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Il bestiario fantastico sugli impasti di età orientalizzante e arcaica nella Sabina tiberina

Jan 24, 2023

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Maria Cristina Biella, Enrico Giovanelli, Lucio Giuseppe Perego(a cura di)

Il bestIarIo fantastIco dI età orIentalIzzante nella penIsola ItalIana

arIstonotHosScritti per il Mediterraneo antico

Quaderni, n. 1(2013)

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Il bestiario fantastico di età orientalizzante nella penisola italianaMaria Cristina Biella, Enrico Giovanelli, Lucio Giuseppe Perego (a cura di)Copyright © 2012 Tangram Edizioni ScientificheGruppo Editoriale Tangram Srl – Via Verdi, 9/A – 38122 Trentowww.edizioni-tangram.it – [email protected]

Prima edizione: dicembre 2012, Printed in ItalyISBN 978-88-6458-069-2

Collana ARISTONOTHOS – Scritti per il Mediterraneo antico – Quaderni n. 01

DirezioneFederica Cordano, Giovanna Bagnasco Gianni

Comitato scientificoCarmine Ampolo, Pietrina Anello, Gilda Bartoloni, Maria Bonghi Jovino, Giovanni Colonna, Tim Cornell, Michel Gras, Pier Giovanni Guzzo, Jean-Luc Lamboley, Mario Lombardo, Nota Kourou, Annette Rathje, Henry Tréziny

In copertina: Il nome di Aristonothos. Le “o” sono scritte come i cerchi puntati che compaiono sul cratere.Immagine tratta da R. Paribeni, Necropoli del territorio capenate, in “MonAnt”, XVI, 1906 (riela-borazione di M. C. Biella).

Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina.

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Questa serie vuole celebrare il mare Mediterraneo e contribuire a sviluppare temi, studi e immaginario che il cratere firmato dal greco Aristonothos ancora oggi evoca. Deposto nella tomba di un etrusco, racconta di storie e relazioni fra culture diverse che si svolgono in questo mare e sulle terre che unisce.

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Sommario

Premessa 11

Tra età del Ferro e orientalizzante antico

Ricerche sul tema del bestiario fantastico di età orientalizzante. I precedenti della prima età del Ferro: continuità o discontinuità? 15Luciana Drago

I cani e le testuggini de La Petrina: animali reali o fantastici da Narce? 35Jacopo Tabolli

L’Orientalizzante

Il bestiario nella ceramica italo-geometrica di età orientalizzante in Etruria meridionale 55Sara Neri

Il Bestiario fantastico nella white-on-red in Etruria e nell’Agro falisco 77Lucilla Medori

Il lungo viaggio dei Mischwesen. La trasformazione del bestiario orientalizzante nell’Italia centrale 117Maria Cristina Biella

Il bestiario fantastico sugli impasti di età orientalizzante e arcaica nella Sabina tiberina 145Magda Cantù

Fantastic animal stamps on bucchero from Poggio Colla 171Phil Perkins

Esseri fantastici alle origini della glittica preromana: spunti preliminari su alcuni intagli 189Enrico Giovanelli

Il bestiario di età orientalizzante e arcaica in area picena: modelli di riferimento e tradizioni locali 207Alessandra Coen

Le prime sfingi in Etruria: iconografie e contesti 239Ferdinando Sciacca

I centauri e le sfingi nell’Etruria di età orientalizzante: tra decorazione e narrazione 287Elena Smoquina

Il problema dei centauri 315Massimiliano Di Fazio

Viaggiando sulle ali del centauro. Un nuovo motivo a cilindretto con il centauro alato dal tumulo del Molinello di Asciano 337Andrea Martelli

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La pisside della Pania e la vera Scilla 351Francesca Brizzi

Ram-Headed Oinochoai 371Maria Taloni

L’età arcaica e oltre

Aurea monstra. La rappresentazione dell’animale fantastico negli anelli a “cartouche” etruschi di epoca arcaica 401Chiara Procacci

I mostri marini: la rappresentazione del tritone nell’arte etrusca arcaica 433Viviana Traficante

Tra fuoco e vino: la metamorfosi dei centauri su una pelike a figure nere da Pontecagnano 449Alessandra Gobbi

A proposito di Mischwesen cinomorfi: commistioni animali-uomo tra “lettura del reale” e rito 489Lucio G. Perego

Leoni-Capri: qualche annotazione sulla stele felsinea n. 82 505Flavia Morandini

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Il bestIarIo fantastIco dI età orIentalIzzante nelle penIsola ItalIana

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Premessa

L’Italia centrale tirrenica nel VII sec. a.C. è ormai da tempo pienamente inserita in un ricco circuito di scambi e commerci a livello mediterraneo. Seppur infatti le fonti attribuiscano all’arrivo di De-marato di Corinto a Tarquinia una rivoluzione tecnica e artistica in Etruria, già almeno dal secolo precedente nella medesima città e negli altri centri costieri tirrenici il contatto con il mondo greco e levantino permette un celere e notevole sviluppo del tessuto sociale indigeno.

In generale il fenomeno cosiddetto Orientalizzante, su cui si è dibattuto ampiamente anche in tempi recenti, è attualmente ancora all’attenzione di sistematiche indagini, nel cui filone si inserisce anche la presente, per contribuire a un migliore discernimento dell’entità dei contatti diretti e indi-retti esistiti con i diversi ambiti mediterranei. Le conseguenze di queste relazioni nei settori anche più interni della Penisola Italiana, sulla base dei dati attualmente a disposizione, permettono di postulare perlopiù contatti di “seconda mano” o comunque più rarefatti rispetto a quelli avvenuti in ambito costiero.

In questo quadro, che presenta un’articolazione complessa e tonalità che spesso sfumano le une nelle altre, uno degli aspetti forse più evidenti e facilmente percepibili è, come si vedrà, l’evoluzione nelle produzioni artigianali etrusche e italiche di un interessante e variegato bestiario fantastico, che in buona parte affonda le sue radici in ambito lato sensu orientale e greco, ma la cui sopravvivenza nel corso del VII secolo a.C. e oltre è in un certo senso garantita dalle e legata alle differenti riletture locali, che spesso rielaborano liberamente i modelli allotri, dando vita a figurazioni parzialmente o del tutto nuove.

Negli ultimi decenni lo studio sistematico di ampi settori dell’artigianato artistico di età orien-talizzante, cui ampi rimandi sono fatti nei singoli contributi del volume, ha permesso di gettare le basi per avviare l’analisi dettagliata di questo fenomeno nell’Italia antica. Grazie anche a questi studi è parso sempre più evidente come l’indagine su questo repertorio figurativo fosse in qualche modo da considerare un campo privilegiato per comprendere più approfonditamente il fenomeno cosiddetto orientalizzante in Italia. A tal proposito considerazioni metodologiche preliminari e una prima raccolta del materiale a disposizione su di un ampio lasso cronologico sono state messe a disposizione in anni assai recenti da Giovannangelo Camporeale e Ingrid Krauskopf nel Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, autori rispettivamente delle voci Monstra anonyma in Etruria e Daemones anonymi in Etruria.

Con questo volume, che inaugura i Quaderni della serie Aristonothos, Scritti per il Mediterraneo Antico, è nostra intenzione creare un dossier di partenza, con il fine di attirare ulteriore attenzione sul fenomeno e suscitare un dibattito, coinvolgendo studiosi che da diversi punti di vista (archeolo-gico, storico artistico, antropologico, ecc.) e a diversi gradi di approfondimento hanno incontrato nella propria ricerca questo aspetto della cultura figurativa.

Il progetto, nato nel 2010, si proponeva in particolare di sondare le modalità con cui le forme degli ibridi si erano andate sviluppando nel periodo Orientalizzante nell’Italia antica, creando una nuova cultura figurativa e dando vita a un bestiario in parte genuinamente etrusco e italico, per il quale manca a oggi ancora una sistemazione complessiva. Di pari passo si volevano indagare le modalità con cui questo stesso repertorio aveva lasciato tracce nella variata temperie culturale dell’arcaismo.

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12 Premessa

Ci è parso che il modo migliore per suscitare il dibattito fosse la raccolta di contributi tramite una call for papers, apparsa nel dicembre del 2010. La possibilità inoltre di pubblicare un dossier in un volume, nella sua duplice versione cartacea e online, va nella direzione di renderlo accessibile a un pubblico il più ampio possibile e di progettare incontri di studio e dibattiti.

I venti contributi selezionati e raccolti, lungi dal voler tracciare un quadro definitivo, vogliono dunque essere un invito alla discussione. Essi sono stati organizzati in tre sessioni, ordinate secondo una prospettiva cronologica.

Una prima sessione è dedicata all’analisi delle preesistenze del bestiario orientalizzante, con il fine di valutare, tramite casi di studio specifici, i fenomeni di continuità e di discontinuità tra l’Età del Ferro e il periodo Orientalizzante (L. Drago per l’Etruria Meridionale e J. Tabolli per il compren-sorio falisco).

La seconda sessione va, per così dire, al cuore del problema e ospita contributi che riguardano direttamente il periodo cosiddetto orientalizzante. A studi incentrati sull’analisi delle attestazioni e dello sviluppo del bestiario su singole classi di materiali (S. Neri, L. Medori, E. Giovanelli) o in specifici comparti territoriali (M. C. Biella, M. Cantù, A. Coen), se ne affiancano altri che hanno lo scopo di analizzare la nascita e lo sviluppo di singoli Mischwesen (F. Sciacca, E. Smoquina, M. Di Fazio). Nell’ambito della presentazione di nuovi rinvenimenti utili a incrementare la banca dati del bestiario orientalizzante vanno a inserirsi i lavori di P. Perkins e di A. Martelli. Riletture, infine, di monumenti già noti con proposte di nuove letture caratterizzano i lavori di F. Brizzi e di M. Taloni.

La terza e ultima è dedicata infine alle sopravvivenze del bestiario orientalizzante in età arcaica e oltre. Anche in questo caso accanto all’analisi di una classe di materiale (C. Procacci), il volume ospita studi su singoli tipi di figurazioni mostruose (V. Traficante, L. G. Perego) e contributi che presentano nuovi rinvenimenti e letture di Mischwesen (A. Gobbi, F. Morandini).

Prima di entrare nel vivo della materia vorremmo ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto. La Prof.ssa Giovanna Bagnasco Gianni ha sostenuto sin dall’i-nizio questa idea, dandoci preziosi consigli e seguendo con interesse e disponibilità il suo sviluppo. A lei e alla Prof.ssa Federica Cordano vanno i nostri più sentiti ringraziamenti per avere accolto il dossier in questa sede editoriale. Ai revisori anonimi, che hanno analizzato tutti i contributi giunti, esprimiamo la nostra gratitudine per avere con severità e autorevolezza lavorato al miglioramento non solamente dei singoli articoli, ma dell’intero volume. Infine, a tutti gli amici e colleghi che hanno aderito alla call for papers e che hanno lavorato alla realizzazione di questo dossier va un rin-graziamento particolare: senza di loro il nostro progetto non avrebbe preso corpo.

Maria Cristina BiellaEnrico Giovanelli

Lucio G. Perego

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Magda CantùMagda Cantù*

Introduzione1

L’esame dei motivi animali fantastici attestati nella Sabina tiberina riveste particolare interesse non solo perché contribuisce alla conoscenza del bestiario orientalizzante ma anche perché consente di procedere nella definizione delle peculiarità e delle influenze reciproche della produzione artigia-nale in impasto di tre ambiti territoriali finitimi, sabino, capenate e falisco, che per diverse ragioni è rimasta a lungo incerta e indistinta. La ripresa degli studi dei materiali falisci e capenati2 ha già prodotto notevoli risultati, che si spera possano essere confermati e accresciuti dall’indagine del territorio sabino, a essi fortemente legato sul piano geografico e storico. Altrettanto importante si prospetta l’analisi dei temi decorativi nell’ottica di una riconsiderazione dell’apporto sabino alla produzione artigianale dei territori situati nelle moderne regioni di Umbria, Marche e Abruzzo, alla luce della gran mole di nuovi materiali rinvenuti nei recenti scavi3.

Questo contributo si basa sulle pubblicazioni ma anche sull’analisi dei reperti in parte inediti conservati nel Museo Civico di Magliano Sabina e nel Museo Nazionale Archeologico di Firenze. Fra questi ultimi si notano alcuni frammenti, sulla cui provenienza sabina non resta altra documen-tazione che i cartellini posti all’interno delle vetrine dei magazzini con una generica indicazione “Poggio Sommavilla”. Lo sconvolgimento dei materiali derivato dall’inondazione di Firenze del 1966 impone una doverosa cautela nella considerazione dell’affidabilità di queste indicazioni. La ricerca d’archivio ha rinvenuto un carteggio tra lo scavatore Fausto Benedetti e Luigi Milani, allora direttore del museo, che attesta il liberale dono all’istituzione museale di alcuni frammenti dei quali si dichiara la provenienza da Poggio Sommavilla4. Purtroppo però va osservato che Benedetti non costituisce una fonte di sicura attendibilità e che avendo egli scavato anche sull’opposta riva del Te-

* Sapienza Università di Roma.1 Si desidera ringraziare i direttori del Museo Civico di Magliano Sabina e del Museo Nazionale Archeologico di Firen-ze, la Dott. ssa Paola Santoro e la Dott. ssa Giuseppina Carlotta Cianferoni, per avermi concesso di accedere a tutti i materiali e a tutti i documenti pertinenti la ricerca. Un particolare ringraziamento va inoltre alla Prof. ssa Giovanna Bagnasco Gianni e alla Dott. ssa M. Cristina Biella per avermi coinvolto in questo progetto. Infine la mia gratitudine va alla Prof. ssa Gilda Bartoloni, sempre disponibile a preziosi consigli e aiuti. 2 Benedettini 1996, Benedettini 1999, Benedettini 2007, Biella 2007a, Biella 2010a, Biella 2011a, Biella 2011, Carlucci-De Lucia 1998, De Lucia 1998; Gatto 2006; Mangani 2009; Sgubini Moretti 2004; Sommel-la Mura 2004-2005. 3 Solo per limitarmi ad alcune opere e contributi particolarmente significativi vd. per l’Umbria Della Fina 2001, Angelelli-Bonomi Ponzi 2006, Bonomi Ponzi 1997; per le Marche vd. I Piceni e l’area medio-adriatica 2003, Pice-ni popolo d’Europa 1999, Archeologia nel maceratese 2000; De Marinis-Paci 2000; Silvestrini-Sabbatini 2008, La Salaria in età antica; per l’Abruzzo vd. Cosentino 2003, Genti e culture dell’Abruzzo 2003, Tagliamonte 2008, Chiaramonte Treré-D’ercole 2003a, Benelli-D’ercole 2004. Sulle influenze dell’area tiberina sui materiali di Umbria, Marche e Abruzzo vd. alcuni recenti interventi: Benelli 2005; Benelli-Weidig 2006; Biella 2007b; Cam-poreale 2003; Camporeale 2009b; Camporeale 2011; Virili 2007. 4 Archivio del Museo Archeologico di Firenze, faldone 101 A3.

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vere non ci si può esimere dal temere che abbia accorpato frammenti di diversa provenienza, tanto più che alcuni pezzi del lotto sembrano attribuibili ad ambito capenate5. Poiché però l’importazio-ne di vasi provenienti da Capena e dall’area falisca è ampiamente documentata dai corredi tombali rinvenuti in Sabina, un eventuale ritrovamento a Poggio Sommavilla e a Magliano Sabina non si può escludere. Sulla base di queste riserve, i motivi documentati solo dai frammenti di questo lotto saranno evidenziati con un asterisco per segnalare la possibile ma non certa provenienza sabina.

Bestiario Fantastico

Poiché il numero dei motivi considerati è piuttosto ristretto, si è ritenuto che non fosse opportuno procedere a una tipologizzazione basata su criteri rigidi e meccanicistici, la quale avrebbe portato necessariamente a un eccessivo frazionamento della documentazione. L’analisi degli ornati si basa sul riconoscimento delle varie specie animali, ciascuna indicata con un numero cardinale. Partendo dai raggruppamenti così definiti si è scelto di distinguere tramite lettere alfabetiche le diverse rap-presentazioni del medesimo animale.

1. chimera equina: muso cuoriforme, dorso segnato da doppio contorno campito con tratteggio obliquo nella porzione anteriore, con fila di puntini in quella posteriore, corpo con decorazione a rete sul quarto posteriore, coda desinente in protome equina (fig. 1.1).Tecnica: incisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, t. 3 (olla)6

2. equide alato2a: corpo assottigliato, un’ala sottile conformata a ricciolo sulla schiena* (fig. 1.2a)Tecnica: excisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, spor. (coperchio)7

2b: muso triangolare, dorso disegnato a contorno doppio e campito con segmenti obliqui, due piccole ali sulla schiena campite con linee tremule (fig. 1.2b)Tecnica: incisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, t.1 (coperchio)8

2c: corpo allungato, larghe ali conformate a uncino impostate sulla schiena e sul ventre, zampe segnate da speroni, coda piuttosto corta e lievemente ricurva (fig. 1.2c)Tecnica: excisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, t. 3 (kantharoi ad alto collo9)2d: corpo allungato, collo e cosce segnate da contorno doppio campito da segmenti obliqui, larghe ali conformate a uncino impostate sulla schiena, sul ventre e sulla zampa anteriore, campite con fasci di linee oblique o con linee a zig-zag, lunga coda diritta o leggermente ricurva (fig. 1.2d)Tecnica: incisione

5 Vd. a titolo esemplificativo i frammenti pubblicati in Biella 2007a, pp. 87-88, nn. 21-23. Sulla problematica della provenienza dei reperti cfr. le considerazioni espresse dalla studiosa (Ivi, p. 3). 6 Cantù 2012, p. 72, fig. 9b. Una seconda attestazione del motivo è ipotizzabile su un’olletta da Magliano Sabina, necropoli del Giglio (Ivi, pp. 65-66). 7 Biella 2007a, p. 89, n. 27, fig. 43, tav. XLIII. 8 Cristofani Martelli 1977, p. 21, tav. Ia-b. 9 Cantù 2012, p. 74, figg. 10a-b.

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Attestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, t. 3 (olletta10, kotyle11, olpai12), Poggio Somma-villa, scavi SAL, t. sulla collina dei Gelsi (coperchio del calice a corolla13 e olla14)

3. equide con protome caprina: corpo allungato, collo e cosce segnate da contorno doppio campito da segmenti obliqui; ali disposte sulla schiena, sul ventre e sulle zampe anteriori; piccolo elemento ricurvo sulla fronte e talora una sorta di barbetta triangolare sotto il muso che rimandano alla pro-tome caprina; campiture a fasci di linee oblique e tremule; lunga coda diritta o leggermente ricurva (fig. 2.3)Tecnica: incisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, t. 3 (kotylai15, olpai16)

4. equide con caratteri felini: corpo equino allungato, collo e cosce segnate da contorno doppio cam-pito da segmenti obliqui, ali disposte sulla schiena, sul ventre, sulle zampe anteriori, sul posteriore oltre alla lunga coda rettilinea equina, una seconda coda volta verso l’alto e desinente in ricciolo di aspetto felino (fig. 2.4)Tecnica: incisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, t. 3 (olletta17)

5. leone alato con caratteri equini: corpo snello, cosce campite con linee che seguono l’andamento del profilo, criniera segnata da linee tremule, ala a doppio contorno campito con segmenti obliqui, zoccoli equini, lunga coda in movimento (fig. 2.5)Tecnica: incisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, sporadico (coperchio)18

6. ippogrifo6a: protome con criniera equina, bocca grifoide, sul profilo anteriore doppio contorno campito con linea ondulata (o a zig-zag), profilo interno sottolineato da linea continua e serie di tacchette (fig. 3.6a)Tecnica: incisioneAttestazioni: Magliano Sabina, Giglio (olla19)6b: orecchie equine, occhi prominenti, bocca grifoide con denti acuminati (fig. 3.6b)Tecnica: plasticaAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti (olla a elementi compositi20)

7. quadrupede con corpo presumibilmente equino e caratteri felini* (fig. 3.7): corpo equiniforme, coda a freccia e artigli feliniTecnica: excisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti (frammenti di parete21)

10 Cantù 2012, p. 73, fig. 9c. 11 Ivi, p. 73, fig. 9h. 12 Ivi, p. 73, fig. 9e-f. 13 Alvino 1997, p. 74, fig. 6.37. 14 Inedita, esposta in una vetrina del Museo Civico di Rieti [inv. 6491 (7)]. 15 Cantù 2012, p. 73, fig. 9g; Müller 1999, p. 11, n. 6. 16 Vd. nota 12. 17 Cantù 2012, p. 73, fig. 9c. 18 Cantù 2010, p. 186, n. 21, fig. 51. 19 Santoro 2005, p. 437, fig. 13. 20 Cristofani Martelli 1977, tav. IXa-c. 21 Biella 2007a, pp. 89-90, n. 29, fig. 43, tavv. XLIII, XLIV.

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8. pesce/serpente con protome tauriforme*: corpo con squame e pinnette laterali, testa taurina con occhi, orecchie e lingua (fig. 3.8)Tecnica: incisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, spor. (ansa a nastro22)

9. animale alato non identificato9a: corpo affusolato, coda rettilinea, dorso e addome segnato da ali, quattro zampe (fig. 3.9a)Tecnica: excisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi SAL, tomba sulla collina dei Gelsi (olla23)9b: corpo affusolato, coda rettilinea, dorso e addome segnato da ali, due zampe (fig. 3.9b)Tecnica: excisioneAttestazioni: Poggio Sommavilla, scavi SAL, tomba sulla collina dei Gelsi (coperchio di olla24).

Lo studio dei materiali di impasto della Sabina tiberina evidenzia nel settore settentrionale la pre-senza di motivi figurati che rappresentano animali fantastici. A Poggio Sommavilla e a Magliano Sabina sono privilegiate in modo particolare figure equiniformi dotate di attributi che rimandano ad altre specie animali, inquadrabili all’interno della categoria dei Mischwesen25. Il cavallo appare d’altronde elemento predominante nella decorazione dei vasi di quest’area.

Un primo esempio è rappresentato dal motivo della chimera. La chimera equina26 (1) costituisce un ornato assai diffuso in ambito capenate27; è presente anche in ambito falisco28 e piceno29. Il trattamento e la resa del cavallo evidenziano una rielaborazione locale di un tipo equino bene attestato a Magliano Sabina30 e in area viterbese31, trasformato in ibrido attraverso l’aggiunta della coda desinente in protome equina.

Il decorativismo che caratterizza il corpo del cavallo rimanda alle raffigurazioni dei vasi po-licromi nella ceramica etrusco-corinzia, in particolare a quelle del Gruppo di Monte Abatone, nel quale si ritrova sia la divisione del corpo in campi ornati geometricamente sia il doppio con-

22 Cantù 2010, p. 191, n. 38, fig. 53. 23 Alvino 1997, p. 74, fig. 6.38. 24 Alvino 1997, p. 74, fig. 6.38. 25 Sulle figure ibride da ultimo Camporeale 2009a. 26 Sul tema vd. Terrosi Zanco 1964, pp. 58-64; Krauskopf 1986, pp. 263-266; Biella 2007a, pp. 151-153. 27 CVA Pigorini, tav. V, n. 2 (oinochoe da San Martino, t. XIX); tav. VIII, n. 1 (holmos da San Martino, t. LIV); Benedettini 1996, pp. 26-30, n. 8, fig. 8 (olla); Biella 2007a, pp. 14-15, nn. 21 e 23, tav. VII (kantharoi da San Martino, rispettivamente da t. XIX e da t. 114). Di probabile provenienza capenate sono anche i vasi in Arte dei popoli italici 1993, p. 202, n. 102 (olla), Mangani 2009, p. 548, fig. 6 (holmos), Jurgeit Blanck 1990, p. 103-104, tavv. I-IIa (biconico). Sull’argomento cfr. Camporeale 2009a, p. 364. Il tema è diffuso anche sui dischi coraz-za e sulle placche di cinturone: Colonna 1974, tavv. III-IV. Un animale assimilabile a una chimera equina è atte-stato su un’anfora da Fabbrecce, che è stata attribuita ad un ceramista di “formazione capenate”: Camporeale 2011, p. 567. 28 Falerii: Narce 1894, pl. VI, n. 3. 29 Matelica: Camporeale 2009b, p. 286, fig. 8 (olla d’impasto, loc. Crocefisso, t. 182); Pitino di San Severino: Piceni popolo d’Europa 2001, p. 230, n. 344 (pisside d’avorio, Monte Penna, t. 15); Biella 2007b, p. 212, fig. 3 (biconico, Monte Penna, t. 28). 30 Santoro 1997, p. 33, nn. 6-7, fig. 29 (ollette dal Giglio). 31 Hayes 1985, p. 50, B32 (olla da Castel d’Asso); Gli Etruschi 1972, p. 62, n. 119, tavv. XVIA1e-XVIIb (olla da Ac-quarossa, Campo dei Pozzi, t. 1). Il medesimo tipo equino è presente anche su numerosi vasi giunti nei musei stranie-ri attraverso il mercato antiquario: Salskov Roberts 1974, p. 103, fig. 101 (olla, Ny Carlsberg Glyptotek di Copena-ghen, inv. NCG H 86); Ivi, p. 104, fig. 102 e p. 105 (olla dal mercato antiquario appartenuta a Spink, una casa d’asta londinese); Ivi, p. 105, fig. 103 (olpe dalla collezione August Kestner del Kestner Museum di Hannover inv. 711), Ivi p. 105 (pyxis dall’Istituto Olandese a Parigi); Hornbostel 1981, p. 35, n. 21 (sostegno); Hayes 1985, pp. 44-45, B22 (olla, provenienza sconosciuta).

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torno campito con puntini32. Non si può trascurare che la presenza di una gualdrappa a reticolo su una figura equina risale a epoca più antica, è infatti già ricorrente nel Pittore delle Gru33.

Il muso cuoriforme, attribuito in un primo momento da M. Martelli a produzione falisca34, poi riscontrato anche in ambito capenate da M. C. Biella35, appare ben attestato pure in Sabina tibe-rina36.

Il motivo dell’equide alato (2) è ispirato ai modelli orientali, forse fenici, “cui si deve la contami-nazione del tipo alato col cavallo aptero di origine greco-geometrica”37. Le diverse rappresentazioni del medesimo tema rimandano ad ambiti diversi. La 2a presenta un’ala sottile conformata a ricciolo che, come osservato da M. C. Biella38, ricorre in area capenate; in considerazione delle incertezze sulla provenienza del rinvenimento, si può ipotizzare che la produzione del pezzo sia avvenuta proprio nell’ambito delle officine di Capena. La 2b è caratterizzata dal muso trapezoidale, che negli esemplari excisi risulta diffuso sui materiali dell’Etruria interna meridionale39. La resa della schiena a doppia linea di contorno, campita con segmenti obliqui, è una caratteristica ricorrente in ambito sabino40 e capenate41. La 2c e la 2d sono attribuibili a produzione locale. A proposito della prima è stato giustamente osservato come la conformazione delle ali rimandi al motivo a uncini, che si trova come motivo a sé stante sulla ceramica d’impasto sabina42. Tale considerazione può essere estesa anche alla 2d, che appare più strettamente confrontabile dell’altra con i cavalli a muso e cor-po allungato di ambito capenate43. La coda della figura 2c è caratterizzata dalla breve lunghezza in analogia con quella di altri quadrupedi come i caprioli nelle rappresentazioni del Pittore di Narce44.

I motivi 3 e 4 sono opera della medesima officina che ha prodotto il 2d, tanto che entrambe si trovano accostati a quest’ultimo sul medesimo oggetto. L’equide con protome caprina è noto in ambito capenate45; la commistione fra cavallo (corpo) e felino (coda e zampe) è attestata nella ce-ramica white-on-red46.

La figura leonina con elementi equini (5) è attestata a Capena, dove dalle fauci di felini dal corpo equino pende una gamba umana47.

32 Per il pittore dei Cappi cfr. Martelli 1987, pp. 99-100, nn. 47, 1-2. Per il Pittore di Monte Abatone cfr. Szilágyi 1992, pp. 37-40, tav. Ic-e, tavv. II-III, fig. 1. Per la Cerchia del Pittore di Brown cfr. Szilágyi 1992, pp. 49-52, figg. 4-5. 33 Micozzi 1994, p. 82 con bibl.34 Martelli 1987, p. 19. 35 Biella 2007a, p. 141, nota 352 con bibl.36 Cantù 2010, fig. 79, n. 3 (frammento di olletta da Monte delle Palme con cavalli resi in modo realistico e realizzati a incisione); Cantù 2012, pp. 6-10 (ollette da Magliano Sabina, dove è ipotizzabile con buona probabilità che il mo-tivo fosse proprio quello della chimera equina, reso in una tecnica mista incisione/excisione). 37 Benedettini 1996, p. 27. Per la diffusione dell’iconografia del cavallo alato vedi da ultimo Neri 2010, p. 200. 38 Biella 2007a, p. 141. 39 Biella 2007a, p. 140. 40 Presente nel motivo della chimera equina di Poggio Sommavilla (vedi nota 26), di Magliano Sabina (vedi nota 21), negli altri cavalli con quarto posteriore campito a scagliette (vedi nota 22), caratterizza anche i motivi 2d, 3 e 4. 41 Benedettini 1996, p. 28, nota 98 con bibl.42 Biella 2007a, p. 141, nota 354 con riferimenti agli esempi excisi. Il motivo è presente anche nelle decorazioni rea-lizzate a incisione: Cristofani Martelli 1977, tav. Xa; Cantù 2010, p. 188, n. 27, fig. 52; Alvino 1997, p. 64, fig. 6.8, t. 39. 43 CVA Copenhague, tav. 195, n. 3 e tav. 201, n. 1. CVA Pigorini, tav. 8, n. 3 (San Martino, t. ignota). Forse attribuibi-le alla medesima officina per l’identico trattamento delle ali è il vaso della collezione C. A.: Camporeale 1991, pp. 64-65, n. 60, tavv. XXXII-XXXVII. Di probabile provenienza sabina sono anche i kantharoi in CVA Schloss Fasanerie, tav. 69, nn. 3-4. 44 Neri 2010, p. 203, nota 159. 45 CVA Parma, IVB, tav. I, nn. 1-2. 46 Micozzi 1994, p. 246, tav. XIV, C17 (pithos del Pittore delle Gru). 47 Cfr. CVA Erlangen, p. 63, tav. 42, n. 1 (olletta) con lista di riferimenti; Biella 2007a, p. 5, n. 2, fig. 2, tav. I e p. 140 (anfora da Capena, Monte Cornazzano). Il motivo è attestato anche nella ceramica in white-on-red: CVA Pigorini, tav. 11, n. 2 (holmos da Capena, San Martino).

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150 L’Orientalizzante

L’ippogrifo inciso (6a) rimanda al repertorio falisco per lo stile e per alcuni dettagli della rappre-sentazione ma trova confronto anche in un attingitoio da Chianciano48. Il tema dell’ippogrifo è attestato anche come decorazione plastica (6b). Da Poggio Sommavilla proviene infatti un’olla a elementi compositi, costituiti da protomi mobili che, invece di essere assimilabili alle varietà di grifi attestati in area etrusca, falisca e laziale49, sembrerebbero conformate a ippogrifi, come si deduce dalle lunghe orecchie equine. È stato osservato come in ambito ceretano siano preferite le protomi leonine50, mentre in area falisca e laziale51 quelle in forma di grifo. Una revisione dell’olla della tomba dei Flabelli di Trevignano52 induce a interpretare come equine le protomi di questo vaso. È ipotizzabile che l’ippogrifo sia frutto di una rielaborazione degli artigiani sabini, tanto più che il tipo di olla e di impasto sembrano di produzione locale.

Il motivo 7 non trova confronti puntuali ma l’unione fra corpo equino e la resa della zampa ad artiglio rimanda ad ambito capenate53.

L’animale acquatico/serpente dalla testa taurina (8) trova confronto con l’“essere serpentiforme” inciso su un vaso di forma chiusa (olla o anfora) rinvenuto in una tomba di Falerii54. Ancora più stringente appare il riferimento alla decorazione di un’oinochoe custodita a Boston (Museum of Fine Arts)55, che presenta due creature serpentiformi, dotate di pinnette laterali, che conver-gono verso un bucranio. L’oinochoe, acquistata nel 1901, potrebbe provenire anch’esso dagli scavi Benedetti, che, come è noto, sono stati effettuati sia in area sabina che falisca. M. C. Biella propende per quest’ultimo ambito di provenienza56 sulla base della resa a tacchette del corpo dei due animali serpentiformi, analoga a quella dell’esemplare falisco. Per il frammento del museo fiorentino sul quale è inciso il motivo in esame rimangono allora due possibilità, o che sia falisco o che si tratti di una rielaborazione sabina del medesimo tema, ipotesi percorribile anche per il diverso trattamento del corpo dell’animale, non a tacchette ma a scagliette incise, che rimanda a quello utilizzato nell’avantreno di un cavallo di Magliano Sabina57. Questo elemento di diversità però potrebbe dipendere semplicemente dalla mano di un diverso artigiano. Non si può infatti dimenticare che il trattamento a squame si trova anche nella ceramica etrusco-corinzia come riempitivo dei campi in cui viene suddiviso il corpo degli animali, con usi differenti a seconda dei pittori58.

48 Behn 1920, tav. VI, 3. 49 Chiusi: Bianchi Bandinelli 1925, col. 319, fig. 31; col. 326, fig. 36; col. 438, fig. 58. Veio: CVA Braunschweig, tav. 31, nn. 2-4. Narce: Narce 1894, col. 265, fig. 126 (Petrina, t. 7) e col. 499, n. 14, tav. VII, n. 15 (quinto sepolcre-to a sud di Pizzo Piede, t. 19); M. A. De Lucia Brolli in Principi Etruschi 2000, p. 200, n. 208 (quinto sepolcreto a sud di Pizzo Piede t. 14 L); Micozzi 1994, p. 284, n. 24, tav. LXVIIb (Pizzo Piede, t. 19. XLI) e p. 284, n. 25, tav. LXVIIIa (Monte Cerreto). Crustumerium: Montelius 1895-1910, pl. 379, n. 10-11. Roma: Pinza 1905, coll. 124-125, tav. IX, nn. 26 e 30 (Esquilino, t. LXXXIII). Acqua Acetosa Laurentina: Tomei 2006, p. 470, n. II.894. Ficana: Rathje 1983, p. 12, figg. 9-10 (Pozzo I della zona 5A). Castel di Decima: Parise Badoni 2000, p. 87, tav. XXIV, n. 4 (t. CLXXXI). 50 Cerveteri: CVA Copenhague, p. 164, pl. 211, n. 1, CVA Mannheim, pp. 44-45, tav. 31, nn. 1-3; Ten Kortenaar 2011, p. 100 con altri riferimenti. 51 Vd. nota 50. 52 Trevignano Romano: Moretti 1970, pp. 30-31, n. 18, tav. VIII (loc. Olivetello, t. dei Flabelli). 53 Biella 2007a, p. 14, n. 21, figg. 8-9, tav. VII (kantharos da San Martino, t. XIX). 54 Biella 2010a, p. 153, fig. 8 (Penna, t. XXXIV). 55 Fairbanks 1928, p. 214, tav. LXXXV, n. 626 (Henry L. Pierce collection). 56 Biella 2011a, p. 35, nota 12. Si ringrazia per la disponibilità la studiosa che mi ha comunicato l’esistenza di altri due vasi falisci con analoga rappresentazione. 57 Santoro 1997, p. 33, n. 6-7, fig. 29. Pressoché identico è l’equino raffigurato in Salskov Roberts 1974, p. 104, fig. 102 (olla biansata dal mercato antiquario). 58 Il pittore di Monte Abatone lo riserva al corpo dei cavalli (Szilágyi 1992, p. 38), mentre in altri artisti, come il pittore di Marsigliana, non è adoperata la stessa convenzione e l’uso dei riempitivi nell’articolazione anatomica degli animali è più libero (Szilágyi 1992, pp. 41-42).

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Il bestiario fantastico sugli impasti di età orientalizzante e arcaica nella Sabina tiberina 151

Il motivo 9 trova confronto su un’olla capenate59 che è caratterizzata dalla medesima tettonica di quella sabina e dalle medesime fasce decorative, qui realizzate a incisione diversamente da quelle excise dell’olla con relativo coperchio di Poggio Sommavilla60.

I supporti delle decorazioni rappresentanti animali fantastici sono olle, ollette, kantharoi ad alto collo, coperchi e meno frequentemente olpai e kotylai. Olle e ollette si presentano in tipi carat-teristici dell’ambito sabino, in parte ispirati a quelli capenati e falisci, spesso imitati nei territori delle moderne regioni di Umbria, Marche e Abruzzo. L’olla, caratterizzata da corpo globulare e da quattro anse verticali sulle quali si innestano protomi di arieti (fig. 4.1), è probabilmente ispirata a esemplari falisci61. Esemplari simili sono noti in ambito umbro, marchigiano e abruzzese62; la partizione decorativa del corpo con un risparmio metopale fra costolature inframmezzate da motivi incisi geometrici è diffusa solitamente sulle olle tipo Ferento63, rinvenute in più esemplari in area sabina64, note anche in ambito umbro65. Un secondo tipo di olla a corpo globulare liscio e privo di anse (fig. 4.2) si identifica come produzione locale per il labbro a profilo rettilineo a differenza degli esemplari analoghi falisci e capenati66 che presentano un collo a profilo concavo; occorre segnalare la presenza a Matelica di un’olla quasi identica, con chimera equina excisa67. Un terzo tipo di olla a elementi compositi, corpo ovoide, fornita di quattro anse recanti sulla sommità alloggiamenti per piccole ciotole (fig. 4.3), presenta un confronto identico in area capenate68. L’olla con ciotole, coppette, o piattelli è stata indicata come testimonianza del nesso culturale fra distretto tiberino e area medio-adriatica69. Per quanto riguarda il primo, a fianco degli esemplari sabini e capenati sem-bra opportuno richiamare il tipo attribuito a produzione crustumina e del quale sono note anche attestazioni sporadiche a Roma e in area laziale (Acqua Acetosa Laurentina e Pratica di Mare)70. In quanto al secondo comparto, olle con piattelli sono documentate sia nelle Marche71 che in Abruz-

59 CVA Copenhague, tav. 195, n. 1. 60 Vd. note 23-24. 61 Potter 1976, p. 269, fig. 95, n. 775. 62 Matelica: Silvestrini-Sabbatini 2008, pp. 167-169, n. 180 (loc. Brecce, t. 53) e nn.181, 188 (loc. Gabella, t. 1). Campovalano: Chiaramonte Treré-D’ercole 2003a, tav. 14, n. 1 (t. 2); tav. 71, nn. 6-7 (t. 96); Chiaramonte Treré-D’ercole 2003b, p. 492, figg. 2-3 (t. 415); V. D’Ercole, S. Cosentino in Piceni popolo d’Europa 1999, p. 215, n. 204, fig. 70 (t. 69). Per le decorazioni mobili: Bonomi Ponzi 1997, p. 188, fig. 10.10a (Colfiorito di Foligno, t. 10); N. Frapiccini in Piceni popolo d’Europa 1999, p. 224, n. 315 (Taverna di Ascoli); Lucentini 2000, p. 308, tav. II, 2 (Mozzano, Taverna del VI miglio); Chiaramonte Treré-D’ercole 2003a, tav. 71, nn. 6-7 (Campovalano, t. 94), tav. 93, nn. 3-5 (Campovalano, t. 164). 63 Sul tipo: Colonna 1973, p. 49, nota 20. Tale olla è diffusa in un’area che comprende l’Etruria interna, la valle del Fiora con diramazioni fino ai centri costieri di Orbetello e Montalto, e centri più settentrionali come Chiusi. Chiusi: Pottier 1897, p. 30, tav. 24, n. C546. Montecchio: Garofoli 1985, p. 301, fig. 35 (t. 7). Montalto di Castro, Pian dei Gangani: Rizzo 1990, p. 125, fig. 252, n. 20 (t. 1). Saturnia: Donati 1989, p. 66, n. 32, fig. 24. Tuscania: Mo-retti Sgubini 2005, p. 235, fig. 7b. Acquarossa, Campo dei Pozzi: Gli Etruschi 1972, p. 66, n. 137, tav. XVI (t. IV). Collezione Rossi Danielli: Emiliozzi 1974, p. 99, tav. LIII, n. 26. Blera: Gargana-Romanelli 1932, p. 503, fig. 22. San Giuliano: Villa D’amelio 1963, p. 24, fig. 23, n. 35. 64 Poggio Sommavilla: Cristofani Martelli 1977, tav. IIc, t. 2; Magliano Sabina, il Giglio: Santoro 1997, p. 28, n. 5 (tomba Varasconi); Santoro 2008, p. 18, figg. 8-9 (tomba Nesta); Santoro 1997, p. 32, n. 4, fig. 28 (sporadico); Can-tù 2010, p. 373, n. 3 (sporadico); Santoro 1997, p. 25, n. 8 (sporadico); Santoro 2009, p. 308, fig. 11 (sporadico). 65 Acquasparta: Monacchi 1988-1989, p. 95, figg. 9-10. 66 Capena: Mura 1964, p. 43, fig. 1. Falerii: Forma Italiae II, 2, p. 86, n. 1 (Montarano N-NE, t. LI); pp. 28-29, n. 1 (Montarano N-NE, t. LV). Falerii: Narce 1894, tav. VI, nn. 2-3 (Penna, t. LII). Sul tipo in white-on-red vedi Micozzi 1994, pp. 41-43. 67 Silvestrini-Sabbatini 2008, p. 219, cat. 267 (loc. Crocefisso, t. 182). 68 Capena: CVA Copenhague, tav. 195, n. 1a e 1b. 69 S. Stopponi-E. Percossi Serenelli in Piceni popolo d’Europa 1999, p. 95. 70 Di Gennaro 2006. 71 Pitino di San Severino: Parise Badoni 2000, p. 87, tav. XXIV, n. 1 (t. 5); Camporeale 2003, tav. IIc (t. 3). Mate-lica: Silvestrini-Sabbatini 2008, pp. 92-93, cat. 98. Cupramarittima: Dall’osso 1915, p. 217. Offida: Percossi Serenelli 1987, p. 103, fig. 9b e p. 129.

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152 L’Orientalizzante

zo72. La presenza di vasi con piattelli inoltre è registrata anche nell’area intermedia tra i due poli sopra indicati: nell’Etruria interna73 e in Umbria74.

L’olla a elementi compositi costituiti da quattro protomi mobili (fig. 4.4) costituisce la traspo-sizione fittile dei crateri bronzei di produzione orientale75 restituiti dai corredi principeschi orien-talizzanti di area etrusca e laziale; è documentata sia in impasto non dipinto che in white-on-red in contesti etruschi, falisci e laziali76, è inoltre nota nelle Marche77 e in Abruzzo78. Il rinvenimento di questo vaso implica la diffusione anche presso l’aristocrazia sabina della pratica e dell’ideologia ellenizzante del banchetto.

L’olletta è rappresentata dal tipo con corpo tendente al globulare, due anse a maniglia e piede ad anel-lo (fig. 5.1), ampiamente diffusa anche in ambito capenate, nota nell’Etruria interna e nella valle del Fiora, a Veio e attestata a Campovalano79. I kantharoi ad alto collo (fig. 5.3) riprendono tipi capenati80.

I coperchi in oggetto si differenziano per la vasca, in un tipo troncoconica (fig. 5.5) e nell’altro a calotta (fig. 5.6-7). Quest’ultimo presenta presa a pomello (pieno o cavo) oppure presa a tromba (fig. 5.6-7). Sono tipi di ampia diffusione, dall’Etruria all’area falisca e capenate fino all’area laziale, picena e abruzzese81; analogo discorso vale per le kotylai (fig. 5.4), ben note sia in ambito etrusco, falisco e capenate, sia in ambito laziale e abruzzese82. Le olpai (fig. 5.2) trovano confronto con un

72 Caporciano, Campo di Marte: V. D’Ercole in Antica terra d’Abruzzo 1990, pp. 79, 81. Alfedena: Parise Badoni 2002, p. 81, n. 76. 73 Colonna 1973, tav. XXc. 74 Broncoli 2006, pp. 44-45, fig. 14. 75 Principi Etruschi 2000, pp. 110, 119, 128-130, nn. 19, 58, 79-80; Micozzi 1994, p. 50, note 156-157. 76 Ten Kortenaar 2011, pp. 99-100, tipo 160E2. Vd. note 48-50. 77 Matelica: A. Coen in Silvestrini-Sabbatini 2008, p. 84, n. 77 (loc. Brecce, t. 53); p. 220, cat. 269 (loc. Crocifisso, t. 182); pp. 110-113, cat. 141 (loc. Crocifisso, t. 172). Di probabile funzione analoga l’olla da Taverne di Serravalle con tre bocche trilobate sulla spalla (Percossi Serenelli 1992, p. 160, fig. 16b). 78 Campovalano: V. D’Ercole, S. Cosentino in Piceni popolo d’Europa 1999, p. 215, n. 204, fig. 70 (t. 69). Alcune protomi di ariete probabilmente pertinenti alla medesima forma di vaso sono state rinvenute a Luco dei Marsi: Antica terra d’Abruzzo 1990, p. 309 lettera a. 79 Per Capena vd. i riferimenti in Cantù 2012, p. 73, nota 92, ai quali va aggiunto l’esemplare in Sgubini Moretti 1973, p. 111, n. 196 (San Martino, t. XXXVI). Orvieto: Edlund 1980, p. 31, n. 40, tav. 15. Ferento: Biella 2007a, p. 52, n. 2, tav. XXII. Saturnia, Pian di Palma: Donati 1989, p. 114, fig. 41, n. 2. Poggio Buco: Bartoloni 1972, pp. 208-210, tav. 143c, fig. 104, n. 34. Veio: Montelius 1895-1910, tav. 351, n. 14. Campovalano: Chiaramonte Treré-D’ercole 2003a, p. 71, tav. 82, n. 2 (t. 159). Collezione Rossi Danielli: Emiliozzi 1974, p. 96, n. 19, tav. LI (provenienza sconosciuta). Questo tipo è molto diffuso anche in una varietà su piede a tromba: Cantù 2012, p. 64, note 29-33. 80 Capena: Benedettini 1996, p. 32, nota 109 con lista di riferimenti; Biella 2007a, pp. 15-16, n. 24, tav. VII (San Martino, t. 115; Ivi, p. 18, n. 29, tav. VIII (Collezione dei Monaci di San Paolo), commento alle pp. 141-142; CVA Pigorini, p. 14, tav. 14, n. 1 (San Martino, t. XIX). Bolsena: Bloch 1972, pp. 81-83, figg. 27-28. g, h, l (t. 9), p. 90, fig. 34b (t. 13). Per le protomi di canidi sulla parte superiore delle anse vedi Capena: Biella 2007a, p. 16, n. 25, fig. 10, tav. VIII (kantharos da Monte Cornazzano, t. XCIC), p. 18, n. 29, fig. 11, tav. VIII (kantharos dalla Collezio-ne dei monaci di San Paolo), p. 22, n. 43, fig. 13, tav. X (prese di una pisside); Hornbostel 1981, p. 37, n. 28. 81 Senza pretese di completezza cfr. Capena CVA Pigorini, tav. 3, n. 7 (San Martino, t. 16); tav. 6, nn. 5-6 (San Martino, rispettivamente tt. 54 e 19); Chiusi: Minetti 2004, pp. 545-546, tavv. 45.5 e 48.4; Poggio Buco Bartoloni 1972, pp. 132-134, nn. 120-123, fig. 63; Bomarzo: Zifferero 1996, p. 427, fig. 2, n. 5; Roma: La grande Roma dei Tarqui-nii, p. 256, fig. 10.3.7, n. 7 (t. 127); Matelica: Silvestrini-Sabbatini 2008, p. 102, n. 119 (loc. Crocefisso, t. 93); Campovalano: Chiaramonte Treré-D’ercole 2003a, p. 95, nn. 2-3, tav. 111. 82 Senza pretese di completezza vd. Capena: CVA Pigorini, tav. 2, n. 7 (San Martino, t. LIV); Ivi, tav. 4, n. 11 (San Martino, t. LXI); Behn 1920, tav. V (RGZM, Mainz). Falerii: Forma Italiae II, 2, p. 72, n. 42, fig. a p. 70 (Montara-no N-NE, t. XXXIV). Vulci: Jucker 1991, pp. 169-170, n. 208; Bartoloni 1984, tav. IIIa (Monte Auto). Poggio Buco: Matteucig 1951, p. 35, tav. XI, n. 5 (t. E). Veio: De Santis 1997, p. 124, fig. 14, n. 19. Ambito laziale: Tomei 2006, p. 473, nn. 926-928 (Acqua Acetosa Laurentina); DdA 1980, p. 131, n. 18b, tav. 27 (Roma, Colonna, Castel di Decima, Pratica di mare). Campovalano: D’ercole 1987, tomba 122, fig. 2. Esemplare adespota: CVA Stuttgart, p. 51, tav. 44, n. 1. Per kotylai con decorazione figurata cfr. Cenciaioli 2006, p. 24, n. 8 (Otricoli); Dohan 1942, p. 56, pl. XXX, n. 17 (Narce, Monte li Santi, t. 1). La forma è ispirata alla “Tall kotyle protocorinzia” (Johansen 1923,

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esemplare falisco83 e sono simili nel corpo alle oinochoi di bucchero a bocca trilobata tipo Rasmus-sen 3a e 4c.

Dallo studio del bestiario fantastico attestato in Sabina sugli impasti emergono analogie strettissi-me con i materiali di area capenate e falisca. Con questi condividono chiari contatti con la ceramica etrusca, quella geometrica – databile a una fase più antica – e la coeva etrusco-corinzia: elementi comuni appaiono sia nella scelta dei soggetti che nella resa dei fregi zoomorfi. Le raffigurazioni sabine degli animali mostrano allo stesso tempo una propria cifra stilistica. La tomba 3 di Poggio Sommavilla fornita di un corredo caratterizzato da unità di impianto decorativo e verosimilmente attribuibile a una sola officina84, offre indizi a favore dell’esistenza di una produzione locale di un certo livello, destinata alle élites. Almeno un’olla85 attribuibile ai medesimi decoratori è stata rinve-nuta nella tomba scavata a Poggio Sommavilla sulla collina dei Gelsi (purtroppo solo parzialmente pubblicata), anch’essa attribuibile a elementi emergenti della comunità. Il ritrovamento a Magliano Sabina di varie olle con equidi assai simili alle figure equiniformi di Poggio Sommavilla lascia aper-to il quesito riguardante la localizzazione dell’officina/e, ipotizzabile in entrambi i centri. Accanto a questi vasi che denotano una certa qualità nella decorazione sia per la ricchezza dei dettagli sia per il ductus abbastanza sicuro, si osserva anche un’altra serie di figure zoomorfe di minore raffinatezza, la cui produzione sembra riferibile a Magliano Sabina. Dalle necropoli di questo insediamento infatti provengono altre olle raffigurate con temi che esulano dall’argomento in oggetto ma che mostrano analoga semplicità di rappresentazione86.

I legami culturali che legano il mondo tiberino con l’area umbra e medio-adriatica sono con-fermati non solo dall’uso di un medesimo motivo come la chimera equina o dall’applicazione di protomi plastiche grifoidi ma anche dalla diffusione oltre gli Appennini dei tipi di vasi su cui sono raffigurati gli animali fantastici.

Resta da osservare come nella produzione d’impasto il distretto meridionale della Sabina tiberina non offra documentazione del bestiario fantastico; allo stato attuale delle ricerche sembra che siano solo i centri settentrionali a scegliere di importare e riprodurre vasi con questi temi decorativi. Non si può però dimenticare come il repertorio orientalizzante di animali fantastici fosse conosciuto anche in quest’area, come dimostrano le lastre di rivestimento dei carri della tomba 11 di Colle del Forno, opera di toreuti etruschi87.

Particolarmente difficile appare la suddivisione cronologica tra età orientalizzante ed età arcaica. La gran parte dei corredi è infatti datata tra l’orientalizzante recente e l’inizio dell’età arcaica. In base alla documentazione disponibile sembra che i materiali in impasto decorato a incisione o exci-sione siano diffusi fino alla prima metà del VI secolo a.C. e che invece successivamente i vasi con le medesime funzioni siano prodotti in bucchero. Tali considerazioni necessitano di essere confermate sulla base di una più ampia mole di dati. È necessario poi segnalare la difficoltà nella distinzione fra i corredi delle diverse epoche causata dalla continuità d’uso delle medesime tombe in un lungo arco cronologico e dalla modalità degli scavi, privi di un’adeguata attenzione agli aspetti stratigrafici o per l’antichità degli stessi o perché effettuati in situazioni di emergenza. Non si può inoltre tra-scurare il fatto che i materiali abruzzesi riportano a una cronologia che raggiunge anche il V secolo a.C., fino a oggi spiegata come un attardamento locale di tipi che sono stati prodotti su ispirazione di quelli tiberini e che impone ulteriore prudenza.

tav. IX 6, Corinthian Geom), attestata dal secondo quarto del VII a.C. È una kotyle comunemente prodotta a Caere in bucchero già nella prima metà del VII sec. a.C. (M. A. Rizzo in Sgubini Moretti 2001, p. 147, n. II. B. 2.5). 83 Narce 1894, p. 290, fig. 146 (t.12). 84 Cantù 2012, pp. 80-85. 85 Esposta in una vetrina del Museo Civico di Rieti [inv. 6491 (7)]. 86 Cantù 2010, p. 371, fig. 86; pp. 373-374, figg. 90-91. 87 Vedi i contributi più recenti: Santoro-Emiliozzi 1997, Cristofani Martelli 2005.

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154 L’Orientalizzante

Sicuramente databili tra la fine del VII e gli inizi del VI a.C. sono i motivi 1 e 2b, 2c, 2d, 3, 4, 6b, che provengono da tombe databili all’orientalizzante recente e che non sono state soggette a riutilizzi successivi (Poggio Sommavilla, scavi Benedetti, tombe 1, 3, 6)88. Al medesimo arco cro-nologico è probabilmente riferibile il motivo 9a-b, testimoniato da due oggetti ritrovati a Poggio Sommavilla, nella tomba sulla collina dei Gelsi. Di quest’ultima il corredo è purtroppo solo par-zialmente edito89.

La mancanza dei contesti non permette invece di fornire una cronologia sicura per 2a, 7, 5, 6a, 8; per questi valgono le considerazioni già esposte.

88 Cantù 2010, pp. 124-132 (t. 1); pp. 165-176 (t. 6); Cantù 2012, pp. 72-75 (t. 3). 89 Per una riconsiderazione dell’edito vd. Cantù 2010, pp. 261-263 e p. 271.

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Ten Kortenaar 2011S. Ten Kortenaar, Il colore e la materia: tra tradizione e innovazione nella produzione dell’impasto rosso nell’Italia medio-tirrenica (Cerveteri, Veio e il Latium Vetus), Roma 2011.

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Il bestiario fantastico sugli impasti di età orientalizzante e arcaica nella Sabina tiberina 165

Fig. 1 – Chimera equina e cavalli alati. Il disegno 1 è tratto da saLskOv rOBerTs 1974, il 2a da BieLLa 2007a, il 2b dall’Archivio SBAT, 2c e 2d sono dell’Autrice.

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Fig. 2 – Equini e felini con elementi ibridi. I disegni 3-4 sono dell’Autrice, il 5 dall’Archivio SBAT.

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Fig. 3 – Ippogrifi e animali di incerta identificazione. Il disegno 6a è tratto da sanTOrO 1997, la foto 6b da crisTOfani marTeLLi 1977, i disegni 7 e 8 dall’Archivio SBAT, 9a e 9b da BieLLa 2007a.

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Fig. 4 – Tipi di olle sui quali è attestato il repertorio di animali fantastici. I disegni 1-2 sono dell’Autrice, la foto 3 è tratta da aLvinO 1997, la foto 4 da crisTOfani 1977.

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fig. 5 – I tipi di olletta, olpe e forme aperte sui quali è attestato il repertorio di animali fantastici. I disegni 1-4 sono dell’Autrice, 5-6 sono tratti da aLvinO 1997, il disegno 7 dall’Archivio SBAT.

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