzioni navali, criteri analoghi ai nostri, assai di-versamente pensano ed operano la Gran Bretagna, gli Stati Uniti del Nord America ed il Giappone. Non èguarì l’ammiragliato inglese si dichiarava recisamente contrario alla opinione che le grandi navi dovesseroconsiderarsi tramontate, e che i sommergibili ed i velivoli dovessero essere i nuovi prototipi delle futureunità da battaglia; l’Ammiragliato ribadiva ancora che era da escludersi che i velivoli avessero condannatele grandi navi a scomparire. Gli Stati Uniti, apostoli del disarmo universale, con un bilancio navale di 425milioni di dollari, pari a circa 2 miliardi e 200 milioni di franchi oro, hanno in costruzione od hanno au-torizzata la costruzione di ben 15 grandissime navi di dislocamenti oscillanti fra 32 e 45 mila tonnellate.La fiducia del Naval Generai Board degli Stati Uniti nelle grandissime navi non è stata per nulla scossadai progressi dell’aviazione, dei siluri e delle torpedini. Secondo i tecnici americani nessuno degli espe-rimenti eseguiti finora con apparecchi aerei e nessuno degli ammaestramenti della guerra giustificanol’abbandono delle grandissime navi, le quali continueranno ad essere il back-bone ossia la spina dorsaledella marina americana. Infine il Giappone con un bilancio navale di 470 milioni di yen (pari a circa unmiliardo e 200 milioni di franchi oro) ha in costruzione cinque grandissime navi od incrociatori da bat-taglia.

Da quanto On. Colleghi ho avuto l’onore di esporvi risulta dunque che le grandissime navi non sonoancora dappertutto defunte e la loro costruzione non è ovunque abbandonata.

Forse Voi mi obbietterete che avendo la nostra marina potuto vincere senza servirsi di grandi navi,se, nell’avvenire, quelle nemiche osassero affrontarci in Adriatico, noi le silureremmo come in passato.

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

A tal riguardo occorre Vi avverta che le nuove grandi navi avranno protezione subacquea sicura, che adesempio le americane «TENNESEE» e «MARYLAND » avranno ben cinque doppi fondi, e che nella lotta fracarene e siluri la vittoria è tuttora molto incerta; onde le fortune del siluro potrebbero in avvenire diven-tare più rare -. Né risponderebbe alla verità storica il credere che le nostre Dreadnought rimaste semprepronte all’azione nel mare di Taranto, perché nell’Adriatico noi non avevamo basi adatte per esse, nonabbiano influito sul vittorioso esito della guerra Adriatica-. Se prevalentemente preferimmo adoperarepiccoli mezzi per conseguire grandi risultati, ben altrimenti operammo allorché i piccoli mezzi apparveroinadeguati a speciali obbiettivi; né quando i pericoli erano giustificati dagli scopi, indugiammo a portarein pieno meriggio navi maggiori dinanzi a Durazzo, in acque cosparse di mine ed infestate di sommergi-bili, mentre una nostra Dreadnought si teneva allargo di Cattaro pronta a gettarsi sul nemico che fosseuscito in soccorso della base da noi bombardata.

Oltre le navi maggiori le marine continueranno ad avere incrociatori, cacciatorpediniere e sommer-gibili, i quali ultimi non ancora sono stati svalorizzati dagli idrofoni, dalle torpedini da rimorchio e dallebombe da getto.

E nei riguardi degli apparecchi aerei, quali ne saranno le gesta? Aeroplani, idroplani, conquisterannoil dominio dell ‘aria, e dall’aria rovesceranno sulla terra tonnellate di esplosivi e deporranno legioni diarmati? Tutto è possibile; ma agli aeroplani siluranti, torpedinatori, bombardieri od apportatori di areo-nauti nemici pur si opporranno gli aeroplani cacciatori, il tiro antiaereo ed i presidi terrestri.

Accettando senza alcuna prevenzione qualunque futurismo, anche il più spinto, vorremo noi armarele coste con cannoni di gittate fantastiche? Di 200 km di portata? Sia pure, ma nessuna artiglieria, nessunimpiego di nuovi mezzi bellici potrà consentire un’efficace ritorcimento delle facili offese cui è espostala nostra costiera aperta, ricca di abitanti, di industrie con le ferrovie litoranee per lunghi tratti lambitedal mare e facilissimamente interrompibili, tre volte più densa di popolazione che non la costiera opposta,quando si ponga mente che questa ultima costiera è invece coperta da vicino ed a distanza da fitti sbar-ramenti di isole e di scogli, ha numerosi ottimi ancoraggi, pochi centri abitati, poche industrie e non haferrovie litoranee.

Mentre l’insorvegliabile nemico sia esso marittimo od aereo, potrà sferrare le sue offese dalla fron-tiera insulare e raggiungere inavvertito la nostra costa; le nostre controffensive dovendo invece partiredal continente e dovendo traversare o sorpassare gli sbarramenti insulari, saranno segnalate prima di ar-rivare all’opposta sponda continentale, ove giungendo troveranno già pronta la difesa ed i nostri velivolida bombardamento saranno ricevuti da quelli da caccia nemici, già in quota pronti ad abbatterli.

Nessuna arma dell’avvenire avrà la virtù di cambiare la geografia e l’idrografia dell’Adriatico, il qualerimarrà pur sempre un corridoio, la cui sponda Orientale dominerà l’Occidentale. Nell’Adriatico o si do-mina o si è dominati.

Potrà l’amicizia Serbo-Croata-Slovena migliorare i nostri confini marittimi? Per oltre trent’anni fummoalleati dell’Austria Ungheria e ciononostante i nostri confini Orientali del maggio 1915 non erano affattomigliori di quelli del 1866.

Possa il trattato di Rapallo apportare tutti gli effetti dai suoi negoziatori sperati! Stabilite finalmentefrontiere di pace con il vicino d’Oriente, ne abbia l’Italia schietta amicizia, e fecondi, cordiali scambi si at-tivino con esso; non sorgano mai più ragioni di dissidi; le guerre siano in eterno spente! Questo l’augurio!Ma... non son molti anni si affermava finita l’era delle guerre, quando improvvisa se ne scatenò una qualenon mai prima la eguale; e, nostro malgrado, per salvarci, dovemmo parteciparvi. Il passato ci ammaestriper il futuro.

Sappiano gli Italiani che nonostante il nostro completo dominio del Golfo di Venezia ed il nostropossesso di Pala e di Lussino, l’effettivo controllo del rimanente dell’Adriatico sarà delle forze navali chepotranno appoggiarsi alla Dalmazia, al suo arcipelago ed a Cattaro. Non mai dimentichino i governantid’Italia, che se in deprecata guerra tali forze navali apparterranno a Potenza Mediterranea, non solamenteil vettovagliamento ci sarà contrastato nel Tirreno ed impedito dall’Adriatico, ma non essendo in questocaso l’Adriatico unico o principale teatro di guerra, noi dovremo tanto più rinunciare a concentrare lenostre forze marittime contro le avversarie sul teatro principale della lotta, quanto meno la nostra costieraAdriatica sarà stata in tempo opportuno munita di apprestamenti difensivi e di ancoraggi nauticamentesicurissimi; i quali se indispensabili in guerra per assicurare l’efficienza del naviglio ed il tempestivo suoimpiego strategico, saranno in pace utilissimi politicamente, economicamente e commercialmente.

La Marina Italiana, On. Colleghi, ha dato nell’ultima guerra luminose prove di comprendere che i pro-blemi navali vanno sempre considerati dal triplice punto di vista: politico, militare-territoriale, e militare-marittimo. La nostra Marina ha dimostrato di saper moltiplicare ed adattare le sue attività alle più svariate

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congiunture, di sapere dare valido aiuto ed assistenza anche al di là delle proprie competenze, di saperproteggere le vie del mare ed assicurare i rifornimenti necessari ai fronti di guerra ed alla Nazione, mapoiché rinnovandosi malaugurate eventualità belliche, molto ardui, complessi e gravi di incognite sarannoancora i suoi compiti, essa più che mai avrà bisogno della Vostra autorevole efficace vigilante sollecitudineaffinché sia mantenuta nella indispensabile efficienza di mezzi, di uomini e, particolarmente, di animi.

Dimostratovi, On. Colleghi, che il trattato di Rapallo non risolve italianamente il particolare problemastrategico dell’Adriatico e non semplifica il problema generale navale degli altri mari italiani, consentiteche vi manifesti la grande mia tristezza per il deliberato abbandono del più caro e più lungamente sospi-rato trofeo di guerra, nel cui pensiero i combattenti del mare per 41 mesi, silenziosamente, ma pertina-cemente, lottarono fino al completo disfacimento dell’avversario.

L’animo mio non sa darsi pace dell’abbassamento della bandiera che non potuta alzare nel Luglio1866, perché allora la sorte delle armi ci era stata avversa, noi issammo nel Novembre 1918, perché vin-citori.

Di tutte le rinuncie quella di Lissa è la più penosa ed essa sarà certamente amaramente sentita daigloriosi nostri Colleghi superstiti di quella giornata: da Paolo ORENGO allora Comandante dell’«Esplora-tore»; da Napoleone CANEVARO Capo di Stato Maggiore Augusto di Riboty sul «Re di Portogallo»; da En-rico GUALTERIO naufrago del «Re d’Italia»; da Leone REYNAUDI Sottotenente di Vascello sull’«Ancona».

Ad essi volgo un affettuoso saluto di gratitudine, perché anche nel ricordo del loro cinquantennedolore, Lissa fu vendicata.

Altro saluto di gratitudine vada ai baldi marinai alla cui perseverante paziente abnegazione, ai cuimeditati temerari ardimenti l’Italia è particolarmente debitrice della Sua Vittoria sul mare.

Le marziali virtù dei marinai della Vittoria sopravvivano nei marinai della Pace, ma sovratutto siasempre incrollabile negli animi loro la fedeltà alla disciplina ed al dovere; ed allora anche di essi si potràdire: «ben meritarono della Patria».

Documento n. 11

DISCORSO DEL MINISTRO DELLA MARINA THAON DI REVEL AL SENATO DEL REGNO PRONUNCIATO IL 20 DICEMBRE 1924: «LA FUNZIONE DELLA MARINA MILITARE

NELL’ECONOMIA DI GUERRA E DI PACE DELL’ITALIA»(Atti Parlamentari, Senato, Leg. XXVII, 7 a sessione 1924)

La marina da guerra fu un tempo paragonata, con felice similitudine, alla spada di una nazione, men-tre l’esercito ne rappresenterebbe lo scudo. La similitudine possiede ancora un certo colore di attualità;la marina opera lontano, è l’arma mobile maneggevole; l’esercito opera sul territorio e costituisce la difesasalda, pesante, a contatto con il corpo. Forse è questo il motivo per cui non appena la Nazione si leva inarmi gli occhi degli Italiani si volgono prevalentemente verso le Alpi, a seguire la lotta terrestre, cioèquella che si vive da vicino; e pochi, anzi pochissimi, guardano verso il mare ove non si ode fragore di ar-mati, non si scorge segno di lotta, la quale si svolge silenziosa, al di là dei limiti dell’orizzonte, sotto lasuperficie delle acque e nella vastità del cielo.

Vi è però anche una ragione, di natura psicologica collettiva che conduce, noi italiani, a questo uni-laterale apprezzamento sulle situazioni di guerra. Le nostre tradizioni storiche, che hanno scavato i solchiprofondi della coscienza nazionale, secondo le tracce impressionanti che le determinarono, ci presentanole invasioni dalle Alpi come le più terribili; e difatti esse furono quelle che, nel corso dei secoli, causaronoi maggiori danni alle nostre popolazioni, alle terre ed agli ordinamenti politici. Le vie del mare, per controvennero considerate, fin dai tempi delle repubbliche marinare come apportatrici di beni e di ricchezze, ese pur qualche danno da esse noi ricevemmo, questi rimasero sempre limitati a poche regioni litoraneee per un periodo di tempo non duraturo.

Oggi nessuna nuova dura esperienza ha avuto campo di mutare questo ordine di idee; e benché inrealtà un pericolo immane si sia recentemente palesato dal mare, pochi ne hanno avuto la visione esattae profonda, e quei pochi sono forse soltanto coloro che hanno vissuto a contatto con la marina l’ultimagrande guerra. I cittadini che hanno continuato a trovare il mercato, quantunque parcamente, sempre ri-

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Supplemento alla Rivista Marittima

fornito, i soldati che hanno visto sempre ripristinate le munizioni dei loro cannoni e dei loro fucili, gliaviatori che hanno sempre avuto la benzina per colmare il serbatoio degli apparecchi, gli operai che hannocontinuato ad alimentare i forni delle caldaie, non volsero mai il pensiero a considerare quali pericoli,quali insidie, quali sforzi sovrumani dovettero essere sormontati e posti in atto per proteggere il viaggioper mare alle materie, deficienti in patria, che ci provenivano dai lontani paesi di produzione; e qualiansie sopravvennero quando l’azione senza quartiere dei sommergibili decimava gli arrivi delle navi. Giac-ché occorre ricordare che quattro quinti dei materiali e delle vettovaglie occorrenti all’Italia, oltre le pro-prie produzioni, ci provengono dal mare.

Oggigiorno la guerra sul mare rappresenta sempre, come per il passato, la lotta per avere libertà dicomunicazione su di esso; ma ormai, senza escludere che l’urto poderoso fra le forze opposte possa av-venire, occorre riconoscere che i metodi di lotta si sono orientati verso il concetto della pressione silen-ziosa e metodica, che tende a consolidare i propri traffici e ad esaurire completamente quelli del nemico.Un tale risultato, quando completamente raggiunto, è di essenziale importanza nella risoluzione del con-flitto, imperocché una interruzione saltuaria delle comunicazioni non ha altro effetto che quello di esau-rire una certa quantità delle riserve. Questo è il grande insegnamento che è perfettamente riconosciuto,ma non abbastanza valutato; che il nostro popolo ha intuito nei più tragici momenti, ma non ha ponderatoperché lo sviluppo finale della vittoria ha velato l’importanza di questo fattore silenzioso, il quale, qualoraavesse dovuto svilupparsi come dura esperienza, avrebbe lasciato una ben più profonda traccia nell’animocollettivo delle generazioni. Occorre quindi ammettere senza restrizioni che la nostra tradizione storicadeve subire un nuovo orientamento, in modo che, oltre il pericolo delle Alpi, mostri il pericolo dei mari,i quali, data la posizione geografica dell’Italia e la insufficiente produttività del suo suolo, rappresentanola vita se ne avremo il dominio, la morte se non lo avremo (Approvazioni).

Ed affinché la Nazione non sia tratta a soffrire, nel futuro, i tragici effetti di una inadeguata prepa-razione navale, bisogna porre ogni cura nel mostrare da qual parte si trova oggi il maggior pericolo, aqual parte il popolo deve volgere la sua ansiosa passione in caso di conflitto.

Ormai le vie di invasione dalle Alpi sono rese più sicure dalle frontiere conquistate dai valorosissiminostri soldati; ormai le storiche discese dei barbari o degli imperatori ultramontani sono sorpassate daitempi, e si può pensare alla difesa territoriale con un senso di maggiore sicurezza. Ma ogni attenzionedeve essere volta alle sorprese che ci può dare il mare. Non è certo il pericolo dello sbarco, del bombar-damento, delle scorrerie quello che deve maggiormente preoccuparci, ma sibbene quello gravissimo edinsostenibile dell’isolamento. L’Italia in guerra, senza vie marittime di comunicazione, sarebbe costrettaa vivere sulle sue risorse; e se queste, un secolo fa, erano sufficienti ed adatte alla sua popolazione, ogginon bastano più e tanto meno posseggono i requisiti necessari per alimentare le industrie della guerra.Dopo consumate le riserve, l’Italia dovrebbe cedere per esaurimento materiale, per mancanza del grano,del carbone, del ferro. Si può ben affermare che l’esercito, anche agguerrito splendidamente, non puòlottare se alle spalle non ha la marina che gli assicuri la vita e la continuità dei rifornimenti; mentre laMarina può compiere operazioni decisive, senza l’ausilio dell’esercito, isolando il nemico col recidergli levie del traffico marittimo. Si può così concludere, che per paesi che abbiano le risorse dipendenti dalmare, l’azione risolutiva può derivare dalle operazioni terrestri, ma queste non si possono compiere se itraffici non sono mantenuti.

Ed ecco perché oggi la Marina deve assurgere in Italia ad una importanza preminente nella prepara-zione alla guerra, rappresentando uno strumento necessario e risolutivo per il conseguimento della vit-toria che, pur venendo commisurato alle risorse geografico-strategiche del paese, deve essere basato sullaadeguata potenzialità effettiva dei mezzi maggiormente adatti alle moderne esigenze delle lotte a di-stanza sul mare.

L’apparecchio militare in condizioni normali di pace deve sottostare ad una forma di preparazioneridotta, ma tale che gli consenta il pieno e rapido sviluppo in caso di conflitto. In altri termini la funzionepacifica delle forze armate è quella di rappresentare il primo nucleo costantemente pronto, per la inten-sificazione della preparazione alla difesa. Funzione che, pur rimanendo coinvolta nella normale vita dellaNazione, tende al futuro ed apparentemente rimane quasi astratta dalla incessante vicenda degli avveni-menti attuali. Ma ciò non è completamente esatto per la marina. Anch’essa si appronta e si evolve per es-sere presidio sicuro della Patria sul mare in caso di conflitto, e non può assolutamente derogare da questoimprenscindibile dovere; però la sua efficienza in pace non è solamente potenziale, ma è reale.

Occorre pensare che l’Italia, come tutte le Nazioni che hanno floridi commerci, sta sviluppando, at-traverso i collegamenti marittimi, interessi e necessità vitali; che l’Italia ha mercati di importazione edesportazione aperti in contrade lontane mediterranee, e, oltre gli stretti, in paesi bagnati dagli Oceani;

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che l’Italia ha fuori dei suoi confini un sesto della sua popolazione, la quale in gran parte non vede lapropria bandiera che sulla poppa delle navi. Tutto il gioco di interessi economici e politici che deriva daquesto stato di cose non può certo avere un sostanziale valore se non è sorretto a una conveniente attivitàdella Marina da guerra; l’orientamento politico è indissolubilmente legato con lo sviluppo della Marina,che rappresenta nelle regioni nelle quali l’influenza territoriale svanisce, per l’interposizione del mare,l’unico mezzo di collaborazione effettiva alle varie attività internazionali. Si deve riconoscere che i nostricontatti con i popoli lontani, fattisi oggi più vasti e possibili a causa della larga espansione commerciale,emigratoria e coloniale, vengono stabiliti su salde basi di reciproco affiatamento, specialmente per mezzodelle navi da guerra. Esse non portano con sé una minaccia od una orgogliosa espressione di forza, ten-dono anzi a far conoscere lo spirito vero del nostro Paese, a farne apprezzare le migliori qualità, a renderepiù stimata la nostra bandiera, a vivificare il sentimento della dignità patriottica nell’animo delle nostremasse emigrate.

Ma una nave od una squadra che si reca all’estero non è sufficiente base per l’azione continua e co-stante della politica estera; questa si deve fondare su di un potere marittimo costituito nei mari territoriali;e se la nave distaccata rappresenta il momentaneo anello di collegamento, esso deve avere in Patria la ca-tena solida della quale è piccola parte.

La Marina da guerra adunque, ha anche una vera funzione pacifica, reale, attuale, messa a profittodegli intendimenti politici, affinché questi abbiano rapidamente ed onorevolmente giusto accoglimento.Queste sono elementari necessità alle quali tutti i popoli marittimi sottostanno.

Ecco perché l’Italia, bagnata per oltre 7000 chilometri dal mare, che dal mare importa i quattro quintidei suoi rifornimenti, che non ha produzione sufficiente per i suoi bisogni, che ha un sesto del suo popolooltre gli Oceani, che annualmente aumenta di quasi mezzo milione di abitanti, deve dare alla sua Marinada guerra una importanza eccezionale, e concederle i mezzi adeguati; non solo affinché sia tenuta prontaad ogni eventuale straordinario avvenimento, ma anche per conseguire nel corso ordinario dei fatti permezzo di una pacifica attività, gli scopi politici che il Governo si prefigge (Approvazioni).

Documento n. 12

DISEGNO DI LEGGE RIGUARDANTE L’ALTO COMANDO DELL’ESERCITO, SOTTOLINEATO NEI PUNTI SALIENTI DALLO STESSO GRANDE AMMIRAGLIO

(CTR, Diario storico documentato delle dimissioni da Ministro della Marinadel Grande Ammiraglio)

DEL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE

Art. 1°

La carica di Capo di Stato Maggiore Generale può essere ricoperta esclusivamente da Ufficiale che ri-vesta il grado di Maresciallo d’Italia, di Generale d’Esercito o di Generale d’Armata.

Egli è nominato con Decreto Reale, udito il Consiglio dei Ministri.

Art. 2°

Il Capo di Stato Maggiore Generale è alla diretta dipendenza del Ministro della Guerra.Egli presiede in tempo di pace alla organizzazione difensiva dello Stato, alla preparazione alla guerra

dei quadri, delle truppe e dei relativi mezzi, ed in genere alla risoluzione delle più importanti questioniche interessano l’Esercito.

In base alle deliberazioni della Commissione suprema di difesa, il Capo di Stato Maggiore Generaleconcreta gli studi e le disposizioni necessarie per la coordinazione della organizzazione difensiva delloStato. Per le eventuali operazioni di guerra concreta il piano dando ai Capi di Stato Maggiore della R aMarina e della Ra Aeronautica le direttive per il concorso della Ra Marina e della Ra Aeronautica nel rag-giungi mento di obbiettivi comuni.

Esercita l’alta azione ispettiva sulle truppe, sui servizi e sulle scuole.

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

Egli deve essere consultato dal Ministro sulle principali questioni relative alla destinazione degli Uf-ficiali Generali e sulle questioni di massima riflettenti avanzamento, stato e governo disciplinare dei qua-dri dell’Esercito.

Il Capo di Stato Maggiore Generale, pertanto, in dipendenza di tali attribuzioni: a) stabilisce i concetti fondamentali in base ai quali deve essere informata la preparazione alla guerra

e comunica fin dal tempo di pace alle autorità interessate le direttive generali per l’organizzazione difen-siva del territorio e per la determinazione dei compiti dei comandanti delle grandi unità durante il periododella mobilitazione e della radunata, e all’inizio delle operazioni;

b) determina la formazione di guerra dell’Esercito e i criteri in base ai quali debbono essere effettuatigli studi e i provvedimenti esecutivi per la mobilitazione delle truppe, la predisposizione dei materiali, laorganizzazione dei servizi;

c) predispone l’impiego degli Ufficiali Generali presso l’Esercito operante;d) dà le direttive, in relazione ai fondi stanziati in bilancio, per la compilazione dei progetti generali

delle esercitazioni, di quelle delle armi tecniche e di quelle combinate fra Esercito, Marina, Aeronautica, einveste caso per caso dell’alta direzione di dette esercitazioni, qualora non l’assuma egli stesso, altro Uf-ficiale Generale.

Art. 3°

Sono comprese più particolarmente nelle attribuzioni del Capo di Stato Maggiore Generale:a) la compilazione degli studi riflettenti la sistemazione difensiva del territorio e le eventuali opera-

zioni di guerra;b) la compilazione dei documenti relativi alla formazione di guerra, alla mobilitazione, alla radunata

dell’Esercito ed all’impianto e al funzionamento dei servizi;c) le predisposizioni, con il concorso delle autorità interessate, per la protezione delle vie di comu-

nicazione e le loro eventuali interruzioni, o per la vigilanza e la protezione costiera ed antiaerea;d) lo studio delle questioni relative all’addestramento dell’Esercito;e) lo studio della regolamentazione disciplinare e tattica, nonché gli studi e le pubblicazioni storico-militari;f) gli studi di massima relativi al reclutamento e all’ordinamento del R° Esercito, alla circoscrizione ter-

ritoriale, al trattamento, all’avanzamento e allo stato dei quadri, alla disciplina ed all’assistenza morale;g) gli studi e le questioni di massima relativi alla organizzazione ed al funzionamento dei servizi in

tempo di pace;h) le disposizioni relative al reclutamento ed all’impiego degli ufficiali di S.M..Il Capo di Stato Maggiore Generale propone infine al Ministro della guerra la ripartizione delle somme

inscritte nel bilancio per la guerra.

Art. 4°

Le deliberazioni e i provvedimenti del Capo di Stato Maggiore Generale sono presi di concerto colMinistro della Guerra quando importino allo Stato oneri finanziari non previsti in bilancio.

Art. 5°

Il Capo di Stato Maggiore Generale deve essere tenuto al corrente della situazione politica, per tuttoquanto possa interessare l’esercizio delle sue attribuzioni.

Art. 6°

Il Capo di Stato Maggiore Generale deve essere tenuto al corrente della situazione politica e militaredelle Colonie, e deve essere chiamato a dare parere sulle più importanti questioni relative all’organizza-zione delle truppe coloniali e alla difesa delle colonie.

Egli dovrà inoltre essere informato e consultato circa le operazioni militari coloniali che per la loroimportanza richiedono o lascino presumere la partecipazione di reparti e mezzi metropolitani.

Dette questioni gli saranno segnalate dai Ministri competenti, pel tramite del Ministro della Guerra.

Art. 7°

Ogni qualvolta il Governo o il Ministro della Guerra convochino commissioni straordinarie per lostudio di questioni interessanti la preparazione della Nazione alla Guerra, faranno parte di esse il Capodi Stato Maggiore Generale e le persone da lui designate a titolo consultivo.

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Il Capo di Stato Maggiore Generale fa parte- con voto consultivo- del comitato deliberativo della Com-missione Suprema di difesa.

Art. 8°

Il Capo di Stato Maggiore Generale ha facoltà di corrispondere direttamente con tutte le autorità del-l’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e civili con le quali gli occorre mettersi in relazione in ordine allefunzioni di sua spettanza.

Art. 9°

Per l’esercizio delle sue funzioni il Capo di S.M. Generale ha alla sua di- pendenza:a) gli Ufficiali Generali Comandanti designati d’Armata;b) il Sottocapo di Stato Maggiore Generale;c) i Generali a disposizione per le varie armi.Egli potrà inoltre valersi dell ‘opera degli altri membri del Consiglio dell’Esercito, di cui al successivo

art. 13, per quegli altri incarichi che credesse di affidare loro. In particolare affiderà ad uno dei membridel Consiglio dell’Esercito lo studio delle questioni riflettenti la fanteria, ed ad un altro membro l’alta di-rezione delle scuole militari.

Per l’esecuzione degli studi e la emanazione delle disposizioni inerenti alle sue attribuzioni, il Capodi Stato Maggiore Generale dispone dello Stato Maggiore del R. Esercito.

Art. 10°

Sono posti sotto l’alta direzione del Capo di Stato Maggiore Generale la Scuola di Guerra, le altreScuole e accademie militari, per l’indirizzo e il coordinamento degli studi e delle esercitazioni, nonchél’Istituto Geografico Militare, per quanto riguarda l’indirizzo dei lavori che vi si compiono.

Art. 11°

Il Capo di Stato Maggiore Generale in tempo di guerra esercita le attribuzioni stabilite per la suacarica dal regolamento sul servizio in guerra.

Egli lascia presso il Ministero della Guerra gli organismi necessari a provvedere alla continuità d’in-dirizzo delle funzioni territoriali dello Stato Maggiore del R. Esercito.

Documento n. 13

DISEGNO DI LEGGE RIGUARDANTE LA DIFESA NAZIONALE(CTR, Diario storico-documentato delle dimissioni da Ministro della Marina del Grande Ammiraglio)

Art. 1°

È istituita la carica di Comandante in Capo per la Difesa Nazionale (C.C.D.N.) alla dipendenza esclu-siva del Capo del Governo.

Art. 2°

Il C.C.D.N. sarà scelto tra i marescialli d’Italia ed i Grandi Ammiragli; i Generali d’Esercito e gli Am-miragli; i Generali d’Armata, i Vice Ammiragli d’Armata; i Generali Comandanti di Corpo d’Armata, i ViceAmmiragli di Squadra ed i Generali di Squadra aerea. Egli è nominato per decreto reale su proposta delConsiglio dei Ministri.

Per il solo fatto della sua designazione assume, qualora già non lo abbia, grado o rango di Generaledi Armata o di Vice Ammiraglio di Armata; e diventa in tal grado o rango il più anziano.

Art. 3°

Il C.C.D.N. in tempo di pace risponde al Capo del Governo della preparazione generica delle forze

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Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel

Supplemento alla Rivista Marittima

della difesa nazionale; ed in tempo di guerra in nome di S.M. il Re, Capo Supremo di tutte le forze nazio-nali, dirige le operazioni.

Art. 4°

Il C.C.D.N. è il consigliere tecnico del Capo del Governo allorché si tratta di stabilire le assegnazionidi bilancio ed i consolidamenti di programma a lunga scadenza per le diverse branche della difesa nazio-nale, in base alle decisioni prese nel comitato dei Capi di stato maggiore dell’Esercito, della Marina e del-l’Aeronautica con l’approvazione dei rispettivi ministri.

Art. 5°

I Capi di Stato Maggiore dell’Esercito, della Marina e della Aeronautica hanno la responsabilità spe-cifica della preparazione delle rispettive branche nei riguardi del ministro interessato e tecnicamente la-vorano sotto l’alta direzione del C.C.D.N. il quale riunisce e presiede il comitato dei tre capi di statomaggiore per gli studi e le questioni di interesse comune della difesa nazionale e la concretazione deipiani di guerra.

Art. 6°

A giudizio del capo del Governo, il C.C.D.N. interviene per pareri tecnici nel consiglio dei Ministri.Egli è membro di diritto della commissione suprema di difesa ed ha in tempo di pace uno stato mag-

giore in cui sono rappresentate a parità le tre branche della difesa nazionale.

Documento n. 14

INTERVENTO AL SENATO DEL GRANDE AMMIRAGLIO PER SOSTENERE LE RAGIONI DEL PROPRIO PROGETTO DI LEGGE RIGUARDANTE LA DIFESA NAZIONALE

(Atti Parlamentari, Senato del Regno, Leg. XXVII, 1a sessione 1924-25Discussioni, tornata del 18 maggio 1925)

THAON DI REVEL. Onorevoli colleghi. Personalmente avrei preferito di non parlare, ma essendo inesame un progetto di legge di grande portata per la sicurezza dell’Italia, per il suo avvenire sul mare eper la sua espansione nel mondo, ho pensato che colui che ebbe la inestimabile ventura di essere a capodelle forze vittoriose sul mare non poteva tacere.

Rendimento massimo dei fattori della difesa nazionale

Onorevoli Senatori,Il disegno di legge per il quale viene richiesta la vostra approvazione tende ad uno scopo, al raggiun-

gimento del quale deve rivolgersi ogni volontà: esso mira alla coordinazione di tutti i mezzi apprestatiper la difesa del Paese. Questo scopo altissimo, affermato dal Presidente del Consiglio, in un memorabilediscorso di cui l’eco vibrante ancora risuona in quest’aula, è oggi nella mente e nel cuore di tutti coloroche, mirando al bene della Nazione, sanno comprenderne tutte le necessità.

È ovvio che non si può parlare di tre guerre separate: sulla terra, sul mare e per l’aria; ed è ovviaanche la necessità di trarre la massima utilizzazione dal complesso del nostro apparecchio bellico, ar-monizzando al più alto grado la preparazione e la condotta della guerra nei tre campi, e ciò in omaggioall’eterno principio della economia delle forze.

È logico anche che, per ottenere che tutti gli sforzi convergano davvero al fine comune, bisogna cheuna sola persona, raggruppando in un’unica visione gli avvenimenti ed i fatti, prepari, disponga e decida.È infine del pari evidente che per la designazione di questa persona non può aspettarsi che le nuvole di-plomatiche minaccino la tempesta; bisogna che la sua opera di azione sia preceduta ed affermata daquella continua e solerte opera di preparazione, senza la quale ogni ordinamento militare non potrà maitrovarsi pronto a fronteggiare gli eventi nel momento del bisogno.

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Queste semplici considerazioni sono pertanto bastevoli a chiarire che non è affatto mia intenzioneinfirmare il principio fondamentale sancito nella relazione che accompagna il progetto di legge in esame,principio che ognuno di noi ha già accettato con piena e libera convinzione; io solo intendo stabilire e trac-ciare la via che, a mio avviso, è la più adatta a far sì che il principio stesso venga pienamente realizzato.

A tale riguardo io ritengo che oggi l’unità di direzione della guerra debba ammettersi, a condizioneperò che ciascuno dei fattori essenziali della difesa nazionale abbia tutto lo sviluppo e l’autonomia di pre-parazione e di impiego indispensabili per fornire il rendimento massimo. Se nel realizzare l’unità di co-mando si seguisse una inesatta valutazione dell’importanza relativa delle forze di varia specie, sicommetterebbe un grave errore, perché, invece di coordinazione si verrebbe a stabilire una illogica su-bordinazione, che riuscirebbe altrettanto e maggiormente fatale di una troppo larga autonomia, e farebbeancor più risentire l’influenza di quegli inconvenienti che si vogliono evitare.

Il fattore immutabile

Le guerre future saranno certamente più complesse di quelle del passato; ma senza entrare, in con-siderazioni tecniche, parmi che, come già nel passato, anche nell’avvenire, vi sarà sempre per il nostropaese un fattore immutabile; e cioè la grave minaccia che, per la nostra situazione geografica e per lamancanza di materie prime, a noi sempre verrà dal mare.

Come potrà essere decisa una futura guerra? Quale delle forze armate della Nazione avrà in essa laprevalenza?

A queste domande non è facile dare risposta; ma a me pare che il concetto di una guerra prevalen-temente terrestre e prevalentemente aerea non possa, data l’esistenza fissa della grave minaccia a cui hotesté accennato, affermarsi come guida assoluta ed infallibile.

Fra paesi che hanno confini terrestri comuni, ma che sono bagnati dalle acque dello stesso mare laguerra terrestre potrà risultare decisiva, a condizione, però, che l’andamento della lotta sul mare consentasulle vie marittime una sicurezza sufficiente per alimentare la capacità di resistenza del paese, o si posseggainoltre una forza atta ad impedire al nemico di portare attraverso il mare l’offesa sul territorio nazionale:in terra potrà bensì aversi l’epilogo, ma questo sarà fatale conseguenza delle vicende marittime. Ecco perchéio ritengo che le sorti dell’Italia possano anche decidere sul mare, prima che sul fronte terrestre.

Ciò posto, io non credo che si possa definire in modo assoluto quale sia la parte prevalente delleforze armate; il semplice criterio quantitativo (quantità di uomini), che porterebbe a stimare l’Esercitocome forza prevalente, non sembrami possa accertarsi quale assiomatico, anche perché non è possibilecommisurare fra loro forze eterogenee; e l’ammetterlo senz’altro, significherebbe non comprendere l’im-portanza che la lotta marittima sempre avrà per noi.

Nel dopo guerra la nostra marina ha assai meditato sulle nuove possibilità, ed a proseguito in questavia mediante studi di carattere concreto, che si sono ispirati al concetto fondamentale della più strettacorrelazione fra le forze di mare, quelle di terra e quelle dell’aria. Questi studi concreti, che dimostranoquanto la marina sia aliena da visioni particolaristiche e come anzi proprio ad essa spetti l’onore di averpreso l’iniziativa per tradurre in pratica il postulato della coordinazione, hanno sempre portato ad unaunica conclusione; e cioè che, date le speciali esigenze del nostro paese, per avere una visione generaledelle possibilità guerresche, il punto di vista fondamentale deve essere quello marittimo. Con ciò non sivuole intendere, si noti bene, che la marina debba aver parte prevalente nell’alto comando delle forze ar-mate, ma si vuole illustrare come la marina, a ragion veduta, debba preoccuparsi se le sue necessità disviluppo e di impiego non vengono giustamente comprese.

L’anima navale

Egregi Colleghi,Senza fare qui sfoggio di erudizione storica, ma, limitandomi a semplici considerazioni di massima,

noterò che, quando i popoli hanno voluto espandersi (e l’Italia è ineluttabilmente nazione di espansione)sono stati forzatamente attratti verso il dominio marittimo; e che quando si è in loro affievolito quellasensazione del mare, che non si acquista davvero in un breve volgere di anni, allora è subito incominciatala decadenza. Così Roma è diventata forte solo dopo le due guerre puniche e le nostre due maggiori re-pubbliche marinar e sono divenute e si conservarono potenti, quando davvero dominarono il «mare no-stro» o con la croce di S. Giorgio o con il leone di S. Marco. Questa è storia d’Italia, signori senatori, storiache non si distrugge e che si compendia nella frase napoleonica: «L’Italia sarà forte sul mare o non sarà».

Tutta l’epoca della rivoluzione francese e della susseguente epopea imperiale sta a dimostrare comel’inesatta valutazione del problema marittimo abbia tarpato le ali ai voli di conquista e di dominazione,

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Supplemento alla Rivista Marittima

ed abbia inesorabilmente portato alla catastrofe finale. Napoleone ebbe dei generali, ma non ebbe un am-miraglio: il suo genio intravide l ‘importanza del dominio del mare, ma non seppe affermarlo, e gli esercitirivali, meno forti di quelli da lui condotti, poterono compiere l’opera di disgregazione, perché sepperovalersi delle risorse provenienti da un giudizioso impiego di forze marittime; sicché non è certo errato ildire che Napoleone non fu sconfitto a Lipsia ed a Waterloo, ma bensì ad Aboukir ed a Trafalgar.

Gli stessi errori sono stati riprodotti nell’ultimo conflitto per parte della Germania. La mentalità te-desca di guerra fu esclusivamente terrestre, e la mancanza, per parte dei massimi dirigenti, di una precisacoscienza marinara, dapprima loro impedì di scoprire quale fosse fra i tanti il vero nemico, poi contribuìa mantenere in un impiego errato i vari mezzi navali, ed infine fece perdere ai dirigenti stessi ogni sanadirettiva di guerra marittima, così da consentire all’Intesa, che frattanto si riaffermava sempre più sulmare, di correre ai ripari.

Il lucente miraggio di supervalutati obiettivi terrestri offuscò la reale importanza di altri meno ap-pariscenti, ma più sostanziali obiettivi marittimi, e portò a sforzi immani ma inutili.

Se alla corsa su Parigi la Germania avesse anteposta l’occupazione delle coste di Fiandra e della Ma-nica, ben maggiori risultati essa avrebbe ottenuto.

Tagliate le comunicazioni fra l’Inghilterra ed il continente, reso impossibile il traffico, che era ali-mento e respiro degli eserciti in Francia, l’opera dell’Intesa sarebbe rimasta paralizzata. Troppo tardi laGermania comprese l’importanza dell’obiettivo ed iniziò quella che fu chiamata la corsa al mare: troppotardi, perché già alla costa si erano saldamente attaccate ed aggruppate le truppe avversarie, appoggiateda cannoni navali.

Ecco quindi che anche la più recente guerra, da noi vissuta, conferma che l’ultima vittoria è a noi giuntacon gli acri effluvi della brezza marina e che solo il mare ha potuto vincere lo spettro terribile, giganteg-giante, che sorto pur esso dall’onda, allungava le sue scheletrite braccia su tutti i campi di battaglia. Questala vera, reale genesi di una disfatta cagionata da deficienza di anima navale, deficienza che, riflessasi negliordinamenti bellici nemici, portò a stabilire funzioni di comando erronee, per il fatto che in esse le variebranche delle forze armate del paese, non furono tenute su di un piede di perfetta eguaglianza.

E vorremmo noi oggi dimenticare questa tremenda sanguinosa verità?

Collaborazione in effettiva parità

Nel disegno di legge che si intitola all’alto comando dell’Esercito, ma che in realtà ha una portataassai più vasta, nulla ho da obiettare per tutto ciò che concerne le funzioni assegnate al Capo di StatoMaggiore Generale nei riguardi dell’Esercito, ma non credo opportuno, che, per creare l’ente che deve as-sicurare l’unità di direzione della guerra, si stabilisca che il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito debbadare le direttive, siano pure di massima, per la preparazione, lo sviluppo e l’impiego della marina. In talmodo il decreto di legge si ispira ad una visione di guerra puramente terrestre e pone praticamente lamarina alla dipendenza del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

Ora, si badi, che le esigenze della guerra marittima sono profondamente diverse da quelle dellaguerra terrestre, e se l’alto unico comando non è bene penetrato di questa verità assiomatica, la guerramarittima riceverà immancabilmente un indirizzo errato, con gravi riflessi sull’andamento generale delleoperazioni. Si potrà, ad esempio, in tal caso veder praticato il principio recentemente lanciato in que-st’aula, e cioè che nei nostri mari per l’azione delle forze aeree e subacquee le flotte hanno perduto laloro libertà di manovra, e veder così tolta ai mezzi navali, in applicazione al principio stesso, l’indipen-denza di azione, che è invece loro indispensabile per realizzare quel contrasto marittimo che sarà semprecomplesso e grandioso, anche se costituito da un insieme di fatti, solo in apparenza, minuscoli e slegati.

Il comandante unico non può ad un tempo essere tale e comandare l’esercito, poiché diverrebbe insiemee giudice e parte; ed in tal caso è inevitabile che la marina diventi un’appendice dell’esercito. È proprio que-sto, a parere mio, il gravissimo difetto del sistema proposto, difetto che può sparire solo se marina ed eser-cito saranno in parità di condizioni e di rappresentanza nei riguardi dell’ente che dirige le operazioni. Setale modifica essenziale non fosse introdotta, la formula vaga che ora stabilisce la facoltà di impartire di-rettive di massima, può sempre prestarsi ad una esecuzione troppo ampia e dar luogo ad interventi di esa-gerata competenza, valevoli in pratica, a tradurre l’unità di direzione in vincoli così dannosi da costituireun regresso anziché un progresso. Chi è infatti che può in tal caso stabilire il giusto limite delle successiveattribuzioni, e precisare bene dove finisce il concetto direttivo e dove incomincia la parte esecutiva?

La giusta e buona coordinazione delle varie branche della difesa nazionale, non può secondo me,realizzarsi che mediante un ordinamento che definisca la collaborazione sopra un piede di effettiva parità,in guisa da permettere al comandante unico di mantenere colla realtà e colle necessità del problema mi-

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litare, il contatto stretto, ma uniforme, indispensabile per lo svolgimento delle sue attribuzioni. In talesvolgimento egli non può considerarsi che all’esclusiva dipendenza del Capo di Governo; e questi furonoappunto, onorevoli colleghi, i principi da me raccolti in un controprogetto, intitolantesi non già al soloalto comando dell’esercito, ma al compito complesso della difesa nazionale.

Documento n. 15

STRALCIO DELLE RISULTANZE DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA SULLA CONDOTTA DELLA CAMPAGNA MILITARE IN AFRICA SETTENTRIONALE

PRESIEDUTA DAL GRANDE AMMIRAGLIO- 16 novembre 1941/6 marzo 1942(ACS, Carte Graziani, b. 65, f. 47, sf. 57)

«1° esaltazione vittoria Sidi-Barrani, affermazione orale 5 ottobre su superiorità di mezzi non trova-rono riscontro alla domanda di attaccare il 10-15 ottobre, si addussero difficoltà logistiche e si persistettenel proposito di costruire la strada, l’acquedotto ecc. nonostante la critica fatta al metodo inglese e il ri-lievo del D. [Duce], che la lunga attesa aveva giovato più al nemico che a noi. Attaccando subito si potevaavere possibilità di successo. Posto di comando arretrato.

2 ° combattimento del 19 novembre e segnalazione del servizio informazioni della presenza di forzenemiche imponenti significavano intenzione nemica attaccare e si dovevano prendere provvedimenti ef-ficaci per fronteggiare questo probabile attacco nemico pur non trascurando l’intendimento offensivo.Organizzare e rinforzare la linea Halfaia; svolgere continua vigilanza notturna e diurna per prevenire lasorpresa; modificare lo schieramento avanzato per non esporre le truppe al pericolo di un attacco similea quello del19 novembre. Queste trascuratezze e lo spirito delle truppe rilassato per la continua attesacontribuirono alla sorpresa e alla sconfitta del dicembre.

3° critica alla affermazione di portare a Tripoli la inutile persona e al proposito di arretrare il co-mando tattico.

4° accuse ingiuste alla madre patria: molta artiglieria a tiro rapido utilizzabile come anticarro se beneimpiegata e con gli altri mezzi si potevano ottenere migliori risultati.

5° divisione corazzata: convenienza o meno di domandarla-possibilità di costituirne una simile coni mezzi a disposizione e con altri chiesti alla madrepatria si reclama il 17 dicembre quando non può giun-gere più in tempo.

6° durante la ritirata dalla Cirenaica poco accorta, data la profonda conoscenza del terreno e limitatoapprezzamento dell’importanza strategica delle posizioni della Sirtica. Un arretramento al Merghebavrebbe pregiudicato gli afflussi di rinforzi dalla madrepatria nel porto di Tripoli.Nella relazione sulla conquista di Sidi Barrani, esagerò il successo, facendo ritenere il nemico a terra. Vi-ceversa quando gli fu chiesto di sfruttare quel successo, addusse difficoltà logistiche. Durante la lungaattesa fu informato che il nemico si stava grandemente rinforzando, tanto da acquistare tale superioritàdi forze, da mettersi in grado di attaccarci in condizioni per lui favorevolissime. G. [Graziani] lontantodalla fronte, nonostante l’appunto fattogli lasciò le truppe avanzate in una situazione che non rispondevané all’offensiva né alla difensiva. Neppure quando la possibilità di un attacco nemico divenne sempre piùevidente, come gli aveva segnalato il SIM, nulla fece per prepararsi a fronteggiarlo efficacemente. Lo stessoattacco del 19 novembre - chiaro avvertimento per un capo di grande esperienza - non gli aprì gli occhied egli non provvide a rimediare adeguatamente ai gravi inconvenienti del nostro schieramento avanzato.Perciò l’offensiva nemica del 9 dicembre ci colse impreparati, fece perdere 4 divisioni e travolse la nostrafronte. Il G. smarrì ogni fiducia e la sua azione personale di comandante, indispensabile per organizzareed animare una efficace resistenza mancò completamente.

Anziché portarsi in mezzo alle truppe, per tenere alto il morale, pensò ad arretrare il proprio postodi comando. Infine durante la ritirata dalla Cirenaica, nel regolare la condotta strategica, non valutò esat-tamente le possibilità del terreno - che pur conosceva da tanto tempo - e, se non gli fosse stato impeditodal comando supremo, si sarebbe ridotto nel campo trincerato di Tripoli, compromettendo seriamentelo afflusso dei nostri rifornimenti in quel porto».

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Supplemento alla Rivista Marittima

Documento n. 16

APPELLO DEI SENATORI AL SOVRANO (maggio 1943)(CTR, Documenti, vol. XVII)

LETTERA APERTA A S.M. VITTORIO EMANUELE III

Sire, la caduta della Tunisia apre la crisi decisiva della nostra guerra. La prova della superiorità delnemico in mezzi bellici e in risorse economiche appare ormai certa, ed è stata confermata con lealtà disoldato dal valoroso comandante della la Armata. Gli italiani vedono davanti a loro la fatalità della scon-fitta finale, alla quale arriveranno, tragicamente, forse neppure attraverso azioni militari che salvino,come in Africa, l’onore delle armi, ma attraverso una passiva sottomissione agli argori dell’offensivaaerea, senza modo di una difesa efficace; attraverso vicende che per la sproporzione fra le possibilitàdell’offesa e quelle della difesa non possono nemmeno considerarsi di guerra.

Di fronte a questo destino che porterebbe in brevissimo tempo la nazione alla rovina completa, tuttigli italiani onesti e chiaroveggenti guardano verso di Voi. Voi solo potete intervenire a scongiurarlo e asalvare le città d’Italia dalle sciagure sospese su loro.

È questa l’ora suprema della Casa di Savoia. Dalle decisioni che prenderete, dal coraggio che mostre-rete, dipende non soltanto la salvezza della patria, che da sola Vi impone perentoriamente l’azione, mala sorte e l’onore della Vostra Casa e l’onore e la sorte dello stesso istituto monarchico, alla cui esistenzaVoi dareste la giustificazione solenne e irrefutabile della garanzia offerta in certe occasioni decisive daun istituto posto al disopra dei partiti e delle vicende quotidiane, radicato nel suolo della nazione da unatradizione antica quanto la nazione stessa, e che nulla deve alle circostanze fuggevoli della cronaca e agliumori mutevoli dei popoli. L’azione regia in Italia fonderebbe una seconda volta la dinastia e testimonie-rebbe per tutti i troni e per tutte le dinastie.

Noi comprendiamo il Vostro dramma: ma non abbiamo più il tempo di compatirlo. Sappiamo i Vostriscrupoli, ma non abbiamo più il tempo di approfondirli. Quand’anche lo volessimo non troveremmo nes-suno disposto ad ascoltare le giustificazioni che potremmo trarne per Voi. Le nostre parole, la nostra de-vozione, non possono farVi scudo: ogni bomba che cade sulle città del Regno colpisce Voi: ogni innocenteferito chiede a Voi conto del suo sangue e della sua casa distrutta. Non Vi fate illusioni: l’odio che sorgedalle rovine indugia oggi sul nemico, forse; ma domani quest’odio Vi raggiungerà. E se non sarà odio saràpeggio; per la prima volta, nella storia della Vostra Casa, le sventure condurranno un principe a separarsidall’amore del suo popolo per esiliarsi nel suo disprezzo.

Quali lezioni di diritto costituzionale possono difenderVi davanti alle macerie che visitate? Qualecorso sulla irresponsabilità della Corona potrà farVi assolvere dai morenti che Vi vedono passare fra loronegli ospedali? Vittorio Emanuele II dopo Novara non rifiutò la gloria di essere responsabile dell’avveniredel Regno. La storia ignora le sottigliezze del diritto, e nelle sue ore più auguste e solenni offre ai sovraniuna generosa vendetta della diffidenza dei popoli che li volle prigionieri nella irresponsabilità.

Siete d’altronde Voi sicuro che questo principio della irresponsabilità Vi copra ancora? Non ne è avve-nuta una tacita abrogazione attraverso l’evoluzione costituzionale del Regno, abrogazione altrettanto le-gittima quanto tutte quelle di pura prassi che Voi avete ammesso costantemente, sia che fossero in sensodemocratico, sia che fossero in senso autoritario? Coloro che sono al potere non hanno oggi, di fronte alleassemblee e di fronte al Paese, altro titolo giuridico per rimanervi che quello di essere il Vostro governo. Leleggi del regime fascista precisano questo loro carattere, non solo perché la legge sul primo ministro e lariforma parlamentare sottraggono formalmente ed esplicitamente il governo a ogni dipendenza del parla-mento, che d’altra parte ha perduto il carattere di rappresentanza nazionale; ma anche perché, monopoliz-zata la formula plebiscitaria a giustificazione del regime, non rimane alla dinastia, nello spirito o nella logicadel regime medesimo, altro titolo che quello suo proprio, storico ed ereditario, dal quale le deriva la funzionesomma di apprezzare fino a che punto il consenso popolare rimane ai governanti.

Ma se Voi, anche ammettendo questa interpretazione dei Vostri diritti, deste a spiegazione della Vo-stra inazione il silenzio del popolo, o addirittura gli applausi che mascherano quel silenzio; se Voi volesterispondere che nessuna voce si è levata fino a Voi dai grandi corpi dello Stato, dalle autorità del Regno,per avvertirVi; se voi voleste assumere l’ordine pubblico e la tranquillità della piazza a segno di consenso:noi non abbiamo bisogno di presentarVi i facili argomenti che forse Vi convincerebbero a valutare diver-samente i molti silenzi che Vi circondano. Giacché la Vostra responsabilità, Sire, non si arresta ai confini

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Appendice documentaria

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del Regno, non è tutta racchiusa nelle relazioni comunque equilibrate dei poteri dello Stato; ma Vi imponedei doveri che sorgono dalle relazioni di guerra e di pace delle Nazioni, e quei doveri Vi chiedono an-ch’essi, e più urgentemente, di agire.

Sire, per molti anni siamo stati una minoranza, e abbiamo l’abitudine di non chiedere che alla nostracoscienza il consenso e l’applauso; e minoranza vorremmo essere ancora, se ciò potesse significare chela nostra chiaroveggenza non ha avuto la conferma delle sventure della Patria. Possiamo dunque rifarciall’esperienza della nostra solitudine per ammettere che il popolo italiano non abbia nulla imparato. Eb-bene, quand’anche quest ‘assurdo fosse verità, quand ‘anche tutto il popolo volesse continuare la guerra,a Voi tocca impedirlo. La sua cecità folle o generosa che sia, non giustificherebbe la vostra. A Voi nonsono leciti gli entusiasmi, né è consentita l’esaltazione nella sterilità del sacrificio che onora il ricordodei nostri caduti di Africa. Noi liberali italiani possiamo accettare di perire con le nostre città, a fiancodei nostri fratelli costretti o illusi, serenamente consapevoli che la nostra causa ci sopravviverà; ma Voiavete il dovere del più freddo e coraggioso realismo. Esaminate i dati delle forze contrapposte, le possi-bilità del nemico, le nostre, quelle dell’alleato, e poiché da questo esame sorge il convincimento che perl’Italia è impossibile vincere questa guerra, cercate la pace, prima che la sconfitta militare d’Africa ingi-gantisca in una catastrofe nazionale senza uguale nella storia, senza limi ti e senza rimedio.

Poco varrebbe dirVi che, caduto nel vuoto questo nostro appello, noi ci separeremmo da Voi, percercare lungo altre vie l’avvenire della nazione. Questo appello non Ve lo rivolge un partito o un gruppoin nome dei suoi ideali particolari; non è il tempo dei programmi, e noi abbiamo troppo rispetto dellamonarchia e del Paese per pretendere di confiscar quella a beneficio di una volontà arbitrariamente at-tribuita a questo. Ve lo rivolge, e la sua voce è ancora più alta del grido di dolore della patria ferita, lastoria della civiltà cristiana ed europea, che non potrebbe continuare il suo cammino passando oltre ilcadavere dell’Italia.

Documento n. 17

APPELLO DEI SENATORI AL SOVRANO (luglio 1943)(CTR, Documenti, vol. XVII)

Sire, molti italiani hanno ancora fede nella Monarchia ma ogni giorno, ogni ora che passa, il loro nu-mero diminuisce. Coloro che hanno questa fede sono tuttora persuasi che Voi soffrite il loro stesso dolore,che Voi, come loro, siete vittima di circostanze contro le quali non avete lottato solo perché non avevatela certezza dell’appoggio del Paese. Questo dubbio non è ormai più possibile. Dalle Alpi dove è giunta lasinistra influenza di una Croce che non è la Croce di Cristo, fino alla Sicilia dove i Vostri sudditi muoionosotto colpi di gente che mai vollero nemica, un grido solo accoglierà il gesto che tutti attendiamo. Sire, ilregime si regge con mezzi illegali contro la volontà del Paese. La guerra dell’imperialismo fascista è irri-mediabilmente perduta. Dio ha voluto che il fascismo vantasse questa guerra come guerra di partito.Oggi nell’ora della sconfitta esso vorrebbe farne una sconfitta italiana. Sire, solo che Voi lo vogliate nonsaranno gli italiani a perdere quella che mai è stata la loro guerra. Gli avvenimenti incalzano. Crollano lenostre città. Il nemico del fascismo, non già dell’Italia, è alle porte. Ciò che ci è possibile oggi non lo saràpiù domani. Sire, separate le sorti del Paese da quelle di una fazione brutale e megalomane. Troncateogni legame tra la Dinastia che diede alla Patria l’Unità e la Costituzione e coloro che le tolsero la libertàe la cittadinanza tra i popoli civili. Hitler, preso alla gola da 24 stati e 4 Continenti non può oggi dare al-l’Italia quella falsa vittoria che l’avrebbe asservita per sempre al nazismo. Se c’è chi pavido teme lo sfogodella sua rabbia, no vi diciamo, Sire, che contro al tedesco l’esercito si batterebbe ancora e finalmentecon l’entusiasmo di Vittorio Veneto, noi Vi diciamo che ogni bomba che cadesse su di noi, da quelle maniinsanguinate sarebbe il riscatto per chi soffre sotto l’onta di aver condiviso i loro misfatti. Sire, la storiadirà se la Monarchia Sabauda ha assistito impassibile all’estrema rovina materiale morale politica del no-stro Paese o se ha ascoltato all’ultima ora il grido di chi ancora oggi si rivolge a lei.

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Supplemento alla Rivista Marittima

Documento n. 18

LETTERA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BONOMI AL GRANDE AMMIRAGLIO(CTR, Documenti, vol. XVII)

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Salerno, 6 luglio 1944

A S.E. IL DUCA DEL MARE Paolo THAON di REVEL

Nella nostra conversazione al Grande Albergo, subito dopo la costituzione del nuovo Governo, Ellaebbe l’amabilità di dirmi che, qualora per ragioni politiche, fosse apparso necessario mettere a disposi-zione di S.A.R. Il Luogotenente del Regno la Presidenza del Senato, Ella ed i suoi colleghi lo avrebberofatto.

Ora la situazione è matura. Con il prossimo arrivo a Roma del Governo appare necessario dare al Se-nato una nuova Presidenza.

Ella sa come io abbia altissima stima della sua persona e come valuti l’opera sua patriottica svoltaanche in ore difficili e gravi. Ma la situazione politi ca ha le sue esigenze di cui debbo tener conto.

Mi conservi la sua amicizia e mi creda, con i migliori saluti.

devm. Ivanoe Bonomi

Documento n. 19

MANIFESTO POLITICO SOTTOSCRITTO DAL GRANDE AMMIRAGLIO(CTR, Documenti, vol. XVII)

Roma, 15 aprile 1946 AL BLOCCO NAZIONALE DELLA LIBERTÀ

ROMA

Cari Amici della Libertà!Le condizioni di salute e la età non mi dovrebbero consentire di aderire al Vostro lusinghiero invito,

senonché le ore assai gravi che attraversa la Patria mi impongono di rivolgere agli Italiani tutti una paroladi esperienza e di responsabilità.

La Monarchia Sabauda ha unito l ‘Italia e l’ha servita nelle ore tristi e nelle ore liete; io che sui mari,in terra, in pace, in guerra, con i marinai ed il popolo ho vissuto le une e le altre, sento il dovere di affer-mare che solo stringendoci ancora una volta allo Istituto Monarchico, legato alle tradizioni della nostraunità spirituale e territoriale, potremo attendere con fiducia alla ricostruzione della infelicissima nostraPatria.

Per queste ragioni aderisco al Blocco Nazionale della Libertà. Dio protegga l’Italia!

Revel

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RIVISTA

MARITTIMA

Mensile della Marina dal 1868

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In Copertina:Foto di dipinto a olio su tela (archivio Revel)

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Il Grande AmmiraglioPaolo Thaon di Revel

Ezio Ferrante

Rivista Marittima 2017Supplemento alla Rivista Marittima

Edizione Giugno 2017 Ezio

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