Top Banner
Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano, XII, 2007 Paolo Squillacioti Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22 * 1. IL CODICE Il ms. Plut. XLII 22 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze è un codice cartaceo, composto da 166 carte di mm 280 × 205, scritto su due colonne e databile al primo quarto del XIV secolo 1 . Tramanda il volgarizzamento toscano in veste se- nese 2 del Tresor di Brunetto Latini, limitatamente ai primi cinque libri (se si assume la tradizionale divisione del volgarizzamento in nove libri), ossia i capitoli corri- spondenti al primo libro dell’originale francese. Secondo Carla Mascheroni 3 il con- tenuto del codice è divisibile in quattro parti: a) cc. 1a-50c 4 , corrispondenti ai capitoli fino al 62 («Des livres dou viel Testament») del Tresor 5 ; b) cc. 50d-84b, corrispondenti ai capitoli dal 63 («Ci comence la novelle loi») al 120 («De nature que ele est et comment [elle] euvre es choses dou monde») del Tresor 6 ; c) cc. 84c-108d, corrispondenti ai capitoli dal 121 («Ci [comenc]e le devissement de map- pemonde, c’est coment la terre est ordenee») alla fine della sezione dei pesci del bestiario, chiuso nel Laurenziano da un capitolo sul granchio 7 ; * Ho iniziato la stesura definitiva di queste pagine nel luglio 2007, tre anni dopo la scomparsa di Valentina Pollidori: questo lavoro, che tanto le deve, è dedicato alla sua memoria. 1 Devo la datazione alla cortesia di Teresa De Robertis: ne do conto in Appunti sul testo del “Tesoro” in Toscana: il bestiario nel ms. Laurenziano Plut. XLII.22, «Studi mediolatini e volgari», XLVIII (2002) [= Testi generi e tradizioni nella Romània medievale, Atti del VI Convegno della Società Italiana di Filologia Romanza (Pisa, 28-30 settembre 2000), a cura di Fabrizio Cigni e Maria Pia Betti, vol. II], pp. 157-69. Il codice è stato descritto da Carla Ma- scheroni, I codici del volgarizzamento italiano del «Trésor» di Brunetto Latini, «Aevum», XLIII (1969), pp. 485-510, a p. 501 (lo ha siglato L 3 ), e, più sinteticamente, da Julia Bolton Holloway in Brunetto Latini: an Analytic Bibliography, London, Grant & Cutler, 1986, p. 28, e in Twice-Told Tales: Brunetto Latino and Dante Alighieri, New York, Lang, 1993, p. 525 (dove è mantenuta la siglatura). 2 Per un primo approccio linguistico al testo, prevalentemente lessicale, rinvio a Gallicismi e lessico medico in una versione senese del Tesoro toscano (ms. Laurenziano Plut. XLII 22), «Studi di lessicografia italiana», XXV (2008), in corso di stampa. 3 Mascheroni, I codici cit., p. 501. 4 Indico qui e altrove il numero della carta di ciascuna colonna del ms., quelle del recto con a- b, quelle del verso c-d. 5 Un’analoga divisione è nell’edizione del Tresor nell’edizione Chabaille (Li livres dou Tre- sor par Brunetto Latini, publié pour la première fois [...] par Polycarpe Chabaille, Paris, Im- primerie Impériale, 1863): la sezione a del Laurenziano corrisponde alla prima parte del pri- mo libro, pp. 1-63. 6 Ossia la seconda e terza parte del primo libro del Tresor nell’edizione Chabaille (pp. 64-102 e 103-50). 7 Nel Tresor la sezione ittica è chiusa dal cap. 136 sulle sirene («Ci dit de serenes»), per cui l’indicazione di Mascheroni, I codici cit., p. 501: «la III parte [del Laurenziano] da c. 84v col.
89

Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Jan 16, 2023

Download

Documents

Bruno Fanini
Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano, XII, 2007

Paolo Squillacioti Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22 *

1. IL CODICE

Il ms. Plut. XLII 22 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze è un codice cartaceo, composto da 166 carte di mm 280 × 205, scritto su due colonne e databile al primo quarto del XIV secolo 1. Tramanda il volgarizzamento toscano in veste se-nese 2 del Tresor di Brunetto Latini, limitatamente ai primi cinque libri (se si assume la tradizionale divisione del volgarizzamento in nove libri), ossia i capitoli corri-spondenti al primo libro dell’originale francese. Secondo Carla Mascheroni 3 il con-tenuto del codice è divisibile in quattro parti:

a) cc. 1a-50c 4, corrispondenti ai capitoli fino al 62 («Des livres dou viel Testament») del Tresor 5; b) cc. 50d-84b, corrispondenti ai capitoli dal 63 («Ci comence la novelle loi») al 120 («De nature que ele est et comment [elle] euvre es choses dou monde») del Tresor 6; c) cc. 84c-108d, corrispondenti ai capitoli dal 121 («Ci [comenc]e le devissement de map-pemonde, c’est coment la terre est ordenee») alla fine della sezione dei pesci del bestiario, chiuso nel Laurenziano da un capitolo sul granchio 7;

* Ho iniziato la stesura definitiva di queste pagine nel luglio 2007, tre anni dopo la scomparsa di Valentina Pollidori: questo lavoro, che tanto le deve, è dedicato alla sua memoria. 1 Devo la datazione alla cortesia di Teresa De Robertis: ne do conto in Appunti sul testo del “Tesoro” in Toscana: il bestiario nel ms. Laurenziano Plut. XLII.22, «Studi mediolatini e volgari», XLVIII (2002) [= Testi generi e tradizioni nella Romània medievale, Atti del VI Convegno della Società Italiana di Filologia Romanza (Pisa, 28-30 settembre 2000), a cura di Fabrizio Cigni e Maria Pia Betti, vol. II], pp. 157-69. Il codice è stato descritto da Carla Ma-scheroni, I codici del volgarizzamento italiano del «Trésor» di Brunetto Latini, «Aevum», XLIII (1969), pp. 485-510, a p. 501 (lo ha siglato L3), e, più sinteticamente, da Julia Bolton Holloway in Brunetto Latini: an Analytic Bibliography, London, Grant & Cutler, 1986, p. 28, e in Twice-Told Tales: Brunetto Latino and Dante Alighieri, New York, Lang, 1993, p. 525 (dove è mantenuta la siglatura). 2 Per un primo approccio linguistico al testo, prevalentemente lessicale, rinvio a Gallicismi e lessico medico in una versione senese del Tesoro toscano (ms. Laurenziano Plut. XLII 22), «Studi di lessicografia italiana», XXV (2008), in corso di stampa. 3 Mascheroni, I codici cit., p. 501. 4 Indico qui e altrove il numero della carta di ciascuna colonna del ms., quelle del recto con a-b, quelle del verso c-d. 5 Un’analoga divisione è nell’edizione del Tresor nell’edizione Chabaille (Li livres dou Tre-sor par Brunetto Latini, publié pour la première fois [...] par Polycarpe Chabaille, Paris, Im-primerie Impériale, 1863): la sezione a del Laurenziano corrisponde alla prima parte del pri-mo libro, pp. 1-63. 6 Ossia la seconda e terza parte del primo libro del Tresor nell’edizione Chabaille (pp. 64-102 e 103-50). 7 Nel Tresor la sezione ittica è chiusa dal cap. 136 sulle sirene («Ci dit de serenes»), per cui l’indicazione di Mascheroni, I codici cit., p. 501: «la III parte [del Laurenziano] da c. 84v col.

Page 2: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 266

d) cc. 108d-166c, corrispondenti ai capitoli dal 136 («Ci parole de serpenz») a 200 («Ci finist le premier livre dou Tresor») del Tresor 8. Mascheroni non specifica quali siano gli elementi di demarcazione, né mi pare di

poterli individuare. Si può individuare una diversa suddivisione del contenuto, sem-pre in quattro parti, sulla base delle cifre arabe 1-4 poste al di sopra di ciascuna co-lonna, e trova corrispondenza nell’indicazione che segue la rubrica del numero del capitolo, introdotta da capitolo o da co:

1) cc. 1a-50c, 94 capitoli (rubr. cap. 1: In nomine Domini amen. Qui comincia lo libro del Thesoro maggiore. Lo quale libro fece maestro Brunetto Latino di Fiorença. Questo pri-mo libro favella del nascimento di tutte le cose di filosophia et di sue parti prologue dela natura di tutte cose; rubr. cap. 94: Delo libro delo vecchio Testamento); corrisponde alla suddivisione a di Mascheroni; 2) cc. 50d-101b, 61 capitoli (rubr. cap. 1: Qui comincia la novella legge; rubr. cap. 61: Come l’uomo dia guarnire sua magione et di che cose la dia guardare), corrispondenti ai capitoli dal 63 («Ci comence la novelle loi») al 129 («Coment home doit gar[ni]r sa mai-son») del Tresor; 3) cc. 101c-108c, 18 capitoli (rubr. cap. 1: Qui divisarae lo contio primeramente la natura di molti animali et primeramente dirae de’ pesci et di loro nature [cap. 1 della presente edizione]; rubr. cap. 18 Delo granchio del fiume et dello marino), corrispondenti ai capi-toli ittici del Tresor (130-136, con l’interpolazione dei capitoli sul pesce sagitte e il gran-chio [17 e 18]); 4) cc. 108d-166c, 79 capitoli (rubr. cap. 1: Qui divisarae lo contio di tutte maniere di ser-penti di tutti altri animali che tengono veneno et dele propietadi che elli ànno et loro ge-nerationi. Et primeramente diremo dela natura delo dritto serpente [19]; rubr. cap. 79 De-la fine dela prima parte di questo libro), corrispondenti ai capitoli dal 137 («Ci parole de serpenz») a 200 («Ci finist le premier livre dou Tresor») del Tresor.

2. IL BESTIARIO

La presente edizione è limitata alle suddivisioni 3 e 4, contenenti il bestiario di-viso in 96 capitoli: si tratta di pesci da 1 a 18, di rettili da 19 a 29, di uccelli da 30 a 64, di animali terrestri da 65 a 96. Al cap. 96, chiuso dall’espressione finit hoc, se-gue come nel Tresor un ultimo capitolo (cc. 166a-c), escluso dalla presente edizione, che contiene il riepilogo della materia trattata sin lì e l’annuncio della materia della parte successiva 9. Fra la fine di un capitolo e l’inizio del succcessivo è stato lasciato lo spazio per miniature non realizzate, che – come succede nel ms. Laur. XLII 19 del I a c. 108v col. II corrisponde alla IV parte [dell’edizione Chabaille]» è scorretta, in quanto Chabaille chiude la quarta parte con il cap. 130 dedicato a «Comment hom doit garnir sa maison et de queles choses» (p. 181) e inizia la quinta con il bestiario (p. 182). 8 Ossia grosso modo la quinta parte del primo libro del Tresor nell’edizione Chabaille, esclusa la parte sui pesci (pp. 190-254). 9 Si corregga pertanto l’indicazione di Mascheroni, I codici cit., p. 501, secondo la quale il ms. conterrebbe «solo il I libro e il prologo del II». Si noti che nella tradizione del Tesoro to-scano non sono pochi i codici incompleti che tramandano solo la parte corrispondente al pri-mo libro dell’originale francese.

Page 3: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 267

Tesoro toscano o nel ms. Vat. Reg. lat. 1320 del Tresor, per citare due fra i mss. più notevoli dal punto di vista illustrativo 10 – dovevano raffigurare gli animali descritti.

Una prima, evidente ragione d’interesse del bestiario sta nel numero dei capito-li 11, visto che nel testo francese il bestiario ne conta 70. La differenza dipende in parte da suddivisioni dei capitoli che nell’originale francese sono dedicati a più di un animale in singoli capitoli dedicati ciascuno a un animale: il capitolo iniziale del be-stiario (130), dedicato a varie specie di pesci, è suddiviso in 9 capitoletti (1-9); il ca-pitolo 144 dedicato nel Tresor alla lucertola e alla salamandra è diviso in due capi-toli (27 e 28), il capitolo 190 dedicato al lupo e al lupo cerviere, ossia la lince, è an-ch’esso diviso in due capitoli (84 e 85). Nel ms. Laurenziano manca invece il capi-tolo corrispondente a quello che il Tresor devolve alla iena (cap. 189).

La ragione più consistente dell’incremento nel numero dei capitoli sta nella pre-senza di 17 capitoli senza corrispettivo nella tradizione francese, né in quella dei volgarizzamenti. È questa una delle caratteristiche più interessanti del codice Lau-renziano, anche fuori dal bestiario: nella parte dedicata alla storia antica si trovano numerosi ampliamenti derivati dalla leggenda del Legno della Croce (dopo il capito-lo corrispondente al cap. 20 del Tresor dedicato agli avvenimenti della prima età del mondo) e di storia romana (dopo il capitolo corrispondente al cap. 33 del Tresor de-dicato all’arrivo di Enea in Italia); il primo dei capitoli geografici, dedicato all’Asia (cfr. Tresor cap. 122), contiene inoltre un’ampia digressione sulle popolazioni del-l’India.

I 17 capitoli interpolati nel bestiario sono dedicati alla vergilia (10), al pesce sa-gitte (17) e al granchio di fiume (18) tra i pesci; alla calcatrice (24) 12 e al rospo e al-la rana (29) fra i rettili; al rodione (37), al ragno (41), alla cicala (44), alla pernice (48) 13, al «secondo pellicano» (56) 14 e al picchio (61) 15 tra gli uccelli; al montone

10 Cfr. l’apparato illustrativo e la Nota alle illustrazioni di Brunetto Latini, Tresor, a cura di Pietro G. Beltrami, Paolo Squillacioti, Plinio Torri, Sergio Vatteroni, Torino, Einaudi, 2007, edizione da cui provengono le citazioni dall’originale francese; per i confronti puntuali con il testo toscano si ricorre invece, come si vedrà più dettagliatamente sotto, direttamente ai mss. della cosiddetta ‘famiglia delle versioni lunghe’, da cui pare dipendere il volgarizzamento contenuto nel Laurenziano. 11 Da qui in poi riprendo e specifico, e in parte correggo, quanto si trova sia in Appunti cit. sia ne La pecora smarrita. Ricerche sulla tradizione del “Tesoro” toscano, in corso di stampa negli Atti del convegno A scuola con Ser Brunetto. Indagini sulla ricezione di Brunetto Latini dal Medioevo al Rinascimento (Basel, 8-10 giugno 2006). 12 L’animale era stato già nominato nel capitolo dedicato al coccodrillo (11.2 e 4), ma ottiene così un’ampia descrizione delle sue carattestiche: si tratta in sostanza di una dilatazione del contenuto di Tresor 1.134.4. 13 Il Tresor presenta un capitolo dedicato alla perdris (cap. 167), che nel ms. Laurenziano cor-risponde a quello intitolato alla «starna, che spesso viene chiesta im preda» (57): la somiglian-za morfologica dei due volatili induce spesso una confusione fra la starna e la pernice. Il capi-tolo 48 presenta informazioni analoghe al 57, sia pure diversamente organizzate, ed è chiuso con un uso medicamentoso della carne dell’uccello. 14 La seconda specie di pellicano, che mangia serpenti, lucertole e altri animali velenosi, è so-lo menzionata alla fine del capitolo precedente (che traduce alla lettera il cap. 166 del Tresor),

Page 4: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 268

(70), alla capra (71), al porco (72), al riccio (81), alla volpe (86) e alla lepre (87) tra gli animali terrestri.

Ma anche i capitoli comuni al Tresor presentano delle parti di testo che non han-no riscontro nella tradizione dell’originale francese né in quella dei volgarizzamenti: si tratta di caratteristiche fisiche e fisiologiche dell’animale e degli usi dell’animale o di sue parti o membra nella confezione di ricette mediche o, meno frequentemente, di pozioni magiche 16. Queste parti sono le uniche sinora edite, in modo tutt’altro che ineccepibile e non integralmente, da Guido Battelli 17: le porzioni edite sono in-dicate in apparato, dove alla sigla Ba segue il numero del paragrafo del lavoro di Battelli. Nell’apparato segnalo inoltre le corrispondenze con il Tresor (Tr. e numero di libro e capitolo secondo l’uso dell’orginale francese) e con l’edizione parziale dei «libri naturali» del Tesoro toscano procurata dallo stesso Battelli 18 (Tes. e numero di libro e capitolo, in conformità all’uso del volgarizzamento toscano). Come accen-nato sopra, i confronti puntuali con l’originale francese sono fatti con il testo dei mss. appartenenti alla ‘famiglia delle versioni lunghe’ 19, composta dai mss. della

in opposizione al pellicano di fiume che si nutre di pesci; l’interpolazione offre altre notizie sulla natura dell’animale. 15 Anche altre versioni del volgarizzamento toscano presentano un capitolo sul picchio, ma in lezione affatto diversa: cfr. nota al cap. 61. 16 Cfr. per es. la fine del cap. dedicato all’upupa: «Et nota che se ala luna nuova, quando si le-va lo sole, dicollerai upuppa, et lo suo cuore cincischierai et inghiotterai, sì poterai sapere tut-te le cose che si fanno, et le mente deli omini. Ciò ène lo loro pensamento. Et anco dele cose celestiali, et anco poterai conoscere li mali spiriti che saranno adosso altrui» (53.4), o la parte finale del cap. dedicato al cane: «Lo sterco delo cane rosso, se ungerai con esso alcuno luci-gnolo di bambagia nuova et porra’lo in alcuna cosa verde, et accendera’lo con gambis puro, vederai presentemente tutta la casa piena di capita di cani» (77.10). 17 Guido Battelli, Segreti di Magia e Medicina Medievale cavati da un codice del “Tesoro”, «Archivum Romanicum», V (1921), pp. 149-71. Rinvio per l’esame del lavoro di Battelli a Squillacioti, Appunti cit., pp. 161-64, dove si dà conto anche del lavoro di revisione a cui è stato sottoposto all’Opera del Vocabolario Italiano il testo edito da Battelli ai fini del suo inse-rimento nel corpus del Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (TLIO); lavoro che ha con-sentito di citare nel vocabolario con il titolo abbreviato di «Ricettario Laurenziano, XIV m. (sen.)», un testo conforme al ms. Laurenziano, emendato perciò dalle normalizzazioni lingui-stiche e dalle tacite correzioni di Battelli, ma limitato alle porzioni di testo scelte dallo studio-so e non senza alcuni (in verità pochi) errori. 18 Brunetto Latini, I libri naturali del “Tesoro” emendati colla scorta de’ codici, commentati e illustrati da Guido Battelli, Firenze, Le Monnier, 1917: un’edizione parziale ma decisamen-te migliore (lo ha notato anche Cesare Segre, nella Prosa del Duecento, a cura di C. Segre e M. Marti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, p. 1072) di quella completa che normalmente si utilizza, ossia Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni, raffrontato col te-sto autentico francese edito da P. Chabaille, emendato con mss. ed illustrato da Luigi Gaiter, 4 voll., Bologna, Romagnoli, 1878-1883. Anche per il TLIO si utilizza l’edizione Gaiter solo nelle parti non edite da Battelli, e con il titolo abbreviato fra parentesi uncinate, a segnalare l’inaffidabilità dell’edizione. 19 Cfr. Pietro G. Beltrami, Per il testo del Tresor: appunti sull’edizione di F. J. Carmody, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», s. III, XVIII (1988), pp. 961-1009, alle pp.

Page 5: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 269

Bibliothèque Nationale de France di Parigi segnati fr. 568 [= M], fr. 569 [= O], fr. 726 [= R], nouv. acq. fr. 6591 [= R2], fr. 1113 [= V], per le affinità che mostra con il ms. Laurenziano 20. Si tratta di dati limitati, insufficienti a dimostrare la dipendenza, ma che la fanno configurare come l’ipotesi di partenza di un eventuale lavoro futu-ro 21. I codici del Tresor che meglio si prestano al confronto col Laurenziano sono R, un manoscritto della fine del XIII secolo copiato in Italia e appartenente al gruppo dei codici pisano-genovesi studiato in particolare da Fabrizio Cigni 22, e il suo affine V, altro codice italiano (probabilmente ligure), anch’esso di fine Duecento, conte-nente un glossario francese-genovese 23. L’ipotesi è che questi, o un loro affine non conservato, abbiano circolato in Toscana nei decenni successivi e che siano serviti da modello diretto per il volgarizzamento conservato nel Laurenziano.

Assumo R come ms. base per i confronti, citandolo con la sigla Tr.(R), seguita dai riferimenti di libro, capitolo e paragrafo nell’edizione del Tresor diretta da Bel-trami; uso il ms. V come base del confronto nell’unico caso (cfr. nota a 68.3 † le ano † nere) in cui R fornisce una lezione incompatibile col testo del Laurenziano. In tutti i casi indico quali mss. del gruppo presentano la stessa lezione del ms. citato e le eventuali varianti di sostanza degli altri mss. del gruppo.

In un caso, il capitolo sulla pecora (69), la segnalazione in apparato dell’omissio-ne nel Tesoro è riferita all’edizione Battelli, che al pari dell’edizione Gaiter e di quella precedente di Luigi Carrer 24 non presenta il capitolo sull’animale, attestato

993-96; una sintesi nella Nota al testo e alla traduzione dell’edizione del Tresor diretta da Beltrami, p. XXIX. 20 Si vedano le note di commento a «enteralie» (19.4), «ferens» (34.8), «per someggiare et per portare vino» (68.2), «spaçço» (68.3). 21 Si aggiunga sùbito la circostanza che il Laurenziano e i mss. della famiglia delle versioni lunghe separano in un capitolo a sé stante le informazioni sul lupo cerviere (cap. 85), laddove le edizioni Chabaille, Carmody e Beltrami del Tresor, e le tradizioni cui attingono, le colloca-no nella parte finale del capitolo dedicato al lupo. Altri elementi si ricavano dagli spogli della tradizione francese e toscana, ampi quanto a numero di mss. ma limitati al solo capitolo sulla pecora, contenuti in Squillacioti, La pecora smarrita cit. 22 Cfr. Fabrizio Cigni, Manoscritti di prose cortesi compilati in Italia (secc. XIII-XIV): stato della questione e prospettive di ricerca, in La filologia romanza e i codici. Atti del [primo] convegno [della SIFR], Messina, 19-22 Dicembre 1991, a cura di S. Guida e F. Latella, Mes-sina, Sicania, 1993, vol. II, pp. 419-41, e La ricezione medievale della letteratura francese nella Toscana nord-occidentale, in Fra toscanità e italianità. Lingua e letteratura dagli inizi al Novecento, a cura di E. Werner e S. Schwarze, Tübingen und Basel, Francke, 2000, pp. 71-108. Il codice è descritto in François Avril - Marie-Théreèse Gousset, Manuscrits enluminés d’origin italienne, vol. II (XIIIe siècle), Paris, Bibliothèque Nationale, 1984, pp. 37-38, n. 38 e in Maria Careri et alii, Album de manuscrits français du XIIIe siècle. Mise en page et mise en texte, Roma, Viella, 2001, pp. 203-205, n. 51 (scheda di F[rançoise] F[ery]-H[ue]). 23 Segnalato da Carmody, p. LIII («lexique français-piémontais») e poi da Avril-Gousset, Ma-nuscrits enluminés cit., p. 41 («liste de mots français et leurs équivalents en italien»), il glos-sario sarà oggetto di uno studio annunciato da Alessandro Vitale Brovarone. 24 Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni nuovamente pubblicato secon-do l’edizione del MDXXXIII, [a cura di Luigi Carrer], Venezia, Il Gondoliere, 1839.

Page 6: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 270

però in parte consistente della tradizione manoscritta 25. Per esempio, il capitolo è at-testato nel ms. Plut. XLII 23 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (a c. 50v), parzialmente edito da Diego Dotto nella sua tesi di laurea 26; il codice è noto soprattutto per esser stato copiato nelle carceri genovesi dal pisano Bondì Testari 27 e per l’utilizzo fatto da Arrigo Castellani nella sua Grammatica storica 28: mi servirò della trascrizione di Dotto introducendola con la sigla Tes.(L4).

Altra ragione d’interesse è la maggiore completezza delle parti comuni con il Tresor rispetto alle edizioni del Tesoro disponibili: per es., il cap. 32, «Di tutte ma-niere di astori et di loro propietadi», traduce per intero Tr. 1.147, mentre le edizioni Gaiter e Battelli si fermano al § 2 29.

Per le parti comuni con il Tresor mantengo la paragrafatura dell’edizione Beltra-mi, che mantiene a sua volta quella dell’edizione Carmody 30, facendo prevalere l’e-sigenza di conservare le corrispondenze con quella che è stata per decenni l’edizione di riferimento sull’opportunità di correggerne le manifeste incongruenze (comunque segnalate nell’edizione Beltrami). Per meglio dar conto in apparato di interpolazioni che s’inseriscono all’interno di un paragrafo comune al Tresor (cfr. i capp. 22, 40, 54, 62, 64, 79, 83, 84), le isolo in un paragrafo a sé stante aggiungendo una lettera in esponente al numero del paragrafo precedente.

Rinviando all’apparato per i dettagli delle corrispondenze, presento di séguito l’elenco dei capitoli, segnalando in corsivo i nomi degli animali presenti solo nel ms. Laurenziano. Come in apparato, la lettera F indica la presenza di notizie inerenti le caratteristiche fisiche e fisiologiche dell’animale, la lettera M indica la presenza delle ricette mediche e dei preparati magici.

25 Rinvio per questo aspetto a Squillacioti, La pecora smarrita cit. 26 Diego Dotto, Il primo e il terzo libro della versione toscana del Tresor di Brunetto Latini secondo il codice Laur. Plut. XLII. 23, relatore Lorenzo Renzi, Università degli Studi di Pa-dova, a. a. 2003-2004): ringrazio l’autore di questo pregevole lavoro di avermene concesso l’uso. 27 Si veda ora Fabrizio Cigni, Copisti prigionieri (Genova, fine del sec. XIII), in Studi di Filo-logia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, a cura di P. G. Beltrami, M. G. Ca-pusso, F. Cigni, S. Vatteroni, Pisa, Pacini, 2006, vol. I, pp. 425-39, alle pp. 434-36. 28 Arrigo Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, vol. I. Introduzione, Bologna, il Mulino, 2000 (descrizione a p. 287 in nota); cfr. La Toscana dialettale d’epoca antica, «Studi linguistici italiani», XXIII (1997), pp. 3-46, 219-54, a p. 8 in nota. 29 Scrive Gaiter, Il Tesoro di Brunetto Latini cit., II, p. 154 n. 2: «Segue nel T un lungo tratto, che manca pure al ms. Vis., più ligio a Bono che al T in questo episodio [...]. Il Chabaille non dice che manchi in nessun ms. francese, come nei nostri manca» (Gaiter, che assume la pater-nità giamboniana del volgarizzamento toscano del Tresor, indica con «T» l’edizione Chabaille del trattato e con «Vis.» il ms. perduto appartenuto a Roberto De Visiani, identificabile con il ms. Landau-Finaly 38 della Bibl. Nazionale di Firenze: cfr. S. Bertelli- M. Giola, Il «Tesoro» appartenuto a Roberto De Visiani. Firenze, Biblioteca Nazionale centrale, Landau Finaly 38, in corso di stampa in «Studi di filologia italiana»; sul ms. si veda inoltre Mascheroni, I codici cit., pp. 492-93). 30 Li livres dou Tresor de Brunetto Latini, édition critique par Francis J. Carmody, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1948.

Page 7: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 271

PESCI 1 pesci (F), 2 balena, 3 sega marina, 4 pesce porco, 5 pesce spada, 6 scorfano, 7 anguilla, 8 murena, 9 echino, 10 vergilia (F), 11 coccodrillo, 12 cete, 13 conchiglia (F), 14 delfino, 15 ippopotamo, 16 sirena (F), 17 pesce sagitte (F M), 18 granchio di fiume (F M).

RETTILI 19 serpenti (F M), 20 aspide, 21 anfisbena, 22 basilisco (F), 23 drago, 24 calcatrice (F), 25 scitale, 26 vipera (F), 27 lucertola, 28 salamandra (F), 29 rospo e rana (F M).

UCCELLI 30 aquila (F), 31 astore, 32 varietà di astore, 33 sparviero, 34 falco, 35 smeriglio, 36 al-cione (F), 37 rodione (F), 38 ardea, 39 anatra e oca (M), 40 ape (F M), 41 ragno (F M), 42 ca-radrio (calandra), 43 colombo (F M), 44 cicala, 45 corvo (M), 46 cornacchia, 47 coturnice (M), 48 pernice (F M), 49 cicogna, 50 cigno, 51 fenice, 52 gru (M), 53 upupa (M), 54 rondine (F M), 55 pellicano, 56 secondo pellicano (F), 57 starna (ossia pernice) (M), 58 pappagallo (F), 59 pavone, 60 tortora (F), 61 picchio (F), 62 avvoltoio (F M), 63 struzzo, 64 gallo e gal-line (F M).

ANIMALI TERRESTRI 65 leone (F M), 66 antilope, 67 asino (F M), 68 bue (F M), 69 pecora (F), 70 montone (F M), 71 capra (F M), 72 porco (F M), 73 cervo (F M), 74 capriolo e cerva (M), 75 castoro (M), 76 cammello (M), 77 cane (F M), 78 camaleonte, 79 cavallo (F M), 80 elefante (F M), 81 riccio (F M), 82 donnola (M), 83 formica (F M), 84 lupo (F M), 85 lince, 86 volpe (F M), 87 lepre (F M), 88 leocrocuta, 89 manticora, 90 pantera (M), 91 parandro (M), 92 scimmia (F M), 93 ti-gre, 94 talpa (F M), 95 unicorno (F), 96 orso (M). Interpolazioni a parte, l’ordine dei capitoli rispecchia quello del Tresor, che è co-

stante in quanto alfabetico all’interno dei quattro raggruppamenti 31, tranne nella parte successiva al capitolo 69 (corrispondente al cap. 179 del Tresor) dove rilevo un ordine alterato rispetto a quello dell’originale:

69 pecora 178 berbis 70 becco – 71 capra – 72 porco – 73 cervio 183 cerf 74 ciavrello e bicia 182 cevrel et biches 75 castorno 181 castoire 76 cammello 180 chamiaus 77 cane 184 chiens 78 camelione 185 camelion 79 cavallo 186 cheval 80 alifante 187 oliphans

31 Fa eccezione il capitolo iniziale di ciascuno dei quattro raggruppamenti tipologici, tranne nel caso degli uccelli dove l’aquila è il primo degli uccelli anche nell’ordine alfabetico: «Ci comence de la nature des animaus et premierement des poissons» (Tr. 1.130); «Ci parole de serpenz» (Tr. 1.137); «Ci dit de aigle» (Tr. 1.145); «Ci parole dou lion et son estre» (Tr. 1.174).

Page 8: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 272

81 riccio – 82 bellota, cioè donnola 179 bellote 83 formica 188 formies 84 lupo 190 loup Dopo il capitolo sul lupo, interpolazioni a parte, riprende la corrispondenza con i

capitoli del Tresor. Registro proprio nell’ultima parte un’ulteriore anomalia, sia pure di natura meccanica: dopo la c. 163 si passa a c. 165 per poi tornare a c. 164. Si tratta evidentemente di un’inversione di carte all’atto dell’ultima legatura.

Alle cc. 135d (64.11), 137d (65.14), 140a (68.5), 153c (80.10) e 155a (82.4) si trovano delle glosse, probabilmente marginali nell’antigrafo e passate a testo con la copia: le due in 64.11 e quella in 82.4 sono definite «Not[e] del glossatore» da Bat-telli 32, senza ulteriori specificazioni. Che possa trattarsi di glosse passate a testo e non di glosse appartenenti al discorso è reso probabile dalla seconda glossa in 64.11, dislocata rispetto al termine glossato: «et mescolera’lo con cacabre et vino et dara’lo loro beccare (cacchabre est genus vernicis)», così come dalla glossa in 82.4: «farai impiastro ex aleie et fogle di fica trito et comino (aleie ène osso d’alifante)».

Il commento è limitato agli aspetti testuali 33; per la parte comune al Tresor il rinvio implicito è al commento al primo libro da me curato per l’edizione einaudiana diretta da Beltrami. Un commento completo, che coinvolga l’analisi delle interpola-zioni, e che ne districhi l’intreccio di fonti, è rinviato ad un eventuale sviluppo del lavoro 34. Per alcuni dei lessemi più interessanti dal punto di vista lessicografico fac-cio un rinvio esplicito al già citato studio dei gallicismi e dei termini medici 35; è in-fine sottinteso il rinvio al Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, a cui il bestia-rio del Laurenziano ha fornito integrazioni a voci già redatte e un certo numero di voci non altrimenti attestate. Di alcuni termini, posto che non si tratti di luoghi di corruzione testuale, non ho accertato il significato: adkaron (68.9), algenuit e la sua glossa bovis amari (65.14), lapis vacuus (64.11), melluento antico (92.4).

32 Battelli, Segreti cit., pp. 160 n. 4 e 162 n. 5 e n. 7. 33 Le fonti citate in forma abbreviata nelle note di commento derivano dalle seguenti edizioni: Ambrogio, Exameron, in S. Ambrosii Opera, ex recensione C. Schenkl, Praga-Vienna-Lipsia, 1897 (Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum, XXXII); Bartholomaeus Anglicus, De rerum proprietatibus, Frankfurt, 1601 [ed. anastatica: Frankfurt a. M., Minerva, 1964]; De bestiis et aliis rebus (attribuito a Ugo di San Vittore), in Patrologia latina CLXXVII, coll. 9-164; Il «Fisiologo» latino: «versio BIs», in Bestiari medievali, a cura di Luigina Morini, Tori-no, Einaudi, 1996, pp. 3-102; Isidoro di Siviglia, Etimologie o Origini, a cura di Angelo Vala-stro Canale, Torino, UTET, 2006; Lo Diretano bando, Conforto et rimedio delli veraci e leali amadori, Edizione critica a cura di Rosa Casapullo, Firenze, Accademia della Crusca, 1997; Palladii Rutilii Tauri Aemiliani opus agriculturae, de veterinaria medicina, de insitione, edi-dit Robert H. Rodgers, Leipzig, Teubner, 1975; The Romance of Daude de Pradas called Dels Auzels Cassadors, edited [...] by Alexander Herman Schutz, Columbus, The Ohio State Uni-versity Press, 1945; Thesaurus pauperum, in Obras médicas di Pedro Hispano, a cura di Maria Helena da Rocha Pereira, Coimbra, 1973, pp. 77-301. 34 Per un primo, parzialissimo approccio alle fonti rinvio a Squillacioti, Appunti cit., pp. 167-68. 35 Squillacioti, Gallicismi cit.

Page 9: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 273

3. CRITERI DI EDIZIONE

Uso le parentesi quadre per le integrazioni (per es. «mi[l]ça», ms. miça, a c. 157b [84.4]) e per le sostituzioni di parti di testo (per es. «o[s]si», ms. orsi, a c. 165c [96.4]); nelle soppressioni l’elemento eliminato è ricavabile dall’apparato (per es. «di Dio», apparato: «ms. di | di dio», a c. 132a [62.3]). Nell’ultimo es. la barra verti-cale in apparato segnala che la parte di testo che segue la barra si trova al rigo suc-cessivo (altro es. «in uno», apparato: «ms. in|n uno», a c. 114b [29.3]); analogamen-te uso una barra doppia se il testo si trova a cavallo di due colonne o di due carte o del recto e del verso della stessa carta (per es. «vecchieçça», apparato: «ms. uec ou || chieçça», fra il recto e il verso di c. 123 [43.1]; ou è errore d’anticipo rispetto a oue-ro che segue a chieçça).

Uso il corsivo per gli scioglimenti di abbreviazioni e compendi; sciolgo il titulus con n o m: forme come cō e nō sono sciolte «con» e «non» anche davanti a parola iniziante per p-, sebbene in quella circostanza la nasale a piene lettere sia sempre m: cfr. in particolare nom puote (30.5) e nom prenda (33.3); numerose le occorrenze di im ‘in’ 36 ma non si trova mai la forma compendiata ī.

Nel caso di doppia nasale una delle quali compendiata, sciolgo la nasale col titu-lus di séguito a quella a piene lettere, tranne nei casi in cui la disposizione del testo non imponga la soluzione inversa (a c. 125c-d [49.2] fanno è scritto con fā alla fine prima colonna e no all’inizio della seconda; a c. 130a [57.2] inganni è scritto con ingā a fine rigo e ni all’inizio del successivo; a c. 132d [62.7] penna è scritto con pē a fine rigo e na all’inizio del successivo).

Trascrivo infine «dramma» o «dramme» il segno З. del ms. alle cc. 135c [64.10], 153c [80.10], 154b [81.3], 159c [87.3], 162b [87.3] 37, laddove Battelli, non corretto dal revisore dell’OVI, aveva trascritto «oncia», «oncie» 38.

Da notare a c. 152c (80.3) l’inusuale compendio in qūdo, sciolto «quando». Lungo tutto il testo alcune parole o singole lettere appaiono ripassate con un in-

chiostro più scuro, evidentemente per rendere leggibili luoghi in cui l’inchiostro ori-ginale era evanito: di tali riscritture si dà conto in apparato laddove si scorge un chiaro intento correttorio.

36 im padella (87.2), im panno (41.5; 62.52), im parte (79.7), im pelle (62.5; 62.62), im pian-gendo (11.1), im piccioline (57.2), im piede, -i (51.3; 53.2; 92.33), im pignatto (29.2), im pi-gnola (94.3), im podraghe (77.9), im polvare (68.6), im portare (80.9), im postema (64.9), im preda (57 rubr., 1), im pregione (49.7; 77.8; 79.6a), im prendare (34.5), im presso (83.2), im prima (19.1, 2; 79.15). Davanti all’occlusiva labiale sonora im alterna con in. 37 Cfr. Adriano Cappelli, Dizionario di abbreviature latine ed italiane [...], Milano, Hoepli, 19906, p. 407. 38 Il segno per oncia, almeno a norma di Cappelli, Dizionario cit., p. 410, presenta un titulus unito al tratto superiore di un segno assai simile a quello per dramma.

Page 10: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 274

4. TESTO

1

|101c| Qui divisarae lo contio primeramente la natura di molti animali et primera-mente dirae de’ pesci et di loro nature.

[1] Pesci sono sança nume[ro], (a) bene che Plinus ne conti .clxiiij. nomi et ciascu-no in diverse maniere, et divisa l’uno dal’altro. L’uno vive in acqua solamente, l’al-tro vive in acqua et in terra. Li altri fanno huova et gittalle nel’acqua et l’acqua le ri-ceve et falle ingenerare et donalo vita et nodrimento. Li altri ingenerano figluoli vivi et sono balene et cete et dalfini et molti altri pesci. Et quando veggiono navi 39, elle le riguardano diligentemente in tutta loro gioventudine in tale maniera che se ne veggiono veruno mal|101d|vagio aguatio la madre incontanente apre sua bocca e tira a sse lo suo figluolo et inghiottiscelo nelo suo ventre là dove elli ène istato conce-puto; poscia lo gitta fuori quando lo vede sença viltade. [2] Et sappiate che li pesci non fanno mai avolterio veruno a comune: a dire che l’una maniera de’ pesci non si agiogne col’altra carnalmente, secundo che fae l’asino cola giomenta, overo lo ca-vallo con l’asina. Et non puote vivare sença acqua né alungarsi di suo lignaggio. Et sì ànno denti forti et aguti di sotto e di sopra per mantenere loro vivanda contra lo forte corso del’acqua. Dunde l’uno pesce mangia erbe et picciolini vermicelli, li grandi mangiano li pesci picciolini. Ciò ène in tale maniera che minori pesciolini sono esca deli maggiori et così l’uno vive del’altro. [3] Et loro huova sono tutte ro-tunde, et non ène distinto l’albume dal tuorlo. Et non ànno li pesci veruna infermi-tade pestilentiale sì come ène neli altri animali, e perciò |102a| che li pesci non trag-gono aiera a lloro sì come fanno li altri animali; et perciò non ànno quelle infermi-tadi. Ancora li pesci abitano in acqua la quale mondifica le cose et perciò non si conmuovono dale cose puççolenti sì come fanno li altri animali. Ancora abitano nelo mare lo quale mare ène salso, et lo sale conserva da puççura et da infracidamento.

1 Tr. 1.130.1-2, Tes. IV.I (§§ 1-2); interp. F (§ 3). (a) ms. nume | bene (da Pesci a nume in corpo maggiore).

2

Delo pesce detto balena et di sua fiera grandeçça. [1] Balene sono di fiera grandeçça. Et gittano l’acqua più in alto che niuna altra

maniera di pesci. Et sono maschi et femine, et usano |102b| insieme carnalmente; et lo suo musile 40 sì ène quello donde concepe. 2 Tr. 1.130.3, Tes. IV.I. 39 Si mantiene la lettura del ms. ma si tratta di un evidente fraintendimento: cfr. Tr.(R) 1.130.1: et quant il les voient nes [MOR2V], dove nes vale ‘nati’. 40 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘pesciolino che accompagna i cetacei: muscolo, fanfa-no, pesce pilota’).

Page 11: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 275

3

Di serre et di sua cresta et di sue alie. [1] Serre sì ène uno pesce in mare lo quale àne una cresta in capo in maniera de

sie. Et questo pesce ène sì forte che ispeçça tutte le navi che trova di sotto. Et le sue alie sono sì grandi che elli ne fae vela, et vae bene .viij. leghe contra la nave. Et ala fine, quando non puote più sofferire, sì cade nel fondo del mare. 3 Tr. 1.130.4, Tes. IV.I.

4

|102c| De’ pesci porci, che cavano la terra sotto l’acqua. [1] Porci sono una maniera di pesci che cavano tutto giorno la terra sotto l’acqua

in fondo di mare per chiedere la loro vivanda, sì come fanno i nostri porcelli, che la loro bocca ène sotto la loro gorgia, in tale parte che elli non poterebbero bene collia-re la loro vivanda se tuttavia la loro boccha non fusse fitta in terra. 4 Tr. 1.130.5, Tes. IV.I.

5

Delo pesce glavie e di suo beccho. [1] Glavie ène uno pesce in mare che àne fatto lo suo becco come una taglente

ispada, dunde pertusa con quello beccho tutta la nave et falla afondare. |102d| 5 Tr. 1.130.6, Tes. IV.I.

6

Delo scarpione. [1] Scharpione ène chiamato da molta gente imperciò che elli laidisce malamente

la mano a tutti coloro che lo piglano. Di cui dicono assai di gente che se tue legherai .x. cancri d’una erba la quale àne nome oçimi, tutti li scorpioni che vi saranno d’intorno vi si raguneranno inmantenente. 6 Tr. 1.130.7, Tes. IV.I.

Page 12: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 276

7

Del’anguilla. [1] Anguilla ène di pantano et di terra. Et perciò adiviene che quando l’uomo più

la strigne ed ella più fugge di sua mano. Dicevano li antichi che chi bevesse di vino dove anguilla fusse negata non averebbe più volontade di bere. 7 Tr. 1.130.8, Tes. IV.I.

8

|103a| Delo pesce detto morena. [1] Morena ène chiamata imperciò che si piega in molti cerchi. Di cui dicono li

pescatori che tutte morene sono femine et che ingenerano di serpente. Et imperciò coloro che le voglono piglare sì lle chiamano al sufilo in modo dela boce del serpen-te et la morena sì viene a quella boce; et in tale maniera ène presa da coloro che la voglono piglare. Et voglo che voi sappiate che la sua vita ène nela coda; et imperciò chi la ferisse in suo capo overo in suo dosso, giamai non morrebbe per esse ferite. 8 Tr. 1.130.9, Tes. IV.I.

9

Delo pesce eghinus et di sua savieçça. [1] Eghinus ène uno picciolino pesce di mare; ma elli ène |103b| molto savio per

sua natura, che quando elli sente la tempesta del mare, inmantenente prende una pietra con sua bocca, ançi che la tempesta sia venuta, et portala per sé mantenere come una àncora di nave incontra la tempesta. Et perciò se ne prendono ispesso guardia li marinari che campano dale dette fortune. 9 Tr. 1.130.10, Tes. IV.I.

10

Delo pesce detto vergilia et di suo corrimento et di sue alie. [1] Vergilia ène uno pesce di mare corrente come una saetta. Et le sue alie sono

taglenti come uno rasoro. Et corre sì fortemente per mare che quando trova alcuna nave andare a vela per mare sì ssi pareggia con essa nave et sì lla seguita più di cen-to migla per volontade di |103c| farla afondare. Et quando vede che no· lla puote più perseguitare si chiude l’alie et lasciasi cadere infino in fondo di mare per lo dolore che elli àne dela nave che si parte da llei, che no· lla puote fare afondare. 10 Tr., Tes. om.; interp. F (§ 1).

Page 13: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 277

11

Delo corcorello, che àne quattro piedi ed ène tutto giallo. [1] Corcorello ène uno animale lo quale àne quattro piedi ed ène tutto giallo et na-

sce nel fiume di Nile, ciò ène lo fiume che bagna tutta la terra d’Egitto, secundo che lo contio l’àe divisato qui adietro. Questo corcorello ène più grande di .xx. piedi ed ène armato di grandi denti et di grandi unghie. Et lo suo cuoio ène sì duro che elli non sente mai colpo di pietra che |103d| dato li sia. Et lo die ène sua abitatione in terra piana, et la notte si riposa nel fiume di Nile. Le sue huova sì fae in terra, in tale luogo che lo fiume non vi puote venire; et non vane ponto di longa 41. Et sì ène l’ani-male sença più che elli muove la mascella di sopra et quella di sotto istae ferma. Et se elli vede l’uomo sì llo mangia im piangendo. [2] Ora aviene che uno ucello lo qua-le àne nome strufilone vuole avere carogna per mangiare; inmantenente si gitta nela boccha di questo corcorello et sì llo gratta tutto soavemente, tanto che lo corcorello apre tutta sua bocca per lo diletto delo grattare che fae questo strufilon. Allora viene un altro pesce lo quale àne nome stice, overo calcatrice che tutto ène una cosa, ed entra per la bocca di questo corcorello et vanne per lo corpo ed escene fuori dal’altra parte, in tale maniera che ella rompe et speçça tutte sue coste; et in tale maniera l’uc-cide et tra’la a fine. [3] Et nota che lo dalfino l’uccide in questa maniera medesima: che elli àne in su lo suo |104a| dosso una lisca fatta come una saetta; et quando vede lo corcorello notare per mare elli sì li entra sotto et fierelo tutto sotto lo ventre di sua saetta, in tale maniera che quello dalfino l’uccide inmantenente. [4] Con ciò sia cosa che veruna calcatrice non istia nel fiume di Nile et in quello fiume viva; non ène ella né mica pesce, ançi ène serpente d’acqua che uccide l’uomo incontanente se ella lo fiere, se incontanente lo fiele del bue non ène posto suso ala detta ferita. [5] In quella terra abitano omini molto picciolini, ma sono molto arditi, che sanno contrastare a’ detti corcorelli, perciò ched ène di tale natura che caccia colui che fugge. Et se l’uo-mo che si difende da lui grida alcuna volta sì ène lo serpente sì preso di lui che alcu-na volta lo campa di morte. Et quando lo corcorello ène preso d’alcuna persona, elli dimentica incontanente tutta sua fiereçça et diviene sì dimestico et mansueto che lo signore lo puote cavalcare et farli fare ciò che vuole fare. |104b| Et quando ène dentro lo fiume non vede guari bene lume, et quando ène in terra sì vede molto bene. Tutto verno non mangia niente, ançi soffera grande fame quattro mesi del’anno. 11 Tr. 1.131, Tes. IV.II.

12

Delo pesce cete detto balena, et di sua grandeçça. [1] Cete ène uno grande pesce di mare, et molti lo chiamano balena. Ciò ène uno

pesce lo quale ène grande come uno monte che stae di sopra al’acqua et rimane a

41 Si mantiene la lettura del ms. che evidentemente fraintende Tr.(R) 1.131.1: n’a point de langue [MR2; point langue O, point de la laingue V].

Page 14: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 278

seccho (a). Et non puote iscampare se elli non ène in grande mare. Et questo ène quello pesce lo quale ricevette Giona profeta dentro delo suo ventre, secundo che ne racontia la storia delo vecchio Testamento, che credeva |104c| Giona essere andato in onferno per la grandeçça delo luogo dove era intrato. [2] Et questo pesce lieva suo dosso in alto mare tanto che dimora (b) in uno luogo che lo vento vi porta lo sabione et raguna sopra di lui tanto che elli vi nascono erbe et cotali picciolini arboscelli, dunde li marinari sono molte volte malamente ingannati là dove elli credono che sia isola terraferma. Allora discendono dele navi et ficcano loro pali et fanno fuoco per cuocere loro cocine. Et quando questo pesce cete sente lo fuoco non puote più soffe-rire, allora entra sotto l’acqua et fae sormeggere (c) tutti coloro che sono sopra di lui. 12 Tr. 1.132, Tes. IV.III. (a) ms. seccho, con h soprascritta a una o. (b) dimora su rasura. (c) ms. sor|meggere.

13

|104d| Dele coquille, che stanno nelo fondo del mare. [1] Coquille ène uno pesce di mare inchiuso in canto sì come uno scavrie 42. Et

ène tutto ritondo come una mela, ma elli l’uopre et richiude quando elli vuole. Et lo suo stallo ène nelo fondo del mare. [2] Ma elle vengono al mattino sopra al’acqua et tengonsi a due a due e stanno aperte incontra lo cielo et ricevono la rugiada et la piu-va che vi cade dentro infra loro medesimo. Et quando la còcciola ène alquanto indu-rata per lo raggio del sole che vi percuote suso, elle si chiudono per la volontade di Dio, ciascuna partitamente, et vannosene incontanente al fondo del mare ed ivi di-morano cento anni et più. Et questo mare si chiama Mare Nero. Poi le genti che vo-glono pescare per esse coquille sì lle traggono del fondo del mare in questo modo: ciò ène che elli cuoprono loro volti di vesciche di bue che elli s’aconciano et assetta-no per alitare di loro bocca et di loro naso |105a| sotto l’acqua; poi s’ungono tutto quanto d’uno unguento nero, laonde li pesci li dottano fortemente et fuggono via da lloro. Et imperciò fanno così perciò che in altro modo non si poterebbero difendere da’ pesci. [3] Poi, quando elli le traggono fuori del mare, si trovano le pierle in guisa di carne bianca; non che elle sieno né pierle né pietre nientementre che sono in mare, ma sì tosto come elle sono fuori del mare et l’uomo viene ed uoprele, le congel[a] (a) inmantenente che elle veggono l’aiera: sì diventano pietre bianche, piccioline, dure come elle sono. Et queste sono quelle pietre che l’uomo chiama pierle et margarite. Et voglo che voi sappiate che se la rugiada che vi cade dentro ène pura et netta, la mattina le pierle sono bianche et lucenti, altrimenti non sono bianche. [4] Et niuna pierla ène maggiore di meçça oncia di dito. Et se elle non sono di stagione, elle puto-no più che veruna carogna che sia et non vaglono niente. Ciò ène che |105b| le co-quille grandi che stanno nel’acqua dolce nel’isole delo profondo mare d’India sì ssi fanno dela gragnuola che cade dall’aiera in queste coquille. Et sì tosto come ella

42 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘gambero’).

Page 15: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 279

v’ène caduta dentro la gragniuola et queste coquille si chiudono inmantenente et vannosene al fondo del mare. Et ivi dimorano al fondo del mare .cc. anni et .ccc. anni che elle non vaglono niente. Poi vengono le genti di quelle contrade et cercano per esse coquille, et sì lle traggono fuori del’acqua et quelle che sono buone si di-ventano fini carboncoli, et quelle che non sono buone elle putono più che veruna ca-rogna et non vaglono niente. Et voglo che voi sappiate che elli àne in quelle contrade d’India femine le quali nudriscono li loro figluoli picciolini nel’acqua del mare acciò che quando sono grandi possano meglo cercare et più sicuramente per esse coquille. Et non intendete che tutta la piuva che cade dentro le co|105c|quilles diventino tutte pierle né carboncoli, ma la piuva che piove lo dì di calendi gennaio, ciò ène lo primo dì di gennaio, et cade dentro le coquilles sì diventano pierle; et ciò adiviene molto rade volte. Et deli carboncoli sì ène la gragnola che discende dentro le coquilles, le quali sono dentro nel’acqua dolce ad .xxiiij. dì dela luna del mese di dicembre quan-do la luna ène nel segno di Cancer. Et ciò adiviene viepiù tardi che dele pierle. [5] Ancora ène un’altra coquilla in mare la quale àne nome murriche, et più gente la chiamano arstro, perciò che quando l’uomo l’àne taglata torno di lei sì n’esce lagri-me di che l’uomo tinge la porpore et quella tintura ène [de] suo (b) gargois 43. [6] An-cora ène un’altra coquilla in mare la quale ène chiamata granchio, imperciò che ella àne gambe ed ène tutta ritonda sì come lo granchio. Et ène nemica di ostra che man-gia sua carne per grande ingegno, et udirete come. Ella porta una picciolina pietra con sue gambe |105d| dinançi et guarda quando l’istria apre suo gargalone 44; allora viene la coquilla et gitta sua picciolina pietra dentro lo gargalone del’istria, in tale maniera che detta istria non àne podere di chiudere suo gargalone né la sua bocca; allora la prende la detta coquilla et sì la mangia tutta quanta. 13 Tr. 1.133, Tes. IV.IV (§§ 1-3, 5-6); interp. F (§ 4). (a) ms. cōgele. (b) ms. ene suo.

14

Delo dalfino, che segue la voce del’uomo, et di sua leggereçça et di sua bocca. [1] Dalfino ène uno grande pesce di mare lo quale segue volontieri la voce deli

uomini ed ène lo più leggiero pesce che sia in mare, che elli trapassa lo mare tutto oltra im parte 45 sì come elli volasse; ma elli non vae leggiermente solo, ançi vanno molti insieme. Et per loro anda|106a|re s’aveggono li marinari quando la tempesta dia venire, quando veggiono li dalfini corrire per mare come in fuggendo et cadendo co- 43 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘guscio’). 44 Il termine senese per ‘gola’ (cfr. Ubaldo Cagliaritano, Vocabolario senese, Firenze, Barbè-ra, 1975, s.v. gargalone e GDLI s.v. gargalone) è qui usato in corrispondenza di gargois ‘gu-scio’ dell’originale francese: cfr. Tr.(R) 1.133.5: il porte une petite pierre et garde quant l’ois-tre ovre son charcois... [OMV; gosier R2]; analogamente Tes. IV IV legge: «ch’ella porta una piccola pietra, e va di sopra l’ostrice, e quando ella apre la bocca...». 45 L’espressione resta poco chiara, anche se la si confronta con Tr.(R) 1.134.1: il trespasse la mer d’outre en outre autresi [V; ainsi MR2, ausi O] come se il volast.

Page 16: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 280

me la (a) folgore li cacciasse. [2] Et voglo che voi sappiate che li dalfini ingenerano fi-gluoli in uova et portalli .x. mesi et guardalli diligentemente et nudriscono di loro latte. Et quando li dalfini sono in loro gioventudine, loro madre le ricolgono in loro gorgia per meglo guardalli dale cose nocive. Et vivono .xxx. anni secundo che dico-no li savi che l’ànno provato. Et la loro bocca non ène dove ène quella deli altri pe-sci, ançi ène presso lo ventre loro, contra la natura. Et veruno pesce d’acqua non mu-ta lingua se non lo dalfino. [3] Et lo suo fiato non puote mai ricoglere infino a tanto che elli ène sotto l’acqua se elli non viene in alto infino all’aiera. Et la sua voce ène sembiante a quella del’uomo che piange. [4] Nela primavera ne vanno molti nelo ma-re di Ponto per nodrire e loro figluoli per la grande abondança del’acqua che v’àe; allora entrano a dritto et seguono a sinistro |106b| perciò che elli non veggiono bene del’occhio ritto, ma del manco veggiono troppo bene. [5] Et voglo che voi sappiate che nel fiume di Nile sì àne una maniera di dalfini che ànno adosso una lisca, la qua-le lisca tagla come uno rasoio, che uccidono li corcorelli con quella cotale lisca, sì come avete udito dire di sopra 46. [6] Et sì troviamo noi nel’antiche storie che uno fanciullo di Campagna nudrio uno dalfino di pane lungamente et fecelo sì dimestico con esso che elli lo cavalcava per tutto lo paese; poi come piacque a Dio Nostro Si-gnore quello fanciullo si morio, et quando lo dalfino vide morto lo fanciullo, in-mantenente si morio di dolore. [7] Un altro dalfino ebbe in Giasse di Bambillonia che tanto amoe uno fanciullo che elli si poneva a giocare con esso lui; et avendo uno giorno lo fanciullo molto giocato con quello dalfino, volsesi fuggire da llui per non volere più giocare con esso lui. Et vedendo lo dalfino che lo fanciullo si fug-giva |106c| et non voleva più giocare con esso lui volseli seguitare dietro, ma non ebbe podere di seguitarlo per terra secca; sì fue preso suso lo sabbione dale genti che v’erano. Et queste cose et molte altre meravigle sono vedute di questi animali per amore che ànno portato ali omini quando sono istati dimestichi con essoloro. 14 Tr. 1.134, Tes. IV.V. (a) Così nel ms.; considerato l’uso del testo, è probabile l’ellissi di se: s’intenda come [se] la folgore li cacciasse.

15

De ipotene, che ène detto cavallo di fiume. [1] Ipotene ène uno pesce lo quale ène chiamato cavallo di fiume perciò che elli

nasce nelo fiume di Nile. Et lo suo dosso et lo suo crino et la sua voce ène simile a quella del cavallo. Le |106d| sue unghie sono fatte come quelle del bue. Li suoi denti sono fatti come quelli del porco cinghiale. Lo suo naso ène fatto come quello del cane. La sua coda ène ritonda, et vae arieto culo per lo agguatio deli uomini. [2] Et quando elli mangia troppo elli se ne avede inmantenente perciò che elli infonde per suo mangiare. Et inmantenente che elli si vede rinfuso, elli ne vae suso per le canne novellamente taglate et fae tanto che lo sangue li esce per li piedi in grande quanti-tade. Et per tale maniera guarisce di sua infermitade. 46 Cfr. 11.3.

Page 17: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 281

15 Tr. 1.135, Tes. IV.VI.

16

Dela serena et di loro tre maniere. [1] Serene, ciò dicono li auttori, sono di tre maniere. La prima maniera di serene

sì ène quella |107a| ched àne sembiança di femina infino le cosce, ma da quello in giuso sì ène in sembiança di pesce; ciò ène meçça femina dal capo infino ale cosce et l’altra metiade ène pesce, cio ène dale cosce in giuso. Et anco àne alie et unghie nele mani. [2] La secunda maniera di serene sì ène meçça femina et meçço ucello. La terça maniera di serene sì ène meçça femina et meçço cavallo. Dunde la prima sere-na ch’è meçça femina et meçço pesce canta sì dolcemente di sua boce che qualunque omo l’ode cantare sì ène mestieri che per força s’aprossimi a llei et che ella lo face là adormentare a quella boce, udendola sì nobilmente cantare; poi quando la serena lo vede adormentato ed ella l’uccide. La secunda maniera di serene che ène meçça femina et meçço ucello sì fae uno suono come d’arpa et simiglantemente n’è l’uomo tradito et morto. La terza maniera di serene ch’è meçça femina et meçço cavallo, sì suona uno suono di tromba lo quale ène sì dolce a udire che uccide l’uomo |107b| in quello medesimo modo. Et così per loro dolci canti fanno perire tutti e non savi che per lo mare navicano. [3] Ma secundo lo vero dire le serene furono tre meretrici le quali ingannavano tutti li trapassanti et mettevalli in grande povertade. Et dice la sto-ria che elle avevano alie et unghie per significança del’amore che vola et fiere et conversa in acqua, perciò che luxuria ène fatta d’umidore. [4] Et alo vero dire in Araba àne una maniera di serpenti che sono tutti bianchi li quali sono chiamati sere-ne. Et corrono sì maraviglosamente che alcuna gente dice che elli volano. Et lo loro veneno ène sì st[r]acrudele (a) veneno che se per isciagura elle mordono alcuna per-sona elli conviene che elli muoia incontanente ançi che elli senta veruno dolore. 16 Tr. 1.136.1-3, Tes. IV.VII (§§ 1, 3-4); interp. F (§ 2). (a) ms. sta crudele.

17

|107c| Delo pesce sagitte, che nasce nela contrada d’Egitto. [1] Pesce sagitte nasce nela contrada d’Egitto, nelo mare che passano li Ebrei.

[2] Et Aristotile dice che in questo pesce àne molta utilitade, nela sua carne et nelo suo sangue et nelo suo grasso et nelo suo fiele et nei testiculi et nel nodo 47 et nela sua coda. [3] La sua carne fae ingrassare tutti coloro che ne mangiano. Et se ella sa-rae salata et cotta in vino, quella cocitura a bere purifica le reni et purifica li occhi. Lo suo sangue, se alcuno lo berae caldo, overo ungerae con esso lo luogo sordo 48, 47 «Protuberanza del cervelletto» per Battelli, Segreti cit., p. 168 n. 1. 48 Battelli legge fondo e interpreta «La macchia scura della pelle» (Battelli, Segreti cit., p. 168 n. 2).

Page 18: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 282

reducerae lo corpo a calore propio. Et se tue lo mescolerai col sangue dela lepre et ungerai con esso le macchie dela faccia overo letigine overo macchie minutissime, manderallene via incontanente et dar[a]e (a) bello colore. Lo suo grasso, ad ungere le reni, caccia via ongne dolore. Et fae distillare la milça. [4] Lo suo nodo, dato a bere ad alcuna femina, fa|107d|rae concepere incontanente. Et purifica la verga et fae ve-nire la volontade dela femina. Li suoi testiculi, bevuti con acqua di ruta, fae sotti-glare la milça. Se lo suo testiculo manco sarae dato a bere con acqua dove sieno cotti ceci neri et con uno poco di vino purissimo, provoca la volontade dela luxuria et ri-scalda le reni et purifica la verga. Se dela cocitura dove saranno cotti li detti pesci darai a bere a due omini che non si favellino, overo che sieno aversari, reduceli ad concordia et ad amore incontanente. Se il detto pesce porrai a collo ad alcuno fan-ciullo che tema in sogno, sarane curato incontanente. 17 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1 [Ba 31]), interp. M (§§ 2-4 [Ba 31]). (a) ms. dare.

18

|108a| Delo granchio del fiume et dello marino. [1] Li granchi del fiume sono come tondi ed ànno (a) gambe. [2] Et sono buoni

al’enfrascritte cose, ciò ène contra lo morso delo cane rabioso. Lo granchio marino ène più utile. Prendi dela cenere del granchio a peso di uno quarto e meçço, et quarto e meçço di salegemma, et tolli del vino nel quale bolla la mortina, et tolli li granci quando la luna sarae in fondo, et che lo sole sia in Leone. Et la luna sia in Ariete, inel principio del mese d’aprile, et tolli li granchi vivi et mettili in uno pingnatto roç-ço che sia bene coperto, et mettili nel forno caldo et lasciali istare infino a tanto che elli sieno fatti tutti cenere. Quella cenere ène buona a dare a bere ad ogni persona che fosse morso d’alcuna venenosa bestia. La cenere deli granchi, mescolata con vino, posta sopra le fessure dele membra, sanale et stringele, posta ciascuno die. [3] Lo granchio del fiume overo marino pestato |108b| molto bene et mescolato con latte d’asina, molto vale a dare a bere contra ongni veneno et morso di serpente. Et mescolato con alume di roccha et seme di basilico uccide tutti li scorpioni. Lo gran-chio del fiume cotto in acqua, quella acqua a bere, sì fae lo corpo solubro et fae pi-sciare, et conforta molto li tisichi et tutti coloro che ànno apostemato li polmoni. Lo granchio del fiume trito et posto sopra la postema dura, a modo d’impiastro, disper-gela incontanente. Lo granchio del fiume, pesto a modo d’impiastro a ponere ala bocca, dove fosse ferro overo legno, càvalo fuori incontanente. [4] La cenere deli granchi mescolata con mele, a fare sì come unguento, sana tutte le fessure dele mani et quelle deli piedi, le quali avengono per caso di fredo. Se porrai a collo lo piede del granchio a colui che averae la scrofula sarae curato incontanente, se lo terrae a collo per più die. Et se sarae sospeso ala radice d’alcuno alboro |108c| lo quale perda lo suo frutto per caso di vento, non caderae lo frutto che vi sarae suso. L’occhio del cancro apiccicato a collo di colui che àne male neli occhi, farae istare incontanente cheto lo dolore. Et se sarae posto a collo del fanciullo lo quale patisce dolore di denti, sarae curato incontanente. Et nota che anco vale molto contra la terzana. [5] Lo

Page 19: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 283

granchio del fiume, trito con vino, dato a bere ala femina pregna, non puote disertare in sua pregneçça. Rasis lo dice: lo sugo deli granchi del fiume, ad ungere li orecchi, tolle via ongne dolore. [6] Qui si ristarae ora lo contio di dire dela diversitade de’ pe-sci et di loro nature, et dirae deli altri animali che sono in terra, et primeramente di-rae dela natura di tutti li serpenti et di tutti altri animali che tengono veneno. 18 Tr. 1.136.4, Tes. IV.VII (§ 6); interp. F (§ 1 [Ba 22]); interp. M (§§ 2-5 [Ba 22]). (a) segue uno spazio bianco corrispondente a tre caratteri (Battelli, Segreti cit., p. 162 integra «X» fra parentesi quadre).

19

|108d| Qui divisarae lo contio di tutte maniere di serpenti, di tutti altri animali che tengono veneno et dele propietadi che elli ànno et loro generationi. Et primeramente diremo dela natura delo dritto serpente.

[1] Serpenti sono di molte maniere et generationi. Et tanto come sono divisati di maniere tanto ànno diverse nature in loro. Ma generalmente tutti li serpenti sono di freda natura, né giamai non feggono se im prima non riscaldano. Et imperciò nuoce loro veneno più di die che elli non fae di notte, che in tempo di notte si rafredda in loro tutta calura. Et per la fredura dela rugiada tutto verno giacciono in loro nido. Et la state se n’escono fuori et vannosene ala fredura. [2] Et |109a| perciò aviene quando l’uomo ène ferito di loro veneno non puote mai iscampare se none per grande aita-mento. Elli ène chiamato veneno imperciò che elli entra intra le vene del’uomo et non àne veruno podere di fare alcuno male infino a tanto che elli non tocca im prima lo sangue del’uomo; allora quando lo veneno iscalda et arde dentro lo sangue de-l’uomo, uccide incontanente l’uomo. [3] Natura di serpenti sono tali che quando in-vecchiano li loro occhi sono pieni di tenebre. Elli digiunano longamente et guardansi di non mangiare niente, tanto che elli dimagrano fortemente et la loro pelle alarga et comincia a piegare in suo corpo; allora entrano per força nelo stretto di due pietre tanto che elli si dispoglano dela vecchia iscogla 49: allora diventano freschi et gio-vani et bene vedenti. Ma elli usano di mangiare finocchio per avere più chiara ve-duta, et quando voglono bere lasciano loro veneno in al|109b|cuno luogo celato et perciò non fanno male in acqua. [4] Et voglo che voi sappiate che lo serpente teme fortemente l’uomo ingnudo, et se elli lo vede vestito sì lli viene adosso et falli tanto male quanto elli puote; et se elli mangia l’enteralie 50 d’alcuno omo digiuno elli muore incontanente. Et la sua vita sì ène nel capo, in tale maniera che se alcuno omo 49 La scoglia è la pelle del serpente anche nel volgarizzamento del De agricultura palladiano compreso nel corpus TLIO: Palladio volg., XIV pm. (tosc.), L. 12, cap. 7, p. 275.25: «Aiutasi ancora sospendendovi suso la scoglia della serpe»; cfr. il Gloss. lat.-aret., XIV m., p. 295.10: «hec scuama, me, la scoglia e la piastra de la coraçça e la scoglia de la serpe e la raschiatura del pescie». 50 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘interiora’), ma i mss. della famiglia delle versioni lunghe e tutte edizioni del Tresor (1.137.4) leggono crachet, crachaz ‘sputo’, in consonanza con l’Exameron di Ambrogio: «ieiuni hominis sputum si serpens gustaverit, moritur» (VI 4 [28]) ripreso alla lettera dal De bestiis, III LIII.

Page 20: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 284

lo taglasse et la testa iscampasse via o due dita del corpo vive et già perciò non muore; et questa ène quella cosa perché lo serpente si mette a morte per iscampare sua testa. [5] Et sappiate che tutti li serpenti ànno corta veduta et non guardano di traverso se non poco, perciò che li loro occhi non sono nela loro fronte dinançi sì come sono deli altri animali, ançi sono da llato entro li orecchi; et perciò ànno più corta veduta che elli non ànno corto l’udito. Et mena più tosto sua lingua che veruno animale che viva, et imperciò crede l’uomo che lo serpente abbia tre lingue, ma io vi dico che elli non àne più d’una. [6] Et lo suo corpo |109c| ène molto umido per la via dove va disegnando per lo suo umidore perciò che lo serpente usa lo suo corpo in luogo di gambe et le sue iscagle usa in luogo d’unghie. Et aviene che 51 se elli ène ferito in alcuna parte di sua persona, dala gorgia infino ala fine del corpo perde tutta sua força in tale maniera che elli non puote giamai corrire sì come faceva di prima. [7] Ancora li serpenti vecchi possono sostenere lo digiuno più che niuno altro ani-male che sia, perciò che sono fredi di loro natura; unde più puote digiunare uno fre-matico che non puote digiunare uno collerico. Et imperciò che li serpenti sono ani-mali molto fredi èvi segnale. Et che nel verno si nascondono nel ventre dela terra là ove ène lo caldo, perciò digiunano. Ancora si dice che se lo serpente istesse .xl. die che elli non mangiasse terra che elli perderebbe tutto suo veneno. Ancora sono certi animali che la loro cotenna s’ingenera nela secondina 52 dela matrice sì come del’uomo |109d| et di certi altri animali. Et in questi non si puote rinovare il cuoio se-cundamente che nel’altre membra radicali. Ma lo serpente non nela secondina ma nel’uovo s’ingenera la sua cotenna et sì fae di nutricamento, unde secundamente che le membra generate di cibo e notricamento si possono rinovare, così si puote rino-vare lo cuoio del serpente. [8] Ancora li serpenti mangiano volontieri lo latte imper-ciò che elli s’ingenera di sangue lo quale sangue ène caldo ed umido et li serpenti sono molto frigidi, et imperciò lo mangiano. Ancora in questi cotali animali ène poco sangue et poco di calore naturale e-l calore sì mortisce il verno per la fredeçça et perciò fuggono e serpenti sotterra ad luogo caldo. Overo ène da dire che la dispo-sitione dela loro compressione fa ciò, ciò ène la radeçça de’ pori. Et perciò lo fredo non puote così passare in loro dentro il verno et guastare lo loro calore quando si na-scondono sotterra. [9] Et le sue propietadi sono queste. Se tue ungerai la tua casa et la tua ca|110a|mera col polmone del’asino, sarae netta da ongni serpente et scorpione. Et chi porterae in mano la radice dela colloquintida poterae andare intra ongni ani-male che tenga veneno. Et quando la donnola morde alcuno serpente vae inconta-nente a mangiare la ruta, imperciò che l’odore dela ruta sì ène contrario de’ serpenti. Et quando la testugine mangia dela vipera, mangia poi incontanente l’origano mon-tano. 19 Tr. 1.137, Tes. V.I (§§ 1-6); interp. F (§§ 7-8); interp. M (§ 9 [Ba 38]). 51 Fraintende Tr.(R) 1.137.6: Et son cors est si moustes que meis [neis MOR2, nies V] la voie par ou il vet deseingne par sa moustor. Et por ce que serpens use ses costet en leu de iambes et l’escailles en leu de ongles avient que se il est ferus... 52 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘placenta’).

Page 21: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 285

20

Delo serpente, che ène detto aspido et di suo veneno. [1] Aspido sì ène una maniera di serpenti molto venenosi che uccide l’uo|110b|mo

de’ suoi denti; con tutto ciò che elli sia detto aspido, elli sono di molte maniere aspidi, et ciascuno àne propietade di fare assai male. Et questo serpente lo quale ène chiamato aspido sì fae morire l’uomo di sete quando lo morde; et questo ène lo primo aspido. Lo secundo aspido sì àne nome prialie, et questo sì fae dormire tanto l’uomo che se ne muore. Lo terço aspido sì àne nome emoroi, et questo si fae fondere tutto lo sangue del’uomo infino ala morte. Lo quarto aspido sì àne nome prasie, et questo vae tutto die a bocca aperta et quando stringe alcuno omo co’ suoi denti elli enfia tutto quanto et muore incontanente et pute poi sì malamente che veruno omo non puote sofferire di stare apresso di lui in veruna maniera che sia. [2] Et voglo che voi sappiate che l’aspido porta in bocca la traslucente pietra la quale àne nome carboncolo; et quando lo ’ncantatore che li vuole trarre sua pietra di bocca dice sue parole incontanente |110c| quella fiera bestia se n’avede, allora incontanente ficca l’una dele sue orecchie in terra et l’altra orecchia si tura cola sua coda, in tale maniera che elli diviene sì sordo et muto che elli non ode veruna parola che dica lo ’ncantatore. 20 Tr. 1.138, Tes. V.II.

21

De enfimenie con due teste et di sua leggereçça. [1] Enfimenie ène una maniera di serpenti li quali ànno due teste. L’una testa àn-

no là dove la dieno avere et l’altra testa ànno nela coda loro, et da ciascuna parte de-le teste puote molto nuocere altrui. Et corre più legiermente che veruna altra be-stia |110d| che sia, et li sui occhi sono più lucenti che non sono le candele accese. Et questo ène lo serpente al mondo sença più che stae ala fredura. Et tutto die vae dinançi ali altri serpenti, sì come guidatore et capitano di tutti loro. 21 Tr. 1.139, Tes. V.II bis.

22

Delo badalischio et di suo veneno, et sì come ène re deli serpenti. [1] Badalischio ène re deli serpenti. Ed ène sì pieno di veneno che elli riluce di

fuori, che ciò ène una grande meravigla a vedere. Et lo vedere et lo sguardare di lui si porta grande veneno a longa et apresso, sì che elli corrompe tutta l’aiera dove di-mora. Et istringe et guasta tutti albori; et di suo odore et fiato si ocide |111a| tutti li ucelli in volando, et di suo vedere uccide tutti li omini quando li vede. Con tutto ciò che li antichi dicono che non muore chi vede lo badalischio ançi che lo badalischio veggia lui. Et la sua grandeçça ène di sei piedi, et àne bianche tacche et la sua cresta

Page 22: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 286

sì ène fatta come quella del gallo. Et vae ritto contramonte la metiade dinançi, l’altra metiade vae come serpente. [2] Et con tutto ciò che questo badalischio sia così fiero serpente, io vi dico che la donnola l’uccide; la quale ène una bestiola molto piccio-lina, la quale ène uno poco più lunga che non ène lo topo ed ène rossa suso lo dosso et bianca sotto lo corpo. [2a] Et lo modo come ella l’uccide ène detto di sopra nel ca-pitulo che parla di tutte maniere di serpenti: come la donnola quando lo morde corre incontanente a mordere la ruta, imperciò che la ruta sì ène veneno di tutti li serpenti et in questa maniera come avete udito dire, la donnola uccide |111b| lo serpente. [2b] Et voglo che voi sappiate che grande quantitade di questi badalischi ne trovoe lo grande Alisandro, lo figluolo che fue delo re Filippo di Macedonia, infra due montagne dove andava cola sua gente tanto che molto di sua gente vi morio per lo sguardare che facevano li badalischi. Né Alisandro né sua gente non prendevano alcuna guardia di coloro che vi morivano; ma incontanente che Alisandro s’avide del fatto fece fare molte ampolle di vetro dove tutta sua gente fece entrare dentro, in tale maniera che elli vedevano li badalischi et li badalischi non vedevano loro. Dunde Alisandro per questo modo tutti li badalischi fece uccidere, et in tale maniera fece poi campare tutta sua gente che non ne morio poi più veruno. 22 Tr. 1.140, Tes. V.III (§§ 1-2, 2b); interp. F (§ 2a).

23

|111c| Delo dragone et di sua grandeçça, et come esce fuori di sua tana. [1] Dragone sì ène uno de’ maggiori serpenti che sia al mondo. Ed ène dele gran-

di bestie che sia in India overo in Tiopia, dove àne tutto tempo grande state. Et quan-do esce fuori di sua tana corre per l’aiera sì fortemente et per sì grande força che tut-ta l’aiera riluce apresso di lui come se fusse fuoco ardente. [2] Et àne una cresta suso lo capo et la bocca picciolina dove àne pertusi aperti donde trae fuori la lingua et lo suo spirito; et la sua força 53 non ène nela bocca ançi ène nela coda, che elli nuoce più per lo percuotere che elli fae dela coda che elli non fae per lo ferire. Elli àne sì grande força nela coda che elli non sarane veruna bestia che sia sì grande né sì forte che se lo dragone la stringnerae fortemente cola sua coda che già mai le scampi di-nançi sença morte. Et l’alifante, ch’è così grande, ne con|111d|viene morire, imperciò che elli àne intra lloro mortale odio, secundo che lo mastro dirae nelo contio del’alifante. 23 Tr. 1.141, Tes. V.IV.

53 Punteggiatura come nel Tresor, ma il ms. legge: trae fuori la lingua Et lo suo spirito et la sua força...

Page 23: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 287

24

Dela calcatrice et di sua grandeçça. [1] Calcatrice sì ène uno serpente grandissimo lo quale dimora in acqua, ed ène

fatto come una lucertola. Et àne la sua testa grande et lunga con molti denti, et àlli giuso per la gola. Et àne in sé cotale natura che quando trova alcuno omo sì llo man-gia tutto quanto, et quando l’àe mangiato sì lo piange tutto tempo di sua vita. Ancora sì ène uno serpente con molte teste che quando ne gli ène tagliata una |112a| dele teste sì nne rimette due. Truova questo serpente questa calcatrice che piange l’uomo che àne mangiato: incontanente si gitta in terra per morto, allora viene la calcatrice et sì llo si mangia tutto quanto. Et quando lo serpente l’ène in corpo sì rompe incontanente tutte sue budella et tutte sue interriora dentro dal corpo, ed esce fuori di suo ventre sano et salvo più che elli non era di prima, et di ciò fae lo serpente grande gioia et grande allegreçça; et in tale modo come avete udito dire trae a morte la detta calcatrice. Et questo subita di fare incontanente che elli vede che la calcatrice abbia mangiato alcuno huomo. Ancora àne in sé un’altra natura la detta calcatrice che quando mangia alcuna cosa non mena se none la mascella di sotto. [2] Ancora dicono li savi che due volte l’anno l’envermina tutto dentro di sua bocca; allora ella esce fuori del’acqua incontanente ala riva del fiume et sì ssi colca in terra tutta river|112b|scia contra lo sole et apre tutta sua bocca inmantenente. Sopra ciò viene uno picciolino ucello che Idio l’àe istabilito di nettare tutta sua bocca et tutta sua gorgia de[i] (a) detti vermini. Et questo ucello àne uno brocco in sua testa in modo d’uno aco, ed elli entra nela bocca dela calcatrice et uccide et mangia con questo suo becco tutti li vermini che sono nela bocca dela calcatrice; et quando la calcatrice sente sua bocca bene nettata di vermini, incontanente chiude sua bocca per inghiottire quello picciolino ucello che l’àe guarita di sua infermitade. Et quando quello picciolino uccello sente che la calcatrice li ne vuole rendere così malvagio guidardone, incontanente fiere di suo becco nel pelato di sopra dela detta calcatrice molto fortemente. Et quando la calcatrice sente lo duolo del brocco di quello picciolino ucello incontanente apre sua bocca perché non puote sofferire lo duolo del brocco di quello picciolo ucello; allora quello |112c| picciolino ucello se n’esce fuori di sua gorgia et vassene via. 24 Tr., Tes. om.; interp. F (§§ 1-2). (a) ms. del.

25

De scitalis et di sua lenteçça et di sua taccatura. [1] Scitalis ène uno serpente lo quale vae molto lentamente. Ma elli ène sì bene

taccato di diversi colori et chiari et lucenti, che le genti lo riguardano molto volon-tieri tanto che elli li appressano, et per paura di lui sì llo piglano. Et questo serpente ène di sì tracalda natura che delo più empio verno che sia si spoglia sua pelle per lo caldo che li fae.

Page 24: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 288

25 Tr. 1.142, Tes. V.V.

26

|112d| Dela vipera et di sua fiera natura, et come non ne sono più di due di neuno tempo.

[1] Vipera sì ène una maniera di serpenti di sì fiera natura che quando lo maschio mette suo capo nela gorgia dela femina ella sente lo diletto dela luxuria: inconta-nente lo stringe coli suoi denti in tale maniera che ella li tagla lo capo dal collo. Et del capo et del sangue che esce di quello capo incontanente ingenera due figluoli, uno maschio et una femina; et quando e figluoli sono in tempo d’escire del ventre di loro madre, elli ispeççano et rompono cole loro unghie tutta la matrice di loro madre, in tale maniera che elli escono fuori di suo ventre a fine força, in tale maniera che lo-ro padre et loro madre conviene che muoiano per loro ingenerare. Et così per tale maniera come avete udito non ne sono mai più di due in tutto lo mondo. Et di questi serpenti dice santo Ambruosio arcivescovo di Melano che elli sono la più crudele cosa a vedere, et |113a| la più sença pietade et più piena di malitia che veruno altro serpente che sia al mondo. [2] Et quando lo serpente maschio àne volontade di luxu-riare elli se ne vae all’acqua dove la morena dimora et si la chiama cola sua voce in semiança di fiato, et la morena viene a llui incontanente et usano insieme carnal-mente; et per tale ingegno ène la morena ispessamente presa dali marinari. [3] Et di-cesi che quando la testugine mangia dela carne dela vipera ella ne vae incontanente a mangiare del’origano montano, imperciò che quello odore ène contrario delo veneno dela vipera. 26 Tr. 1.143, Tes. V.VI (§§ 1-2); interp. F (§ 3).

27

|113b| De lisadre et di loro tre maniere. [1] Lisadre sono di tre maniere secundo che dicono coloro che l’ànno vedute. La

prima maniera di lisadre sì ène grande. La secunda maniera di lisadre sì ène piccio-lina. La terça maniera di lisadre sì ène che scalda molto di state; et questa terça lisa-dra prende l’uomo coi denti molto malvagiamente. Et quando la picciolina lisadra invecchia, ella entra per uno istretto pertuso di pietra et sì ssi ispogla la nuvila di suoi occhi et di tutta sua vecchieçça. 27 Tr. 1.144.1, Tes. V.VII.

28

Dela salamandra et di suo pessimo veneno. [1] Salamandra ène uno serpente someglante ala picciolina |113c| lisadra, ed ène di

vario colore; et lo suo veneno ène più forte veneno di tutti li altri veneni che sieno,

Page 25: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 289

imperciò che li altri serpenti feggono solo d’una cosa et questa salamandra ne fego-no di più insieme. Et voglo che voi sappiate che ella monta suso per uno alboro, ella invenena incontanente di suo fiato tutte le poma che ella vi trova suso, in tale ma-niera che elli conviene che muoiano tutti coloro che mangiano dele dette pome; et se ella cade in alcuno poçço d’acqua, overo in fonte, sì ène la força di suo veneno sì traforte che ella uccide incontanente tutti coloro che beono di quella acqua. Questa salamandra vive in fuoco ardente sença alcuno dolore et sença danno di suo corpo, et ispegne lo fuoco per sua natura. [2] Et voglo che voi sappiate che le donne d’India fanno di belle robe dele cuoia di quelle salamandre, et non si possono mai lavare se none in fuoco ardente. 28 Tr. 1.144.2, Tes. V.VII (§ 1); interp. F (§ 2).

29

|113d| Dela botta et dela rana et di suo veneno et di sue propietadi. [1] Botta et rana sì ène tutto una cosa, ed ène uno animale picciolino et dimora in

terra et in acqua, ma quelle dela terra sono peggiori et più venenose che non sono quelle del’acqua. Et quanto ène da longa lo veneno dela botta dal’uomo, contanto ène di lunga la scialiva del’uomo dala botta. Et perciò sì come la scialiva del’uomo ène veneno ala botta, così la botta ène veneno al’uomo. Et più la scialiva ène veneno che veruna altra cosa che sia nel’uomo, imperciò che ella si viene dale membra den-tro sì come dal polmone; et imperciò àne più forte afetto et spetialmente a degiuno. Et dicono li nostri savi che chi mangiasse dele lenticchie a degiuno et mordesse al-cuna persona a degiuno et facesse sangue, elli morrebbe incontanente di quella mor-sura. Et se elli isputasse nela bocca d’alcuna botta venenosa ella morrebbe inconta-nente per quello isputo; et questo ène imperciò che lo cibo nasconde l’ope|114a|ratio-ne dela scialiva. [2] Et le sue propietadi sono queste. Se alcuna persona prenderae al-cuna botta, et d’essa botta farae polvare im pignatto nuovo al fuoco overo a forno, et lo detto pignato sia bene coperto di sopra, quella polvare uccide tutti fistoli et cancri et altre male bestemmie 54. Et nota che tanto ène miglore la botta quanto più ène ve-nenosa, et ispetialmente quelle che sono in terra. [3] La cenere dele picciole rane, ar-se a spargere suso lo capo lavato, avaccio sana l’alopitia. Nel bagno poni la polvare dele picciole rane arse, tutti li peli caderanno. Lo grasso dele rane distillato nel’orec-chie tolle via lo dolore del’orecchia. Et nota che molto ène buono ad ungere ongni dolore. La sua cenere, posta sopra lo luogo ond’esce lo sangue, ristringe lo sangue incontanente. Et se sarae soffiata nel naso ond’esce lo sangue, ristringe la vena in-contanente. La sua carne, seccata et fattane polvare, et huova di formiche grandi, mescolate insieme, |114b| dato a bere a peso d’uno quarto, farae cadere ongne scabbia et ongne pessima macchia che l’uomo avesse. La polvare dela rana che sia

54 Battelli, Segreti cit., p. 155 emenda tacitamente in «male posteme», e pare cogliere nel se-gno; sul punto rinvio a Squillacioti, Appunti cit., p. 163 n. 20.

Page 26: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 290

istata secca apiccicata, se sarae data im beveragio a peso pondus aureo 55 più volte in vino, farae avere usança l’uomo cola femina, li quali fossero istati lungo tempo d’a-vere usança. Et se alcuna femina usasse di mangiare dela detta polvare overo bere, sarebbe impedita di non concepere. Se torrai li piedi dela rana la quale vae per l’ac-qua, et quelli due piedi metterai in uno (a) poco di cuoio di cervio et leghera’li in quello cuoio, et porra’li sopra lo podrachico 56, sarae curato incontanente. [4] Ora si ristarae qui lo contio di parlare deli serpenti et botte et di loro natura, et di vermini come sono di diverse maniere et come nascono in terra et in acqua et in aiere, in carne in fogla, in legno, in drappi, in uomini et im bestie vive, et come nascono sen-ça asembramento di maschio; alcuna volta nascono d’uovo. Non ne divisarae ora |114c| più lo contio, perciò che elli sarebbe una lunga mena a dire sença molto prode, et vuole seguitare ora suo contio a parlare deli altri animali, et imprimera-mente diremo del’aquila et dela sua natura. 29 Tr. 1.144.3, Tes. V.VII (§ 4); interp. F (§ 1); interp. M (§§ 2 [Ba 7] e 3 [Ba 34]). (a) ms. in|n uno.

30

Del’aquila et di suo vedere et di sue compressioni et di suo volare. [1] L’aquila sì ène uno ucello che meglo vede che niuno altro ucello che sia al

mondo. Et vola tanto in alto che ella non si puote ve|114d|dere per la veduta deli omini; ed ella vede sì chiaramente quando ène in aiera che le piccioline bestiole vede andare per terra et li pesci vede andare per l’acqua, et sì prende le bestiole inmantenente alo suo discendere che fae a terra. [2] Et la sua natura ène tale che ella sguarda lo raggio del sole, in tale maniera che ella non muta mai suo occhio né tanto né quanto. Et perciò prende ella li suoi figluoli et portali in alta aiera et tieneli cole sue unghie tutto ritto incontra lo raggio del sole; et colui che bene isguarda lo sole derittamente sença rimutare suo occhio sì ène ritenuto et nodrito da lei sì come degno ène, et colui che rimuta li occhi ène rifiutato et gittato fuori del nido sì come bastardo. [3] Et intendete che ciò non ène per crudeltade di natura, ma ène per giudi-camento di drittura, imperciò che l’aquila no· llo gittarebbe perché creda che elli sia suo figluolo, ma per figluolo altrui et strano. Et voglo che voi sappiate che uno vile ucello, lo quale àne nome pulicane, compie |115a| la fiereçça di quello cotale ucello; che riceve quello cotale uccello gittato dala madre, ciò ène l’aquila, et sì llo nudrisce co’ suoi pulcini molto teneramente, sì come fusse suo figlo. [4] Et voglo che voi sap-piate che l’aquila vive lungamente, imperciò che ella si rinovella et dispogla di sua vecchieçça. Et dicono molti che ella vola tanto in alti verso lo caldo del sole che ar-dono tutte sue penne con tutta la scuritade deli occhi; allora ella si lascia cadere in una fontana d’acqua viva et bagnavisi dentro tre volte, in tale maniera che ella di-viene giovane et fresca sì come ella era di prima. [5] Altri dicono che lo becco de-

55 Peso potrebbe essere una glossa a pondus passata a testo: cfr. 73.10: «ad pondus .i. aureo»; su aureo Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘unità di misura pari a una dracma e ⅔’). 56 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘chi è affetto da podagra’).

Page 27: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 291

l’aquila cresce et piega in sua grande vecchieçça, in tale maniera che ella nom puote prendere de’ suoi buoni ucelli, sì come soleva, che la mantenevano in vita et gio-ventudine; allora se ne vae ad una dura pietra et dànni tanto entro di suo becco che ella se lo speçça tutto quanto. Et quando ella àne ispeççato suo bec|115b|cho ed elli comincia a rinovellare et diviene bello sì come era di prima, sì che ella si puote po-scia pascere di qualunque ucello ella si vuole pascere. Et ciò adiviene per l’astutia et segacità dela quale ène in lei. [6] Et la sua carne ène dura et grossa et nervosa. Le sue penne, a mescolarle con altre penne d’ucello, tutte le fanno ispeççare et rodere, et mortificano in tutta loro vita. Et vince et signoreggia tutti li altri ucelli. Et giamai non mangia carne d’ucello per sua golositade. 30 Tr. 1.145, Tes. V.VIII (§§ 1-5); interp. F (§ 6 [Ba 3]).

31

|115c| Del’astore et di sua preda et di sue propietadi. [1] Astore ène ucello di preda sì come sono falconi et sparvieri che l’uomo tiene

per suo diletto per ucelli prendare; et voglo che voi sappiate che elli sono una ma-niera d’astori li quali sono molto fieri contra li loro figluoli; che in una che elli lo vede crescere sì che elli possa volare, no· llo pasce mai poi più d’allora inançi, ançi lo caccia fuori del nido et costringelo inmantenente di prendare sua preda et sua vi-vanda tanto quanto sono in loro gioventudine. Et ciò fanno ellino perché elli non voglono che elli dimentichino la loro propia natura né di loro antichi, né non prenda-no ad essere nighittosi, in tale maniera che elli non tralassino a nodrire per mettere a sforçare. [2] Et voglo che voi sappiate che astori sono di tre maniere. La prima ma-niera d’astori sono picciolini. La secunda maniera d’astori sono meççani. La terça maniera d’astori sono grandi. Lo picciolino astore ène minore |115d| di terçuolo. Et costui ène prode infra tutti li altri astori; et costui vola molto tosto ed ène disideroso di mangiare, ed ène molto leggiero in ucellare. [3] Lo meççano astore sì àne l’alie rosse et l’unghie corte et li piedi picciolini et malvagie (a), et li occhi grossi et oscuri, ed ène troppo duro a farlo d’uno anno; et perciò non vale guari lo primo anno, ma lo terço anno ène buono et di buono aiere. [4] Lo grande astore ène più grande deli altri astori, ed ène più grosso et più maniero et miglori occhi et più belli et più lucenti et più grosso petto et grande unghie et lieto visaggio; ed ène sì ardito che per veruno ucello non si alentirebbe, né l’aquila medesimo no· lli fae veruna paura. [5] Et perciò dice lo mastro che a [a]leggere (b) buono astore l’uomo dia guardare che sia bene grande et bene fornito per tutto lo corpo. Et alo vero dire fra tutti ucelli cacciadori (c) li magiori sono femine, et li picciolini che sono terçuoli sono maschi. Et sono sì caldi per la ma|116a|sculina ched ène in loro et sì orgoglosi che apena fanno altro che voglano fare; et tutto ciò ène per la masculina che regna in loro. Ma la femina ch’è freda per la feminitudine ched ène in lei, tutto die desidera di prendare, perciò che fredura ène radice di tutti li disideri. [6] Et ciò ène la natura perché li grandi ucelli sono miglori che non sono li piccioli che non ànno disdegno di prendare, ançi de-

Page 28: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 292

siderano tutto die la preda più et più volte; in tale maniera, quando sono sori 57, pren-dono alcuno rio vitio, con tutto ciò che elli lo perdono ala muda, là dove elli non mudano et melliorano penne et abito; ma li terçuoli prendono in muda alcuno rio vitio. 31 Tr. 1.146, Tes. V.IX. (a) ms. lunghie e piedi ripassati con inchiostro più scuro, e piccioline con -e corretto in i; ma-luagie, che mal si accorda col resto, dipenderà dall’assetto precedente del brano. D’altro canto nel Tresor ‘malvagie’ è, insieme con ‘piccole’, attributo delle ‘unghie’ non dei ‘piedi’: cfr. Tr.(R) 1.147.3: Le moien a les eles rouges pies cors ongles petites et mauvaises. (b) ms. aleggere. (c) ms. ucelli cacciando cacciadori.

32

|116b| Di tutte maniere d’astori et di loro propietadi. [1] Quando l’uomo trova alcuno astore grande, guardi che elli abia lunga testa et

piana a semblança d’aquila, et che la sua cera sia lieta et uno poco inchinata in que-sto meçço, che sia adobata, che lo suo volto dia essere come corucciato et pieno d’ira. Et abbia lo suo naso cole nare bene giallo. Le mois 58 che sono intorno ali oc-chi sia bene lungo et soçar 59 pendenti. Li occhi longhi et grandi assai per ragione et coloriti buonamente, che ciò ène segno che elli fue bene figluolo d’astore che fue mutato più di tre volte, dunde elli visse meglo et più lungamente quando ingeneroe. [2] Lo suo collo dia essere lungo et sottile et serpentino. Lo suo petto grosso et riton-do come colombo; spontes 60, ciò sono le due penne del’alia, debono essere agual-mente sì che non paiano da fuore. L’alie corte et bene gionte. [P]en[n]e (a) franche et bene tenante. Le gambe grosse |116c| et gialle et corte. Li piedi grandi et lati et aperti. Li talloni lunghi et tutti li artillioni bene grossi, non di carne ma di nerbi coli os-[s]i (b). L’onghie grosse et forti et dure, et l’artillione di meçço longo a misura. Et questo ène lo senno a conoscere lo buono astore. Ma io vollio che voi sappiate che quelli astori che ànno le gambe lunghe prendono preda più leggiermente et apena fallano di prendare preda, ma non tengono sì bene et sì forte come coloro che ànno le gambe corte, con tutto ciò che elli non prendono così leggiermente come coloro che l’ànno lunghe. [3] Et quando tue vorrai sapere se alcuno astore ène sano overo infermo in alcuna parte di sua persona, tu sì lo dei levare in sula mano manca et ri-

57 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘che non ha ancora fatto la muta’). 58 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘parte mediana della testa, medio’). 59 Sta per ‘sopracciglio’: cfr. Tr.(R) 1.147.1: et le sorcils pendant [sourcilz M, sorcilz O; om. R2V], reso meglio in Tes. V.X: «e il sopraciglio sia ben pendente». 60 Sta per ‘spadine, penne spada’: cfr. Tr.(R) 1.147.2: le panons ce est les .ij. pennes des eles que les pluseur apellent espoetes doivent estre serres as eles si que ne paroissent de hors [OR2V; espouetes M] e la nota ad l. nell’edizione Beltrami del Tresor. Tes. V.X legge: «che le due penne dell'ale, le quali le più genti chiamano ispade, sieno serrate con l'ale».

Page 29: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 293

mutare 61 diligentemente alto e basso; et se elli ène grasso et alto et che non isbatta forte suo becco et sua coda tenga lunga, sappi veracemente che elli ène sano di sua persona et di suo corpo. [4] Et quando tu avarai ciò fatto, volle |116d| tua mano di sotto a’ suoi piedi et guarda se elli vi riviene suso inmantenente et sì èvi suso ferma-to et dritto et che non si fidi più in uno piede che in altro, che ciò ène segno che elli sia fermo et forte et sano di suoi piedi. Et se elli gitta tosto et leggiero la gamba con-tra la carne quando l’à presa et bassa lo collo et prendela come di grande força et di-stende lo collo et fermasi suso li piedi et suso li talloni, tu puoi bene dire che elli sia sano di sue gambe et di sue cosce sença fallo. Allora lo trae per lo coltello del’una del’alie et per l’altra, et se elli si lascia trarre et ritorna in suo luogo et leggiero ciò ène segno dela sanitade del’alie. [5] Ad presso die tu guardare se elli ismaltisce bene et deliberamente secundo la quantitade del pasto, bianco o nero, non mescolato, [ma che] sia (c) partito dal’altro et che non abia sangue né umidore chiaro, né pietre né vermi né veruna altra mescolatura, che ciò dimostra che elli sia bene sano di sua per-sona |117a| et di suo corpo. S’apresso mangiare si netta suo becco et dimoccica 62 spesso et gitta acqua per lo naso et trae suo becco qua et là et non si tiene in luogo, segno ène che elli sia bene sano di suo corpo; medesimamente, se in sula mano ove-ro in sula p[e]rti[c]a (d) si spiluccarae et pigla sue penne 63 et dimora dritto et mangi et cuoca bene la vivanda, allora ène bene sano di suo corpo et di sue menbra. 32 Tr. 1.147; Tes. V.X (solo §§ 1-2 in Tes.). (a) ms. Rene: cfr. Tr.(R) 1.147.2: pennes franchies et biens tenans [MOR2V]. (b) ms. colliosi: cfr. Tr.(R) 1.147.2: de ners avec les os [OR2V; aueques M]. (c) ms. mescolato sia: cfr. Tr.(R) 1.147.2: mais que l’uns soit partis de l’autre [MOR2; partus V] (d) ms. partita: cfr. Tr.(R) 1.147.5: ou sus perche [OR2V; sur M].

61 Rimutare dipende da una lezione della famiglia delle versioni lunghe, remuer MORR2V, estesa a NM3, e registrata anche nell’apparato di Chabaille (dove, oltre che a R, è assegnata al ms. K, fr. 566 della Bibl. Nationale di Parigi), che mette a testo «remirer»; opta per questa le-zione, che è in linea con Daude de Pradas, Auzels cassadors, vv. 121-23: «Qui vol austor triar per sa / leu lo ab la senestra ma, / secoda lo d’amon, d’aval», oltre a Carmody, anche l’edizio-ne Beltrami: «remirer diligenment haut et bas» (Tr. 1.147.3). 62 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘emette muco’). 63 Probabile fraintendimento del testo francese, che l’emendamento non basta a rimediare; il nucleo problematico sta in «si spiluccarae et pigla»: cfr. Tr.(R) 1.147.5: ou sus perche il s’esperont aturne [sesperonne et atourne M, il se pare et atourne O, se pere ou tourne R2, se-spreont et torne V] sa pluime ‘sulla pertica si unge e acconcia il piumaggio’, in linea con Daude de Pradas, Auzels cassadors, vv. 167-70: «Si en la perga be·s peronh / e ben estai dreitz sus el ponh, / si ben manja e be·s secot / aissi es fort ben sas del tot».

Page 30: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 294

33

Dela bontiade delo sparviere et di sue propietadi. [1] Lo sparviere dia essere ismosso di tale maniera: che elli abbia picciola testa, li

occhi forti et allegri, tornando in su la mano leggiero, |117b| grossi piedi 64 et bene aperti, piè grande, grande bianco alquanto lato et forte, coda corta et sottile, l’alie sieno lunghe al terço torno dela coda, la punta dela coda, ciò ène di sotto, sia taccata come magle. Cotale sparviere dia essere buono per ragione, et specialmente se àne le gambe come rognose, l’anche grossette † en un la moien 65, † l’artillio dritto là dove la scallia 66 si parte, che ciò ène segno di grande bontiade. [2] Sappiate tanto delo sparviere che colui che àne lunga la coda ène codardo, ma elli vola molto tosto; quello che àne .xiij. penne nela coda tutto tempo ène meglore deli altri et meglo vola et più tosto giongne sua preda. [3] Ma colui che vuole mudare suo sparviere et averlo sano elli lo dia guardare tutto verno che elli nom prenda pippioni né altro ucello che li faccia nulla ingiuria et che elli prenda colombi in veruno tempo così si speççi et guasta tostamente et leggiermente; et ciò ène per lo grande corso che elli fae alo chi-nare. [4] Et |117c| voglo che voi sappiate che tutti ucelli cacciatori sono di tre maniere. La prima maniera sono pulcini. La secunda maniera sono ramenghi. La terça ma-niera sono grifani. Dunde la prima maniera ène pulcino, ciò ène colui che l’uomo trae di nido ed ène nudrito in suo albergo in gioventudine; ed ène più ardito et più desideroso di pigliare, et grida spesso per la sicurtade che elli àne dele genti dove elli ène nodrito. Romengo ène colui che àne già volato et cacciato secundo sua na-tura, ma elli ène poscia preso in ramo overo in rete overo per altro ingegno. Grifano ène colui che l’uomo prende al’entrata del verno ed àne li occhi rossi et vermigli co-me fuoco. [5] Et tanto vollio che voi sappiate che, se elli avesse mangiato in su ghiaccio ançi che elli fusse preso, dico che appena puote essere che elli viva imper-ciò che la sua forcella non puote essere delibera del fredo; ma se elli fusse in suo podere tutto die |117d| averebbe calda vivanda et fresca che l’aiterebbe a smaltire. Et perciò adiviene che lo pulcino non àne sì belli occhi come coloro che stanno fuori al’aiera et fae ciò che li piace; non prende sì bene sua preda bene che elli abbia più desiderio. [6] Et voglo che voi sappiate che ucello giovane ingenera figluoli rossi et di grossa mallia, occhi discoloriti et non ànno podere di vivare ad mano d’uomo più di cinque anni. Ucello vechio ingenera figluoli neri con minuta magla, con occhi co-loriti, et sono miglori et di più lunga vita che non sono li altri. 33 Tr. 1.148, Tes. V.XI.

64 Così nel ms., ma dovrebbe essere «gros piz» ‘petto grosso’, come in Tr. 1.148.1 che è in li-nea con la fonte, Daude de Pradas, Auzels cassadors, vv. 263-64: «grosset pel peitz e ben apert, / pe gran e blanc, alques ubert»; piedi è certo originata da una lezione come piez dei mss. R2V (R e MO leggono rispettivamente pis e piz). 65 Il ms. legge en ū lamoiē, probabilmente per cattiva interpretazione del enmi le moien dell’originale francese, lezione comune ai mss. MORR2V. 66 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘unghia’).

Page 31: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 295

34

|118a| Deli falconi et di loro sette lignaggi. [1] Falconi sono di sette lignagi. Dunde lo primo lignagio ène laniero, ed ène sì

come villano fra li altri falconi; et questo falcone medesimo sì ène divisato in due maniere. Dunde la prima maniera àne la testa picciolina et non vale niente; la secun-da maniera àne lo capo grosso et lo becco et l’alie lunghe et la coda corta et li piedi aquilini; questo ène buono, bene che elli sia duro a domare. Et voglo che voi sap-piate che chi lo muderane tre volte poterae poi prendere con esso tutti ucelli che elli vorrae. [2] Lo secundo lignaggio de’ falconi si chiama falconi pellegrini, perciò che veruno trova loro nido, ançi ène preso come im pellegrinagio; ed ène molto leggiero a nodrire et molto cortese et valente et di buona natura. [3] Lo terço lignaggio de’ fal-coni montancis 67 sia conosciuto per tutti luoghi; poscia che elli ène concio non fug-ge mai. [4] Lo quarto |118b| lignaggio de’ falconi si chiamano falconi gentili et gru-ghieri 68, che vale meglo che li altri; ma non fae ad uomo sença cavallo, imperciò che troppo lo converrebbe seguire. Et voglo che voi sappiate che di questi tre lin-gnaggi di falconi voi dovete eleggere quello che abbia più picciolina testa. [5] Lo quinto lignaggio de’ falconi si chiama falconi grifani, che sopramonta tutti altri fal-coni in sua grandeçça, et ène forte et aspro et fiero et aventuroso in cacciare et im prendare preda. [6] Lo sesto lignaggio de’ falconi è surponte 69, cio ène molto grande et sembra aquila bianca, ma del’alie et li occhi et del becco risembra grifano et anco d’orgoglo, bene che io non trovasse ancora omo che lo vedesse. [7] Lo settimo li-gnaggio de’ falconi ène brettone, che molti chiamano falcon drion 70, ciò ène lo re et (a) signore di tutti li altri ucelli, che non è veruno così valente contra lui né davançi lui, ançi caggiono storditi in terra in tale maniera che l’uomo li poterebe |118c| pi-glare come se fussero morti; et l’aquila medesima per paura di lui non osa apparire colà dove elli ène. [8] Insomma tutti li falconi che ànno più grosse le ginocchie et no-dorose sì come † ferens 71, † salvatico riguardo, li occhi infiamati et coloriti, l’alie grosse di sopra, l’onghie nere et piane 72 et bene agute sono miglori di tutti li altri. 67 Sta per ‘montanini’: cfr. Tr.(R) 1.149.3: La tierce lignee est faucons montacis [montatis M, montanis OR2, montacis V]; più aderente la resa di Tes. V.XII: «Lo terzo lignaggio son falconi montanini». 68 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘cacciatori di gru’). 69 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘falco aquilino’ o ‘falco punico’). 70 Evidentemente cattiva interpretazione, in scriptio continua del ms. (falcondrion), di un fal-cone rodione o randione, come in Tes.V.XIII: «Lo settimo lignaggio si è falcone randione»; cfr. Tr.(R) 1.149.7: La septeime lignee est breton que li pluseurs apellent falc rodion [MR2; faucon rodion O, falcon rudion V). 71 Ferens si spiega come deformazione del serres o ferres della famiglia delle versioni lunghe: cfr. Tr.(R) 1.149.8: le genoils nooses autresi come serres [serrez MO, seres R2, ferres V], a sua volta lezione erronea per seuros ‘sovrosso’, accolta nell’edizione Beltrami del Tresor: «le [gen]oil[s] noose autresi come seur[o]s» (cfr. Daude de Pradas, Auzels cassadors, v. 418: «genoills noütz com ab sobros»). Le edizioni del Tes. omettono il § 8: lo nota anche Gaiter, Il Tesoro di Brunetto Latini cit., II, p. 156 n. 4. 72 Anche piane deriva da una lezione della famiglia delle versioni lunghe: cfr. Tr.(R) 1.149.8: et les ongles noires et longues et planes et bien aguzes et luisans [MV; et les ongles et plaine

Page 32: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 296

34 Tr. 1.149, Tes. V.XII (solo §§ 1-7 in Tes.) (a) ms. re et | et.

35

Deli smiralliuoli et di loro rie maniere. [1] Smiragluoli sono di tre maniere. La prima maniera di smiragluoli sì àne la

schiena grossa. La secunda maniera di smiragluoli sì àne la schiena nera. Queste due |118d| maniere di smiragluoli sono forti et ruvinosi. La terça maniera di smiragluoli ène grande et sembra falcone laniero bianchetto, ène bene miglore di tutti li altri ismirallioli et più tosto si dimestica; ma a lloro interviene una infermitade, perché si mangiano tutti li piedi se l’uomo no· lli fae dimorare in semença di lino o di meglo che li artigli non si paiano di fuori. [2] Ma qui si ristarae ora lo contio di parlare deli uccelli cacciadori, sì come l’uomo li dia nudrire per volare et per prendere a campo et a riviera; come l’uomo li dia curare quando ànno alcuna malitia, che ciò non pertiene a questo libro, ançi si vuole seguire la natura deli altri animali. Et primeramente diremo de alerione et di sua grande gratia. 35 Tr. 1.150, Tes. V.XIII.

36

|119a| De alerione et di sua grande gratia. [1] Alerione ène uno ucello di mare a cui Idio àne donato una grande gratia, et

udirete come. Elli pone le sue huova presso lo mare suso lo sabione, ciò ène nelo cuore delo verno quando le tempeste et le fortune solliono essere in mare. Et compie lo nascimento de’ figluoli in sette die et in sette altri die li nodrisce. Et infino in .xiiij. die non è tanto vento né tanta tempesta in mare che tutte non si dipartano, et ri-schiara l’aiera et lo tempo diviene dolce et soave come fosse di meçço luglo, quando sono le grandi bonaccie in mare. Et dura tanto questa bonaccia in mare quando li .xiiij. die durano di quello nascimento et nutricamento. [2] Et se alcuno mi dimandas-se che ciò fusse vero io direi di sì, imperciò che li ma|119b|rinari che l’ànno veduto lo testimoniano che così ène vero. 36 Tr. 1.151, Tes. V.XIV (§ 1); interp. F (§ 2).

et b. a. et l. O, et les ongles longues et noires et plaines et b. a. et l. R2], laddove l’edizione Beltrami legge: «et les ongles noires, et longues pennes et bien aguzes et luissanz», in linea con cfr. Daude de Pradas, Auzels cassadors, vv. 423-24: «onglas negras, longas e planas, / ben agudas, luzens e sanas».

Page 33: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 297

37

De’ rodioni et di loro vita et come muoiono. [1] Rodioni sì ène una maniera d’ucelli in India che non ne sono al mondo più

che due. Et loro vita ène in questa maniera: ciò ène che quando li rodioni sono vissu-ti .lx. anni ed elli fanno due huova et covalle .lx. die; poi in capo deli .lx. die s’apro-no l’uova ed esconne fuori due pulcini. Et quando lo padre et la madre veggiono nati li due pulcini, incontanente si partono lo più tosto che elli si possano partire, volando et fugendo infino al mare; allora sono acom|119c|pagnati da tutti li ucelli di quella contrada infino al mare, et quando sono giunti a mare ed elli s’afogano amenduni entro lo mare inmantenente. Et quando li rodioni vecchi sono afogati, tutti li ucelli che sono andati in loro compagnia si ritornano incontanente indietro infino ali due pulcini, et si lli guardano et nudriscono molto bene et diligentemente infino in capo di .lx. die. Allora in capo del .lx. (a) die sono drudi li due pulcini, sì che elli possono volare in ogni luogo là dove voglono volare; allora tutti li uccelli che li ànno guar-dati quando veggiono che elli possono volare in ogne luogo là dove volliono volare, inmantenente si partono da lloro et vannosi via. [2] Et voglo che voi sappiate che questi rodioni sono uno poco magiori che non ène l’aquila; et sono di colore di fuo-co, et le loro alie sono taglenti come rasoio. Et sappiate che in tutto lo mondo non àne più d’uno paio, sì come avete udito dire di sopra. Et li detti uccelli sono in India. Ora avete udito dire sì come nascono li ro|119d|dioni et in che maniera et dove nascono et quanto dura la loro vita et come sono fatti et di che colore elli sono et come sono fatte le loro alie. 37 Tr. Tes. om.; interp. F (§§ 1-2). (a) ms. .xl. con l sovrascritta a una x.

38

De ardea, chiamata tantaliso, et di sua vivanda et di sua natura. [1] Ardea ène uno ucello che lo più dele genti lo chiamano tantaliso o airone; con

tutto ciò che elli prenda sua vivanda in acqua sì fae elli suo nido in alto alboro. Et sua natura sì ène tale che quando elli vede che la tempesta dia venire elli vola in alto dove tempeste non possono venire; et a questo ucello conoscono molte genti quando tempesta |120a| dia venire, quando lo veggiono in alto volare. 38 Tr. 1.152 Tes. V.XV.

Page 34: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 298

39

De anatre et oche et loro propietadi. [1] Anatre et oche quando sono più bianche tanto sono miglori et più dimestiche.

Oche nere che sono taccate d’altro colore sono ’straite di campestre 73 et imperciò none ingenerano sì largamente come fanno le bianche. Et voglo che voi sappiate che anatre et oche non poterebbero bene vivare sença acqua né sença erba; ma io vi dico che elle nocciono molto a terre guadagnevoli et a tutte semençe con loro becco. Lo tempo che elle usano carnalmente |120b| insieme sì ène da calen di março infino ali grandi die d’istate. [2] Ala boce del’oca puote l’uomo conoscere tutte l’ore dela notte et le vigilie. Et non ène veruno animale al mondo che senta sì bene l’uomo come fanno l’oche; ale loro voci fuorono sentiti li franceschi quando volsero furare Campidoglo di Roma, secundo che la storia ne racontia. [3] La sua sugna mescolata con latte di femina, uno poco tiepida, ad ungere l’orecchia, tolle via lo dolore del’orecchia et ristituisce l’udire. La sugna del’oca et lo succhio del porro configi insieme et ungi lo collo dela matrice dipo la mestrua: la contratta et ristretta matrice apre et mollifica. 39 Tr. 1.153 Tes. V.XVI (§§ 1-2); interp. M (§ 3 [Ba 27]).

40

|120c| Dele api, che fanno lo mele et di loro natura et di loro propietadi. [1a] Le api sono maschi et femine. [1] Et sono mosche che fanno lo mele; et nasco-

no sença piedi et sença alie, ma elle le ricovarano dipo loro nascimento, sì come pia-ce a Dio che l’àe concreate. Che 74 mosche le riguardano con grande diligentia loro mele fare; sì ène che dela schiena [r]acolgono (a) di vari fiori. Dificano per grande in-gegno loro case, dunde ciascuna àne suo propio luogo dove ritorna sença scambiare. Et sì ànno rege et signore et fanno battagla et fuggono per lo fumo (b) et s’aficcano per lo suono dele pietre et di tamburo et d’altre cose che fanno grande suono simi-glante ad esse. [2] Et dicono coloro che l’ànno provato che elle nascono di carogna di bue, ciò ène in questo modo: che l’uomo batte fortemente la carne d’uno vitello, et quando sua carne ène bene putrida sì ne nascono cotali vermicelli et poscia si fanno l’api; altressì nascono di scabore, di cavallo 75, o fusse 76 di mulo o guaspe 77 d’asi-no. |120d| [3] Et tanto voglo che voi sappiate che solamente le api ànno loro casa co- 73 Ossia ‘derivate (estratte) dalle oche selvatiche’: cfr. Tr.(R) 1.153.1: sont estraites de cham-pestre [R2; estraiz O, estranges V, om. M]. 74 Per errore di traduzione: cfr. Tr.(R) 1.154.1: Ces mousches... [MOR2V]. 75 La lezione dipende dalla famiglia delle versioni lunghe: cfr. Tr.(R) 1.154.2: Autresi naissent de eschabot de cheval et fuse de mul et guespes d’asne [de escharbot M, de leschabout O, escharbosR2, deschabot V]. Ma l’edizione Beltrami propone una lezione in linea con la fonte: «autresi naissent [es]char[bot] de cheval» (1.154.2; il ms. base legge de charoigne); cfr. De bestiis, III XXXVIII: «sicut crabrones de equis». 76 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘fuchi’). 77 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘vespe’).

Page 35: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 299

mune acciò che tutte abitano in una casa, ma ciascuna àne suo propio luogo; l’uope-ra di ciascuna sì ène comuna al’altra et la vivanda comune et tutto usaggio et frutti et pome sono comune di tutte. Ancora più: che tutta la loro generatione ène comune et tutti loro figluoli sono comuni; perciò che tutte sono caste et vergini, sença veruna corruptione di luxuria, fanno dunqua le api subitamente figluoli a grande quantitade. Et ordinano loro populo et mantengono bene loro comune et loro borgheresse 78. [4] Ma elle aleggono rege et loro segnore non già per sorte, ma alegono colui a cui Idio àne donati più segni di beltade et ched ène maggiore et più bello et di miglore vita: di lui fanno rege et signore di tutte loro. Bene che elli sia re et grande signore elli ène più umile et più benigno et di maggiore pietade che niuno del’altre; non per-tanto |121a| se elli ène re et signore, l’altre ape sono tutte franche et ànno dilibera se-gnoria. Ma la buona volontade che natura lo dona le fae amabili et ubidienti alo loro segnore, in tale maniera che veruna non esce dela magione se lo loro segnore non esce inançi di loro, et che pigli la segnoria di volare là dovunque vuole volare. [5] Ma le novelle mosche che non osano passare inançi che li loro mastri sieno assisi là dove volliono assidere, poscia si pongono intorno et seguono sua legge. Et quando alcuna di loro fae contra la legge di suo segnore, ella medesima fae grande vendetta di sua persona. Ella si trae et speçça suo agulione come solieno fare coloro di Persia, che quando alcuno di loro rompeva la loro legge elli none aspettava la sentença delo rege, ançi s’uccideva elli istesso medesimo per vendicare lo misfatto che fatto ave-va. [6] Et voglo che voi sappiate che insomma elle amano molto loro lege 79 et ànno tanta fede di cuore che elle |121b| si mettono ala morte per guarentire loro rege, et non usano di mutare né fede né costume; ma quando muore loro rege, overo che elle lo perdano, elle perdono fede et iudicamento, in tale maniera che elle perdono et speççano loro mele et guastano loro bugnoli et loro magione. [7] Et voglo che voi sappiate che tutti li ufici sono infra loro partiti di che cosa ciascuna dia servire; che una parte di loro procacciano le vivande, l’altre si guardano lo mele et la cera et le bocche di loro magione, l’altre considerano lo mutamento del tempo et l’andatura dele nuvule, l’altre anno la casa de’ fiori, l’altre colgono la rugiada di su li fiori, che poscia diviene mele liquido et mette per li pertusi di là entro. [8] Bene che ciascuna si forçi (c) di bene fare perciò non àne veruna invidia infra loro; ma se alcuna lo fae male elle ispandono uno malvagio amaritudine nel mele et volontieri si metterebbero ala morte |121c| per loro vendicare. Coi loro ardigloni pungono duramente ma non fanno male altrui se non per fare loro vendetta, overo per paura che lo loro mele no· lle sia tolto. [9] Et voglo che voi sappiate che la materia del mele et del fiale non ène dele ape, ançi ène di rugiada da cielo et di fiori, secundo che dice Avicenna et Isaach; et di quello si nutricano et non di cera. Et non fanno la cera se non per con-servare lo mele imperciò che troppo iscolarebbe lo mele se non fusse le cannelle dela cera. [10] Nele api le femine sono maggiori et ànno aguglone; li maschi sono mi-

78 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘cittadinana, appartenente alla comunità’). 79 Così nel ms. si potrebbe correggere in rege, in base a Tr.(R) 1.154.6: elles aiment molt lor roi [MOR2V], conforme alla fonte, Ambrogio, Exameron, V 21 [68]: «sed etiam illae quae non obtemperaverint legibus regis paenitenti condemnatione se multant, ut inmoriantur aculei sui vulneri», ripreso, con qualche variante nel De bestiis, III XXXVIII.

Page 36: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 300

nori et sono sença arme. Che secundamente che dicono li filosofi, li re non sono nele api se non per guardare et spetialmente per guardare i polli dele api. Et se elli se ne perdesse alcuno incontamente vae loro rege a cercare per esso. Et imperciò ch’e ma-schi si stanno nel’arnia et guardano i pulcini dele api et le femine vanno a procac-ciare, perciò i maschi sono picciolini et sença arme, et le femine so|121d|no grandi et sono armate d’agugloni. Le ape si piglano per suono, imperciò che elle si dilettano in quello. Se caggiono in olio, imperciò che elli ène viscoso, non ne possono iscire et quivi muoiono incontanente; overo, imperciò che le ape sono porose et l’olio ène passativo 80, incontanente passa dentro a quello ch’è in loro in luogo di cuore et uc-cidele incontanente. [11] Ancora le ape amano lo tempo sereno, imperciò che elle trovano più rugiada; et nel tempo nuvoloso, imperciò che non possono volare, non possono guadagnare. Ancora le api, avenga che elle volino, sono molto debili et non possono arapire li altri animali, et perciò si fanno dificio di loro nutricamento. Anco-ra, imperciò che le api fae lo fiare di f[i]ori (d), li quali acatta volando, et la notte per sua frigideçça et umiditate impedimentisce lo volare, non puote operare di notte. Et imperciò che segnoreggia in loi queste cose materiali, perciò lo caldo ène veneno dele api. [12] Ancora sì come dice Avicenna, imperciò che le api |122a| non ànno san-gue, perciò sono debili di calore et di spirito. Et imperciò che per la loro frigideçça non ànno sangue, abisognano di lume et di calore, et perciò volano intorno alo lume, sì disiderosamente che vi si gittano dentro et muoiovi dentro, sì che seguitando lo diletto prende, et non si guardano delo nocimento che ne incorre. [13] Ancora le ape che sono arse in olio, quello olio ad ungere lo capo lavato, genera molti capelli. 40 Tr. 1.154, Tes. V.XVII (§§ 1-8; om. § 2 in Tes.); interp. F (§ 1a, 9-11, 12 [Ba 2]); interp. M (§ 13 [Ba 2]). (a) ms. cacolgono. (b) ms. fum|mo. (c) ms. fror|çi. (d) ms. fuori.

41

Delo ragnolo et come edifica la sua sottilissima tela. [1] Lo ragnolo sì ène uno picciolino vermicello lo quale con sue reti et enganni si

pigla le mosche et le çançale, et tutto |122b| tempo di sua vita si conduce in questo modo sì come avete udito. Et voglio che voi sappiate che la sua tela non ène dela sustança delo ragnolo né dele virtudi di suoi membri, ma ène dela sua superfluitade sì come le corna et li denti sono superfluitade deli animali. Et donqua la tela delo ragnolo ène di questa cotale superfluitade. Non di superfluitade di natura sì come ène lo sterco perciò che non abisogna lo ragnolo di quello fatto, imperciò che quella superfluitade di soççura non ène ad operatione dela natura, ançi la caccia via sì come nociva. Donqua imperciò che lo ragnolo non àne isquisinine 81 né guscio, sì come i

80 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘che fluisce agevolmente’). 81 Vale probabilmente ‘squame’.

Page 37: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 301

pesci e simili ma ène molto molle, sì àne in sé molte superfluitadi cogluttinate et conviscate 82, ciò ène viscose, intorno delo corpo suo. [2] Fa dunqua la tela lo ragnolo in questo modo: se lo luogo dove vuole distedere sua tela sia continuo, ciò ène da lato d’una finestra al’altro lato di quella, fae uno filo, ciò ène di quella sua umiditade, et ficcalo agevo|122c|lemente in alcuno luogo col piede et tosto s’appicica imperciò che ène viscoso; poi vale al’altro luogo dela finestra continuamente operando lo filo. Et quando ène giunto là ove elli vuole et quelli tira a ssé lo filo et distendelo, et poi lo ficca in quello luogo; et quando elli àne uno filo agevolemente fae poi tutta la tela. Et se lo luogo dove vuole diriççare suo filo non ène continuo, ma da una casa ad altra dirimpetto ficca suo filo in alto luogo et giù per quello filo iscende facendo sempre lo filo. Et quando ène fatto tanto lungo quanto vuole fare e de llì si lascia cadere giù per lo filo suso lo luogo dove vuole ficcare, et ficca qui in lo filo suo et aduopera puoi in virtù di quello filo tutta la tela sua. [3] Et con ciò sia cosa che lo ragnolo non possa volare et non abiti in terra, ma istando in meçço intra terra et aiera fannosi le tele per piglare loro cibo et nutricamento, et aduoperano di notte a piglare le mosche. Et imperciò che nel principio del die ène † lafa[...] 83 † questi animali vola|122d|tili, ciò sono le mosche, perciò in quella ora li ragnoli più aduoperano. [4] Et questa savieçça ène in loro di natura che, sì tosto come lo ragnolo ène nato, sì ène in lui naturale savieçça di tessere la tela. Et imperciò che quella tela ène freda et secca, perciò che tene dele superfluitadi di lui sì come sono le corna e denti deli altri animali, che sono frede et secche, perciò quella tela per ragione ène istitica et ristrettura del sangue. Et per ragione che ella ène viscosa risalda le ferite. [5] Et se piglerai lo ragnolo bianco che prenda la mosca et invollera’lo in quella tela et leghera’lo al braccio manco di colui che averae la quartana, sarae curato dela detta febre. Et se piglerai lo ragnolo quando pigla la mosca, cola tua mano manca, et leghera’lo im panno lino et leghera’lo al braccio manco di colui che averae la febre, vale contra cutidiana et contra quartana. Se piglerai lo ragnolo vivo et leghera’lo in canna et porra’lo in sommo del braccio manco di colui che avarae la febre, sarae |123a| curato dela detta febre. Et se lo invollerai nela sua tela con uno poco d’incenso et leghera’lo al collo di colui che àne la febre, cura la terçana et la quartana. Ancora, sì come dice lo Filosofo, la sua tela che sia posta in aiera, a dare a bere con vino puro, ançi che la febre venga, caccia via la terçana et la quartana. 41 Tr. Tes. om.; interp. F (§§ 1-4); interp. M (§ 5 [Ba 33]).

42

Dela calandra et di suo polmone et di sua natura. [1] Calandra ène uno ucello lo quale ène tutto bianco. Et lo suo polmone guarisce

l’uomo dela scuritade deli occhi; di cui la Bibbia comanda che veruno omo non ne mangi niente. [2] Et sua natura sì ène tale che, quan|123b|do ella vede alcuno omo 82 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘vischiose’). 83 Mal leggibile nel ms. la seconda parte della parola (-n o forse -ir?); in ogni caso il testo è incompleto.

Page 38: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 302

infermo lo quale debbia morire di quella infermitade, incontanente volle suo capo et no· llo riguarda niente; et colui che dia guarire sì mira sicuramente sença rivollere di suo capo. [3] Dice l’uomo che per suo isguardare riceve in sé tutte malitie d’infermitadi et poi ne le porta in aiera dove lo fuoco consuma tutto. 42 Tr. 1.155, Tes. V.XVIII.

43

Di tutte maniere di colombi et di loro vita et di loro propietadi. [1] Colombi sono di molte maniere ucelli. Et sono deli dimestichi li quali usano

infra li omini; et non ànno punto di veneno né di malitia sì come ànno li altri anima-li. Et quando perdono la veduta per vec|123c|chieçça (a) overo per alcuna altra malitia elli la ricovarano bene ala celidonia secundo che dice lo Filosofo. Et vannone molti insieme. [2] Colui che li àne in sua magione sì fae una dipintura di colombo lo più bello che elli puote fare per tenere dinançi lo nido dei colombi, perciò che ingenera-no colombi ala sembiança di quella dipintura che lo ’nganno ène dinançi loro. Ma io vi dico che chi prendesse lo legame d’uno omo impeso per la gola et ponessene di-nançi li pertusi dei colombi, sappiate davero che veruno colombo non si partirebbe giamai volontieri per suo grado; ciò ène a dire che elli non fuggeranno giamai se lo sarae dato comunemente beccare. [3] Noi troviamo nela Scrittura tre colombi. Lo primo colombo fue quello di Noè, quello che recoe l’ulivo quando Noè era nel’arca per lo diluvio. Lo secundo colombo fue di David al tempio. Lo terzo colombo fue quello che aparve al battesimo alo nostro Signore Iesu |123d| Cristo. [4] Et le sue propietadi sono queste. Le granora cogle; vola acompagnato; ischifa li corpi morti; non à fiele; piange et tocca lo compagno per basci; la pietra li dà lo nido; fugge lo nemico veduto nel fiume; non fa male col becco; notrica bene due pulcini. [5] Lo sterco del colombo, trito, infuso in aceto, fatto a modo d’unguento, ad ungere la faccia d’essa confettione, tolle via ongne macchia che vi fusse; et fae la buccia molto dilicata. Lo sterco del colombo, disoluto in acqua di silio 84, overo di salcio, a lavare li piedi d’essa confettione ristringe lo ventre. Se farai lisciva delo sterco del colombo et laverai lo capo d’essa lisciva, ritiene li capelli di non cadere. Lo colombo salvatico a mangiare sì ène caldo et constrittivo. Et se alcuna persona vuole man-giare di sua carne, mangila con aceto et con coriandro et sugo di senape. 43 Tr. 1.156.1-2, 4, Tes. V.XIX (§§ 1-3); interp. F (§ 4); interp. M (§ 5 [Ba 16]). (a) ms. uec ou || chieçça.

84 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘psillio, pulicaria (Plantago psyllium)’).

Page 39: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 303

44

|124a| Dela cicala et di suo cantare et di sua vita et di sue propietadi. [1] Cicala sì ène uno nuovo animale. Ed àne in sé una diversa natura et molto

forte: che tanto si diletta in se medesima di suo cantare che ella perde l’entendimen-to del procacciare di sua vita, in tale maniera che ella non àne unde viva. Et tanto canta che ella si muore cantando. [2] Se farai polvare dele cicale, gittatone via lo ca-po, li piedi et l’alie, et la detta polvare darai a bere in vino con succhio di milesolis 85 et saxifrange, rompe la pietra dela vescica. Ancora se prenderai la polvare dele cica-le et lo terço polvare d’arcimomo 86 mescolerai insieme et darai a bere in vino caldo la mane et la sera, molto vale contra male di fianco. 44 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1); interp. M (§ 2 [Ba 15]).

45

|124b| Delo corbo nero et de’ suo’ fillioli picciolini. [1] Corbo (a) ène uno ucello lo quale ène tutto nero, lo quale ène tanto dolce et te-

nero di suoi figluoli picciolini, che quando sono picciolini li suoi figluoli et vedeli di penne tutti bianchi no· lli nodrisce mai, et non crede che elli sieno suoi figluoli se imprima no· llo vede le penne tutte nere. Et lo più che elli mangi si mangia carogna fracida. Et primeramente tutta via inançi cerca per li occhi et mangia le cervella delo capo. [2] Et quello ène quello ucello lo quale non rivenne al’arca Noè perciò che elli trovone alcuna carogna † demori 87 † in acqua. [3] Lo sangue delo corbo ad ugnere lo capo lavato, si fae molto sottile li capelli. Et se tue prenderai lo suo grasso et mesco-lera’lo con succhio di ruta et olio d’uliva et ungerai lo capo bianco, diventeranno li capelli neri. Et se mescolerai lo suo fiele con olio d’uliva et ungerai lo corpo d’al-cu|124c|no (b) uomo legato, lo quale non possa avere usança d’alcuna femina, poterae avere usança con lei inmantenente. Se sarae sospeso lo suo piede a collo d’alcuno fanciullo che tosse, prestarae a llui molto giovamento. Quando ungerai lo capo raso con l’uovo del corbo, farae divenire tutti li capelli neri. Et nota che le sue huova a dare a bere a li caduchi, farae grande prode ala detta infermitade. 45 Tr. 1.157, Tes. V.XX (§§ 1-2); interp. M (§ 3 [Ba 17]). (a) ms. Co corbo. (b) ms. alcu||cuno. 85 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘Litospermo [Lithospermum officinale]’). 86 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘agrimonia’ [?]). 87 La lezione del ms. demori mantiene una traccia linguistica sbiadita della spiegazione alter-nativa del mancato ritorno del corvo all’arca di Noè, la morte in acqua, come reca il Tresor (anche nei mss. della famiglia delle versioni lunghe: cfr. Tr.(R) 1.157.2: ou por ce qu’il morut es eives parfondes [MOR2V]), in linea con il De bestiis, I XXXV: «quia forsitan aquis diluvii interceptus periit».

Page 40: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 304

46

Dela cornacchia, che molto vive et di sue propietadi. [1] Cornacchia ène uno ucello lo quale ène di lunga vita, di cui li antichi dicono

che indovinavano le cose che dovevano intervenire altrui. Et mostralo per uno canta-re et per mol|124d|te altre insegne tanto che sente la maiestria, et se ne puote bene avedere dele cose che adivenire debbono. Et puotesi conoscere quando dia venire; et ciò puote l’uomo vedere quando grida ispesso e sbatte sua voce. [2] Et ama tanto li suoi figluoli che, grande tempo poscia che sono esciti del nido, e’ vanno dietro col pasto, et spessamente alidando com bocca. 46 Tr. 1.158, Tes. V.XXI.

47

Dela cotornice, che li franceschi chiamano creoce. [1] Cotornice ène ucello che li franceschi chiamano creoche, imperciò che fue

primeramente trovata in Grecia. Et intendete che d’istate ne vanno oltre mare a molte insieme; et perciò che l’astore prende la pri|125a|ma che viene a terra, tutto die si aleggono loro capitano un’altra la quale ène di strano lignaggio, acciò che l’astore abbia che piglare per sua preda et l’altre vadano sane, delibere et salve. [2] Et voglo che voi sappiate che le loro buone vivande sono venenose semençe, per che li anti-chi medici divietarono che veruno omo ne mangiasse, che questo ène l’animale so-lamente al mondo che cade per oppilamento 88, sì come li omini fanno. Et teme for-temente lo vento di meçço die per l’umidore. Et molto s’asicura del vento di setten-trione, imperciò che ène secco et leggiero. [3] La sua carne, a mangiare, sottigla et fae lieve lo stomaco delo ’nfermo. Ancora li polli dela cotornice a mangiare, con-forta la digestione. La sua carne sì ène umida et genera buono sangue. 47 Tr. 1.159, Tes. V.XXII (§§ 1-2); interp. M (§ 3 [Ba 18]).

48

|125b| Dela pernice, che fura l’uova l’una al’altra. [1] Pernice sì ène uno ucello ched ène di cotale natura che, quando fae l’uova per

covare, se alcuna altra pernice le le puote furare sì lle le fura, et già non v’à infinta veruna. Et poi sì lle cova bene et diligentemente, et già non v’àe infinta veruna sì come fussero sue huova propie. Et nascono li pernicini molto belli et dilicati. Et adi-viene questo di loro, che se elli fussero in alcuno luogo a terra, overo ad aiera, et odissero la boce dela loro primera madre, ciò ène di quella che fece l’uova imprima, si lasciano istare incontanente quella li à covati et allevati da picciolini, et vannosene a quella che fece l’uova di prima, et abandonano coliei che li à covati et allevati da

88 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘ostruzione’).

Page 41: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 305

picciolini. Adunqua perciò si chiamano pernici, imperciò che perdono l’uova et li pulcini l’uno del’altro. Questi figluoli dela pernice sì fanno così perché conoscono la voce dela loro madre di prima, ciò |125c| ène quella che fece l’uova di prima, et abandonano colei che li àne covati et allevati da picciolini, et vannosene ala loro de-ritta madre di prima. Et ciò si dimostra bene che Idio si fa derittamente adoperare natura. [2] Et la sua carne si fae bene digestire, et sottiglia lo stomaco et genera buono sangue ad usarle di mangiare. 48 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1); interp. M (§ 2).

49

Dela cicogna, ch’è sença lingua et di sua vita. [1] Cicogna ène uno ucello lo quale ène sença lingua; et perciò dicono le genti

che non canta; batte fioco et fae grande tremolare. Sono nemici deli serpenti, per che li antichi vietarono che l’uomo no· lle uccidesse. [2] Al cominciamento di primavera vengono infra noi et fan|125d|no loro nidi et loro figluoli, dove mettono sì grande studio a guardare et a nodrire loro che tutta loro piuma si cade di loro corpo, sì che alcuna volta non ànno alcuno podere di potere volare in alto; ançi conviene per viva necessitade che li loro figli le nudriscano et guardino, et covino altrettanto tempo quanto le madri ànno fatto loro figli. [3] Et quando la state vane via et lo tempo si comincia a cambiare per lo verno che viene, elle si ragunano a grande ischiere insieme et passano lo mare verso l’oriente et vannone in Asia, in tale maniera che le cornacchie vanno tutto die dinançi loro sì come guiderane 89 et capitane. Et voglo che voi sappiate che la posciaia cicogna, che viene in Asia in quello luogo dove sono l’altre cicogne, sì ène tutta pelata et speççata troppo malvagiamente. [4] Et imperciò potemo noi conoscere derittamente che li uccelli et le bestie ànno alcuno conoscimento che natura l’àe donato. Elli avenne una volta che |126a| uno lombardo del vescovado di Melano trasse uno huovo delo nido dela cicogna et misevi uno di quelli delo corbo celatamente. Et quando venne lo tempo che l’uovo delo corbo nacque, lo corbo incomincioe a dimostrare sua pennatura nera. Lo cicogno maschio, quando vide ciò di quello corbo ch’era così nero, incontanente se n’andoe via et menoe molte cicogne femine al nido dove avevano covati loro figluoli. Queste cicogne femine guardarono quello corbo, lo quale era fra li cicognini, et viderlo così nero (a), et videro che elli era tutto nero di sue penne. Et quando ebbero bene guardato et veduto bene et diligentemente ciò ch’era divenuto, incontanente corsero adosso ala cicogna femina, la quale era sua compagna, et tanto la ferirono con loro becco che tutta pertusarono; et in tale maniera l’uccisero et trassero a fine. [5] Nela riviera di Nile nasce uno uccello lo quale ène sembiante ala cicogna ed àne nome ibes; lo quale ibes non mangia altro che |126b| pesci picciolini, overo huova di serpente overo d’altra bestia morticina, li quali sieno nela riviera di quello Nile, perciò che nell’acqua non osa entrare, imperciò che elli non sae notare. [6] Et quando si sente alcuna infermitade, overo alcuno turbamento di corpo, per le male vivande 89 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘guide’).

Page 42: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 306

che elli mangia, incontanente se ne vae al mare, et gorgia 90 di quella acqua molta in-sieme, et poi si mette lo suo becco nelo suo culo et cacciasi tutta l’acqua nelo suo corpo, et lavasi tutte sue budella di tutta lordura. Et dicono molti che Iprocas, lo buo-no medico, fece prima cristeri ad quello asemplo. [7] Et voglo che voi sappiate che Ovidio, lo grande savio, quando lo ’mperadore lo mise im pregione, fece elli uno li-bro lo quale (a) ène chiamato lo ’mperadore, dove l’uomo truova lo nome di quello ucello 91, et puoselo per la più lorda creatura che elli sapesse al mondo. 49 Tr. 1.160, Tes. V.XXIII. (a) ms. corbo et viderlo così nero lo quale era fra li cicognini. (b) ms. segue libis espunto (glossa passata a testo?).

50

|126c| Di cisne, ciò ène cìccino, ched ène tutto bianco. [1] Cisne, ciò ène cìccino, ène uno ucello lo quale ène tutto bianco di penne, et la

sua carne ène tutta nera come mora. Et usa in fiume; et quando elli nuota per l’acqua porta tutto lo capo levato fuori del’aqua perché li marinari dicono che elli ène buono incontro a trovare. Et la sua voce fae dolce et soave a cantare perché lo suo collo ène lungo et piegato. [2] Et dicono li trapassanti che elli sono nele montagne d’Iperbore in Grecia. Et voglo che voi sappiate che quando l’uomo canta et suona molti se ne racolgono intorno di lui per lo diletto che elli ànno del canto. Dunde molti dicono che quando dia morire una penna delo suo capo sì li ficca per lo ciaravello; allora s’avede elli incontanente di sua morte, et incontanente comincia elli a cantare molto dolcemente. Et così cantando si muore. 50 Tr. 1.161, Tes. V.XXV.

51

|126d| Dela fenice, che non ène più d’una al mondo, et di sua vita et di sue fatteççe. [1] Fenice ène uno ucello in Arabia donde in tutto mondo non se ne trova più d’u-

no. Ed ène grande come una aquila. Et àne cresta sotto la masciella da una parte et dal’altra parte. La penna di suo collo sì ène rilucente come fino oro; ma da mi in giu-so, infino ala coda, ène di colore di porpore, et la coda sì ène di colore di rose, se-cundo che dicono coloro che più volte l’ànno veduta. [2] Alcuna gente dice che ella vive .vc. anni, et altri dicono che ella vive .vc. anni et .xl. mesi, altrimenti non ne po-temo sapere bene la veritade; ma li più di coloro che l’ànno veduta dicono che ella vive .vc. anni. [3] Et quando dia venire a morte, bene che la sua morte sia per avere 90 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘ingoiare’). 91 Il testo, in cui traspare l’allusione all’Ibis di Ovidio, «un livre ou il apeloit l’empereor par le nom de cel oisel» come si legge correttamente nell’edizione Beltrami (1.160.7), dipende dalla lezione della famiglia delle versioni lunghe: cfr. Tr.(R): fist .i. livre qui l’appelloit l’enpereor ou l’en trove le nom de celui oisel [MOR2V].

Page 43: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 307

vita, ella se ne va ad uno buono albero molto savoroso et di buono odore, et di quelle legna si fae uno monticello a modo d’una capannella inverso lo sole levante, im parte dove sia gran|127a|de sole; et grande caldo ed entra dentro in questa capannella, et tanto vi batte le sue alie che ella n’accende dentro lo fuoco et in quello fuoco s’arde tutta quanta, sì che ella diventa tutta cenere. Et di quella cenere per volontade di Dio, in quello die medesimo, nasce uno vermicello molto picciolino. Et al se-cundo die àne vita. Al terço die ène fatto uno picciolino ucello. Al quarto die ène fatto grande come dia essere, et vola et vassene nelo luogo dove dia essere la sua abitatione; et vive tanto tempo quanto ène vissuta la madre et poi s’arde et muore come fece la madre. Et nasce et vive et muore così come ène detto di sopra, sì che di nullo tempo non ène più d’uno. [4] Et alcuno dice che ella conversa in una cittade la quale àne nome Elipoliz (a), nela casa d’uno pretie di quella cittade. 51 Tr. 1.162, Tes. V.XXVI. (a) ms. Elipoliz, con -iz da n (trattino aggiunto sulla prima gamba, z lunga sovrascritta alla se-conda gamba).

52

|127b| Dele grughe, che volano a schiera, et come eleggono loro capitano et loro rege. [1] Grughe sono ucelli che volano molto a schiera in sembiança di cavalieri arma-

ti che vanno ala battaglia. Tutto die vae l’una denançi tutte l’altre sì come capitano et gonfaloniere et guidatore di tutte l’altre grughe; et menale et gastigale et conduce-le di sua boce, et tutte quante ubidiscono costui et seguitano sua legge et suoi costu-mi. Et fanno colui duca et singnore lo quale sae meglo le vie. Et imperciò che delo suo simile più confidano eleggono di loro specie et non d’altre. Overo un altro modo si puote dire che da parte del fine al quale è ordinata l’operatione deli animali, eleg-gono duca in quella operatione; et ciò puote essere vero contra quello che gli cor-rompe di fuori come lo caldo et lo fredo. Et così ène nele grughe che nel comincia-mento del verno vanno ala calda contrada, et nel cominciamento dela state tornano verso di noi; et per questo eleggono re et guida, |127c| et seguitano tutta sua legge et tutti suoi costumi. Et quando lo loro capitano ène afiocato et la boce li ène alquanto mancato (a), elli non àne veruna vergogna perché un’altra gruga vi vada in suo luogo et lo loro capitano si torna adietro con l’altre. [2] Et se avenisse che per isciagura al-cuna di loro istancasse tra via et non potesse andare con l’altre compagne, inconta-nente l’entrano tutte sotto suo corpo et portalla tanto che ella àne ricoverata tutta sua forza. [3] Et quando elle debbono mutare per andare oltremare nelo luogo lo quale ène intra Araba et ène inançi che elle mutino loro cammino ingorgia 92 catuna di loro molto sabione (b), et si pigla ciascuno di loro una pietra in suo piede per più sicura-mente andare contra la força del vento; poscia si levano tutte quante a volito et vo-lano in alto tanto quanto possono volare; et ciò fanno per [m]eglo (c) potere vedere lo luogo dove voglono andare. Et quando sono passate lo meçço del mare ciascuna di loro si lascia cadere la |127d| pietra che tiene im piede; et di questo s’aveggiono bene 92 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘ingoiare’).

Page 44: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 308

li marinari che vanno per mare perciò che più volte l’ànno veduta cadere sopra di loro et intorno di loro nave. Ma lo sabione non lasciano elle niente cadere infino a tanto che elle non sono al sicuro di loro abitatione. [4] Et così come elle conservano buona guardia in loro camminare, cotale guardia et più forte et miglore conservano in loro albergarie; che infra tutte a decina vegghiano et guardano et vanno atorno l’altre perché alcuna cosa ria no· llo possa avenire. Et tutta volta coloro che guardano tengono una pietra sotto li loro piedi per non dormire. [5] Et quando ànno fatto loro guardia bene et diligentemente, et l’altre decine ve[n]gono (d) et guardano in loro luogo; et così fanno la guardia infra loro bene et diligentemente ciascuna a decina sì come tocca sua volta, et non v’àe infra loro veruna discordia che sia. [6] Et quando coloro che guardano vedessero overo sentissero alcuna cosa |128a| da dubio incontanente destano tutte l’altre grughe et vannosene a salvo luogo. Et imperciò che elle mutano contrade imperciò mutano loro penne, et alo loro colore puote l’uomo vedere loro agio et loro tempo perciò che elle diventano nere per loro vecchieçça. [7] La sua sugna, ad ungere l’orecchie, tolle via lo dolore et ristituisce l’udire. 52 Tr. 1.163, Tes. V.XXVII (§§ 1-6); interp. M (§ 7 [Ba 23]). (a) ms. manca, con -to aggiunto a fine rigo? (b) ms. sa|none, con prima -n- corretta in bi. (c) ms. per ne|glo. (d) ms. uegono.

53

Dela luppe et di sua cresta et come mangia cose puççolenti et di sue propietadi. [1] Luppe ène uno ucello lo quale àne una cresta. Et mangia fien 93 [et] cose (a)

puççolenti, et perciò ène sua lena malvagia et puççolente. [2] Ma ella àne in sé di grande propietadi. Et tanto |128b| fanno per loro natura, che quando loro madri vegono in vecchieç[...] 94 et grave et pesante et loro veduta alquanto turbata, loro fi-gluoli le traggono tutte le penne et ongono loro occhi di sugo di celidonio et d’altre cose untuose; et poscia le pascono et nudriscono et riscaldano sotto le loro alie, tanto

93 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘sterco’). 94 La parola s’interrompe a fine rigo: la lacuna, che potrebbe riguardare anche solo vec-chieç[ça], se fosse più estesa avrà interessato un più dettagliato riferimento alla vecchiaia dell’upupa, quando sono i figli a prendersi cura della madre. Tes. V.XXVIII legge: «E quando le loro madri invecchiano tanto che non possono bene volare, li loro figliuoli le prendono e mettonle nel nido»; così anche Gaiter che annota: «Il T ed il ms. Vis. pere. Che Bono fosse meglio informato? Il T non ha varianti in questa parola» (Il Tesoro di Brunetto Latini cit., II, p. 188 n. 2). Anche un codice della famiglia cui appartiene il «ms. Vis.» (cfr. sopra la nota 29), il ms. Laur. Pl. XLII.23, presenta il riferimento al genitore maschio: quando li loro padri invecchiano, sì che non possano volare... (Tes.(L4) c. 47r), in consonanza con Tr. 1.164.2: «quant li filz voient son pairons enveilliz, et que il est griéf et pessanz». La fonte, il Physiolo-gus BIs, cap. V, presenta un riferimento generico ai genitori: «Horum filii, cum viderint pa-rentes suos senuisse, ut neque volare possint...».

Page 45: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 309

che la penna ène loro tutta rinovata et che elle ànno loro veduta tutta ricovarata, et veggiono bene là dove volliono volare. [3] Et la sua carne sì ène austera. Et ne’ polli sì ène grande virtude et grande giovamento contra lo morso del cancro, ad uccidere et pestare, et fare impiastro et ponere sopra lo male. La lingua dela luppula, sospesa a collo di colui che non è bene in sua memoria, riduce lui a memoria di quelle cose che non si ricorda. Et quando sufumicherai alcuna cosa cole sue penne, uccide ad esso tutti li vermini. Se sospenderai lo suo occhio sopra leprosi, cessarà da lui l’alopitia. Lo cuoio del’upuppe dextra, se sarae posto a capo ad alcuno omo che dorma, non si desterae infino a tanto che tue |128c| none lo leverai, overo none cade-rae. [4] Et nota che se ala luna nuova, quando si leva lo sole, dicollerai upuppa, et lo suo cuore cincischierai et inghiotterai, sì poterai sapere tutte le cose che si fanno, et le mente deli omini. Ciò ène lo loro pensamento. Et anco dele cose celestiali, et anco poterai conoscere li mali spiriti che saranno adosso altrui. 53 Tr. 1.164, Tes. V.XXVIII (§§ 1-2); interp. M (§§ 3-4 [Ba 41]). (a) ms. fiē cose: cfr. Tr.(R) 1.164.1: maingie fiens et chose puans [OMR2V].

54

Dela rondine, che non vola dritta via. [1] Rondina ène ucello picciolino; et giamai non vola deritta via, ançi vola a volte

et atorno diversamente. Et la sua vivanda prende tutto tempo in volando et non istando ferma in |128d| luogo. Et veruno ucello cacciadore la puote piglare. Et per sua sicurtade abita in casa con li omini et suo nido fae nele case dentro et nele coverta di sotto et non di sopra. [2] Et dicono molti che le case che elle abandonano di non fare loro nido sì ène segno che ella debbia fondere tostamente. Et fae lo suo nido di fango et di fistuchi, perciò che ella non puote portare lo fango coi piedi. [2a] Unde secundo che dice lo nostro savio Avicenna, una virtù quanto magiormente intende ad una operatione tanto magiormente si [r]itraie (a) et diventa remissa, per dispetto al’altra operatione. Unde con ciò sia cosa che la virtù motiva, ciò ène che muove, sia divisa in alie et im piedi, se lo ’ntendimento ène più forte et più inteso nel’alie sarae minore neli piedi: et questo ène nela rondine. [2b] Adunqua con ciò sia cosa che la rondina abbia buone alie et debili piedi, si bisogna 95 le sue alie in tale maniera che la terra che vi vae suso si fae fango, dunde ella fae |129a| suo nido et suo dificio. [3] Et quando li suoi figluoli perdono lo vedere per alcuna cagione, overo per alcuna malitia che fusse loro fatta, ella se ne vae incontanente et reca una erba in suo becco, la quale erba àne nome celidone; la quale, dando loro et fregando loro ali

95 Essendo improbabile il senso di ‘dotarsi’, è ipotizzabile che bisogna dipenda dal fraintendi-mento di un baigne del testo francese e che sia conseguenza dell’interpolazione al § 2a: Tr.(R) 1.165.2 legge infatti: et porce que elle ne puet pas porter la boe a ses pies si baingne sez eles en tel maniere que la poudre qui se joint as eles moulleees [moillees R2V, om. MO] devient boe. Anche Tes. V.XXIX ha un testo più vicino al francese: «e per ciò ch’ella non è di tanto po-dere ch’ella possa portare lo loto, si bagna nell’acqua le penne dell’ale, e poi le mette nella polvere, e quello che vi si appicca porta».

Page 46: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 310

occhi, guarisce incontanente et rende loro la veduta secundo quello che dicono molti che l’ànno provato. [4] Ma io vi dico che molto si dia omo guardare di suo stabio, imperciò che elli si trova nella Bibbia che Tobia n’acecoe. [5] Et imperciò che elle mutano contrade perciò mutano le piume. [6] La pietra rossa, la quale si trova nel ventriglo dela rondine, bevendola overo portandola sopra, sana lo morbo caduco. 54 Tr. 1.165, Tes. V.XXIX (§§ 1-2, 2b-4); interp. F (§§ 2a, 5); interp. M (§ 6 [Ba 36]). (a) ms. ui traie.

55

|129b| Delo pulicane et di sua natura et di suoi figluoli. [1] Lo pulicane sì ène uno ucello in Egitto di cui li antichi dicono, che quando li

figluoli sono alquanto cresciuti, elli si levano in volito et feggono loro padre entro lo volto con l’alie, in tale maniera che elli lo fanno fortemente crucciare; et quando questo pulicane si vede così ferire a’ suoi figluoli, corrucciasi fortemente inverso di loro et sotto quello corruccio tutti quanti li uccide. Et quando la madre vede morti li suoi figluoli sì nne mena grande duolo per tre die; et poi, in capo deli tre die, quando àne menato suo grande dolore, ella si fiere sua costa di suo becco in tale maniera che ella si fae tutta sanguinare et di questo sangue ispande sopra li suoi figluoli. Et in-contanente per lo calore del sangue isparto sopra di loro et per la volontade di Dio, incontanente li suoi figluoli tornano in vita sença niuna dimorança. [2] Ma alcuna gente dicono che elli nascono |129c| morti, loro padre di suo sangue li bagna tutti quanti et per la volontade di Dio li fae tornare in vita. Ma come che elli sia, Santa Chiesa lo testimonia là dove lo Nostro Segnore disse: ‘io sono fatto pelicane per sembiança’. [3] Pelicane sono di due maniere. La prima maniera di pelicane sì ène di riviera, che mangiano pesci. La secunda maniera di pelicane sì ène acampestra, li quali mangiano serpenti et lisadre et altre bestie venenose, sì come di sotto dirae di questo secundo pulicane. 55 Tr. 1.166, Tes. V.XXX.

56

Delo secundo pulicane et di suo pelo. [1] Lo secundo pulicane si mangia serpenti et lisadre et altre |129d| bestie

venenose, sì come di sopra ène contiato. Et àne in sé una cotale natura che lo suo pelo, che elli fae, sì fae fuggire la puçça deli serpenti colà dove fussero arsi serpenti, overo altri vermini li quali avessero in loro alcuno veneno, che non ci à peggiore cosa. Et questa ène la natura delo secundo pulicano che non vive se non di serpenti, overo d’altre cose venenose. 56 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1).

Page 47: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 311

57

Dela starna, che spesso ène chiesta im preda. [1] Starna ène uno ucello lo quale ène ispesso chiesto im preda et in ucellagione.

Et ciò sì ène per la bontiade di sua carne. Ma molto ène traditrice et luxuriosa, che per la caluria di sua luxuria si combattono le femine. Alcuna volta adiviene che elle dimenticano la conoscença |130a| di loro natura, in tale maniera che lo maschio giace col maschio. Et dicono alquanti che quando la femina àne calda volontade che ella ingenera solamente del vento che la fiere verso lo maschio. [2] Deli suoi inganni di-cono alquanti che ella fura l’uova al’altre starne et mettele cole sue. Ma quando le starne sono nate [et] odono (a) la voce dela loro deritta madre, incontanente se ne vanno a lloro et lasciano stare loro falsa madre. Et voglo che voi sappiate che le starne forniscono loro nidora di spine im piccioline fossette et poi cuoprono loro huova di polvare, et vanno et rivengono di notte celatamente. Alcuna volta trasporta la madre li figluoli d’uno luogo in altro per ingannare lo maschio. Et quando l’uomo viene presso di suo nido, ella fae sembiança che ella non possa volare perché ella possa meglo dilungare l’uomo da suo nido. [3] Et nota che le sue penne sono molto buone al male della matrice, a farne sufomicatione et ricevere lo fummo ala natura di sotto. 57 Tr. 1.167, Tes. V.XXXI (§§ 1-2); interp. M (§ 3). (a) ms. nate odono.

58

|130b| Delo pappagallo et di sue fatteççe et come dice parole articula[t]e (a). [1] Pappagallo ène uno ucello tutto verde; et lo suo beccho et li suoi piedi sono

molto belli, ma non sono verdi sì come ène l’altro im busto; ma lo becco ène tutto rosso et li piedi sono tutti gialli. Et àne più grande lingua et più lata che veruno altro ucello che sia, dunde elli dice parole articula[t]e (b) in sembiança d’uomo, se l’uomo l’insengna; et ciò dia essere in sua gioventudine infra li due anni di suo tempo, im-perciò che da indi inançi sì ène duro et molto dimentichevile, in tale maniera che elli none imprende mai poscia veruna cosa che l’uomo li mostri. Et dielo l’uomo gasti-gare con una picciola verghetta di ferro. [2] Et sì dicono coloro d’India che elli non nasce altrove che in India; et di sua natura sae salutare altrui ala guisa di quella terra. Et quelli pappagalli che ànno cinque dita neli piedi sono più nobili deli altri pappa-galli; et coloro che ànno tre dita neli piedi |130c| sono di villano lignaggio. Et tutta la sua força sì ène nel becco et nel capo, là dove elli riceve più volontieri percosse et ferite che in veruno altro luogo che sia di sua persona, quando elli non possa fare altro. [3] Et voglo che voi sappiate che in quella parte verso India dove nascono li pappagalli sì ène verso lo sole levante, là dove elli non piove mai di nullo tempo che sia. 58 Tr. 1.168, Tes. V.XXXII (§§ 1-2); interp. F (§ 3). (a) ms. articulare.

Page 48: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 312

(b) ms. articulare.

59

Delo paone et di sua simplic[i]tade (a) et belleçça. [1] Paone ène uno ucello molto semplice ed ène di molta grande belleçça. Et àne

lo capo serpentino et la boce di diavolo. Lo petto di colore di çaffarano, la coda di diversi colori fatta a similitudine d’occhi. Che vi dirò io di lodare sua bel|130d|leç-ça? Voi l’avete veduto. Elli sì ène uno ucelo bello sopra tutti li altri ucelli del mondo; ma molto si diletta di vedere sua coda perché l’àe cotanto bella. Ma elli li donoe natura una ladia cosa a fare, che quando elli vede alcuno omo che rimiri sua belleçça elli riçça incontanente sua coda suso sopra tutto lo suo capo per avere loda dala gente, et fanne grande rota et ponsela † in te[...] 96 † et fanne grande vanagloria. Et allora discuopre la sua ladia parte di dietro et sì la mostra villanamente; poi si mi-ra a’ suoi piedi che sono molto laidi. Allora dispregia la laideçça di suoi piedi et in tale maniera abassa sua coda et no· lli piace niente sua belleçça. Et la sua carne sì ène dura molto fieramente; et ène di molto grande odore. 59 Tr. 1.169, Tes. V.XXXIII. (a) ms. semplica|tade.

60

|131a| Dela tortola et di sua grande castitade. [1] Tortola ène uno ucello di grande castitade; et abita volontieri dilunga da gente.

Tutto verno istae neli pertusi deli albori per la penna che le è caduta. Et lo suo nido cuopre di fogle di scolie 97, per lo lupo che non osa andare dove quella erba sia. La tortola ène sì amabile verso lo suo compagnone che vive castamente con lui et ob-servali bene la fede. Et se ella lo perde per alcuna maniera, ella non dimanda mai al-tro maritaggio, né giamai non si congiogne con nessuno maschio, né mai non si apo-ne in ramo verde, né mai non beve in acqua chiara infino che vive. Et guarda bene sua fede, o per virtù che sia in lei o perché ella crede che sempre rivenga. [2] Et le sue propietadi dicono così. La tortole cantando piange. Vegnendo anuntia la prima-vera. Et castamente vive. Sola dimora; coi suoi pulcini dimora di notte. Fugge me-retrice. 96 Parte della parola è stata coperta da una striscia di carta applicata lungo il margine interno della carta; nulla si ricava dal confronto con Tr.(R) 1.169.1: il drece la coe contremont por avoir le los des genz. et descuevre... (un testo analogo in MOR2V), e con Tes. V.XXXIII «egli rizza la coda in suso per avere lode. E tanto la dirizza che mostra la parte di dietro villana-mente». 97 S’intenda ‘foglie di squilla’: fogle di scolie (o d’iscolie) rende infatti Tr.(R) 1.170.1: foilles d’esquilles [solo fueilles O, om. M]. Anche Tes. V.XXXIV deforma il termine: «una erba che ha nome sachiel», «sacchiel» nell’edizione Gaiter.

Page 49: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 313

60 Tr. 1.170, Tes. V.XXXIV (§ 1); interp. F (§ 2).

61

|131b| Delo picchio et di suo forte becco et di suo nido. [1] Picchio sì ène uno ucello con molto forte becco. Et fae lo suo nido nel’alboro

pertusato colo suo beccho. Et dicesi Severo Secundo che si trova scritto che quando alcuno omo vae cercando per suo nido, che quando l’àe trovato si togle una cavic-chia di legno et mettela in quello pertuso dove ène lo nido del picchio, et stringevela tanto dentro forte quanto stringere si puote. Et quando lo picchio torna alo suo nido et trovalo così turato fortemente, et non vi puote entrare dentro per neuna maniera, elli si parte incontanente et vanne per una erba la quale omo non puote bene cono-scere, et sì lla pone a quella cavicchia la quale ène fitta in suo nido. Et questa erba ène di tanta virtute che incontanente quella cavicchia esce fuori di suo nido et cade in terra incontanente. 61 Tr. om.; cfr. Tes. V.XXXIX, ma con lezione diversa: Pichio è .i. uciello dela grandessa d’una ghiandaia, ed è molto lungo segondo le suoi me(n)bra ed è di diversi colori. E llo suo becco è sì fermo che in qualunque arbore elli vuole fare suo nido per covare le suoi vuova, sì vi dae tanto del becco che vi fae uno grande pertuzo, e quine fae le suoi vuova e cova. E chi lo ciudesse con una chavicchia ben forte e agra quanto potessi, lo ’ndimane ne la troveresti fuore; s’elli ne la cava con erba u con altro ingegnio non si può sapere (Tes.(L4) c. 48v); un testo analogo nelle edizioni Gaiter e Battelli.

62

|131c| Del’avoltore et di suo conoscimento d’odore et di sue propietadi. [1] Avoltore sì ène uno grande ucello sembiante ad una aquila; lo quale avoltore

conosce odore di naso da lunga più che (a) niuno altro animale che sia al mondo. [1a] Et àne in sé le propietadi d’una bestiuola la quale si chiama settare 98; la quale settare ène di quelli cinque animali l’uno che passa li cinque sensi del’uomo. Ciò ène lo primo animale sì ène lo porco salvatico, lo quale porco àne sì buono udire che se l’uomo li fusse di longa diece migla sì lo sente. Lo secundo animale sì ène lo lupo cerviere; lo quale lupo àne sì sottile lo vedere che passa per sua veduta lo più grosso monte che sia. Lo terço animale sì ène l’avoltore; lo quale avoltore andarebbe al fiato del naso ben cento migla al’odore del pasto. Lo quarto animale sì ène la scimia; la quale iscimia àne lo miglore a saggiare che sia, che giamai non mangiarebbe di veru|131d|na cosa che ella no· llo asagiasse imprima. Lo quinto animale sì ène lo ragnolo; lo quale ragnolo ène lo più sottile toccatore che veruno animale che sia al

98 S’inventa qui, fraintendendo il verbo set(t)are ‘odorare’, un animale particolarmente dotato del senso dell’odorato: cfr. per es. nel Diretano bando, 20.2: «Ché voce serve all’udire, colore a vedere, aholore a sectare, sapore al gustare»; si veda inoltre TLIO s.v. assetare2 e il lemma setare nel Corpus TLIO. Più in generale per questo e altri derivati del lat. SITUS ‘muffa; soz-zura’, diffusi nella Toscana occidentale, si veda Castellani, Grammatica cit., pp. 342-43.

Page 50: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 314

mondo, che quando tesse la sua tela sì sottile che elli non ène alcuno omo al mondo che la possa sentire. [1b] Questo avoltore di cui lo contio parla ora àne sì buono odore che d’oltre la mare fiata carogna. Et dicono coloro che li ànno acostumati che li avoltori seguitano l’oste deli omini bene cento migla, là dove dia avere grande fiato di carogna, et così indivinano che elli n’averae grande mortalità d’uomini et di bestie. [2] Et sì dicono più genti che infra loro non àne veruno congiognimento di maschio né di femina, et sença deritto ingeneramento fanno figluoli. Et vivono lungamente, sì che apena elli muoiono in cento anni; volontieri vanno per terra sença volare per la loro graveçça. Et non mangiano di veruna carogna se imprima no· lla lievano molto da terra. [3] Et le sue |132a| propietadi sono queste. Che Alisandro dice che l’avoltore presta molta sanitade alo corpo del’uomo. Ciò ène che allora quando l’avoltore sarae preso, averai uno coltello di canna con che tue l’uccidi. Ma inançi che tue l’uccidi, dirai queste parole: «L’angelo di Dio (b) andoe ad Abraam perché elli adempisse queste parole». Et nota che assai meglo ène se dicerai deritto le dette parole. [4] La sua carne sì ène nervosa, et tardi si digeste, et genera mali omori. Lo suo grasso si disolve sì come quello del’asino salvatico. Se terrai l’osso dela sua gamba, levatone la carne, ala gamba dolente, tolle via lo dolore et sana. La sua lingua se la terrai nelo deritto calçaio et anderai con essa per via, li tuoi nemici temeranno te. Se tue legherai lo suo cuore nela pelle del leone overo in quella delo lupo, tutti li dimoni fuggeranno via. Et se alcuno ladrone t’assalisse in alcuno luogo, non averae virtude di farti alcuno nocimento. Se terrai lo pie|132b|de et l’unghie de l’avoltore nela tua casa, non vi si poterae conmettere alcuno malefitio, et se sarae istato inançi, non avarae alcuna virtude; et se sarae fregato con olio yrcino 99 et resina, sana i nerbi. Et se alcuno animale lo quale tue vogli vendere, lo die ungerai dela detta confeççione, vendera’lo lo die et avera’ne lo preçço. Se tue porrai lo suo piede sopra lo piede che duole, ciò ène lo dritto sopra lo dritto, lo manco sopra lo manco, lega, et continuo sarà sano. [5] Lo suo osso del capo del cervello porre sopra lo capo che duole, et lega, sana incontanente, se ungerai la fronte et le nare delo suo grasso. La testa delo suo capo arsa, data a bere, sana ongne infermitade, et ispetialmente la quartana. Lo suo occhio manco, salato, legato ad alcuna parte del corpo del’uomo quando vae per mercatare, ène in esso guadagno certissimo, et vale contra ongni aversitade. Lo suo cuore legato in cuoio di cervio, se lo porterai teco, vale contra |132c| ongni malefattore. Lo suo cuore legato im pelle di cervio, tenendolo teco, non puoi ricevere alcuno iudicio. La sua lingua, che non sia tocca di ferro, legata im panno nuovo, tenendo a collo, ciò che tu vuoli chiedere, overo a dimandare che sia caro, averai. La sua lingua, legata im panno lino, posta a collo 99 Il testo potrebbe essere corrotto: Battelli, Segreti cit., p. 154 emenda tacitamente in «olio vi-tino» e spiega in nota «L’olio vitino è quello che si ricava dai vinaccioli»; potrebbe forse esserci un rapporto con uno dei due ingredienti citati da Plinio nella Naturalis historia, XXXVII 241 [74]: «felle taurino cum cyprino oleo aut irino», ovvero ‘file di toro in impasto con olio d’henna o d’iris’, per cui rinvio a Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, edizione di-retta da Gian Biagio Conte, vol. IV, Torino, Einaudi, 1986, pp. 107 in nota e 157 in nota, ma non ho alcun elemento per avvalorare l’identificazione. L’oleum cyprinum (Cyprinum per l’e-ditore che lo fa derivare da Cipro) è menzionato anche in Isidoro di Siviglia, Etym., XVII IX 14.

Page 51: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 315

d’alcuno fanciullo, da ongni male et suspiri sarae curato et sicuro. [6] Lo suo piede con l’unghie mette im pelle cervina, con nome Miccael, et legalo al dritto braccio; lo dolore del corpo mitica. Nelo suo capo iscrivi lo nome deli angeli Gabrielle, et póllo sopra lo capo dolente; tolle via lo dolore. Lo suo cuore lega im pelle di lupo con nome angeli Gabrielle, et porta teco, et sarai sicuro d’asalimento di ladroni. Lo suo piede manco, legato alo tuo piede manco, colo nome deli angeli Sabaoth, ongne dolore si partirae. [7] Le sue ossa ardi et farai polvare et mescola con celidonia in orço et dàe ali animali et saranno curati da ogne |132d| infermitade. La sua testa, nelo suo sangue unta, se ne farai polvare et darai a bere a colui che non puote corrire, sarae veloce a corrire. Lo suo fiele et quello delo cavretto et lo sterco del’uomo a farne unguento, ad ungere li occhi, chiarifica molto. Lo suo sterco ungi con mele et poni suso la brascia, et sufumica: farae parturire. Et se la creatura sarae morta in corpo, póllo sopra li carboni et sufumica, et sença alcuna dimorança parturirae incontanente. La sua penna se ne farai fumigio, farae parturire. Se la sua penna legherai al piede manco, subitamente farae parturire; et quella penna none adoperrai più. Se la tua casa fusse malitiata d’alcuna cosa, farai sufumicamento dele dette penne, et ongni cosa ria fuggerae dela tua casa. Se alcuno fanciullo sarae aveççato ad alcuno latte et non vorrae d’altro latte surgere 100 che di quello, tolli la sua piuma, overo la sua penna, et falla ardere, et fanne polvare, et dàllo a bere quando li dài la poccia 101, overo in mangia|133a|re; prenderae la poccia incontanente. Et ciò faccia colei che li dàe la poccia. 62 Tr. 1.171, Tes. V.XXXV (§§ 1, 1b-2); interp. F (§ 1a); interp. M (§§ 3-7 [Ba 5]). (a) da lunga piu che su rasura, con da ricavato da piu. (b) ms. di | di dio.

63

Delo struççolo et di sue faççoni et di suo dimenticamento. [1] Lo struççolo sì ène uno grande ucello a maravigla. Et molti dicono che elli ène

bestia perciò che elli àne sì grande corpo che elli non puote volare niente, et àne penne sì come ànno li altri ucelli. Et li suoi piedi sono fatti come quelli delo cam-mello, et ène sì pesante di sua compressione che lo fae dimenticare nela mente dele cose passate che non se ne soviene niente. [2] Perciò li diviene come per dimostra-mento di natura che di |133b| state, torno lo mese di giugno, quando li conviene pensare di sua generatione ed elli isguarda ad una istella la quale àne nome vergilia. Et quando ène cominciata a levare ripone sue huova et cuoprele col sabione et vae a fare li suoi fatti intra le maniera che giamai di quelle huova non se ne soviene. Ma lo caldo delo sole et lo temperamento delo tempo per la potençia di Dio compie suo oficio sopra a quelle huova et scaldale et fae ciò che la madre dia fare, in tale maniera che nascono li struççolini molto belli et dilicati sì come fussero istati covati

100 Sta per suggere: se non è un errore si tratterà di una dissimilazione (cfr. 12.2 sormeggere ‘sommergere’). 101 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘mammella’).

Page 52: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 316

per loro madre et per loro padre. Et nascono sì grandi che incontanente fanno loro afare. [3] Nompertanto se lo padre li trova là dove sono nudriti et insegnati sì llo fae noia et increscimento quanto puote fare. Et voglo che voi sappiate che contra lo suo dimenticamento natura lo diede et fece due unghie sotto l’alie agute et pungenti più che una lesina, dunde si fiere et batte se medesimo per bene fuggire dinançi li cac-cia|133c|tori, perciò che elli non puote volare per lo grande peso di suo corpo; et corre per terra sì fortemente che appena puote essere gionto da cavallo overo da cani, perciò che elli si ponge di sue onghie sì fortemente come se fussero due sproni, dunde si sanguina tutto quanto per bene fuggire dinançi li cacciatori. [4] Et lo suo stomaco et la sua gorgia ène di sì calda natura che inghiottisce lo ferro et cuocelo et consumalo dentro di suo stomaco. Et lo suo grasso ène buono a tutti coloro che avessero dogle in loro menbri. 63 Tr. 1.172 Tes. V.XXXVI.

64

|133d| Di tutte maniere di galli et di galline et di loro propietadi et di suo canto. [1] Ghallo ène uno ucello dimestico che tutto die stae cole persone. Et per sua bo-

ce dimostra l’ore del die et quelle dela notte, et lo mutamento delo tempo; bene sia vero che inverso la notte canti più alto et più orgoglosamente che inverso lo die, che inverso lo die canta elli più piano et più soave. Et quando elli vuole cantare imprima che elli canti elli si percuote se medesimo con esso le sue alie tre volte, et poi canta. [2] Ancora secundo diverse quadre si muovono diversi omori nelo corpo: lo sangue si muove nel cominciamento del die, la collera si muove nel meçço die, la malinconia si muove nel vespero, la freuma si muove la notte; et ciascuna quadra àne sei hore imperciò che secundo quattro quadre lo die naturale lo quale contiene in sé .xxiiij. hore. Lo gallo ène sollecito inverso a molte femine: ène animale distemperato et a confortalle canta secun|134a|do che mosso da questo omore, overo da quello lo quale si muove in lui secundo queste quattro diverse quadre. Inançi che canti si percuote cole sue alei per quella medesima cagione che l’uomo si protende le braccia, perciò che nel sonno si ragunano molte superfluitadi sotto le titella nele quali ène, in luogo là ove si smugne et scaccia colà le sue superfluitadi. Et perciò dipo lo sonno sì fanno quei protelamenti 102 di braccia, li quali si chiamano alites. Et in quello protendere le braccia si dividono et scacciansi quelle cotali superfluitadi; et in questo medesimo modo ène nele alie delo gallo che ançi che elli canti le distende, imperciò che quelle cotali superfluitadi impedimentirebbero la sonoritade dela boce. [3] Ancora imperciò che lo gallo et la gallina sono più dimestichi all’uomo che niuno altro animale, im-perciò sono intra sé più distinti. Ancora la gallina ène molto temperata in respetto del’uomo imperciò che ella non travagla lo calore naturale del’uomo che la man-gia. |134b| Ma tutti li altri animali sono igualmente così, lo maschio come la femina: o temperati o distemperati. Et imperciò fue intra lo gallo et la gallina magiore 102 Hapax rispetto al Corpus TLIO, vale ‘allungamenti’; per questo e altri lessemi del brano cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 1.

Page 53: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 317

diferença che intra tutti li altri animali. Ancora secundo lo detto delo Filosafo lo maschio chiama la gallina per canto et im boce quando vuole luxuriare; et imperciò che lo gallo àne molte femine convenne che elli avesse isvariata boce et imperciò manifestamente apare che ànno differença im boce. [4] Et questo gallo ène solamente quello ucello al mondo a ccui si traggono li cogloni et fassene capponi; li quali capponi sono molto buoni et molto sani per mangiare. [4a] Et voglo che voi sappiate che lo gallo ingrassa per lo castrare imperciò che in lui ène lo calore forte et aguto. Et perciò la materia del cibo che dee passare in grasseçça, sì la si consuma et dal fredo ène fatta la grasseçça; et perciò le femine sono più grasse che non sono li omini imperciò che sono più frigide. Adunqua per avere me|134c|no i testiculi si ritarda lo calore et acrescesi in fredo, et la frigiditade seguita poi in grasseçça. Et intendete che tutto lo contrario ène nel toro et nel verro et nelo montone, imperciò che in questi animali non ène lo calore così forte come nelo gallo, ançi sono di natura più freda, et imperciò lasciando loro li testiculi si fortificano dal calore et dal’umiditade et ingrassano; et così quando si castrano fanno lo contrario. [4b] Di state tutte galline chiocciano et fanno loro huova et loro pulcini a guardare 103. Et per lo perdere le loro penne tutte invecchiano et infermano tutte quante. Et imperciò dia eleggere lo signore che vuole tenere galline galline nere et ischifare le bianche; et dielo dare a mangiare orço meçço cotto acciò che elle facciano huova largamente. Et quando lo verno ène passato colui che vuole avere assai pulcini et tosto dia ponere le sue huova caffo et siano poste a luna crescente, ciò ène quando la luna ène novella infino li .xv. die. [5] Et a volere sapere |134d| che ène quella cosa che rompe lo guscio del’uovo secundo lo detto del Filosofo. Lo guscio del’uovo continuamente covando si sotigla tanto che poi si rompe, sì come fae nel’aceto se vi starae l’uovo nove die. Ancora ci àne un’altra cagione dala parte del pollo imperciò che quando li viene meno lo nutricamento dentro, rompe lo guscio ed escesene fuori. [6] Polli gallinacci tosto si disolvono ad usare di mangiare, generano buono sangue et confortano l’appetito. Et istimomi io che colui che usasse di mangiare de’ polli et dele galline che elli diventerebbe grasso et cessa via tutti omori di podraghe. Gallina giovane umida ène. Lo pollo gallinaccio istimo io che elli sia magiore pollo. [7] Lo suo cervello vale molto contra timore di celabro. Gallo overo gallina vecchia, se alcuno di loro cocerai in tre libre d’acqua et mettera’vi molto sale trito et cuoci tanto che tutta si parta dal’ossa, et lascera’la istare in quella acqua per una notte et quella acqua berai, riscalda et fae solvere |135a| lo ventre et vale contra coliga (a). Quando tue vorrai soprastare alcuno tuo nemico in alcuna cosa, tolli lo calcagno del gallo col piede dritto, et portalo teco, et nota che lo detto gallo dia essere nero. Et se lo calcagno del piede manco del gallo, beccando panico overo orço et none altro, et lo detto calcangno torrai sacretamente, sarai amato molto dala tua mogle. Et similemente sarae amata la mogle dalo suo marito. [8] Lo sangue del gallo, overo dela gallina, se sarae posto sopra alcuna ferita ristinge lo sangue; ancora vale contra lo sangue ched esce del naso, se sarae polveriççato, soffiato per le nare. Et nota che lo cervello dela gallina vale molto contra questo medesimo sangue. Et ancora vale

103 Il passo non rende bene Tr.(R) 1.173.2: et beent a ses oef et a sez poucins garder [MOR2V], ossia ‘badano a sorvegliare le loro uova e i loro pulcini’.

Page 54: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 318

molto contra morso di ragnolo, et simile cosa. Lo fiele dela gallina, se alcuno omo lo porrae sopra la sua verga et userae carnalemente cola sua mogliera, subitamente amerae molto l’uno l’altro. Et se tue lo porrai sopra alcuna macula fatta nelo corpo |135b| del’uomo, sarae curata la detta macchia, overo macula. Et se tue lo mescolerai con cepe 104 pesta et con grasso di gallina et farai unguento, cura ongne macula rossa, se di quello unguento l’ungerai. Et nota che rompe ancora ongne po-stema dura, se vi sarae posto suso a modo d’impiastro. Se la cresta del gallo secche-rai, et fara’ne polvare, et la detta polvare metterai in alcuna cosa che la mangi colui che piscia in letto, sarae curato da essa malitia. La gallina bianca, cotta con cipolle bianche, mangiata et bevuta la sua acqua, fae venire la volontade dela femina. [9] Lo sterco dela gallina, bevuto con osimello overo aceto, vale contra fungo che l’occide. Et se elli sarae bevuto con mele et acqua calida, vale contra coliga. Et se tue lo farai a modo d’unguento con mele et porra’lo ad alcuna ferita, cura la detta ferita che volesse venire im postema, la quale si chiama ingnis per[s]icus (b). Lo sterco dela gallina gialla et lo bianco del’uovo, et uno poco di gruogo, |135c| et lo sterco del’altra gallina, a fare unguento, cura ongne postema. [10] Lo grasso del gallo mescolato con quello dela tortole, se ne darai mangiare quanto .viij. dramme ad alcuna persona che senta di tigna, uccide la tigna. Lo sterco del gallo, trito in aceto et posto sopra l’alopitia, presta molta sanitade, se imprima sarae fregato lo luogo con panno et con cipolla, tanto che diventi rosso. La pelle dentro del ventriglo del gallo, trita finemente et mescolata con vino bianco, a mettere nel’orecchia di tale confeççione, saviamente reca l’udire. [11] Lo grasso dela gallina et lo suo fiele, se lo mescolerai insieme, vale contra dolore di matrice, se d’essa confettione sarae unta la detta matrice. Et nota che molto vale contra fessure di volto et contra dolore d’orecchie, et fae bellissima faccia se d’essa confettione sarae unta. Lo sangue dela gallina nera grande, mescolato col suo grasso, ad ungere la faccia caccia via ongni lordura di macchie et letigine di volto. |135d| Et maximamente se cci metterai lapis vacuus trito con baurac rubeo (baurac idest genus salsuginis), farae ritornare la faccia formosa et monda et fae rivenire lo colore netto et buono. Et se tue vuoli che la gallina imponga l’uova grandi, pesterai lo nastursio et mescolera’lo con cacabre 105 et vino et dara’lo loro beccare (cacchabre est genus vernicis). La piuma dela gallina, arsa, fattone pol-vare, quella polvare ristringe lo sangue. Et se ttue vuoli che lo gallo non canti per uno die et per una notte, polveriçça lo legno aloe cole frondi de’ gherofani et mesco-la con olio rosato, et ungi la cresta del gallo, non canterae per quello die né per quel-la notte. [12] Qui si ristae lo contio di parlare dela natura deli uccelli et di loro propie-tadi et diremo dela natura dele bestie; et primeramente diremo dela natura delo leo-ne, lo quale ène rege et signore di tutte l’altre bestie. 64 Tr. 1.173 Tes. V.XL (§§ 1, 4, 4b, 12); interp. F (§§ 2-3, 4a, 5-6); interp. M (§§ 7-11 [Ba 21]). (a) ms. coligā. (b) ms. pficus: cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘infiammazione cutanea’). 104 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘cipolla’). 105 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘sorta di vernice, resina del Callitris quadrivalvis’).

Page 55: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 319

65

|136a| Delo leone et come ène signore et rege di tutte l’altre bestie. [1] Leone ène chiamato in grecesco, che tanto vuole dire come rege i· nostro lin-

guagio. Che leone ène chiamato rege dele bestie, imperciò che, là dove lo leone gri-da, tutte le bestie fuggono dinançi da llui come se la morte le cacciasse; et là dove elli fae cerchio di sua coda nessuna bestia osa passare indi. [2] Et nonpertanto leoni sono di tre maniere. La prima maniera di leoni sono grigi et ànno lo crino crespo et sono sença battagla. La secunda maniera di leoni sono lunghi et grandi et ànno lo crino umile et sono di grande fiereçça et loro visaggio ène dimostra|136b|to per loro fronte et per loro coda, et la sua força ène nelo suo petto et nelo suo capo. La terça maniera di leoni sì ène ingenerata di una bestia, la quale bestia si chiama parde. Et tali leoni sono sença crino et sença nobileçça, et sono contiati infra le vile bestie. [3] Ma tutte maniere di leoni tengono li occhi aperti quando dormono, et dovunque elli vanno si cuoprono le loro pedate cola loro coda, perciò che li cacciatori non tro-vano la via unde elli sono andati. Et quando elli cacciano allora corrono et saltano leggiermente; ma quando sono cacciati non ànno veruno podere di corrire né di sal-tare. Et le loro unghie guardano in tale maniera che no· lle portano se none a river-scio. Et loro tempi sono conosciuti a loro denti. [4] Bene che lo leone sia dottato da tutti li animali del mondo, si teme elli lo bianco gallo et lo mutamento del carro et lo fuoco li fae grande paura; d’altra parte lo scarpione |136c| li fae grande male e sì llo fiere di sua coda et lo veneno delo serpente l’uccide. [5] Et Colui che non sofferio che veruna cosa fusse sança contrario volse bene che lo leone, ch’è orgogloso et forte sopr’ogni altro animale, per la sua grande fiereçça piegasse tutto die a queste cose che l’impacciano la sua crudeltade, dunde elli non àne alcuno podere unde elli si difenda. Ancora lo leone ène tutto tempo infermo tre die dela semana, unde elli menova molto suo orgoglo. Nonpertanto natura l’insegna a mangiare le signe 106 che lo guarisce di sua infermitade. [6] Et con tutto ciò sia lo leone di sì alto coraggio et di sì fiera natura, come lo contio àne divisato tutta volta, ama l’uomo fortemente et vo-lontieri istae con lui. Et non si corruccia giamai con l’uomo se l’uomo non si corruc-cia imprima con lui, ed ène molto pietoso. Che allora che elli ène più corrucciato et pieno d’ira et di male talento contra del’uomo, allora li perdona più tostamente se l’uomo |136d| si gitta in terra et mostrali sembianti di chiedere mercede. Et apena si corruccia giamai con femina; et li picciolini fanciulli giamai non toccarebbe se non per grandissima fame. [7] L’ordine di sua vita sì ène l’uno die di mangiare et l’altro die di bere, perciò che lo leone ène di sì grande pasto che spesse volte no· llo puote cuocere nelo stomaco, dunde la bocca li pute malvagiamente. Et quando elli vede che lo rimanente non puote cuocere dentro la sua forcella et falli danno, elli la prende incontanente coli suoi unghioni et trasela fuori di sua gorgia, acciò che no· llo danneggi sua persona. Et quando elli àne tanto mangiato che lo suo ventre ène bene pieno et lo cacciatore lo caccia, ed elli arende incontanente per sua bocca per potere essere più leggiero a meglo fuggire. Et così fae ispessamente per meglo mantenere sua sanitade che l’altro die non mangia niente. Et voglo che voi sappiate

106 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘scimmia’).

Page 56: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 320

che lo leone non tocca mai veruna bestia la quale sia morta uno |137a| die dinançi. [8] Ancora voglo che voi sappiate che lo leone giace cola leonessa riverscio, sì come lupo cerviere et camello et alifante et unicorno et tigris; et sie ingenera la leonessa cinque figluoli la prima portatura di suo ventre. Ma la fiereçça che li figluoli ànno in loro unghie et in loro denti et in tutto loro corpo peggiorano sì malamente la matrice di loro madre mentre che sono in suo ventre che al’altra portatura non puote portare più di quattro figluoli; et così la terça portatura ne porta tre, et la secunda portatura ne porta due, et l’altra portatura ne porta uno. Poscia non à mai più podere d’ingenerare più figluoli. [9] Et perciò si dice che per lo grande dolore ched ène in loro nascimento, li leoncelli sono sì isbalorditi che elli giacciono in terra, che non si sentono tre die come se elli fussero morti. Et quando viene in capo deli tre die, et loro padre viene et grida sopra di loro sì fortemente che li leoncelli si sveglano inmantenente |137b| et sono fatti vivi et levansi suso inmantenente. [10] Et volglo che voi sappiate che lo leone non àne veruno merollo nel’osso, imperciò che neli animali nei quali lo calore ène temperato si fae l’osso dela più grossa parte del nutricamento, et dele parti liquidi et sottili si fae la merolla la quale la natura conserva sì come uno thesauro, delo quale si nutrica l’osso in tempo di necessitade. Così non pott[e] (a) essere nelo leone per lo suo excellente calore, imperciò che lo forte caldo delo leone consuma le parti liquidi et sottili dele quali si doveva lo merollo ingenerare. [11] Ancora lo leone mette lo piede ritto inançi quando vuole combattere, imperciò che elli àne più forte virtù nelo piede ritto che elli non àne nel piede manco, et maggiormente gli aiuta. [12] Ancora lo leone ène animale ardito et assalisce animali suoi maggiori sì come ène lo toro et lo cavallo; et imperciò che l’assalire sì ène per |137c| virtù di petto et di collo, sì convenne che fusse lo petto et lo collo continuo insieme. Et imperciò Aristotile et Diascorde dicono che nelo collo delo leone non ène alcuna giontura se non ched ène uno continuo insieme. Et la sua carne sì ène calida ed ène sì come canina. [13] Et se alcuno omo s’ungerae le sue reni col grasso delo leone, non temerae alcuno lupo et etiandio non poteranno venire a llui. Ancora, se delo suo grasso ungerai intorno al circuito dele pecore, non poterae intrare né leoni né lupi a quella greggia, né etiandio veruno altro animale rapace. La sua carne a mangiare sì ène buona a’ paralitichi; imperciò che ella tardi si digeste, sì ène generativa torcimento di ventre. Et ongni carne d’animale rapace declinano a siccitade et sono generative di collere nere nelo corpo del’uomo. Peggiore di tutte sì ène quella delo lupo et d’ogni animale rapace, perciò che fae corrompi|137d|mento di molti malori. Et sì similemente ène quella del cane. [14] Lo sangue delo leone, se lo mescolerai con mele et sale, et porra’lo a modo d’unguento sopra lo cancro, uccide lo cancro et la fistula. Lo sterco delo leone, seccato et mescolato con acqua a modo d’unguento, ad ugnere, uccide ongne macula. Se alcuno berae delo sterco delo leone in vino, in misura d’uno denaio, et ungerassi colo suo grasso, lo quale ène caldo et secco, et con quello de algenuit, idest bovis amari, farae grande prode ad ogni postema. Et colui che ungerae lo suo corpo colo sterco delo leone sarae sicuro da ongne lupo. Lo suo grasso, mescolato con alcuna cosa trita, sì che vinca l’odore dele dette cose, se ungerai lo corpo del’uomo dele dette cose, non possono appressimare a llui lupi. Se colo suo grasso distrutto distillerai lo circhuito dele pecore, non viene ad esse pecore né a gregge nullo lupo né etiandio ancora nullo ani|138a|male rapace.

Page 57: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 321

Se delo suo grasso ungerai alcuno animale no· lli verranno adosso alcuna mosca. Lo suo dente canino, legato a collo del fanciullo, ançi ch’e denti mettano, sarae sicuro d’ogni dolore di denti in sua nativitade. Lo fiele delo leone cura itericia, dato bene con silio 107, ad pondus † da uic .ii. 108 † La sua milça, data a bere con vino puro, uc-cide ongni dolore di milça, la prima volta. Lo suo cervello, dato a mangiare, reduce a memoria. Lo suo cervello con olio liquefatto, ad ungere l’orecchie dolente, l’udire fa ritornare. Li suoi testiculi con rose triti, dati a bere et fatto sufumicatione, la stellire induce 109. 65 Tr. 1.174.1-8, Tes. V.XLI (§§ 1-2, 4-9); interp. F (§ 3, 10-12); interp. M (§§ 13-14 [Ba 24]). (a) ms. potto.

66

|138b| De anteleu, bestia fiera, et di suo corrimento et di sue corna. [1] Anteleu ène una bestia molto fiera, che veruno omo no· lla puote mai giongere

né prendere per veruno modo né ingegno. Et le sue corna sono grandi a maniera di quelle del toro et sono agute come una punta di lesina, et tagla et speçça tutto ciò che si parasse dinançi a llui. Ma elli aviene alcuna volta che elli vae a bere ad uno fiume lo quale si chiama Eufrate; et quando àne bevuto tanto quanto vuole ed elli ne viene ad uno macchione d’albuscelli lo quale ène impresso a quello fiume, li quali albu-scelli si crullano et piegano in diverse maniere sì che per la debileçça di loro no· lli puote taglare sì come fae li forti legni che si tengono bene. Et per la sua grande fie-reçça combatte con quelli albuscelli, li quali crede talgliare et mettere a terra sì come fae ali forti legni; allora elli inviluppa suo capo in quelli alboscelli in tale ma|138c|-niera che elli lo legano et tengono sì fortemente che elli non àne veruno podere che sia di potersi partire dali detti alboscelli. Allora comincia a gridare molto fortemente imperciò che elli si crede essere aitato et difeso et elli rimane preso et confuso in quelli alboscelli, imperciò che li cacciadori molte volte se ne prendono guardia delo suo gridare, che allora li corrono adosso inmantenente et sì llo uccidono. 66 Tr. 1.175, Tes. V.XLII.

67

Del’asino salvatico et deli dimestichi. [1] Asini sono di due maniere. La prima maniera d’a|138d|sini sì sono dimestichi.

La secunda maniera d’asini si sono salvatichi. Deli asini dimestichi non ci bisogna di mettere in contio, imperciò che elli non sono di nostra materia. Ma noi diremo del’a-sino salvatico, imperciò che di sua negligença et di sua paççia dice omo molti pro-verbi, li quali proverbi dànno molti asempli al’uomo di bene fare. [2] Questo asino 107 Cfr. 43.5 nota a silio. 108 Così nel ms.; Battelli, Segreti cit., p. 164 legge «ana unc. II». 109 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘rende gravida la donna sterile’).

Page 58: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 322

salvatico di cui noi parliamo ène molto diformato et àne una boce molto orribile a gridare, et non ragghia secundo li altri asini dimestichi. Et quando elli àne grande fame si ragghia di tanta força che tutto quanto si dirompe. [3] Ancora ène un’altra maniera d’asini salvatichi li quali truova l’uomo in Africa; et questi asini sono sì fieri in loro natura che omo no· lli puote mai dimesticare. Et sì non sofferrebbe lo maschio che la femina ragghiasse per nessuna maniera, imperciò che elli n’ène molto geloso. Et quando lo |139a| maschio vede che alcuno de’ suoi pulledrucci sia maschio incontanente li corre adosso et moççali li cogloni co’ suoi dente, se la ma-dre non se ne prende guardia incontanente di tenerlo celato saviamente, infino a tanto che elli sia grande et bene compressionato. [4] Et sappiate che questo asino sal-vatico l’uomo lo chiama onagre; et ciascuna ora delo die et ciascuna ora dela notte grida una volta sì che l’uomo puote bene conoscere l’ore del die et quelle dela notte, et sapere certanamente ala sua boce quando la notte ène aguale al die et quando non ène aguale. [5] Lo grasso del’asino dimestico, ad ungere le dogle, meraviglosamente fa pro. Lo latte asinino bollito con succhio d’erbagine, li cecchi 110 dele reni et dela vescica meraviglosamente sana; similemente fae quello dela capra. Se la femina s’ungerae di latte d’asina, di sopra lo bellico, quando avarae a fare colo suo marito, |139b| impregnerae incontanente, se l’userae più volte di fare. Lo fegato del’asino, posto al naso, isvegla li caduci. Lo fegato del’asino, arostito, mangiato, sana lo spasimo. 67 Tr. 1.176, Tes. V.XLIII (§§ 1, 3-4); interp. F (§ 2); interp. M (§ 5 [Ba 4]).

68

Deli buoi et di loro cinque maniere et di loro propiedati. [1] Buoi sono di cinque maniere. La prima maniera di buoi sono che nascono in

Asia et sono chiamati bonaco, imperciò che ànno crino come cavallo, et le sue corna sono molto grandi et volte intorno la testa; et veruno omo no· llo puote ferire se non suso le corna. Et quando alcuno |139c| cacciatore lo caccia, overo altra bestia rapace, elli isciogle lo suo ventre et gitta uno fiato per ladia parte di dietro sì puççolente et sì malvagio che elli arde et bruscia ciò che elli trova mentre che quella puçça vi basta. [2] La secunda maniera di buoi sono in India, li quali buoi non ànno se none uno cor-no et le loro unghie sono sode et ferme sì come sono sode quell[e] (a) delo cavallo. La terça maniera di buoi si nascono nela Magna, li quali sono molto grandi di corpo et sono buoi per someggiare et per portare vino 111 quando sono dimestichi cole per-

110 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘pustola, bubbone’). 111 L’indicazione dipende da una banalizzazione attestata nella famiglia delle versioni lunghe: cfr. Tr.(R) sont buens por somer et por vin porter [V; sont buef(s) MOV], e negli affini M3N; nell’edizione Beltrami (1.177.2) sono le corna del bue tedesco «bones por soner et por vin porter», in linea con la fonte, Isidoro di Siviglia, Etym. XII I 34: «Uri agrestes boves sunt in in Germania, habentes cornua in tantum protensa ut regiis mensis insigni capacitate ex eis geru-lae fiant», ripreso dal De bestiis, III XIX. Volgarizza bene il passo il Tes.(L4) c. 50r: hanno grande corna che ssono buone per sonare e per portare vino. Tes. V.XLIV si allontana par-

Page 59: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 323

sone. La quarta maniera di buoi sono chiamati bufali, li quali bufali dimorano nel fondo de’ grandi fiumi; et questi bufali vanno così per lo fondo del’acqua come li nostri buoi vanno per terra. La quinta maniera di buoi sono quelli li quali sono dime-stichi con noi. Et questi buoi coltano la terra, et sono dolci et pietosi et amano molto loro |139d| compagni teneramente et di buona fede, secundo che elli dimostrano al grido che elli fanno più volte quando perdono loro compagnone. [3] Et imperciò che elli sono profittevili a guadagno di terra, dia lo signore dela casa che vuole tenere buoi eleggere buoi giovani, li quali buoi abiano tutti li menbri grandi et quadrati et grandi orecchi, la fronte larga, crespi li occhi, † le ano † nere 112, corna nere non vol-te come luna, le nari aperte, et grande gorgia et per terra pendente infino ale ginoc-chie, largo petto et grande spalle, grandissimo ventre et lungo, le schiene dritte et piane, gambe dritte et dure et nerbose, picciole unghie, coda grande et bene pelosa et tutto lo spaçço 113 del corpo cor[to] (b) et spesso et di rosso colore. [4] La vacca dia essere molto alta et lunga et di grande corpo, la quale abia la fronte in alto, li occhi grandi et neri, belle corna et nere orecchie, pelosa gorgia, coda lunga, pic|140a|cio-le unghie, le gambe nere et corte. Et sia di tempo di tre anni perciò che d’allora infi-no li sei anni porta figli più profittevili che inançi né apresso. Di questa bestia dico-no li crecesci che se tue vuoli ingenerare bue maschio tu dei legare lo manco coglo-ne al toro quando giace cola vaccha; et se tue vorrai vaccha legherai lo dritto coglo-ne del toro. [5] Et voglo che voi sappiate che a mangiare del’erbe et dele frondi le vacche eleggono re et duca. Ancora le vacche ànno molto debile lo polmone, et perciò non possono bere a trarre l’alito né anco beveraggio grosso, et ànno altressì lo stomaco forte et perciò desiderano l’acqua chiara acciò che lo calore, che non si puote rifriggerare per alito, si rifriggeri per l’acqua. Ancora imperciò che lo molto cibamento delo suo nutricamento et lo molto beveraggio del’acqua chiara, la quale ène lubricativa 114, ciò ène disolutiva, aduopera che la |140b| fae molto stercoriçça-re (c). [6] Et voglo che voi sappiate che la carne delo toro ène sottile et ène nociva più che quella dela femina, se elli non fusse castrato. Lo fiele del toro, mescolato con mele, a fare sì come unguento, sana ulcera pessima. Lo fiele del toro mescolato con acqua coloquintide fresca, dato a bere ala femina che non puote parturire, tosto la

zialmente: «ha sì grande corna, che son buone per somare e per portare vino», mentre l’edizione Gaiter ha un «brutto strafalcione» (come lo definisce l’editore stesso che comunque promuove a testo la lezione): «ha sì grandi corpi, che son buoni per somari, e per portare vino». 112 La lezione del ms. le ano (o le ane: la -o è piuttosto disarticolata e potrebbe essere una e) è un probabile errore di traduzione del fr. levres ‘labbra’, mentre il fatto che gli occhi, e non la fronte, siano detti «crespi» (cfr. Palladio, De agricultura, IV XI 2: «latae frontis et crispae, la-cris oculisque nigrantibus», da cui l’edizione Beltrami del Tresor 1.177.3: «et front large et crespes, iauz et levres noires») dipende da una diversa interpretazione degli elementi lessicali del testo francese: cfr. Tr.(V): et le front large et crespes oils et levres noires [MOR2; et sont large R]. 113 lo spaçço dipende da una lezione della famiglia delle versioni lunghe: lespaus RV, les pans MO, les peux R2, laddove l’edizione Beltrami (1.177.3) legge «le poil» ‘il pelo’ in linea con la fonte Palladio, De agricultura, IV xi 2: «pilo totius corporis denso ac breui». 114 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘lassativo’).

Page 60: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 324

’nduce al parto. Li cogloni del toro, mangiati im polvare, fortemente accendono la luxuria. La rasura del corno del toro, con acqua, bevuto, et messo nela natura dela femina, ristringe incontanente lo fruxo del sangue dela mestrua. Et nota che lo corno dela vaccha ène forte come quello delo bue. Et voglo che voi sappiate che in veruno cuore non àne osso se none in quello delo bue et in quello delo cervio. Se fonderai uno poco di cera strutta sopra lo corno del bue, seguiterà te incontanente, sença alcu-na fadica. Nota che |140c| li buoi sì ànno lo male dele podraghe dunde elli si muoiono subitamente, et segno ène quando lo piede apostema; dunde se tue ungerai inconta-nente le corna con cera strutta, overo con olio caldo, sarae curata incontanente la detta infermitade. Se tue legherai lo bue che non sia mansueto con fune di lana, diventarae mansueto incontanente. [7] Et se tue vuoli che lo detto bue ne vada dritto ala casa tua, dirai nel’orecchia sua uno Pater Nostro tutto intero, salvo che se “libera nos a malo”. Et poi isputerai in terra et dirai in quella medesima orecchie queste pa-role: «Baldasar te teneat, Melchior te ligat, Caspar te minat; sic vere, gastalde, vade ad infernum; così veracemente ti comando che tue ne vadi deritto ala mia casa». [8] Se tue ungerai le radici d’alcuno alboro con fiele di vaccha, non apresseranno ad esso alboro alcuna formica. Lo calcagno dela vaccha, arso et cotto con mele, et dato a bere, cura la milça infiata. Lo |140d| suo dente et la gengìa arsa et fattone cénare, se la detta cénare fregherai a’ denti, mitiga lo dolore. L’unghie dela mano dela vaccha, arse, a dare a bere ala femina, con suo latte et con vino, fae venire incontanente mol-to latte. Lo calcagno delo bue, fattone polvare, mescolato con vino et con mele, dato a bere, uccide tutti li vermini del corpo. La cenere delo corno dela vacca, mescolato con aceto, se n’ungerai con esso alcuna morsura, sarae curata incontanente, sença al-cuno contrario. Et se tue ne metterai nele nare del naso, ristringe lo sangue. Ancora ad ongni morsura di bestia venenosa ponci suso inmantenente lo fiele del bue. Lo fiele dela vaccha nera, se ne ungerai li occhi debili a nuvile molto giova. Lo fiele delo bue, disoluto in aceto, posto in su la fistola, molto giova. [9] Nelo fiele delo bue àne una pietra la quale ène fatta in modo d’uno anello, che li filosafi la chiamano adkaron. Se di quella pietra trita ne metterai |141a| nele nari del naso, giova molto a debilitade di volto. Et se tue ne mescolerai con sugo di brettonica et mettera’ne nel naso, cura li caduci. Lo grasso del bue et la merolla del’osso dentro, a farne unguen-to, se ne ungerai li nerbi mossi dalo loro stato, mollifica molto. Se tue farai unguento delo sangue del bue et delo suo grasso, farae aprire ongne dura postema, se ve lo porrai suso caldo. Et nota che lo suo sangue caldo, ad ungere la postema, fae ma-turare; et lo suo grasso la fae aprire. Lo sterco delo bue, insoffiato nel naso, ristringe lo sangue. Lo sterco delo bue, fresco, a farne impiastro, guarisce lo male dele podraghe. Et se tue ivi terai uno poco d’aceto et mettera’lo nel naso, rimuove lo fruxo. Lo sterco delo bue, bevuto, overo fattone cristero, purga lo fruxo del ventre et le ’ntestina. Lo sterco delo bue, involto in alcuna fogla et iscaldato ala cenere calda, posto sopra le varice 115 giova molto. 68 Tr. 1.177, Tes. V.XLIV (§§ 1-4); interp. F (§ 5); interp. M (§§ 6-9 [Ba 8]). (a) ms. quello. (b) ms. cor|: cfr. Tr.(R) 1.177.3: bries et espois [MOR2V]. 115 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘dilatazione permanente di una vena’).

Page 61: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 325

(c) ms. stercoriccare: cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘defecare’).

69

|141b| Dela pecora et di sua simplicitade et di sua paura. [1] Pecora sì ène una bestia molto semplice et ène piena di pace et di paura. Et ri-

conosce bene suo figluolo infra l[a] (a) torma dele pecore al belare dela sua boce. [2] Pecore sono bestie di grande frutto et di grande utilitade: donano cascio et latte assai et carne per mangiare et lana per vestire et pelli per molto fornimento di coia-me. Et sì ène bene che lo segnore dela casa che vuole tenere pecore per sua utilitade sappia che pecore elli dia tenere per suo frutto dare. Dico che lo signore che vuole tenere pecore per loro frutto avere imprima dia eleggere montone alto et leggiero et giusto et di grande corpo, bene coverto di bianca lana et spessa. Longa coda et lon-ghi cogloni, lata fronte et di buono tempo perciò che elli puote ingenerare infino a li .viij. anni. [3] Ma molto dia l’uomo guardare a sua lana che secundo che ène taccata così ingenera figluoli taccati. Et imperciò di bianco mon|141c|tone puote bene nasce-re figli d’altro colore. Ma di montone nero non puote nascere bianco figluolo. [4] Di-cono molti che ala boce si puote conoscere lo montone nero dal bianco imperciò che lo montone nero dice «me» et lo bianco et li altri vaiati dicono «be». Et imperciò tu diei avere pecore grandi le quali abiano lana bianca et umida et gentile. Et dia essere di due anni infino in cinque anni, imperciò che neli sette anni non puote ingenerare figluoli. [5] Dunde Aristotile dice che se al tempo che le pecore ingenerano a monto-ne se la vorranno 116 verso settentrione contra levante overo in quella parte ingenera-no maschi. Et se la vorranno verso ostria ingenerano femine. [6] Ancora la pecora vae volontieri in turba acciò che elle si difendano meglo dali animali rapaci unde quantunque dilettevile pastura la pecora desideri et truovila tuttavia la lascia istare incontanente et seguita l’altre quando si muovono. |141d| Et a mangiare del’erbe et dele frondi le pecore eleggono duca et rege infra loro. [7] Ancora le pecore sono calde et umide secundo che dice lo Filosofo, perciò più tosto incorrono (b) in corrup-tione di polmone, et imperciò ispesse volte adiviene loro infermitade pestilentiale. Ancora secundo che dice lo filosofo li castrati non diventano mai podagri, et questo ène imperciò che non luxuriano et dunqua lo luxuriare ène cagione di podagre. [8] Carne di pecora sì ène più calda che non ène quella del porco, ma ella non ène così umida ed ène più calda che quella dela capra et più umida che quella delo bue et perciò ène più leggiera et meglo si cuoce ala forcella et dàe miglore nutricamento et fae lo ventre più molle che quella dela capra overo del bue, ma ella divaria suo nutricamento secundo lo tempo. Che tutti agnelli quando elli alattano sono malvagi ad mangiare imperciò che la loro carne sì ène viscosa et non si |142a| cuoce bene ala forcella et spetialmente ala forcella freda et ch’è piena di malvagi omori. Agnello d’uno anno sì ène buono a mangiare imperciò che la sua carne sì ène calida et umida et cuocesi leggiermente ala forcella, et ingenera assai sangue et dàe buono nutricamento. [9] Carne di montone giovano sì ène meno viscosa et meno umida, ma 116 Futuro di vollere ‘volgere’, forma tipicamente senese: cfr. Castellani, Grammatica cit., p. 357.

Page 62: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 326

ella ène più secca che quella delo angnello di latte o dela berbicie. Et perciò sì vale meglo a mangiare che se ella si cuoce bene ala forcella sì nutrica bene et assai et ingenera buono sangue et spetialmente quando elli sono castrati, che allora sono elli caldi et umidi temporalmente. Ed ène una carne più convenevole ala natura del’uomo che niuna altra carne che sia, ma che non sia di troppo grande tempo imperciò che ella perde la buona natura et lo buono nutricamento per la sua vecchieçça; ma tuttavia sono miglori che tutte altre bestie di grande tempo. 69 Tr. 1.178 (§§ 1-5), Tes. om.; interp. F (§§ 6-7); interp. M (§§ 8-9). (a) ms. lo. (b) ms. incorrono incorrono.

70

|142b| Delo becco et di sue propietadi. [1] Carne di becco a compressione di quella dela berbicie sì ène più freda. Et tutto

sia ciò che lo sangue che n’ène ingenerato sia più dilicato et più aguto, et perciò che la sua carne ène più secca et non se ne ingenerano né mica malvagi omori. Ma se elli ène castrato vale meglo, perciò che elli sono più temperati sì ssi cuocono meglo ala forcella del’uomo et ingenerano miglore sangue, ed ène la più temperata carne che l’uomo possa usare. Et imperciò la possono usare tutti coloro che si levano di mala-dia calda et secca, et che sono magri et che ànno fievole la forcella. [2] Et voglo che voi sappiate che tanto come elli alattano tanto vaglono meglo et meglo nutricano, et meno ànno di superfluitadi et vaglono meglo che non vaglono gli angnelli di latte. Tutto sia ciò che la berbicie sia più sana che non sia la capra, donde li capretti si nu-tricano, sì ène lo suo latte meno viscoso et meno |142c| grosso che quello dunde si nutricano li angnelli. Et voi dovete sapere che tutte bestie che alattano sì ànno la natura delo latte unde elli si nutricano. Et se ciò ène che lo becco sia giovane et deb-bia lasciare lo latte sì dàe assai di nutricamento, ma elli ène malvagio imperciò che elli ingenera sangue molto malinconico. Et imperciò Galieno non lodoe né mica né becco né capra giovano, imperciò che elli ingenerano malvagio sangue. [3] Et tutto sia ciò che la capra sia più sana carne che quella delo becco sì ène quello di latte mi-glore che la capretta. Et se lo becco sarae di grande tempo, di cotale carne non ne dia né mica persona mangiare imperciò che ella sì ène freda et secca et non fae neuno bene al corpo del’uomo et non puote fare. [4] Lo grasso del becco, intra grande et picciolo, se sarae mescolato con isterco di volpe et mescolato con olio rosado et fiele di gallina, se la femina ungerae la sua |142d| natura d’essa confettione, lo suo marito amerae più lei che veruna altra persona, similemente se lo marito s’ungerae la sua verga et avarae a fare con alcuna femina, farae quello medesimo. 70 Tr. Tes. om.; interp. F (§§ 1-3); interp. M (§ 4 [Ba 6]).

Page 63: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 327

71

Dela capra et di sue propietadi. [1] Capra sì ène freda et secca; et non si cuoce sì bene ala forcella come fae quel-

la dela pecora (a). Et imperciò che ella ène più secca sì àne meno di superfluitadi et nudrisce meno lo corpo. Et non ène buona ad usare a coloro che sono di freda natura o che caggiono volontieri in maladie frede. Ma ella ène buona ad usare a tutti |143a| coloro che sono di calda natura, overo che di calde maladie sono cagionevoli. Et co-loro che la voglono usare sì l’usino quando ella ène giovane et non né mica quando ella ène vecchia. Et voglo che voi sappiate che carne di capra vecchia non fae ve-runo prode alo corpo del’uomo. [2] Lo sterco dela capra mescolato con olio rosado, a fare sì come unguento, ad ungere lo capo di tale confettione genera mo[l]ti (b) ca-pelli. Et nota che lo sterco dela capra vuole essere arso et fattone cenere. Lo fiele de-la capra temperato con mele et poca mirra, ad ungere l’orecchia di tale confettione, ène somma medicina. Et nota che lo sufomicamento fatto delo cuoio dela capra isve-gla la litargia per troppo dormire. 71 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1); interp. M (§ 2 [Ba 11]). (a) ms. pe | pecora. (b) ms. moti.

72

|143b| Delo porco et di sue propietadi. [1] Porci sono di due maniere. La prima maniera di porci sì sono dimestichi li

quali noi usiamo di mangiare. La secunda maniera di porci sono porci salvati[ci], (a) li quali porci usano fuori ala campestra per boschi et per selve et per altri luogora salvatiche. Et vollio che voi sappiate che elli àne grande differença dal’una carne al’altra in mangiare et in savore di carne, imperciò che la carne del porco dimestico sì ène freda et umida più che niuna carne di bestia che sia. [2] Et la carne delo porco salvatico, quanto a compressione dela dimestica, sì ène calda et secca. Et la dimesti-ca quando l’uomo la mangia se ella si cuoce bene ala forcella si dàe buono nutrica-mento et fae lo ventre bene molle, imperciò che ella ène umida et viscosa. Ma voi dovete intendere che ella divaria in sua natura secundo lo tempo che l’uomo la tro-va |143c| sì come di porcelletto giovano di latte, et di quello che di magiore tempo et di quello che ène vecchio. La carne delo porcelletto giovano di latte sì ène più umida et più freda et viscosa d’altra carne. Et imperciò sì ssi corrompe più leggiermente et ingenerasene malvagi omori, et non la dee veruno omo usare se non se solamente coloro che ànno lo stomaco forte et sieno di compressione calda et secca, imperciò che ella dàe a lloro assai di nutricamento, et spetialmente quando ella si cuoce bene ala forcella. Ma coloro che ànno lo corpo d’umida natura et che l’ànno ripieno di malvagi omori sì ne debbono guardare tanto quanto elli possono, imperciò che ella acresce a lloro malvagi omori et fae venire al’uomo gotte neli piedi et nel’anche et dolore di fianco, et fae venire la pietra e pparalisia et altre maladie assai. [3] Li porci che sono di maggiore tempo si vaglono meglo et dànno maggiore nutricamento et

Page 64: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 328

ingene|143d|rano miglore sangue et in ogni cosa sono miglori, ma che elli sieno castrati et nutricati di granella. Et li porci che sono vecchi sono di malvagia natura, perciò li fae al’uomo mal usare, imperciò che elli ingenerano sangue malinconico. Et fanno venire febre cutidiana et quartana et altre assai sembrabili malattie. Et apresso ciò che noi v’avemo detto dela carne fresca del porco, sì diciamo che se ella ène salata d’uno die overo di due, dico che ella ène più sana imperciò che lo sale si amenda la sua malitia di ciò che ella ène viscosa. Et s’ella ène dimorata salata uno anno overo più o meno sì diviene calda et secca per la força del sale et ingenera malvagio sangue, ma ella dàe apetito di mangiare. Et voglo che voi sappiate che la carne fresca del porco sarebbe dritta di state ad mangiare se non fusse per l’erba che elli mangia, imperciò che ella ène freda et umida di sua natura, sì come voi avete |144a| udito dire di sopra. Et sappiate che carne di porco non dee l’uomo usare lungamente, imperciò che ella genera gotte et podraghe et altre infermitadi assai, sì come di sopra ène narrato. Et le miglori membra del porco et le più sane che l’uomo ne puote più usare si sono li piedi e-l grifo. [4] Lo grifo del porco, arso et fattone polvare, posta in luogo di bere, vale molto a coloro che sono scellerati. Et se lo detto osso dela bocca sarae posto a collo di colui che sente dela quartana, sarae libero dela detta infermitade. Li suoi testiculi, salati, siccati et polveriççati, dati a bere, vaglono contra la quartana, contra fremma di stomaco, contra frigiditate dela milça et molte altre cose. La sugna del porco liquefatta, se d’essa ungerai li tuoi piedi et passerai per alcuno luogo dove sia veneno, non sarai molestato da esso veneno. La sua carne cotta con comino et con sugna, data in bagno con acqua [vale] ala (a) milça et alo stomaco. 72 Tr. Tes. om.; interp. F (§§ 1-3); interp. M (§ 4 [Ba 32]). (a) ms. saluati. (b) ms. acqua ala.

73

|144b| Delo cervio che mai non ebbe caldo di febre et dele sue propietadi. [1] Cerbio ène una bestia salvatica che li antichi dicono che non ebbe caldo di fe-

bre; et perciò sono alcuna gente che mangiano di loro carne ongne die ançi man-giare, et sono sicuri di febre mentre che elli vivono. Et se lo cervio fusse morto d’u-no colpo solamente, elli àne uno osso al cuore lo quale osso vale molto in medicina, secundo che li medici dicono. [2] Ma se elli non morisse incontanente, elli ne vae ad una erba la quale erba àne nome dittamen, et prendela con sua bocca et mangiala in-contanente; et tanto tosto come elli l’àne mangiata sì ène sicuro di sua ferita et di suo veneno. Lo cervio medesimo ne insegna a conoscere la detta erba la quale àne nome dittamen. Quella virtude che Idio mise in quella erba trae le saette di loro corpo et guarisceli di loro piaghe et di loro veneno. [3] Bene che cerbi |144c| sieno natural-mente nemici de’ serpenti tutti li uccidono, et udirete come. Lo cerbio ne vae alo pertuso dove lo serpente dimora et si porta tutta sua bocca piena d’acqua, et gittala dentro lo pertuso dove lo serpente dimora. Et quando elli àne ciò fatto ed elli ritrae a ssé la detta acqua incontanente per lo spiramento di suo naso et di sua bocca. Et fae

Page 65: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 329

tanto che elli ne fae escire fuori per lo pertuso lo detto serpente et a suo malgrado; allora, quando lo serpente ène fuori di sua tana et lo cervio lo fiere inmantenente coi suoi piedi in tale maniera che elli l’uccide et poi se lo mangia. Et ciò fae lo cerbio perciò che quando elli vuole sua vecchieçça rinovare overo alcuna altra infermitade che elli abbia si mangia lo detto serpente. Et per paura delo veneno che àne lo ser-pente in suo corpo tantosto corre ad una fontana, et tanto ne bee di quella acqua che tutto diventa infiato. Et per tale maniera rimuta suo pelo et sue corna, et gitta via tutta sua vec|144d|chieçça. [4] Et imperciò vive lo cerbio lungamente secundo che lo grande Alisandro provoe, che fece prendere molti cerbi et a ciascuno (a) cervio fece mettere in suo collo uno cerchio d’oro et d’ariento, che poscia fuorono trovati vivi più di cento anni apresso. [5] Et quando li cerbi tengono l’orecchie chinate non odono bene; et quando le tengono in alto odono agutamente. Et quando passano per uno grande fiume, colui che vae dinançi tutta volta porta le corna adosso a colui che viene dietro, et in tale maniera si sostengono insieme che non si afaticano se non se molto poco. [6] Bene che lo cerbio maschio sia commosso di fiera luxuria quando lo tempo ène, nonpertanto la femina non concepe mai infino a tanto che una stella non ène levata, la quale istella àne nome Arturo. Et quando ène tempo di nascere e suoi figluoli ella se ne vae in luogo molto celato, et là dove vede lo bosco molto fondo et spesso, et ivi fae li suoi figli; |145a| et ivi insegna a lloro corrire et andare per valli et per montagne. [7] Loro andatura ène in questo modo: che quando elli sentono lo ro-more dei cani che cacciano, elli riççano loro andatura ad alto vento imperciò che lo loro odore non sia portato inverso li cani. Nonpertanto li cacciatori li tengono molte volte sì corti che no· lli lasciano partire da loro. Et quando lo cervio vede che elli non si puote partire sença mercato, elli si dispera incontanente, et non crede mai po-tere più fuggire; allora torna inmantenente adietro in quella parte dove elli sente li cacciatori et vienne a morire dinançi a lloro più leggiermente, et in tale maniera fini-sce sua vita. [8] Li cervi sono molto temorosi imperciò che sono malinconici. Et sì come la natura diede loro correnti piedi a fuggire le cose nocive, così diede loro grandi orecchi acciò che da lunga udendo le cose nocive possano fuggire. Ancora lo fumo o ène sottile o ène grosso od ène meç|145b|çano del vapore: adunqua delo fummo sottile che procede dalo stomaco si generano li peli, delo grosso le corna, delo meççano li denti. Donqua le corna vengono dalo grosso vapore et malinconico lo quale abonda molto ne’ cervi, et perciò crescono loro così le corna sì che elle gravano loro molto; et perciò la natura sentendosi gravata, con ciò sia cosa che sia sagace intanto che non è fine dela sua savieçça, lascia di reggere quelle corna. Et quando elle non sono più rette dala natura caggiono in terra, le quali corna nascondono li cervi acciò che altri trovandole non si adea dela loro debilitade, imperciò che lo cerbio, avenga che elli abbia grande cuore, sì ène animale molto temoroso; et sono a llui le corna in modo d’arme, et perciò teme molto che elli non si trovino l’arme sue, ciò sono le corna. Et imperciò che i cervi maschi sono difenditori dele femine et le corna sono loro arme, tutti li cervi maschi generalmente |145c| ànno corna, ma non tutte le femine. La cervia non àne corna per sue armadure, ma ella àne li piedi molto tostani a fugire le cose nocive. Ancora imperciò che li cervi sono malenconici non ànno merolla in loro osso la quale ène calda et umida et perciò ànno le corna sode. Et imperciò che lo cervio ène

Page 66: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 330

malenconico, lo suo sangue non si puote rapigliare 117 né costringere insieme, perciò che non v’ène aquositade perciò ch’è fredo et seccho. Altri dicono che lo sangue malinconico non si aprende perciò che elli non vi sono le fila 118, le quali fila, secun-do lo Filosofo, sono principio di rapiglamento 119, che le fila sono del sangue sottile bene digesto. Ma lo sangue malinconico ène grosso et non digesto, ciò ène non ismaltito 120. [9] Ancora lo cervio sì ène animale molto discreto et sane isceglere a ssé erbe molto convenenti ad sua natura; unde quando la cervia viene a parturire mangia la diagena 121. Et imperciò che àne lo cuore molto debile |145d| in calore, con ciò sia cosa che sia animale molto umido, isceglesi erbe convenevoli a cciò riparare; et per cagione di quelle erbe si genera al cuore osso medicinale. Ancora imperciò che nelo cervio ène lo cuore più malenconico et peggiore che neli altri animali, perciò la superfluitade sua, ciò ène quello osso, ène miglore di tutti li altri. [10] La sua carne sì ène calda et lieve. Lo suo grasso, ciò ène quello dela merolla, vale contra pulsatione et dolore d’anca et sprena, et anco ène buono ad ogni malore. Se delo suo grasso farai alcuna untione, fuggeranno li vermini. Se lo suo sangue mescolerai con olio et farai cristero, vale contra ulcera intestinorum et remuove lo fruxo antico. Et se lo berai con vino, vale contra veneno et contra saietta avenenata. Lo cervello del cervio mollifica la dura postema; et poscia postovi suso quello del vitello, lo cervello delo cervio et quello delo vitello mollifica la postema et apre la sua |146a| duritia. Se lo dente cavo empierai di sterco di cervio, rompe lo dente et tolle via lo dolore (b). Se farai fummo delo corno del cerbio, fuggeranno tutti li serpenti dela casa, imperciò che quello fummo ène contrario deli serpenti. Se farai fummo con pulico di corno di cervio et unghie di capra, fuggeranno alo loro luogo. Lo corno delo cervio, cotto in aceto, se lo fregherai ali denti, rimuove lo dolore et conforta le gengie. Et se tti laverai li denti con quello aceto, mondifica le gengie, et li denti raferma. Se lo berai arso ad pondus .i. aureo 122, ristringe lo fluxo del sangue che sia sança putridore et vale contra ulcera intestinorum, et alo fluxo del ventre antico. Et vale contra dolore di vescica et contra l’umiditade dela matrice, et vale contra l’enterriora dentro dal corpo. [11] Quando la femina non vuole ingravidare, imperciò che forse per aventura teme di non morire, overo teme per alcuna altra cagione, mangi l’osso delo cuore del cervo et non conceperà. Ancora a portare l’osso del cuore del cervio sopra, non lascia ingravidare. Similemente fae la pietra che si trova nel ventriglo, overo nela natura delo cuore del cerbio, se lo porterai sopra (c). [12] Lo corno delo cervio arso, se lo berai con mele, uccide tutti li vermini. La verga delo cervio, seccata, data a bere al’uomo che sia morso da vipera, molto vale. Ancora vale a dare a bere a colui lo 117 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘coagularsi [del sangue]’). 118 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘filamenti addensanti del sangue’). 119 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘coagulazione [del sangue]’). 120 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘purificato’). 121 Diagena è probabilmente una forma erronea: cfr. Bartolomeo Anglico, De rerum Proprie-tatibus, XVIII 29: «cervae difficiliter pariunt foetus suos [...] ideo comedit dracontium, ut fa-cilius a partu liberetur»; nel Thesaurus pauperum l’erba draguntea o serpentaria facilita il par-to delle donne: «Item draguntea herba, id est serpentaria, alligata inguinibus parturientis, sta-tim pariet» (XLVI 17). 122 Cfr. 29.3 nota a aureo.

Page 67: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 331

qua|146b|le patisce dolore d’urinare: in questo modo che tue la cuochi in acqua, et quella acqua darai a bere, rimuove lo dolore et lo vitio, et vale contra colica. Li cogloni delo cervio triti et polveriçati, dati a bere ali caduci, molto vale. Se li capelli delo capo caderanno, ungi lo capo di mirollo di cervio, rafermeranno li capelli incontanente. Carne di cervio et di daino sono due carni frede et secche. Ma io vi dico che quella delo daino ène uno poco più calda, ma tuttavia malvagiamente si cuocono amendue alo stomaco et ala forcella. Et si ingenerano sangue grosso et malinconico. [13] Ma sì come detto v’avemo del’altre carni, secundo lo tempo si divariano di loro natura di dare buono et malvagio nutricamento, imperciò che la carne delo cervio quando ella ène giovane sopra tutte le carni salvaggie vale meglo, et lo sangue che se ne ingenera sì ène più dilicato sangue che |146c| sia et àne meno di superfluitadi. Et tutto sia ciò che il cervio sia malinconico, quando elli sono gio-vani se sono castrati si vaglono assai meglo, et ène la carne più temperata; ma io vi dico che carne di cervio vecchio overo di grande tempo no· lla dia l’uomo usare, im-perciò che ella ène del tutto malvagia carne. 73 Tr. 1.183, Tes. V.XLIX (§§ 1-7); interp. F (§§ 8-9); interp. M (§§ 10-12 [Ba 14], 13). (a) ms. c | ciascuno. (b) Se lo dente ... via lo dolore sul marg. superiore, sopra la col. a. (c) Il contenuto del § 11 è in calce alla carta, a tutta pagina: Battelli, Segreti cit., p. 159 lo colloca alla fine del capitolo sul cervo.

74

De ciavrello et bicia 123. [1] Ciavrello et bicia sono una maniera di bestie di sì buona conoscença che da

longa parte conoscono li omini, et veggono incontanente se elli sono cacciatori o nno. Ancora conoscono bene le buone erbe |146d| et le rie solamente per vederle. Et tutto die vanno pascendo d’alto in alto. Et se lo lupo overo altra bestia lo fiere, incontanente corre ad una erba la quale àne nome dittamen; et se elli la trova sì lla tocca incontanente cole sue ferite, et incontanente che elli l’àne toccata sì ène guari-to di sue piaghe. [2] Et lo suo cervello secco, dato a bere, sana lo spasimo. 74 Tr. 1.182, Tes. V.XLVIII (§ 1); interp. M (§ 2).

75

Di castorno et dove dimora et dela propietade deli suoi cogloni. [1] Castorno sì ène una bestia la quale conversa al mare di Ponto; et perciò ène

chiamato come ponto 124, imperciò che alquanto somegla cane. [2] Et li suoi co-glo|147a|ni sono molto caldi et sono molto buoni in medicine, et imperciò lo segui- 123 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘capriolo’ e ‘femmina del capriolo’). 124 Così il ms., ma si fraintende Tr.(R) 1.181.1: est il apelle chiens pontho [de ponto OR2V; om. M].

Page 68: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 332

tano li cacciatori per avere li suoi cogloni. Ma natura che a tutti insegna l’apropiata natura sì llo fae sapere et conoscere perché li cacciatori lo seguitano; et quando elli s’avede che elli non puote iscampare dinançi li cani, elli medesimo si moçça incon-tanente coi suoi denti li suoi cogloni et gittali dinançi li cacciatori, acciò che elli no· llo seguit[an]o (a) poi più per quella cagione. Et per tale maniera ricovara suo corpo et sua vita per quella parte ched ène miglore di suo corpo. D’allora inançi, se l’uomo lo caccia, elli iscuopre inmantenente sue cosce et mostra che elli non àne cogloni; al-lora li cacciatori no· llo seguitano poi più et làsciallo andare via. [3] Et la polvare di suoi cogloni ène molto buona a fregare sotto la lingua a coloro che perdono subita-mente la favella, se imprima sarae tratto sangue |147b| dele due vene che sono sotto la lingua, et poi fregata la detta polvare. 75 Tr. 1.181, Tes. V.XLVII (§§ 1-2); interp. M (§ 3 [Ba 12]). (a) ms. seguito.

76

Delo cammello et di loro due maniere et di loro propietadi. [1] Camelli sono di due maniere. La prima maniera di cammelli sì ène una manie-

ra che sono in Ar[abi]a (a) et ànno due borçole in sula schiena. La secunda maniera di camelli sono in Barbaria, et non ànno più d’una borçola et sono molto forti, et li suoi piedi non possono essere guasti per camminare. Et li grandi camelli sono buoni per portare grande some; li altri camelli picciolini sono chiamati diomendrarie, et sono buoni |147c| per andare tosto et longamente. Ma li altri camelli sono nemici de’ ca-valli et molto peggiorano per asembiare cola femina, sì che si conviene avere grande studio a riscaldallo con drappi adpresso lo congiongnimento che elli àne fatto. [2] Et questo ène l’animale al mondo che meglo conosce sua [madre] che (b) niuno altro animale che sia, imperciò che mai no· lla vorrebbe toccare carnalmente secundo che fanno li altri animali. [3] Et sì vi dico che elli sofferano la sete bene tre die; et quando sono in acqua beono tanto come se elli avessero bevuto lo die dinançi et credono che li bisogna per li altri die che sono a venire. Et se l’acqua fusse chiara sì lla intorbi-dano coli piedi altrimenti non ne berebbero giamai. Et voglo che voi sappiate che li cammelli vivono cento anni in loro paese, ma lo mutamento del’aiera che elli fanno in altro paese li fae invecchiare et morire |147d| più tosto che elli non farebbero in loro paese. [4] Lo suo cervello, dato a bere, sana lo spasimo. 76 Tr. 1.180, Tes. V.XLVI (§§ 1-3); interp. M (§ 4 [Ba 9]). (a) ms. ara: cfr. Tr.(R) 1.180.1: qui sont arabiens [MOR2V]. (b) ms. sua che: cfr. Tr.(R) 1.180.2: que miels conoist sa mere [MOR2V].

Page 69: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 333

77

Delo cane, che nasce cieco, et di sue propietadi. [1] Cane nasce sença vedere et poscia ricovara sua veduta secundo l’ordine di sua

natura. Bene che cane ami più l’uomo che veruna bestia che sia generalmente, tutta-via non conosce elli istrane genti, se non coloro a cui abita intorno. Et sì intende be-ne suo nome et conosce bene suo maestro. [2] Et le sue piaghe guarisce cola sua lin-gua. Spesso bòmica suo pasto et poi lo rimangia. Et quando porta carne in bocca overo altra cosa et passa per alcuno fiu|148a|me, incontanente che vede l’ombra di quella cosa che tiene in bocca inmantenente lascia cadere quella cosa che tiene in bocca per quella ombra che vede nel’acqua, la quale ombra ène niente. Et così ispes-se volte perde quello che àne per quello che elli non àne. [3] Ora sappiate che de’ ca-ni et de’ lupi quando giacciono insieme sì nne nasce una maniera di cani molto fieri. Ma lo trafiero cane nasce di cane et di tigro, che sono sì fieri et aspri che ciò ène dritto diavolo. [4] Li altri cani dimestichi sono di molte maniere. Sono picciolini ca-netti brettongetti, li quali sono buoni ad guardare case. Et sono altri cani camusetti li quali sono buoni a guardare letta a donne et a damigelle. Questi cani sono ingenerati di picciolini padri et puoteli l’uomo nudrire di picciolina vivanda; et puotelo l’uomo tenere in uno picciolino pot 125, sì che sarebbe sì picciolino che sarebbe una meravi-gla a vedere. Et sì lli |148b| dia l’uomo ispesso tirare li orecchi imperciò che elli ne sono più belli quando li tirano inverso la terra. L’altra maniera di cani sono bracchi che per loro natura portano l’orecchie chinate inverso la terra; et sentono bene l’odo-re dele bestie salvatiche et deli ucelli per conoscimento di naso, perciò sono buoni in cacciagioni, chi in ciò si vuole dilettare. Et dieli l’uomo guardare di falso asembra-mento imperciò che elli non averebbe la conoscença del naso se non per lignaggio. Et perciò dice lo proverbio che cane caccia per natura. [5] Ancora sono altri cani li quali sono chiamati levrieri; et sono chiamati secuci, imperciò che seguitano la be-stia insino ala fine. Dunde elli v’àne di tali cani che ciò che aprendono da gioventu-dine sempre tengono. Sì che l’uno cane caccia bestia campestra, l’altro cane caccia cervio, l’altro cane caccia lontra et lepre, altri cani cacciano bestie le quali dimorano in acqua. Ancora sono cani |148c| li quali sono levrieri, li quali sono più acorti et più leggieri a correre et a prendere bestia che veruno altro cane che sia. Ancora sono una maniera di cani li quali cani sono chiamati mastini, che sono grandi et grossi et di buona forma, che cacciano orsi et porci cinghiali et lupi et tutte grandi bestie, et contra l’uomo si combatte sì fieramente. [6] Et perciò troviamo noi nel’antiche storie che uno re si fue preso per li suoi nemici con altra gente. E loro cani ragunarono grandissima multitudine d’altri cani et combattierono fortemente coli nemici di loro segnore, sì che elli li sconfissero a campo et ricolsero loro singnore et tutta loro gente. [7] Et sì non àne ancora grande tempo che in Campagna si ragunarono tutti li cani delo paese in uno luogo et combattierono sì fortemente insieme che ala fine non ne iscampoe se none uno solo: tutti li altri cani fuorono morti a campo dove combat-tierono insieme. Et ciò fecero per amore di |148d| loro signore; et sì nne racontia la storia che elli fuorono parecchie miglaia di cani. [8] Et imperciò che lo contio divisa

125 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘vaso, recipiente’).

Page 70: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 334

che lo cane ama più l’uomo che veruna altra bestia che sia al mondo, sì ve ne diremo alcuna bella storia di ciò che li nostri mastri ne racontiano in loro libri. Ora sappiate di vero che Iasael fue morto per mano deli suoi nemici; suo cane, vedendolo morto, non volse mai più mangiare: sì ssi morio. Lo re Lisemans sì fue messo in fuoco per lo peccato che fatto aveva; suo cane si gittoe nel fuoco con esso lui et arso, et morio con esso lui insieme. Ancora in Roma fue un altro cane, lo quale cane entroe im pre-gione con esso suo mastro; poi sì fue gittato quello mastro in canto in Tevare: lo suo cane si gittoe incontanente con esso lui nel’acqua et trasse lo suo segnore fuori del’acqua sano et salvo. Et queste cose et molte altre cose sono istate trovate che li cani ànno fatte per amore di loro segnore. [9] Et voglo che voi sappiate |149a| che li cani sono in continuo movimento di luxuriare, et imperciò che molto fanno quella operatione perciò incorrono im podraghe, perciò che li omori iscendono ale parti di sotto; adunqua lo luxuriare sì ène cagione di podraghe. Ancora, imperciò che li cani sono di calda natura più che niuna altra bestia che sia, et per loro calore quando s’asembrano insieme sì ssi rinfiamano sì fortemente insieme che elli s’aprendono in-sieme per lo grande calore ched ène in loro. Et di ciò vi potete voi leggiermente avedere quando elli sono presi; gittate del’acqua freda sopra di loro: elli si rafredde-ranno inmantenente et saranno ispicciati. Ancora sì ci àne un’altra ragione perché li cani s’apicciano insieme: che quando lo maschio discende sopra la femina suo membro s’atortigla in essa et non si puote sì tosto partire da essa, perciò che se elli discendesse deritto sì come elli monta, elli non si apicciarebbero tanto. Et ancora sì ci àne altre bestie |149b| che s’apicciano insieme sì come sono li lupi. [10] La carne del cane sì ène freda et secca. Lo dente canino, se lo terrai sopra, cura l’interici. Et etiandio non sarai latrato da cani se terrai sopra lo detto dente canino. Lo dente delo cane nero, se lo terrai nela tua palma, non ti latreranno li cani; et ancora vale contra li ladroni. La femina lo cui parto sarae grave, overo che nelo suo parturire la creatura sarae morta in corpo, se delo latte d’alcuna cagna, con poco mele et cènnamo eguale parte, a llei sarae dato a bere, lo suo parto sarae alleviato incontanente. Lo sterco delo cane rosso, se ungerai con esso alcuno lucignolo di bambagia nuova et porra’lo in alcuna cosa verde, et accendera’lo con gambis 126 puro, vederai presentemente tutta la casa piena di capita di cani. Lo fiele delo cane ucciso, dato a bere, alo spasi-mo incontanente sana. Se laverai lo capo col’orina del cane, non diventerae calvo. Et se ungerai con latte di cangna, do|149c|ve vuoli ungere, non lascia rimettere i peli. 77 Tr. 1.184, Tes. V.LI (§§ 1-8); interp. F (§ 9); interp. M (§ 10 [Ba 10]).

78

Delo camelione, che nasce in Asia. [1] Camelione sì ène una bestia la quale nasce in Asia; et àvene molte di queste

bestie. Et la sua faccia ène sembiante a lisadra, ma le sue gambe sono lunghe deritte et levate, l’unghie sono molto fiere et agute, la coda grande et ritonda et vane molto lentamente, la sua pelle ène dura come quella delo cocorello, li suoi occhi sono fieri 126 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘specie di canapa, Cannabis indica’).

Page 71: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 335

et cavati dentro la testa et no· lli muta niente et perciò non vede intraverso, ançi ri|149d|guarda tutto diritto dinançi. Et la sua natura sì ène di fiera maravigla che elli non mangia et non beve cosa di mondo, ançi vive d’aiera pura solamente che elli trae a sse per sua bocca. Et questa bestia ène una dele quattro animali di quelle che vivono di quattro alimenti. [2] Et lo suo colore ène tale che elli puote prendere colore di ciascuna cosa che elli vede, et di ciascuna cosa che elli tocca diviene d’altrettale colore chente colore ène quella cosa che elli tocca. Et puote piglare d’ogne colore che elli vuole se non se rosso o bianco, imperciò che questi due colori non puote piglare. Et sie vi dico che suo corpo sì ène sença carne et sança sangue, se none al cuore dove elli n’àne uno poco. Et uno picciolino ucello l’uccide. 78 Tr. 1.185, Tes. V.LII.

79

|150a| Delo cavallo et di suo conoscimento et di sue propietadi che sono in lui. [1] Cavallo sì ène una bestia di grande conoscimento; che ciò che tutto die istae

infra li omini, et àne alquanto di senno tanto che elli conosce bene suo signore. Et ispesso muta modo et costume quando muta signore. [2] Fiata la battagla, elli si con-forta et rallegrasi al suono dele trombe. Ed ène molto lieto quando elli àne vittoria; et ène molto dolente quando elli perde. Io vi dico im buona veritade che bene puote omo conoscere quando la battaglia dia essere vinta o nno alo sembiante che li cavalli fanno d’allegreçça overo di corruccio. Dunde sono molti cavalli che conoscono bene li nemici di loro mastri che mordono et feggono molto duramente. [3] Et tali cavalli sono che non portano mai altrui che loro signore, secundo che fece lo cavallo di Ju-lius Cesare. Et lo cavallo d’Alisandro lo quale ebbe nome Bucifalasso, |150b| che primeramente si lascioe domare et cavalcare com’una bestia semplice; ma poscia che Alisandro vi montoe suso non degnoe mai che altra persona lo toccasse per cavalcare. Et questo Bucifalasso aveva lo suo capo fatto come quello del toro et aveva molto fiero isguardo; et ancora aveva infra la fronte due borçoli fatti come due corna. [4] Et lo cavallo Clatanci, quando lo duca di Galistano suo signore fue morto ala battagla et lo re Antiocas vi montone suso per combattere contra li nemici, lo cavallo corse ala valle per lo monte et cadde in tale maniera che elli uccise sé et suo cavalcatore. [5] Et quando lo re de Stiches combatteo colo suo nemico corpo a corpo et fue morto ala battagla, et li nemici lo volieno ispoglare et moççagli la testa, lo suo cavallo lo difese et guardollo infino ala morte, et giamai non volse poscia mangiare né bere, ançi si lascioe morire. [6] Et questo sì ène cosa provata che molti cavalli che sono gittano fortemente |150c| le lagrime per la morte di loro segnore. [6a] Et ciò fece ora nuovamente lo cavallo di messere Desse, lo signore di Colle, quando lo vide im pregione che elli gittava le lagrime per li occhi come se elli fusse istato una anima batteççata. [6b] Et sì non ène veruna altra bestia che lo faccia. Cavalli maschi sono di lunga vita; che noi leggiamo d’uno cavallo che visse .lxx. anni, ma la femina non vi-ve lungamente. Et loro luxuria se l’uomo vuole la puote bene ristringere se l’uomo lo rovigna lo crino; ma nelo suo parto nasce alo puledruccio uno beneficio d’amore entro la fronte, ma la madre ne la traie incontanente coi suoi denti, perciò che ella

Page 72: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 336

non vuole che quella cosa venga a mano d’uomo. Et nonpertanto se l’uomo li li tra-esse, giamai la madre no· lli darebe suo latte. Sua natura ène tale che quando ène più sano e di miglore cuore tanto mette più suo naso et sua bocca sotto l’acqua |150d| quando beve. [7] Ancora dice l’uomo che elli àne in sé una cotale natura che se l’uomo lo tenesse cinque die sança bere et poi lo lasciasse andare im parte ove omo non vedesse acqua, sì ène questa cosa provata che se alcuno condotto andasse per di sotto a’ suoi piedi in questa forma, elli bradisce fortemente; et sì fiere tutti e quattro li suoi piedi in terra; et per quella maniera si puote l’uomo avedere che elli sì vae condotto d’acqua che vae per disotto la terra. Et voglo che voi sappiate che per questa maniera sono perdute molte castrila et cittadi, perciò che ànno tolto loro l’acqua li nemici di fuori, la quale acqua andava dentro nela terra. Et per questa cagione si perdeo la cittade di Fiesole, la quale cittade ène in su l’alta montagna presso ala cittade di Fiorença ad tre piccioline migla. [8] Nelo cavallo dia l’uomo guardare quattro cose secundo l’oppinione di molti antichi. La prima cosa che tue dei guardare nelo cavallo sì ène la sua forma. La secun|151a|da cosa che tue dei mirare nelo cavallo sì ène la sua belleçça. La terça cosa che tue dei mirare nelo cavallo sì ène la sua bontiade. La quarta cosa che tue dei mirare nelo cavallo sì ène lo suo colore. Nela forma delo cavallo dia l’uomo considerare che la sua carne et lo suo corpo sia bene forte et duro et fondato et che elli sia bene alto secundo sua força, le coste lunghe et piane, la groppa grande et ritonda, late coste et grande petto et sia molto aperto, tutto suo corpo taccato di nero et d’isposeté 127, li piedi secchi et bene cavati di sotto. Et questa ène la prima cosa che tue dei mirare dela sua forma. [9] Nela belleçça delo cavallo dia tu guardare che elli abbia picciolino capo et secco sì che lo cuoio sia bene tenente al’osso, l’orecchie corte et riççate in alto, grandi occhi et largo naso, la testa ritta alquanto sembiante a testa di montone, lo crino spesso, la coda bene velluta, l’unghie sode et ferme et bene ritonde. Et questa ène la |151b| secunda cosa che tu dia mirare nela sua belleçça. [10] Nela bontiade delo cavallo dia tu mirare che elli abbia ardito cuore, lieta andatura, li membri crollanti et tremolanti. Et questa sì ène la terça cosa che tue dei mirare dela sua bontiade. [11] Nelo colore delo cavallo dia tu mirare alo colore baio o ferrante pomelé 128 o nero o bianco o terimi 129 o vaio o d’altra mescolança, che poterai eleggere miglori et più avenevili. Et questa sì ène la quarta cosa che tue dia mirare alo colore delo cavallo, imperciò che elli ci àne cavalli di molte maniere. [12] La prima maniera di cavalli sono destrieri grandi per combattere. La secunda maniera di cavalli sono palafreni per portare l’uomo ad agio del corpo. La terça maniera di cavalli sono ronçini per portare some et altro arnese. La quarta maniera di cavalli sono muli li quali sono tratti d’asembramento d’asino et di cavallo. † Detti membri 130 † diei tu 127 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘ispessimento’). 128 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘chiazzato’). 129 Terimi, in luogo di cervin ‘cervino’, accolto nell’edizione Beltrami (1.186.10) e in linea con la fonte, De bestiis, III XXIII: «color est hic precipue exspectandus, badius, aureus, roseus, myrteus, cervinus, gilvus...», dipende da una lezione diffusa nella famiglia delle versioni lun-ghe: terim RV, terrin MO (e terrim N), ma cervi R2. 130 La modifica del giro della frase rispetto al Tresor (cfr. Tr.(R) 1.186.11: Et por ce qu’il i a chevals de pluseur manieres a ce que li uns sunt destrier grant por combatre, li autres sont

Page 73: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 337

eleggere lo più sano |151c| et lo miglore portante che t[u] (a) puoi; et diei eleggere cavallo a tuo modo che abbia le propietadi et le tacche che bisognano acciò che dia servire, perciò che l’uno conviene corrire, l’altro conviene bene ambiare et andare al passo overo fare altra cosa che allora natura richiede. [13] Ma generalmente guarda in tutti li cavalli che sue membra sieno bene ordinate et che l’uno risponda bene al’altro, et che elli abbia li occhi bene sani et tutte l’altre menbra con esso, et che elli sia di tale agio che non sia afollato 131 per troppa gioventudine. [14] Perciò che vitio et malitie di cavallo sono sença numero, dunde l’una malitia sì ène dentro dalo corpo delo cavallo, l’altra malitia ène di fuori, l’altra malitia aparisce, l’altra malitia istae celata, sì che elli non ène veruno cavallo che non abbia overo poche overo assai malitie. Ma io vi dico che coloro sono miglori che n’ànno meno. [15] Ancora vollio che |151d| voi sappiate che la cavalla ama molto lo suo figluolo, imperciò che elli ène animale nobile et intende conservatione dela specie a multiplicatione de-gl’individui, ciò ène a conservare la natura in genere deli cavalli et a moltiplicare quello et quel cavallo, per la qual cosa ella riceve lo (b) figluolo altrui et molto s’apressa ala natura del’uomo, imperciò che elli ène nato di quattro alimenti sì come l’uomo. Ancora ama lo figluolo, imperciò che ella lo porta per lungo tempo, et perciò l’ama molto. Ancora li cavalli ànno lo polmone molto forte et lo stomaco de-bile et molto fredo, et perciò la calore bene si rifrigera per l’alito; et non volontieri bee l’acqua freda chiara ma torbida. Et s’ella fusse chiara trapassarebbe per li pori delo stomaco, lo quale li cavalli ànno molto debile, et così di soperchio quella acqua li rifrigerebbe molto lo stomaco. Et perciò quando ène dato |152a| loro a bere, ançi che elli bevano, im prima intorbidano l’acqua col piede molto bene, overo che elli la muovono col capo et poi bevono; et in questo modo fanno acciò che ella non faccia loro nocimento. [16] Lo latte dela giomenta, bevendolo ispessamente, sana li caduci. L’unghie dela mula delo piede ritto denançi facendone fumigio, quello odore delo fummo fae fuggire tutti li topi dela casa, se lo detto fumigio sarae fatto nela casa. 79 Tr. 1.186, Tes. V.LIII (§§ 1-6, 6b, 8-14); interp. storica (§ 6a); interp. F (§ 7, 15); interp. M (§ 16 [Ba 13]). (a) ms. ti| (b) ms. lo | lo.

80

|152b| De alifante et di sua grandeçça et di sue propietadi. [1] Alifante ène la maggiore bestia che l’uomo sappia trovare al mondo. Et li suoi

denti sono d’avolio. Lo suo beccho ène chiamato provoste, che ène someglante delo serpente; et con quello becco prende tutta sua vivanda et mettesela im bocca. Ed ène

palefroi par chevaucier a ese dou cors, li autres sont roncin por some porter ou mul qui sont estrait d’assemblement de cheval et d’asne, dois tu estre bien sovenans de eslire le plus sain et le miels portant; un testo analogo in MOR2V) ha provocato l’introduzione di questi elemen-ti lessicali che mi restano incomprensibili. 131 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘irrequieto’ o ‘guastato, rovinato’).

Page 74: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 338

di sì grande força che elli rompe et speçça e mette a terra ciò che si li para denançi. [2] Et dicono li cremonesi che lo secundo imperadore Frederigo ne menoe in Cre-mona uno che li mandoe Prete Giovanni d’India, che lo videro ferire colo suo musel-lo 132 uno asino carico di grande soma, et ferilo sì fortemente con quello musello che lo mandoe entro in una casa con tutta la soma che elli aveva adosso. Bene che leo-fante sia così fiero come avete udito si diviene elli molto mansueto quando elli ène preso. Ma io vi dico che mai non intrerae in acqua per passare |152c| mare se lo ma-stro no li promette di rimenarlo adietro. [3] Et sì vi dico che l’uomo lo puote caval-care com’uno cavallo et menare qua et là dovunque lo vuole menare non con freno, ma con uno croceo di ferro. Et voglo che voi sappiate che elli ène sì forte per sua na-tura che l’uomo puote fare sopra di lui manganelle et trabocchi et torri di legname et castella di legname per combattere ciò che l’uomo vuole combattere. Et sì vanno in-sieme a maniera di cavalieri per combattere. Et combatterono contra Alisandro; ma Alisandro fece fare omini di rame pieni di fuoco ardente. In tale maniera, quando li alifanti li ferivano di loro muselli, ardevano sì fortemente che no· lli volevano mai poi più toccare. [4] Et voglo che voi sappiate che in loro sì àne grande senno secundo natura di bestie, che oservano la disciplina delo sole et dela luna come li omini. Et quando vanno grande turba insie|152d|me colui che àne più tempo di tutti li altri alifanti sì vae inançi per loro capitano; et colui che ène più presso di lui di tempo costringe li altri di dietro. Et quando elli sono in battagla non fanno male se non con uno deli denti et l’altro dente guardano a loro bisogno; et quando elli sono uniti in battagla elli si sforçano quando possono di guastarsi amendue li denti. [5] La natura delo leofante ène tale che la femina dinançi li .xiij. anni et lo maschio dinançi li .xv. anni non sanno che alcuna luxuria si sia. Et sono sì casti infra loro che mai non v’àe alcuna battagla per caso di femina: ciascuno di loro sì àne la sua femina a cui s’atiene tutto tempo che vive, in tale maniera che se la femina perde lo maschio, overo lo maschio perde la femina, giamai non giace con altro, ançi vanne tutto tempo soli per lo diserto mentre che vivono. [6] Imperciò che luxuria non ène in loro sì calda che |153a| ellino asemblano come fanno l’altre bestie, sì llo aviene come per amonestamento di natura che quelli compagni se ne vanno verso oriente presso al paradiso dilitiano, tanto che la femina trova una erba la quale àne nome mandragola et mangiane di quella erba in buona quantitade et tanto istringe poi suo marito che elli ne mangia con liei. Et incontanente che elli n’àne mangiata in buona quantitade riscalda la (a) volontade di ciascuno incontanente a luxuriare et giacciono in terra ri-versci insieme. Et ingenerano uno figluolo sença più; et questo non ène più d’una volta in tutto loro tempo. [7] Et fanno loro figluoli in acqua, et lo maschio lo guarda tutta volta per paura delo dragone lo quale ène loro nemico mortale per la volontade di loro sangue avere, imperciò che li alifanti ànno lo più fredo sangue che veruno altro animale |153b| che sia al mondo. [8] Et dicono coloro che li ànno veduti che quando l’alifante cade in terra elli non si puote mai levare per sua bontiade, imperciò che elli non àne nel ginocchio veruna giontura. Ma la natura che tutti li animali guarda sì llo insegna a gridare ad alta boce, sì che tutti li alifanti di quello paese tragono a quella boce, overo almeno .xij. alifanti; et tanto gridano insieme ad

132 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 2 (‘muso [dell’elefante], proboscide’).

Page 75: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 339

alta boce che elli lo rilevano suso, ma li picciolini alifantini fanno grande aiuto a rilevarlo suso da terra, imperciò che elli mettono sotto di lui loro muselli a grande força, et tanto fanno che elli l’ànno rilevato da terra. [9] Ancora l’alifante sì àne lo cervello molto secco et perciò ène la più malinconosa bestia che sia fuori del cervello. Ancora ène molto amaiestrevile sì come im portare li castelli del signore et simiglanti cose. Ancora l’alifante |153c| quando combatte mette lo piede deritto inançi, imperciò che elli àne più forte virtù nelo piede ritto che elli non àne nel manco. Ancora vi dico che l’oltofante ène di più lunga vita che non ène l’uomo. [10] La sua carne ène frigida, ponderosa et grassa abominabile. Et se tue la cocerai con acqua et sale et seme alie 133, sana la tossa antica. Et quando la cocerai in aceto con seme di sirole, se alcuna femina ne berae, allevia lo suo parto incontanente. Se colo suo fiele ungerai le nare delo naso, vale molto contra lo male caduco. Et se lo mescolerai con acqua sumac 134 idest anogodan et fogle triangulo 135, vale molto contra dolore dela milça. Lo grasso de lo leofante, se ne ungerai lo capo con esso [...] 136. Se farai fumigio di cuoio d’alifante, sì isvegla li litargici per troppo dormire. Aristotile dice: “Chiunque berae alie 137 (ciò ène osso d’alifante) ad pondus unius dramma trito, overo la sua rasura, bevuta con acqua di mentastro mon|153d|tano, ène buono a colui che imprima li tocca lo male dela lepra” 4.1.3. 138 Se delo sterco delo alifante sufumicherai la casa dove sieno pulci, tutte morranno incontanente. 80 Tr. 1.187, Tes. V.LIV (§§ 1-8); interp. F (§ 9); interp. M (§ 10 [Ba 1]). (a) riscaldala la.

81

Delo ricio et di sue spine et di sue propietadi. [1] Lo riccio sì ène una bestiola picciolina someglante al porcello. Ed ène tutto

ispinoso sì come granchi marini, et non puote essere toccato da nulla parte di suo corpo se non neli piedi. Et tutto s’inchusce nele sue ispine quando elli vuole. Et quando elli entra in alcuna vigna per mangiare del’uve elli ne mangia tante quanto ne |154a| vuole mangiare, poi si gratta l’uva coli piedi di dietro et tiensi con quelli di-nançi fortemente et fae cadere l’uve in terra quando vuole, et poi vi s’involle tutto dentro cole sue spine; et in tale maniera se ne porta l’uve inbroccate nele sue spine ala sua tana. Et la sua carne sì ène disolutiva molto et someglantemente secca. [2] Se dela sua carne berai con osimello, sì ène buona contro ydropisia carnosa et a vitio

133 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘osso d’elefante’ [?]). 134 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘decotto di sommaco [Rhus coriaria]’). 135 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘Pianta del genere Cyperus’). 136 Il testo è evidentemente lacunoso; Battelli, Segreti cit., p. 152 emenda tacitamente in «te ne ungerai», senza risolvere il problema. 137 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘osso d’elefante’). 138 Il numero (una glossa passata a testo?) potrebbe essere un rinvio a un luogo dell’opera ari-stotelica (o piuttosto pseudo-aristotelica) citata, che non sono in grado di specificare.

Page 76: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 340

d’ogni idropisia, et contra atrattione di nerbi et contra parlasino 139, et dolore di reni et contra fruxo d’omori di vescica. La sua milça, seccata al sole caldo, in su testo nuovo, vale sì come la sua carne. Lo riccio cotto, overo arostito, vale contra lepra et torta et contra dolore di reni. Et se tue ne farai impiastro, vale contra atrattione di nerbi, et contra dolore di corpo per ventositade. Lo riccio salato, se tue lo cocerai in acqua tanto che lo suo grasso ricolghi, se con esso grasso ungerai alcuno bacino et porra’lo |154b| nela casa dove sieno pulci, tutte le pulci dela casa v’anderanno dentro. [3] Le sue rene secche, se esse prenderai dramma .i., apre la dificultade del’orina. Et se tue lo cocerai in acqua con ceci neri, quella acqua a bere, si fae forte orinare. Ancora ène ottima contra ventositade di fanciulli, et contra coloro che pisciano nel letto. Lo cuoio delo riccio salvatico, arso et mescolato con cepe 140 li-quefatta, se ungerai con esso, cura l’alopitia. Se porrai la cenere delo riccio sopra alcuno fistolo, molto giova. Et nota che molto ène miglore lo marino. Lo suo sangue mescolato con mele, se lo gargariççerai con acqua calda, cessa via lo grosso incendimento dela gola. Lo suo sangue, quando l’ucciderai, se lo mescolerai con poco olio et ungerai lo corpo del’uomo che sia legato d’alcuna femina, sarai disfatto ongni legamento per uno mese. La sua carne posta a modo d’impiastro ala verga d’alcuna bestia, overo omo, che non possa pisciare, sì |154c| fae orinare incontanente. Lo riccio montano ène miglore che non ène lo dimestico, ed àne una spina in modo d’uno aco ed ène presso ala coda. 81 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1); interp. M (§§ 2-3 [Ba 35]).

82

Dela bellota, ciò ène donnola, et di sue propietadi. [1] Bellota, ciò ène donnola, sì ène una picciolina bestiuola, et ène poco più lunga

che topo. Et àne in sé una forte natura che ella prende li topi et le serpi. Et quando ella combatte con alcuna serpe venenosa incontanente ne vae molto ispesso alo fi-nocchio et tutto quanto lo morde per paura delo veneno dela serpe; et poi ritorna in-contanente a combattere cola detta serpe. [2] Bellote sono di due maniere. La prima ma|154d|niera di bellote sì ène che abitano in casa. La secunda maniera di bellote sì ène che abitano ala campestra. Et ciascuna di queste due maniere di bellote concepe per l’orecchie et parturisce per la bocca secundo quello che dicono alcuna gente che l’ànno veduto; altra gente dice che non è vero. [3] Ancora dicono molti che ella fae li suoi figli morti et dice alcuno omo che ella conosce alcuna erba che, ponendola loro adosso, incontanente li fae risuscitare et fagli rivenire viva; ma ciò non si sae bene la veritade. Ma come che elli sia ispesso rimuta li suoi figluoli d’uno luogo ad altro ac-ciò che veruna persona no· lli sappia trovare né di ciò non si fae ancora bene la veri-tade perché ella se lo fae. [4] Et se alcuna donnola morderae alcuna persona et lo luo-go delo morso diventerae di nero colore, se vuoli argomentare 141 incontanente lo 139 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘paralisi’). 140 Cfr. 64.8 nota a cepe. 141 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘medicare’).

Page 77: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 341

detto morso et |155a| lo detto dolore, la sua cura sì ène questa: farai impiastro ex aleie 142 et fogle di fica trito et comino (aleie ène osso d’alifante). Lo suo cervello, secco, istemperato con aceto, dato a bere, cura lo morbo caduco. Se delo suo sangue ungerai alcuna postema d’orecchie, sarae curata la detta postema per essa untura. Se arderai la donnola et fara’ne cénare, et quella cénare mescolerai con cera liquefatta et con olio di seme lino et fara’ne unguento, se delo detto unguento ungerai alcuna postema, sarae curata incontanente per lo detto unguento. [5] La polvare dela don-nola, insalata, data a bere vale contra lo morbo caduco. Lo suo sangue sì ène aper-tivo de’ porri; et vale molto contra la podraga, se tue lo mescolerai con aceto. La sua carne secca, data a bere, vale contra ongni morso d’animale et di vermini venenosi. Lo cuoio delo maschio, concio, se iscriverai in esso cuoio et porra’lo sopra ad alcu-no |155b| demoniaco overo incantato, sarae curato incontanente. Lo suo calcagno, ta-glato a llei viva, et posto sopra alcuna femina che tema d’impregnare, non impregne-rae giamai, mentre che esso terrae sopra. La cenere dela donnola arsa, posta sopra lo morso delo scarpione, molto vale. Et nota che elli ène ultimo rimedio. 82 Tr. 1.179, Tes. V.XLV (§§ 1-3); interp. M (§§ 4-5 [Ba 19]).

83

Dela formica et di sue propietadi. [1] Formica sì ène uno picciolino animale et picciolino vermicello, ma ella ène di

grande provedença perciò che ella si procaccia la state tutto ciò che a llei bisogna lo verno. Da questa formica potemo noi piglare verace exemplo che ella elegge |155c| grano et rifiuta orço, et conoscelo al’odore. Et tutto lo grano parte per meçço acciò che elli non metta al’umidore del verno. [1a] Et al’orço si lieva la lolla et similemente fae di tutte l’altre biade, acciò che elle nascano, et tutto ciò fae per campare sua vita. [2] Et si dicono coloro d’Itiopia che v’àe formiche in una ysola im presso di loro, le quali formiche che sono grandi come buoni canetti; le quali formiche cavano tutto die oro d’uno sabione coi loro piedi, et guardallo in tale maniera et sì fortemente che veruno omo che vi vada non ne puote avere niente se elli non si mette imprima ala morte. Ma coloro di quella contrada vi menano a pascere giomente le quali ànno polledri caricati di buoni gofani et mettonvi entro di quello oro in guisa di ripusticu-lo che elle credono che sia luogo di salveçça. |155d| Et quando viene la sera che legiermente sono bene pasciuti et caricate bene del’oro, lo mastro ne mena loro figluoli dal’altra parte del’acqua; et quando e polledri sono dal’altra parte del’acqua elli cominciano a fremitare et gridano fortemente. Et quando le giomente odono così fremitare loro figluoli dànnosi inmantenente per l’acqua et passano lo fiume et ven-gonne ai loro figluoli et vannone con esso loro, unde lo mastro che l’àne menate ène ricco incontanente. [3] Et disse Almusadar re del’Itiopia che elli vide tali formiche in armario che elle mangiavano ongne die una libra di carne. Et voglo che voi sappiate che in quella contrada ène lo sole caldissimo sì come fuoco. Et quando le formiche veggiono venire nuvile overo acqua, elle si fuggono incontanente ale case di quella 142 Cfr. 80.10 nota a alie.

Page 78: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 342

contrada; ma coloro di quelle contrade incontanente che elli le vegono venire si pongono al’en|156a|trata di loro usci li spiritelli acciò che elle non possano entrare indi. Mai poi da indi inançi non entrano per quello luogo dove sono istati posti li detti spiritelli, ançi fanno altrove altri forami unde elle possono entrare et uscire. [4] Ancora sì come dice lo Filosofo nelo libro «Di celo et mondo», la sustantia et la virtù et l’operatione ànno in sé ordine, imperciò che dela sustantia nasce la virtù et dela virtù procede l’operatione. Et imperciò che tra li altri animali annosi tre animali sono di più picciola virtù, imperciò che sono molto picciolini, dispone sì come sono le ape et ragnoli et formiche; et imperciò le conviene molto solicitare intorno alo lo-ro nutricamento et adoperare valentemente. Unde imperciò che la formica abita in terra e non puote, imperciò che ène picciolina, arapire li altri animali, conviene che ella si ricolga dele granella et ripongasele in luogo salvo se ella vuole vi|156b|vare. Et imperciò che nela formica segnoreggia le cose et la materia grave perciò abita in terra. [5] Ancora la formica vae et riviene per una medesima via et aduopera di notte quando li altri animali si riposano et non impedimentiscono nele loro vie. Et imperciò quando ène piena la luna questi cotali tre picciolini animali aduoperano molto, imperciò che allora meglo si possono et meglio trovano loro nutricamento. Ancora non ène lume sença calore, et questi animali sono molto frigidi et imperciò sono aiutati dalo lume dela luna, et ispetialmente ad luna piena. [6] Lo cuore delo speritello se sarae posto in alcuno luogo onde passino formiche, non faranno quello viaggio; et quelle formiche che fossero passate non torneranno indi. Et quando farai fummo dela radice dela coloquintida farai fuggire et morire tutte le formiche che sentono quello odore. Et se tue ungerai la radice d’alcuno alboro |156c| che sia malitiato di formiche, con fiele di bue, non vi apresseranno poi formiche. 83 Tr. 1.188, Tes. V. LV (§§ 1-2); interp. F (§ 1a, 3-5); interp. M (§ 6 [Ba 20]).

84

Delo lupo et di sue propietadi et di sua vita. [1] Lupo sì ène uno animale deli quali abondano più in Talia che in veruno altro

paese che sia; ma elli n’àe ancora in altre contrade assai. [1a] Lo lupo àne in sé di propie nature che elli ène nominato rapace, ciò ène rapitore dele cose altrui imperciò che elli vive solamente di preda. Et quando elli viene per intrare in alcuno luogo per furare si vae molto pianamente. Et se per isciagura fusse che elli facesse alcuno sen-tore col piede, elli si pren|156d|de inmantenente quello piede coi suoi denti et si lo morde sì fortemente che tutto se lo fae sanguinare. [1b] Et la sua força sì ène tutta nela sua bocca. Et dicono li pastori che elli vive alcuna volta di vento et alcuna volta vive di terra. Et quando lo tempo dela luxuria viene molti lupi si ragunano insieme intorno ala lupa; et la lupa si prende incontanente lo più laido lupo et lo più misero che sia infra tutti loro che giaccia con liei. Bene che in tutto l’anno li lupi non si agiongano più che .xij. volte none ingenerano elli mai se none del mese di maggio, et ciò ène quando lo tornare dela luna comincia. [1c] Et voglo che voi sappiate che lo lupo maschio non ingenera mai mentre che lo padre ène vivo. Né anco la lupa non

Page 79: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 343

ingenera mai mentre che la madre ène viva. Et questa ène la cagione perché de’ lupi sono meno che dele pecore: che la pecora non fae se none uno figluolo per anno overo due, lo più alto che ne |157a| possa fare. Et la lupa ne fae sì come cagnia. [1d] Et per guardia deli suoi lupicini non prende mai preda presso ala contrada dove li fae. [2] Et quando lo lupo vede l’uomo ançi che l’uomo veg[g]ia (a) lui, l’uomo perde in-contanente tutta sua boce et tutto suo vigore et non puote niente gridare. Et quando l’uomo vede imprima lo lupo che lo lupo veggia lui, lo lupo perde incontanente tutta sua fiereçça et non puote corrire sopra di lui. [3] Et non si ragunano mai insieme li lupi se non se per caso di luxuria, acciò che l’uno lupo non impedimentisca l’altro quando vanno per rapire. Ancora lo lupo teme molto lo fuoco imperciò che elli sae veracemente che lo fuoco diletta molto lo viso del’uomo. Ancora lo lupo teme molto lo bosco, con ciò sia cosa che la sua nequitia sia temorosa ad giognevisi, che crede che li albori siano omini quando fanno strepito quasi in aiuto del’uomo. Ancora quando lo lupo invecchia di|157b|venta molto grave et non ène bene aconcio a muovere a prendere preda. Onde non potendo liberamente corrire dipo la preda, apressasi ale castella et ale ville facendo non solamente nocimento a’ porci né a pecore, ma etiandio agl’uomini debili et a’ picciolini fanciulli. Et quando lo lupo grida di sua boce mettesi lo piede ritto in bocca per mostrare che elli sieno più lupi insieme. Ancora, quando lo lupo ène ferito d’alcuna ferita, tutti li lupi lo scacciano incontanente da loro et voglolosi tutto quanto rodere perché elli presumano che elli non possa più arapire come loro. [4] Et la sua carne sì ène frigida et fetida et grossa. Aristotile dice che grande odio ène intra li lupi et le pecore. Se alcuna femina piscerae sopra l’orina delo lupo non poterae concepere. La coda delo lupo apiccicata nel’entrata del’uscio dele pecore, overo de’ buoi, non poterae mangiare la sua cena mentre che ella vi starae. La mi[l]ça (b) delo |157c| lupo seccata et trita, se alcuno la berae con vino dolce, uno cucchiaio per volta, vale contra dolore dela milça, ad chiunque sarae di mala compressione, che in essa ène grande propietade alo dolore dela milça. Dice Grogit che la milça conforta ongni animale dolente dela milça. Et chi ne mangia, questa cosa ène provata, che quando l’avoltore si duole dela milça, elli prende uno grande ucello, et tutto se lo mangia per venire alo benificio dela milça. Et questo sane l’avoltore di natura, che incontanente ène curato di sua infermitade. [5] Li polmoni delo lupo, secchi et triti con capparo, cotti in latte, se alcuno ne prenderae che patisca dolore di plurito, molto vale. Lo capo delo lupo, posto ala torre deli colombi, non vi verrae veruno animale che noccia loro. Lo calcagno delo lupo, se sarae posto in capo dela mensa, t’incontrerai con altra persona che fegga di lancia 143, non ti poterae nuocere mentre che esso calcagno |157d| vi starae. Lo fiele delo lupo, mescolato con olio rosato, se ungerai con esso disopra da-le cigle, sarai amato dale femine, quando sarai dinançi da loro. Lo sterco delo lupo dato a bere con decottione di marrobio 144, molto vale contra dolore di fianco. Lo sterco delo lupo cotto in vino bianco, dato a bere, molto vale contra dolore di colica. Ancora lo cuore delo lupo, a sedervi suso, molto vale ad essa infermitade; anco sì

143 Così nel ms. Battelli, Segreti cit., p. 166, corregge (tacitamente) in «segga di lancia» e commenta: «Accosto. La Crusca cita un altro esempio cavato dall’Ariosto». 144 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘Pianta delle labiate, con proprietà officinali’).

Page 80: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 344

ène molto buono a cingere lo ventre del detto cuoio. La carne delo lupo, trita con poco di cepe 145 et confetta con mele, data ancora a coloro che patiscono dolore di colica, molto vale. [6] Nota che lo cuore delo lupo, parte bevuto et parte mangiato, molto vale contra morbo caduco; ancora ène molto buono se delo suo cuoio farai cintura et cingerai lo ventre. La carne delo lupo mangiata sana li fantastici. Lo testiculo delo lupo deritto, se alcuno lo triterae et mescolerallo con olio, et la femina for|158a|nicaria lo porrae in lana et porterallo ala vulva, remuove a llei incontanente lo desiderio del’uomo. Lo sangue delo lupo, mescolato con olio di noce, ad ungere l’orecchia sorda, saviamente reca l’udire. Lo dente canino et l’occhio delo lupo, se lo involgerai nelo suo cuoio et portera’lo teco, sarai avocato in ogni cosa, et sarai gratioso et ricco ad ongni gente. Lo dente canino delo lupo, se alcuno lo porterae sopra, non temerae lupi. L’occhio ritto delo lupo se lo porrai a collo delo fanciullo pauroso, cessa via ongni paura. Lo dente canino et lo cuoio et la coda delo lupo, sotterrata dinançi al’uscio dele pecore, non vi entreranno dentro né mosche né lupi. 84 Tr. 1.190.1-2, Tes. V.LVII (§§ 1, 1b, 1d, 2); interp. F (§§ 1a, 1c, 3); interp. M (§§ 4-6 [Ba 26]). (a) ms. uegia. (b) ms. miça.

85

|158b| Delo lupo cerviere et di sua veduta et di sua dimenticança. [1] Sono un’altra maniera di lupi li quali lupi si chiamano lupi cervieri, et altra

gente sono che li chiamano luberne che sono pomellati 146 di nero, taccati come lon-ça; ma d’ogni altra cosa sono someglanti a’ lupi. Et questo lupo sì ène di sì chiara veduta che elli trapassa li monti et li poggi per sua veduta. Et ène di sì dimentica memoria che là dove elli mangia suo pasto et guarda per aventura in alcuna altra parte, incontanente dimenticasi quello che àne inançi per mangiare, che in veruno modo non vi sae rivenire, ançi del tutto perde quello che àne inançi per mangiare. Et dicono coloro che li ànno veduti che nelo suo petto nasce una pietra picciolina la quale pietra si chiama liguire, la quale pietra sì ène di grande virtude; et ciò conosce bene la bestia medesima che l’àe nelo suo petto. Et secundo che dicono |158c| li omini elli cuopre l’orme di suo andare per una invidia di natura acciò che tale pietra non venga a mano di veru[n]o (a) omo. 85 Tr. 1.190.3, Tes. V.LVII. (a) ms. ueruo.

145 Cfr. 64.8 nota a cepe. 146 Cfr. 79.11 nota a pomelé.

Page 81: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 345

86

Dela volpe et di sua malitia et di sue propietadi. [1] Volpe sì ène una bestia molto malitiosa, et àne in sé una cotale natura che

quando ella àne grande fame ella si lorda tutta quanta di fango molle overo d’alcuna altra lordura che ella trova, et poi se ne vae in uno campo ala campestra et gittasi in terra per morta et cava fuori sua lingua et istae riverscia in terra sì come fosse morta; allora li corbi le vengono adosso incontanente |158d| pensando che ella sia morta, et quella allora apre sua bocca et in tale maniera pigla li corbi et sì li si mangia; et in tale maniera come voi avete udito si pasce tutto tempo di sua vita quando àne grande fame. Ancora la volpe àne un’altra natura in sé che giamai non vuole alcuna compa-gnia quando vae a piglare alcuna preda per suo mangiare. [2] Ancora la volpe aduo-pera molto volontieri di notte acciò che ella non sia impedimentita dali omini nelo suo andare, lo quale tempo la detta volpe sae di sua naturale industria. Ancora vanno di notte imperciò che in cotale tempo possono meglo ordinare l’ensidie (a) che in chiara luce. Ancora imperciò che elle rapiscono quelle cose che all’uomo sono ne-cessarie sì come sono le galline, et imperciò lo tempo dela notte si scelgono quando li omini si posano, lo quale tempo la detta volpe sì sae da sua naturale industria et in-gegnasi in quello cotale |159a| tempo rapire quando ella l’uomo non teme. [3] Ancora in questi animali rapaci ène la virtù forte. Et imperciò che conviene essere proportio-ne, ciò ène contemperança, tra l’agente e-l patiente, ciò ène tra quelli che aduopera et la cosa in che elli aduopera, conviene che li animali rapaci avessero nutricamento cibo grosso sì come carne cruda o ciò che dal’operatione dela loro forte virtude si smaltisca. Ancora la volpe non vae mai insieme con lupo a rapire, acciò che l’uno non impedimentisca l’altro in loro andare. [4] Sua carne sì ène calda et viscosa, vitu-perevile nutrimento; salvo che in autu[n]no (b) ène miglore. Li suoi polmoni secchi et cribellati sono buoni a dare a bere con acqua frigida a coloro che sono isciti fuori di loro memoria. Lo sterco dela volpe mescolato con olio rosato, se alcuno ungerae la sua verga d’essa confeççione, giova molto a colui che non puote avere usança |159b| di femina. Li cogloni dela volpe, mangiati molto, muovono la luxuria. (c) Lo cervello dela volpe, dandolo ali garçoni ispessamente, no· lli lascia infermare di morbo ca-duco. Lo polmone dela volpe, tritato et bevuto, vale ad ogni strettura di petto. 86 Tr. Tes. om.; interp. F (§§ 1-3); interp. M (§ 4 [Ba 40]). (a) ms. ensidiie. (b) ms. auturno. (c) li cogloni ... la luxuria scritto in calce, al di sotto della prima colonna.

87

Dela lepre et di sue propietadi. [1] Lepore sì ène uno animale molto temoroso et pauroso, et sua carne sì ène sec-

cha; et più di niuna altra carne che sia, sì genera malanconia. Ma tuttavia vale ella meglo ad usare che quella di beccho, overo di capra. Di cotale carne si debono guar-dare tutti coloro che ànno la compressione secca et magra imperciò che ella nutrica

Page 82: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 346

poco et fae malva|159c|gi omori. [2] Lo suo sangue genera sangue grosso et genera collere nere, desicca et non sutigla, vale contra dolore di vescica. Et istringe lo fluxo del sangue, et vale contra dolore dele intestine. La sua carne, mangiata arostita in forno, im padella, molto vale ale dette cose. Se tue ungerai le macchie nere, ombro-se, colo suo sangue, manda via le dette macchie. [3] Lo capo dela lepre, arso, trito et mescolato con aceto, se ungerai con esso l’alopitia, molto vale. Lo suo capo arostito e-l cervello, se alcuno ne mangerae, vale molto contra tremore che viene per frigidi-tade. La milça dela lepre, seccata, se alcuno ne mangerae ad pondu unius dramma, giova molto a dolore dela milça. Lo sterco dela lepre, liquefatto sopra alcuna femina, non conceperae mentre che lo terrae. Et se alcuno poco ne porrai ala vulva fae rive-nire la mestrua et desicca la matrice. [4] Colui che sente dolore di denti, se por|159d|rae li denti dela lepre a’ denti dolenti, farae cessare via lo dolore. La lepre arsa in testi di terra, conforta molto tutti coloro che patiscono dolore di pietra generata nele reni. Se la femina berae lo suo coagulum tre dì dipo la sua purgatione, aiuta a concepere. Lo suo fiele mescolato con mele bianco, vale contra l’albugine deli occhi. Nota che la matrice dela lepre, seccata et data a bere ala femina nel’uscita del bagno, con vino caldo et moscado, se userae colo suo marito, sença dubio impregnerae. 87 Tr. Tes. om.; interp. F (§ 1); interp. M (§§ 2-4 [Ba 25]).

88

Dela lucrota et di sue fatteççe et di sue leggereççe. [1] Lucrota sì ène una bestia nele parti d’India che di |160a| leggiereçça passa tutti

li animali del mondo; ed ène grande come uno buono asino. Et le sue groppe sono fatte come quelle del cervio, lo suo petto et le sue gambe sono fatte come quelle delo leone, lo suo capo ène fatto come quello delo cavallo, la boccha grande infino al’orecchie, li suoi denti sono tutti insieme a maniera d’uno osso solamente, li suoi piedi sono fatti a maniera di quelli delo bue. 88 Tr. 1.191, Tes. V.LVIII.

89

Di manticuore et di sua fatteçça. [1] Manticuore ène una bestia la quale istae in quelle medesime parti d’India. Et

la sua faccia ène fatta come quella |160b| del’uomo, colore di sangue, occhi gialli, corpo come di leone, coda come di scorpione. Et corre sì fortemente che veruna bestia le puote iscampare dinançi. Et sopra tutte vivande che questa bestia ami di mangiare sì ène la carne del’uomo. Et giacciono in tale maniera, quando di sotto et quando di sopra. 89 Tr. 1.192, Tes. V.LIX.

Page 83: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 347

90

De la pantera et di sua natura et di sue fatteççe. [1] Pantera sì ène una bestia la quale ène molto bella; et ène tutta taccata di pic-

ciolini cerchietti di bianco et di nero sì come picciolini oc|160c|chi, ed ène molto amata da tutti li animali fuori che dalo dragone. Et la sua natura ène in tale maniera che ella esce fuori di sua spelonca et apre sua bocca et grida fortemente et di sua boccha esce sì grandissimo odore et sì dolce et sì soave che tutte le bestie che sono in quella contrada si traggono a llei per pascersi di quello odore, salvo che lo dra-gone, che per quello odore si fugge et vassene via et ficcasi neli pertusi sotterra, per la paura che elli àne di morire imperciò che elli sae bene che morire li converrebbe se elli andasse a llei. Et quando le bestie sono tutte ragunate a llei ed ella si prende di quelle che più le piacciono et pascesene molto bene. Et quando ène così bene pa-sciuta ed ella si ritorna in sua spelonca et ponesi a dormire et dorme tre dì. Et quando àne dormito tre die ed ella si leva suso ed esce fuori di sua spelonca ed apre sua |160d| boccha et grida fortemente sì come àne fatto di prima, et prende sua vivanda et poi ritorna in sua spelonca et dorme tre die; et in tale maniera come avete udito dire si notrica tutto tempo di sua vita. [2] Et voglo che voi sappiate che la pantera non porta figluoli in tutto tempo di sua vita più d’una volta. Et udirete come et per questa guisa ène. Quando e figluoli sono cresciuti nel ventre dela madre loro non voglono sofferire insino al tempo di loro nascimento, ançi isforçano natura et speççano con loro unghie tutte l’enteralie 147 dentro di loro madre ed esconne fuori a fine força, in tale maniera che loro madre non àne mai più podere d’ingenerare figluoli per semença di maschio et perciò sono così poche di queste pantere. [3] Et la sua propietade ène tale che quando ella prende alcuno veneno, incontanente prende lo sterco del’uomo et mangialo, in via di medicina, acciò che si purghi |161a| lo ventre. Et similemente fae la lepre. Et nota che lo sterco del’uomo sì ène caldo et seccho et ène lassativo. 90 Tr. 1.193, Tes. V.LX (§§ 1-2); interp. M (§ 3 [Ba 29]).

91

Di paraulda che nasce in Tiopia et di sue fatteççe. [1] Paraulda ène una bestia la quale nasce in Tiopia ed ène grande come uno bue;

et lo suo capo et le sue corna sì ène fatto come quello (a) delo cervio et àne colore sì come d’oro. Ma coloro di Tiopia dicono che ella muta colore per paura secundo la tinta dela cosa che l’ène più presso. Et nota che questo medesimo fanno i polpi in mare et lo camelione in terra. [2] La sua carne, a mangiare, letifica lo ventre. Et |161b| quando tue la gittassi in acqua che ella morisse, et tollessi di quella acqua et gittas-sine nela tua casa, temeranno tutti coloro che saranno nela detta casa.

147 Cfr. 19.4 nota a enteralie.

Page 84: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 348

91 Tr. 1.194, Tes. V.LXI (§ 1); interp. M (§ 2 [Ba 30]). (a) ms. quello, con -o da e.

92

Dela scimia et di suo contrafacimento et di sue propietadi. [1] La scimia sì ène uno animale molto nuovo; et ène di cotale natura che ella

contrafae volontieri ciò che ella vede fare altrui. Et molto si rallegra ala nuova luna; et quando ène piena si dolora et torba fortemente et àne grande malanconia. [2] Ancora la scimia sì fae due figluoli ad una volta; et l’uno di questi due fi-gluoli |161c| ama molto teneramente et tutto die lo tiene im braccio et fanne grande allegreçça di lui. L’altro figluolo odia tanto fortemente, che ançi le stae tutto die ataccato adosso dietro ale reni. Et di questo l’adiviene così che vengo[n]o (a) li cac-ciatori per lo bosco per piglare lei et li suoi figluoli. Questa quando vede venire li cacciatori per lo bosco, incontanente prende questi due suoi figluoli et brigasi di campare con essi dinançi li cacciatori, in tale maniera che ella si reca intra le braccia quello figluolo che ella più ama. Et l’altro figluolo che ella non ama cotanto sì ssi gitta dietro intra le reni et poi incontanente si dàe a fuggire per entro lo bosco, et tanto fugge in tale maniera che lo cacciatore la sopragiongne malordinemente, sì che ella non puote campare con due figli in veruna maniera. Et quando ella vede che ella non puote campare in veruna manie|161d|ra coli due figluoli, incontanente si lascia cadere quello figluolo lo quale àne im braccio, ciò ène quello lo quale àne cotanto amato, et brigasi di fuggire con tutti e quattro li piedi dinançi li cacciatori, in tale maniera che elli conviene che ella perda quello figlolo quale àne tanto amato; et quello figluolo lo quale ella non avia amato niente conviene che campi per viva necessitade, imperciò che elli se le ataccha sì fortemente adosso come se elli vi fosse legato con funi. [3] Ancora li cacciatori conoscono bene sì come ella contrafae volontieri ciò che ella vede fare ad altrui. Et imperciò elli ne vanno in quello luogo ove elli sanno che ella usi ali albori et piglano li calçari et cominciansi a calçare a piede del’alboro, et poi si legano ala gamba istrettamente li calçari; et quando elli ànno così fatto ed elli sì li sciolgono et tragonsi li calçari et lascialli istare a piede del’alboro dove la scimia ène, et poi si par|162a|tono incontanente et vannosene ad aguattare in alcuno cantone del bosco apresso dove ànno lasciato li calçari. Et ène molte volte che la scimia istae a vedere ciò che li cacciatori fanno, allora la scimia guarda et non vede li cacciatori in veruno luogo del bosco; allora discende inmantenente di quello alboro dove ène salita et vassene pianamente a quelli calçari li quali li cacciatori ànno lasciati a piede del’alboro, et mettesi quelli calçari im piede et poi sì li lega istrettamente ali piedi sì come vide fare a quelli cacciatori. Et quando lo cacciatore che stae ala guardia vede che la scimia ène calçata così istrettamente, incontanente esce fuori dela guardia per prendere la scimia coli calçari im piede. Et quando la scimia vede venire lo cacciatore per volerla piglare, incontanente si mette a fuggire per lo cammino tanto quanto ne puote andare; ma ella non puote fugire niente per li calçari che àne le|162b|gati im piede così strettamente, sì che conviene che per viva força lo cacciatore la prenda et per tale maniera non puote fugire

Page 85: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 349

dinançi da lui. [4] La sua carne sì ène frigida et aspera, generativa pessimi omori. Lo suo cuore, arrostito et seccato, a bere ad pondus dramme 3 con melluento antico, corrobora lo cuore et fallo essere grande et fallo bene udire et argomenta 148 l’udito, et dàe intelletto, et vale contra lo male da cadere. Et se lo suo cuore porrai a capo d’alcuno che dorma, vederae in sogno molti ucelli salvatichi percuotere insieme. 92 Tr. 1.195, Tes. V.LXII (§§ 1-2); interp. F (§ 3); interp. M (§ 4 [Ba 37]). (a) ms. uengolo.

93

|162c| Delo tigro che nasce nele parti d’Artania. [1] Tigro ène una bestia la quale nasce nele parti d’Artania, et in veruno altro

luogo non àne più. Et ène interamente tutto taccato di variate tacche. Et sença fallo elli ène una dele più correnti bestie che sia al mondo. Ed ène di sì grande força che elli non ène alcuno omo che sia tanto ardito che elli s’ardisca a volerlo piglare né a volerlo incontrare. Et se alcuno omo mi dimandasse per che li tigri sono presi per li omini, io direi che elli sono presi per tale maniera come di sotto voi udirete dire. Ora sappiate di vero che li tigri si dilettano molto di mirare nelo specchio; et quando viene lo tempo che lo tigro àne li suoi figluoli elli si dilunga dala sua spelonca per procacciare vivanda ali suoi catelli; allora si mette lo cacciatore a rischio di morte per potere furare li suoi |162d| figluoli, et incontanente se ne vae ala tana delo tigro et pigla li suoi figluoli, et vassene via con essi. Et quando lo tigro torna ala tana trova suo letto votio di suoi figluoli, incontanente entra nela traccia delo cacciatore che li suoi figluoli ne porta via. Et quando lo cacciatore lo vede venire inverso di lui teme molto dela sua crudeltade: elli sae bene che fuggire di cavallo né d’altra cosa no· lli varrebbe niente; allora lo cacciatore gitta incontanente in terra per la via donde ve n’àe molti ispecchi belli et rilucenti l’uno inançi l’altro. Et quando lo tigro giongne alo primo specchio comincia a mirare fortemente in quello ispecchio et vede sua imagine in questo specchio, crede che sieno li suoi figluoli, allora si torna ora inançi ora indietro; poscia ne vae più inançi tanto che elli trova l’altro ispecchio, et per la pietade che àne di suoi |163a| figluoli, che crede che sieno dessi, tanto riguarda l’uno specchio et l’altro che non seguisce lo cacciatore che ne porta via li suoi figli. Laon-de lo cacciatore se ne vae sano et salvo ad sua magione. 93 Tr. 1.196, Tes. V.LXIII.

94

Dela talpa che non vede lume et di sue propietadi. [1] Talpa ène una picciolina bestiuola la quale istane tutto tempo sotterra et àne le

sue cervella in diverse parti et mangia terra et vive quando ne trova. Bene ène vero

148 Cfr. 82.4 nota a argomentare.

Page 86: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 350

che molti sono che dicono che ella vive solamente di terra. Et sappiate di vero che la talpa non vede niente |163b| di lume, perciò che natura non volse aprire la pelle la quale ène di sopra ali suoi occhi; et così non àne luce niente, imperciò che li suoi occhi non sono discoperti. Et perciò sì dico che ella vive solamente di terra. [2] Ancora la talpa perdeo lo vedere per alcuno accidentale, imperciò che ella abita in terra la quale ène elimento et obscuro; et imperciò non ebbe viso che se ella l’avesse sarebbe a llei disutile. [3] La cenere dela talpa, arsa im pignola bene suggellata, data a bere sana li caduci. Lo suo cuore polveriççato, et dato a bere con latte caprino, dato a bere a’ fanciulli che ànno duro ingegno, molto vale. Se tu vuoli piglare la talpa poni ala sua bocca cipolla overo porro, et poco istante ve ne verrae fuori. A quella buca si trova alcuna cosa di buono odore lo quale odore sì ène molto buono ala morfea bianca. Lo suo dente di so|163c|pra, ponendolo a collo ad alcuna persona che abbia paura (a) di notte, dico che molto giova. Lo suo dente di sopra, overo quello di sotto, ponendolo a collo, dico che molto vale contra la quartana. Lo suo sangue mescolato con albume d’uovo, ad ungere la banbagia, et posto al’occhio, dico che molto giova ad ogni dolore. Lo suo fiele, mescolato con olio di sambuco, ad ungere l’orecchia molto giova contra ongni sorditade. Lo testiculo del maschio serve: sicca, tre parte et una di vino. 94 Tr. 1.197, Tes. V.LXIV (§ 1); interp. F (§ 2); interp. M (§ 3 [Ba 39]). (a) ms. paura, con p- tagliata.

95

|163d| Delo unicornio et come ène preso dala donçella et come si combatte contra lo leone.

[1] Unicorno sì ène una bestia la più crudele che sia al mondo et alquanto some-gla cavallo di suo corpo. Li suoi piedi sono fatti come quelli delo alifante, et la sua coda ène fatta come quella del cervio, et sua voce fieramente spettevile, et nelo meç-ço di suo capo, intra ’menduni li orecchi, si esce uno corno sença più; lo quale corno sì ène di grandissimo splendore et ène longo quattro piedi. Et ène sì forte et sì aguto che elli ispeçça et tagla et rompe ongni armadura et anco ciò che dinançi li ène pa-rato. [2] Et voglo che voi sappiate che questo unicorno sì ène sì fiero et sì forte et sì aspro che veruno omo no· llo puote né giognere né prendare per niuno ingegno di mondo se elli no· llo trovasse dormi|164a|re. Morto poterebbe bene essere, ma vivo non si poterebbe mai avere per veruna cagione che fatta fusse di lui. Nompertanto li cacciatori fanno istare nela via dove elli ripara una vergine pulcella. Et ciò ène sua natura che, incontanente che elli vede questa giovane pulçella, li viene sì grande odore di sua virginitade che incontanente se ne vae a llei et pone giuso tutta sua fie-reçça, et pone suo capo in grembo di questa giovane pulçella et incomincia a dormire sì come elli fusse del tutto a ssicuro, et in tale maniera lo prende lo cacciatore: che questa giovane pulçella si li mette una fune in suo collo quando lo vede adormentato et poi lo mette in mano deli cacciatori. Et in tale maniera come avete udito dire di sopra ène preso et morto lo detto lunicornio perché elli ène conosciuto per la pulç-ella la sua natura. [3] Questo uni|164b|corno nasce nele parte d’India et ispesse fiate si

Page 87: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 351

combatte contra lo leone et lo leone contra di lui; ma lo leone l’uccide per grande in-gegno sì come voi di sotto udirete dire. Questo unicorno sì àne uno corno in sua fronte dinançi longo quattro piedi sì come voi avete udito dire di sopra. Et intendete che sono unicorni di tre maniere. La prima maniera d’unicorni sono bianchi. La se-cunda maniera d’unicorni sono neri. La terça maniera d’unicorni sono rossi. Ma questa prima maniera deli unicorni bianchi sono quelli unicorni che sono più forti et più arditi di tutti li altri unicorni. Et intendete che questo ène quello unicorno lo quale si combatte contra lo leone, in tale maniera come voi udirete dire. [4] Ora sap-piate di vero che quando l’unicorno si combatte insieme colo leone, et lo leone si mete inman|164c|tenente dipo uno alboro bene forte et bene tenente; et poi viene in-verso l’unicorno incominciandolo ad asalire fortemente. Allora quando lo unicorno si vede così assalire dalo leone, incontanente se ne viene verso lo leone con animo molto crudele, et credelo ferire fortemente di suo corno; et quando lo leone lo vede venire così a dritto verso di lui, incontanente si mette a fugire dipo quello alboro lo quale elli àne trovato che sia bene forte et bene tenente. Et lo unicorno viene allora molto adirato verso lo leone, et credelo ferire di suo corno infino a morte; allora fie-re nel’alboro dove lo leone ène riparato et fierevi entro per tanta forza che elli ficca suo corno entro in quello alboro dove lo leone ène riparato, in tale modo che elli non puote riavere suo corno per niuna maniera. Et quando lo leone, lo quale ène agat-tato |164d| dipo l’alboro, vede lo lunicorno che àne fitto suo corno entro l’alboro in tale maniera che elli no· llo puote riavere, incontanente esce fuori dipo l’alboro dove ène aguattato et viensene verso lo lunicorno, et sì llo uccide; et in tale maniera come voi avete u[dito] dire (a) dinançi inganna lo leone lo unicorno imperciò che in altro modo elli non si poteria difendere da lui se non per lo modo che detto avete udito di-re di sopra. 95 Tr. 1.198, Tes. V.LXV (§§ 1-2); interp. F (§§ 3-4). (a) ms. auete udire.

96

Del’orso et di suo debile capo et dela força dele gambe et di sue propietadi. [1] Orso sì ène una bestia la quale sì àne molto debi|165a|le capo, ma la sua força

sì ène tutta nele sue gambe et perciò vane tutto die et stane ritta. Et quando l’orsa ène inferma d’alcuna infermitade ella mangia una erba la quale àne nome flausi 149 che incontanente la fae sana di sua infermitade. Ma se ella mangiasse pome di man-dragore, morire le conviene incontanente se non fusse le formiche che ella mangia poi sopra tutte cose volontieri. [2] La sua natura sì ène tale che ella riscalda molto di luxuria et giacciono insieme sì come fae l’uomo et la femina. Et ingenera la femina figluoli et no· lli porta in suo ventre più che .xxx. die. Et per lo abreviamento delo tempo natura non àne che fare né podere di compire loro forma dentro lo corpo di loro madre, ançi nascono in modo d’uno moto di carne bianca senza veruna figura, 149 Sta per ‘flomo’: cfr. Tr.(R) 1.199.1: une herbe qui a nom flonuis [R2V; flōnis M, flomus O]; Tes. V.LXVI legge: «flonius».

Page 88: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Paolo Squillacioti 352

se non sene che elli v’àe due occhi in ciascuno di questi moti. Nompertanto la ma-dre |165b| li conferma et li derizza questi moti cola sua lingua secundo la figura di se medesima; poscia l’istringe alo suo petto per darlo calore et spirito di vita. [3] Et in questo modo come avete udito dire di sopra si dorme la madre con questi moti istretti alo suo petto intorno di .xiiij. die sença veruno mangiare et sença veruno bere sì fermamente et sì fortemente che l’uomo la potrebbe battere et uccidere miglaia di volte ançi che ella si sveglasse di suo sonno. Et in tale maniera come voi avete udito dire istae la madre con esso li suoi figluoli intorno da quattro mesi in celato luogo ançi che elli sieno bene confermati a sua figura. Laonde per lo grande digiunare di non mangiare et di non bere, et sì per lo dormire che ella fae, cotanto ella diviene in tanta magreçça et in tanta debilitade che appena puote ritta istare; medesimamente li suoi occhi diventano sì oscuri |165c| et sì tenebrosi che ella non vede quasi se non po-co di lume. Et quando l’orsa esce di sua tana dicono molti che l’ànno veduta che ella ingrassa et meglora molto dele battiture. [4] La sua carne sì ène frigida et untuosa, vi-scosa, [di] difficile (a) digestione et inlaudabile. Lo suo grasso conforta molto contra la ventositade de’ frematici, crudi, et contra dolore d’o[s]si. (b) Lo suo grasso iscalda-to, se alcuno homo se n’ungerae la sua faccia sarae bene intendente et bene impren-derae ciò che detto li sarae, et bene leggerae ongni cosa che elli vederae. Et nota che molto vale ad ungere la faccia a coloro che escono fuori di memoria, intendi nel’u-scita del bagno. Lo suo grasso et lo fiele, mescolato insieme, se con esso ungerai i lopoli 150, uccide tutti i lopoli et induce molti capelli. Lo suo grasso et quello delo cervio, mescolato insieme, se ungerai con esso lo capo donde caggiono li capelli, ra-fermali in|165d|contanente. [5] Lo fiele del’orso, prendendolo con acqua calda, non lascia infermare di morbo caduco. Et nota che li cogloni dell’orso, dandoli mangiare ali caduchi, fae grande prode. Se alcuno berae lo fiele del’orso, lo peso di .vij. grani, trito con mele et acqua calda, vale contra asma et contra emoroidas et remuove la ventositade. Lo suo sangue, ad ungere li occhi, vale contra li peli che nascono neli occhi, quando ne saranno pelati, et poi unto quello luogo. Se alcuno ungerae colo fiele del’orso lo suo deritto coglone, poterae usare con la femina quanto vorrae, et no· lli farae veruno male. [6] L’occhio ritto del’orso, seccato, posto a collo del fanciullo che avesse paura, cessa via da lui ongne paura che avesse in sogno, overo dormendo di die o di notte. Carne d’orso sì ène sopra tutte le carni viscosa; et più malvagiamente si cuoce ala forcella, et dàe peggiore nutricamento di veruna |166a| altra carne che sia, et perciò se ne dee altri guardare di mangiarne tanto quanto elli puote. Et se pure usare te la conviene, sì vale meglo ad usarla per maladia rimuovere che per santade guardare. Et sì come disse Diacorides, tutti membri del’orso ànno sembrabile natura di diliberare malattie de’ menbri che alo corpo del’uomo avengono.

Finit hoc. 96 Tr. 1.199, Tes. V.LXVI (§§ 1-3); interp. M (§ 4-6 [Ba 28]). (a) ms. uiscosa difficile. (b) ms. orsi. 150 Cfr. Squillacioti, Gallicismi cit., § 3 (‘pidocchi dei capelli’).

Page 89: Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22

Il bestiario del Tesoro toscano nel Laur. XLII 22 353

INDICE DEI NOMI Abramo 62.3 Africa 67.3 Alessandro Magno 22.2b; 73.4; 79.3; 80.3 Alessandro Neckam 62.3 Almusadar, re d’Etiopia 83.3 Ambrogio, santo 26.1 Antioco, re di Siria 79.4 Arabia 16.4; 51.1; 52.3; 76.1 Aristotele 17.2; 65.12; 69.5; 80.10; 84.4;

lo Filosofo 41.5; 43.1; 64.3, 5; 69.7; 73.8; 83.4

Arturo, stella 73.6 Asia 49.3; 68.1; 78.0, 1 Avicenna 40.9, 12; 54.2a; Babilonia 14.7 Baldasar 68.7 Barbaria 76.1 Bucifalasso 79.3 Campania 14.6; 77.7 Campidoglio 39.2 Caspar 68.7 Centareto (Clatanci) 79.4 Colle di Val d’Elsa 79.6a Cremona 80.2 Davide 43.3 Desso Tancredi 79.6a Dioscoride 65.12; 96.6 Egitto 11.1; 17.0, 1; 55.1 Eliopoli 51.4 Etiopia 23.1; 83.2, 3; 91.0, 1 Federico II di Svevia 80.2 Filippo il Macedone 22.2b Fiesole 79.7 Firenze 79.7 Gabriele 62.6 Galazia (Galistano) 79.4 Galeno 70.2 Germania (Magna) 68.2

Giasone di Licia (Iasael) 77.8 Giona 12.1 Giulio Cesare 79.3 Grecia 47.1; 50.2 Grogit 84.4 Iaso (Giasse) 14.7 India 13.4; 23.1; 37.2; 58.2, 3; 68.2; 80.2;

88.1; 89.1; 95.3 Iperboreo 50.2 Ippocrate 49.6 Ircania (Artania) 93.0, 1 Isaach 40.9 Italia 84.1 Lisimaco 77.8 Macedonia 22.2b

Mare di Ponto 14.4; 75.1 Mar Nero 13.2 Melchior 68.7 Miccael 62.6 Milano 26.1; 49.4 Nilo 11.1, 4; 14.5; 15.1; 49.5 Noè 43.3; 45.2 Ovidio 49.7 Persia 40.5 Plinio 1.1 Prete Gianni 80.2 Rhazes 18.5 re di Scizia 79.5 Roma 39.2; 77.8 Sabaoth 62.6 Scizia (Stiches) 79.5 Severo Secondo 61.1 Tevere 77.8 Tobia 54.4