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ECCO IL VERO PROBLEMA Dal primo istante in cui l’umanità ha iniziato a parlare liberamente dell’idea di nazione è subito emersa una questione etico-politica fondamentale:devono essere considerati “cittadini”, soggetti di diritti, tutti gli individui che vivono e lavorano all’interno del territorio nazionale indipendentemente dalla loro specifica appartenenza a un gruppo naturale, etico o sociale; oppure occorre stabilire differenze tra gli individui, non una gerarchia di “cittadini”, non una scala di valori tra gruppi diversi, ma semplicemente una differenziazione di diritti e doveri senza limitare o ledere la libertà sociale e politica di alcun soggetto? E’ giusto, eticamente e politicamente, riconoscere diritti diversi, ad esempio, all’uomo e alla donna? CONTINUA A PAGINA 2 Volume 1, Numero 1 Gennaio 2010 DOSSIER DEL MENSILE: Abbiamo chiesto a 141 studenti (età compresa tra i 17 e i 25 anni) e a 109 adulti se oggi le norme che disciplinano i diritti tengono conto delle differenze naturali fra uomini e donne. Ecco le risposte al nostro sondaggio. CONTINUA A PAGINA 11 OGGI IN ITALIA: CITTADINANZA “CIECA” O DIFFERENZIATA? L’asilo dei papà: ma le mamme lo accettano? Edizione scuole LE STATISTICHE DI GENERE Cittadinanza differenziata Pag.2 Cittadinanza “cieca” Pag.3 Statistiche di genere Pag. 4 Costituzione Pag. 10 Sondaggio cittadino Pag. 11 SOMMARIO SECONDO VOI... I sistemi sociali che si sono affermati, fuori e dentro l’Europa, nel corso della storia hanno quasi sempre attribuito alla donna un ruolo subalterno rispetto a quello esercitato Anche se i primi cambiamenti per quanto riguarda l’emancipazione femminile si verificarono, in Occidente, verso la fine del Settecento, tuttavia molto resta ancora da fare per realizzare pari opportunità tra uomini e donne. CONTINUA A PAGINA 4 COSA DICE LA COSTITUZIONE? La nostra costituzione garantisce: pari dignità e libertà sociale di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali. Inoltre riconosce uguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti della legge a garanzia dell’unità familiare; e prevede stessi diritti e stesse retribuzioni per lavoratore e lavoratrice. Infine stabilisce diritti specifici e agevolazioni per l’uno e l’altro sesso ma questi forse non bastano. CONTINUA A PAGINA 10
13

Il cittadino

Mar 16, 2016

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Stefano Grandi

cittadinanza cieca e differenziata
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Page 1: Il cittadino

ECCO IL VERO PROBLEMA

Dal primo istante in cui

l’umanità ha iniziato a parlare

liberamente dell’idea di nazione

è subito emersa una questione

etico-politica

fondamentale:devono essere

considerati “cittadini”, soggetti

di diritti, tutti gli individui che

vivono e lavorano all’interno del

territorio nazionale

indipendentemente dalla loro

specifica appartenenza a un

gruppo naturale, etico o sociale;

oppure occorre stabilire

differenze tra gli individui, non

una gerarchia di “cittadini”, non

una scala di valori tra gruppi

diversi, ma semplicemente una

differenziazione di diritti e doveri

senza limitare o ledere la libertà

sociale e politica di alcun

soggetto? E’ giusto, eticamente

e politicamente, riconoscere

diritti diversi, ad esempio,

all’uomo e alla donna?

CONTINUA A PAGINA 2

Volume 1, Numero 1

Gennaio 2010

DOSSIER DEL MENSILE:

Abbiamo chiesto a 141

studenti (età compresa

tra i 17 e i 25 anni) e a

109 adulti se oggi le

norme che disciplinano i

diritti tengono conto

delle differenze naturali

fra uomini e donne. Ecco

le risposte al nostro

sondaggio.

CONTINUA A PAGINA 11

OGGI IN ITALIA:

CITTADINANZA “CIECA” O DIFFERENZIATA?

L’asilo dei papà: ma le mamme lo accettano?

Edizione scuole

LE STATISTICHE DI GENERE

Cittadinanza differenziata

Pag.2

Cittadinanza “cieca” Pag.3

Statistiche di genere Pag. 4

Costituzione Pag. 10

Sondaggio cittadino Pag. 11

SOMMARIO

SECONDO VOI...

I sistemi sociali che si sono affermati, fuori e dentro l’Europa,

nel corso della storia hanno quasi sempre attribuito alla

donna un ruolo subalterno rispetto a quello esercitato

Anche se i primi cambiamenti per quanto riguarda

l’emancipazione femminile si verificarono, in Occidente, verso

la fine del Settecento, tuttavia molto resta ancora da fare per

realizzare pari opportunità tra uomini e donne.

CONTINUA A PAGINA 4

COSA DICE LA

COSTITUZIONE?

La nostra costituzione garantisce: pari dignità e libertà sociale di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali. Inoltre riconosce uguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti della legge a garanzia dell’unità familiare; e prevede stessi diritti e stesse retribuzioni per lavoratore e lavoratrice. Infine stabilisce diritti specifici e agevolazioni per l’uno e l’altro sesso ma questi forse non

bastano.

CONTINUA A PAGINA 10

Page 2: Il cittadino

CITTADINANZA DIFFERENZIATA

Con il termine “cittadinanza differenziata”

si indica un particolare tipo di

cittadinanza, il cui aspetto fondamentale è

il riconoscimento dei gruppi etico – sociali

e l‟attribuzione di diversi diritti, e in alcuni

casi anche di diversi doveri, a ciascun

gruppo. Si ha quindi una cittadinanza

differenziata quando lo Stato, che è

l‟organo politico in cui generalmente si

riconosce la nazione, ammette che

all‟interno del proprio territorio sono

presenti altri gruppi etico – sociali oltre a

quello che ha creato la stessa nazione.

Un esempio di cittadinanza differenziata

può essere quello dell‟Italia moderna;

infatti, nel periodo che va dalla fine della

Prima Guerra Mondiale (1919) al XXI

secolo, nel nostro Paese sono state

approvate numerose riforme che si

rispecchiano idealmente nel concetto di

cittadinanza differenziata.

Sono state istituite alcune regioni a statuto

speciale (come il Trentino – Alto Adige; la

Valle d‟Aosta; il Friuli – Venezia Giulia;

la Sicilia e la Sardegna) che si

differenziano da altre regioni per alcune

caratteristiche territoriali, in quanto sono o

isole o territori di confine; per lingua,

infatti, nelle regioni di confine è

ufficialmente riconosciuta la doppia

lingua; e per tradizione, ad esempio il

Trentino – Alto Adige è entrato a far parte

del Regno D‟Italia solo dal 1919, quindi

da un punto di vista culturale è molto più

vicino a una nazione tedesca rispetto

all‟Italia. Nelle regioni a statuto speciale si

possono trovare le caratteristiche tipiche

della cittadinanza differenziata, i tre tipi di

diritti che possono essere assegnati a una

minoranza in un territorio nazionale: 1)

diritti multiculturali (il diritto a

un‟istruzione statale in una lingua diversa

da quella italiana ma comunque parlata

dalla maggioranza della popolazione di

quella particolare regione); 2) diritti di

rappresentanza speciale (nel Parlamento

Italiano sono presenti alcuni seggi che

spettano di diritto ai rappresentanti delle

minoranze del Paese, come gli abitanti

delle Province Autonome e gli Italiani

all‟estero); 3) diritti di autogoverno (nelle

regioni a statuto speciale il potere

esecutivo spetta, infatti, al governo

regionale e non a quello centrale; il potere

legislativo è del consiglio regionale, non

del Parlamento).

Inoltre nel 1948, alla fine della Seconda

Guerra Mondiale, con la stesura della

Costituzione Italiana, è stato concesso il

suffragio universale all‟intera cittadinanza

italiana, così tutte le donne sono entrate a

far parte della politica attiva della propria

nazione dopo lunghi secoli in cui ogni

aspetto della politica era in mano, fino al

„900, agli uomini dei ceti dominanti a cui

si sono successivamente aggiunti la totalità

dei cittadini italiani di sesso maschile

(1911). Questo era il primo passo verso

una cittadinanza differenziata anche per

quanto riguarda il rapporto uomo – donna.

Infatti, nel 1970, in Italia venne approvata

la legge che consentiva al popolo di

rendersi ancora più attivamente partecipi

alla vita politica: il popolo poteva

rappresentanti delle minoranze in

parlamento o nelle varie istituzioni: diritti

riconosciuti a gruppi particolari, diritti,

appunto, di cittadinanza differenziata.

La cittadinanza differenziata è

una scelta politica che garantisce il

riconoscimento a diversi gruppi etico –

sociali di diversi diritti, quindi si può

definire come una politica individualista,

in quanto ogni individuo di ogni gruppo

sociale, sia esso composto da milioni di

persone o da poche centinaia d‟individui,

gode di diritti che, anche se non si possono

definire ad personam, sono comunque

stati creati per favorire il gruppo sociale al

quale appartiene e, per riflesso,

favoriscono lui stesso. Questo però è

possibile solamente in uno stato di diritto. Se infatti lo stato non si assume

il compito di garante dei diritti individuali,

ma si limita ad amministrare

economicamente e giuridicamente la

nazione non è possibile avere una

cittadinanza differenziata. In uno stato non

di diritto la cittadinanza differenziata

verrebbe ad assumere le sembianze di una

cittadinanza discriminatoria: si pensi per

esempio alla Germania del Terzo Reich

(1940); agli Stati Uniti di metà Novecento

(1963: morte di J.F.Kennedy; 1968: morte

di Martin Luther King); al Cile di Pinochet

(1973). Tutti questi stati, anche se

governati da forme di politica diverse

(repubblica in Germania; repubblica

federale negli Stati Uniti; dittatura in Cile)

non garantivano e non riconoscevano

legislativamente l‟uguaglianza e l‟equità

tra gli individui: è stato così possibile che

un gruppo abbia preso il controllo dello

stato e delle istituzioni (con la forza in

Germania e in Cile, a causa

dell‟amministrazione federale negli Stati

Uniti) e abbia varato numerose leggi a

tutela esclusiva del proprio gruppo e

danno dei gruppi etico – sociali in

minoranza: si è così creata non una

cittadinanza differenziata garante di diritti

ma bensì discriminatoria. Sono state varate

leggi che garantivano solamente la

supremazia del più forte; da un punto di

vista filosofico si può dire che lo stato di

diritto si era così trasformato in uno stato

di natura dove il più forte aveva la totale

supremazia sul gruppo etico – sociale in

minoranza. Questo ha portato a genocidi,

tensioni e conflitti sociali, colpi di stato e

persino a una Guerra Mondiale. Questo rappresenta la

degenerazione della cittadinanza

differenziata che può essere considerata la

forma di politica migliore da un punto di

vista sociale, ma rimane comunque

abbastanza difficile da attuare, in quanto in

ogni stato, tranne che in uno stato di

diritto, è possibile usare la cittadinanza

differenziata in modo da favorire il gruppo

sociale dominante: questo crea tensioni

sociali che finiscono per ledere l‟armonia

all‟interno dello stato. Per questo si è

sviluppato nel corso degli anni un nuovo

tipo di cittadinanza che favorisca

“l'integrazione delle diverse culture

all'interno di una democrazia liberale e

pluralista, nella quale cioè tutti i cittadini

rispettino le stesse regole e attribuiscano

valore alla diversità e al dissenso” (G.

Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e

estranei. Saggio sulla società multietnica;

Milano, Rizzoli 2000).

Continua pag. seguente

P A G I N A 2

promuovere una legge o modificarla con

un referendum. Questo consentì, sempre

nel 1970, l‟approvazione della legge che

consente alle donne di chiedere e ottenere

il divorzio, fino ad allora diritto solamente

maschile. L‟allargamento dei diritti delle

donne può, a prima vista, sembrare un

aspetto caratteristico della cittadinanza

cieca, in quanto si concedono alle donne

gli stessi diritti caratteristici della parte di

cittadinanza di sesso maschile, ma in realtà

è il primo passo verso una cittadinanza

differenziata. Infatti il riconoscimento di

un nuovo gruppo etico – sociale, quello

della cittadinanza di sesso femminile, apre

la strada a una differenziazione di diritti:

una volta riconosciuta la differenza tra

cittadini e cittadine, si è iniziato a

modificare alcune leggi e a crearne di

nuove per consentire alla donna prima la

parità di diritti e successivamente di

averne di nuovi (per es. maternità e

pensione anticipata).

Da un punto di vista storico –

filosofico la cittadinanza differenziata è

l‟inevitabile conseguenza della nascita

delle nazioni e degli stati multinazionali e/

o multietnici. Infatti è facile capire come,

in questi stati, le decisioni politiche ed

economiche della nazione o etnia

dominante (numericamente e/o

militarmente) possano ledere le culture

minoritarie o addirittura pregiudicarne le

possibilità di sopravvivenza. Lingua

nazionale, festività ufficiali, istruzione,

accesso alle cariche pubbliche: tutto può

essere controllato dalla nazione o etnia

dominante. Se avviene questo, l‟equità

(che rimane una delle caratteristiche

principali dello stato di diritto) non viene

rispettata: lo stato di diritto deve quindi

intervenire per compensare tale svantaggio

e per garantire la sopravvivenza dei

contesti sociali e culturali in assenza dei

quali i membri delle culture minoritarie

non potrebbero esercitare quei diritti e

quelle libertà che i membri della cultura

maggioritaria danno per scontati. A questo

scopo lo stato deve fornire alle culture

minoritarie strumenti per proteggersi dalle

decisioni della maggioranza (e per

sopravvivere separate, se così scelgono di

essere), come poteri di veto alla

legislazione su linguaggio e cultura, limiti

ai poteri del governo nazionale

sull'amministrazione delle loro terre,

Didascalia dell'immagine o della fotografia

I L C I T T A D I N O

“Per attirare l'attenzione del lettore,

inserire qui una citazione o una frase

tratta dal testo.”

DIFFERENZIATA O “CIECA”?

La cittadinanza da ieri a oggi …. sviluppo ed evoluzione

Page 3: Il cittadino

P A G I N A 3

I L C I T T A D I N O

CITTADINANZA “CIECA”

Con il termine “cittadinanza

cieca” si indica un particolare tipo di

cittadinanza il cui aspetto fondamentale è

il completo abbattimento di ogni

differenziazione etica – sociale e il

mancato riconoscimento di diversi gruppi

etico – sociali all‟interno di una stessa

nazione. Lo Stato, inteso come organo

politico in cui si riconosce una nazione,

non tutela in alcun modo le minoranze

etniche presenti all‟interno del territorio

nazionale ma considera ogni individuo

uguale a tutti gli altri che abitano lo stesso

territorio; ci sono quindi diritti e doveri

uguali per tutti, diritti e doveri che si

rispecchiano nell‟ideale di nazione proprio

del gruppo sociale dominante, il gruppo

sociale in cui si riconosce la nazione (per

es. Italia e italiani; Francia e francesi;

ecc.).

Un esempio di cittadinanza cieca può

essere l‟organizzazione sociale (non

politica) del Cristianesimo dei primi 100-

200 anni d.C. e l’organizzazione politica e

sociale del successivo Stato Pontificio. La

morale cristiana che costituiva la base

della società cristiana dei primi secoli dopo

Cristo si può considerare l‟antenata della

moderna cittadinanza cieca: infatti, nel

Cristianesimo presero molta importanza

valori morali come l‟uguaglianza tra gli

uomini, l‟amore per il prossimo el‟uguale

considerazione che Dio aveva per tutti.

All‟interno di questa società primordiale

non vi era un vero e proprio capo che non

fosse Dio stesso o colui che veniva

considerato come il portavoce delle idee

diffuse da Cristo (San Pietro e

in ambito cristiano prima e

pontificio poi, era molto simile all‟idea che

noi abbiamo di cittadinanza cieca.

Molto simile, ma non uguale in

quanto non esiste un‟organizzazione

politica e sociale del passato che equipari

senza alcuna distinzione l‟uomo alla donna.

Infatti, secondo il concetto di cittadinanza

cieca la donna e l‟uomo non dovrebbero

essere distinti in quanto individui di sesso

diverso, ma dovrebbero essere considerati

esattamente degni degli stessi diritti e

doveri in quanto membri di una stessa

nazione.

doveri. I diritti e i doveri presi a modello

per la nascita della nuova popolazione

nazionale furono quelli piemontesi:

ancora oggi, la nostra Costituzione si

fonda sullo Statuto Albertino del regno

sabaudo.

Questo processo di “italianizzazione”

funzionò relativamente bene e, anche

grazie all‟avvento della televisione nella

seconda metà del Novecento, oggi l‟Italia

è un Paese unito dal punto di vista sociale;

certo, rimangono alcuni pregiudizi e

perplessità riguardo agli abitanti di altre

regioni, ma in generale la popolazione

italiana appare omogenea, esiste

un‟identità nazionale; questo è un merito

della politica della cittadinanza cieca.

Tuttavia in altri Paesi europei

non andò ugualmente bene. E‟ il caso

della Spagna. Unificata già nel 1479, con

il famoso matrimonio tra Ferdinando

d‟Aragona e Isabella di Castiglia, la

Spagna, ancora oggi a regime

monarchico,ha intrapreso sin

dall‟unificazione una politica di

cittadinanza cieca. Sono stati messi a

tacere, spesso con interventi militari e

sanguinose repressioni, tutte i tentativi di

indipendenza attuati dalle regioni basche

e catalane controllate economicamente e

politicamente dal governo centrale di

Madrid. Sia i baschi sia i catalani si

considerano un popolo diverso dal popolo

spagnolo: entrambi parlano una loro

lingua, considerata alla stregua di un

dialetto da parte dell‟amministrazione

centrale; riconoscono una propria

bandiera; s‟identificano in un altro ceppo

etnico rispetto al gruppo sociale spagnolo

(i baschi riconoscono le proprie origini

dal ceppo celtico e non da quello

indoeuropeo, similmente ai bretoni in

Francia e agli irlandesi in Gran Bretagna);

inoltre non considerano l‟inno nazionale

spagnolo come proprio inno nazionale.

Insomma sia i baschi sia i catalani

vogliono la nascita di un altro stato

nazionale diverso e opposto a quello

spagnolo: inseguono la creazione di uno

stato nazionale basco e di uno stato

nazionale catalano. Ma per motivi

economici, più che politici o sociali, il

governo centrale spagnolo ha sempre

negato l‟indipendenza a queste due

regioni: si sono venuti così a creare

numerosi conflitti sociali, esplosi poi in

organizzazioni terroristiche (come l‟ETA)

che compiono atti di guerriglia con il solo

scopo di indebolire il governo centrale e

conquistare l‟indipendenza. La

cittadinanza cieca ha portato, in questo

caso, a una serie di convivenze forzate

all‟interno di quello che dovrebbe essere

uno stato nazionale ma che, in realtà, non

è.

La cittadinanza cieca è garante

di diritti fondamentali quali l‟equità e il

rispetto reciproco ma deve

necessariamente essere limitata a un

territorio in cui effettivamente vive un

solo popolo, un solo gruppo sociale; solo

in questo modo, infatti, sarà possibile

applicare la cittadinanza cieca senza

attuare alcun tipo di discriminazioni che

avranno come inevitabile conseguenza il

lento ma inesorabile indebolimento

dell‟armonia interna e del potere dello

Stato.

“Per attirare l'attenzione del lettore,

inserire qui una citazione o una frase

tratta dal testo.”

Questo tipo di visione della società si ha

per esempio nell‟Italia post-guerra

mondiale, quando alla donna viene

concesso il diritto di voto oltre ad altri

diritti di minore importanza, ma si trattava

solo di una fase di transizione tra il potere

oligarchico tipico del regno monarchico e

quello democratico della repubblica; infatti,

una volta riconosciuti uguali diritti alla

donna, in pochi anni si è passati alla

differenziazione di diritti tra uomo e donna

e quindi a una cittadinanza differenziata.

Da un punto di vista storico –

filosofico la cittadinanza cieca è la forma di

cittadinanza che deriva direttamente

dall‟ideologia nazionalista che è stata

predominante dalla metà dell‟800 sino alla

fine del XX secolo. L‟ideologia

nazionalista, che fra le tante conseguenze

ha portato allo sviluppo delle nazioni, era a

forte impronta etnica: infatti, veniva visto

come necessaria la creazione di alcuni stati

nazionali, per rendere indipendenti tutti i

membri di un particolare gruppo sociale che

era la maggioranza in un determinato

territorio; per questo motivo andava

riconosciuta l‟indipendenza di questo

gruppo in termini politici ed economici: ciò

era possibile solo con la creazione di un

nuovo stato nazionale. All‟interno di questo

nuovo stato, in teoria, doveva vivere solo il

particolare gruppo sociale che aveva lottato

per la sua creazione (in Italia, italiani; in

Francia, francesi; e così via); era tuttavia

difficile identificare esattamente un

territorio in cui viveva un solo gruppo

sociale, infatti, nel periodo tipico del

feudalesimo, le popolazioni europee e

mondiali si erano mischiate.

Così si è arrivati alla creazione di

stati nazionali senza una vera e propria

nazione: per esempio, quando nacque il

Regno d‟Italia, nel 1861, nacque uno stato

nazionale, lo Stato degli italiani, ma non

c‟era una popolazione omogenea nella

penisola. Ogni regione aveva le proprie

caratteristiche sociali profondamente

diverse dalle altre: per rendere l‟Italia uno

stato nazionale vero e proprio era

necessario ricondurre ogni gruppo sociale

(che possiamo identificare all’incirca con

ogni regione) a caratteristiche sociali ed

economiche il più simile possibile a quelle

di ciascun altro gruppo sociale: in poche

parole era necessario omogeneizzare la

popolazione della penisola (“Abbiamo fatto

l‟Italia, ora dobbiamo fare gli italiani” M.

D‟Azeglio). Ciò era possibile solo con una

cittadinanza cieca: andavano garantiti

uguali diritti e uguali doveri a ciascun

gruppo sociale presente nella nazione:

questi dovevano essere i nuovi diritti e i

nuovi doveri degli italiani a cui ciascun

gruppo sociale doveva adeguarsi

tralasciando i vecchi diritti e i vecchi

Didascalia dell'immagine o della fotografia

successivamente i papi). Ogni

individuo aveva esattamente gli stessi

diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri

membri della comunità, allo stesso modo

nella moderna cittadinanza cieca ogni

persona ha esattamente gli uguali diritti e

gli uguali doveri propri di ogni altro

cittadino di quella determinata nazione.

Questo concetto

dell‟uguaglianza tra gli uomini si è anche

sviluppato all‟interno dell‟istituzione più

simile a uno stato nazionale che la Chiesa

abbia mai sviluppato negli anni: lo Stato

Pontificio. Non esiste un governo e sia il

potere esecutivo che quello legislativo,

oltre a quello giudiziario, è proprio solo

del capo supremo dello stato: il Papa; ma il

Papa stesso si dichiara come portavoce,

rappresentante della volontà di Dio in

terra, quindi, da un punto di vista

puramente ideale, si può considerare il

Papa uguale a ogni altro membro dello

Stato Pontificio, inferiore solo a Dio e

superiore a nessun altro. Naturalmente non

fu realmente così, dato che il Papa aveva

praticamente potere di vita e di morte su

chiunque all‟interno del territorio statale e

godeva di una ricchezza che la

maggioranza della popolazione pontificia

riusciva a malapena a immaginare, ma

concettualmente la concezione del potere

Page 4: Il cittadino

L‟Italia è uno dei paesi più longevi

d‟Europa e del mondo. È il

secondo in Europa se si considera

la speranza di vita degli uomini e il

terzo, dopo Spagna e Francia, se si

considera quella delle donne.

L‟aumento della speranza di vita si

deve soprattutto alla diminuzione

della mortalità nelle età anziane,

riconducibile a molteplici fattori di

ordine medico-scientifico e sociale.

In generale le donne vivono più a

lungo degli uomini, anche se il loro

vantaggio nei paesi dell‟Europa

occidentale è andato

assottigliandosi, in conseguenza di

una omogeneizzazione dei

comportamenti e degli stili di vita.

Resta invece notevole nei paesi

Longevità

Famiglia e lavoro

La conciliazione del ruolo di lavoratrice e di madre

rappresenta per le donne di oggi una delle sfide

più complesse. La più intensa partecipazione al

mercato del lavoro fa sì che spesso la donna si

trovi sulle spalle le stesse responsabilità dell‟uomo

fuori casa e un carico ben più gravoso nella vita

familiare. Carico che dipende dalla cura dei figli e

della casa, ma anche, sempre più

spesso,dall‟accudimento di familiari anziani, malati

e o disabili. Sempre più spesso le donne italiane,

in mancanza di adeguati servizi, si rivolgono ad

altre donne, a volte parenti, a volte immigrate

(specie per la cura degli anziani),per il disbrigo delle faccende domestiche e il lavoro di cura. In tutti i paesi dell‟Unione europea

il tempo di lavoro totale delle donne è maggiore di quello degli uomini. Ciò è dovuto soprattutto al numero di ore che le donne

dedicano al lavoro domestico. Le donne italiane dedicano al lavoro più tempo rispetto a quelle residenti negli altri paesi

dell‟Europa occidentale con valori che si avvicinano a quelli dei paesi dell‟Europa dell‟Est. Vale la pena di sottolineare che

proprio all‟Italia appartiene il primato del tempo dedicato dalle donne al lavoro familiare. Contemporaneamente nel nostro paese

si registra il più elevato differenziale tra il tempo dedicato alla famiglia dalle donne e quello che allo stesso tipo di lavoro

dedicano gli uomini.

Per quanto riguarda la diffusione del part-time, le donne italiane sono ancora al di sotto della media Ue e vicino ai livelli di Francia

e Spagna. Sono invece molto lontane dai comportamenti delle olandesi che nel 75% dei casi lavorano a part-time. Per questo è

opinione diffusa che questo segmento di occupazione femminile possa ulteriormente svilupparsi in futuro. Per quanto riguarda

invece la diffusione del lavoro a tempo determinato, le italiane si collocano poco al di sopra della media Ue e vicino a Paesi Bassi

e Germania, che hanno però un tasso di occupazione femminile molto più elevato di quello del nostro Paese.

Continua pagina seguente.

P A G I N A 4 I L C I T T A D I N O

STATISTICHE DI GENERE Ecco come emerge il rapporto uomo—donna secondo alcuni importanti centri di ricerca europei

Page 5: Il cittadino

Istruzione

Le donne italiane, nonostante la forte crescita dell‟istruzione registrata, non hanno ancora

recuperato il divario esistente rispetto a altri paesi europei in tema di quota di popolazione

con alti livelli di istruzione. Nel 2005 lo svantaggio della popolazione italiana è

rappresentato nella figura relativa alla popolazione 25-34 anni con almeno un titolo di

scuola secondaria superiore per genere nei paesi Ue. Il nostro Paese si trova infatti

ancora molto nella agli ultimi posti della graduatoria riguardante la percentuale di donne

tra 25 e 34 anni con almeno un titolo di istruzione secondaria superiore, superato solo

dagli altri paesi mediterranei. In 18 paesi europei su 27 la quota di donne con livello di

istruzione superiore tra i 25-34enni è più elevata di quella degli uomini. I vantaggi più

rilevanti per le donne si registrano proprio nei paesi mediterranei.

In Italia Gli ultimi decenni della storia italiana sono caratterizzati dalla crescita del livello di istruzione delle donne. Nella fascia di

popolazione tra 25 e 44 anni le donne con un titolo superiore sono oggi relativamente più numerose degli uomini. Tra gli anni

scolastici 1970/71 e 2005/06 il tasso di conseguimento del diploma per le donne è più che triplicato e oggi le diciannovenni che

raggiungono il diploma sono quasi l‟80% e sono diventate più numerose dei ragazzi. Anche per quanto riguarda la laurea si sono

invertiti i rapporti di forza tra uomini e donne e oggi oltre il 28,1% delle 25enni raggiunge la laurea, contro il 19% tra i ragazzi.

Continua pagina seguente.

P A G I N A 5 I L C I T T A D I N O

Page 6: Il cittadino

Per quanto riguarda il

conseguimento della laurea,

nell‟anno scolastico 2004/05

i livelli più alti di

conseguimento per entrambi

i sessi e il vantaggio

maggiore per le donne

(+13,4%) si registrano nel

Centro. Inoltre, la figura

relativa ai laureati per genere

e regione di residenza

nell‟anno accademico

2004/05 mostra che sono

piccole regioni del Centro e

del Sud, come il Molise,

l‟Umbria e la Basilicata

quelle dove si osserva la

proporzione più elevata di

laureate ogni cento 25enni,

con proporzioni che

superano il 35% e arrivano a

Occupazione

L‟occupazione della popolazione in età lavorativa rappresenta uno degli

indicatori chiave per misurare le differenze di genere. Nel 2005 risultano

occupate il 45,3% delle donne tra i 15-64 anni contro il 69,7% degli uomini.

Anche per la classe di età in cui si raggiungono i livelli massimi di occupazione,

ovvero perle persone 35-44 anni, le differenze sono notevoli: 61,3% per le

donne e 91,2% per gli uomini. I differenziali di genere si riducono però al

crescere del livello di istruzione della popolazione: i tassi femminili variano

dal17,5% delle donne con licenza elementare al 73,3% di quelle con una laurea

o un dottorato, mentre per gli uomini variano dal 51,4% all‟84,2%. Nonostante

la crescita dell‟occupazione femminile degli ultimi decenni, la differenza in

termini di tassi di occupazione femminili tra l‟Italia e gli altri paesi europei è

ancora rilevante. I nostri tassi di occupazione femminile risultano inferiori a

quelli medi dell‟Unione europea per ogni classe d‟età. La figura relativa al

tasso di occupazione delle persone 15-64 anni per genere nei paesi Ue mostra

chiaramente l‟esistenza di un gap non soltanto rispetto ai paesi di Ue15, ma

anche a quelli di più recente adesione. L‟Italia, infatti, è oggi, dopo Malta, il

paese con i più bassi livelli di occupazione femminili di tutta l‟Unione. Inoltre,

considerando le classi di età, per le giovani il tasso tende ad aumentare con

l‟età più lentamente che nella media Ue e tende a decrescere già a partire dai

40 anni, in anticipo rispetto a quanto avviene negli altri paesi.

Continua pagina seguente.

I L C I T T A D I N O P A G I N A 6

Page 7: Il cittadino

In Italia I livelli più elevati di

occupazione femminile e i più

bassi differenziali tra uomini e

donne si osservano nel Nord del

paese. In particolare in Emilia-

Romagna, dove il tasso di

occupazione femminile è pari al

60%, e ha quindi raggiunto il

tasso obiettivo posto dalla

strategia di Lisbona, i tassi

femminili sono inferiori a quelli

maschili solo del 27%. Nel

Mezzogiorno, invece, i livelli

sono molto inferiori e i

differenziali di genere molto

elevati: in Puglia il tasso di

occupazio- ne femminile è,

infatti, meno della metà di quello

dell‟EmiliaRomagna ed è 2,3

volte più basso di quello

maschile. In questa ripartizione,

soltanto le laureate riescono in

qualche misura a superare le

difficoltà di trovare

un‟occupazione: i loro tassi,

infatti, sono più vicini a quelli

delle donne delle altre

ripartizioni.

Le differenze ancora esistenti dimostrano comunque che il grande investimento in istruzione fatto nei passati decenni dalle donne

italiane non ha ancora avuto il suo riconoscimento in termini di sbocchi professionali nel mercato del lavoro.

Nei livelli di disoccupazione di uomini e donne permangono differenze sensibili.

Nel 2005 il tasso riferito alle donne è pari al 10,1%, mentre quello degli uomini è

del 6,2%. Se raffrontata alla situazione del 1995, però, la disoccupazione

femminile è diminuita di oltre un terzo, mentre la diminuzione per gli uomini è stata

meno intensa. Differenze tra uomini e donne si osservano anche per i tassi di

disoccupazione giovanile (15-24 anni): le ragazze presentano un tasso del 27,4%,

contro il 21,5% dei ragazzi. Un differenziale a svantaggio delle donne si registra

anche considerando la disoccupazione per livello di istruzione: le disoccupate con

livello di istruzione universitario sono il 7,7%, contro il 4,4% degli uomini.

Disoccupazione

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I L C I T T A D I N O P A G I N A 7

Page 8: Il cittadino

In 21 paesi europei su 27 la disoccupazione femminile supera quella maschile. I tassi di disoccupazione femminile collocano i l

nostro Paese nel gruppo d coda della graduatoria europea, insieme a Germania e Francia, ma a qualche distanza da Polonia,

Slovacchia, Grecia, paesi in cui i tassi femminili superano largamente il 15%. L‟alta disoccupazione delle donne nei paesi

mediterranei è legata a un modello di offerta di lavoro , in cui si tende a privilegiare l‟occupazione dei capi famiglia maschi in età

adulta a svantaggio dell‟occupazione delle donne e dei giovani. In altri paesi, in cui l‟occupazione femminile raggiunge livelli

elevati, come nel Regno Unito, non solo la disoccupazione delle donne è ai livelli minimi europei, ma la disoccupazione maschile

è più rilevante di quella femminile.

In Italia Grandi differenze territoriali

riguardo ai tassi di

disoccupazione si osservano nel

Paese, sia nei livelli, sia nei

differenziali tra uomini e donne.

Sicilia, Puglia e Calabria sono le

regioni in cui la disoccupazione

femminile (come del resto quella

maschile) risulta più elevata. In

queste regioni i tassi femminili

superano ancora il 20%, anche

se dieci anni prima arrivavano a

superare il 30%. Dal 1995 al

2005, Friuli-Venezia Giulia,

Piemonte e Marche sono le

regioni che hanno visto diminuire

maggiormente la

disoccupazione femminile,

mentre in Calabria e Basilicata

l‟indicatore è peggiorato o

rimasto stazionario.

Le differenze tra i tassi maschili e femminili sono maggiori nel Mezzogiorno e mentre per gli uomini tendono a diminuire al

crescere del livello di istruzione, per le donne sono maggiori tra coloro che hanno ottenuto la licenza media. Le differenze

maggiori si osservano in Abruzzo e nella provincia di Trento, dove i tassi femminili sono quasi tre volte superiori a quelli maschili.

Il Lazio e la Calabria presentano i differenziali di genere più bassi, anche se: i tassi femminili sono comunque di un terzo superiori

a quelli maschili.

Rappresentanza parlamentare

La percentuale di donne elette nelle assemblee parlamentari a suffragio diretto costituisce uno degli indicatori adottati in sede

nazionale e internazionale per la valutazione della partecipazione femminile all‟attività politica. Le quote di parlamentari italiane

elette nelle assemblee nazionali sono pari a circa il 14% degli eletti al Senato della Repubblica e al 17% alla Camera dei deputati.

Nel confronto con i paesi Ue la rappresentanza parlamentare delle donne italiane risulta modesta. Se rapportata alle equivalenti

rappresentanze nazionali comunitarie la quota di deputate elette in Italia alla Camera dei deputati si colloca ampiamente al di

sotto delle percentuali dei paesi nordici e della Spagna (tutte superiori al 36%). Va segnalato che mentre in Danimarca, Norvegia,

Finlandia e Svezia il confronto non è completamente applicabile per la presenza di una sola Camera, nei Paesi Bassi e in Spagna

la sussistenza di due rami parlamentari rende congruente la comparazione con il caso nazionale. Rispetto alle Camere di quest i

due paesi le quote di deputate italiane risultano in entrambi i casi inferiori di oltre 18 punti percentuali, mentre la rappresentanza

femminile al Senato della repubblica è nettamente inferiore a quella del Senato spagnolo (-9,3 punti percentuali) e della Camera

alta olandese (-15,1 punti percentuali). Tra i sistemi politici bicamerali anche in Germania e nel Regno Unito si rilevano quote di

rappresentanza femminile superiori a quelle italiane in entrambe le assemblee, pur con differenze percentuali meno accentuate;

in Francia solo alla Camera bassa la quota femminile (12,2%) è inferiore a quella italiana, mentre al Senato l‟indicatore supera di

3 punti percentuali quello nazionale. Considerando la quota di deputate elette dall‟Italia al Parlamento europeo, pur essendo la

percentuale superiore a quella delle elette nelle Camere nazionali (19,2%), il divario rispetto agli altri paesi non muta (media Ue

30,3%). Solo Cipro e Malta (entrambe senza rappresentanza femminile) e la Polonia registrano “quote rosa” inferiori a quelle

delle elette italiane. All‟opposto in Svezia la percentuale di donne elette (57,9%) supera quella degli uomini di quasi 16 punti

percentuali, mentre in nei Paesi Bassi, in Slovenia, in Francia e nel Lussemburgo si rilevano valori superiori di oltre 10 punti

rispetto al valore medio comunitario.

I L C I T T A D I N O P A G I N A 8

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Page 9: Il cittadino

In Italia La rappresentanza femminile nel parlamento

italiano, pur decisamente minoritaria, si è

rafforzata nell‟ultima legislatura: alla Camera dei

deputati le donne sono pari al 17,1 degli eletti,

mentre al Senato della repubblica le senatrici

rappresentano il 14% dell‟assemblea. Le quote

risultano in assoluto le più elevate della storia

parlamentare, in entrambe le camere, e

invertono la tendenza negativa della decrescita

della rappresentanza femminile in Parlamento

prodottasi nel corso degli anni Novanta, dopo il

picco registrato nella XII legislatura.

Il dato acquista ulteriore valenza positiva considerando la distribuzione delle elette per classe di età. Infatti, i rapporti tra le

rappresentanze di genere risultano meno sbilanciati a favore degli uomini nell‟ambito delle classi più giovani (25-29 e 29-39 alla

Camera e 40-49 al Senato); tale dato, considerato anche il forte tasso di rielezione in successive legislature che caratterizza il

nostro Paese, lascerebbe supporre un ulteriore consolidamento delle quote delle elette anche nelle classi più anziane, nel corso

delle future legislature.

Dati aggiornati l’11 gennaio 2010: 82% uomini e 18% donne.

Partecipazione sociale

L‟appartenenza a organizzazioni di volontariato e il

prestare attività gratuite per sindacati, associazioni

ecologiche o altre associazioni rappresentano

un‟importante dimensione della partecipazione sociale: in

Italia quasi 4 milioni e mezzo di persone si impegnano

gratuitamente prestando la loro attività in associazioni di

volontariato e poco meno di 2 milioni in altre associazioni;

più di 9 milioni hanno versato soldi a un‟associazione e

circa 700 mila svolgono attività gratuita per un sindacato.

Rispetto agli uomini, le donne italiane presentano tassi

meno elevati di partecipazione alle forme di

associazionismo, ma dall‟analisi dei dati riferita a profili

più specifici risulta che, soprattutto nelle classi di età più

giovani e tra le persone occupate, i tassi di partecipazione

femminile superano quelli maschili.

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Page 10: Il cittadino

PAVEL

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Page 11: Il cittadino

SONDAGGIO CITTADINO

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Ragazzi Ragazze Uomini Donne

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Scol Fam Leg Lav Soc

Ragazzi Ragazze Uomini Donne

Nella società italiana vengono applicate,

secondo lei, discriminazioni basate sul sesso?

Se sì, in quale

ambito?(scolastico,familiare,legislativo,lavorativo,

sociale)

Secondo la sua esperienza personale,ritiene che

i suoi diritti di cittadino/a vengano garantiti?

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Si No

Ragazzi Ragazze Uomini Donne

A suo parere, è giusto che uomini e donne

godano di diritti diversi?

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9 domande per 250 persone … ecco le risposte

Page 12: Il cittadino

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E’ giusto consentire alle donne le stesse

attività lavorative che un tempo erano

prerogativa di soli uomini e viceversa?

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Si No

Ragazzi Ragazze Uomini Donne

I diritti specifici della donna sono già previsti

dalla normativa italiana,pensa che siano

sufficienti?

Pensa che anche all’uomo spetti un

periodo di “paternità” simile a quello che

la legge riconosce alla donna?

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Ragazzi Ragazze Uomini Donne

Alla donna in quanto madre e moglie viene

preclusa la possibilità di avere una carriera

lavorativa uguale a quella dell’uomo?

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Page 13: Il cittadino

Se lei fosse ministro delle pari

opportunità:

a) Negherebbe alle donne l’accesso

ad alcune attività lavorative

b) Negherebbe agli uomini l’accesso

ad alcune attività lavorative

c) Riconoscerebbe anche all’uomo il

diritto di intervenire in decisioni

per ora puramente femminili

(aborto, pillola del giorno dopo,

ecc…)

d) Promulgherebbe una legge per

rendere obbligatoria una

percentuale rilevante (50%) di

donne in Parlamento

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Dalla teoria alla pratica … Proposte dei nostri intervistati per rendere la normativa migliore

Più severità nelle leggi contro gli abusi e le violenze sulle donne

Leggi migliori che proteggono il salario e il posto di lavoro durante il periodo di maternità

Maggiore tutela nei confronti dell’immagine femminile

Quote di genere per occupazioni di lavoro di alta responsabilità ( per esempio in ambito politico) e equità di stipendio a

parità di mansione

Potenziamento dei servizi a sostegno della famiglia

Maggiori incentivi alle aziende per favorire il lavoro a casa

Campagna di sensibilizzazione culturale riguardo l’argomento rivolto soprattutto alle nuove generazioni ( per esempio

ribadire che il compito di gestione della famiglia non è specifico della donna)

Maggiori strutture di assistenza (asili sul posto di lavoro, mense …) per permettere o agevolare la carriera della donna.

Garanzia in caso in cui l’uomo abbia un ruolo attivo e importante nella vita della donna del suo diritto di paternità

(anche se la donna è contraria)

Miglior organizzazione periodo di maternità per poter usufruire meglio delle risorse statali anche per altri ambiti

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Articolo finale ultima parte